Come festeggiare davvero l'8 marzo: la Donna

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Caterina63
00sabato 7 marzo 2009 19:04

....ci siamo..[SM=g1740733] ..mimose e docetti, ma manca ancora alla Donna stessa di scoprire la sua specifica dignità e il suo ruolo nel mondo....

Domani si parlerà di tutto, per noi Donne "tutti" si sentiranno solidali, molti denunceranno gli abusi che subiamo, si dirà di tutto fuorchè di questo aspetto che invece sta alla base della nostra stessa felicità...

Da una parte i Media idolatrano le Donne Vip... sponsorizzano le donne che vendono il proprio corpo per fare carriera raccontandoti i "loro amori" i loro DIVORZI milionari, facendoli passare come successi....tutto tra VIP in un mondo di VIP a noi estraneo...[SM=g1740729]
Dall'altra parte ti denunciano (e meno male!) le violenze che sempre più ADOLESCENTI, BAMBINE subiscono (in aumento le violenze ai bambini!) e questo è il mondo che ci appartiene, che ci riguarda davvero...[SM=g1740730]

Ma i Media TACCIONO sulla vera dignità della Donna, non sanno sponsorizzare il vero ruolo della Donna...perfino il Presidente della Repubblica italiana si è lasciato andare alla propaganda...e giù a parlare solo di PARITA' LAVORATIVE...TACENDO SULLA DIGNITA' DELLA DONNA IN QUANTO TALE...e in quanto al suo RUOLO di essere DONNA![SM=g1740730]

Allora...Auguri Donne..[SM=g1740734] ..e fatevi queso regalo: SCOPRITE CHI SIETE LEGGENDO IL DOSSIER CHE SEGUE...[SM=g1740721]
 

Dossier - LA FIGURA DELLA DONNA NELLA VITA DELLA CHIESA
clicca qui:

LA FIGURA DELLA DONNA NELLA VITA DELLA CHIESA >>

Introduzione

I cambiamenti sociali e culturali della figura della donna

Dal Concilio Vaticano II alla Mulieris Dignitatem

Il Papa e la ricchezza del genio femminile per la Chiesa
la Lettera di Giovanni Paolo II alle Donne (1995)
e quella del Card. Ratzinger ai Vescovi per la dignità della Donna (2004)


La devozione mariana

Esperienze di fede e missione dall’universo femminile
Madre Teresa di Calcutta e Chiara Lubich, una suora e una laica


Bibliografia e Linkografia
Link correlati
Caterina63
00sabato 7 marzo 2009 21:52
La Giornata dell'8 marzo

La donna sempre più protagonista
nella Chiesa e nella società


Roma, 7. Mentre si celebra la Giornata della donna a partire da diverse, spesso contrastanti, se non addirittura opposte visioni di mondo, dall'America, dall'India, dall'Europa giungono alcuni dati che mostrano un rinnovato protagonismo femminile nella comunità ecclesiale e civile. Si tratta, per riprendere le parole di Giovanni Paolo II, delle "manifestazioni del "genio" femminile apparse nel corso della storia in mezzo a tutti i popoli e nazioni"

Da uno studio del Pew Research Center's Forum on Religion & Public Life, per esempio un centro che negli Stati Uniti si occupa di elaborazioni statistiche sul fenomeno religioso, si evince che la donna è più incline a professare una fede in Dio, a pregare, a partecipare ai servizi religiosi rispetto all'uomo.

Secondo l'indagine statistica l'86 per cento delle donne intervistate dichiara di appartenere a una confessione religiosa, il 77 per cento afferma di credere in "maniera convinta" in un Dio o in una entità universale; il 63 per cento afferma che la religione è molto rilevante nella vita e il 44 per cento dice di partecipare ai servizi liturgici almeno una volta alla settimana.

Sempre secondo l'indagine, le donne sono più inclini a credere in un Dio come entità non astratta (il 58 per cento) rispetto all'uomo(45 per cento). La differenza marcata nella pratica religiosa riguarda la frequenza della preghiera. Il sessanta per cento delle intervistate dichiara di raccogliersi in preghiera almeno una volta al giorno. Rispetto all'uomo tale dato è maggiore di diciassette punti percentuale.

Più in generale nella ricerca si sottolinea che gli uomini sono sempre più propensi a dirsi atei o agnostici, mentre le donne sono più inclini a porsi domande sul mistero della vita e più propense alla ricerca della trascendenza. In particolare, per quanto riguarda le opzioni alle fedi religiose, le donne sono più inclini ad aderire ai gruppi e alle comunità cristiane più diffuse. La situazione cambia riguardo alle religioni non cristiane:  il numero degli uomini, in India, che abbracciano l'ebraismo, l'islam e il buddismo è maggiore rispetto a quello delle donne.

In Asia, in India la partecipazione e il coinvolgimento delle donne nelle attività della Chiesa è "in costante e fruttuoso" aumento. Lo sottolinea l'assemblea plenaria della Conferenza episcopale dei vescovi del Paese.
Da un'esclusione delle donne cattoliche nel processo decisionale degli organismi della Chiesa si sta, poco a poco, passando a una maggiore integrazione all''interno della comunità ecclesiale. Ad alcune donne infatti sono state affidate mansioni di rilievo. Ad esempio nella diocesi di Nagpur una suora è stata nominata vicedirettrice di un centro sociale.

