Chiarimenti sulla Lettera del Papa Francesco al giornale Repubblica, per una corretta interpretazione

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Caterina63
00sabato 14 settembre 2013 20:10
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 [SM=g1740733]  P.S. Mi è stato scritto in privato chiedendomi cosa ne penso di questa Lettera, questa è la mia risposta:
è bene per noi tenere a mente i DECRETI del Concilio di Trento sulla Giustificazione ricordando che Benedetto XVI ha detto chiaramente, nella Lettera ai Vescovi del febbraio 2009 quanto segue: "coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive...." 
ecco cosa dice Trento sulla Giustificazione

1. Se qualcuno afferma che l’uomo può essere giustificato davanti a Dio dalle sue opere, compiute con le sole forze umane, o con il solo insegnamento della legge, senza la grazia divina meritata da Gesú Cristo: sia anatema.

2. Se qualcuno afferma che la grazia divina meritata da Gesú Cristo viene data solo perché l’uomo possa piú facilmente vivere giustamente e meritare la vita eterna, come se col libero arbitrio, senza la grazia egli possa realizzare l’una e l’altra cosa, benché faticosamente e con difficoltà: sia anatema.

3. Se qualcuno afferma che l’uomo, senza previa ispirazione ed aiuto dello Spirito santo, può credere, sperare ed amare o pentirsi come si conviene, perché gli venga conferita la grazia della giustificazione: sia anatema.

4. Se qualcuno dice che il libero arbitrio dell’uomo, mosso ed eccitato da Dio, non coopera in nessun modo esprimendo il proprio assenso a Dio, che lo muove e lo prepara ad ottenere la grazia della giustificazione; e che egli non può dissentire, se lo vuole, ma come cosa senz’anima non opera in nessun modo e si comporta del tutto passivamente: sia anatema.

5. Se qualcuno afferma che il libero arbitrio dell’uomo dopo il peccato di Adamo è perduto ed estinto; o che esso è cosa di sola apparenza anzi nome senza contenuto e finalmente inganno introdotto nella Chiesa da Satana: sia anatema.

6. Se qualcuno afferma che non è in potere dell’uomo rendere cattive le sue vie, ma che è Dio che opera il male come il bene, non solo permettendoli, ma anche volendoli in sé e per sé, di modo che possano considerarsi opera sua propria il tradimento di Giuda non meno che la chiamata di Paolo: sia anatema.

7. Se qualcuno dice che tutte le opere fatte prima della giustificazione, in qualunque modo siano compiute, sono veramente peccati che meritano l’odio di Dio, e che quanto piú uno si sforza di disporsi alla grazia tanto piú gravemente pecca: sia anatema.

8. Se qualcuno afferma che il timore dell’inferno, per il quale, dolendoci dei peccati, ci rifugiamo nella misericordia di Dio o ci asteniamo dal male, è peccato e rende peggiori i peccatori: sia anatema.

9. Se qualcuno afferma che l’empio è giustificato dalla sola fede, cosí da intendere che non si richieda nient’altro con cui cooperare al conseguimento della grazia della giustificazione e che in nessun modo è necessario che egli si prepari e si disponga con un atto della sua volontà: sia anatema.

10. Se qualcuno dice che gli uomini sono giustificati senza la giustizia del Cristo mediante la quale egli ha meritato per noi, o che essi sono formalmente giusti proprio per essa: sia anatema.

11. Se qualcuno afferma che gli uomini sono giustificati o per la sola imputazione della giustizia del Cristo, o con la sola remissione dei peccati, senza la grazia e la carità che è diffusa nei loro cuori mediante lo Spirito santo (159) e inerisce ad essi; o anche che la grazia, con cui siamo giustificati, è solo favore di Dio: sia anatema.

12. Se qualcuno afferma che la fede giustificante non è altro che la fiducia nella divina misericordia, che rimette i peccati a motivo del Cristo, o che questa fiducia sola giustifica: sia anatema.

Concilio di Trento - SESSIONE VI (13 gennaio 1547)

Nessun Papa può modificare questi Decreti..... [SM=g1740733] 

Benedetto XVI lo sapeva talmente bene da fare quel richiamo nella Lettera ai Vescovi, certo che Papa Francesco non dice apertamente il contrario, sia ben chiaro..... ma, essendoci chi lo pensa o lo deduce,  questa è la nostra cartina tornasole perché la Lettera ai Vescovi di BXVI ha più valore di quella scritta al quotidiano di Scalfari, la prima è un atto magisteriale del Pontefice, la seconda è un gesto di cortesia, una "chiacchierata fra amici" che non reca alcuna Nota di riferimento al Magistero ecclesiale e dottrinale, ma è solo un dialogo abbastanza soggettivo..... qualsiasi cosa abbia scritto Papa Francesco deve essere interpretato alla luce della Dottrina della Chiesa che non è mutata con l'ultimo Concilio.....

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[SM=g1740758] Papa Francesco scrive a Repubblica - 11.9.2013:
"Dialogo aperto con i non credenti"

Il Pontefice risponde alle domande che gli aveva posto Scalfari su fede e laicità. "E' venuto il tempo di fare un tratto di strada insieme". "Dio perdona chi segue la propria coscienza"
di FRANCESCO

 

Papa Francesco scrive a Repubblica:  "Dialogo aperto con i non credenti"

PREGIATISSIMO Dottor Scalfari, è con viva cordialità che, sia pure solo a grandi linee, vorrei cercare con questa mia di rispondere alla lettera che, dalle pagine di Repubblica, mi ha voluto indirizzare il 7 luglio con una serie di sue personali riflessioni, che poi ha arricchito sulle pagine dello stesso quotidiano il 7 agosto.

La ringrazio, innanzi tutto, per l'attenzione con cui ha voluto leggere l'Enciclica Lumen fidei. Essa, infatti, nell'intenzione del mio amato Predecessore, Benedetto XVI, che l'ha concepita e in larga misura redatta, e dal quale, con gratitudine, l'ho ereditata, è diretta non solo a confermare nella fede in Gesù Cristo coloro che in essa già si riconoscono, ma anche a suscitare un dialogo sincero e rigoroso con chi, come Lei, si definisce "un non credente da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth".

Mi pare dunque sia senz'altro positivo, non solo per noi singolarmente ma anche per la società in cui viviamo, soffermarci a dialogare su di una realtà così importante come la fede, che si richiama alla predicazione e alla figura di Gesù. Penso vi siano, in particolare, due circostanze che rendono oggi doveroso e prezioso questo dialogo. 

Esso, del resto, costituisce, come è noto, uno degli obiettivi principali del Concilio Vaticano II, voluto da Giovanni XXIII, e del ministero dei Papi che, ciascuno con la sua sensibilità e il suo apporto, da allora sino ad oggi hanno camminato nel solco tracciato dal Concilio. La prima circostanza - come si richiama nelle pagine iniziali dell'Enciclica - deriva dal fatto che, lungo i secoli della modernità, si è assistito a un paradosso: la fede cristiana, la cui novità e incidenza sulla vita dell'uomo sin dall'inizio sono state espresse proprio attraverso il simbolo della luce, è stata spesso bollata come il buio della superstizione che si oppone alla luce della ragione. Così tra la Chiesa e la cultura d'ispirazione cristiana, da una parte, e la cultura moderna d'impronta illuminista, dall'altra, si è giunti all'incomunicabilità. È venuto ormai il tempo, e il Vaticano II ne ha inaugurato appunto la stagione, di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro.

La seconda circostanza, per chi cerca di essere fedele al dono di seguire Gesù nella luce della fede, deriva dal fatto che questo dialogo non è un accessorio secondario dell'esistenza del credente: ne è invece un'espressione intima e indispensabile. Mi permetta di citarLe in proposito un'affermazione a mio avviso molto importante dell'Enciclica: poiché la verità testimoniata dalla fede è quella dell'amore - vi si sottolinea - "risulta chiaro che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l'altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall'irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti" (n. 34). È questo lo spirito che anima le parole che le scrivo.

La fede, per me, è nata dall'incontro con Gesù. Un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e ha dato un indirizzo e un senso nuovo alla mia esistenza. Ma al tempo stesso un incontro che è stato reso possibile dalla comunità di fede in cui ho vissuto e grazie a cui ho trovato l'accesso all'intelligenza della Sacra Scrittura, alla vita nuova che come acqua zampillante scaturisce da Gesù attraverso i Sacramenti, alla fraternità con tutti e al servizio dei poveri, immagine vera del Signore. Senza la Chiesa - mi creda - non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell'immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d'argilla della nostra umanità.

Ora, è appunto a partire di qui, da questa personale esperienza di fede vissuta nella Chiesa, che mi trovo a mio agio nell'ascoltare le sue domande e nel cercare, insieme con Lei, le strade lungo le quali possiamo, forse, cominciare a fare un tratto di cammino insieme.
Mi perdoni se non seguo passo passo le argomentazioni da Lei proposte nell'editoriale del 7 luglio. Mi sembra più fruttuoso - o se non altro mi è più congeniale - andare in certo modo al cuore delle sue considerazioni. Non entro neppure nella modalità espositiva seguita dall'Enciclica, in cui Lei ravvisa la mancanza di una sezione dedicata specificamente all'esperienza storica di Gesù di Nazareth.

