Confronto fra padre De Meo e padre Augè su alcune questioni liturgiche

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Caterina63
00giovedì 22 ottobre 2009 11:42
Interessante confronto fra padre Matteo De Meo e padre Augè su alcune questioni inerenti alla Messa moderna....
P.S.
cliccando sui titoli degli articoli, entrerete nei rispettivi Blog nei quali sono avanzati anche alcuni confronti con ulteriori lettori....

CELEBRARE "VERSO IL POPOLO" O "DARE LE SPALLE AL POPOLO"?


Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo pregevolissimo studio di don Matteo De Meo, docente di Teologia Fondamentale ed eccleseologia presso la Facoltà Teologica Pugliese

di d. Matteo De Meo


Se un giorno qualche parroco chiede al suo vescovo di celebrare sull’antico altare monumentale della propria parrocchia, e di riutilizzarlo per le celebrazioni eucaristiche nella modalità, diciamo antica (con le spalle al popolo), non si perde tempo a riunire commissioni liturgiche per valutare l’opportunità teologica e pastorale di tale prassi. E, dopo varie sedute e commissioni, forse si può rientrare in una sorta di “tolleranza”; ma dopo aver subito non pochi contrasti e giudizi di diffidenza: “...Personalmente preferisco celebrare rivolto verso il popolo e non dando le spalle...” ; “...Credo che il sentire della Chiesa dopo il Concilio Vaticano II sia quello di celebrare verso il popolo...” ;

“...Che in alcune parrocchie si celebri verso il popolo e in altre versus Deum potrebbe causare confusione tra il popolo di Dio, che vede fare cose diverse...” ;

“...Prima di prendere una decisione del genere bisogna sentire il parere del popolo...”;

“...Ma i bambini non saranno educati bene nel partecipare ad una celebrazione dove il sacerdote da a loro le spalle ...”;

“..Non si può accettare una tale celebrazione perchè Gesù nell’ultima cena non ha dato le spalle agli apostoli....”; “...la messa è più partecipata quando il sacerdote è rivolto verso il popolo...”; “...Non mi sentirei a mio agio celebrando con le spalle al popolo...anche se questa è la prassi del S. Padre”;
 
“...La prassi di celebrare versus Deum è tipicamente medievale e non ha nulla a che vedere con la prassi tradizionale e antica della Chiesa...L’altare ad Deum è stato giustamente definito “mensolina” e non ha la dignità di un altare per la celebrazione... La dimensione della convivialità, della mensa, della comunione, è un aspetto fondamentale della celebrazione eucaristica che si era dimenticata prima del Vaticano II e che la Riforma liturgica ha riscoperto con la celebrazione verso il popolo...”;

“...La celebrazione versus Deum nasconde questa dimensione comunionale esaltando unicamente la dimensione sacrificale della celebrazione liturgica...”

(...)

Ho voluto sintetizzare in queste frasi (realmente pronunciate e non

ipotetiche), quelle obiezioni che ricorrono spesso ogni qual volta ci si trova

fra sacerdoti- ma anche con vescovi- e con laici (impegnati) a confrontarsi

su alcune questioni di liturgia. In questo caso (lo avrete intuito) si tratta

della possibilità di poter legittimamente celebrare versus Deum (in gergo

comune, purtroppo, “con le spalle al popolo”).


É inveterata, oramai, la convinzione che l’unico modo legittimo di celebrare

la divina eucaristia sia quello in cui il sacerdote è rivolto verso il popolo,

dando le spalle alla croce. L’antica modalità (il Vetus Ordo) con cui il

sacerdote celebrava la parte eucaristica rivolto verso la Croce (versus Deum)

è, in alcuni casi, tollerata e spesso considerata non “adatta” ai canoni

previsti dalla Riforma liturgica del Vaticano II, quindi da doversi tralasciare.

Questo è nei fatti! Chiunque si rechi a Messa potrà, nella stragrande

maggioranza dei casi, trovare conferma di quanto appena affermato! Sia che

ci si trovi in chiese di nuova costruzione o all’interno di antiche basiliche,

ovunque troverà un “altare nuovo”; e in quelle antiche posto davanti a

quello monumentale (spesso di discutibile forma e dignità). Insomma la

celebrazione versus deum di fatto nelle chiese, siano esse antiche o

moderne, è interdetta! Tutte le operazioni di adeguamento sono

indiscutibilmente in questo senso in nome del nuovo spirito liturgico del

Vaticano II.

Ma quanti sono a conoscenza che la Congregazione per il Culto Divino

prevede e non proibisce tale possibilità, -tra l’altro mai vietata e nè

impedita,- nè dal Concilio, nè dalla rispettiva Riforma liturgica del Vaticano

II (come vedremo in seguito)? Inoltre, tale modalità è, attualmente,

suffragata dalla prassi liturgica del S. Padre che, credo, non debba essere

ritenuta solo come un mero “ suo gusto personale” (come, invece, qualche

vescovo mi ha fatto “paternamente” notare!).


j
Caterina63
00giovedì 22 ottobre 2009 11:44
Continua da sopra.....


Augè - De Meo: il confronto sull'orientamento prosegue - 1

Il 19 Settembre scorso pubblicavamo l'articolo di un giovane docente di Teologia Fondamentale ed Ecclesiologia presso la Facoltà Teologica Pugliese, don Matteo De Meo. A stretto giro rispose commentando su RS padre Mathias Augè di Liturgia Opus Trinitatis. Ed ora don Deo Meo precisa.