La Chiesa in India, attraverso una serie di progetti pastorali, tende a migliorare - sottolineano i vescovi - il ruolo delle donne nella vita sociale, politica, economica e spirituale".

Dall'Asia all'Europa:  in Italia le donne delle Acli intendono "riaffermare il ruolo positivo e propositivo che un rinnovato protagonismo femminile può giocare nell'attuale fase, per ribadire la centralità e il primato della persona in ogni ambito della vita".



(©L'Osservatore Romano - 8 marzo 2009)

Caterina63
00sabato 7 marzo 2009 21:57
La lavatrice e l'emancipazione della donna

Metti il detersivo
chiudi il coperchio e rilassati


di Giulia Galeotti

Cosa nel Novecento ha maggiormente concorso all'emancipazione delle donne occidentali? Il dibattito è acceso. C'è chi dice la pillola, chi la liberalizzazione dell'aborto, chi il lavoro extradomestico. Qualcuno, però, osa maggiormente:  la lavatrice.

Fu un teologo a porre le basi per questa rivoluzione. Nel 1767, infatti, Jacob Christian Schäffern di Ratisbona inventò la prima rudimentale macchina per lavare, perfezionata poi a fine Ottocento nel modello a catino con manovella girevole. Gli inizi del xx secolo videro quindi i primi esemplari elettrici, destinati però all'uso industriale. Una volta tanto, le campagne non erano escluse dal progresso:  anzi, fu proprio lì che tutto prese avvio.

Ci si accorse subito dell'enorme utilità di questi macchinari, e così, creatasi la domanda, molte ditte si riconvertirono. Fu il caso della Calor (società svedese che installava impianti di riscaldamento) e della Miele (che a Herzebrock, minuscola cittadina della Westfalia, produceva scrematrici), ditte note ancora oggi. Se le prime lavatrici per uso domestico fecero la loro comparsa negli anni Trenta, fu però necessario attendere il secondo dopoguerra per vederne il boom nel quotidiano. Il momento non fu casuale:  la diffusione, infatti, avvenne in base a un calcolo ben preciso.

Nel tentativo di ricacciare le donne in casa dopo l'esperienza bellica, gli uomini trovarono un potente alleato proprio nella lavapanni (come del resto in tanti altri elettrodomestici). Il messaggio fu martellante:  se sposarsi presto, trovare una sistemazione definitiva nel matrimonio, abbandonando studio e lavoro, era l'unico destino capace di permettere alle donne di realizzare la loro vera natura, tutto ciò - ed è questa la grande novità della modernità - poteva e doveva essere fatto senza sforzo né fatica. Cinema, televisione, giornali, pubblicitari, medici, psicologi e sociologi, tutti rivelarono alle donne la loro piacevole e appagante vocazione.

Tutti mostrarono la sublime mistica del poter cambiare "le lenzuola due volte la settimana invece di una", tanto per citarne la massima esperta (e la più tenace critica), e cioè la Betty Friedan del 1963. L'immagine fu quella della super casalinga sorridente, truccata, vestita di tutto punto, radiosa e raggiante tra gli elettrodomestici di casa.

Da principio i macchinari erano ingombrantissimi. Nella sua autobiografia, Lisa Foa racconta:  "La mia prima lavatrice me la mandò mia madre da Torino negli anni Cinquanta quando ancora non ce l'aveva nessuno. Era una lavatrice Fiat, enorme, e quando faceva la centrifuga correva per la stanza". Ben presto, però, la tecnologia mise a punto modelli più stabili, leggeri ed efficienti, fino ad arrivare alla lavatrice bilingue, lanciata dall'Electrolux in India:  nel programma di lavaggio, infatti, la Washy talky fornisce sia in inglese che in indi preziosi indicazioni (come "metti il detersivo, chiudi il coperchio e rilassati!").

Alla loro salvatrice, le donne non hanno lesinato lodi. Un recente tributo è venuto dalla musica. Quando, dopo più di un decennio di silenzio, l'inconfondibile voce di Kate Bush è tornata a cantare, il cd Aerial (2005) conteneva una canzone, Mrs. Bartolozzi, dedicata proprio alla lavatrice. Persa tra i suoi pensieri, la casalinga protagonista si lancia in considerazioni esistenziali e filosofiche mentre guarda i panni che girano nel cestello. Il brano è espressione della nuova poetica della (allora) quarantottenne cantautrice inglese:  la pluriennale pausa di riflessione lontana dalle scene le ha permesso infatti di riacquistare un sano rapporto con la quotidianità, ricchissima di spunti d'ispirazione.
 
In realtà però, Kate Bush s'è svegliata tardi. La casalinga che fa il bucato nella solitudine domestica pare ormai un'immagine vecchia, stantia e sessista. O almeno così ci dicono industriali, pubblicitari ed esperti di costume. Il designer spagnolo Pep Torres (per esempio) s'è messo a capo di un'autentica crociata antidiscriminazione sessuale (chi manda la lavatrice, il maschio?), creando il primo elettrodomestico al mondo che si attiva soltanto se il lavoro viene suddiviso fra tutti i membri della casa. La lavapanni, infatti, eloquentemente battezzata Your turn, è dotata di uno scanner che identifica le impronte digitali dell'utilizzatore:  se viene accesa per due volte consecutive dalla stessa persona, semplicemente si rifiuta di fare il bucato.