Osservo soltanto, per cominciare, che un'analisi del genere non è secondaria. Si tratta infatti, seguendo del resto la logica che guida lo snodarsi dell'Enciclica, di fermare l'attenzione sul significato di ciò che Gesù ha detto e ha fatto e così, in definitiva, su ciò che Gesù è stato ed è per noi. Le Lettere di Paolo e il Vangelo di Giovanni, a cui si fa particolare riferimento nell'Enciclica, sono costruiti, infatti, sul solido fondamento del ministero messianico di Gesù di Nazareth giunto al suo culmine risolutivo nella pasqua di morte e risurrezione.

Dunque, occorre confrontarsi con Gesù, direi, nella concretezza e ruvidezza della sua vicenda, così come ci è narrata soprattutto dal più antico dei Vangeli, quello di Marco. Si costata allora che lo "scandalo" che la parola e la prassi di Gesù provocano attorno a lui derivano dalla sua straordinaria "autorità": una parola, questa, attestata fin dal Vangelo di Marco, ma che non è facile rendere bene in italiano. La parola greca è "exousia", che alla lettera rimanda a ciò che "proviene dall'essere" che si è. Non si tratta di qualcosa di esteriore o di forzato, dunque, ma di qualcosa che emana da dentro e che si impone da sé. Gesù in effetti colpisce, spiazza, innova a partire - egli stesso lo dice - dal suo rapporto con Dio, chiamato familiarmente Abbà, il quale gli consegna questa "autorità" perché egli la spenda a favore degli uomini.

Così Gesù predica "come uno che ha autorità", guarisce, chiama i discepoli a seguirlo, perdona... cose tutte che, nell'Antico Testamento, sono di Dio e soltanto di Dio. La domanda che più volte ritorna nel Vangelo di Marco: "Chi è costui che...?", e che riguarda l'identità di Gesù, nasce dalla constatazione di una autorità diversa da quella del mondo, un'autorità che non è finalizzata ad esercitare un potere sugli altri, ma a servirli, a dare loro libertà e pienezza di vita. E questo sino al punto di mettere in gioco la propria stessa vita, sino a sperimentare l'incomprensione, il tradimento, il rifiuto, sino a essere condannato a morte, sino a piombare nello stato di abbandono sulla croce. Ma Gesù resta fedele a Dio, sino alla fine.

Ed è proprio allora - come esclama il centurione romano ai piedi della croce, nel Vangelo di Marco - che Gesù si mostra, paradossalmente, come il Figlio di Dio! Figlio di un Dio che è amore e che vuole, con tutto se stesso, che l'uomo, ogni uomo, si scopra e viva anch'egli come suo vero figlio. Questo, per la fede cristiana, è certificato dal fatto che Gesù è risorto: non per riportare il trionfo su chi l'ha rifiutato, ma per attestare che l'amore di Dio è più forte della morte, il perdono di Dio è più forte di ogni peccato, e che vale la pena spendere la propria vita, sino in fondo, per testimoniare questo immenso dono.

La fede cristiana crede questo: che Gesù è il Figlio di Dio venuto a dare la sua vita per aprire a tutti la via dell'amore. Ha perciò ragione, egregio Dott. Scalfari, quando vede nell'incarnazione del Figlio di Dio il cardine della fede cristiana. Già Tertulliano scriveva "caro cardo salutis", la carne (di Cristo) è il cardine della salvezza. Perché l'incarnazione, cioè il fatto che il Figlio di Dio sia venuto nella nostra carne e abbia condiviso gioie e dolori, vittorie e sconfitte della nostra esistenza, sino al grido della croce, vivendo ogni cosa nell'amore e nella fedeltà all'Abbà, testimonia l'incredibile amore che Dio ha per ogni uomo, il valore inestimabile che gli riconosce. Ognuno di noi, per questo, è chiamato a far suo lo sguardo e la scelta di amore di Gesù, a entrare nel suo modo di essere, di pensare e di agire. Questa è la fede, con tutte le espressioni che sono descritte puntualmente nell'Enciclica.

Sempre nell'editoriale del 7 luglio, Lei mi chiede inoltre come capire l'originalità della fede cristiana in quanto essa fa perno appunto sull'incarnazione del Figlio di Dio, rispetto ad altre fedi che gravitano invece attorno alla trascendenza assoluta di Dio.
L'originalità, direi, sta proprio nel fatto che la fede ci fa partecipare, in Gesù, al rapporto che Egli ha con Dio che è Abbà e, in questa luce, al rapporto che Egli ha con tutti gli altri uomini, compresi i nemici, nel segno dell'amore. In altri termini, la figliolanza di Gesù, come ce la presenta la fede cristiana, non è rivelata per marcare una separazione insormontabile tra Gesù e tutti gli altri: ma per dirci che, in Lui, tutti siamo chiamati a essere figli dell'unico Padre e fratelli tra di noi. La singolarità di Gesù è per la comunicazione, non per l'esclusione.

Certo, da ciò consegue anche - e non è una piccola cosa - quella distinzione tra la sfera religiosa e la sfera politica che è sancita nel "dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare", affermata con nettezza da Gesù e su cui, faticosamente, si è costruita la storia dell'Occidente. La Chiesa, infatti, è chiamata a seminare il lievito e il sale del Vangelo, e cioè l'amore e la misericordia di Dio che raggiungono tutti gli uomini, additando la meta ultraterrena e definitiva del nostro destino, mentre alla società civile e politica tocca il compito arduo di articolare e incarnare nella giustizia e nella solidarietà, nel diritto e nella pace, una vita sempre più umana. Per chi vive la fede cristiana, ciò non significa fuga dal mondo o ricerca di qualsivoglia egemonia, ma servizio all'uomo, a tutto l'uomo e a tutti gli uomini, a partire dalle periferie della storia e tenendo desto il senso della speranza che spinge a operare il bene nonostante tutto e guardando sempre al di là.

Lei mi chiede anche, a conclusione del suo primo articolo, che cosa dire ai fratelli ebrei circa la promessa fatta loro da Dio: è essa del tutto andata a vuoto? È questo - mi creda - un interrogativo che ci interpella radicalmente, come cristiani, perché, con l'aiuto di Dio, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II, abbiamo riscoperto che il popolo ebreo è tuttora, per noi, la radice santa da cui è germinato Gesù. Anch'io, nell'amicizia che ho coltivato lungo tutti questi anni con i fratelli ebrei, in Argentina, molte volte nella preghiera ho interrogato Dio, in modo particolare quando la mente andava al ricordo della terribile esperienza della Shoah. Quel che Le posso dire, con l'apostolo Paolo, è che mai è venuta meno la fedeltà di Dio all'alleanza stretta con Israele e che, attraverso le terribili prove di questi secoli, gli ebrei hanno conservato la loro fede in Dio. E di questo, a loro, non saremo mai sufficientemente grati, come Chiesa, ma anche come umanità. Essi poi, proprio perseverando nella fede nel Dio dell'alleanza, richiamano tutti, anche noi cristiani, al fatto che siamo sempre in attesa, come dei pellegrini, del ritorno del Signore e che dunque sempre dobbiamo essere aperti verso di Lui e mai arroccarci in ciò che abbiamo già raggiunto.

Vengo così alle tre domande che mi pone nell'articolo del 7 agosto. Mi pare che, nelle prime due, ciò che Le sta a cuore è capire l'atteggiamento della Chiesa verso chi non condivide la fede in Gesù. Innanzi tutto, mi chiede se il Dio dei cristiani perdona chi non crede e non cerca la fede. Premesso che - ed è la cosa fondamentale - la misericordia di Dio non ha limiti se ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito, la questione per chi non crede in Dio sta nell'obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c'è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire.

In secondo luogo, mi chiede se il pensiero secondo il quale non esiste alcun assoluto e quindi neppure una verità assoluta, ma solo una serie di verità relative e soggettive, sia un errore o un peccato. Per cominciare, io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità "assoluta", nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l'amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! Tant'è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt'altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita. Non ha detto forse Gesù stesso: "Io sono la via, la verità, la vita"? In altri termini, la verità essendo in definitiva tutt'uno con l'amore, richiede l'umiltà e l'apertura per essere cercata, accolta ed espressa. Dunque, bisogna intendersi bene sui termini e, forse, per uscire dalle strettoie di una contrapposizione... assoluta, reimpostare in profondità la questione. Penso che questo sia oggi assolutamente necessario per intavolare quel dialogo sereno e costruttivo che auspicavo all'inizio di questo mio dire.

Nell'ultima domanda mi chiede se, con la scomparsa dell'uomo sulla terra, scomparirà anche il pensiero capace di pensare Dio. Certo, la grandezza dell'uomo sta nel poter pensare Dio. E cioè nel poter vivere un rapporto consapevole e responsabile con Lui. Ma il rapporto è tra due realtà.
Dio - questo è il mio pensiero e questa la mia esperienza, ma quanti, ieri e oggi, li condividono! - non è un'idea, sia pure altissima, frutto del pensiero dell'uomo. Dio è realtà con la "R" maiuscola. Gesù ce lo rivela - e vive il rapporto con Lui - come un Padre di bontà e misericordia infinita. Dio non dipende, dunque, dal nostro pensiero. 
Del resto, anche quando venisse a finire la vita dell'uomo sulla terra - e per la fede cristiana, in ogni caso, questo mondo così come lo conosciamo è destinato a venir meno - , l'uomo non terminerà di esistere e, in un modo che non sappiamo, anche l'universo creato con lui. La Scrittura parla di "cieli nuovi e terra nuova" e afferma che, alla fine, nel dove e nel quando che è al di là di noi, ma verso il quale, nella fede, tendiamo con desiderio e attesa, Dio sarà "tutto in tutti". 

