Chiesa e sessualità: diffidate delle fonti mediatiche, andate alla sorgente

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Caterina63
00martedì 21 aprile 2009 12:21
Chiesa e sessualità

Versioni di una morale


Nel pomeriggio di lunedì 20 aprile viene presentato a Milano, all'Università Cattolica del Sacro Cuore, il libro di Margherita Pelaja e Lucetta Scaraffia Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia (Roma-Bari, Laterza, 2008, pagine XI+322, euro 18). Pubblichiamo quasi per intero il primo intervento, dopo il quale sono previsti quelli di don Ferdinando Citterio e di Adriano Pessina.
 
 

di Maria Luisa Betri
Università di Milano

Non vi è dubbio che l'avventurarsi nell'analisi del rapporto fra Chiesa e sessualità nella storia, nell'ambito di un lungo, anzi di un lunghissimo periodo, dalle origini del cristianesimo fino ai giorni nostri, implichi una buona dose di coraggio e una padronanza più che sicura della "cassetta degli strumenti" storiografici. Certamente, né l'uno né l'altro requisito difettano alle due autrici di questo volume, un volume che intriga, avvince, invita a riflettere e a discutere, soprattutto là dove sembrano affiorare più esplicitamente alcune venature ideologiche.
 
Una delle cifre più visibili di questo libro è il dualismo, già insito nella fase della sua progettazione e costruzione per mano di due studiose che, da versanti contrapposti - l'una sul fronte laico, l'altra su quello cattolico - e lungo percorsi e prospettive interpretative differenti, non privi di dissonanze, convergono comunque a tratteggiare un grande quadro, ricco di suggestioni. E anche la forte motivazione da cui ha preso le mosse questo lavoro - riesaminare e verificare il consolidato stereotipo della ostinata sessuofobia che avrebbe connotato il cristianesimo prima e il cattolicesimo poi - nasce dalla constatazione dell'altrettanto tenace luogo comune del contrapporsi al piacere e al sesso, come speculare condanna, della colpa e del peccato.

"Sensibilità più libere, analisi circostanziate dei testi e delle politiche - si legge nell'introduzione - possono di volta in volta articolare, smentire, porre in relazione con territori e finalità diverse, fino a sgretolare forse il potenziale interpretativo di un assunto così generico".

Insomma, in una complessa architettura, tematica e cronologica al tempo stesso, il volume ha inteso individuare i tratti distintivi dell'atteggiamento del cristianesimo e della Chiesa cattolica nei confronti della sessualità, nelle sue molte declinazioni, dandone conto "nelle trasformazioni, nelle permanenze, nelle flessibilità".

In origine - come mette in rilievo Scaraffia, la cui analisi si è mossa prevalentemente sul piano teologico e culturale - sta il modo nuovo di concepire il rapporto sessuale tra uomo e donna, modo nuovo legato al mistero dell'Incarnazione, al mistero di Dio che si fa uomo:  poiché l'Incarnazione "promuove il corpo allo stesso livello dello spirito", l'amplesso fra un uomo e una donna, metafora del rapporto fra l'anima e Dio, fra la Chiesa e Cristo, assume un profondo significato spirituale. Nel cambiamento della concezione del corpo umano, ora reso sacro come "tempio di Dio", la sessualità, in cui corpo e spirito si intrecciano, viene individuata come strumento nel cammino lungo la via della salvezza.

I capitoli iniziali ripercorrono le vicende dalla fase fondativa delle origini fino a tutto il primo millennio cristiano e oltre:  scelte di castità, modalità differenti di rinuncia ascetica alla pratica sessuale, uso metaforico della sessualità per parlare del sacro e le sue varie declinazioni iconografiche nell'arte sacra, il lungo iter che giunse a imporre l'obbligo del celibato ecclesiastico, ribadito solennemente a metà Cinquecento dal Concilio di Trento, per rimanere in vigore fino a oggi, e l'affermazione di un modello di matrimonio, fondato sull'inviolabilità del vincolo, e unico ambito legittimo di appagamento del desiderio.

