Confutazioni delle dottrine dei testimoni di Geova (di don G. Cattafesta)

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(Teofilo)
00sabato 19 settembre 2009 22:04
LA SANTISSIMA TRINITA'

(Errori dei Testimoni di Geova)


1- La dottrina trinitaria sarebbe irragionevole;

2- La dottrina della trinità sarebbe di origine pagana;

3- La dottrina trinitaria sarebbe un'invenzione umana;

4- Presunta confutazione della dottrina cattolica della trinità





Punto 1.


La dottrina trinitaria è irragionevole: uno=tre. In "la religione miete la tempesta" a pag. 29: "Quella dottrina è totalmente irragionevole, poichè è impossibile per tre persone di esistere in una sola". In "Sia Dio riconosciuto verace" a pag. 81: "La dottrina in breve consiste nella credenza che siano tre dei in uno: Dio il Padre, Dio il Figlio e Dio lo Spirito Santo; tutti e tre uguali in potenza, sostanza ed ETERNITA'.


Risposta) I Testimonim di Geova sanno bene che la dottrina cattolica non insegna "tre dei in uno solo" -"uguali in sostanza" - "tre persone esistenti in una sola". Difatti, a pag. 81 di "Sia Dio riconosciuto verace" riportano un brano della "Catholic Encyclopedia: "nella unità della divinità ci sono tre persone, il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo e queste tre persone sono nettamente distinte l'una dall'altra. Così nelle parole del Credo di Atanasio: il Padre è Dio, il Figlio è Dio e lo Spirito Santo è Dio; tuttavia non vi sono tre dii, ma un unico Dio; "Unità di natura" e "trinita di persone" sono due cose ben distinte.

A proposito di "natura" in "La verità vi farà liberi" a pag. 34: "Non sarebbe appropriato di parlare di Geova, come possedente la natura divina, poichè "natura" significa "ciò che è nato e prodotto" oppure "ciò che si ha secondo la nascita e lo sviluppo".

"Natura" invece significa "essenza, sostanza costitutiva, modo di essere". La natura in Dio è la divinità e le persone sono Padre, Figliuolo e Spirito Santo. Tutte e tre le persone sono la stessa ed unica divinità: esse Hanno l'unico essere. Nell'uomo ci sono due potenze (intelletto e volontà) oppure c'è un unico spirito e non due spiriti.





Punto 2.


La dottrina trinitaria è di origine pagana. In "Sia Dio riconosciuto verace" a pag. 82: "L'origine della dottrina della trinità va rintracciata lontano, ai tempi degli antiche Babilonesi ed Egiziani o di altre mitologie. Non sarà messo in dubbio dagli Ebrei e dai Cristiani che quelle antiche nazioni hanno adorato gli dei demoniaci e che la tipica nazione di Israele è stata da Dio ammonita di astenersi dal mescolarsi con loro a causa di questo fatto. Ne conseguenze perciò che non fu Dio l'autore di questa dottrina.

Risposta) E' impossibile far derivare il dogma cristiano della Trinità dalle ideefilosofiche giudaiche o dalle filosofie religiose pagane. Nelle religioni nelle filosofie di Laotrè, Confucio, Budda, degli antichi persiani, degli Indù e degli Egiziani, di Aristotele e Platone, della Stoa, dei Neopitagorici e Neoplatonici troviamo un panteismo evoluzionista, con una tendenza al numero ternario, che non ha niente a che fare col monoteismo cattolico. Non basta infatti trovare delle coincidenze numeriche per derivare una dipendenza dottrinale.



Punto 3



La dottrina trinitaria è una invenzione umana. In "Sia Dio riconosciuto verace" a pag. 82: "Vi sono due altri interessanti fatti: 1° - Un religionista vissuto nel secondo secolo, di nome Tertulliano, dimorante in Cartagine, Africa, introdusse il termine " TRINITA' " negli scritti ecclesiastici latini, mentre il termine "trinità" non viene usato neppure una volta nelle scritture ispirate. 2° - La dottrina venne introdotta primariamente nella religione organizzata da un prete chiamato Teofilo, vissuto pure nel secondo secolo.

Nell'anno 325 d.c. un concilio di preti si raccolse a Nicea nell'Asia Minore e confermò la dottrina. Più tardi venne dichiarata come dottrina della organizzazione religiosa della Cristianità; ed il clero ha sempre riconosciuta questa complicata dottrina. Conclusione logica è, perciò, questa: Satana è l'autore della Trinità.

Risposta) Anzitutto gli stessi Testimoni di Geova distinguono tra termine "trinità" e la dottrina, anche se attribuiscono ambedue a origine umana. In quanto al termine "trinità" concordiamo che essa non si trova nella Sacra Scrittura, come del resto nella stessa non ritroviamo termini adoperati dai Testimoni di Geova, come ad esempio "teocrazia". In quanto poi alla dottrina, non basta indicare la decisione del Concilio di Nicea quale presunta prova di origine umana di detta dottrina, perchè il Concilio sancì quello che era già una universale dottrina della Chiesa in base alla Sacra Scrittura.



Punto 4



Presunta confutazione della dottrina cattolica della trinità.

In "Sia Dio riconosciuto verace" a pag. 82-83: "si potrebbe chiedere: che avete da dire dei passi della scrittura citati a sostegno della Trinità? Non provano essi che la dottrina come viene insegnata dal clero è diversa dalla "trinità" dell'antica Babilonia? Ogni persona onesta che teme Dio vuole conoscere i fatti. Ma tale persona si rende conto che la conoscenza è una difesa contro l'essere e che per ottenere tale conoscenza si devono considerare francamente i due aspetti di un argomento. Perciò vogliamo esaminare i principali passi della Scrittura adoperati a sostegno della Trinità".

A) 1Gv. 5,7-8 "Poichè tre sono quelli che rendono testimonianza: lo Spirito, l'acqua e il sangue e questi tre sono concordi".

In "Dio sia riconosciuto verace" alle pagg. 84-85: "Questo è un chiaro esempio di aggiungimento che viene espressamente condannato. Nel commentare questo testo un noto studioso della lingua greca, Beniamino Wilson, scrive nel suo "The enphatic diaglott: questo testo concernente la testimonianza celeste non è contenuto in nessun manoscritto greco prima del XV secolo. Esso non viene citato in nessuno degli scrittori ecclesiastici greci, nè da alcuno dei primi Padri latini, neppure quando i soggetti dei quali trattano li avrebbero naturalmente portati a richiamarsi alla sua autorità. Esso è perciò evidentemente apogrifo. La verità di questa dichiarazione proviene dal fatto che le moderne versioni (eccetto le versioni cattoliche romane) non lo includono nel testo. (La versione riveduta italiana avverte con una nota in calce che le parole di 1 Gv. 5,7-8 mancano in tutti gli antichi manoscritti).

Risposta) In questa nota di carattere critico vengono citati gli scrittori greci ecclesiastici ed i primi padri latini. Gli stessi Testimoni di Geova quindi confermano che è la tradizione cattolica, che attraverso i codici e le citazioni ci appresta il materiale per una indagine critica del testo della Sacra Bibbia. Per quanto riguarda l'autorità del testo citato, neanche i cattolici lo ritengono autentico.

La Bibbia di Gerusalemme annota: "Il testo dei vv. 7-8 è sovraccarico, in volg., per un inciso detto "comma giovanneo", assente nei manoscritti greci antichi, nelle versioni antiche e nei migliori manoscritti della volgata; sembra una glossa marginale introdotta più tardi nel testo: "perchè tre sono quelli che rendono testimonianza (nel cielo: il Padre, il verbo e lo Spiritom Santo, e questi tre sono uno; e tre quelli che testimoniano sulla terra): lo Spirito, l'acqua e il sangue, e questi tre sono concordi".

Tale passo è sospetto dal punto di vista critico, perchè compare solo all'ottavo secolo nei manoscritti latini e non si trova in alcun manoscritto greco prima del XV secolo. Nessun Padre greco o orientale lo segnala, malgrado l'enorme importanza che avrebbe avuto nella controversia cristologica. Il Ricciotti nelle sue note alla Sacra Bibbia dice che il nostro versetto "manca in tutti i codici anteriori al XV sec. e in quelli della vulgata anteriori al sec. VIII.

Obiezione) Gv. 10,30: "Io e il Padre siamo una cosa sola".

In "Sia Dio riconosciuto verace" alle pagg. 85-86: "Il successivo passo della Scrittura da prendersi in esame è quello di Gv. 10,30: "Io e il Padre siamo uno" Leggendo questo testo da un punto di vista astratto un individuo potrebbe aver ragione di pensare che Iddio e Gesù sono uno; ma Geova consiglia: "Acquista la sapienza. Sì, a costo di quando possiedi, acquista l'intelligenza. Prov. 4,7. Questa regola deve essere sempre approvata, e non lo deve essere meno nel caso presente. Gesù stesso spiega che cosa significa il suddetto passo di Gv. 10,30 nella sua preghiera al Padre la notte che precedette la sua esecuzione: "io non prego soltanto per questi ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola; che siano tutti uno; che come tu, o Padre, sei in me, e io in te, anche essi siano in noi" Gv. 17, 20-22 -Gesù pregava per coloro che sarebbero divenuti membri del suo corpo, la Chiesa. L'Apostolo appoggia questo concetto in 1Cor. 12,12: "siccome il corpo è uno ed ha molte membra, e tutte le membra del corpo benchè siano molte, formano un unico corpo, così ancora è di Cristo" Illustrando questo punto l'apostolo scrive ulteriormente: "poichè il marito è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, egli, che è il salvatore del corpo" Ef. 5,23. Indi introducendo Geova come capo di tutto, l'apostolo scrive: "il capo di ogni uomo è Cristo, .... il capo della donna è l'uomo, e .... il capo di Cristo è Dio" 1 Cor. 11,3. Si manifesta così la semplice verità che come Cristo ed il suo corpo sono considerati uno, similmente Geova e Cristo sono considerati come uno. Essi sono tutti uno nell'accordo, nello scopo e nell'organizzazione. Se non fosse questa la conclusione logica Gesù non avrebbe detto mai: "il Padre è maggiore di me" Gv. 14,28 e quindi "non la mia volontà, ma la tua sia fatta" Lc. 22,42. Pertanto tutti, Gesù compreso si trovano nella completa sottomissione al grande capo, l'Iddio onnipotetente".

Risposta) In Gv. 10,30 non si parla di unità di scopo o di accordo, ma di potenza. Vedi i vv. precedenti: 28 "Io do loro la vita eterna e non andrannomai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. 29 Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio". dunque, nessuno può rapire le pecore di mano a Gesù, perchè nessuno le può rapire di mano al Padre. Non entra in questione "l'accordo" tra il Padre e Gesù. Gesù parla del Padre che non può essere vinto da nessuno (dal demonio e dalle potenze demoniache). è come è del Padre, così è di Cristo. Che il nostro passo concluda alla unità di potenza e di divinità tra gesù e il Padre lo si capisce dalla reazione immediata dei Giudei increduli: lo volevano uccidere a sassate, perchè "si faceva Dio" Gv. 10,34. Gv. 17,20-22: è chiaro che Gesù parla di unità di accordo tra quanti credevano in Lui. L'unità di volontà che c'era tra gesù e il Padre (io faccio sempre le cose che gli sono gradite Gv. 8,29) era precisamente garantita dalla unità di potenza e di divinità espressa in Gv. 10,30. Ef. 5,23 e 1 Cor. 11,3 non c'entrano nel nostro caso: il corpo di Cristo è veramente uno, ma i Testimoni di Geova, non ammettendo lo spirito umano, non hanno fondamento per ammettere una unione reale del corpo di Cristo.

I passi indicati dai Testimoni di geova per spiegare Gv. 10,30 non si possono mettere in rapporto con esso. Non sono quei passi (Gv. 17,20-22; Ef. 5,23; 1 Cor. 12,12) che devono spiegare Gv. 10,30, ma viceversa: l'unione di Gesù col Padre è la causa dell'unione dei fedeli con Lui in un unico corpo. Appunto perchè abbiamo ricevuto dalla sua pienezza (Gv1,16) e perchè in Lui abita la pienezza della Divinità (Col. 2,9) noi possiamo essere membra del corpo di Cristo e nello stesso tempo membra della famiglia di Dio: "Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? " (1 Cor. 6,15); "Così dunque, voi non siete più stranieri ne ospiti, ma siete concittadini dei Santi e familiari di Dio" (Ef. 2,19).

oBIEZIONE) 1 tIM. 3,16: "Iddio è stato manifestato in carne". In "Sia Dio riconosciuto verace" a pag. 86: "La pretesa che l'Onnipotente Iddio si sia manifestato in carne agli uomini di questa terra, come arguiscono i preti, viene appoggiata al testo di 1 Tim. 3,16 che dichiara: Iddio è stato manifestato in carne" Una nota dell'Emphatic diaglott apporta a Benjamin Wilson, a questo passo, al v. 16, dice: quasi tutti gli antichi manoscritti e tutte le versioni dicono "colui che" invece di "Dio" in questo passo. Questo è stato adottato. La traduzione parola per parola dal greco dice: "chi fu manifestato in carne. L'american standart e la versione riveduta italiana traducono "colui che"; altre versioni usano le parole "il quale".

Risposta) La Bibbia di Gerusalemme traduce il v. 16 così: "Dobbiamo confessare che grande è il mistero della pietà: Egli si manifestò nella carne ....". Non dice "Iddio" ma "Egli" al maschile: il Cristo: cfr codice sinaitico, alessandrino, ecc. Molti testi (cfr. vulgata, codice di Bera, ecc.) hanno il neutro: in questo caso il soggetto dei verbi seguenti sarebbe il mistero (cfr Col. 2,3 "Mistero di Dio, cioè Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza").





DOTTRINA CATTOLICA DELLA TRINITA'



La dottrina della Trinità è il più profondo dei misteri cristiani. Ne siamo a conoscenza per la rivelazione: "Nessuno conosce il Padre, se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo vuole rivelare" Mt. 11,27; "Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio..... così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai conoscere se non lo Spirito di Dio" 1 Cor. 2,10-11; "il solo che possiede l'immortalità, che abita una luce inaccessibile, che nessuno fra gli uomini ha mai visto ne può vedere" 1 Tim. 6,16; Proprio perchè la fonte della dottrina trinitaria è la rivelazione, tale dottrina è diventata nota agli uomini, solo quando Dio si è compiaciuto di notificarla. Solo nel N.T. si parla esplicitamente di essa. Nel V.T. troviamo solo alcune espressioni che, pur salvando la dottrina dell'unità di Dio, parlano di una pluralità in Dio.

Sono quattro le espressioni di tal genere: Gn. 1,26: "E Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza"; Gn. 3,22: "Il Signore Dio disse allora: ecco l'uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male"; Gn. 11,7: "Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua"; Is. 6,8: "Poi udii la voce del Signore che diceva: chi manderò e chi andrà per noi?". Certamente nei passi citati si parla dell'unico Dio, il quale ha usato espressioni che per il momento non erano perfettamente spiegate all'uomo, ma che sarebbero poi completamente rivelate nel N.T.

Anche nel N.T. la rivelazione del grande mistero è data gradualmente. Dalla nozione della assoluta trascendenza del Padre, Gesù passa ad una insistente dichiarazione della sua unità col padre: ciò che ha suscitato lo scandalo dei Giudei increduli. Gv. 5,17-18: "Ma Gesù rispose loro: il Padre mio opera sempre e anch'io opero. Proprio per questo i Giudei cercarono ancor più di ucciderlo: perchè non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio". Gv. 8,26-59: "Io dico al mondo le cose che ho udito da Lui. Non capirono che Egli parlava loro del Padre .... non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il padre, così io parlo. Colui che mi ha mandato è con me .... io dico quello che ho visto presso il Padre.... ora cercate di uccidere me, che vi ho detto la verità udita da Dio..... da Dio sono uscito e vengo..... prima che Abramo fosse io sono. Allora raccolsero pietre per scagliarle contro di lui". Gv. 12,44-50: "Chi crede in me, non crede in me ma in Colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato;.... le cose che io dico, le dico come il padre le ha dette a me".

Alla fine della sua vita Gesù, all'atto di congedarsi dai suoi apostoli, espone una esplicita dottrina sullo Spirito santo, che verrà poi ripresa e ribadita nelle lettere di S. Paolo: Gv. 14,16-20: "Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore, perchè rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità..... in quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi"; Gv. 15,26: "Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre....". Gv. 16,7-15: "è bene che me ne vada, perchè se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore.... Quando poi verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perchè non parlerà da sè, ma dirà tutto ciò che avrà udito...".