Egregio Dott. Scalfari, concludo così queste mie riflessioni, suscitate da quanto ha voluto comunicarmi e chiedermi. Le accolga come la risposta tentativa e provvisoria, ma sincera e fiduciosa, all'invito che vi ho scorto di fare un tratto di strada insieme. La Chiesa, mi creda, nonostante tutte le lentezze, le infedeltà, gli errori e i peccati che può aver commesso e può ancora commettere in coloro che la compongono, non ha altro senso e fine se non quello di vivere e testimoniare Gesù: Lui che è stato mandato dall'Abbà "a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore" (Lc 4, 18-19).

Con fraterna vicinanza 

Francesco



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Nella conferenza stampa sul volo di ritorno da Rio de Janeiro 

Le novità di Papa Francesco

di Lucetta Scaraffia

Della lunga, serena e aperta intervista che Papa Francesco ha rilasciato ai giornalisti - e la trascrizione completa fa cogliere perfettamente il clima disteso e quasi divertito che ha contrassegnato l'incontro - le grandi novità sono soprattutto due, e riguardano due questioni a cui il Santo Padre aveva finora dato poco spazio: le donne e gli omosessuali.
Le dichiarazioni del Papa sul ruolo delle donne sono chiare e rivelatrici di una forte volontà di apertura, non pronunciate in nome dell'improrogabile necessità di adeguare la Chiesa alla parità fra i sessi realizzata nelle società occidentali, e neppure rivestite del paternalismo, spesso affettuoso, che quasi sempre vena le parole degli alti prelati quando affrontano il tema. 

L'apertura è sostanziale, ed è direttamente collegata al suo progetto di riforma della Chiesa: senza un riconoscimento aperto del ruolo delle donne non si può sperare in quella Chiesa vitale e accogliente che Papa Francesco desidera, quella Chiesa che può di nuovo attirare i fedeli e scaldare loro il cuore. La donna, ha detto, "aiuta a crescere la Chiesa" perché è dal rapporto paritario e collaborativo fra donne e uomini che ha origine la fecondità. E se questo rapporto langue, non è vivo ed è rinnegato, come avviene oggi, la Chiesa non cresce.

Il coraggio di dire una verità, come tutte le verità anche ovvia, ma che nessuno prima di lui aveva osato, cioè che "Maria è più importante degli apostoli", non gli impedisce di escludere il sacerdozio femminile, ma al tempo stesso di chiedere un supplemento di studi e riflessioni per capire come realizzare questa parità nella differenza. Supplemento di ricerca alla quale, ovviamente, le donne daranno contributi fondamentali. In poche parole, la novità viene espressa in modo chiaro, e senza minacciare la tradizione della Chiesa. 
Si può cambiare tutto senza cambiare le regole di base, quelle su cui si è costruita la tradizione cattolica: questa è la sua posizione anche sugli omosessuali. La Chiesa non deve essere una rigida dispensatrice di giudizi, ma deve essere sempre pronta ad accogliere i peccatori, cioè tutti noi. L'esempio di Pietro, che tradisce Gesù e poi viene "fatto Papa", è di una chiarezza lampante che in un baleno toglie valore a tutte le lettere di denuncia, i sospetti, i veleni che stanno girando nel mondo ecclesiastico dopo l'accenno alla "lobby gay". E ricorda a tutti che il cristianesimo ha sempre distinto fra condanna del peccato e misericordia verso il peccatore, e che non è un rigido puritanesimo senza cuore.

Anche a questo proposito Papa Francesco non cambia nulla delle regole morali, ma cancella un moralismo rigido e pettegolo, e con poche parole allontana dalla Chiesa cattolica quell'accusa infamante di omofobia che l'ha perseguitata negli ultimi tempi. La misericordia è la caratteristica distintiva del cristiano, che significa accoglienza del peccatore e perdono. Altra cosa sarebbe cambiare le norme per cancellare il peccato.
Misericordia è quanto invoca anche per i divorziati risposati, senza per questo aprire al divorzio: 
il Papa chiede anche in questo caso un supplemento di indagine teologica sulla pastorale matrimoniale, un cambiamento culturale per riuscire a spiegare questo sacramento alle donne e agli uomini di oggi. Egli individua infatti il problema: se i matrimoni religiosi diminuiscono tanto, e quelli che vengono fatti spesso sono senza valore, è perché troppe volte la Chiesa usa parole sbagliate, vecchie, rigide e sterili per spiegare l'istituzione da cui nasce la vita. Non bisogna cambiare le norme, ma gli esseri umani che le spiegano, la cultura che le giustifica. E anche a proposito del rinnovamento della pastorale matrimoniale siamo certi che Papa Francesco saprà valorizzare l'esperienza femminile, a questo riguardo decisiva.


Sono tutti problemi e situazioni che padre Bergoglio, prete e vescovo, incontrava nel suo cammino per le vie di Buenos Aires, nei suoi incontri con donne e uomini normali, che gli aprivano il cuore con speranza e sincerità. Un bagaglio di esperienze umane che oggi illuminano il suo pontificato, riscaldano ogni suo discorso e gli danno quel tono di verità che fa comprendere e amare le sue parole.



(L'Osservatore Romano 31 luglio 2013)


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Caterina63
00domenica 15 settembre 2013 09:28

Come “gatto Francesco” ha giocato col “topo Eugenio”. Sulla Lettera a Repubblica

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Lettera di Papa Francesco

a chi non crede

… e a chi è in malafede

(come Scalfari)

 

Una lettera di Papa Francesco in risposta ad un editoriale di Scalfari ha destato qualche malumore tra i credenti e il compiacimento di un certo mondo laicista. Ma, se leggiamo bene, vediamo che nulla è cambiato rispetto al Magistero e che Papa Francesco, con la sapienza e l’astuzia di un buon gesuita, ha tracciato in modo corretto l’itinerario spirituale di un non credente. Senza fare alcuno sconto alla dottrina cattolica e avendo sempre in mente che la Verità Assoluta, che è Cristo, non si brandisce come una spada, ma, al tempo stesso, illumina la vita di credenti e non credenti.

 

di Dorotea Lancellotti dal sito papalepapale.com

lancillottiHa suscitato scalpore e tifoserie di parte, come è solito in questi ed altri casi, la lettera che il Santo Padre ha inviato ad un quotidiano il cui direttore, notoriamente ateo, aveva posto delle domande al Pontefice. Papa Francesco non si è voluto tirare indietro. Da notare subito il fatto che “Lettera a chi non crede” è il titolo ufficiale, mentre Scalfari l’ha intitolata “dialogo aperto con i non credenti”.

Le perplessità restano, soprattutto laddove non ci si sforza di leggere questa lettera alla luce di quella “continuità” tanto predicata da Benedetto XVI. Vogliamo allora analizzare questa lettera (essendo lunga, vi invitiamo a leggerla  integralmente) alla luce del Magistero della Chiesa, senza pretesa alcuna, ma con la buona volontà di aiutare tutti a comprendere anche una certa “astuzia gesuitica” con la quale, molto distintamente, Papa Francesco sta inesorabilmente operando.

E già il titolo è tutto un programma: Lettera a chi non crede

Il "Pontefice" del laicismo italiano: Eugenio Scalfari

Il “Pontefice” del laicismo italiano: Eugenio Scalfari

In primo luogo, sarebbe un grave errore cercare in questa lettera una sorta di pastorale per chi, credendo, è abituato ad un altro tipo di linguaggio, un linguaggio più dottrinale, più teorico o teologico. Il destinatario di questa lettera è una persona, atea, che educatamente ha sfidato il Pontefice ponendogli delle domande alle quali il Santo Padre non si è voluto sottrarre, offrendo delle risposte non prettamente dottrinali: non, cioè, nel modo in cui intendiamo catecheticamente parlando. Il Papa ha risposto attraverso indicazioni dottrinali presentate sotto le vesti del dialogo.

Perché parliamo di “astuzia gesuitica”? Non intendiamo quella attribuita da una certa storiografia esterna ed interna all’ordine, quanto piuttosto al modo di fare tipicamente gesuita e propriamente ignaziano: ti apro il mio cuore, ti offro le mie braccia, ti dono anche la mia vita perché tu possa salvarti rifugiandoti in Cristo Crocefisso (cf. san Francesco di Sales).

Ignazio di Loyola: si vede che papa Bergoglio è un gesuita sull'esempio del fondatore dell'Ordine.

Ignazio di Loyola: si vede che papa Bergoglio è un gesuita sull’esempio del fondatore dell’Ordine.