 

 

A don Matteo di Meo.

Invece di tanto sforzo per confrontare termini e la loro interpretazione, perché non usare per prima cosa i testi originali e non quelli che gli assomigliano più o meno? Non è possibile entrare in dettagli. Valga un solo esempio eloquente a sollevare interrogativi su quanto Lei lungamente espone. La citazione di un editoriale di “Notitiae”, che Lei riproduce in italiano tra virgolette alla nota 14, non corrisponde all’originale italiano di “Notitiae” 1993, p. 249, che trascrivo per corretta informazione dei lettori del blog:


«3. La collocazione dell’altare “versus populum” è certo qualcosa di desiderato dalla attuale legislazione liturgica. Non è tuttavia un valore assoluto sopra ogni altro. Occorre tener conto dei casi nei quali il presbiterio non ammette una sistemazione dell’altare orientato verso il popolo, o non sia possibile conservare l’altare precedente con la sua ornamentazione in una sistemazione tale che permetta far risaltare come principale un altro altare rivolto al popolo. E’ più fedele al senso liturgico, in questi casi, celebrare all’altare esistente con le spalle rivolte al popolo che mantenere due altari nel medesimo presbiterio. Il principio dell’unicità dell’altare è teologicamente più importante che la prassi di celebrare rivolti al popolo.


4. Conviene spiegare chiaramente che la espressione “celebrare rivolti al popolo” non ha un senso teologico, ma solo topografico-posizionale. Ogni celebrazione dell’Eucaristia è “ad laudem et gloriam nominis Dei, ad utilitatem quoque nostram, totiusque Ecclesiae suae sanctae”. Teologicamente pertanto la Messa è sempre rivolta a Dio e rivolta al popolo. Nella forma di celebrazione occorre stare attenti a non convertire teologia e topografia, soprattutto quando il sacerdote è all’altare. Solo nei dialoghi dall’altare il sacerdote parla al popolo. Tutto il resto è preghiera al Padre mediante Cristo, nello Spirito Santo. Questa teologia deve poter essere visibile».

Caro dottore, non crede che la corretta metodologia venga prima delle tesi pre-concette da dimostrare?

 

M. A.

 

Carissimo M. A.,

la ringrazio per l’osservazione di carattere metodologico, sulle citazioni di Notitiae!

Di fatto si tratta di una traduzione privata di testi che mi sono pervenuti in tedesco da fonti certe. Concordo con lei sulla metodologia. La mia dimenticanza di non aver riportato in nota questo particolare! Ero sicuro che ci fosse ma provvederò!

Vorrei però far notare che il contenuto espresso nel testo riportato in articolo non sia affatto diverso dal testo letterale italiano:

 

3. La collocazione dell’altare “versus populum” è certo qualcosa di desiderato dalla attuale legislazione liturgica. Non è tuttavia un valore assoluto sopra ogni altro. Occorre tener conto dei casi nei quali il presbiterio non ammette una sistemazione dell’altare orientato verso il popolo, o non sia possibile conservare l’altare precedente con la sua ornamentazione (progettazione) in una sistemazione tale che permetta far risaltare come principale un altro altare rivolto al popolo. E’ più fedele al senso liturgico, in questi casi, celebrare all’altare esistente con le spalle rivolte al popolo che mantenere due altari nel medesimo presbiterio. Il principio dell’unicità dell’altare è teologicamente più importante che la prassi di celebrare rivolti al popolo.

4. Conviene spiegare chiaramente che la espressione “celebrare rivolti al popolo” non ha un senso teologico, ma solo topografico-posizionale. Ogni celebrazione dell’Eucaristia è “ad laudem et gloriam nominis Dei, ad utilitatem quoque nostram, totiusque Ecclesiae suae sanctae”. Teologicamente pertanto la Messa è sempre rivolta a Dio e rivolta al popolo. Nella forma di celebrazione occorre stare attenti a non convertire teologia e topografia, soprattutto quando il sacerdote è all’altare. Solo nei dialoghi dall’altare il sacerdote parla al popolo. Tutto il resto è preghiera al Padre mediante Cristo, nello Spirito Santo. Questa teologia deve poter essere visibile».

Testo riportato riportato nell’articolo:

3 L'installazione di un altare versus populum è certamente qualcosa che le attuali norme liturgiche consigliano. Tuttavia, non è da considerarsi in valore in assoluto. Bisogna considerare i casi in cui l'orientamento dell’altare al popolo non consente, nella sua progettazione, di conservare quello precedente. In questi casi, è meglio attenersi all’essenziale della liturgia, ovvero usare e conservare l’antico altare con le spalle al popolo per celebrare, anzichè creare due altari nella stesso presbiterio. Il principio liturgico dell’unico altare su un presbiterio, è teologicamente più importante per la celebrazione comunitaria.