LE SINGOLE PERSONE

IL PADRE

La Sacra Bibbia ci parla spesso di Dio come Padre. - Egli è distributore di una provvidenza generosa: "Guardate gli uccelli del cielo.... il Padre vostro celeste li nutre..... il Padre vostro celeste sa che ne avete bisogno" Mt. 6,26-32; -Scruta amorevolmente le nostre intenzioni più segrete di bene: "Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa dal Padre vostro che è nei cieli.... e il Padre tuo che vede nel segreto ti ricompenserà" Mt. 6,1-4. "..... prega il Padre tuo nel segreto e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà" Mt. 6,6. - Egli esaudisce le nostre preghiere: ".... quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che glie ne domandano" Mt. 7,7-11. - Egli sa ciò di cui noi abbiamo bisogno: "Il Padre vostro celeste sa che ne avete bisogno" Mt. 6,32. - Perdona i nostri peccati con una misericordia infinita: Lc.15: La pecora perduta, il figliol prodigo. -Ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio diletto per salvarci: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito .... perchè il mondo si salvi per mezzo di Lui" Gv.3,16-17. -Mt.6,10-13: "Padre nostro che sei nei cieli......

- 1 Paolo ci mostra l'amore sconfinato di Dio: "se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?" Rm. 8,31. -siamo suoi figli adottivi: "predestinandoci ad essere suoi figli adottivi" Ef.1,5. -siamo partecipi della sua stessa famiglia "cosi voi dunque non siete più stranieri nè ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio" Ef.2,19.

Questa nozione della paternità di Dio non era estranea neppure al V.T.: - "Sii benedetto, Signore, Dio di Israele, nostro Padre, ora e per sempre" 1 Cr 29,10. - "come un padre ha pietà dei suoi figli, così il Signore ha pietà di quanti lo temono, Sal. 103,13. - "perchè tu sei nostro padre" Is. 63,16. - Ma, Signore, tu sei nostro padre" Is.64,8.



IL FIGLIO


Gesù è frequentemente chiamato Figlio di Dio. - Tale lo riconosce S. Pietro per diretta rivelazione del Padre: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. E Gesù: beato te, Simone figlio di Giona, perchè nè la carne nè il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" Mt. 16,16-17. -Tale lo riconobbero i soldati di guardia al calvario: "davvero costui era il Figlio di Dio" Mt. 27,54. -Tale lo avevano riconosciuto persino gli indemoniati "che cosa abbiamo in comune con te, Figlio di Dio?" Mt. 9,29; "e urlando a gran voce disse: "che hai in comune con me Gesù, Figlio del Dio altissimo?" mc. 5,7. - Così si eraproclamato gesù stesso: "....voi dite: tu bestemmi, perchè ho detto: sono Figlio di Dio?" Gv. 10,36; "questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perchè per essa il Figlio di Dio venga glorificato" Gv. 11,4; - Tale l'aveva additato la voce del padre all'atto del battesimo di giovanni e nella trasfigurazione: "questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto" Mt. 3,17; "Questi è il figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo. Mt. 17,5;

Gesù non era figlio nel senso in cui gli uomini lo sono sulla terra. Il vangelo lo dichiarava "fi- glio unigeto del Padre"; Gv. 1,18, "il Figlio unigenito che è nel seno del Padre" -Gv. 3,16-18; "Dio ha tanto amato il Mondo da dare il suo Figlio unigenito.... chi non crede è già stato condannato, perchè non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio" - 1Gv. 4,9: "Dio lo ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo".

Se Egli è "Unigenito" ciò significa che è figlio in un modo in cui non lo sono le creature: Egli è "Unigenito" ma non nel senso in cui l'intendono i Testimoni di Geova, cioè di creatura" La Sacra Bibbia ci aiuta a comprendere perchè Egli sia l'Unigenito: -Egli è nel seno del Padre: "Il Figlio unigenito che è nel seno del Padre" Gv. 1,18; -Ha ricevuto dal Padre di avere la vita in se stesso come il Padre stesso ha la vita in se stesso: "come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso" Gv. 5,26; -Egli conosce appieno il Padre, come il Padre conosce Lui: "Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio" Mt. 11,27; -In Lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità" Col. 2,9; -a Lui compete la stessa nozione di immutabilità che è riferita a Dio: "Tu, Signore, da principio hai fondato la terra e opera delle tue mani sono i cieli. Essi periranno, ma tu rimani.... tu rimani lo stesso e gli anni tuoi non avranno fine". Eb. 1,10-12. -Egli è onorato come è onorato il Padre: "A colui che siede sul trono e all'agnello lode, onore, gloria e potenza" Ap. 5,13; "perchè tutti onorino il Figlio, come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato" Gv. 5,23. -le sue opere sono delPadre: "il Padre che è in me compie le sue opere" Gv. 14,10. -Egli risuscita chi vuole, come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi vuole" Gv. 5,21. -Questo linguaggioha fatto concludere ai suoi uditori che Egli si faceva uguale a Dio: "Proprio per questo i Giudei cercavano di ucciderlo: perchè non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio" Gv. 5,18. -Gesù stesso aveva detto che chi vedeva Lui, vedeva il Padre: "Chi vede me, vede colui che mi ha mandato" Gv. 12,45; "chi ha visto me, ha visto il Padre" Gv. 14,9.

La giusta nozione, dunque, della filiolanza del Verbo è la unità reale col Padre e la sua divinità. Il Verbo è unigenito del Padre, perchè come il Padre e con Lui ha la vita, l'essere, la immortalità, la scienza, l'onore, le opere, la resurrezione, il potere di giudicare e la pienezza della divinità.

Il N.T. ci rivela che in Dio c'è una vita eterna che si comunica nella sua stessa intimità: il Padre si comunica nel Figlio senza impoverirsi, perchè è immutabile ed il figlio non è inferiore al Padre, perchè è la sua stessa vita eterna: "grazia e pace sia concessa a voi in abbondanza nella conoscenza di Dio e di gesù Signore nostro" 2 Pt. 1,2; "Poichè la vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi" 1 Gv. 1,2"


(Teofilo)
00sabato 19 settembre 2009 22:07
LA DIVINITA' DI CRISTO
I Testimoni di Geova negano la divinità di Cristo. Ecco i loro errori:


PUNTO 1

Pur mantenendo a Gesù i nomi di Logos e "Figlio Unigenito", affermano che il Logos non era Dio, perchè ebbe un principio e perchè espressamante ricusò di essere simile a Dio.



Le stesse parole del testo Gv. 1,1-3 dimostrano altresì che il Figliuolo, ricevendo la vita, non può essere contemporaneo e coesistente dalla eternità col Padre il quale dà la vita al Figliuolo e così lo principia. Quandunque non vi è nessun principio di Dio (Elohim) o Geova, vi fu però un principio di Parola e fu Iddio che cominciò a parlare o produrre la parola. Cosicchè il titolo stesso dimostra nettamente che Geova Iddio produsse e diede principio a colui che viene chiamato "La Parola". "La tua Parola è verace sin dal Principio" oppure, secondo la lettura marginale della Bibbia: "il principio della tua parola è verace" Sal. 119,160; Iddio è l origine della Parola "e Dio (Elohim) disse" Gn. 1,3.6.9.11.14.20.24.26; La confusione è cagionata dalla inesatta traduzione di Gv. 1,1-3 dal greco, in cui il testo fu originalmente scritto e poi tradotto in molte lingue; tale traduzione fu fatta dai religionisti che cercarono di manifatturare la prova per la loro dottrina di una trinità. Questo fatto è reso chiaro in un libro intitolato the Enphatic Diaglott che mostra il testo originale delle scritture in lettere greche e sotto ogni linea del testo greco viene presentato la traduzione del greco originale parola per parola. Questa sottolineata traduzione inglese si legge così: In un principio era la Parola e la Parola era con il Dio e un Dio era la Parola. Questa era in un principio con il Iddio. Tutto per mezzo di essa fu fatto e senza di essa fu fatta neanche una cosa, che è stata fatta. Nella regolare versione inglese della colonna a mano destra, tradotta in lingua italiana, l'Emphatic diaglott intensifica la distinzione tra il creatore come il Dio e la Parola (Logos) come un dio, con lo stampare la parola "Dio" con la minuscola quando si riferisce al creatore e Dio quando si riferisce alla Parola o al "Logos". Ricordando che la parola "Dio" secondo l'ebraico, significa "potente" o "Colui che è prima (di altri), e ricordando la potenza e la posizione del Figliuolo in contrasto a tutto il resto della creazione, è facile comprendere che il Figliuolo di Dio, la Parola, era ed è "un dio" (EL) o "potente" preminente al di sopra o prima di altre creature; mentre Geova, il Produttore della Parola è il "Dio" (Elohim), senza principio e "ad aeterno in aeterno" Col riferire a Gv. 10,34-36 voi osserverete che Gesù cita della legge al Salmo 82,6 e dice: non è egli scritto nella vostra legge: io ho detto: voi siete dei? se chiama dei coloro ai quali la parola di Dio è stata diretta (e la scrittura non pùò essere annullata) come mai dite voi a colui che il Padre ha santificato e mandato nel mondo, che bestemmia, perchè ho detto: sono Figliuolo di Dio?

Se quei potenti uomini della terra, contro cui Iddio diresse la sua parola di condanna, potevano essere chiamati dei, tanto più le scritture potevano parlare ed infatti parlano del Figliolo di Dio, la Parola, come un "dio". Egli è un "potente Dio". Ma non l'onnipotente Iddio che è Geova (Is. 9,5). Certamente dunque Gv. 1,1-3; secondo il suo testo originale in greco, non è una prova che Geova Iddio ed il suo Fugliuolo sono una persona uguale in potenza ed in gloria, come dicono i catechismi religiosi senza nessuna prova scritturale. Il contrario è vero. (La verità vi farà liberi pagg. 45-47).

La parola "Dio" è scritta in questo caso (Gv. 1,1) come un nome proprio, con l'articolo il davanti ad essa, mentre nella frase seguente: "e un dio era la Parola" rimarcherete che "dio" è scritto come un nome comune. Dunque l'articolo "un" compreso nell'ultima frase prova che vi si parla di due persone come essendo l'una assieme all'altra e non di due persone come essendo l'unico e stesso Dio. In "Sia Dio riconosciuto verace pagg. 87-88" Egli (il Figliuolo di Dio) era uno spirito simile a Geova, il Padre suo, avendo il privilegio di vederlo e di essere con Lui. Essendo uno spirito e all'immagine di Dio, questo unigenito Figliuolo era in forma di Dio. Egli era perfettamente soggetto al suo Padre Creatore. Egli non meditò mai alla usurpazione de farsi uguale al Padre suo e sapeva saggiamente che tale uguaglianza era ed è una impossibilità. Egli riconobbe Geova quale Potenza ed Autorità suprema e quale suo capo. Egli non si allontanò giammai da quella regola. Perciò l'Unigenito Figliuolo come colui che "esistendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio una cosa da poter afferrare" Fil. 2,6; in "La verità vi farà liberi pag. 43".

I Testimoni di Geova formulano il loro principale argomento su due testi: Gv. 1,1-3 "In principio era il verbo, e il verbo era presso Dio e il verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste". Fil. 2,6; "il quale (Gesù Cristo) pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio" Il riferimento alla Emphatic Diaglott non ha alcun valore, perchè l'accurata distinzione in lettere maiuscole e minuscole del nome di Dio (riferita al Creatore e al Logos) è frutto di una traduzione moderna, non critica. Il testo greco attribuisce l'identico nome di Dio (Theòs) tanto al Creatore che al Logos. Inoltre il sostantivo Theòs riferito al Logos è si in posizione di predicato nominale (costruzione preferita dal greco), ad esempio Gv. 4,24: "Dio è lo spirito" (greco senza articolo); 1 Gv. 1,5: "Dio è la luce" (greco senza articolo), dette frasi non possono tradursi con: "Dio è uno spirito; è una luce, è un amore. La presunzione di una diversa radice ebraica "Elhoim" riferito al Creatore ed "El" riferito al Logos è priva di fondamento, perchè S. Giovanni scrisse in greco. La posteriore traduzione ebraica del vangelo, porta in ambedue i casi il termine "Elhoim". Se gli ebrei hanno mantenuto lo stesso termine vuol dire che una fedele traduzione deve riconoscere che in ambedue i casi si tratta dell'unico e vero Dio. Nello stesso passo Gv. 10,34-36 citato dai Testimoni di Geova, che contiene il riferimento di Gesù al Sal. 82,6, è adoperato il termine "Elhoim" = "Dio". Il testo Fil. 2,6, tradotto letteralmente dal greco suona così: "il quale esistendo nella forma di Dio, non considerò rapina l'essere uguale a Dio, ma annichilì se stesso prendendo la forma di servo, fatto simile agli uomini" Le due espressioni "forma di Dio" e "non considerò rapina l'essere uguale a Dio" sono intimamente collegate ed il senso dato all'una prepara il senso da darsi alla seconda. I Testimoni di Geova parlano della "forma di Dio" come di una certa somiglianza con Dio (aveva il privilegio di vederlo ed essere con Lui) che è ben lontana dalla uguaglianza. La traduzione poi "non considerò l'essere uguale a Dio una cosa da poter afferrare" è antiscritturale, perchè ben diverso è l'atteggiamento di Gesù, che nel Vangelo dichiara di essere uguale al Padre: - per ben due volte dichiara che il vedere Lui equivale a vedere il Padre: "chi vede me vede colui che mi ha mandato Gv. 12,45; " chi ha visto me, ha visto il Padre" Gv. 14,9;

- a Filippo che chiede di vedere il Padre, Gesù dichiara formalmente, che chi vede Lui Gv. 14,9; vede il Padre e quindi non ammette ragione di formulare questa domanda: "da tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha veduto me, ha veduto il Padre; come mai tu dici: mostraci il Padre? Non credi tu che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me, ma il Padre che è in me compie le sue opere; credetemi, io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse Gv. 14,9-11; L'unione di Gesù al Padre è talmente piena e completa (essere, parlare ed operare) da non ammettere alcuna differenza tra loro. Così ha insegnato Gesù e i Giudei increduli lo perseguitarono per questo: "proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perchè non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo padre, facendosi uguale a Dio" Gv. 5,18; "gli risposero i Giudei: non ti lapidiamo per un'opera buona, ma per la bestemmia e perchè tu, che sei uomo, ti fai Dio" Gv. 10,33; -Gesù dichiara di essere la verità e la vita: "Io sono la via, la verità, la vita" Gv. 14,6; "Io sono la resurrezione e la vita" Gv. 11,25; oppure la Sacra Bibbia dice che Dio solo è verace: "questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio" Gv. 17,3; che risuscita: "come il Padre risuscita i morti e da la vita" Gv. 5,21; e presso il quale c'è la parte della vita: "è in te la sorgente della vita" Sal. 36,10;.

- Quanto ha il Padre è di Cristo: "Tutto quello che il Padre possiede è mio" Gv. 16,15. Non si parla di cose esterne, quasi siano state date in eredità al Figlio, ma della verità intima a Dio. Gv. 16,13 infatti precisa che "Egli (lo Spirito) mi glorificherà, perchè prenderà del mio e ve lo annuncerà". E' Gesù che manderà lo Spirito Consolatore: "ma quando me ne sarò andato ve lo manderò" Gv. 16,7. E' giusta la la dichiarazione di Gesù: "Io e il Padre siamo una cosa sola" Gv. 10,30.

I Testimoni di Geova interpretano questa unione semplicemente come una unione morale, di accordo, come in Gv. 17,20-22: "non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me, perchè tutti siano una cosa sola. Come tu, o Padre, sei in me ed io in te, siano anche essi una cosa sola...."

In Gv. 10,30 si parla di una unità di forza e di potenza: l'affermazione di Gesù infatti è la conferma di quanto ha detto prima: le sue pecore non glie le può strappare di mano nessuno, perchè nessuno può strapparle al Padre: "Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio" Gv. 10,29.

- Filippesi 2,6 va dunque interpretato nel senso che Gesù non rinuciò all'uguaglianza con Dio quasi fosse una preda evidentemente strappata, ma si avvicinò all'uomo divenendo uno come lui.

- "FORMA di Dio" significa dunque: condizione, modo, natura, contegno. Gesù era nella condizione (o modo, o natura, o contegno) di Dio, eppure fu tanto generoso ed umile da accettare la forma (cioè la condizione o modo o natura o contegno) di uomo. Questa interpretazione spiega anche il precedente versetto 3 (Filippesi2,3): " non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso...."

- I Tesimoni di Geova affermano che il Figlio, perchè ha avuto un principio, non può essere Dio. E' vero che il Figlio di Dio, appunto perchè Figlio, ha avuto origine dal Padre: questo non esclude l'eternità e la divinità. La paternità include che si sia comunicata la la propria vita a colui che è figlio. Ora, il Padre, perchè immutabile ed eterno, comunica una vita immutabile ed eterna al Figlio, il quale perciò esiste da quando esiste il Padre, è cioè eterno.