Dice infatti sant’Ignazio nei suoi famosi Esercizi Spirituali, ai quali è dedito lo stesso Francesco: ” Chi propone a un altro un metodo o un procedimento per meditare o contemplare, deve esporre fedelmente il soggetto della meditazione o della contemplazione, limitandosi a toccare i vari punti con una breve e semplice spiegazione. Così chi contempla afferra subito il vero senso del mistero; poi, riflettendo e ragionando da sé, scopre qualche aspetto che gliele fa capire o sentire un po’ meglio, o con il proprio ragionamento o per una illuminazione divina, In questo modo ricava maggior gusto e frutto spirituale di quanto ne avrebbe se chi propone gli esercizi avesse spiegato e sviluppato ampiamente il senso del mistero. Infatti non è il sapere molto che sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e gustare le cose internamente”.

Questa è l’astuzia di cui vogliamo parlare. Papa Francesco si sta rivelando sempre di più un vero “generale” degno dell’Ordine a cui appartiene, dentro il quale si è formato e di cui è ben conosciuta nella storia della Chiesa l’astuzia missionaria o, se preferite, come si dice oggi, “pastorale”.

A non pochi è sfuggita la risposta che il Papa ha dato nell’intervista sull’aereo – forse troppo preoccupati, tutti, della sola questione omosessuale – alla domanda “si sente ancora gesuita?”. Papa Francesco, infatti, ha risposto: “Non ho cambiato di spiritualità, no. Francesco, francescano: no. Mi sento gesuita e la penso come gesuita. Non ipocritamente, ma la penso come gesuita”.

Più chiaro di così non si può: si mettano l’animo in pace i francescani, lì “boni frati” dalla tempra progressista: “Francesco, francescano: no”. Chi vuole comprendere davvero Papa Francesco, deve ammettere che egli parlerà esprimendosi con modi e gestualità francescani, ma il contenuto sarà tutto gesuitico.

Come dobbiamo interpretare allora questa Lettera?

Il rilievo dato dal giornale laico alla lettera del Papa.

Il rilievo dato dal giornale laicista (e “clericale”) alla lettera del Papa.

Nel sito di Repubblica, dove è stata pubblicata la Lettera, nei commenti ho trovato questo, al quale non vogliamo fare certo pubblicità, ma sarà utile per capirci qualcosa:

“Ho sempre seguito la mia coscienza e non posso dire d’essere una cattolica osservante poiché non seguo le regole della sua chiesa ma credo che come buona cittadina, sono anche una buona cristiana….secondo papa Francesco, sarei una di quelle che segue la sua coscienza e il Dio padre perdonerà. L’ho sempre pensato, se esiste un Dio è così grande per capire e rinunciare a punire ma il fatto che il massimo esponente della chiesa lo affermi, è motivo di conforto per me e tutti quelli che hanno sempre vissuto da buoni cristiani senza professarlo”

Inutile dire che per un cattolico osservante a questo punto l’errore è del Papa che avrebbe scritto una lettera ambigua, priva di midollo dottrinale e dunque facilmente interpretabile in modo errato. Vediamo, però, se è davvero così.

Diciamo subito a questa cattolica “non osservante” che è lei a contraddirsi e a dare al testo una interpretazione di comodo; e ai cattolici osservanti diciamo che non è il Papa a contraddirsi. Inoltre il Papa non dice affatto che “chiunque segue la propria coscienza Dio lo perdonerà”.

Papa Francesco ha ricordato ai cattolici che non si può essere discepoli di Cristo senza la mediazione della Chiesa.

Papa Francesco ha ricordato ai cattolici che non si può essere discepoli di Cristo senza la mediazione della Chiesa.

Proprio all’Udienza di mercoledì 11 il Papa, parlando della Chiesa in qualità di Madre, il giorno stesso dell’invio di questa Lettera, ha ammonito: “se tu dici che credi in Dio e non credi nella Chiesa, stai dicendo che non credi in te stesso; e questo è una contraddizione…”. Verrebbe da chiedersi come mai il Papa non abbia usato questa espressione proprio nella lettera anziché usarla verso i fedeli riuniti in san Pietro. Probabilmente perché sapeva bene che con l’ateo di Repubblica la frase sarebbe morta in partenza: ad una persona infatti che non crede è inutile ricordargli che vive di contraddizioni a meno che non si aggira l’ostacolo e si cercano altre vie, come quelle usate dal Papa nella Lettera, per far giungere lo steso messaggio.

Nell’omelia per la Festa di San Giorgio Papa Francesco ha ancora ammonito: “Pensiamo alla Madre Chiesa che cresce, cresce con nuovi figli, ai quali dà l’identità della fede, perché non si può credere in Gesù senza la Chiesa”.

E potremmo portare tante altre citazioni su questa fedeltà ma soprattutto su questo metodo – che senza la Chiesa non avremmo il vero Gesù – per comprendere come deve essere interpretato Papa Francesco.

Francesco non ha paura di andare controcorrente e di invitare a farlo. Certi suoi gesti spiazzano, ma lui sa bene dove sta andando.

Francesco non ha paura di andare controcorrente e di invitare a farlo. Certi suoi gesti spiazzano, ma lui sa bene dove sta andando.

Il discorso sulla coscienza di questa non osservante andrebbe poi approfondito a parte perché rende palese di non sapere che una coscienza veramente libera ed efficace deve essere educata al progetto di Dio e non lasciata libera di scendere a patti con l’errore.  In quest’ultimo caso sarebbe una coscienza relativista e non improntata alla ricerca della verità, ma piuttosto resa supina alle proprie opinioni, come del resto ha ben dimostrato nelle sue parole.

La frase usata dal Papa nella Lettera: “Dio perdona coloro che agiscono secondo la propria coscienza” va letta infatti in questo contesto sempre magisteriale, nel quale si parla di una coscienza “ordinata” alla vera conoscenza di Dio e di cosa Dio vuole da ognuno di noi. La commentatrice perciò dimostra non solo di non conoscere questo progetto divino, ma di rifiutare persino quel poco che conosce. Dio è certo che perdona ma a chi si pente, a chi riconosce il proprio stato di insolvenza nei confronti di Dio e non a chi si arroga il diritto dell’autoperdono. Gesù stesso ammonisce che laddove è vero che ogni peccato o bestemmia contro il Figlio dell’uomo verrà perdonato, c’è un peccato che non verrà assolto nè sulla terra, nè in cielo: è il famoso peccato contro lo Spirito Santo che Papa Francesco non può ignorare e che sicuramente ha tenuto a mente mentre scriveva questa Lettera.

La coscienza non è la nostra sgualdrina, come immagina La Repubblica: è il nostro cane da guardia…

Se vuole il perdono, Scalfari deve chiederlo a Dio.

Se vuole il perdono, Scalfari deve chiederlo a Dio.

La frase del Papa è perciò astuta – ma la riprenderemo più avanti – perché mette in moto intanto la ricerca di una coscienza da molti oggi rigettata o mascherata, e in definitiva non è il Papa ad interrogarsi sul come procede la sua fede, ma pone domande agli atei, a loro mette davanti la condizione della propria coscienza. Infatti, nella sostanza – ed è certo che Scalfari l’ha capito – se vuoi il perdono di Dio, deve chiederglielo, non ci si assolve da soli, è Dio che perdona a chi chiede perdono, a chi mette questa coscienza davanti a Dio; se l’ateo non mette questa coscienza davanti a Dio non solo chiude ogni dialogo ed ogni possibilità di incontrarlo, ma rischia di perdere la partita.

Confrontandoci con gli amici e collaboratori di PP mi scriveva così Nicola Peirce del quale condivido le sue riflessioni:

Santa Caterina da Siena diceva che la coscienza è il nostro cane da guardia.

Santa Caterina da Siena diceva che la coscienza è il nostro cane da guardia.

“…ho letto la lettera e credo sinceramente che il Papa abbia usato il termine coscienza nel senso di San Tommaso, cioè quella coscienza naturale che è la scintilla divina che riceve ogni essere umano quando viene al mondo pertanto è sempre nel senso cristiano di questo termine; tra l’altro anche Santa Caterina parlava di coscienza usando la metafora del cane da guardia che abbaiando ci mette in guardia nell’agire …mi ha anche colpito quel passaggio dove parla di Dio in termini di “relazione” che è esattamente ciò che sostiene Sant’Agostino nel De Trinitate, tra l’altro tutte e due queste considerazioni (coscienza e relazione) sono in due articoli che ho scritto x PP uno parecchio tempo fa. l’altro è l’ultimo inviato, dove parlo proprio dell’Amore cioè di Dio alla luce della dottrina delle relazioni di S.Agostino. Comunque la lettera è bella e non ho trovato nulla di “eretico” o di sincretista anzi è molto chiara …poi i soliti potranno leggerla come preferiscono ma c’è poco da cincischiare le cose scritte sono lapalissiane…”.

Infine, per interpretare correttamente questa lettera è fondamentale avere davanti il famoso testo della Dominus Jesus, voluto da Giovanni Paolo II e firmato dall’allora Prefetto Ratzinger, divenuto poi il suo Successore. Quindi, leggete o rileggete questo testo prima di avanzare con libere interpretazioni erronee della lettera di Papa Francesco poiché, anche a portare prove di scardinamento, ci rifiutiamo categoricamente di pensare che il Papa non l’abbia lui stesso tenuta in considerazione essendosene fatto promotore quando era vescovo a Buenos Aires, così come si è da sempre battuto affinché il Catechismo della Chiesa diventi davvero la lettura e la regola fondamentale del vero cattolico.