Malgrado le autrici, in apertura di volume, dichiarino il taglio compilativo del loro lavoro, in queste pagine l'interesse a intrecciare la storia del diritto con la storia sociale, a mettere in relazione i comportamenti con le norme e l'applicazione delle norme lascia intravvedere un retroterra di conoscenze di un'ampia casistica ricostruita sullo scavo di carte d'archivio. Il governo della sessualità da parte della Chiesa viene quindi a fondarsi su "una normativa del particolare e del possibile", nella quale l'universalità di regole e dettati intransigenti si miscela a mediazioni in ogni singolo caso, in una inesauribile disponibilità a valutarne il suo contesto e le sue conseguenze, sia nella sfera individuale della coscienza, sia nelle sue ricadute sociali e politiche, per cui al rigore degli enunciati segue spesso una politica di più clemente tolleranza.

"Versioni di una morale flessibile", dunque, nella politica di un disciplinamento che si rivela "impossibile" a eliminare comportamenti e pulsioni incoercibili. Tuttavia l'accento posto sulle intenzioni e sui desideri, più che sugli atti in sé, rende i testi della casistica uno strumento di costruzione di una nuova morale:  "Un sistema normativo della coscienza, in cui il singolo è al centro di valutazioni e negoziazioni che declinano di volta in volta l'applicabilità della legge universale del bene e del male".
 
La trasformazione epocale muove dallo scorcio del Settecento, quando gli albori del processo di secolarizzazione, nella transizione verso il mondo contemporaneo, cominciano a erodere l'egemonia della Chiesa nel governo della morale, in una società - scrive Scaraffia - che da eteronoma, strutturata dalla religione, si rende autonoma, dandosi leggi proprie ai fini dell'autogoverno, sviluppando un'autocomprensione, in antitesi alla religione, su tutti i temi della vita umana, e quindi anche sul comportamento sessuale. Il quale rientra sempre più ampiamente nel discorso della scienza, della medicina innanzitutto e dell'igiene, e via via della biologia, dell'antropologia, della sociologia, della psicanalisi.

Con il crescente estendersi dello sguardo e del controllo medico sul corpo della società, al fine di risanarlo debellandone le patologie e di eliminare o separare le componenti di emarginazione e devianza, la sfera della sessualità, sottratta al controllo e al disciplinamento di matrice religiosa, sarà progressivamente sussunta nel sistema medico-scientifico. Valga come esempio per tutti il caso della masturbazione, oggetto di una vasta trattatistica medica che, tra Settecento e Ottocento, ne enumera con dovizia di particolari quelle che ritiene le nefaste, invalidanti conseguenza patologiche, dalla cecità all'epilessia, in un evidente dislocamento dalla categoria di peccato, e dunque dalla dannazione dell'anima, a quella della malattia, dai degradanti effetti sul corpo.

Nella temperie positivista permeata di laicismo e anticlericalismo tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, la critica alla morale sessuale cristiana si fa più incalzante e polemica, articolandosi nei termini di una vera e propria "questione" sessuale, spesso dibattuta nelle pagine di una pubblicistica divulgativa, in cui si rivendica una pratica sessuale più libera nella sua naturale spontaneità, purché rispettosa di precise regole eugenetiche.

L'ultimo, denso capitolo del volume ripercorre le fasi del confronto, spesso lacerante e conflittuale, della Chiesa del Novecento, e in particolare nel secondo dopoguerra, con le trasformazioni del comportamento sessuale e con le istanze provenienti dalla società moderna, in particolare in materia di controllo delle nascite, di pratiche anticoncezionali e di emancipazione delle donne. Nel corso degli anni Cinquanta si va profilando un'incrinatura tra donne e Chiesa, che si coglie in "mutamenti quasi invisibili nella loro percezione di sé; insofferenze taciute verso un modello ancorato al destino biologico e riproduttivo, aspettative confuse e progettualità da elaborare su percorsi esistenziali che sembrano aprirsi agli scenari dell'istruzione e del lavoro".

Tutto ciò contribuisce a "scavare un solco tra il modello cattolico e i soggetti femminili".
Il mondo cattolico si divide sulla legittimità della separazione della sessualità dalla riproduzione, all'interno del legame matrimoniale, mentre negli anni Sessanta si profilano le avvisaglie di quella "liberazione sessuale" che si sarebbe pienamente manifestata nel decennio successivo, nel quale il declino dell'influenza della Chiesa si manifesta anche negli esiti dei referendum sul divorzio (1974) e sull'aborto (1981).