-S. Paolo in Eb. 1,3 dice che "il Figlio è irradiazione della gloria del Padre" o "splendore della gloria di Dio". Ora lo splendore è contemporaneo alla gloria, ossia esiste insieme con la gloria; Dio è gloria fin dall'eternità (perchè immutabile), quindi lo splendore non si è acceso dopo, ma da quando esiste la sua gloria.

- Altrettanto si dica del termine "LOGOS" parola, pensiero. Il termine greco Logos significa parola espressa esternamente nel tempo (come quando parlò ai profeti), ma indica anche il pensiero di una persona. Ora Dio è immutabile, quindi ha un pensiero eterno ed immutabile. La citazione del Genesi non fa al caso perchè ivi si parla della parola con cui iniziarono le cose, ora S. Paolo assicura che in Lui (nel Figlio) furono create tutte le cose Col. 1,16; quindi le parole del Genesi si riferiscono all'origine delle cose nel Figlio e nell'origine del Figlio stesso.

- Colossesi 2,9 "E' in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità". Qualunque senso si dia al termine greco "somaticòs" (corporalmente o sostanzialmente) si ha che tutta la deità risiede in Cristo. Dicendo "tutta la pienezza della divinità" S. Paolo non ha escluso nulla della divinità stessa, quindi la sua immutabilità, eternità, potenza, ecc... . Ne ciò poteva avvenire successivamente, perchè Dio non sarebbe immutabile; quindi ciò avviene eternamente, da quando cioè Dio è Dio.







- PUNTO 2 -



Il Logos fu la prima creatura spirituale, superiore agli Angeli, che servì a Dio per la creazione di tutto il resto. Egli è chiamato Figlio unigenito, perchè fu creato direttamente senza il sussidio di nessun altro:

"(il Figlio di Dio) .... viene chiamato "l'unigenito Figlio" di Dio, poichè Iddio non ebbe nessun associato nella creazione del suo Unigenito Figlio. Fu il primo tra la creazione di Geova Iddio. Egli così parlò di se medesimo in Ap. 3,14; "queste cose dice l'Amen, il testimone fedele e verace, il principio della creazione de i Dio". Anche in Col. 1,15 si parla di Lui, come di Colui "il quale è l'immagine dell'invisibile Iddio, il primogenito di ogni creatura" Così viene classificato tra le creature di Dio come il primo tra loro e inoltre il prediletto e il più favorito. Egli non è l'autore della creazione di Dio, ma dopo essere stato da Dio creato come il suo Figlio primogenito, Iddio lo impiegò come suo collaboratore nella creazione di tutto il rimanente dell'universo. Ciò è affermato in Col. 1,16-18 e Gv. 1,1-3" in "sia Dio riconosciuto verace" pag. 34-35.

- Risposta -

I punti errati sono due: che il Logos sia stata la prima creatura e che il nome Unigenito gli derivi dal fatto di essere stato creato senza intermediario. Non c'è passo biblico da cui poter dedurre che il nome di Figlio derivi al Logos per il fatto di essere stato creato senza intermediario. La creazione è descritta nella Bibbia come una produzione avvenuta mediante un comando di Dio: "Dalla parola del Signore furono fatti i cieli... perchè egli parla e tutto è fatto" Sal. 33,6 e 9; "Lodino tutti il nome del Signore, perchè egli disse e furono creati" Sal. 148,5. Ora il Logos è appunto questa parola creatrice di tutte le cose: "Tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste" Gv. 1,3; "Poichè per mezzo di Lui sono state create tutte le cose ...... tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui" Col. 1,16-17.

-1 Giovanni dichiara che non c'è cosa fatta che non sia stata fatta senza di Lui. L'affermazione di Giovanni, espressa in forma positiva e negativa, esclude il Logos dall'elenco delle cose create. Dunque il Verbo ha avuto origine dal Padre non per creazione, ma per emanazione della sua stessa vita - (vita) immutabile (perchè Dio è immutabile): "Io sono il Signore, non cambio" (Malachia 3,6); - Eterna, perchè Dio è eterno: "Abramo piantò un tamerice in Bersabea e lì invocò il nome del Signore, Dio dell'eternità" Gn. 21,33;

- santa, perchè Dio è santo: "Proclamavano l'uno all'altro: Santo, Santo, Santo è il Signore degli eserciti" Is. 6,3; - Onnipotente, perchè Dio è onnipotente: "Io sono Dio onnipotente ....." Gn. 17,1; - Verace, perchè Dio è verace: "colui che mi ha mandato è veritiero" Gv. 8,26.

Il Logos è perciò chiamato "Figlio proprio": "egli che non ha risparmiato il proprio Figlio" Rm. 8,32; "che è nel seno del Padre,: "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato" Gv. 1,18; Per questo, si può dire del Figlio che "conosce appieno il Padre": "nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" Mt. 11,27; "è uno col Padre": "Io e il Padre siamo una cosa sola" Gv. 10,30; "è la vita": "Io sono la via, la verità e la vita" Gv. 14,6, "è la vita eterna": .....vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi" 1 Gv. 1,2; "è la verità" Gv. 14,6, "è la resurrezione" : "Io sono la resurrezione e la vita ......" Gv. 11,25;

Di qui si capisce perchè S. Paolo applica al Figlio la stessa immutabilità attribuita a Dio nel V.T.: "Tu, Signore, da principio hai fondato la terra e opera delle tue mani sono i cieli. Essi periranno, ma tu rimani; invecchieranno tutti come un vestito. Come un mantello li avvolgerai, come un abito e saranno cambiati; ma tu rimani lo stesso e gli anni tuoi non avranno fine" Eb. 1,10-12 "i tuoi anni durano per ogni generazione .... la terra, i cieli sono opera delle tue mani. Essi periranno, ma tu rimani ....(Salmo 102,26-27).

E' vero che anche i redenti sono figli di Dio. C'è una differenza sostanziale tra la nostra figliolanza e quella del Logos: la nostra è adottiva e creata: "predestinandoci ad essere suoi figli adottivi" Ef. 1,5; "siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù ......" Ef. 2,10; "dovete rivestire l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera" Ef. 4,24;

La dottrina cattolica nei riguardi del Logos non viene distrutta dai due testi apposti dai Testimoni di Geova. Se S. Paolo in Col. 1,15 chiama il Figlio primogenito di ogni creatura, ciò non contraddice a quanto è stato detto, ma dipende dal fatto che il Figlio si è fatto uomo: "riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide, secondo la carne" Rm.1,3 ed è diventato nostra redenzione: "Gesù Cristo, che ha dato sè stesso in riscatto per tutti" 1 Tim. 2,6.

Per Lui abbiamo la stessa eredità: "e se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo" Rm. 8,17 e otterremo la resurrezione in conformità della sua: "il suo corpo glorioso...." Fil. 3,21; Per Lui tutte le cose liberate dalla servitù della corruzione parteciperanno della libertà dei figli di Dio: "la creazione nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio" Rm. 8,21, perchè per Cristo tutto ci appartiene: "ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio" 1 Cor. 3,22. Egli si è fatto nostro fratello: "Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati proseguono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, dicendo: annuncerò il tuo nome ai miei fratelli ........ Egli non si prende cura degli Angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli ..... Eb. 2,11-17.

Il passo citato dell'Apocalisse 3,14 "Così parla l'Amen il testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio" è frainteso dai Testimoni di Geova. Il termine "principio" (greco "Archè") non significa "inizio" (nel senso di cominciamento), ma "iniziatore" come appare da Apocalisse 21,6: "Io sono l'Alfa e l'Omega, il Principio e la Fine", dove lo stesso termine è attribuito a Dio.









- PUNTO 3 -



Il Logos ebbe l'immortalità non quando fu creato, ma in seguito: "possedeva questo primogenito Figliolo l'immortalità? ossia, di non essere soggetto a morte?



A quel tempo egli non possedeva questa qualità e non era immortale e questo è comprovato da altri fatti susseguenti che sono pure dichiarati esplicitamente nella Bibbia. La vita eterna è dipendente dalla infinita ubbidienza a Dio. Mediante la fedele e perfetta ubbidienza il Figliolo godeva la vita per virtù dell'approvazione del Padre suo e poteva vivere con Lui per sempre. Però venne il tempo in cui Geova Iddio diede al suo figliolo la magnificente opportunità di ottenere l'immortalità. Il fatto che il Padre diede a Lui tale opportunità viene confermato dalla dichiarazione del Figliolo: "perchè come il Padre ha la vita eterna in se stesso, così ha dato anche al Figliolo d'avere vita in se stesso, Gv. 5,26" "La verità vi farà liberi, pagg. 43-44".

I Testimoni di Geova applicano al Figlio proprio di Dio quello che è detto dei figli adottivi. Il passo di Gv. 5,26 non si riferisce ad un periodo successivo della vita del Logos, ma al momento quando ebbe la vita, cioè all'atto eterno della sua generazione nel seno del Padre. Gesù infatti non dice che ebbe "successivamente" l'immortalità, ma che ha avuto dal Padre la vita sussistente (= essere fonte di vita): ciò avvenne quando fu generato. Se la Bibbia non parla di questa successione di prerogative nella vita del Logos, non è lecito insinuarla.





- PUNTO 4 -



Gesù non era Dio, perchè era di poco inferiore agli Angeli, perchè morì e perchè come Redentore non doveva superare il primo uomo perfetto (Adamo):



Davide, parlando sotto ispirazione, descrive l'uomo come essendo stato fatto di poco inferiore agli Angeli. In Eb. 2,9 troviamo le medesime parole descriventi Gesù ben vediamo però Colui che è stato fatto di poco inferiore agli Angeli...... a motivo della morte che ha patito".

Se la dottrina della Trinità fosse vera, allora Iddio sarebbe diventato inferiore agli Angeli mentre si trovava sulla terra, il che è contrario alla sua supremazia. Tuttavia sappiamo che Gesù venne sulla terra per provvedere a un riscatto con la sua perfetta vita umana. Il riscatto deve essere, perciò, uguale alla perdita, ossia una vita perfetta come quella che Adamo aveva nell'Eden .... La giustizia di Dio non avrebbe permesso che Gesù, quale riscatto, fosse di più di un uomo perfetto; e certamente nemmeno che fosse l'Onnipotente Iddio nella carne. (Sia Dio riconosciuto verace, pag. 87).

Una delle cose più misteriose è quella di sapere chi mai percorreva o dirigeva l'universo durante i tre giorni in cui Gesù fu morto e nella tomba. Quale magnifica opportunità per Satana di prendere un completo controllo. Ma il semplice fatto che non poteva fare ciò, prova che fu l'Unigenito Figliolo e Lui solo che era morto.

Le Scritture affermano che solamente Iddio possiede l'immortalità; perciò se Gesù Cristo fosse l'Iddio immortale, egli non sarebbe potuto morire. Durante la carriera terrestre di Gesù il diavolo aveva esercitato ogni sforzo per cagionare la sua morte e quando poi era finalmente riuscito, non avrebbe certamente permesso la sua resurrezione, se fosse stato l'onnipotente Iddio ad essere morto. Come è inconsistente tutto ciò che riguarda la Trinità" (Sia Dio riconosciuto verace, pag. 91).

Dicendo che Gesù era Dio, non diciamo che il corpo di Gesù era Dio, ma che il Figlio di Dio prese un corpo che poteva morire. Chi morì non fu la divinità di Cristo, ma solo il suo corpo. La frase di S. Paolo che attribuisce a Gesù una inferiorità rispetto agli Angeli (citando il Salmo 8,5-7) si spiega nello stesso senso: è appunto l'umanità di Gesù che è di poco inferiore agli Angeli.

Che Satana si sia adoperato per non far risorgere Gesù se questi fosse stato Dio, è semplicemente banale! Mai la Bibbia dice che Gesù risorse dietro il permesso di Satana.

I Testimoni di Geova affermano che Gesù, perchè Redentore, doveva essere sullo stesso piano di Adamo: "Quale prezzo è richiesto per l'acquisto della umanità? La vita di una creatura umana perfetta. La legge di Dio esige la vita per vita (Deuteronomio 19,21). Adamo era un uomo perfetto quando peccò deliberatamente violando la legge di Dio e questa legge esigeva la pena di morte per questa perfetta vita umana (Gn. 2,17). Nulla di meno e nulla di piùdi una vita umana perfetta doveva essere richiesto per riacquistare i discendenti di Adamo. La vita di un Angelo non avrebbe dato un prezzo perfettamente equivalente perchè l'Angelo è più grande dell'uomo. (Salvezza, pag. 167). - Il prezzo del riscatto è il valore provveduto per l acquisto dell'umanità e questo prezzo corrisponde esattamente a ciò che il perfetto uomo Adamo alienò per se stesso e perdette per tutti i suoi discendenti "Salvezza, 191".

La citazione del Deuteronomio 19,21 è la famosa legge del taglione abolita da Gesù: "Avete inteso che fu detto: occhio per occhio, dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio...." Mt. 5, 38-42.

Negli Atti degli Apostoli 20,28 abbiamo una forte affermazione della divinità di Cristo, proprio come Redentore: "Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che Egli si è acquistato col suo sangue". "Egli" non può essere riferito che a Dio e quel "proprio sangue" logicamente deve essere riferito a Dio. I Testimoni di Geova traducono: "...... per pascere la Chiesa di Dio, che Egli ha acquistato mediante il sangue del suo "Proprio" e concludono: "è stato appunto per mezzo del sangue del suo proprio Figlio o l'agnello di Dio che Geova ha acquistato la sua Chiesa" (La verità vi farà liberi, pag. 250). "Proprio" è aggettivo e si riferisce a sangue.







- PUNTO 5 -





Gesù non era Dio, perchè Egli stesso l'ha dichiarato; disse infatti che il Padre era maggiore di Lui e che non conosceva l'ora della fine del mondo:



"nuovamente ci richiamiamo alle parole di Gesù: "il Padre è maggiore di me". Ciò significa maggiore non solo per quanto riguarda la sua funzione, ma anche la persona. (Sia Dio riconosciuto verace, pag. 91).

E' appunto Geova Iddio che ha fissato il piano e l'ora di tale ultima fine, in riguardo al quale Gesù disse: "Ma quant'è a quel giorno e a quell'ora nessuno li sa neppure il Figliuolo, ma il Padre solo" Mt. 24,36; Mc. 13,32. Queste parole intanto dimostrano infallibilmente che Gesù ed il Padre non sono una stessa persona. "La verità vi farà liberi, pag. 290".

Premessa ancora una volta la distinzione tra persona e natura, esaminiamo i testi in questione, ossia Gv. 14,28 "avete udito che vi ho detto: vado e tornerò a voi; se mi amaste vi rallegrereste che io vado dal Padre, perchè il Padre è più grande di me"; Mc. 13,32 e Mt. 24,36: "state attenti, vigilate, perchè non sapete quando sarà il momento preciso" Gesù Cristo è uomo e come tale poteva ben dire di essere inferiore al Padre.

Per quanto riguarda Mc. 13,32 i cattolici interpretano questo versetto in senso metaforico, i Testimoni di Geova in senso letterale. Chi ha ragione? Se si interpreta alla lettera Mc. 13,32 si nega la divinità di Cristo e tutti i passi concernenti la divinità di Cristo indurrebbero ad adorare una creatura. Gesù ha usato una frase evasiva per dichiarare che non rivelerà tale cosa. Nel vangelo non mancano numerosi esempi di espressioni che non si possono prendere rigorosamente in senso letterale: per esempio: Mt. 7,16: "Dai loro frutti li riconoscerete: si raccoglie forse uva dalle spine o fichi dai rovi?" Mt. 5,29: "se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te....". Mc. 13,32 va armonizzato con gli altri passi che esprimono la divinità di Cristo, come, per esempio Gv. 8,26-38: ".... Colui che mi ha mandato è veritiero ed io dico al mondo le cose che ho udito di Lui. Non capirono che Egli parlava del Padre. ......non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo ..... da Dio sono uscito e vengo" Gv. 12,50 "Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me".

Fedeli alla loro negazione della divinità di Cristo, i Testimoni di Geova affermano che Gesù è stato resuscitato quale nuova creatura spirituale, esaltato, costituito giudice, re, ma negano ancora che Egli sia Dio.