[SM=g1740758] continua..........
Caterina63
00domenica 15 settembre 2013 09:30

Ma, in definitiva, che dice il Papa a Scalfari?

Benedetto e Francesco: una chiesa più riflessiva e una chiesa d'azione? No. Si rassegnino i laicisti: personalità diverse ma si tratta sempre dell'unica Chiesa di Cristo.

Benedetto e Francesco: una chiesa più riflessiva e una chiesa d’azione? No. Si rassegnino i laicisti: personalità diverse ma si tratta sempre dell’unica Chiesa di Cristo.

Premesso quanto abbiamo detto fin qui, possiamo dunque avanzare due ipotesi: o abbiamo un Papa ed una Chiesa schizofrenica che si contraddice continuamente; oppure, ipotesi che invece sosteniamo, ci troviamo oggi con un Pontefice assai astuto, come del resto sostiene uno dei commentatori, un ateo, che sempre nei commenti sul La Repubblica dice: “Caro Francesco la mia coscienza è in ordine e non ho nulla da farmi perdonare, sono ateo e me ne vanto perché sono libero dalle vostre prediche. Belle parole le tue, ma fumo negli occhi, fumo d’arrosto, mi sei simpatico, ma per favore non fare il furbo con me, non tentare di convertirmi. Se il tuo dio esiste veramente di certo non è cattolico, sei a capo di un circo, sveglia la tua di coscienza affinché se ne accorga, siete voi che parlate di pecore infatti e se permetti io non lo sono, parla alle tue pecore grazie. E’ dimostrato che la Chiesa Cattolica e’ fondata su romanzi, su falsi storici, e lui evita le domande scottanti, molto furbo..”

Inutile nascondere che la lettera ha in qualche modo colto nel segno, molto più nella coscienza di questo ateo che non nella coscienza della cattolica che si definisce non osservante, sopra riportata! La breccia si è aperta forse più in questa persona che non nella prima che elogiava il Papa. Questi sono i veri e gravi paradossi che riscontriamo in molti che si dicono cristiani oggi, ma che di fatto sono ben peggiori degli atei.

Le omelie di Santa Marta: un appuntamento immancabile per ricevere pillole di saldo cristianesimo.

Le omelie di Santa Marta: un appuntamento immancabile per ricevere pillole di saldo cristianesimo.

Papa Francesco ha detto nell’omelia del mattino del 13 settembre: “Qualcuno, potrebbe dire che una persona si meriti le chiacchiere. Ma non può essere così: ma vai, prega per lui! Vai, fai penitenza per lei! E poi, se è necessario, parla a quella persona che può rimediare al problema”.

Il metodo gesuitico ma anche ecclesiale è sempre stato quello della preghiera e della penitenza nei confronti del non credente, del peccatore, e mai quello del tribunale! Il tribunale è sempre usato nei confronti del peccato chiamato per nome e grado, peccati veniali e mortali, ma sempre con distinzione verso la persona coinvolta.

Un altro commentatore, probabilmente non cattolico, dice: “Bella mossa di Francesco, geniale, vero furbo gesuita! Non gli bastavano le migliaia di riviste cattoliche e i media ai suoi piedi, che ha incastrato Scalfari usando pure il suo giornale, mi chiedo come fate a cascarci. Con quattro parole sdolcinate ti ha rifilato la solita brodaglia cattolica. Mi viene da ridere a leggere ora cattolici che si pizzicano fra loro per dichiarare il Papa eretico oppure egregiamente dottrinale. Siete davvero comici! Intanto pubblicità è fatta e Francesco ha rifilato l’ennesimo predicozzo sulla conversione mascherata da scelte libere però sottolineando furbescamente che la chiesa come gerarchia e magistero è fondamentale, scrive nella lettera: “Senza la Chiesa non avrei incontrato Gesù”…”

Sembra che i veri atei sanno cogliere più verità nella lettera di Papa Francesco di quanto ne sappiamo scorgere noi che ci diciamo “cattolici” e pure praticanti!

E’ importante sottolineare che ci sono delle domande specifiche che Scalfari ha fatto al Papa e dalle quali il Papa prende alcune distanze (prima astuzia) non rispondendo direttamente e dunque assumendo su di sé il pieno controllo della lettera. Scrive: “Mi perdoni se non seguo passo passo le argomentazioni da Lei proposte nell’editoriale del 7 luglio. Mi sembra più fruttuoso — o se non altro mi è più congeniale — andare in certo modo al cuore delle sue considerazioni…”

Francesco sceglie la strategia con la quale rispondere, quella che gli è più “congeniale”, e alcune domande di Scalfari sarebbero infruttuose.

Scalfari si lagna del poco approfondimento di Gesù storico nella Lumen Fidei.

Scalfari si lagna del poco approfondimento di Gesù storico nella Lumen Fidei.

E ancora, a riguardo di una interpretazione superficiale fatta da Scalfari, dell’Enciclica sulla Fede, il Papa anche qui sottolinea quale è il metodo portante e scrive: ” Si tratta infatti, seguendo del resto la logica che guida lo snodarsi dell’Enciclica, di fermare l’attenzione sul significato di ciò che Gesù ha detto e ha fatto e così, in definitiva, su ciò che Gesù è stato ed è per noi..(..) Dunque, occorre confrontarsi con Gesù”.

Questa è una bella strategia! Il dialogo serve per spingere il non credente a confrontarsi non con il credente, ma con Gesù Cristo vivo e vero perché, prosegue il Papa: “Si costata allora che lo “scandalo” che la parola e la prassi di Gesù provocano attorno a lui derivano dalla sua straordinaria “autorità”…”

Va anche sottolineato che le richieste di Scalfari al Papa non sono prettamente dottrinali, ossia di regole catechetiche della fede. Scalfari infatti dimostra bene di conoscere cosa dice la dottrina della Chiesa, ma non la comprende e qui si è aperto nel fare queste richieste, cioè, comprendere quello che egli conosce nella teoria ma non nella pratica. Di conseguenza, Papa Francesco risponde sullo stesso tenore: gli porge la pratica e non la teoria e scrive: “La singolarità di Gesù è per la comunicazione, non per l’esclusione. Certo, da ciò consegue anche che…” e il Papa spiega la pratica di quel dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio con tutta la dottrina che ben conosciamo e che anche Scalfari dimostra di ben conoscere.

S. Agostino: sapeva che il cuore (e la coscienza) è inquieto senza Dio.

S. Agostino: sapeva che il cuore (e la coscienza) è inquieto senza Dio.

Del resto è Gesù stesso che dice: non sono venuto per giudicare, non sono venuto per condannare, ma per salvare. Dopo verrà il giudizio di Dio, come ammoniva lo stesso Giovanni Paolo II ad Agrigento, ma anche Francesco al recente Angelus in favore della pace. Verrà senza alcun dubbio il tempo del giudizio di Dio sulle nostre azioni, pensieri, opere ed omissioni, ma finché siamo sulla terra e finché ci sarà un filo di respiro nell’uomo, è tempo di misericordia e perdono, questo è il servizio di Gesù, questa è la missione della Chiesa: predicare, perdonare i peccati quando vengono confessati e se c’è pentimento, parlare della Buona Novella che è il Vangelo. Parole di consolazione per ogni uomo che nasce con le conseguenze del peccato e vive per cercare e ritrovare quel paradiso perduto, o per dirla con sant’Agostino: “e il nostro cuore è inquieto fin quando non riposa in Te, mio Signore”.

Scalfari aveva chiesto al Papa se, a certe condizioni, Dio può accogliere nel suo regno anche chi è ateo, e il Papa non ha detto “sì” e punto, ma ha detto un “sì” associato a delle modalità ben precise, ecco le parole lette integralmente e che riportano il discorso sulla coscienza sopra accennato:

“Innanzi tutto, mi chiede se il Dio dei cristiani perdona chi non crede e non cerca la fede. Premesso che — ed è la cosa fondamentale — la misericordia di Dio non ha limiti se ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito, la questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire”.

Le parole del Papa sono chiarissime. A patto che da quell’orecchio ci senti

San Paolo parla ai Tessalonicesi della cattiva coscienza.

San Paolo parla ai Tessalonicesi della cattiva coscienza.

La fede è un dono di Dio non un diritto ideologico, politico, religioso e quant’altro e a molti questo dono non viene dato, è negato, come descrive bene san Paolo ai Tessalonicesi a causa delle loro iniquità, delle perversioni, cioè quando si segue una coscienza rivolta a ciò che è male: “per questo Dio invia loro una potenza d’inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità” (2Tess.2,11-12). La predicazione, un franco dialogo fondato sull’onestà intellettuale, prepara la coscienza al Bene (in tal caso intendiamo dire anche che il Bene è Dio stesso e per questo è maiuscolo), la educa, la istruisce alla Verità e questo può avvenire anche verso chi non ha la fede. Se dunque questa persona muore mentre è immersa in questa ricerca ma ha agito in vita sempre a favore di quella legge naturale inscritta nei nostri cuori, e non si è prestata alle malvagità e non ha rifiutato la fede in Cristo per motivi ideologici e quant’altro, e non lo ha avversato, certamente si salverà. L’ateo (ma anche il battezzato) che “non acconsente all’iniquità” sarà risparmiato da quell’invio di menzogna spiegato da Paolo e in qualche modo riuscirà ad incontrare davvero il Cristo.