"La più formidabile crisi della Chiesa cattolica del XX secolo", come qualcuno l'ha definita, e in queste pagine vivamente ricostruita nella dialettica tra innovatori, autorità magisteriale del Pontefice e mondo cattolico, è vissuta nelle tormentate fasi di elaborazione ed emanazione dell'enciclica Humanae vitae, che conferma l'insegnamento tradizionale della Chiesa in tema di matrimonio e condanna recisamente l'intervento umano nella procreazione, suscitando delusione e vibrate critiche. Le cui tesi per altro saranno riprese sviluppate nel pontificato di Giovanni Paolo II, che era stato uno dei consulenti di Paolo VI.

Ma la posizione attuale della Chiesa nei confronti della sessualità è veramente oppressiva e "antimoderna"? La risposta è elusa dalle autrici, giustamente contrarie alla storia che giudica. Dopo l'Humanae vitae, comunque, si sono resi più espliciti i termini del conflitto, non nella banale contrapposizione tra oppressione e libertà, bensì tra una visione "laica" che colloca anche l'atto sessuale nella sfera esclusiva della libertà individuale, e la concezione cattolica che "lo giudica e lo definisce come momento importante del percorso spirituale di ogni credente, un incontro tra anima e corpo che non si può sottrarre al rispetto delle regole religiose. L'una basata su un'analisi scientifica della sessualità e dell'autonomia del soggetto intesa come valore dominante, l'altra fondata sulla costituzione dell'individuo come soggetto morale in un sistema di norme definite".

L'auspicio espresso in chiusura, e che apre, ovviamente, alla discussione, è che "il comportamento sessuale torni a essere problema collettivo", che su di esso, materia oggi più che mai complessa e controversa, si torni insomma a ragionare superando gli steccati ideologici.




(©L'Osservatore Romano - 20-21 aprile 2009)
Caterina63
00martedì 21 aprile 2009 18:33
Riflessioni sulla «Dignitas personae»

L'inganno terminologico
della pillola del giorno dopo



di Jean Laffitte
Vice Presidente della Pontificia
Accademia per la Vita

La seconda parte dell'istruzione Dignitas personae, dedicata ai nuovi problemi riguardanti la procreazione, si conclude con un paragrafo circa le nuove forme di intercezione e contragestazione. Questi sono mezzi tecnici che, una volta avvenuta la fecondazione, agiscono allo scopo di impedire all'ovulo fecondato d'impiantarsi nell'utero - intercezione - o di proseguire nella propria maturazione una volta che l'impianto è avvenuto - contragestazione.

Tra i mezzi intercettivi ci sono dispositivi intra-uterini (spirale), prodotti con azione antigonadotropa (danazolo), prodotti di uso orale in combinazione con alte dose di estrogeni. In quest'ultimo caso, il metodo attualmente più diffuso è quello che utilizza il progestinico levonorgestrel. Il meccanismo di inibizione della gravidanza esercitata da questo prodotto, somministrato con due dosi successive entro le 48 ore dal rapporto sessuale, è oggetto d'intensa discussione a livello medico ed etico. Alcuni, infatti, parlano di un effetto puramente contraccettivo che impedirebbe la fecondazione. Altri, invece, sostengono che tale prodotto agisce anche dopo la fecondazione. L'azione post-coitale di questo prodotto dipende prima di tutto dal momento in cui è assunto, rispetto al ciclo ovarico della paziente. Se la pillola viene assunta a fecondazione già avvenuta, impedendo la gravidanza, si deve ammettere l'esistenza di un'azione che impedisce lo sviluppo naturale dell'embrione. Un effetto rilevato nelle donne che hanno assunto la pillola a base di levonorgestrel è stato una certa alterazione della ricettività dell'endometrio. Si suppone, dunque, che la pillola possa anche impedire lo sviluppo dell'embrione già esistente, con il noto effetto dei progestinici sull'endometrio uterino. Sebbene manchino ancora, a livello scientifico, le prove certe di una tale azione, è tuttavia corretto ammettere che si possa presumere una qualche interferenza nello sviluppo dell'embrione precoce.