- PUNTO 6 -


Gesù, per essi, è stato esaltato sopra la sua posizione preumana e ciò non avrebbe potuto avvenire se Egli fosse stato Dio;





"Iddio esaltò il proprio Figliuolo Gesù ad un grado superiore a quello che aveva prima di vivere e morire come volle. Se Gesù fosse stato uguale in potenza e gloria "all'Essere supremo" allora Geova Dio non avrebbe potuto innalzare il suo Figliuolo ad un grado più alto di quello che aveva nella sua condizione preumana. Ma ora Gesù è stato fatto il capo, sotto Geova, dell'organizzazione capitale di Dio, sopra l'intero universo. Dice l'Apostolo Pietro: "Mediante la resurrezione di Gesù Cristo, che, essendo andato in cielo, è alla destra di Dio dove Angeli, principati e Potenze gli sono sottoposte" 1 Pt. 3,21-22 in "Sia Dio riconosciuto verace" pag. 43.

Intanto la Bibbia dice che Gesù fu elevato alla gloria "uguale" e non "superiore" a quella che aveva prima; Gv. 17,5 "E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse". L'esaltazione poi di Gesù al di sopra di ogni nome, onde tutto a Lui si pieghi Fil. 2,9-11 "per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome, perchè nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre" corrisponde a Eb. 1,6; "e di nuovo, quando introduce il primogenito nel mondo, dice: lo adorino tutti gli Angeli di Dio".

Che Gesù sia stato fatto capo di tutto l'universo, non è una cosa nuova, perchè sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza: Eb. 1,3 "questo Figlio .... sostiene tutto con la potenza della sua parola"; perchè in Lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili"; perchè in Lui tutte le cose sussistono: Col. 1,17: "Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in Lui". A Gesù vengono dsati gli stessi attributi del Padre: "Così parla il Figlio di Dio.... io sono Colui che scruta gli affetti e i pensieri degli uomini" Ap. 2,23; "Io, il Signore, scruto la mente e saggio i cuori" Geremia 17,10. - E' chiamato il primo e l'ultimo: "Io sono l'Alfa e l'Omega" Ap. 2,8. - E' il Re dei re e Signore dei Signori: "... ma l'Agnello li vincerà, perchè è il Signore dei Signori e il Re dei re" Ap. 17,14. -"...beato e unico sovrano, il re dei re regnanti a signore dei signori" ! Tim. 6,15. - Egli è il Signore: "se dunque, io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi.... Gv. 13,14; "per noi c'è un solo Dio, il Padre ... e un solo Signore, Gesù Cristo" 1 Cor. 8,6; - Egli è il Salvatore: "Il mio Spirito esulta in Dio, mio Salvatore" Lc. 1,47. "...grazia... è stata rivelata solo ora, con l'apparizione del Salvatore nostro Gesù Cristo" 2 Tim. 1,10. - A Gesù si devono gli stessi onori che si attribuiscono al Padre: "Tu sei degno, o Signore e Dio nostro, di ricevere la gloria, l'onore e la potenza ...." Ap. 4,11; "l'Agnello che fu immolato è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione" Ap. 5,11. - Gesù è associato al Padre nella intima dimora in ogni fedele: "Se uno mi ama, osserverà la mia Parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui" Gv. 14,23.

(Teofilo)
00sabato 19 settembre 2009 22:09
L'INTERPRETAZIONE DELLA BIBBIA
La "DEI VERBUM" (n 12) insegna: "poichè Dio nella Sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini e alla maniera umana, l'interprete della Sacra Scrittura, per capire bene ciò che Egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione, che cosa gli agiografi in realtà abbiano inteso significare e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole.

Per ricavare le intenzioni degli Agiografi, si deve tener conto tra l'altro anche dei generi letterari. La verità infatti, viene diversamente proposta ed espressa nei testi in varia maniera storici, o profetici, o poetici, o con altri modi di dire. E' necessario dunque che l'interprete ricerchi il senso che l'agiografo intese di esprimere ed espresse in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso. Per comprendere infatti nel loro giusto valore ciò che l'autore sacro volle asserire nello scrivere, si deve fare debita attenzione sia agli abituali e originali modi di intendere, di esprimersi e di raccontare agenti ai tempi dell'agiografo, sia a quelli che allora erano in uso nei rapporti umani".

I generi letterari sono le forme di linguaggio con cui l'uomo si esprime, così il racconto, la poesia, la parabola. In tutte le letterature si trovano, ad esempio, gli storici, che narrano cose accadute con intenzione di dire la verità; i poeti, che in forma ritmica cantano idee, sentimenti e fatti; i moralisti, che intendono insegnare mediante frasi incisive o con parabole. Ognuno poi arricchisce il proprio stile con forme retoriche, quali il paradosso, l'ironia, l'iperbole, l'allegria, il paragone, ecc.

La Bibbia è piena di tutte queste cose. dal punto di vista letterario ed artistico la Bibbia può gareggiare con qualsiasi capolavoro delle altre letterature mondiali. Essa contiene anche innumerevoli profezie che predicono, spesso in forma velata e progressiva fatti che sarebbero avvenuti in un lontano avvenire.

Per questa originale indole profetica di alcuni brani biblici, troviamo nella Sacra Scrittura anche un'altra cosa del tutto estranea ai libri umani: il "tipo". Si chiamano "tipi" in linguaggio biblico quei personaggi, fatti o circostanze che furono intesi da Dio a prefigurare personaggi, fatti o circostanze future, che a loro volta si chiamano "antitipi".

Il serpente di bronzo è tipo della crocefissione di Gesù: "E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perchè chiunque crede in Lui abbia la vita eterna" (Gv 3,14 = Nm 21,4-9; Sap 16,5-7)

La permanenza di Giona nel ventre del mostro marino è immagine di Gesù nel sepolcro: "Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra" Mt 12,40 = Gn 2,1. La manna è figura dell'Eucarestia: "Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti.... Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno" Gv 6,48-51 = Es 16,4 ss. Elia è figura di Giovanni Battista: "e se lo volete accettare, Egli è quell'Elia che deve venire" Mt 11,14 = Mal 3,23 "ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore". Melchisedech è figura del Sacerdozio di Cristo: (Eb 7 = Gn 14,18 + Sal110,4 +Gn 14,17-20).

I libri biblici, pertanto, possono essere raggruppati in Storici - Profetici - Didattici.

L'interpretazione della Sacra Bibbia esige:

- una prudente indagine dello scopo inteso dall'autore

- una minuziosa conoscenza della lingua per stabilire il senso preciso della frase;

- non ci si può fermare su una sola frase, ignorando altri passi, che trattano dello stesso argomento

- la coerenza del passo biblico col contesto;

- il rispetto del contesto letterario e storico.













Atteggiamenti nei riguardi della interpretazione biblica:

Cattolico, Protestante, Razionalista.





1- CATTOLICO

I cattolici considerano la Sacra Bibbia come un complesso di libri ispirati, quindi infallibili. Nella Sua interpretazione si attengono alle direttiva del magistero della Chiesa.

a) Nelle cose attinenti alla fede si tiene calcolo delle verità già note = analogia della fede, o dell'insegnamento già anteriormente impartito e del concorde insegnamento dei Padri,

(tradizione)

b) Nelle cose non direttamente attinenti alla Fede, come certe questioni riguardanti l'autore o il tempo di origine di un dato libro, l'autorità della Chiesa proibisce qualunque teoria che si avventuri a conclusioni sbagliate, senza tener conto dei documenti o dati storici esistenti. Non è escluso, comunque, che uno studioso esponga i motivi che lo inducono a difendere una sua teoria.

Il risultato ottenuto dai Cattolici è della massima importanza: l'unità di insegnamento e di fede.



2- PROTESTANTE

I Protestanti considerano anch'essi la Sacra Bibbia come un complesso di libri ispirati ed infallibili, ma nella interpretazione seguono il principio del libero esame. A mano a mano che essi si sono allontanati da Lutero, si sono moltiplicate le sette dei Protestanti in contrasto fra di loro, anche sui punti più importanti. Lutero, per esempio. ammetteva la presenza di Gesù nell'Eucarestia, Zuinglio no; gli Anglicani ammettono sacerdozio, vescovi e liturgia, i Calvinisti no; Calvino e Lutero ammettevano la Santissima Trinità, l'inferno, la divinità di Cristo, l'esistenza di un'anima immortale nell'uomo, i Testimoni di Geova, no.

L'unico Libro da cui tutti sono partiti risulta alla fine in stridente e molteplice contraddizione con se stesso.



3- I Razionalisti.

I Razionalisti interpretano la Sacra Bibbia semplicemente come un libro umano, negando l'esistenza di Dio, la divinità di Cristo, la possibilità del miracolo, ecc.



Atteggiamento dei Testimoni di Geova e confutazione



1- Non rispettano il contesto della Sacra Bibbia;

2- Fanno uso delle frasi della Bibbia senza armonizzarli con le altre che trattano dello stesso

argomento;

3- Alterano dei passi Biblici;

4- Creano arbitrariamente dei tipi;

5- Fanno dire alla Bibbia quello che la Bibbia non dice.


Tutto questo con la pretesa che:


a) gli altri non conoscono la Bibbia

b) la Bibbia parli da se stessa

c) le loro interpretazioni siano rivelazione.





Missione protettrice di Lucifero

Ezechiele 28,12-14 "Tu eri un modello di perfezione pieno di sapienza, perfetto in bellezza; in Eden, giardino di Dio, tu eri coperto di ogni pietra preziosa: rubini, topazi, diamanti, crisalidi, onici .. , zaffiri, ...... e smeraldi; e d'oro era il lavoro dei tuoi ....... e delle tue legature, preparato il giorno in cui fosti creato. "Eri come un cherubino con le ali spiegate a difesa; io ti posi sul monte santo di Dio e camminavi in mezzo a pietre di fuoco"

... "Dio sia riconosciuto verace", (pag. 47); Contrariamente alla opinione di taluni, egli (Lucifero)non era una creatura brutta avente corna e coda, ma bellissima. La Sacra Bibbia lo descrive in Ez. 28,12-13. Nella sua qualità di figlio di Dio gli venne accordata una posizione di grande fiducia e responsabilità: quella cioè di custodire il genere umano. Il termine designato per questo ufficio era quello di cherubino unto protettore (Ez. 28,14).

Iddio aveva collocato la perfetta coppia umana nel giardino di Eden ed era compito dello spirito Lucifero di assisterli nell'ottemperare alle esigenze divine, di educarli nella loro relazione personale verso il Creatore. Perciò poteva essere detto di lui: "Tu eri in Eden".

Il profeta garantisce che le sue parole sono rivolte al re di Tiro: cfr Ez. 28,1:"mi fu rivolta questa parola del Signore: figlio dell'uomo, parla al principe di Tiro"; Ez. 28,11 "Mi fu rivolta questa parola del Signore: figlio dell'uomo, intona un lamento sul principe di Tiro e digli....."

Il vaticinio è parallelo a quello contro Sidone: Ez. 28,20-26: "Mi fu rivolta questa parola dal Signore: figlio dell'uomo volgiti verso Sidone e profetizza contro di essa....".

Il Genesi 3,8 ci descrive Dio in diretto rapporto con Adamo: "Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno .... il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse ....."

A Lucifero, spirituale, non si adattano quelle pietre preziose descritte nel v.13. Al v. 18 viene descritto quel gherubino (re di Tiro) incenerito sulla terra. "Ti ho ridotto in cenere sulla terra, sotto gli occhi di quanti ti guardano", mentre Lucifero, secondo i Testimoni di Geova, sarebbe stato scaraventato nel 1918.

Infine il cap. 28 di Ezechiele fa parte del gruppo degli "oracoli contro le nazioni": cap. 27 "ancora contro Tiro. cap. 28 contro Tiro, contro Sidone. cap. 29 contro l'Egitto.


Sfida di Satana contro Dio.


Con la caduta caduta dei Progenitori, Satana si permise di lanciare a Dio una sfida; Dio l'accettò e pur condannando a morte il diavolo, ne differì l'esecuzione ad altro tempo.

Da "protezione" pagg. 11-13: "Essendo riuscito ad allontanare Adamo ed Eva da Geova, il diavolo credette di avere la possibilità allontanare da Lui tutte le altre creature; perciò egli sfidò Dio a porre sulla terra un sol uomo che fosse capace di serbare la sua integrità verso di Lui quando fosse messo alla prova. Ebbe l'audacia di dichiarare di essere capace di indurre tutti gli uomini a rinnegare Dio in faccia. cfr Gb. 2,5 "Ma stendi un poco la mano e toccalo nell'osso e nella carne e vedrai come ............in faccia.

Quella sfida suscitò la questione della supremazia: l'Onnipotente Dio è egli supremo e la sua parola verace? Oppure potrà Satana sventare i suoi propositi? Naturalmente Dio avrebbe potuto dare immediata esecuzione alla sua sentenza di morte contro il Diavolo! E' piaciuto a Dio accettare la sfida dell'empio .... Geova sapeva perfettamente che al proprio tempo Satana sarebbe caduto e che tutte le creature avrebbero avuto l'opportunità di determinare da loro stessi qual'è la retta via, chi è che è giusto, e che pertanto ciascuna creatura avrebbe dovuto decidere del proprio eterno destino. Perciò Geova disse al Diavolo che lo avrebbe lasciato sussistere per mostrargli la sua potenza e perchè il suo nome fosse divulgato per tutta la terra (dai miei testimoni): cfr Es. 9,16 "invece ti ho lasciato vivere, per dimostrarti la mia potenza e per manifestare il mio nome in tutta la terra". Così Geova dichiarò nettamente ed esplicitamente che egli sospendeva la sentenza che egli sospendeva la sentenza di morte contro Satana permettendogli di mettere in opera tutta la sua potenza per cercare di sventare il proposito di Geova; che in seguito egli avrebbe mostrato supremazia manifestando la sua onnipotenza, facendo proclamare il suo gran nome attraverso tutta la terra. E' di capitale importanza tenere del continuo presente la questione suscitata dalla sfida di Satana ed il proposito espresso da Dio a tale riguardo. Per tal modo sarà possibile comprendere per qual motivo esistono sulla terra così numerose Religioni".

Il permesso lasciato da Dio al diavolo di tentare l'uomo è un fatto che la Bibbia documenta: Gn. 3. La sfida lanciata da Satana a dio è collocata dai Testimoni di Geova dopo l'allontanamento di Adamo ed Eva da Geova, ma essa è espressa con un passo tratto da Giobbe. Così il passo citato dall'Esodo non ha niente a che fare col Diavolo, ma si riferisce al Faraone d'Egitto che non voleva lascia partire Mosè col popolo d'Israele. La condanna a morte di Lucifero è una invenzione arbitraria che la Bibbia ignora nel modo più assoluto
(Teofilo)
00sabato 19 settembre 2009 22:11
ORIGINE, FINALITA E NATURA DEL PRIMATO PETRINO
Il Santo Padre ha scritto: «La Chiesa Cattolica è consapevole di aver conservato, in fedeltà alla Tradizione Apostolica e alla fede dei Padri, il ministero del Successore di Pietro(3). Esiste infatti una continuità lungo la storia della Chiesa nello sviluppo dottrinale sul Primato. Nel redigere il presente testo, che compare in appendice al suddetto volume degli Atti(4), la Congregazione per la Dottrina della Fede si è avvalsa dei contributi degli studiosi, che hanno preso parte al simposio, senza però intendere offrirne una sintesi né addentrarsi in questioni aperte a nuovi studi. Queste "Considerazioni" - a margine del Simposio - vogliono solo ricordare i punti essenziali della dottrina cattolica sul Primato, grande dono di Cristo alla sua Chiesa in quanto servizio necessario all'unità e che è stato anche spesso, come dimostra la storia, una difesa della libertà dei Vescovi e delle Chiese particolari di fronte alle ingerenze del potere politico.


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            Da: °Teofilo Inviato: 09/03/2003 16.19
            ORIGINE, FINALITA E NATURA DEL PRIMATO

            3. «Primo Simone, chiamato Pietro(5). Con questa significativa accentuazione della primazia di Simon Pietro, San Matteo introduce nel suo Vangelo la lista dei Dodici Apostoli, che anche negli altri due Vangeli sinottici e negli Atti inizia con il nome di Simone(6). Questo elenco, dotato di grande forza testimoniale, ed altri passi evangelici(7) mostrano con chiarezza e semplicità che il canone neotestamentario ha recepito le parole di Cristo relative a Pietro ed al suo ruolo nel gruppo dei Dodici(8). Perciò, già nelle prime comunità cristiane, come più tardi in tutta la Chiesa, l'immagine di Pietro è rimasta fissata come quella dell'Apostolo che, malgrado la sua debolezza umana, fu costituito espressamente da Cristo al primo posto fra i Dodici e chiamato a svolgere nella Chiesa una propria e specifica funzione. Egli è la roccia sulla quale Cristo edificherà la sua Chiesa(9); è colui che, una volta convertito, non verrà meno nella fede e confermerà i fratelli(10); è, infine, il Pastore che guiderà l'intera comunità dei discepoli del Signore(11).