Oltre che emancipare le donne, le lavatrici hanno fatto di più:  uscendo di casa e insediandosi nei locali alla moda hanno emancipato loro stesse. Alle pubbliche lavanderie che da oltre trent'anni vanno incontro ai bisogni delle fasce più povere della popolazione americana, si stanno infatti affiancando un po' ovunque esercizi di lavaggio integrati con bar o ristoranti (da San Francisco ad Amburgo, da Miami Beach a Parigi, da Berlino a Londra). Cappuccini, aperitivi, cocktail, cene, collegamenti a internet e televisori al plasma fanno del bucato un momento di socializzazione, intrattenimento e seduzione (apripista, qui, il clip anni Ottanta con un indimenticabile Nick Kamen, e i suoi jeans).

Nessuna novità, sia chiaro:  il bucato collettivo è, infatti, un ritorno all'antico. Se nell'Ippolito di Euripide è alla fonte dove si sono recate a fare il bucato che le donne di Trezene vengono a conoscenza della malattia di Fedra (che scatenerà il dramma), già nell'Odissea il bucato aveva permesso a Nausicaa, intenta con le sue ancelle a lavare i panni sulle rive del fiume, di incontrare "il ricco di espedienti" Ulisse. Persa poi la memoria di figlie di re alle prese con faticosi lavaggi, nei secoli l'operazione ha continuato a essere per tante donne occasione di chiacchiere, conoscenze e canti, come ci dice l'oleografia tradizionale.
 
Oggi però questo ritorno al passato è condito con indelebili tracce di modernità. Completamente assente la fatica e superata una scena solo femminile, "lavare i panni sporchi in famiglia" è ormai, almeno nel mondo occidentale, una frase preistorica. Fare il bucato è trendy solo se diviene un fenomeno collettivo. E cos'altro potrebbe essere in un contesto in cui la famiglia viene sempre più centrifugata?



(©L'Osservatore Romano - 8 marzo 2009)

Caterina63
00domenica 8 marzo 2009 14:26
BENEDETTO XVI DOPO L’ANGELUS


La data odierna – 8 marzo – ci invita a riflettere sulla condizione della donna e a rinnovare l’impegno, perché sempre e dovunque ogni donna possa vivere e manifestare in pienezza le proprie capacità ottenendo pieno rispetto per la sua dignità.

In tal senso si sono espressi il Concilio Vaticano II e il magistero pontificio, in particolare la Lettera apostolica Mulieris dignitatem del servo di Dio Giovanni Paolo II (15 agosto 1988). Più degli stessi documenti, però, valgono le testimonianze dei Santi; e la nostra epoca ha avuto quella di Madre Teresa di Calcutta: umile figlia dell’Albania, diventata, per la grazia di Dio, esempio a tutto il mondo nell’esercizio della carità e nel servizio alla promozione umana.

Quante altre donne lavorano ogni giorno, nel nascondimento, per il bene dell’umanità e per il Regno di Dio! Assicuro oggi la mia preghiera per tutte le donne, perché siano sempre più rispettate nella loro dignità e valorizzate nelle loro positive potenzialità.


          

Caterina63
00lunedì 8 marzo 2010 09:18
[SM=g7427] A tutte le Donne dedico questa poesia di Giovanni Paolo II trasformata in canto dal bravissimo Placido Domingo....

[SM=g7348]


[SM=g7182] [SM=g1740738]



Gabbianella1.
00lunedì 8 marzo 2010 18:02
Grazie e una preghiera per tutte le donne!!!!
S_Daniele
00martedì 9 marzo 2010 17:11
Vorrei aggiungere alle riflssioni fatte da Caterina nel suo primo messaggi riguardante i media e diciamo pure la società post-moderna dell'Occidente.
Sull'essere donna vorrei aggiungere che oggi si è dimenticato che la donna è per sua stessa finalità Madre, cioè procreatrice ed educatrice della famiglia (tanto disconosciuta ai tempi odierni), invece oggi non si fa altro che ripetere che se una donna non lavora non fa parte della societas, quindi diviene incompleta, imperfetta, cioè non realizzata.
Questa è una menzogna colossale ed a causa di tali menzogne le famiglie e l'educazione vengono meno.
Caterina63
00martedì 8 marzo 2011 11:52
[SM=g1740733] [SM=g1740722]

L'Augurio più vero e più bello per tutte le DONNE è il dono che Dio ci ha fatto di Maria Santissima.....

Auguri a tutte le Donne....


[SM=g1740750] [SM=g1740752]




Una festa falsificata.


La storia ed il significato della festa delle donne
Intervista ad Alessandra Nucci, studiosa dei fenomeni legati al femminismo



ROMA, lunedì, 7 marzo 2005 (ZENIT.org).


La festa delle donne ha assunto nel corso degli anni una valenza ideologica sempre più forte, al punto da essere espressione di una cultura radicale che identifica la figura femminile come ribelle contro le caratteristiche naturali di madre e moglie.

Dopo decenni in cui questa ideologia ha prevalso, sembra ora emergere una cultura nuova che fa riferimento all’insegnamento ed alla concezione antropologica cristiana.