I mezzi contragestativi si riferiscono essenzialmente all'assunzione di un antiprogesterone (mifepristone). Il mifepristone (ru 486) ha come effetto principale quello di bloccare i recettori per il progesterone; somministrato nelle prime ore dopo il rapporto sessuale, impedisce l'impianto dell'embrione, e la sua efficacia si protrae fino a cinque giorni dopo il rapporto. Il mifepristone è usato soprattutto per il suo effetto contragestativo, e non può essere assunto senza controllo medico.
La contragestazione operata con il mifepristone realizza chiaramente un aborto e non può sussistere nessun dubbio sulla grave illiceità morale del suo uso, tanto per il medico che lo prescrive quanto per la paziente che lo richiede e lo assume.

Per quanto riguarda i mezzi intercettivi, già si è accennato alle accese discussioni sul loro meccanismo d'azione, che hanno generato giudizi contrastanti sull'illiceità morale della loro assunzione. Si deve affermare, tuttavia, che il solo fatto che tali mezzi siano concepiti per avere un effetto intercettivo, cioè abortivo, e data la probabilità che questi effetti siano reali, il suo uso è da ritenere, dal punto di vista morale, gravemente illecito, a motivo del mancato rispetto della vita umana in esso implicito. [SM=g1740730]

Non è rilevante quale sia il momento esatto in cui viene interrotto lo sviluppo di un embrione, attraverso un atto positivo. Ci si situa qui nella fattispecie dell'aborto, tanto a livello morale quanto a livello canonico.
Sotto quest'ultimo aspetto, in particolare,  l'istruzione  ricorda  opportunamente che la configurazione penale dell'aborto,  per  il  Diritto  Canonico, riguarda "l'uccisione del feto in qualunque modo e in qualunque tempo dal  momento del concepimento", come attestato dalle Risposte a dubbi emesse il 23 maggio 1988 dalla Pontificia Commissione per l'Interpretazione Autentica del Codice di Diritto Canonico.

A livello morale, è doveroso ricordare i termini dell'enciclica Evangelium vitae che definisce l'aborto procurato "l'uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita". E l'enciclica continua:  "La gravità morale dell'aborto procurato appare in tutta la sua verità se si riconosce che si tratta di un omicidio e, in particolare, se si considerano le circostanze specifiche che lo qualificano. Chi viene soppresso è un essere umano che si affaccia alla vita, ossia quanto di più innocente in assoluto si possa immaginare" (n. 58).

Si deve sempre tenere presente che dal momento della fecondazione, cioè della  penetrazione di uno spermatozoo nell'ovulo, inizia la formazione di una nuova entità biologica, lo zigote. I due gameti realizzano, con l'unione dei loro rispettivi programmi, un nuovo  progetto-programma che determina  ciò  che  sarà  l'essere  così  individuato. È in questo momento che comincia l'avventura di una nuova vita umana.

A livello biologico conviene insistere sul fatto che un tale programma non è un materiale inerte, sul quale l'organismo materno possa poi agire, allo stesso modo in cui ci si serve di un programma di lavoro per costruire un progetto. Si tratta, invece, di un nuovo progetto che si costruisce da solo e che è autore e attore di se stesso. Dal momento della fecondazione, sono i sistemi di controllo dello zigote a entrare in gioco e sono ancora questi che assumono il controllo totale dell'impianto dell'embrione. In altre parole, dalla  prima  divisione  di  segmentazione in blastomeri fino allo stadio di blastocisti e all'annidamento, il responsabile della programmazione è il materiale genetico intrinseco del neo-concepito. Pertanto, l'embrione umano, ancora prima del suo impianto nell'utero, dal processo della fecondazione e della formazione dello zigote, merita il pieno rispetto dovuto alla persona umana.

Se i mezzi tecnici intercettivi e contragestativi sono abortivi, ci si può chiedere perché la presente istruzione ne voglia trattare, essendo l'aborto una materia ampiamente discussa negli ultimi cinquant'anni nei testi del magistero della Chiesa. Il motivo essenziale è che questi mezzi vengono talvolta presentati, in modo ingannevole, come mezzi puramente contraccettivi, il che ha generato le discussioni alle quali si è fatto riferimento precedentemente. [SM=g1740730]

L'inganno si situa anzitutto a livello terminologico:  si parla volentieri di "contraccezione d'emergenza", oppure di "contraccezione pre-impiantatoria" o ancora di "contraccezione post-coitale"; si usa anche l'espressione "pillola del giorno dopo", in analogia con la classica pillola contraccettiva. Questo tipo di terminologia induce erroneamente a credere che esistano due tipi di contraccezione. Il primo che designa i metodi classici (ormonali, di barriera, eccetera) che si usano prima del rapporto sessuale; e un secondo, che si userebbe in caso di dimenticanza, una volta avvenuto il rapporto.