            Nella figura, nella missione e nel ministero di Pietro, nella sua presenza e nella sua morte a Roma -attestate dalla più antica tradizione letteraria e archeologica- la Chiesa contempla una profonda realtà, che è in rapporto essenziale con il suo stesso mistero di comunione e di salvezza: «Ubi Petrus, ibi ergo Ecclesia(12). La Chiesa, fin dagli inizi e con crescente chiarezza, ha capito che come esiste la successione degli Apostoli nel ministero dei Vescovi, così anche il ministero dell'unità, affidato a Pietro, appartiene alla perenne struttura della Chiesa di Cristo e che questa successione è fissata nelle sede del suo martirio.

            4. Basandosi sulla testimonianza del Nuovo Testamento, la Chiesa Cattolica insegna, come dottrina di fede, che il Vescovo di Roma è Successore di Pietro nel suo servizio primaziale nella Chiesa universale(13); questa successione spiega la preminenza della Chiesa di Roma(14), arricchita anche dalla predicazione e dal martirio di San Paolo.

            Nel disegno divino sul Primato come «ufficio dal Signore concesso singolarmente a Pietro, il primo degli Apostoli, e da trasmettersi ai suoi successori(15), si manifesta già la finalità del carisma petrino, ovvero «l'unità di fede e di comunione(16) di tutti i credenti. Il Romano Pontefice infatti, quale Successore di Pietro, è «perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli(17), e perciò egli ha una grazia ministeriale specifica per servire quell'unità di fede e di comunione che è necessaria per il compimento della missione salvifica della Chiesa(18).
          
    

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            Da: °Teofilo Inviato: 09/03/2003 16.20
            5. La Costituzione Pastor aeternus del Concilio Vaticano I indicò nel prologo la finalità del Primato, dedicando poi il corpo del testo a esporre il contenuto o ámbito della sua potestà propria. Il Concilio Vaticano II, da parte sua, riaffermando e completando gli insegnamenti del Vaticano I(19) ha trattato principalmente il tema della finalità, con particolare attenzione al mistero della Chiesa come Corpus Ecclesiarum(20). Tale considerazione permise di mettere in rilievo con maggiore chiarezza che la funzione primaziale del Vescovo di Roma e la funzione degli altri Vescovi non si trovano in contrasto ma in un'originaria ed essenziale armonia(21).

            Perciò, «quando la Chiesa Cattolica afferma che la funzione del Vescovo di Roma risponde alla volontà di Cristo, essa non separa questa funzione dalla missione affidata all'insieme dei Vescovi, anch'essi "vicari e legati di Cristo" (Lumen gentium, n. 27). Il Vescovo di Roma appartiene al loro collegio ed essi sono i suoi fratelli nel ministero(22). Si deve anche affermare, reciprocamente, che la collegialità episcopale non si contrappone all'esercizio personale del Primato né lo deve relativizzare.

            6. Tutti i Vescovi sono soggetti della sollicitudo omnium Ecclesiarum(23) in quanto membri del Collegio episcopale che succede al Collegio degli Apostoli, di cui ha fatto parte anche la straordinaria figura di San Paolo. Questa dimensione universale della loro episkopè (sorveglianza) è inseparabile dalla dimensione particolare relativa agli uffici loro affidati(24). Nel caso del Vescovo di Roma -Vicario di Cristo al modo proprio di Pietro come Capo del Collegio dei Vescovi(25)-, la sollicitudo omnium Ecclesiarum acquista una forza particolare perché è accompagnata dalla piena e suprema potestà nella Chiesa(26): una potestà veramente episcopale, non solo suprema, piena e universale, ma anche immediata, su tutti, sia pastori che altri fedeli(27). Il ministero del Successore di Pietro, perciò, non è un servizio che raggiunge ogni Chiesa particolare dall'esterno, ma è iscritto nel cuore di ogni Chiesa particolare, nella quale «è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo(28), e per questo porta in sé l'apertura al ministero dell'unità. Questa interiorità del ministero del Vescovo di Roma a ogni Chiesa particolare è anche espressione della mutua interiorità tra Chiesa universale e Chiesa particolare(29).

            L'Episcopato e il Primato, reciprocamente connessi e inseparabili, sono d'istituzione divina. Storicamente sono sorte, per istituzione della Chiesa, forme di organizzazione ecclesiastica nelle quali si esercita pure un principio di primazia. In particolare, la Chiesa Cattolica è ben consapevole della funzione delle sedi apostoliche nella Chiesa antica, specialmente di quelle considerate Petrine -Antiochia ed Alessandria- quali punti di riferimento della Tradizione apostolica, intorno a cui si è sviluppato il sistema patriarcale; questo sistema appartiene alla guida della Provvidenza ordinaria di Dio sulla Chiesa, e reca in sé, dagli inizi, il nesso con la tradizione petrina(30).
          
    

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            Da: °Teofilo Inviato: 09/03/2003 16.21
            L'ESERCIZIO DEL PRIMATO E LE SUE MODALITA'

            7. L'esercizio del ministero petrino deve essere inteso -perché «nulla perda della sua autenticità e trasparenza(31)- a partire dal Vangelo, ovvero dal suo essenziale inserimento nel mistero salvifico di Cristo e nell'edificazione della Chiesa. Il Primato differisce nella propria essenza e nel proprio esercizio dagli uffici di governo vigenti nelle società umane(32): non è un ufficio di coordinamento o di presidenza, né si riduce ad un Primato d'onore, né può essere concepito come una monarchia di tipo politico.

            Il Romano Pontefice è -come tutti i fedeli- sottomesso alla Parola di Dio, alla fede cattolica ed è garante dell'obbedienza della Chiesa e, in questo senso, servus servorum. Egli non decide secondo il proprio arbitrio, ma dà voce alla volontà del Signore, che parla all'uomo nella Scrittura vissuta ed interpretata dalla Tradizione; in altri termini, la episkopè del Primato ha i limiti che procedono dalla legge divina e dall'inviolabile costituzione divina della Chiesa contenuta nella Rivelazione(33). Il Successore di Pietro è la roccia che, contro l'arbitrarietà e il conformismo, garantisce una rigorosa fedeltà alla Parola di Dio: ne segue anche il carattere martirologico del suo Primato.

            8. Le caratteristiche dell'esercizio del Primato devono essere comprese soprattutto a partire da due premesse fondamentali: l'unità dell'Episcopato e il carattere episcopale del Primato stesso. Essendo l'Episcopato una realtà «una e indivisa(34), il Primato del Papa comporta la facoltà di servire effettivamente l'unità di tutti i Vescovi e di tutti i fedeli, e «si esercita a svariati livelli, che riguardano la vigilanza sulla trasmissione della Parola, sulla celebrazione sacramentale e liturgica, sulla missione, sulla disciplina e sulla vita cristiana(35); a questi livelli, per volontà di Cristo, tutti nella Chiesa -i Vescovi e gli altri fedeli- debbono obbedienza al Successore di Pietro, il quale è anche garante della legittima diversità di riti, discipline e strutture ecclesiastiche tra Oriente ed Occidente.

            9. Il Primato del Vescovo di Roma, considerato il suo carattere episcopale, si esplica, in primo luogo, nella trasmissione della Parola di Dio; quindi esso include una specifica e particolare responsabilità nella missione evangelizzatrice(36), dato che la comunione ecclesiale è una realtà essenzialmente destinata ad espandersi: «Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda(37).

            Il compito episcopale che il Romano Pontefice ha nei confronti della trasmissione della Parola di Dio si estende anche all'interno di tutta la Chiesa. Come tale, esso è un ufficio magisteriale supremo e universale(38); è una funzione che implica un carisma: una speciale assistenza dello Spirito Santo al Successore di Pietro, che implica anche, in certi casi, la prerogativa dell'infallibilit(39). Come «tutte le Chiese sono in comunione piena e visibile, perché tutti i pastori sono in comunione con Pietro, e così nell'unità di Cristo(40), allo stesso modo i Vescovi sono testimoni della verità divina e cattolica quando insegnano in comunione con il Romano Pontefice(41).
          
    

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            Da: °Teofilo Inviato: 09/03/2003 16.22
            10. Insieme alla funzione magisteriale del Primato, la missione del Successore di Pietro su tutta la Chiesa comporta la facoltà di porre gli atti di governo ecclesiastico necessari o convenienti per promuovere e difendere l'unità di fede e di comunione; tra questi si consideri, ad esempio: dare il mandato per l'ordinazione di nuovi Vescovi, esigere da loro la professione di fede cattolica; aiutare tutti a mantenersi nella fede professata. Come è ovvio, vi sono molti altri possibili modi, più o meno contingenti, di svolgere questo servizio all'unità: emanare leggi per tutta la Chiesa, stabilire strutture pastorali a servizio di diverse Chiese particolari, dotare di forza vincolante le decisioni dei Concili particolari, approvare istituti religiosi sopradiocesani, ecc.Per il carattere supremo della potestà del Primato, non v'è alcuna istanza cui il Romano Pontefice debba rispondere giuridicamente dell'esercizio del dono ricevuto: «prima sedes a nemine iudicatur(42). Tuttavia, ciò non significa che il Papa abbia un potere assoluto. Ascoltare la voce delle Chiese è, infatti, un contrassegno del ministero dell'unità, una conseguenza anche dell'unità del Corpo episcopale e del sensus fidei dell'intero Popolo di Dio; e questo vincolo appare sostanzialmente dotato di maggior forza e sicurezza delle istanze giuridiche -ipotesi peraltro improponibile, perché priva di fondamento- alle quali il Romano Pontefice dovrebbe rispondere. L'ultima ed inderogabile responsabilità del Papa trova la migliore garanzia, da una parte, nel suo inserimento nella Tradizione e nella comunione fraterna e, dall'altra, nella fiducia nell'assistenza dello Spirito Santo che governa la Chiesa.

            11. L'unità della Chiesa, al servizio della quale si pone in modo singolare il ministero del Successore di Pietro, raggiunge la più alta espressione nel Sacrificio Eucaristico, il quale è centro e radice della comunione ecclesiale; comunione che si fonda anche necessariamente sull'unità dell'Episcopato. Perciò, «ogni celebrazione dell'Eucaristia è fatta in unione non solo con il proprio Vescovo ma anche con il Papa, con l'ordine episcopale, con tutto il clero e con l'intero popolo. Ogni valida celebrazione dell'Eucaristia esprime questa universale comunione con Pietro e con l'intera Chiesa, oppure oggettivamente la richiama(43), come nel caso delle Chiese che non sono in piena comunione con la Sede Apostolica.

            12. «La Chiesa pellegrinante, nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che appartengono all'età presente, porta la figura fugace di questo mondo(44). Anche per questo, l'immutabile natura del Primato del Successore di Pietro si è espressa storicamente attraverso modalità di esercizio adeguate alle circostanze di una Chiesa pellegrinante in questo mondo mutevole.

            I contenuti concreti del suo esercizio caratterizzano il ministero petrino nella misura in cui esprimono fedelmente l'applicazione alle circostanze di luogo e di tempo delle esigenze della finalità ultima che gli è propria (l'unità della Chiesa). La maggiore o minore estensione di tali contenuti concreti dipenderà in ogni epoca storica dalla necessitas Ecclesiae. Lo Spirito Santo aiuta la Chiesa a conoscere questa necessitas ed il Romano Pontefice, ascoltando la voce dello Spirito nelle Chiese, cerca la risposta e la offre quando e come lo ritiene opportuno.

            Di conseguenza, non è cercando il minimo di attribuzioni esercitate nella storia che si può determinare il nucleo della dottrina di fede sulle competenze del Primato. Perciò, il fatto che un determinato compito sia stato svolto dal Primato in una certa epoca non significa da solo che tale compito debba necessariamente essere sempre riservato al Romano Pontefice; e, viceversa, il solo fatto che una determinata funzione non sia stata esercitata in precedenza dal Papa non autorizza a concludere che tale funzione non possa in alcun modo esercitarsi in futuro come competenza del Primato.
          
    

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            Da: °Teofilo Inviato: 09/03/2003 16.23
            13. In ogni caso, è fondamentale affermare che il discernimento circa la congruenza tra la natura del ministero petrino e le eventuali modalità del suo esercizio è un discernimento da compiersi in Ecclesia, ossia sotto l'assistenza dello Spirito Santo e in dialogo fraterno del Romano Pontefice con gli altri Vescovi, secondo le esigenze concrete della Chiesa. Ma, allo stesso tempo, è chiaro che solo il Papa (o il Papa con il Concilio ecumenico) ha, come Successore di Pietro, l'autorità e la competenza per dire l'ultima parola sulle modalità di esercizio del proprio ministero pastorale nella Chiesa universale.

            14. Nel ricordare i punti essenziali della dottrina cattolica sul Primato del Successore di Pietro, la Congregazione per la Dottrina della Fede è certa che la riaffermazione autorevole di tali acquisizioni dottrinali offre maggior chiarezza sulla via da proseguire. Tale richiamo è utile, infatti, anche per evitare le ricadute sempre nuovamente possibili nelle parzialità e nelle unilateralità già respinte dalla Chiesa nel passato (febronianesimo, gallicanesimo, ultramontanismo, conciliarismo, ecc). E, soprattutto, vedendo il ministero del Servo dei servi di Dio come un grande dono della misericordia divina alla Chiesa, troveremo tutti -con la grazia dello Spirito Santo- lo slancio per vivere e custodire fedelmente l'effettiva e piena unione con il Romano Pontefice nel quotidiano camminare della Chiesa, secondo il modo voluto da Cristo(45).

            15. La piena comunione voluta dal Signore tra coloro che si confessano suoi discepoli richiede il riconoscimento comune di un ministero ecclesiale universale «nel quale tutti i Vescovi si riconoscano uniti in Cristo e tutti i fedeli trovino la conferma della propria fede(46). La Chiesa Cattolica professa che questo ministero è il ministero primaziale del Romano Pontefice, Successore di Pietro, e sostiene con umiltà e con fermezza «che la comunione delle Chiese particolari con la Chiesa di Roma, e dei loro Vescovi con il Vescovo di Roma, è un requisito essenziale -nel disegno di Dio- della comunione piena e visibile(47). Non sono mancati nella storia del Papato errori umani e mancanze anche gravi: Pietro stesso, infatti, riconosceva di essere peccatore(48). Pietro, uomo debole, fu eletto come roccia, proprio perché fosse palese che la vittoria è soltanto di Cristo e non risultato delle forze umane. Il Signore volle portare in vasi fragili(49) il proprio tesoro attraverso i tempi: così la fragilità umana è diventata segno della verità delle promesse divine.

            Quando e come si raggiungerà la tanto desiderata mèta dell'unità di tutti i cristiani? «Come ottenerlo? Con la speranza nello Spirito, che sa allontanare da noi gli spettri del passato e le memorie dolorose della separazione; Egli sa concederci lucidità, forza e coraggio per intraprendere i passi necessari, in modo che il nostro impegno sia sempre più autentico(50). Siamo tutti invitati ad affidarci allo Spirito Santo, ad affidarci a Cristo, affidandoci a Pietro.

            + JOSEPH Card. RATZINGER
            Prefetto

            + TARCISIO BERTONE
            Arcivescovo emerito di Vercelli
            Segretario
          
    

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            Da: °Teofilo Inviato: 09/03/2003 16.25
            Note relative al testo riportato sopra:

            (1) GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Ut unum sint, 25-V-1995, n. 95.

            (2) Il Primato del Successore di Pietro, Atti del Simposio teologico, Roma 2-4 dicembre 1996, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998.

            (3) GIOVANNI PAOLO II, Lettera al Cardinale Joseph Ratzinger,in Ibid, p. 20.

            (4) Il Primato del Successore di Pietro nel mistero della Chiesa, Considerazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede, in Ibid, Appendice, pp. 493-503. Il testo è pubblicato anche in un apposito fascicolo, edito dalla Libreria Editrice Vaticana.

            (5) Mt 10, 2.

            (6) Cfr. Mc 3, 16; Lc 6, 14; At 1, 13.

            (7) Cfr. Mt 14, 28-31; 16, 16-23 e par.; 19, 27-29 e par.; 26, 33-35 e par.; Lc 22, 32; Gv 1, 42; 6, 67-70; 13, 36-38; 21, 15-19.

            (8) La testimonianza per il ministero petrino si trova in tutte le espressioni, pur differenti, della tradizione neotestamentaria, sia nei Sinottici -qui con tratti diversi in Matteo e in Luca, come anche in San Marco-, sia nel corpo Paolino e nella tradizione Giovannea, sempre con elementi originali, differenti quanto agli aspetti narrativi ma profondamente concordanti nel significato essenziale. Questo è un segno che la realtà Petrina fu considerata come un dato costitutivo della Chiesa.

            (9) Cfr. Mt 16, 18.

            (10) Cfr. Lc 22, 32.