4. È necessario spiegare chiaramente che l'espressione, “con le spalle al popolo o rivolti al popolo” 'non ha alcun significato teologico, ma solo in un certo senso di forma esteriore. Ogni Eucaristia è celebrata a lode e gloria del suo Nome e una benedizione per noi e per tutta la sua santa Chiesa ... Perché in senso teologico, siamo tutti rivolti al Signore. Infatti il sacerdote all’altare parla al popolo solo nei dialoghi con esso..... Tutto il resto è la preghiera al Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo..“ Questa teologia deve essere visibile "

Per quanto riguarda gli interrogativi da sollevare ben vengano, sono quelli che ci aiutano nel dialogo -e nel rispetto reciproco- a crescere sempre di più nella conoscenza della Verità. In merito alle tesi da dimostrare le posso assicurare di non aver nessun intento pre-concetto. Non sono le nostre tesi da difendere ma la verità dei fatti! Tra l’altro non è una mera preoccupazione accademica che mi spinge ad approfondire tali questioni ma un vivere in prima persona questa continua e sottile persecuzione verso chi tenta semplicemente di mettere in pratica quello che il S. Padre qualche tempo fa ha richiamato con fermezza e chiarezza: “...Le difficoltà ed anche taluni abusi rilevati, è stato affermato, non possono oscurare la bontà e la validità del rinnovamento liturgico, che contiene ancora ricchezze non pienamente esplorate. Si tratta in concreto di leggere i cambiamenti voluti dal Concilio all’interno dell’unità che caratterizza lo sviluppo storico del rito stesso, senza introdurre artificiose rotture.” (cf. Sacramentum Caritatis, n. 3). Spero che la citazione sia corretta...!


In Domine Jesu

d. Matteo de Meo


Caterina63
00giovedì 22 ottobre 2009 11:49

Augè - De Meo: il confronto sull'orientamento prosegue - 2

Riportiamo dal sito Fides et Forma un'altra puntata dell'interessante confronto apertosi tra padre Matias Augè e don Matteo De Meo.
 

ANCHE PER LE ULTERIORI ED INTERESSANTI RISPOSTE AVUTE NEL CONFRONTO, CLICCATE QUI




Caro confratello,

il suo studio mi ha interessato e l’ho fotocopiato per intero. Lo considero prezioso per la “documentazione” offerta. Confesso però che alcune valutazioni, cioè l’interpretazione della documentazione, mi sembrano forzate. Così, ad esempio, quando Lei afferma che l’Institutio Generalis e le diverse edizioni tipiche del Missale Romanum dal poi, “presuppongono un’orientamento comune del sacerdote e del popolo per il momento centrale della liturgia eucaristica”, credo che in qualche modo Lei strumentalizza le rubriche. E’ normale che il Messale indichi quelle parti della celebrazione in cui il sacerdote “deve” rivolgersi al popolo: Lei cita nel Messale del 1970: l’Orate fratres (p. 391, n. 25 [no n.133 come dice Lei]); il Dominus vobiscum del congedo (p. 475, n. 142). Potrebbe aggiungere ancora: il Pax Domini sit sempre vobiscum (p.473, n. 128); l’Ecce Agnus Dei (p. 474, n.133)… Per ché è normale che il Messale in questi casi indichi la posizione del sacerdote? Semplicemente perché il Messale deve presupporre i due modi di celebrare: versus e non versus populum. I casi in cui il Messale indica la posizione del sacerdote si riferiscono alla messa celebrata non versus populum. La sua tesi sarebbe valida se Lei trovasse una rubrica che all’inizio della preghiera eucaristica (e poi alla fine), indicasse la posizione del sacerdote non versus populum. Poi una questione più complessa forse… Se non sbaglio, Lei trova delle contraddizioni in una serie di documenti… Non ha pensato che ci può anche essere una evoluzione della legislazione e quindi interpretarli in modo diverso? Con sincera amicizia!
Matias Augé


Caro confratello,

che le rubriche “presuppongono” un orientamento comune del sacerdote e del popolo è un fatto oggettivo ma non ho mai affermato che le rubriche del messale impongono una celebrazione unica, quella versus Deum (non ho affatto voluto “forzare” e “strumentalizzare” la documentazione in tal senso, come lei afferma). L’intento dell’intero articolo è quello di mettere innanzitutto in evidenza come le due possibilità sono legittime e ritenute tali dalla Chiesa fino all’ultimo pronunciamento in in merito (cf., Congregatio De Culto Divino et Disciplina Sacramentorum, Responsa ad quaestiones de nova Institutione Generali Missalis Romani, in «CCCIC» 32, 2000, pp. 171-172.). Riporto il testo per i nostri lettori:
“È stato chiesto alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti se l’enunciato del n. 299 dell’ Institutio Generalis Missalis Romani costituisca una normativa secondo la quale, durante la liturgia eucaristica, la posizione del sacerdote versus absidem sia da considerarsi esclusa. La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, re mature perpensa et habita ratione [dopo matura riflessione e alla luce] dei precedenti liturgici, risponde: Negative et ad mentem . [Negativamente e in accordo con i chiarimenti seguenti].

Innanzitutto si deve aver presente che la parola expedit non costituisce una forma obbligatoria, ma un suggerimento che si riferisce sia alla costruzione dell’altare a pariete seiunctum [staccato dalla parete], sia alla celebrazione versus populum. La clausola ubi possibile sit si riferisce a diversi elementi, come, per esempio, la topografia del luogo, la disponibilità di spazio, l’esistenza di un precedente altare di pregio artistico, la sensibilità della comunità che partecipa alle celebrazioni nella chiesa di cui si tratta, ecc. Si ribadisce che la posizione verso l’assemblea sembra piú conveniente in quanto rende piú facile la comunicazione (cfr. Editoriale di Notitiae 29 [1993] pp. 245-249), senza escludere però l’altra possibilità.