Per saperne di più, ZENIT ha intervistato la dott.ssa Alessandra Nucci, Direttrice della rivista "Una Voce Grida...!" e studiosa dei fenomeni che fanno riferimento al femminismo e all’ecofemminismo.

La Nucci è anche Responsabile per l´area "Donna e culture" del Gruppo di Ricerca e Informazione Socio-religiosa (GRIS).

Qual è la storia ed il significato dell'8 marzo. E' una vera festa per le donne?

Nucci: La mitologia femminista ha tramandato per decenni il racconto che la data dell’8 marzo fu scelta alla seconda Conferenza internazionale di donne socialiste a Copenhagen, nel 1910, per commemorare il massacro di oltre cento operaie di una camiceria di New York, intrappolate in un incendio appiccato dal padrone della fabbrica per vendicarsi di uno sciopero.

Qualche anno fa qualcuno è andato a spulciare le cronache vere, e si è saputo che un tale terribile incendio ci fu, ma che non era riconducibile né a scioperi né a serrate, che fece vittime anche fra gli uomini, e che avvenne nel 1911, un anno dopo Copenhagen.

Così adesso noto che le versioni che vengono avanzate si sono diversificate, cercando sempre però di ricordare qualche evento negativo che sarebbe avvenuto in America. In realtà, l’istituzione dell'8 marzo come Festa della donna risale alla III Internazionale comunista, svoltasi a Mosca nel 1921, dove fu lanciata da Lenin come "Festa internazionale delle operaie", in onore della prima manifestazione delle operaie di Pietroburgo contro lo zarismo.

Il racconto di un 8 marzo istituito in memoria un massacro frutto di odio classista e capitalista fu opera del Partito Comunista Italiano, che nel 1952, in piena Guerra Fredda, pubblicò la cronaca di questo incendio vero, ma manipolato in chiave anti-americana. La versione fu ripresa dall'Unione Donne Italiane, il settore femminile della Cgil, per organizzare quell’anno la festa dell’8 marzo, e poi dalla Cgil stessa, che vi ricamò ulteriormente, aggiungendo altri personaggi al racconto due anni dopo.

La vicenda è indicativa dell’egemonia cercata, e alla lunga ottenuta, dalla sinistra italiana sulle istanze delle donne, dove spesso oggi anche la voce di chi di sinistra non è raccoglie gli stessi temi, le stesse parole d’ordine. Così l’8 marzo in Italia è effettivamente sentita come festa generica di tutte le donne.

Proprio in questi giorni si sta discutendo a New York (Pechino+ 10), della Piattaforma per l’Azione votata alla conferenza ONU di Pechino (1995) sui diritti della donna.


C'è una notevole polemica che riguarda l'aborto, per molti è un diritto, un atto di libertà e di progresso dell'universo femminile. Lei che ne pensa?

Nucci: Quando in Italia, negli anni Settanta, si tenne il referendum sull’aborto, furono in molti a votare per la sua liberalizzazione perché convinti della necessità di mettere fine a un numero altissimo di aborti clandestini.
Oggi però siamo andati ben oltre questo concetto di "male minore", e un certo tipo di femminismo radicale ha dato all’aborto la dignità di vessillo di libertà, una conquista di cui andare molto fieri. C’è chi, addirittura, ne vuole fare un diritto umano, in nome della vita. La vita della donna, naturalmente, senza aver riguardo alla vita del figlio.

La donna si vuole presentare come minacciata non solo dall’incidenza della mortalità per aborti clandestini, che si presume altissima, ma anche dal fatto stesso della gravidanza e della maternità. E’ incredibile come in un’epoca in cui si vuole che tutto sia "naturale" e "olistico", si voglia a tutti i costi manipolare la naturale fisiologia della donna, scorporandone la maternità come fosse un aspetto aggiuntivo.

Sta preparando un libro sul femminismo e sulle politiche antivita che alcune agenzie delle Nazioni Unite hanno praticato dalla fine degli anni Sessanta. In che modo la cultura femminista è stata strumentale all'applicazione di programmi per la riduzione delle nascite?

Nucci: Le politiche demografiche delle Nazioni Unite nascono dalla volontà di prevenire quella che viene percepita come un’imminente catastrofe demografica, nonostante i dati dicano il contrario. Non vi è dubbio però che il rinfocolato femminismo degli anni Novanta abbia prestato a queste politiche una nuova legittimità e militanza, specie con il vessillo dei "diritti riproduttivi".

Secondo queste femministe, appartenenti a delegazioni governative e non-governative, ma anche inserite a tanti livelli diversi dello stesso sistema ONU, è di somma importanza liberalizzare l’aborto e inondare il mondo di contraccettivi,
perché il bene primario della donna - che lo sappia o no - consisterebbe nel ridurre la maternità ad un’opzione marginale rispetto alle cose veramente importanti della vita.

Che cosa pensa della Carta della Terra che secondo alcuni dovrebbe sostituire la Dichiarazione dei Diritti Universali dell'Uomo adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948?

Nucci: Non saprei esprimermi meglio del Professor Michael Schooyans, per dire che la Carta della Terra è uno strumento ideologico anti-cristiano, utile a "legittimare politiche di controllo demografico su scala mondiale, specialmente nei confronti dei più poveri".