            (11) Cfr. Gv 21, 15-17. Sulla testimonianza neotestamentaria sul Primato, cfr. anche GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Ut unum sint, nn. 90 ss.

            (12) S. AMBROGIO DI MILANO, Enarr. in Ps., 40, 30: PL 14, 1134.

            (13) Cfr. ad esempio S. SIRICIO I, Lett. Directa ad decessorem, 10-II-385: Denz-Hün, n. 181; CONC. DI LIONE II, Professio fidei di Michele Paleologo, 6-VII-1274: Denz-Hün, n. 861; CLEMENTE VI, Lett. Super quibusdam, 29-IX-1351: Denz-Hün, n. 1053; CONC. DI FIRENZE, Bolla Laetentur caeli, 6-VII-1439: Denz-Hün, n. 1307; PIO IX, Lett. Enc. Qui pluribus, 9-XI-1846: Denz-Hün, n. 2781; CONC. VATICANO I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 2: Denz-Hün, nn. 3056-3058; CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, cap. III, nn. 21-23; CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, n. 882; ecc.

            (14) Cfr. S. IGNAZIO D'ANTIOCHIA, Epist. ad Romanos, Intr.: SChr 10, 106-107; S. IRENEO DI LIONE, Adversus haereses, III, 3, 2: SChr 211, 32-33.

            (15) CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 20.

            (16) CONC. VATICANO I, Cost. dogm. Pastor aeternus, proemio: Denz-Hün, n. 3051. Cfr. S. LEONE I MAGNO, Tract. in Natale eiusdem, IV, 2: CCL 138, p. 19.

            (17) CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 23. Cfr. CONC. VATICANO I, Cost. dogm. Pastor aeternus, proemio: Denz-Hün, n. 3051; GIOVANNI PAOLO II, Enc. Ut unum sint, n. 88. Cfr. PIO IX, Lett. del S. Uffizio ai Vescovi d'Inghilterra, 16-IX-1864: Denz-Hün, n. 2888; LEONE XIII, Lett. Enc. Satis cognitum, 29-VI-1896: Denz-Hün, nn. 3305-3310.

            (18) Cfr. Gv 17, 21-23; CONC. VATICANO II, Decr. Unitatis redintegratio, n. 1; PAOLO VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 8-XII-1975, n. 77: AAS 68 (1976) 69; GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 98.

            (19) Cfr. CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 18.

            (20) Cfr. ibidem, n. 23.

            (21) Cfr. CONC. VATICANO I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 3: Denz-Hün, n. 3061; cfr. Dichiarazione collettiva dei Vescovi tedeschi, genn.-febbr. 1875: Denz-Hün, nn. 3112-3113; LEONE XIII, Lett. Enc. Satis cognitum, 29-VI-1896: Denz-Hün, n. 3310; CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium , n. 27. Come spiegò PIO IX nell'Allocuzione dopo la promulgazione della Costituzione Pastor aeternus: «Summa ista Romani Pontificis auctoritas, Venerabiles Fratres, non opprimit sed adiuvat, non destruit sed aedificat, et saepissime confirmat in dignitate, unit in caritate, et Fratrum, scilicet Episcoporum, jura firmat atque tuetur» (Mansi 52, 1336 A/B).

            (22) GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 95.

            (23) 2 Cor 11, 28.

            (24) La priorità ontologica che la Chiesa universale, nel suo essenziale mistero, ha rispetto ad ogni singola Chiesa particolare (cfr. CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lett. Communionis notio, 28-V-1992, n. 9) sottolinea anche l'importanza della dimensione universale del ministero di ogni Vescovo.

            (25) Cfr. CONC. VATICANO I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 3: Denz-Hün, n. 3059; CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 22; cfr. CONC. DI FIRENZE, Bolla Laetentur caeli, 6-VII-1439: Denz-Hün, n. 1307.

            (26) Cfr. CONC. VATICANO I Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 3: Denz-Hün, nn. 3060.3064.

            (27) Cfr. Ibidem; CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 22.

            (28) CONC. VATICANO II, Decr. Christus Dominus, n. 11.

            (29) Cfr. CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lett. Communionis notio, n. 13.

            (30) Cfr. CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 23; Decr. Orientalium Ecclesiarum, nn. 7 e 9.

            (31) GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 93.

            (32) Cfr. ibidem, n. 94.

            (33) Cfr. Dichiarazione collettiva dei Vescovi tedeschi, genn.-febbr. 1875: Denz-Hün, n. 3114.

            (34) CONC. VATICANO I, Cost. dogm. Pastor aeternus, proemio: Denz-Hün, n. 3051.

            (35) GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 94.

            (36) Cfr. CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 23; LEONE XIII, Lett. Enc. Grande munus, 30-IX-1880: ASS 13 (1880) 145; CIC can. 782 § 1.

            (37) PAOLO VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, n. 14. Cfr. CIC can. 781.

            (38) Cfr. CONC. VATICANO I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 4: Denz-Hün, nn. 3065-3068.

            (39) Cfr. ibidem: Denz-Hün, nn. 3073-3074; CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 25; CIC can 749 § 1; CCEO can. 597 § 1.

            (40) GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 94.

            (41) Cfr. CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 25.

            (42) CIC, can. 1404; CCEO, can. 1058. Cfr. CONC. VATICANO I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 3: Denz-Hün, n. 3063.

            (43) CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lett. Communionis notio, n. 14. Cfr. CATECHI SMO DELLA CHIESA CATTOLICA, n. 1369.

            (44) CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 48.

            (45) Cfr. CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 15.

            (46) GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 97.

            (47) Ibidem.

            (48) Cfr. Lc 5, 8.

            (49) Cfr. 2 Cor 4, 7.

            (50) GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 102.
          
    

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            Da: 7978Pergamena Inviato: 28/03/2003 10.49
                  IL PUNTO La svolta dopo la «Ut unum sint»
                  Sul ruolo del primato si rivedono antichi veti
                  Elio Bromuri
                
                   
                  Nell'ambito del dialogo ecumenico non è più un tabù la questione del primato pontificio. Esso è divenuto oggetto di ricerca e di riflessione da parte dei teologi e dei pastori delle varie Chiese e confessioni cristiane. Accanto a posizioni ancora rigidamente contrapposte, specialmente dopo l'enciclica di Giovanni Paolo II Ut unum sint sono aumentate «aperture condizionate» sul tema, che pur sempre rimane un pesante scoglio nel cammino dei cristiani verso la unità visibile. Nell'enciclica il Papa propone «la preghiera di Cristo per la conversione, che è indispensabile a "Pietro" per poter servire i fratelli». Ed aggiunge: «Di cuore chiedo che partecipino a questa preghiera i fedeli della Chiesa cattolica e tutti i cristiani. Insieme a me, tutti preghino per questa conversione». Le reazioni a questa richiesta sono state varie, ma sostanzialmente attente alla ragione che sta al fondo del ministero petrino, che è il servizio all'unità della Chiesa. Come vi è un ministero di unità nell'ambito parrocchiale, e regionale, presbiteri e vescovi, così parrebbe pensabile un ministero di unità che riguardi la Chiesa universale (Pannenberg). Che questo compito venga assolto dalla Chiesa romana e dal suo vescovo fa parte della lunga storia del cristianesimo. L'affermazione del primato papale come «ministero di unità» viene condiviso da coloro che nell'ambito del movimento ecumenico, in particolare in seno alla commissione Fede e Costituzione, si sforzano di ripensare come possa divenire unità visibile l'intima comunione di grazia dei battezzati. La ricerca verte soprattutto sul modo di esercizio, sul valore da conferire a questo ruolo, se esso possa essere esercitato da una persona singola, se esso debba avere un potere giuridico o semplicemente un carattere rappresentativo e di onore. Si discute ancora in ambito ecumenico in che modo un primato papale possa essere armonizzato con l'assoluto primato del Vangelo e posto al suo servizio. Ci si domanda ancora se il «primato petrino» o «servizio petrino» sia parte costitutiva e necessaria della Chiesa oppure sia solo una funzione possibile in linea di principio. Alcune Chiese e confessioni cristiane rimangono dell'avviso che non c'è alcuno spazio, secondo la Scrittura, per una Chiesa che si proclami «madre e maestra» delle altre (valdesi), e un ecumenismo senza Papa sarebbe auspicabile, ma non è di poco conto osservare che molte delle accuse rivolte al Papa sono cadute e molti cristiani anche non cattolici hanno avuto esperienze di intensa comprensione e comunione con i cattolici che hanno fatto cadere gravi pregiudizi e condanne senza appello. Così come per i cattolici si sono aperte nuove prospettive di considerare il permanente ruolo di Pietro nella Chiesa. A questo si è giunti attraverso studi e ricerche impostati in stile e metodo ecumenici, che vuol dire ascoltando tutte le voci e mettendo sul tavolo tutte le ipotesi per confrontarle con la Parola e con la storia della Chiesa. Ma a ciò si è giunti anche attraverso il contatto diretto dei cristiani di ogni confessione con gli ultimi vescovi di Roma, e attraverso il dialogo interconfessionale che hanno permesso di superare le chiusure aprioristiche e i contrapposti fondamentalismi. Il primato può essere ricompreso come "dono di Dio per la comunione; ma il primato non è l'unico dono per la Koinonia. Nel piano di Dio il primato è uno strumento che rende capaci le chiese di vivere in modo autentico come Chiese sorelle nella comunione della Verità e dell'Agapé" (Tillard).

                  Da: Avvernire del 22.01.2000
                
          
    

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            Da: 7978Pergamena Inviato: 28/03/2003 10.58
            DOSSIER - Intervista a Luigi Accattoli, vaticanista del Corriere della Sera.

            IL PRIMATO DI GIOVANNI PAOLO II

            di Roberto Beretta

            da "Il Timone"


            Giovanni Paolo II privilegia il primato dell'annuncio, senza dimenticare quello di governo.
            E alcuni non cattolici sembrano capire la necessità di un riferimento unitario e personale
            per il mondo cristiano. Sul Primato, i cristiani sono più avanti di tanti teologi e giuristi.

            Come una specie di Diogene cristiano, col lanternino di un buon giornalismo "cerca fatti di Vangelo" perché "non si vergogna del Vangelo" (così i titoli dei libri in cui ha raccolto storie di perdono, di martirio e d'impensabile eroismo cristiano in tutt'ltalia). Come una sorta di sobrio apologeta fa da vent'anni il vaticanista al Corriere della Sera: cercando di contrastare, col puntuale riscontro del cronista, i luoghi comuni del più importante quotidiano italiano sulla Chiesa-centro-di-potere, sui cattolici sempre "pro" o "contro" questo e quello, sul Papa dipinto di volta in volta "di destra" o "di sinistra"...

            Già: il Papa. Luigi Accattoli, classe 1943, 5 figli, ha seguito tutti i viaggi di Giovanni Paolo II ed è divenuto uno dei suoi più competenti biografi; ha scritto almeno 3 o 4 volumi su di lui, in uno dei quali ha annotato: "Con la sua libertà di parola, Giovanni Paolo II ci ha mostrato come l'autorità più antica che vi sia al mondo (il papato) possa parlare oggi... Egli ci ha dato un'idea di quale potrebbe essere, in futuro, la funzione davvero ecumenica di un Papa che rivendichi solo per il Vangelo il suo Primato rispetto a ogni altra istanza cristiana per farlo risuonare sul mondo a nome di tutti".

            Allora, Accattoli: possiamo sostenere che con Giovanni Paolo II il "primato petrino" ha assunto una funzione inedita?
            "Possiamo dire che Giovanni Paolo II ha spostato il baricentro del "ministero petrino" dalla funzione di governo a quella di annuncio; senza ovviamente dimenticare la prima. Ogni Papa realizza una personale combinazione delle due funzioni, e con questo pontificato abbiamo visto una netta prevalenza della seconda. Il primato viene interpretato in ordine alla missione, all'evangelizzazione, non al potere gerarchico".

            Che cosa intende dire?
            "Beh, due secoli fa i Papi semplicemente "governavano" la Chiesa: raramente tenevano discorsi diretti al "mondo", parlavano tutt'al più in concistoro e prendevano decisioni interne. Dalla metà del Settecento invece cominciano a parlare e a scrivere encicliche, diventano annunciatori diretti. Direi che questa funzione si accentua a partire da Pio IX e sempre più in questo secolo. Giovanni Paolo II si aggiunge a questa crescita facendosi missionario fino ai confini della terra. Con lui i viaggi sono diventati un elemento ordinario del magistero petrino e contemporaneamente si è registrata una contrazione dell'impegno personale del Papa nel governo spicciolo di Curia. Non potendo fare tutto, Wojtyla ha scelto di privilegiare il messaggio. Questa è una novità molto forte e probabilmente destinata a durare, perché in futuro si predicherà sempre più il Vangelo come primo annuncio in una società che s'allontana dalla tradizione cristiana. Il ministero petrino, insomma, torna alle origini: a Pietro, l'apostolo che porta il Vangelo ai confini del mondo".

            È curioso che proprio questo Papa, giudicato all'inizio come un "uomo forte" venuto dall'Est, sia poi diventato un testimone che galvanizza le folle più che un governante dal pugno di ferro...
            "No, per me non è strano. È proprio dalla sua biografia, infatti, che viene lo spunto missionario. Karol Wojtyla è cresciuto in una condizione difficile, limitata per la predicazione, e pertanto si preoccupa che si sfruttino pienamente le possibilità dell'annuncio. E dà l'esempio".

            Di solito il primato papale è considerato un ostacolo al dialogo ecumenico. E se invece fosse una possibilità in più?
            "Per il momento oggettivamente è ancora sentito come una difficoltà dalle altre confessioni cristiane. Ma soggettivamente cresce la consapevolezza, nei protagonisti del dialogo, dell'utilità o addirittura della necessità di un punto di riferimento unitario e personale nella comunione tra le Chiese: non tutto può essere ridotto ad organismi collegiali o ad assemblee elettive, ci vuole anche qualcuno che possa parlare e agire in persona dell'intera Chiesa. La traduzione giuridica, normativa di questa intuizione è ancora lontana, però di fatto il primato del Papa è sempre più esercitato in tutta la cristianità".

            Qualche esempio?
            "Ho presente certe riviste ortodosse e alcuni documenti ecumenici in cui è esposta l'idea di un Papa "portavoce" di tutti i cristiani, utile per superare le divisioni nazionalistiche tra le Chiese o come punto di vista al di là degli interessi particolari. Seguendo i viaggi papali ho notato una buona accoglienza popolare tra gli ortodossi in Libano, Romania e Georgia; a Bucarest la gente gridava: "Unitade, unitade...". Nel mondo protestante le cose sono più facili, soprattutto in certe nazioni come Canada, Australia o Nuova Zelanda (meno in Europa, dove si sente ancora il segno delle rivalità storiche). Ricordo molto bene il calore di assemblee e liturgie ecumeniche dove Giovanni Paolo II poteva dare la benedizione senza provocare nessuno scandalo tra i presenti. Penso che, con altri viaggi e grazie a nuove esperienze di ospitalità, quest'accettazione della figura papale crescerà dappertutto, forse più in fretta di quanto non aumenterà l'accordo tra i teologi e i giuristi".

            Quindi un "primato ecumenico" di fatto c'è già.
            "Sì, di fatto questa funzione comune del Papa di fronte al mondo si svolge già. Giovanni Paolo II ha già parlato alcune volte a nome di tutti i cristiani, anche se non era delegato da nessuno. È avvenuto per esempio durante la guerra del Golfo o quella del Kosovo e sulla questione del debito internazionale. Wojtyla diceva le medesime cose del Consiglio ecumenico delle Chiese, ma con una capacità di farsi ascoltare incomparabilmente maggiore; e tutti si sentivano rappresentati da lui. Di più: una volta, durante un incontro ecumenico, ha parlato esplicitamente "in nome della Chiesa cattolica e - così diceva - forse a nome di tutti....". Lo stesso è accaduto davanti al Muro del Pianto: lì oggettivamente il Papa, di fronte agli ebrei, rappresentava  tutto il mondo cristiano. O accade ogni volta che il Pontefice fa un discorso all'Onu: la maggioranza di quelli che l'ascoltano, infatti, non sono in grado di distinguere se parla un cattolico o un protestante, ma lo considera semplicemente come il maggior esponente del mondo cristiano".

            Ma il senso del primato oggi, così come lo interpreta il Papa, è quello del "primus inter pares", oppure lei individua novità?
            "No, nelle parole o nelle formule non trovo novità. Ce ne sono invece parecchie nei gesti. Ricordo la liturgia ecumenica a Canterbury insieme al Primate anglicano: due sedie uguali, leggermente rivolte al centro dell'assemblea, avendo tutt'e due sopra di sé il trono col libro dei Vangeli. E così in tanti incontri ecumenici, dove il Papa si presenta come un ospite senza pretendere una distinzione di posizione. E questa capacità di scendere dal trono è sempre ben apprezzata".