La decisione dell’ateo, dice il pontefice, si gioca su questa bontà o malvagità del nostro agire, è qui che il Signore potrà offrire la pienezza dell’incontro con Lui o rifiutargliela.

Come l'uomo che chiede a Gesù cosa bisogna fare per avere la Vita Eterna, sappiamo qual è la strada. Il problema è decidersi a percorrerla.

Come l’uomo che chiede a Gesù cosa bisogna fare per avere la Vita Eterna, sappiamo qual è la strada. Il problema è decidersi a percorrerla.

Anche il Vangelo di Matteo spiega questa situazione: “Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?». Egli rispose: «… Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti»” – solo alla fine, quando il tale cerca come potersi migliorare, Gesù risponde con la totalità: ” «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi». Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze…” (Mt.21,16-30). Che fine avrà fatto questo giovane? Gesù allora disse ai suoi discepoli: “In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli… A queste parole i discepoli rimasero costernati e chiesero: «Chi si potrà dunque salvare?». E Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile»… Forse possiamo dire che Gesù si contraddice? Prima sembra affermare che questo tale non sia entrato nel regno dei cieli e, per questo motivo, segue la domanda preoccupata dei discepoli: a questo punto chi si salva? E Gesù riapre la speranza: non tutto è perduto perché ciò che è impossibile agli uomini, persino di salvarsi, è possibile a Dio se l’uomo si lascerà persuadere da Lui.

Questa è la pratica della vera coscienza retta. Conclude infatti il Papa sulla questione con queste parole: “Dunque, bisogna intendersi bene sui termini e, forse, per uscire dalle strettoie di una contrapposizione… assoluta, reimpostare in profondità la questione. Penso che questo sia oggi assolutamente necessario per intavolare quel dialogo sereno e costruttivo che auspicavo all’inizio di questo mio dire”.

Com’è la storia della verità assoluta? Esiste o no?

La Verità assoluta c'è: è Gesù Cristo. Ma non è un possesso, è una relazione.

La Verità assoluta c’è: è Gesù Cristo. Ma non è un possesso, è una relazione.

Infine, l’ultima osservazione che ha suscitatoscandalo in alcuni cattolici è la seguente. Scrive il Papa:

“..mi chiede se il pensiero secondo il qualenon esiste alcun assoluto e quindi neppure una verità assoluta, ma solo una serie di verità relative e soggettive, sia un errore o un peccato. Per cominciare, io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità “assoluta”, nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! Tant’è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita. Non ha detto forse Gesù stesso: «Io sono la via, la verità, la vita»? In altri termini, la verità essendo in definitiva tutt’uno con l’amore, richiede l’umiltà e l’apertura per essere cercata, accolta ed espressa”.

Anche qui rispondiamo brevemente facendo perno sulla coerenza e l’astuzia gesuitica di un Papa che gira attorno, senza dubbio, alle domande, ma stando bene attento a come nelle risposte mira al contenuto. “Per cominciare” l’affondo, Papa Francesco sembra voler smantellare quel concetto di “verità assoluta” che usiamo quando predichiamo o facciamo le catechesi. In verità Francesco non sta dicendo che la Verità (in maiuscolo quando intendiamo il Cristo) incarnata non è assoluta, ma la mole di conoscenza che noi abbiamo e predichiamo non è assoluta in quanto spetta poi a chi ascolta la Parola fare questo incontro, relazionarsi ad essa e quindi aggiungersi alla schiera dei credenti. E tale verità che predichiamo “non è variabile o soggettiva”. Gesù, Verità assoluta, non è legato o imbrigliato alle nostre parole, ciò che diciamo di Lui è un seme che gettiamo e che, come insegna sant’Ignazio: “gli atti dell’intelletto, ragionando, e della volontà, destando gli affetti” (Esercizi Spirituali: n° 3) e ancora ” seguire il corso dei propri pensieri esaminarli e valutarli opportunamente, in base al valore che hanno in rapporto al “Fine della vita”. Ecco perché Gesù ci dice che amare è un comando a cui si può e si deve ubbidire. Chi si lascia andare, si ritrova col cuore capriccioso, perché non ha educato il suo cuore, non educa la propria coscienza al vero bene.

Furbescamente, e alla fine, Francesco gli infila nella risposta l’affermazione del Cristo: “Io sono la via, la verità, la vita”, e glielo impone come domanda che segue una logica indiscutibile e ragionevole anche per l’ateo.

Il Papa evita piuttosto il discorso sull’assolutismo perché alla fine dei conti la salvezza dipenderà da ciò che l’uomo sceglierà.

In conclusione la Verità che è in sè stessa assoluta ed immutabile, cerca l’uomo ed attende da lui la risposta conclusiva di questo rapporto.

 

 




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Caterina63
00domenica 15 settembre 2013 09:50


P.S. per chi lo avesse dimenticato abbiamo due quadri geniali ed eccezionali nei Vangeli che possono aiutare a comprendere l’agire di Papa Francesco ;-)

1. Gesù davanti a Pilato…. Pilato che ritiene tutto sommato Gesù innocente per ben tre volte, è però un conformista, ci tiene al suo posto e non vuole mettersi contro Cesare, ma ha bisogno di sapere, il suo istinto gli dice qualcosa nel mentre si trova davanti a quell’Uomo enigmatico: è innocente, ma sta per essere condannato a morte, perché? Pilato sa cosa sta succedendo, ma non comprende….. e chiede a Gesù: “CHE COSA E’ LA VERITA’” ? Gesù TACE :-D e tace non perché non volesse rispondere ma perchè far capire a Pilato che la Verità era davanti a lui, ed era lui che doveva fare uno sforzo per coglierla, non era Gesù che doveva spiegarla…..

2. nel cortile del Pretorio si arriva alla conclusione che viene lasciata al popolo. Il popolo ha ora davanti a sé LA MENZOGNA (Barabba) e LA VERITA’ (Gesù) e viene lasciato libero di scegliere… ;-)
Cosa ne capiva il popolino di Decreti, dottrina o catechismo? nulla! Ma fa la sua scelta, in quel giorno il popolo, anche noi oggi, abbiamo scelto la menzogna alla Verità…. e da allora discutiamo su questa Verità e l’atteggiamento del Signore non è più quello davanti a Pilato con il suo tacere, ma è quello sulla Croce quando dice le famose “sette parole”:

« PADRE, PERDONA LORO PERCHÉ NON SANNO QUELLO CHE FANNO»
«OGGI CON ME SARAI NEL PARADISO»
«DONNA, ECCO TUO FIGLIO!… ECCO TUA MADRE!»
«DIO MIO, DIO MIO, PERCHÉ MI HAI ABBANDONATO?»
« HO SETE»
«TUTTO È COMPIUTO!»
« PADRE, NELLE TUE MANI CONSEGNO IL MIO SPIRITO»

In queste parole c’è tutta la spiegazione di che cosa sia una coscienza retta (vedi il Buon Ladrone che ottiene il Paradiso), il come siamo chiamati a rispondere davanti ai fatti; il come dobbiamo giungere e come possiamo giungere alla salvezza….. ;-)


[SM=g1740733]

Caterina63
00domenica 15 settembre 2013 20:00

[SM=g1740758]  dai commenti su papalepapale.com riporto questo molto utile anche qui:


  1. Fabrizio on 15/09/2013 at 08:23 said:

    Mah… tutto sicuramente giusto, ma permettetemi di focalizzarmi su un singolo punto. Giustamente riportate dal pensiero di Sant’Ignazio: “deve esporre fedelmente il soggetto della meditazione”. Poi, in una didascalia, scrivete: “La Verità assoluta c’è: è Gesù Cristo. Ma non è un possesso, è una relazione.”. Ecco, poche parole chiare, che Francesco poteva mettere nella lettera a corredo della sua idea ed evitare un grave fraintendimento; non l’ha fatto, tant’è che molti giornali, Repubblica inclusa, hanno titolato “La verità assoluta non c’è”, e giù di commenti alla rivoluzione nei confronti del pensiero di Benedetto XVI. Mi spiegate qui dove sarebbe l’astuzia? Io vedo un danno senza motivo: masse di persone che leggono i giornali non vengono poi su Papale Papale e sui pochi altri siti cattolici che si sforzano di spiegare il pensiero del Papa (tra parentesi, mentre non si ode neanche *un* vescovo che si senta in dovere di farlo). Ricordiamoci che la crisi della Chiesa non è solo data da chi perde la fede e diventa ateo, ma anche da chi si dichiara cristiano cattolico e poi si ritaglia una fede a suo uso e consumo: lo dice Francesco stesso. Poi, scusate, il Papa deve spiegare Cristo, che senso ha che poi qualcuno debba spiegare la spiegazione, su punti chiave poi? Faccio mio quindi il commento di Alessio; credo che voler vedere tutto come perfetto e astuto sia un wishful thinking.


    la mia risposta:

    • LDCaterina63 on 15/09/2013 at 15:36 said:

      Gentile Fabrizio, grazie per le sue riflessioni a me utilissime.
      Ha ragione quando chiede, sulla questione della frase riguardo alla verità assoluta, lei chiedi “dove starebbe l’astuzia” se appunto i Media hanno potuto usare la frase per finire di devastare il vero insegnamento della Chiesa?
      Il punto è che se si leggesse bene la frase senza estrapolare un solo rigo, Papa Francesco non parla della Verità=Cristo in quel “assolutismo”, ma dice chiaramente:
      “io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità “assoluta”, nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! “.
      ;-)
      io non sono certo un genio, ma non si fa neppure difficoltà a comprendere che ciò che è privo di relazione non è assoluto, qui poi parliamo di una relazione che parte dall’alto ;-) non dal basso, è trascendentale…. quindi il Papa si riferiva alla domanda di Scalfari: “..mi chiede se il pensiero secondo il quale non esiste alcun assoluto e quindi neppure una verità assoluta, ma solo una serie di verità relative e soggettive, sia un errore o un peccato….”
      e non al Cristo predicato dalla Chiesa il quale non è neppure identificabile come “verità relativa, soggettiva” ;-)
      Scalfari ha chiesto in sostanza se negare questo assoluto in favore di verità soggettive sia un peccato o meno….. ;-)
      l’astuzia del Papa sta nel fatto che non gli risponde con un si o con un no, ma gli spiega a parole sue che assoluto non è ciò che parte da noi, ma la Verità ( il Cristo) che ci possiede…. e glielo dice fornendogli non una soluzione al suo problema, ma con una domanda in cui mette in evidenza che Cristo ha detto: IO SONO…. LA VERITA’…. con tutto ciò che ne consegue, un prendere o un lasciare ;-)
      qui sta l’assolutismo e quindi da qui deriva questa relazione con Cristo, per questo non si può parlare di verità se questa non parte dal Cristo il quale non è un nostro possesso, ma una relazione, è Lui che ci possiede se noi gli apriamo la nostra coscienza…..
      I Media continueranno sempre a fare i loro giochetti, tocca a noi smascherarli….



[SM=g1740733]

Caterina63
00domenica 15 settembre 2013 20:28


[SM=g1740733]  Ma Francesco non è Martini

di Massimo Introvigne
12-09-2013
da LaNuovaBussolaQuitidiana

Francesco e la Lettera



Il commento di Eugenio Scalfari – e non solo il suo – alla lettera, pubblicata l’11 settembre, che Papa Francesco ha ritenuto d’indirizzargli conferma che il dialogo con i «Gentili senza cortile» – cioè con gli atei che, come il giornalista italiano continua a spiegare a proposito di se stesso, non solo non hanno la fede ma neppure la cercano – è difficile, pericoloso ed esposto a tutte le manipolazioni.
Questi commenti, nella sostanza, scambiano Papa Francesco per un «alter ego» del cardinale Carlo Maria Martini (1927-2012). Sempre di gesuiti si tratta, e i vaticanisti ci assicurano che al conclave del 2005 Martini tifava per Bergoglio. Scalfari e i suoi amici esultano, e qualche critico cattolico ultra-conservatore ripete le stesse cose semplicemente cambiandole di segno. Ma è proprio così?  [SM=g1740733]

La figura di Martini – che ho conosciuto personalmente in anni lontani, prima che diventasse cardinale – è più complessa e tormentata di quanto si creda, ma l’aspetto dell’arcivescovo di Milano che qui interessa, e che Scalfari chiama in causa a proposito di Papa Francesco, è la sua idea che fosse necessaria una svolta radicale e un cambio di rotta sostanziale rispetto ai pontificati del beato Giovanni Paolo II (1920-2005) e di Benedetto XVI. Ecco qui la svolta, scrive ora Scalfari: nella lettera Papa Francesco gli avrebbe scritto cose inaudite, mai sostenute da alcun Pontefice, sul dialogo con la cultura erede dell’Illuminismo, sugli Ebrei e sulla coscienza.

Nello spirito di dialogo instaurato dal Pontefice, possiamo anche immaginare che Scalfari sia in buona fede, né si tratta evidentemente di un esperto di Magistero pontificio. Certamente Scalfari, da illuminista, può pensare che ci si trovi di fronte a cose nuovissime quando legge frasi come «è necessario accogliere le vere conquiste dell’Illuminismo» e che per la Chiesa questa accoglienza ha richiesto «una lunga ricerca faticosa». C’è solo un problema. Queste frasi non sono di Papa Francesco. Sono di Benedetto XVI, nel discorso natalizio alla Curia Romana del 22 dicembre 2006, un testo particolarmente importante e solenne. E nel discorso di Ratisbona dell’11 settembre 2006 – di cui ci si ricorda, sbagliando, solo per la parte iniziale relativa ai musulmani – Papa Ratzinger trovava le radici dell’Illuminismo nell’eredità dei suoi amati filosofi greci, i quali già avrebbero proposto «una specie di illuminismo, che si esprime in modo drastico nella derisione delle divinità che sarebbero soltanto opera delle mani dell’uomo».

Naturalmente, Benedetto XVI non è un nipotino di Voltaire (1694-1778). Non lo è neanche Papa Francesco. Entrambi propongono un dialogo con l’Illuminismo che distingua momenti esigenziali – domande – accettabili da risposte che invece sono a vario titolo sbagliate. Benedetto XVI, nel suo viaggio negli Stati Uniti del 2008 – ma già nel discorso natalizio alla Curia Romana del 2005, dedicato al Concilio Vaticano II – aveva distinto fra due tipi di cultura illuminista, valorizzando quella anglosassone che porta alla Rivoluzione americana, rispetto a quella europea, che invece porta alla Rivoluzione francese. Questioni complesse, su cui gli storici discutono.
Ma dove Papa Francesco è in continuità sostanziale con Benedetto XVI, il quale a Fatima il 12 maggio 2010 aveva affermato che per impostare il rapporto fra Chiesa e modernità occorre sempre partire dal Concilio Vaticano II «nel quale la Chiesa, partendo da una rinnovata consapevolezza della tradizione cattolica, prende sul serio e discerne, trasfigura e supera le critiche che sono alla base delle forze che hanno caratterizzato la modernità, ossia la Riforma e l’Illuminismo. Così da sé stessa [al Concilio] la Chiesa accoglieva e ricreava il meglio delle istanze della modernità, da un lato superandole e, dall’altro evitando i suoi errori e vicoli senza uscita». Scalfari è contento del dialogo dei Papi con le «istanze della modernità». Ma i Papi non hanno mai smesso di denunciare anche gli «errori e vicoli senza uscita».

Sugli Ebrei, Scalfari sembra attribuire a Papa Francesco la prima critica nella storia del Magistero alla cosiddetta «teologia della sostituzione», secondo cui la Nuova Alleanza fra Dio e la Chiesa in Gesù Cristo ha «sostituito» totalmente l’Antica Alleanza fra il Signore e Israele, così revocandola. Anche qui è all’opera l’illusione ottica che fa scambiare le indubbie novità di stile e di accenti di Francesco per rivoluzioni dottrinali, che non ci sono. Semmai, nell’incontro con gli Ebrei del 24 giugno 2013, Papa Francesco ha usato sul punto espressioni perfino più prudenti rispetto al beato Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI.
La critica di una certa teologia della sostituzione – anche questo un tema complesso, su cui tra i teologi coesistono legittimamente opinioni diverse – da parte del beato Giovanni Paolo II parte dall’incontro con gli Ebrei a Magonza del 17 novembre 1980 e dal famoso riferimento di quel Papa al «Vecchio Testamento, da Dio mai denunziato». Ci sono sei discorsi dello stesso beato Giovanni Paolo II che vanno nella stessa direzione, e cinque di Benedetto XVI. Ma in realtà – lo hanno rilevato studiosi come don Pietro Cantoni – la critica della teologia della sostituzione è molto più antica, e se ne trovano precedenti ben prima del Vaticano II. Certo non l’ha inventata Papa Francesco a uso e consumo di Scalfari.

Infine, la coscienza. Anche qui Scalfari attribuisce a Papa Francesco una rivoluzione che non c’è. Benedetto XVI ha beatificato il cardinale oratoriano John Henry Newman (1801-1890) che, ai suoi tempi, fu molto criticato per una frase divenuta celebre della sua «Lettera al Duca di Norfolk», secondo cui «se fossi obbligato a introdurre la religione nei brindisi dopo un pranzo (il che in verità non mi sembra proprio la cosa migliore), brinderò, se volete, al Papa; tuttavia prima alla coscienza, poi al Papa». Un brano che, quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Ratzinger aveva commentato rivendicandone la piena ortodossia. «Questa dottrina sulla coscienza di Newman – scriveva autobiograficamente Ratzinger nel 1990 – è divenuta per me sempre più importante».
Sì, il beato Newman aveva ragione e tutti – credenti e non credenti – siamo tenuti a seguire anzitutto la nostra coscienza.
Ma la coscienza non è il luogo dell’arbitrio e del desiderio, non è – come si potrebbe ricavare da certi scritti del cardinale Martini – il luogo dove si trovano ragioni per contestare la legge naturale su temi come l’aborto o l’omosessualità.
Al contrario, la coscienza è precisamente il luogo dove Dio ha depositato la legge naturale, la nozione del bene e del male. Quando Benedetto XVI nel 2010 si reca in Gran Bretagna per beatificare il beato Newman, ne celebra il suo dialogo (ancora) con le «istanze della modernità» e la sua profonda analisi della coscienza. Precisando però che «la via della coscienza non è chiusura nel proprio “io”, ma è apertura, conversione e obbedienza a Colui che è Via, Verità e Vita». Più o meno le parole che Papa Francesco ha scritto a Scalfari, cui ha proposto – alla fine – una catechesi sugli aspetti essenziali del Cristianesimo. Martini, con tutto il rispetto, talora scriveva cose un po’ diverse.