Tuttavia, qualunque sia la posizione del sacerdote celebrante, è chiaro che il Sacrificio Eucaristico è offerto a Dio uno e trino, e che il sacerdote principale, Sommo ed Eterno, è Gesú Cristo, che opera attraverso il ministero del sacerdote che presiede visibilmente quale Suo strumento .

L’assemblea liturgica partecipa nella celebrazione in virtú del sacerdozio comune dei fedeli, che ha bisogno del ministero del sacerdote ordinato per essersi esercitato [potersi esercitare] nella Sinassi Eucaristica. Si deve distinguere la posizione fisica, relativa specialmente alla comunicazione tra i vari membri dell’assemblea e l’orientamento spirituale e interiore di tutti. Sarebbe un grave errore immaginare che l’orientamento principale dell’azione sacrificale sia la comunità. Se il sacerdote celebra versus populum, ciò che è legittimo e spesso consigliabile, il suo atteggiamento spirituale dev’essere sempre versus Deum per Iesum Christum, come rappresentante della Chiesa intera.

Anche la Chiesa, che prende forma concreta nell’assemblea che partecipa, è tutta rivolta versus Deum come primo movimento spirituale. A quanto sembra, la tradizione antica, anche se non unanime, era che il celebrante e la comunità orante fossero rivolti versus orientem, punto dal quale viene la luce, che è Cristo . Non sono rare le antiche chiese, la costruzione delle quali era «orientata» in modo che il sacerdote ed il popolo nell’atto di fare la preghiera pubblica si rivolgessero versus orientem.

Si può pensare che quando ci furono problemi di spazio o di altro genere, l’abside idealmente rappresentava l’oriente. Oggi, l’espressione versus orientem significa spesso versus absidem, e quando si parla di versus populum non si pensa all’occidente, bensì verso la comunità presente.

Nell’antica architettura delle chiese, il posto del Vescovo o del sacerdote celebrante si trovava al centro dell’abside e, seduto, di lì ascoltava la proclamazione delle letture rivolto verso la comunità.
Ora quel posto presidenziale non viene attribuito alla persona umana del Vescovo o del presbitero, né alle sue doti intellettuali e nemmeno alla sua personale santità, ma al suo ruolo di strumento del Pontefice invisibile che è il Signore Gesú.

Quando si tratta di chiese antiche o di gran pregio artistico, occorre, inoltre, tenere conto della legislazione civile al riguardo dei mutamenti o ristrutturazioni. Un altare posticcio può non essere sempre una soluzione dignitosa.

Non bisognerebbe dare eccessiva importanza ad elementi che hanno avuto cambiamenti attraverso i secoli. Ciò che rimarrà sempre è l’evento celebrato nella liturgia: esso è manifestato mediante riti, segni, simboli e parole, che esprimono vari aspetti del mistero, senza tuttavia esaurirlo, perché li trascende. L’irrigidirsi su una posizione e assolutizzarla potrebbe diventare un rifiuto di qualche aspetto della verità che merita rispetto ed accoglienza.(Responso della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, In PONTIFICII CONSILII DE LEGUM TEXTIBUS, Communicationes, vol. XXXII, n. 2, Roma 2000, pp. 171-173, Prot. N° 2036/00/L).

Purtroppo carissimo confratello, la prassi attuale esclude nei fatti la possibilità della celebrazione versus Deum. Le indicazioni pastorali (come la Nota CEI sull’adeguamento delle chiese al Vaticano II del 1996) contribuiscono a diffondere quella mentalità per cui è volontà del Concilio che la celebrazione versus populum sia quella da ritenersi come l’unica possibile. Non mi sembra che il Concilio nè la Congregazione vadano proprio in questa direzione (anche in questo senso abbiamo una vasta letteratura in merito e non sono certo il primo ad evidenziare questo aspetto!).

Il sottoscritto è stato sottoposto a tre fasi di commissione liturgiche diocesane per il solo fatto di aver chiesto la possibilità di eliminare l’altarino posticcio davanti all’antico altare monumentale di una chiesa e di poterlo riutilizzare celebrando semplicemente versus Deum. Figuriamoci se chiedevo la messa di S. Pio V! Mentre non si riunisce nessuna commissione sui numerosi abusi liturgici che frequentemente si verificano nelle nostre diocesi anzi...! Vi risparmio le umiliazioni e le prese di posizione ideologiche e preconcette (queste sì...) con cui ho dovuto fare i conti.

Infine, niente da obbiettare ad una evoluzione ma il punto è vedere in che senso si parla di “evoluzione”. Mai nella storia della chiesa “evoluzione” ha voluto significare “innovazione” o cambiamento o rottura ma caso mai approfondimento del dato di fede nei suoi vari aspetti, e comunque sempre in continuità con la tradizione cosa che non mi sembra così chiara nelle varie attuazioni e legislazioni del post concilio; invece sono molto chiare nei documenti conciliari e dello stesso Pontefice Paolo VI. Per cui precisiamo: il problema non è nè nel Concilio nè nella Riforma liturgica come il Concilio la vuole, ma nella sua attuazione; è su questo che bisogna confrontarsi! Il Pontefice Benedetto XVI continuamente (sin da teologo e da prefetto della congregazione per la dottrina della fede) mette a tema questo aspetto.