Nell'estate dello scorso anno la Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato un documento in cui analizza l'ideologia femminista e la confronta con la cultura cristiana. Qual è il suo parere in proposito?

Nucci: Il documento firmato dal cardinal Joseph Ratzinger e dall’arcivescovo Angelo Amato ha il pregio di mettere in guardia le donne dal rischio di favorire la creazione di una società dove le condizioni dell’umanità, e quindi della donna stessa, saranno molto peggiori di adesso.
Bisogna rendersi conto che le campagne che riguardano la donna in realtà prendono di mira tutta la società. Adesso se ne rendono conto in poche, ma basterà che le donne ne diventino pienamente consapevoli: allora saranno in grado, insieme agli uomini, di ribaltare l’intero corso della storia.


fonte: Zenit

Caterina63
00venerdì 11 marzo 2011 17:11
[SM=g1740733] LA GIUSTA PROVOCAZIONE.....



In un libro la riscossa della donna cattolica

di Raffaella Frullone
08-03-2011


Spòsati e sii sottomessa.

Il titolo mi capita fra le mani quasi per caso, ed ho un sussulto. Passi per lo “spòsati” che più che un suggerimento è un auspicio, visto che rappresenta il desiderio più o meno espresso di ogni donna, comprese le femministe più convinte e le single impenitenti, è quel “sii sottomessa” che mi lascia un po’ perplessa perché, ne sono sicura, non troverebbe d’accordo praticamente nessuna delle 27 spose che negli ultimi 5 anni ho visto pronunciare il fatidico sì. Penso a Laura, che dopo due mesi di convivenza con suo marito, è riuscita nell’impresa di far capire alla sua dolce metà che – attenzione uomini, potreste sconvolgervi - i panni sporchi non camminano da soli fino al cesto della biancheria da soli, penso a Silvia, che con lo stesso principio ha dovuto, non senza traumi, spiegare al marito che l’insalata, gli affettati e i formaggi non crescono nel frigorifero, o penso a Cristina che con un’operazione strategica che neanche Annibale, ha nominato suo marito “responsabile del bagno”, un riconoscimento non da poco per un uomo che fino ad allora poteva esercitare giurisdizione solo nel garage, così lei ha ottenuto un marito che pulisce il bagno, che tradotto significa che almeno non lo lascia come Waterloo dopo la battaglia, e ne è pure fiero. Ora, cosa avrebbero detto queste mogli eroiche di fronte a  quel “sii sottomessa”?

Bisognava capire come mai questa Costanza Miriano, giornalista al Tg3, quindi con orari di lavoro immagino non certo comodissimi, moglie di un uomo normale (lo deduciamo dal fatto che più volte lo paragona ad un cavernicolo), madre di quattro figli di età compresa tra 4 e 11anni e per giunta una bella donna, il che implica un investimento energetico minimo nella cura della persona, potesse dire alle sue sorelle “Sottomettetevi”. E ho deciso di chiederle spiegazioni… 

«Mia sorella mi dice sempre che sono “sdatta”, che in perugino significa che non sono adatta. Ecco. Io non sono adatta al mio ambiente. Adesso ne ho definitivamente la prova. Vado in giro nel mondo come mister Magoo, senza vedere i pericoli. Non immaginavo minimamente che la parola  sottomissione potesse essere fraintesa, cosa che invece ho cominciato a capire in questi giorni, vedendo le reazioni al mio libro. Se una è totalmente fuori dalla logica del dominio non si può risentire se riceve l'invito alla sottomissione, intesa come stare sotto, cioè alla base. Sostenere, sorreggere, aiutare, essere le fondamenta della coppia, della famiglia. Cosa ci può essere di offensivo?  Non c'è niente di più bello da dire a una donna. E molte, moltissime donne che conosco lo fanno naturalmente, sono rocce salde a cui in tanti si appoggiano. Stare sotto se una esce dalla logica del dominio ha solo una collocazione “spaziale”, diciamo. Essere alla base vuol dire accogliere i malumori con un sorriso, mediare tra i caratteri di tutta la famiglia, consolidare, mettere la pace. Quando una fa così conquista l’uomo con la sua bellezza, e poi i mariti – come dice san Paolo nella lettera agli Efesini – saranno pronti a morire per la moglie. L’uomo non resiste alla donna che ascolta la sua voce».

Nel tuo libro scrivi
“Tutti i proclami sul corpo delle donne, usate solo per la loro bellezza, sulle crudeli regole del successo e della società dell’immagine che ci vuole sempre giovani e ci costringe, poverette, alla chirurgia estetica, sul bisogno di riconquistare la nostra autonomia, a noi – quando siamo in fila al supermercato e piove e stanno per finire contemporaneamente il calcio e la lezione di catechismo e una figlia dorme e l’altra deve andare in bagno – ci turbano pochissimo” e poi ancora “nessuna donna in carne e ossa ha mai avuto problemi simili a quelle di cui con tanto zelo si occupano un certo femminismo e molti giornali”, in che senso?