Se esiste qualche incertezza a proposito dell'azione esatta dei mezzi di "contraccezione d'emergenza", un tale dubbio induce a propendere per un'azione abortiva, per l'impedimento dell'annidamento. In tale condizione, la regola morale è chiara:  chiede di astenersi, perché ciò che è in gioco è l'esistenza di una vita umana, che deve essere rispettata e tutelata.[SM=g1740722] 
Si noti anche che, a livello etico, la specie morale dell'aborto non cambia a seconda che questo venga effettuato con intervento chirurgico, o in maniera più "asettica" attraverso la somministrazione di una pillola
.

Tale giudizio non impedisce di continuare gli studi circa i modi più adatti per affrontare i gravissimi problemi causati dalla violenza sessuale a una donna. Se da una parte la donna vittima di una terribile aggressione alla sua dignità ha il diritto di difendersi, anche attraverso l'uso di mezzi che potrebbero impedire l'ovulazione e la fecondazione, occorre d'altra parte ribadire che va difeso anche il diritto alla vita dell'essere umano eventualmente già concepito.

Se ci fosse una qualche incertezza al riguardo, non sarebbe lecito utilizzare mezzi che potrebbero avere un effetto anche abortivo. Come afferma l'enciclica Evangelium vitae, "sotto il profilo dell'obbligo morale, basterebbe la sola probabilità di trovarsi di fronte ad una persona per giustificare la più netta proibizione di ogni intervento volto a sopprimere l'embrione umano" (n. 60).

Occorre anche ribadire che non siamo qui di fronte alla fattispecie di una coscienza confusa a causa di un dubbio sul valore dell'azione progettata, come pretendono alcuni difensori della "pillola del giorno dopo". La persona che chiede una "contraccezione di emergenza" lo fa perché ha avuto un rapporto sessuale che sa essere potenzialmente fecondo e desidera che questa eventuale gravidanza venga interrotta. La sua intenzione non è solo contraccettiva:  ha anche un'intenzione abortiva. Il medico che prescrive a questa persona la "pillola del giorno dopo" non lo fa per il suo effetto solo contraccettivo, ma anche per quello abortivo, vale a dire per impedire lo sviluppo di una gravidanza potenzialmente già iniziata.

È vero che la donna che assume il "contraccettivo d'emergenza" può farlo senza aver iniziato una gravidanza e che, in questo caso, l'effetto del prodotto sarebbe prevalentemente antiovulatorio. Tuttavia, quest'ultima possibilità non modifica la specie morale del ricorso a tale pratica:  la donna che vuole il prodotto e il medico che lo prescrive o somministra, accettano volontariamente il rischio di provocare un aborto. Qualunque sia la realtà a livello biologico, siamo certamente, sul piano morale delle intenzioni, nel campo dell'aborto procurato.

La situazione appena descritta mostra il dovere morale dei medici, degli educatori e dei confessori di illuminare la coscienza dei fedeli e di tutte le persone di buona volontà, denunciando l'inganno che ha reso possibile l'accettazione della "pillola del giorno dopo" nei Parlamenti nazionali.[SM=g1740721] 

In conclusione, si deve precisare che il fatto che s'invochi la contraccezione per "giustificare" retoricamente degli atti potenzialmente abortivi non deve ingannare, lasciando pensare che l'uso di mezzi solo contraccettivi sia moralmente lecito. Al riguardo il magistero si è già ampiamente espresso. Occorre osservare, tuttavia, che, pur essendo la contraccezione un atto di natura essenzialmente diversa, l'uso abituale e banalizzato dei mezzi contraccettivi, lungi dal fare regredire il ricorso all'aborto, trova spesso in quest'ultimo il suo prolungamento. Al riguardo, fanno pensare le parole di Evangelium vitae"Certo, contraccezione ed aborto, dal punto di vista morale, sono mali specificamente diversi (...) Ma pure con questa diversa natura e peso morale, essi sono molto spesso in intima relazione, come frutti di una medesima pianta" (n. 13).[SM=g1740722]




(©L'Osservatore Romano - 22 aprile 2009)


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