L’allora cardinale Ratzinger riprende lo stesso tema richiamando l’atteggiamento a suo parere superficiale con cui da più parti venne accolto l’invito del Concilio Vaticano II a un rinnovamento della liturgia:
“Poté sembrare a molti che la preoccupazione per una forma corretta della liturgia fosse una questione di pura prassi, una ricerca della forma di Messa più adeguata e accessibile agli uomini del nostro tempo. Nel frattempo si è visto sempre più chiaramente che nella liturgia si tratta della nostra comprensione di Dio e del mondo, del nostro rapporto a Cristo, alla Chiesa e a noi stessi. Nel rapporto con la liturgia si decide il destino della fede e della Chiesa. Così la questione liturgica ha acquistato oggi un’importanza che prima non potevamo prevedere”(cf., J. Ratzinger, Cantate al Signore un canto nuovo, Milano 1997, p. 9.)

In un altro luogo ancora lo stesso concetto viene espresso con drastica concisione:
“Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia” (cf., J. Ratzinger, La mia vita, Milano 1995 p. 112).
In una lettera inviata nel 1981 alla XXXII Settimana Liturgica Nazionale, la Santa Sede faceva presente tra le altre cose:
“Non ci si può nascondere che il genuino orientamento conciliare è stato spesso disatteso, con atteggiamenti dottrinali e pratici in contrasto con i principi e le direttive della riforma liturgica stessa. In alcuni casi si è sottovalutato il pericolo di un progressivo e fatale incrinamento della sacralità della liturgia, indulgendo a forme che alterano il significato e la sostanza; spesso si è trascurato il legame con la tradizione, con il rischio conseguente di tradire gli stessi contenuti dell’azione liturgica: a volte abusando delle possibilità creative offerte dai nuovi riti, si è preteso di imporre ai fedeli esperimenti che nulla hanno a che fare con le esigenze di nobile semplicità ed essenzialità della liturgia della Chiesa. ..” (cf., Atti della XXXII Settimana Liturgica Nazionale, “Liturgia: Spirito e vita”, Genova 1981).

Già nel 1984, a vent'anni dal Concilio Ecumenico Vaticano II, in un clima di bilancio, sul capitolo "liturgia" e “problema concilio”, fece alcune riflessioni, in diverse sedi, che meritano la dovuta attenzione; un'attenzione prioritaria, anzi, se si vogliono rispettare le precedenze suggerite dal Concilio stesso: infatti, la Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium è stato il primo documento discusso e promulgato dall'assise ecumenica. Esso si può forse sintetizzare così: distinzione tra "Concilio-documenti" - atto di Magistero che si inserisce nella Tradizione della Chiesa, a cui è dovuto un "religioso ossequio della volontà e della intelligenza" (Lumen gentium, n. 25) - e "Concilio-fatto storico". Se sul primo il giudizio è sostanzialmente positivo, sul secondo si fa più problematico: "I risultati sembrano crudelmente opposti alle attese di tutti [ ... ]. Ci si aspettava un balzo in avanti e ci siamo invece trovati di fronte a un processo progressivo di decadenza che si è sviluppato in larga misura proprio sotto il segno di un richiamo al Concilio e ha quindi contribuito a screditarlo per molti. Ecco perché la fede è in crisi”Anche la liturgia postconciliare non sfugge a questa crisi.
"Nella liturgia terrena noi partecipiamo, pregustandola, a quella celeste, dice la Sacrosanctum Concilium al numero 8. Un confronto tra questa visione ideale e certa prassi liturgica che è sotto gli occhi di tutti è tale da rendere plasticamente la problematicità di una situazione: banalità, sciatteria, depauperamento simbolico ed estetico, clima da happening sono le caratteristiche ricorrenti di un certo modo di fare liturgia. Si tratta di riflettere su questi dati di fatto per ricercarne le cause ..”(cf., “Intervista a cura di Vittorio Messori”, in Jesus, anno VI, n. 11, 11- 11- 1984, p. 70.)