            Già. Ma poi non si perde l'idea stessa di primato?
            "Certamente si ridimensiona. Però l'intenzione è di riportare il primato alle giuste proporzioni, rispetto all'ingigantimento cui la storia degli ultimi secoli l'aveva condotto, non certo di perderlo. Salvare insomma la sostanza vera del ministero petrino, liberandolo dall'ingrandimento un po' rigido e burocratico che lo aveva appesantito. È il tema della Ut unum sint, il documento più coraggioso del pontificato sotto questo punto di vista". 
          
(Teofilo)
00sabato 19 settembre 2009 22:14
LA BIBBIA E LA TRADIZIONE



Tradizione = trasmissione di una cosa (dottrina) da una persona all'altra. La tradizione di dottrina si può fare tanto oralmente quanto per iscritto. "Perciò, fratelli, state saldi e mantenete le tradizioni che avete apprese così della nostra parola, come dalla nostra lettera" (2 Tess 2,15).

Quando i Cattolici si appellano alla tradizione, come fonte di rivelazione, intendono parlare di quella dottrina che non è scritta nella Bibbia, ma che agli inizi fu trasmessa oralmente e ben presto fu fissata per iscritto, per meglio conservare la memoria. La tradizione può essere umana o divina, secondo che l'autore è stato l'uomo oppure Dio.

Quando Dio comunica una Rivelazione agli uomini senza dare l'espresso ordine di scriverla, questa è una vera e propria Tradizione. La trasmissione successiva di quella data rivelazione può farsi oralmente o per iscritto: quello che importa è che la Rivelazione parta da Dio.

Quale tradizione Cattolica non si deve intendere ogni tradizione esistente nella Chiesa, ma solo quella che riguarda la Fede e la Morale. La tradizione ufficiale della Chiesa quale fonte di Rivelazione è rappresentata da quel complesso di verità che sempre e da tutte le testimonianze ecclesiastiche sono state presentate quale oggetto da credere e programma pratico da vivere.

Soltanto nelle prime decadi dell'era cristiana si tramandarono a viva voce le cose appartenenti alla fede: in seguito si fissarono per iscritto. Grazie a questi documenti scritti ci è lecito scoprire sicuramente quale sia stato l'insegnamento della chiesa attraverso i tempi.

Le principali fonti dellla Tradizione cattolica sono:

a) Simboli o professioni di fede. Il più antico e più noto è quello che risale al tempo degli Apostoli = Simbolo Apostolico; seguono quello Niceno-Costantinopolitano (325 d.c.) e (381d.c.) (Concilio di Nicea e di Costantinopoli).

b) Liturgia della messa

c) Concili

d) Padri della Chiesa,dalle seguenti note: dottrina ortodossa, santità di vita, riconoscimento della chiesa, antichità; l'epoca dei Padri è ritenuta chiusa in Oriente con S. Giovanni Damasceno (749) e in occidente con S. Isidoro di Siviglia (636). La "Dei Verbum" insegna che la predicazione apostolica, che è espressa in modo speciale nei libri ispirasti, doveva essere conservata con successione continua fino alla fine dei tempi. Gli Apostoli perciò, trasmettendo ciò che essi stessi avevano ricevuto, ammoniscono i fedeli di attenersi alle tradizioni che avevano appreso sia a voce che per lettera (cfr 2Tess 2,15) e di combattere per quella fede che era stata ad essi trasmessa una volta per sempre: "Carissimi, avevo un grande desiderio di scrivervi riguardo alla salvezza, ma sono stato costretto a farlo per esortarvi a combattere per la fede, che fu trasmessa ai credenti una volta per tutte" (Ind 3).

Ciò che fu trasmesso dagli Apostoli, poi, comprende tutto quanto contribuisce alla condotta santa del popolo di Dio e all'incremento della fede, e così, la Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede. Questa tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l'assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità.

Le asserzioni dei Padri attestano la vivificante presenza di questa tradizione, le cui ricchezze sono trasfuse nella pratica e nella vita della Chiesa che crede e che prega. E' la stessa tradizione che fa conoscere alla Chiesa l'intero canone dei Libri Sacri e in essa fa più profondamente comprendere e rende ininterrottamente operanti le stesse Sacre Lettere. La Sacra Tradizione dunque e la Sacra Scrittura sono strettamente tra loro congiunte e comunicanti.

Poichè ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo qual modo una cosa sola e tendono allo stesso fine. Infatti la Sacra Scrittura è Parola di Dio, affidata da Cristo e dallo Spirito Santo agli Apostoli, viene trasmessa integralmente dalla sacra Tradizione ai loro successori, affinchè questi, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongono e la diffondano; accade così che la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura. Perciò l'una e l'altra devono essere accettate con pari sentimento di pietà e riverenza.

La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa. La predicazione di Gesù fu una esposizione orale. Gesù ha predicato e non ha scritto. Ai suoi Apostoli ingiunge di predicare e non di scrivere: "Andate dunque ed ammaestrate tutte le nazioni" (Mt 28,18). Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15). "Nel mio nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati" (Lc 24,47): "Io ho dato a loro la tua parola" (Gv 17,14).

Gli Apostoli per vari anni (15 o 20) predicarono il vangelo: "Allora essi partirono e predicavano dappertutto" (Mc 16,20); "Allora Pietro, levatosi in piedi con gli altri undici, parlò a voce alta" (At 2,14) "Vedendo ciò, Pietro disse al popolo ...." (At 3,12); "Stavano ancora parlando al popolo, quando...." (At 4,1) "E ogni giorno, nel tempio e a casa, non cessarono di insegnare e di portare il lieto annuncio" (At 5,42). Il vangelo e gli Atti riassumono l'attività degli Apostoli designandola una predicazione.

Il messaggio di Gesù è dunque garantita da una autorità viva, parlante e non fissata in un codice. La esplicita ingiunzione da parte di Dio di porre in iscritto la troviamo soltanto nell'Apocalisse (dopo circa 60 anni dalla morte di Cristo) ed a proposito di una dottrina particolare: "Poi udii una voce dal cielo che diceva: Scrivi: beati d'ora in poi, i morti che muoiono nel Signore. Sì dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche, perchè le loro opere li seguono, (Ap 14,13)

La composizione scritta dei vangeli è cominciata almeno 20 anni dopo la morte di Gesù e S. Giovanni scrisse dopo circa 60 anni, mentre la dottrina era gi° stata predicata ed annunziava la remissione dei peccati e la salvezza per la fede in questo vangelo predicato: "Pietro disse: pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati" At 2,38.

Le lettere degli Apostoli furono destinate a chiese particolari ed occasionate da circostanze accidentali. Sarebbe sbagliato supporre che i destinatari delle lettere di S. Paolo conoscessero solo la dottrina esposta in esse. Tali lettere sono a Chiesa già costituita (ad esempio Filippesi, Colossesi, Efesini) o a persone nel pieno esercizio della loro autorità (Tito, Timoteo). Nelle lettere non vi sono allusioni a vangeli scritti, eppure i fatti principali della vita del Signore erano divulgati già. Le lettere suppongono noto tutto il materiale evangelico, senza che ne diano la minima citazione diretta.

Durante questo periodo di predicazione apostolica sorgono le chiese organizzate con i loro Vescovi e Presbiteri; si va formando una ben precisa organizzazione che sostituisce l'autorità viva degli Apostoli: all'autorità viva degli Apostoli, succede un'altra autorità viva, quella dei Vescovi e dei Presbiteri. E' questa autorità viva che deve vigilare, redarguire, combattere ed istruire: "Ti scongiuro: annunzia la Parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina..... vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero" 2 Tim 2,2-5.

Perchè non accada quello che Pietro lamenta nella sua lettera 2 Pt 3,16 "gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre letture" è necessaria un'autorità viva. Entriamo così nel periodo immediatamente posteriore agli Apostoli: è una successione di persone vive che riceve il messaggio apostolico e lo trasmette alle generazioni seguenti. E' vero che le generazioni immediatamente successive agli Apostoli hanno discusso sul messaggio di Gesù, fino ad arrivare alle eresie, nella sua interpretazione errata, ma è pur vero che mai hanno contestato la leggittimità del trapasso di autorità dagli Apostoli ad altri.

La trasmissione dunque del messaggio evangelico da Gesù agli Apostoli e dagli Apostoli ai loro successori ed incaricati è una trasmissione viva imperniata su una autorità.

Per poter dubitare della Tradizione Cattolica bisognerebbe che essa fosse storicamente disgiunta dall'epoca apostolica (come per esempio è quella sia dei Protestanti e sia dei Testimoni di Geova).

La promessa assistenza fino alla fine dei secoli fatta da Gesù Mt 28,20 garantisce che Egli avrebbe impedito che tale Autorità erri nella formazione ed interpretazione della sua Tradizione.

Poichè la promessa di Gesù fu fatta ad autorità viva (Apostoli) e poichè gli Apostoli affidarono ad altri vivi l'espresso incarico di continuare la loro opera, bisogna concludere che la promessa dell'assistenza di Gesù è legata soltanto a questo genere di successione sancito dagli Apostoli.

E' vero che durante il primo secolo compaiono i vangeli, ma in nessuno di essi e in nessun altro libro del N.T. si dice che essi soli debbano valere come norma di fede. La loro composizione non annulla la successione vivente di cui si è parlato finora.

Abbiamo inoltre alcuni accenni di S. Paolo che accertano l'esistenza di una tradizione orale a cui l'Apostolo stesso si appella. In Rm 10.17 dice: "la fede nasce dalla parola"; "Fratelli, ritenete salde le tradizioni che avete ricevuto tanto dalla nostra viva voce, quanto per mezzo della nostra lettera" 2 Tess 2,15.

Egli stesso, chiamato per ultimo all'apostolato, si sente vincolato alla tradizione che risale ai primi Apostoli: "Poichè io vi ho prima di tutto trasmesso ciò che io stesso ho ricevuto" 1 Cor 15,3. "Vi lodo poi perchè in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse" 1 Cor 11,2. "Vi ordiniamo pertanto, fratelli, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, di tenersi lontani da ogni fratello che si comporta in maniera indisciplinata e non secondo la tradizione che ha ricevuto da noi" 2 Tess 3,6. "Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso...." 1 Cor 11,23. "Molte cose avrei da scrivervi, ma non ho voluto farlo per mezzo di carta e inchiostro; ho speranza di venire da voi e poter parlare a viva voce" 2 Gv 12.
(Teofilo)
00sabato 19 settembre 2009 22:16
IL CANONE BIBLICO
a) Trasmissione del Testo Sacro

b) Numero dei libri componenti la Bibbia.



TRASMISSIONE DEL TESTO

"Bibbia" = libri = raccolta di vari libri. A partire da Mosè (circa 1500 anni prima di Cristo) fino a S. Giovanni Evangelista, che scrisse l'Apocalisse verso il 90 dopo Cristo, trascorsero più di 1600 anni, durante i quali furono composti tutti i libri sia del V.T. come del N.T.

Il V.T. fu composto in massima parte in ebraico, alcuni libri furono scritti in greco, alcune parti in aramaico. Il N.T. (ad eccezione del vangelo di Matteo, che fu scritto originariamente in aramaico) è tutto in greco.

Prima della invenzione della stampa (1450 d.c.) i libri (e quindi la Bibbia) venivano scritti a mano: i documenti (o copie) si chiamavano "manoscritti"; chi li trascriveva si chiamavano "amanuensi". Materia adoperata : Papiro o pergamena. Tali documenti vengono chiamati "codici".

Cosa ci dà la sicurezza che il testo greco, aramaico o ebraico nelle nostre mani sia identico a quello che uscì dalle mani degli Autori sacri?

La scienza critica raccoglie tutti i manoscritti esistenti, che attraverso i secoli si sono moltiplicati dipendendo l'uno dall'altro. La scienza critica esamina questi manoscritti, li cataloga, li confronta, ne mostra le reciproche dipendenze o somiglianze, ne nota le differenze ed arriva alla ricomposizione di un testo corretto degli errori. Lavorando così a ritroso, si arriva per quanto è possibile fino all'età di composizione del testo sacro.

I testimoni di Geova riconoscono e sfruttano questo lavoro di trascrizione dei codici e del loro confronto critico. In "La verità vi farà liberi", al cap. XVI, pag. 211 :L'opera di scrivere gli ispirati o canonici libri delle Scritture in linguaggio greco fu compiuta quando Giovanni scrisse il suo libro. Così il canone (cioè le Scritture autoritative) fu terminato, non solo in riguardo alle scritture greche, ma anche dell'intera Bibbia ..... Nessuno degli scritti originali autografi di questi libri ispirati da Dio sono oggi in esistenza, ma il grande Autore della "verace scrittura" cagiona la manifattura di altre copie in esatto accordo con le originali. Gli Ebrei o Giudei esercitarono la più scrupolosa cura nella fedele copiatura e nella preservazione delle scritture ebraiche". Pag. 213 "I cristiani furono i primi a specializzarsi non in rotoli, ma in manoscritti in forma di libri, con le pagine e le copertine" Pag. 217 "Nei susseguenti secoli vi fu molta sapiente investigazione e critica degli originali manoscritti della Bibbia in lingua greca, per ottenere il corretto o accurato testo come quello scritto dagli Apostoli e dai loro compagni".

Nessuno, tanto meno i cattolici, mette in dubbio che l'autore della Bibbia sia Dio. Non si fa questione dell'autore della Bibbia, ma della sua trasmissione.

Tutti i manoscritti del N.T. che vanno dal sec. IV al sec. IX sono stati composti solo nella Chiesa Cattolica, perchè in quel periodo i protestanti (sorti nel sec. XVI) ed i Testimoni di Geova apparsi nel sec. XIX non erano ancora nati. Gli Ebrei, da parte loro, non provvedevano certo alla trascrizione del N.T., in quanto questo a loro non interessava.

I "cristiani" citati a pag. 213, quali specialisti nel comporre codici, altri non potevano essere che Cristiani Cattolici.

I codici, dunque, su cui è stato ricostruito il testo biblico, appartengono alla tradizione Cattolica. Sbagliano i protestanti ed i Testimoni di Geova a pretendere di collegarsi con i tempi Apostolici, perchè, per fare questo, o devono accettare il materiale della tradizione cattolica (e allora riconoscono la tradizione cattolica) o la debbono rinnegare (ed allora non Hanno più il modo di ricostruire la Bibbia)





NUMERO DEI LIBRI COMPONENTI LA .BIBBIA

(CANONE)



La parola Greca "canone" significa "regola" "norma". Fu impiegata sin dal sec. IV per designare la collezione dei libri sacri della Bibbia. Da allora si parla di libri canonici, in contrapposizione ai non canonici, a seconda che facciano parte o no della suddetta collezione o canone.

I termini protocanonici e deuterocanonici risalgono al sec. XVI ed indicano, tra i libri che compongono il canone del V.T., la distinzione di quelli che concordemente furono riconosciuti datutti come facenti parte della collezione, da quelli sul cui carattere ispirato era sorto qualche dubbio lungo i secoli.


CANONE DEL VECCHIO TESTAMENTO


La divergenza sulla canonicità dei libri del V.T. risale al sec. I d.c. e la si trova presso i Giudei. Lo storico Flavio Giuseppe (contra opionem 5,8-9) tramanda, senza nominare esplicitamente i singoli titoli, un canone che escludeva i libri deuterocanonici; d'altra parte, la versione greca, detta dei SETTANTA, fatta da Giudei Alessandrini qualche secolo prima di Cristo, contiene anche i libri deuterocanonici.

Ciò dimostra che tali libri venivano letti nelle adunanze della sinagoga e considerati ispirati.

I Giudei che escludevano dal Canone i libri deuterocanonici ritenevano quali requisiti indispensabili di un libro sacro:

a) la lingua ebraica

b) la qualità profetica dell'autore supposto anteriore ad Esdra;

c) l'origine palestinese del libro.

Tale criterio non era condiviso dai Giudei ellenizzati della diaspora, che leggevano generalmente la Bibbia nella versione greca. Del resto non mancano indizi per supporre che anche presso i Giudei palestinesi in un primo tempo questi libri, specialmente i più antichi, fossero ammessi. I Giudei della diaspora, infatti, dovettero ricevere certamente, in origine, il loro canone dai correligionari della Palestina, e quindi ricevettero da essi anche i libri deuterocanonici. Quando però più tardi, per il rigorismo degli scribi palestinesi, prevalsero i requisiti sopra esposti il canone fu ridotto ai soli protocanonici, anche gli alessandrini accolsero tale sentenza, ripudiando l'antica versione dei settanta.