«Il femminismo si è preoccupato molto della libertà sessuale, della contraccezione, dell'aborto, che oltre a essere la più grande tragedia contemporanea è anche la più grande tragedia che possa ferire il cuore di una donna. E - a parte che i bisogni profondi del cuore, di una donna e di un uomo, li può saziare solo Dio, e non una rivendicazione sociale o politica - anche da quel punto di vista mi sembra che il femminismo si sia occupato poco di cambiare le regole del mondo del lavoro. Ha combattuto perché ci entrassimo, ma a prezzi altissimi sul piano della vita personale. Non si è preoccupato di renderlo a misura di mamma, di famiglia. Noi possiamo dare un contributo prezioso alla società, siamo brave, ma non è possibile che per farlo dobbiamo abbandonare gli affetti. Di tutto questo i giornali si occupano raramente, anche perché per la gran parte sono popolati di persone che si sono formate nel clima culturale del '68. Non sono convinta che il nostro paese sia così misogino come si dice, né che le donne siano discriminate, a parte i casi “patologici” di violenze, soprusi. Con le donne che ne sono vittime, se mai dovessero sentirsi offese dalle mie parole, mi scuso. Ma la norma non è come viene dipinta sui giornali. La grande sfida semmai, per come la vedo io, sarebbe quella di migliorare il mondo del lavoro, renderlo più attento ai meriti, e, per quel che riguarda le donne, più flessibile nei tempi; permettere di entrare e uscire dalla vita professionale senza per questo dover ogni volta ripartire dall'incarico di addetta alle fotocopie. Bisognerebbe evitare di costringerci a dormire con la guancia appoggiata sulla scrivania nascoste dietro allo schermo di computer, a rovistare freneticamente tra ciucci e peluche alla ricerca di una penna in fondo alla borsa perché l’ufficio stampa ti chiama mentre sei dalla pediatra e la tachicardia non ti abbandona fino a notte fonda. Bisognerebbe poi, e questo è un sogno, scardinare anche le regole del potere come dominio anche nel mondo del lavoro, ma qui vado fuori tema».

Qualcuno potrebbe accusarti di voler cancellare le conquiste del femminismo…
«Il femminismo è stata un’importante stagione di fioritura, però ha preso una deriva: ha riportato tutto alla logica della contrapposizione che voleva superare. L'emancipazione femminista è, a ben vedere, solo un ribaltamento di quel desiderio di prevalere. Non comandi tu, adesso comando io. Invece la vera, profonda parità c'è quando, in una logica di servizio, ognuno fa quello che sa fare, nel suo specifico, con lealtà, dedizione, con la gioia di dare, senza stare a misurare troppo chi ha fatto di più. Gli equilibri nella vita, si spera lunga, lunghissima, di una coppia, possono cambiare infinite volte, e si può fare molte volte a turno».

Il libro di Costanza Miriano, Vallecchi editore,
racconta le donne esattamente per sono, con i loro 10 files aperti contemporaneamente: lavoro, figli, marito, spesa, ceretta, corsi di aggiornamento, cena da preparare, compiti da verificare, telefonate chilometriche con le amiche, varie ed eventuali. Quella quotidianità che ti fa parlare al telefono mentre stai guidando, pranzando, e se ti fermi al semaforo ti dai anche una ritoccata al trucco, quella quotidianità in cui il viaggio in macchina per una donna cattolica è anche tempo prezioso per recitare il Rosario, o almeno qualche decina, e ancora quella quotidianità in cui a tutti i files Costanza Miriano aggiunge la Messa quotidiana, ma come fai?
«Certo di tempo ne ho poco, ma quello che rende la vita pesante è l’assenza di senso, non la fatica pratica. E la Messa  – o dovrei dire la ..ssa, perché io ne prendo sempre un pezzo, arrivo in ritardo sempre e ovunque –dà il senso a tutto. Alla vita, alla morte, a ogni azione. I contemporanei soffrono per la mancanza di senso. La Messa è l’Onnipotente che decide di venire a stare con te, proprio con te, creatura infangata e impastata di male, e bisognosa di misericordia. E’ un pieno di tenerezza e di mitezza che noi, almeno io, riusciamo solo vagamente, a intuire, tanto è più grande di noi. Ed è, è proprio il caso di dirlo, la bussola quotidiana!».

Il volume è una raccolta di lettere
che l’autrice scrive alle figlie, ai colleghi, agli amici, ma soprattutto alle amiche, con le quali condivide un conto salatissimo con le compagnie telefoniche per le ore trascorse a scambiarsi consigli. Nel libro si legge “la mia risposta a qualsiasi problema è una a scelta tra le seguenti: ha ragione lui, sposalo, fate un figlio, obbediscigli, fate un figlio, trasferisciti nella sua città, perdonalo, cerca di capirlo e infine, fate un figlio”. Non pensi matrimonio e figlio a volte possano rendere ancor più complesse relazioni già zoppicanti?
«Certo, né il matrimonio né il figlio vanno scelti come ancora di salvezza di un rapporto che non funziona. In  generale però penso che  fare scelte definitive e radicali, con impegno e serietà, mette in salvo da questa mentalità dominante della dittatura dei sentimenti, delle emozioni, in cui tutto è liquido, fluido, provvisorio. A me sembra che diamo troppa importanza alle sensazioni, all'emotività. Basta un ostacolo che tutto si rimette in discussione. Viviamo spesso in un'eterna adolescenza che esalta il dubbio e l'indefinito come un valore. Così nei momenti di difficoltà sembra naturale mollare, rompere i rapporti, cambiare.  Il matrimonio ci protegge da questa incostanza. Perché le fasi di dubbio arrivano per tutti. C'è sempre un momento in cui il principe azzurro, trasformatosi dopo il bacio in un ranocchio, ti si presenta sotto una luce diversa. Come ho scritto nel libro, ti compare con la scarpa a ciabatta e l'accuratezza nello stile degna del Grande Lebowski, che va a fare la spesa in accappatoio (e anche lui a volte, d’altra parte, ti troverà gradevole come un'insalatina scondita). Ma se si sa andare oltre il momento, si impara non a chiedersi se le cose funzionano, ma come farle funzionare, allora la prospettiva è tutta un'altra».