Il problema allora è costituito da una “certa prassi liturgica” che si rivela in tutta la sua ambiguità creando confusione e divisione, e che a soli trenta anni dal Concilio era già ben visibile e sotto gli occhi di tutti; chiese terribilmente trasformate, totale cambiamento di forme e di riti, - ma soprattutto- totale dimenticanza della Tradizione. La liturgia che precedeva la “riforma di Paolo VI”, venne ritenuta sorpassata e da sostituire. Il risultato è che dopo solo pochi decenni dal Vaticano II si è totalmente dimenticato ciò che la Chiesa aveva fatto ininterrottamente per quasi duemila anni (e non come semplice fissità di una forma ma in una autentica e reale evoluzione); una sorta di damnatio memoriae di ogni forma liturgica precedente il Vaticano II. A tal proposito, è doveroso un’ulteriore riferimento ad un interessante saggio su alcuni studi del cardinal. Ratzinger, “La festa della Fede” (cf., J. Ratzinger, La festa della fede, Jaca Book, Milano 1983). Purtroppo la traduzione italiana del volume omette senza darne notizia, come almeno viene fatto per un altro "taglio" a p. 56, un intero capitolo.. Liturgie - wandelbar oder unwanderbar, "Liturgia: mutabile e immutabile?", dove queste riflessioni - assieme a importanti considerazioni sulla cosiddetta "Messa di san Pio V" e sulla riforma liturgica -sono ulteriormente sviluppate- (La festa della fede. Saggi di Teologia liturgica non è un trattato di liturgia, ma contiene elementi importanti di "teologia della liturgia", sapientemente collegati tra loro che offrono interessanti spunti di studio per un approfondimento sulla situazione liturgica attuale. Si tratta, infatti, di una raccolta di studi, dei quali alcuni inediti e altri la cui prima pubblicati va dal 1974 al 1979 “Das Fest des Glaubens. Versuche zur Theologie des Gottesdienstes”, Johannes, Einsiedeln 1981):, la traduzione è privata:
"Va detto ai "tridentini" - osserva l'autore - che la liturgia della Chiesa è viva come la Chiesa stessa, quindi sottoposta ad un processo di maturazione in cui sono possibili inserimenti più o meno importanti. [ ... ] Nello stesso tempo e pur riconoscendo tutti i pregi del nuovo messale, si deve criticamente constatare che è stato edito come se fosse un libro elaborato da esperti, e non la fase di una crescita continua. Cose simili non sono mai successe in questo modo; esse contraddicono il modello dello sviluppo liturgico" (ed. tedesca, p. 77).

Credo che la questione reale sia quella di un confronto sui risultati dell’attuazione della riforma liturgica; sui frutti di quelle fasi ad experimentum, (tra cui la celebrazione versus populum); riconsiderare se la modalità di riforma dei riti, degli stessi spazi per la liturgia (prassi di adeguamento) sia proprio in sintonia con la volontà di revisione del Concilio o se non stia ancora oggi prevalendo una sorta di interpretazione di esso. Le contraddizioni e i contrasti -di cui si fa accenno nel mio articolo- potranno anche essere come lei dice “...una evoluzione della legislazione e quindi interpretarli in modo diverso...” ma non hanno origine né dallo spirito del Concilio, né dai documenti conciliari. Solo alcuni esempi: nella "Costituzione sulla Sacra Liturgia" non si parla di celebrazione verso l'altare o verso il popolo; in tema di lingua si dice che il latino deve essere mantenuto pur dando un più ampio spazio al vernacolo "specialmente nelle letture e nelle monizioni, in alcune preghiere e nei canti" (SL, n. 36, 2). Quanto alla partecipazione dei laici il Concilio ribadisce che la liturgia è essenzialmente cura dell'intero Corpo di Cristo, Capo e membra (SL, n. 7), che essa appartiene "all'intero Corpo mistico della Chiesa" (SL, n. 26) e conseguentemente comporta "una celebrazione comunitaria con la presenza e la partecipazione attiva dei fedeli" (SL, n. 27). E il testo specifica: "nelle celebrazioni liturgiche ciascuno, ministro o fedele, svolgendo il proprio ufficio, compia soltanto e tutto ciò che gli compete, secondo la natura del rito e le norme liturgiche" (SL, n. 28); e ancora: "per promuovere la partecipazione attiva si curino le acclamazioni del popolo, le risposte, la salmodia, le antifone, i canti, come pure le azioni, i gesti e l'atteggiamento del corpo; si osservi anche, a tempo debito, il sacro silenzio" (SL, n. 30).

Queste sono solo alcune espressioni del Concilio che possono essere oggetto di riflessione per tutti. Purtroppo da parte di “alcuni liturgisti” c'è la tendenza ad una certa interpretazione unilaterale capovolgendo spesso le chiare intenzioni espresse nei documenti conciliari! Faccio solo alcuni esempi, su cui si può serenamente dialogare! Il ruolo del sacerdote è ridotto da alcuni ad una mera funzione. Il fatto che il vero soggetto della liturgia sia il Corpo di Cristo nella sua interezza viene spesso stravolto fino al punto che la comunità locale diviene il soggetto autosufficiente della liturgia e i diversi ruoli vengono distribuiti al suo interno; per non parlare poi dei diversi architetti o esperti di arte sacra che cotruiscono ambienti liturgici informi e soggettivi. C'è poi una pericolosa tendenza a minimizzare il carattere sacrificale della Messa (questione sollevata da Ratzinger già da molto tempo; cito solo un testo a cui tutti possono facilmente accedere, ma la letteratura in merito è vastissima : J. Ratzinger, Il Dio vicino, Milano 2003, pp. 55-73.) e una certa desacralizzazione a tutti livelli con il pretesto e la convinzione che solo così tutti possono comprendere tutto. Infine non possiamo non notare una certo soggettivismo delle celebrazioni liturgiche in nome di un certo carattere comunitario che la liturgia “conciliare” deve avere e un certo potere decisionale affidato all'assemblea riguardo alla celebrazione.

Per questo, e per tante altre ragioni, carissimo confratello, è necessario un sincero e oggettivo confronto e dibattito che – come si auspica la Congregazione nel Responsum del 2000, e il Pontefice mette a tema in diverse sedi- ci porti ad una reale attuazione del Concilio in continuità con la tradizione senza brusche e ideologiche rotture con essa e senza nostalgie tradizionaliste. D’altra parte il cattolico non è colui che segue le “proprie pretese visioni”, ma si consegna a quella forma di fede che ci è stata tramandata ininterrottamente nella Chiesa.