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Caterina63
00venerdì 27 settembre 2013 11:52

Quella chiesa che si sente a disagio con Francesco e le strategie della fede

 

Al direttore - Le reazioni all’intervista di Papa Francesco sono state varie e diverse, dall’entusiasmo al disagio, anche fra persone che condividono le stesse battaglie in tema di aborto, leggi ispirate all’ideologia del gender e critica della “dittatura del relativismo” contemporanea: un’espressione di Benedetto XVI che anche Papa Francesco ha usato nel suo discorso al Corpo diplomatico del 22 marzo. Il modo di esprimersi in un’intervista non è quello di un’enciclica: è molto più facile trovarci delle frasi suscettibili di essere staccate dal contesto e sbattute con malizia in prima pagina. E il contesto è di quelli che non è obbligatorio apprezzare. Ma è sempre utile cercare di capire, per trasformare anche il disagio in riflessione culturale e politica, anziché tenerlo dentro e sputarlo poi come veleno, come avviene con i tanti commenti irosi che proliferano su internet.

Il primo fronte di disagio si manifesta sul Vaticano II, che Francesco non mette a tema, non nel senso che non lo apprezzi ma che lo dà per scontato, e sulla Messa tradizionale, la cui liberalizzazione da parte di Benedetto XVI sembra ridotta nell’intervista al tentativo di venire incontro alle ubbie di gruppetti marginali, mentre Papa Ratzinger voleva che le ricchezze del vecchio rito fossero fatte conoscere a tutta la chiesa. Ma è anche vero che la celebrazione della Messa con il rito antico, e la giusta denuncia dei danni provocati da chi interpreta il Concilio come liquidazione di tutto il Magistero precedente, non possono essere occasione per rifiutare i documenti e le riforme del Vaticano II né per mettere in discussione la legittimità come strumento di santificazione dei fedeli, non solo la validità, della Messa nuova scaturita dalla riforma di Paolo VI, la Messa sempre celebrata dallo stesso Benedetto XVI. Chi promuove la Messa antica in polemica con la Messa nuova – o se ne serve per diffondere quello che Benedetto XVI chiamava “anticonciliarismo”, cioè il rifiuto di tutti i testi del Concilio che introducono elementi di riforma – davvero usa il vecchio rito in modo “ideologico”. Che questo non fosse lecito lo aveva già detto, più volte, Papa Ratzinger.

Il secondo disagio si manifesta quando Francesco annuncia che non intende parlare molto “delle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi”. Non afferma che non ne parlerà mai, e infatti subito, il 20 settembre, ha parlato di aborto, con chiarezza, ai medici cattolici. Ma che ne parlerà poco, che lascerà questi temi agli episcopati nazionali – in Italia il cardinale Bagnasco si sta esprimendo con particolare chiarezza – e che gli sembra perfino che qualcuno nella chiesa ne parli troppo. Perché questa scelta, che certo crea disagio in chi milita in prima linea per la vita e per la famiglia? In un mondo molto lontano dalla fede Francesco pensa che al Papa spetti ripartire dal primo annuncio. L’annuncio delle cose elementari: che Gesù Cristo è Dio ed è venuto per la nostra salvezza, che offre a tutti la sua misericordia, che convertirsi è possibile, che la conversione non è uno sforzo individuale ma passa sempre per la chiesa. Benedetto XVI aveva detto a Lisbona, l’11 maggio 2010: “Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista”. Francesco si preoccupa per prima cosa “che questa fede ci sia”, l’annuncia attraverso il volto misericordioso del Signore che offre il suo perdono a tutti, compresi gli omosessuali, le donne che hanno abortito e i divorziati risposati. Non che l’annuncio morale non faccia parte del messaggio cristiano, né che Francesco pensi di cambiare la dottrina. Ma l’insegnamento morale per il Papa viene dopo l’annuncio della salvezza tramite la misericordia di Dio.

Tutte le strategie pastorali hanno pregi e difetti, aprono possibilità di missione e comportano rischi. Non si manca certo di rispetto al Papa se si sottolineano anche i rischi, gravi, in un momento in cui in diversi paesi – compresa l’Italia – per mettere la chiesa ai margini della società l’attacco parte dalla morale. La dittatura del relativismo attacca la morale per distruggere la fede. Papa Francesco pensa di non dovere accettare questa scelta del terreno di combattimento fatta da altri. Rovescia la logica del mondo, e parla d’altro: annuncia la compassione e la misericordia, al mondo mostra Gesù Cristo misericordioso e crocifisso, invita tutti a gettarsi per prima cosa ai suoi piedi. Lo confermano tante inchieste sociologiche: sono tanti, in tutto il mondo, a lasciarsi commuovere da questo appello di Papa Francesco. Altri, che pure sono a disagio su strategie e priorità, potranno però lasciarsi entusiasmare dal cuore del Magistero di Papa Bergoglio: l’invito a “uscire” e ad annunciare la fede a chi in chiesa non ci va. Che il mondo abbia bisogno di tante cose, ma che senza la fede non possa sopravvivere, era – dopo tutto – anche il più grande insegnamento di Benedetto XVI. [SM=g1740721]

di Massimo Introvigne

Non è trascorso molto tempo da quando il Pontefice ha mostrato accoglienza verso divorziati e gay. L'ultima volta è stata nell'intervista rilasciata al direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro.
I mezzi di comunicazione hanno parlato di apertura su nozze omosessuali e aborto. In realtà, la posizione del Vaticano non è cambiata di un millimetro. E Papa Francesco non si discosta affatto da quella linea dottrinale che ha contraddistinto i suoi predecessori.

Ne è una prova la notizia della prima scomunica latae sententiae firmata da Papa Bergoglio. Padre Greg Reynolds, sacerdote australiano, ha infatti ricevuto la comunicazione di scomunica dal Vaticano attraverso l'arcivescovo della Diocesi di Melbourne, Denis Hart. Il motivo? Le sue posizioni di apertura sulle nozze omosessuali e sul sacerdozio femminile. Posizioni non in linea con l'orientamento della Chiesa.

La notizia è stata diffusa dal National Catholic Reporter, un portale di informazione religiosa con sede a Kansas City. Poi ha cominciato a diffondersi soprattutto sui media australiani. E ha trovato conferma in Vaticano. «Il dossier è stato curato dalla Congregazione per la dottrina della fede, anche se la scomunica è automatica - spiegano dai Sacri Palazzi - e significa essere fuori dalla Chiesa, ovvero non poter ricevere nessun sacramento. In questo caso la decisione è stata presa per le posizioni del sacerdote che non collimano con la dottrina della Chiesa. Si tratta della prima scomunica del Pontificato di Papa Francesco. Ovviamente il procedimento era iniziato con Benedetto XVI, ma la decisione finale è stata di Papa Francesco».

Il documento della Santa Sede, scritto in latino e senza una spiegazione dettagliata, porta la data del 31 maggio. Già nel 2011 il sacerdote era stato sospeso dal suo ministero dall'arcivescovo di Melbourne. Padre Greg, dunque, non avrebbe potuto più celebrare la messa. Ma nonostante ciò, il sacerdote ha continuato a presiedere pubblicamente la celebrazione e a predicare opinioni contrarie agli insegnamenti della Chiesa cattolica. Il prete ha anche fondato un movimento, chiamato «Inclusive Catholics», che esprime posizioni di apertura e sostegno verso le nozze gay.

Ora è arrivata la scomunica di Papa Francesco. «Mi aspettavo di poter essere ridotto allo stato laicale - ha affermato il sacerdote australiano - ma di certo non mi sarei aspettato di essere scomunicato. Un tempo la scomunica era considerata un qualcosa di enorme, ma oggi le gerarchie ecclesiastiche hanno perso ogni fiducia e rispetto. Nessuno dal Vaticano mi ha mai contattato - ha aggiunto il religioso - e non mi hanno dato alcuna spiegazione».

Reynolds viene accusato di eresia, secondo il Canone 751 del diritto canonico, ovvero «l'ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica o il dubbio ostinato su di essa».

La decisione del Vaticano è definitiva e inappellabile, senza possibilità di ricorso. «Una scelta effettuata per il bene della Chiesa», si legge nella comunicazione a padre Greg Reynolds. Un segnale forte di Papa Bergoglio verso tutti coloro che vedono nell'operato del nuovo Pontefice un cambiamento di rotta nella dottrina della Chiesa. Che evidentemente non c'è.

Serena Sartini - Gio, 26/09/2013 da ilGiornale.it
http://www.ilgiornale.it/news/interni/laltra-faccia-francesco-scomunicato-prete-eretico-953457.html





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