A proposito di funzionamento
, molte donne compiono sforzi inenarrabili cercando di far funzionare le cose trasformando il marito in un collaboratore domestico perfetto, invece tu per l’uomo di casa hai in mente un ruolo decisamente diverso….
«In molti cadono in questo equivoco: la sottomissione non c'entra niente con la divisione dei compiti. C'entra con il non imporsi, non dare ordini, non volere imprimere il nostro stile alla gestione della famiglia. Io comunque non vorrei un marito colf, un casalingo sensibile e indeciso come ne vedo tanti, ma un uomo solido che sa da che parte la famiglia debba andare».

Insomma se ad una prima
occhiata il titolo “sposati e sii sottomessa” mi aveva inquietata, di certo leggendo il libro e facendo due chiacchiere con l’autrice si capisce bene che la sottomissione tutto è fuorchè una sorta di rassegnata remissività. Costanza Miriano restituisce smalto alla donna cattolica, da sempre legata ad un’immagine che la vuole ingessata nella camicia di flanella bianca e la gonna blu al ginocchio, il tutto correlato da un’espressione perennemente contrita. Che cosa manca a questa immagine?
«Il trucchetto del diavolo è sempre quello, dal paradiso terrestre in poi: vuole farci credere che accettare di essere creature – questo alla fine è la fede – creature finite ma amate infinitamente, non è vivere in pienezza ma ci tarpa le ali, mortifica la nostra bellezza e la nostra allegria. Come se dovessimo rinunciare davvero a qualcosa. Provare a rinunciare al peccato, questo sì (ma chi ci riesce?). Ma per il resto, non è che perché ho fatto l’ufficio delle letture poi non mi trucco o non metto i tacchi. Per carità, non scherziamo. Io potrei sostenere conversazioni di ore sullo smalto e sulla consistenza degli ombretti neri in crema attualmente in commercio. Che, detto fra noi, sono difficili da trovare. Anzi, ne hai uno da prestarmi?».

Caterina63
00giovedì 8 marzo 2012 11:57

Donne senza paura di essere buone e belle


La giornalista e scrittrice Costanza Miriano dice la sua sulla festa dell'8 marzo


di Luca Marcolivio


ROMA, martedì, 6 marzo 2012 (ZENIT.org) – La giornalista del TG3 Costanza Miriano è quanto di più lontano possa esistere dallo stereotipo della femminista. È profondamente cattolica ma molto diversa dallo stereotipo della ragazza cresciuta in oratorio.


Il suo primo libro Sposati e sii sottomessa (Vallecchi) è stato il caso editoriale dello scorso anno, spazzando via tutti i luoghi comuni sulle donne e sulle famiglie di oggi. Nell’intervista che ha rilasciato a Zenit, a pochi giorni dalla Festa della Donna, la Miriano torna a parlare dei temi da lei affrontati, con la consueta acuta ironia “chestertoniana”.


Siamo vicinissimi alla festa dell’8 marzo, una ricorrenza che è un “totem” per le femministe. Altre donne, invece, vorrebbero abolirla…

Costanza Miriano: Io appartengo alla seconda categoria! Oggi come oggi vedo una situazione sbilanciata a nostro favore, nel senso che non vedo così tante donne così discriminate, salvo casi, che non voglio sminuire, di maltrattamenti. Vedo piuttosto una figura dell’uomo sempre più svilita, indebolita, sentimentalizzata, costretta a ruoli di cura ed accudimento che non sono propriamente maschili. Parlare di un uomo come autorevole, energico o forte equivale ormai quasi a insultarlo, a bollarlo come prepotente o maschilista. Io invece credo che i due ruoli vadano assolutamente ritrovati e valorizzati, essendo l’uno complementare all’altro. Quindi le rivendicazioni femministe non le condivido.
Se spengo la televisione e se chiudo i giornali, se guardo alle donne ‘in carne ed ossa’ che conosco, le rivendicazioni che loro fanno sono sulla maternità, sui figli; non vogliono essere costrette a lavorare o, quantomeno, vogliono farlo, dando un contributo alla società, senza essere costrette ad abbandonare i figli per un tempo irragionevole. Credo sia questa la vera battaglia: quella delle mamme.
Sul fronte della “emancipazione” la battaglia è ampiamente vinta: si pensi che il direttore del mio TG, Bianca Berlinguer, e il mio direttore generale, Lorenza Lei, sono donne… Per acquisire ruoli “di potere”, che hanno tempi e modi maschili, però, le donne devono accantonare la famiglia, la parte umana.