D’altronde qualcuno ci insegna che “dai frutti li riconoscerete...”. Basta guardare la realtà e non interpretarla!

In Domino Jesu

Don Matteo De Meo

***

Caro Don Matteo,

[
...] Mi meraviglia che Lei non osservi che quanto dico sulle rubriche del Messale non contraddice la sua risposta qui in questo blog.

Ecco le mie parole che Lei gentilmente ha riprodotto: “… perché è normale che il Messale in questi casi indichi la posizione del sacerdote? Semplicemente perché il Messale deve presupporre i due modi di celebrare: versus e non versus populum”. Lei qui ripete più o meno la stessa cosa, che invece non è così chiara nel suo studio quando afferma in modo apodittico che le rubriche del Messale “presuppongono un orientamento comune del sacerdote e del popolo per il momento centrale della liturgia”.

Le sue parole così scritte e nel contesto del suo discorso non affermano che le rubriche presuppongono anche un diverso orientamento del sacerdote.

Per il resto, molte delle cose che Lei dice mi trovano d’accordo. Sono contrario a qualsiasi tipo di imposizione o di sopraffazione, di cui Lei dice è stato oggetto… Anch’io sono per la ricerca della verità e di una liturgia celebrata in modo dignitoso. Per quanto ho capito, Lei è giovane, io non più. Mi creda, la liturgia è stata la mia passione da quando avevo 15 anni. L’ho scoperta soprattutto negli anni ’50, quando studiavo la filosofia, nel bellissimo libro di C. Vagaggini, “Il senso teologico della liturgia” e nella grandiosa opera “Missarum sollemnia” di Jungmann. Credo che una comune passione ci accomuna. Fra dieci giorni sarà in libreria un mio volume (L’Anno liturgico è Cristo stesso presente nella sua Chiesa”), pubblicato dall’Editrice Vaticano. Le invito a leggerlo. Vedrà che sono più le cose che ci uniscono che quelle che ci dividono.

D’ora in poi, se ha qualcosa da dire, lo può fare anche nel mio blog. Il mio blog non censura mai un qualsiasi intervento.

Matias Augé


Caterina63
00giovedì 22 ottobre 2009 11:51

Augè - De Meo: il confronto sull'orientamento prosegue - 3

Don De Meo scrive nuovamente a padre Augè (1 - 2).



"Carissimo confratello,

senz’altro leggerò il suo libro e sono certo della sua personale passione per la liturgia. Rispetto sicuramente la sua esperienza e la sua sapienza in merito. Lo dico sinceramente, e senza intenti polemici!

La conclusione dell’articolo mi sembra abbastanza chiara:

Non si può continuare, per l’ennesima volta, ad essere indifferenti ad un pronunciamento della Congregazione per il Culto Divino. In continuità con quelli precedenti, il Responsum del 2000 richiama la necessaria attenzione alle circostanze, ai luoghi, evidenziando ancora una volta, il principio dell’ altare unico come criterio liturgico teologico da osservare negli eventuali progetti di adeguamento.Per cui, ritengo sia necessaria un certa revisione della Nota Pastorale della Cei sull’adeguamento delle chiese alla riforma liturgica del Vaticano II del 31 maggio 1996, e credo anche un emendamento della norma n. 299 della Institutio Generalis dell’attuale Messale Romano. Questo si impone, soprattutto alla luce, del Responsum della Congregazione per il Culto Divino del 2000 che respinge l’interpretazione per cui l’unica celebrazione possibile e da doversi fare sia quella versus populum. Si evince, pertanto, che entrambe le modalità di celebrare (versus populum e versus Deum) sono legittime, e che è necessario evitare qualsiasi “contrapposizione” o “estremizzazione” su tale questione. Inoltre, bisogna porre fine a quella indiscriminata prassi di costruire comunque e ovunque altari nuovi davanti a quelli antichi deturpando la bellezza e l’armonia dell’intero edificio sacro. Solo in questo modo si potrà pervenire ad un confronto e a un dialogo pacato e sereno perchè “l’ordinamento dei testi e dei riti deve essere condotto in modo che le sante realtà che essi significano, siano espresse più chiaramente. ...” (SC 21).
Mi permetta una domanda: In tutta sincerità, ma lei alla luce della sua lunga esperienza, non crede che nella nostra riforma liturgica ci sia la tendenza-a mio modesto parere sbagliata- di “adeguare” completamente la liturgia alla modernità dei tempi? Per la mera preoccupazione che il mondo non ci capisca, dobbiamo eliminare o cambiare a tutti costi tutto?

Rileggo sempre con molta commozione e gratitudine una lettera di un noto teologo ortodosso cecoslovacco, J. Zvěřìna (1913 -1990), che scrive “Ai cristiani d’Occidente” negli anni
piena cortina di ferro.
Vorrei proporla alla sua riflessione (se non ha mai avuto occasione di leggerla) e a quella dei nostri lettori:

“Fratelli, voi avete la presunzione di portare utilità al Regno di Dio assumendo quanto più possibile il saeculum, la sua vita, le sue parole, i suoi slogans, il suo modo di pensare. Ma riflettete, vi prego, cosa significa accettare questa parola. Forse significa che vi siete lentamente perduti in essa? Purtroppo sembra che facciate proprio così. É ormai difficile che vi ritroviamo e vi distinguiamo in questo vostro strano mondo. Probabilmente vi riconosciamo ancora perchè in questo processo andate per le lunghe, per il fatto che vi assimiliate al mondo, adagio o in fretta, ma sempre in ritardo. Vi ringraziamo di molto, anzi quasi di tutto, ma in qualcosa dobbiamo differenziarci da voi. Abbiamo molti motivi per ammirarvi, per questo possiamo e dobbiamo indirizzarvi questo ammonimento.