Negli ultimi quarant’anni è stato più l’uomo o la donna a vedere snaturato il proprio ruolo?

Costanza Miriano: L’uomo, senza ombra di dubbio. Roberto Marchesini ha scritto un libro in proposito, Quello che gli uomini non dicono (Sugarco). Questo saggio spiega la retorica per la quale l’uomo dovrebbe “femminilizzarsi”, assumere ruoli di cura, accudire i figli, prendere congedi parentali. Io, personalmente, condivido il magistero della Chiesa e la Bibbia che afferma “maschio e femmina li creò”. La distinzione sessuale non è una ‘carrozzeria esterna’ ma si riferisce a due incarnazioni diverse dell’amore di Dio. L’uomo dovrebbe avere il ruolo della guida: se inizia anche lui a cambiare i pannolini o a preparare le pappe non potrà essere autorevole…

Papa Benedetto XVI ha proposto, come intenzione di preghiera per marzo, il riconoscimento del contributo delle donne allo sviluppo della società. Che tipo di riconoscimento auspica, a suo avviso, il Santo Padre?

Costanza Miriano: Di certo non il riconoscimento delle quote rosa! Credo intenda che le donne debbano riscoprire la bellezza del loro ruolo, in particolare quello materno. Siamo noi le prime che tendiamo a dimenticare questo ruolo o a metterlo tra parentesi. Come il Papa stesso ha scritto nella Lettera sulla collaborazione tra uomo e donna, la più nobile vocazione per la donna è risvegliare il bene che c’è nell’altro, a favorire la sua crescita. È colei che dona la vita prima al suo bambino e poi a coloro che ha intorno, con la sua capacità di valorizzare i talenti, di mettere in relazione, di accogliere, di mediare, di vedere le cose da più punti di vista.
L’uomo, anche in famiglia, ha un tipo di amore più rivolto verso l’esterno, è colui che costruisce nel mondo del lavoro, che feconda la terra. L’uomo caccia e la donna raccoglie! Sono certa che il Papa non si riferisca alle battaglie femministe ma auspichi che la donna torni ad abbracciare il suo ruolo, perché, come tutto quello che la Chiesa ci insegna, è per la nostra felicità più profonda. Vedo tante donne che hanno rinnegato questa parte più femminile della loro vocazione, che hanno investito tutto sul lavoro, o meglio sulla carriera, rinunciando ai figli e, alla fine, ne soffrono.

Qual è stato il modello femminile della sua vita?

Costanza Miriano: Ne ho molti. Le donne che sanno ‘spargere la vita’ davanti a sé sono tutte profondamente cristiane. Due di loro, guarda caso, sono entrambe madri di sei figli: una ha scelto di rimanere a casa, l’altra di fare il medico. Quest’ultima, con un’attività privata, quindi elastica come orari, è riuscita ad armonizzare bene famiglia e lavoro.
Penso, però, anche a suor Elvira, della Comunità Cenacolo di Saluzzo, che è madre, in un altro modo, di migliaia di ragazzi. Prima di lei abbiamo avuto moltissime sante: Teresa d’Avila, Teresa di Lisieux, Caterina da Siena, Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein), Gianna Beretta Molla, tutte donne molto forti e coraggiose che mi ispirano e a cui vorrei somigliare.

Nel mondo dello spettacolo, della TV e del cinema c’è un’enfasi particolare sulla bellezza femminile, spesso non sempre nella cornice del buongusto e dell’eleganza. Possono i mezzi di comunicazione restituire la giusta dignità all’immagine della donna?

Costanza Miriano: Una giusta cura di sé da parte della donna non guasta. Noi donne cattoliche, talvolta, ci illudiamo che curando lo spirito si possa fare a meno di curare il corpo, invece io credo che per una donna sposata sia quasi un dovere essere piacevole. Io stessa amo essere un minimo vanitosa e “frivola”! Spesso ho le encicliche del Papa sporche di smalto… Non vedo nessun contrasto tra la bellezza fisica e quella spirituale. Io amo molto lo sport e tuttora lo pratico. La bellezza è un dono: va accolto, coltivato e custodito, ovviamente senza “buttare le perle ai porci”, senza esibirla in modo volgare. Alla fine quello che vediamo in televisione è il naturale esito della battaglia femminista.
Penso che i mezzi di comunicazione possono restituire dignità alla bellezza femminile, non censurando o condannando, né sottolineando il male ma mostrando che la vera bellezza e la vera felicità sono altro. La sfida di noi cattolici non è fare i moralisti o i bacchettoni: non è questo che convince il cuore. Dobbiamo fare vedere una bellezza più grande, testimoniando, anche con lo smalto e i colpi di sole, che la vera felicità è un’altra. Non è detto che una donna che ha molti figli e vive tutta la vita con un unico marito, debba per forza abbrutirsi. La nostra sfida di cattolici dobbiamo mostrare la profonda ragionevolezza della fede e l’infelicità profonda ed inevitabile che viene dal non credere. Non credo possa esistere una felicità senza Dio, il nostro cuore è fatto per Lui. Nemmeno per Brad Pitt e Angelina Jolie ci sarà alcuna felicità senza Dio!

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