«E non vogliate conformarvi a questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, affinchè possiate distinguere qual’è la volontà di Dio, ciò che è bene, ciò che gli è gradito, ciò che è perfetto»(Rm 12,2).

Non conformatevi! Mé syskhematízesthe! Come è ben mostrata in questa parola la radice verbale e perenne: schema. Per dirla in breve, è vacuo ogni schema, ogni modello esteriore. Dobbiamo volere di più, l’apostolo ci impone: «cambiare il proprio modo di pensare in una forma nuova»- metamorfoûsthe tê anakainósei toû noûs. Come è espressiva e plastica la lingua greca di Paolo! Di contro a skhêma o morphé- forma permanente-sta metamorphé-cambiamento della creatura. Non si cambia secondo un qualsiasi modello che è comunque fuori moda, ma è una piena novità con tutta la sua ricchezza (anakainòsis). Non cambia il vocabolario ma il risultato (noûs).

Quindi non contestazione, desacralizzazione, secolarizzazione, perchè questo è sempre poco di fronte alla anakainòsis cristiana. [...]. Il vostro entusiasmo critico e profetico ha già dato buoni frutti e noi, in questo, non vi possiamo indiscriminatamente condannare. Solo ci accorgiamo, e ve lo diciamo sinceramente, che teniamo in maggior stima il calmo e discriminante interrogativo di Paolo: «Esaminate voi stessi per vedere se siete nella fede, fate la prova di voi medesimi. O non conoscete forse neppure che è in voi Gesù Cristo? (2 Cor 13,5). Non possiamo imitare il mondo proprio perchè dobbiamo giudicarlo, non con orgoglio e superiorità, ma con amore, così come il Padre ha amato il mondo(Gv 3,16) e per questo su di esso ha pronunciato il suo giudizio. Non phroneîn-pensare- ma sophroneîn-pensare con saggezza (cfr.Rm 12,3). Essere saggi così che possiamo discernere quali sono i segni della volontà e del tempo di Dio. Non ciò che è parola d’ordine del momento, ma ciò che è buono, onesto, perfetto.

Scriviamo come gente non saggia a voi saggi, come deboli a voi forti, come miseri a voi ancor più miseri! E questo è stolto perchè certamente fra di voi vi sono uomini e donne eccellenti. Ma proprio perchè vi è qualcuno occorre scrivere stoltamente, come ha insegnato l’apostolo Paolo quando ha ripreso le parole di Cristo, che il Padre ha nascosto la saggezza a coloro che molto sanno di questo(Lc 10,21) (cfr., J. Zverina, L’esperienza della Chiesa, Jaca Book, Milano 1971).

Proprio ieri sera dopo aver presieduto Messa, un giovanissimo sacerdote religioso francescano che aveva concelebrato con me (versus Deum) mi ha confidato: “...se io proponessi una cosa del genere nella mia provincia mi caccerebbero dall’ordine...!”.

Credo proprio, che si abbia bisogno di una nuova educazione liturgica, soprattutto di noi sacerdoti. Bisogna che si torni a comprendere che la scienza liturgica non è fatta per offrire continuamente nuovi modelli, perchè bisogna reggere il confronto con un certo “mercato”, con un certo sentire del mondo. ... Essa è fatta per aiutare ancor di più l’uomo a penetrare e ad accogliere il Mistero che si celebra. Le Chiese orientali ci sono maestre in questo! Sanno che la liturgia è tutt’altro che il risultato di una invenzione di testi e di riti, che essa si fonda su una realtà che non può essere manipolata. Quanto più approfondisco i testi del Vaticano II tanto più mi rendo conto che esso mirava a sostenere delle autentiche prospettive di crescita e di rinnovamento di una Chiesa che è un soggetto vivo. Ma non si può non constatare come oggi siano sempre più forti certe prassi che ritengono la liturgia come qualcosa che si possa continuamente adeguare, cambiare, smontare, comporre a proprio piacimento. Questo, caro padre, è incompatibile con l’essenza della liturgia. Ratzinger da tempo lo va affermando. L’evoluzione della liturgia non può essere progettata a tavolino da dotte commissioni che valutano l’utilità pastorale e la praticità di singoli aggiustamenti; bisogna procedere con il dovuto rispetto-dice Ratzinger- per ciò che reca in sè il peso dei secoli e valutare con cautela se sia possibile, opportuno e sensato apportare tagli o inserire dei complementi (cfr.J. Ratzinger, Benedetto XVI, Davanti al Protagonista, Cantagalli, Siena 2009).

Come siamo lontani da uno sguardo così, soprattutto noi sacerdoti che di gran parte di questa confusione siamo i responsabili."

In Domino Jesu,
don Matteo De Meo
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