Gesù Cristo e gli Apostoli non hanno lasciato un catalogo ufficiale dei libri ispirati canonici, ma dalle loro allusioni conservate nel N.T. e dall'uso frequente della versione dei settanta, risulta in pratica che ritenevano per ispirati anche i deuterocanonici.

Anche i più antichi Padri della Chiesa, citano ed usano indifferentemente le due serie di libri (Clemente Romano, Ippolito, Ireneo, Tertulliano, Clemente Alessandrino, Cipriano). Di modo che per i primi due secoli non risulta alcuna incertezza circa l'ispirazione e l'autorità dei libri deuterocanonici. Solo verso la fine del sec. II, le controversie frequenti con i Giudei, che ormai concordemente rigettavano i libri deuterocanonici, condussero gli apologeti a non desumere i loro argomenti da questi scritti non ammessi dai loro avversari.

Si trattava perciò di una norma pratica da seguire più che di un principio teorico.

Origene per esempio riferisce il canone dei Giudei, tuttavia usa i deuterocanonici come libri ispirati. Così Atanasio, Cirillo di Gerusalemme, Epifanio, Gregorio di Bisanzio, nelle cui opere non è difficile ritrovare citazioni di deuterocanonici come libri ispirati.

Cominciò allora a circolare presso i Greci una distinzione dei libri della Bibbia:

a) libri certi ammessi da tutti = omologumena;

b) libri controversi =antilegomena (deuterocanonici)

c) libri apocrifi o spuri.

Nella Chiesa Latina, dopo il suo ritorno dall'oriente, S. Girolamo si attenne al canone giudaico.

La grande maggioranza degli scrittori latini mantenne categoricamente l'ispirazione e la canonicità dei libri controversi. Rappresentante di questa opinione fu Agostino che conservò la genuina tradizione della Chiesa con l'opera personale e con proclamazioni conciliari da lui promosse.

Lutero, pur rispettando la tradizione ecclesiastica, manifestò una certa esitazione nel ripudiare i deuterocanonici e si accontentò di relegarli in fondo alla sua traduzione.


CANONE DEL NUOVO TESTAMENTO



Nel N.T. spesso gli autori stessi ispirati indicano l'occasione e altre circostanze che causavano la compilazione dello scritto; troviamo anche chiari accenni alla formazione di collezioni più o meno ampia, contenenti almeno una parte degli scritti apostolici.

AT 1,1-2 "Nel mio primo libro ho già trattato, o Teofilo di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio, fino al giorno in cui, dopo aver dato istruzioni agli apostoli che si era scelti nello Spirito Santo, egli fu assunto in cielo". 2 Pt 3,15-16 "La magnanimità del Signore nostro giudicatela come salvezza, come anche il nostro carissimo fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; così egli fa in tutte le lettere, in cui tratta di queste cose. In esse ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre scritture, per loro propria rovina"

I Padri apostolici non hanno tramandato un catalogo completo dei libri componenti il N.T.; spesso anche nelle loro citazioni, fatte più a senso che letteralmente, è difficile stabilire con esattezza il libro a cui si riferiscono; tuttavia il numero sempre più esteso di tali citazioni, più o meno dirette, ci permette di ritenere che vi fosse un corpus completo almeno degli scritti di S. Paolo.

Una prova che presso i primi cristiani già fosse in uso un canone dei libri del nuovo testamento è la reazione sorta contro Marcione, quando questi volle redigere un'altro secondo principi suoi personali ed eterodossi dalle repliche di Ireneo, Tertulliano, Ippolito, appare chiaro che Marcione non fu il primo a fissare una collezione di scritti ispirati, ma solo un riformatore del canone comune secondo le sue idee particolari. Risale a quest'epoca (circa 170-80) un documento nella chiesa romana importantissimo per la storia del canone del N.T., cioè il frammento o canone muratoriano, scoperto da L. A. Muratori nel 1740: esso testimonia che erano riconosciuti ispirati 4 vangeli, 13 lettere di S. Paolo non parla di quella agli Ebrei, gli Atti degli Apostoli, due o tre lettere di Giovanni, la lettera di Giuda, l'Apocalisse, e forse due lettere di Pietro.

I dissensi sulla canonicità di alcuni libri (non riportati nel canone muratoriano), si appianarono a poco a poco, specialmente per l'insegnamento dei grandi dottori, quali Girolamo ed Agostino e per il pronunciamento dei concili di Ippona (393) e di Cartagine (397 e 419).

Lutero da principio avversò la lettera di Giacomo perchè contraria al suo caposaldo teologico della salvezza per la sola fede.

In seguito si tornò ad ammettere i libri discussi, di modo che dal sec. XVII in poi non ci fu alcuna differenza per il canone del N.T. fra cattolici e protestanti.


CANONE CATTOLICO DEL VECCHIO TESTAMENTO



Libri Storici Libri Didattici Libri Profetici


1) Genesi 22) Giobbe 29) Isaia

2) Esodo 23) Salmi 30) Geremia

3) Levitico 24) Proverbi 31) Lamentazioni

4) Numeri 25) Ecclesiaste o Qoèlet 32) Baruc

5) Deuteronomio 26) Cantico dei Cantici 33) Ezechiele

6) Giosuè 27) Sapienza 34) Daniele

7) Giudici 28) Ecclesiastico o Siracide 35) Osea

8) Ruth 36) Gioele

9) I Samuele o I dei Re 37) Amos

10) II Samuele o II dei Re 38) Abdia

11) I dei Re o III dei Re 39) Giona

12) II dei re o IV dei Re 40) Michea

13) I Cronache o I Paralipomeni 41) Nahum

14) II Cronache o II Paralipomeni 42) Abacuc

15) Esdra 43) Sofonia

16) Neemia o II Esdra 44) Aggeo

17) I Maccabei 45) Zaccaria

18) II Maccabei 46) Malachia

19) Tobia

20) Giuditta

21) Ester








CANONE DEL NUOVO TESTAMENTO

Libri Storici

1) Vangelo di Matteo 2) Vangelo di Marco 3) Vangelo di Luca 4) Vangelo di Giovanni

5) Atti degli Apostoli.

Libri Didattici

6) Lettera ai Romani 7) Prima lettera ai Corinti 8) Seconda lettera ai Corinti 9) Lettera ai Galati 10) Lettera agli Efesini 11) Lettera ai Filippesi 12) Lettera ai Colossesi 13) Prima lettera ai Tessalonicesi 14) Seconda lettera ai Tessalonicesi 15) Prima lettera a Timoteo 16) Seconda lettera a Timoteo 17) Lettera a Tito 18) Lettera a Filomene 19) Lettera agli Ebrei 20) Lettera di S. Giacomo 21) Prima lettera di S. Pietro 22) Seconda lettera di S. Pietro 23) Prima lettera di S. Giovanni 24) Seconda lettera di S. Giovanni 25) terza lettera di S. Giovanni 26) Lettera di S. Giuda


Libro Profetico

27) Apocalisse



CANONE PROTESTANTE

Lutero rigettò sette libri del Vecchio Testamento ossia: Tobia; Giuditta; Sapienza; Ecclesiastico;

Baruch; Primo dei Maccabei; Secondo dei Maccabei;

e sette libri del Nuovo Testamento: Lettera di S. Giacomo; Lettera di S. Giuda; Lettera agli Ebrei; Seconda di S. Pietro; Seconda di S. Giovanni; Terza di S. Giovanni; Apocalisse.

Calvino si conformò a Lutero solo per i libri del Vecchio Testamento. I Testimoni di Geova seguono Calvino.


Quale è dunque il criterio da seguire per determinare il numero dei libri ispirati e quindi sacri e componenti la Sacra Bibbia?

E' certo che la Sacra Bibbia non dà in nessun luogo l'elenco dei libri ispirati. E' vero che S. Pietro ricorda le lettere di S. Paolo, ma non dice quali e quante siano: "La magnanimità del Signore nostro giudicatela come salvezza, come anche il carissimo fratello nostro Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che egli è stata data; così egli fa in tutte le lettere, in cui tratta di queste cose. In esse ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre scritture, per la loro propria rovina" 2 Pt 3,15-16.

E' certo che non tutti i libri della Bibbia dicono di essere stati scritti per ispirazione divina. Il criterio, dunque, per determinare i libri sacri va ricercato fuori dalla Bibbia stessa.

Per i cattolici è la decisione della Chiesa docente basata sulla tradizione, cioè sul suo insegnamento che, non contenuto nella Bibbia, è passato di generazione in generazione fino a noi, sia oralmente che per iscritto. Non altrettanto chiaro è l'atteggiamento dei Testimoni di Geova. A pag. 208 del libro "La verità vi farà liberi" così si legge a proposito di quei libri che essi rispettano del canone del Vecchio Testamento: "Altri libri che dimostrano evidentemente di non essere ispirati e pertanto non veraci o non provenienti da Dio, furono nascosti dal pubblico. Perciò essi divennero chiamati "Apocrifi", che significa "nascosto" poichè sono spurii, falsi, non genuini d'ispirazione divina. Sino al giorno presente i libri apocrifi non sono stati inclusi nel Canone Ebraico". Essi non dicono in che consista quella "dimostrazione evidente" di cui parlano. A pag. 213 dello stesso libro portano come argomento contro i libri dei Maccabei il fatto che essi non sono contenuti nel Codice Vaticano (300 d.c.).

Se si basano, allora, sulla presenza o no di quei libri in qualche codice, ammettono che il criterio per stabilire il numero dei libri sacri non è nella Bibbia, ma proprio nella tradizione (Cattolica).

I Testimoni di Geova insistono col dire che è sacro quel libro che contiene profezie avveratisi o che viene citato da altri libri sacri. Ma le profezie, ad esempio, dell'Apocalisse non sono ancora avverate; tanti libri da essi accettati non sono citati in alcun altro libro sacro!

Risalendo il corso dei secoli fino ai tempi apostolici si riscontra che in maggioranza i libri furono riconosciuti sacri sempre e da tutti. Solo alcuni (i sette del Vecchio Testamento + i sette del Nuovo Testamento) furono oggetti di discussione per qualche tempo e in qualche parte della Chiesa. Per i sette libri del Vecchio Testamento negati da Lutero, i dubbi parziali cominciarono agli inizi del III secolo e dureranno fino al V secolo (dal 200 al 400): Il motivo di tale discussione era dovuto al fatto che gli Ebrei posteriori a Cristo non accettavano quei sette libri perchè o non scritti o non tramandati in ebraico, ma in greco. Giova comunque notare che accanto ai Padri che mettevano in dubbio tali libri (Origene, S: Cirillo di Gerusalemme, S. Atanasio, S. Epifanio, S. Gregorio Nazianzieno, S. Ilario e in qualche periodo, S. Girolamo) ce ne erano tanti altri che li ritenevano sacri (S. Cipriano, S. Ippolito, S. Dionigi d'Alessandria, S. Efrem, S. Basilio, S. Gregorio Nisseno, S. Ambrogio, S. Giovanni Crisostomo, S. Agostino).

Tali discussioni cessano completamente dal secolo VI. Anche a proposito dei sette libri del Nuovo Testamento negati da Lutero avvenne la stessa cosa.

Per quanto, infine, riguarda il riferimento dei Protestanti all'atteggiamento degli Ebrei, giova osservare:

1) E' certo che almeno ad Alessandria di Egitto, gli Ebrei avevano un canone identico a quello attuale dei Cattolici. Infatti l'antica traduzione greca della Bibbia, detta dei "settanta" e composta tra la metà del III secolo e la fine del II secolo a.c. contiene anche i sette libri esclusi dai Protestanti. Essi non si trovano in appendice, ma regolarmente inseriti nel corpo del codice, secondo l'ordine del Canone Cattolico.

2) E' da ritenersi che anche per gli Ebrei di Palestina avessero il canone usato da quelli di Alessandria, stando i rapporti molto cordiali tra gli Ebrei di Egitto e di Palestina.

3) Lo stesso Giuseppe Flavio, contemporaneo alla distruzione di Gerusalemme del 70 d.c., che ripetutamente protesta di non usare se non libri ritenuti sacri, si servì dei due libri dei Maccabei per la stesura della sua opera intitolata "Antichità Giudaiche".

4) Nel N.T. troviamo 350 citazioni del V.T. delle quali circa 300 riproducono il testo della versione greca dei LXX. Ciò dimostra che ai tempi di Gesù e degli Apostoli anche in Palestina traduzione degli Alessandrini godeva pieno favore, senza che troviamo alcuna traccia di riserva rispetto ai sette libri esclusi dai protestanti.

5) Non è escluso che una corrente di Ebrei di Palestina abbia scartato dal novero dei libri sacri quei sette in discussione.

Ma essi scartano anche i Proverbi, Ezechiele, il Cantico dei Cantici, l'Ecclesiaste ed Ester e solo un Sinodo degli Ebrei del 90 d.c. mise fine alle contestazioni sorte contro l'origine divina di questi libri.

(Teofilo)
00sabato 19 settembre 2009 22:18
L A  C O M U N I O N E  D E I  S A N T I



1) Come iniziare una meditazione che porti a dare contenuto alla confessione: "Credo la Comunione dei Santi?" Come giungere ad una certezza teologica, spirituale e liturgica, che sia rispettosa e soggetta alla Parola, adatta all'uomo di oggi, ecumenica e cioè capace dell'accordo delle confessioni cristiane, che confessano tutte l'articolo del Simbolo: "Credo la Comunione dei Santi?"

2) L'espressione "Comunione dei Santi" non è presente, come tale, nella Scrittura, ma è entrata nel simbolo degli Apostoli come espressione di tutta la dottrina neotestamentaria, che afferma con continuità la dimensione della comunione, della partecipazione, della solidarietà, dell'unione dei Santi, cioè dei credenti in Cristo. "Comunicando, prenderete parte ai disegni dei Santi" Rm. 12,13.

La Comunione dei santi nasce dal fatto che i credenti sono da Dio stesso "chiamati alla comunione del Figlio Gesù Cristo nostro Signore" (1 Cor 1,9)

La realtà di questa solidarietà è profonda e misteriosa, nasce dalla fede. Per questo occorreva credere alla comunione dei Santi e non si può contestarla.

La comunione misteriosa con Cristo, crea la comunione dei suoi membri tra loro. E ciò è realizzato dall'azione dello Spirito Santo, perchè lo Spirito abita nel credente e stabilisce la comunione col Padre e con il Figlio: "non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?.... santo è il tempio di Di, che siete voi." (1 Cor 3,16-17). La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi (2Cor 13,13): questa comunione ha come effetto immediato quello di inserirci nella comunione di tutti i figli di Dio: "se noi camminiamo nella luce, siccome Dio è Lui stesso luce, noi siamo in comunione gli uni con gli altri" (1Gv 1,7)

Questa comunione trova la sua realizzazione nella vita quotidiana, semplice, del cristiano, che perseverando negli insegnamenti degli Apostoli, nella Eucarestia e nella preghiera costruisce la chiesa visibile. I credenti in tale comunione formano la Chiesa; essi sono i santi, perchè partecipano alla santità di Cristo e ai doni dello Spirito.

Comunione dei Santi significa dunque Chiesa, assemblea, radunata da Dio. Questa assemblea è santificata da Cristo, capo del corpo a cui le membra sono attaccate per ricevere la vita, come i tralci alla vite; così noi, membra di Cristo, siamo, con funzioni diverse, uniti in un solo corpo: comunione dei santi della terra.

3) Ma questa comunione, opera dello Spirito, dovrebbe essere vinta dalla morte e cessare quando un "santo" lascia la vita terrena? Chi vive in Cristo non può morire più: "con Lui infatti, siete stati sepolti insieme al battesimo, in Lui siete stati resuscitati....con Lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti per i vostri peccati" (Col 2,12-13).

Della comunione dei santi della terra fa parte la comunione dei Santi del cielo. Quelli che hanno avuto comunione tra loro nella fede, nei quali Cristo già viveva. "Cristo vive in me" (Gal 2,20); che soffrirono e patirono con Lui in una comunione che era completamento dei suoi dolori. "completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo" Col 1,24. I coeredi, avendo sofferto con Cristo, non saranno glorificati con Lui? "Se infatti siamo stati completamente uniti a Lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua resurrezione" Rm 6,5. E cesseremo forse di fare parte di quella comunione che avevamo realizzato in vita? Certamente no. Essi vivono accanto a Dio, quali testimoni e membri della comunione dei santi. Così, i morti in Cristo, attendono la venuta del Signore con la Chiesa ancora pellegrina sulla terra e la attendono viventi nello Spirito. E' un'attesa in Dio, già nella vita, con Cristo: "d'ora in poi tu sarai con me in Paradiso" Lc, 23,13; la morte non può separarci dall'amore di Dio in Gesù Cristo: "Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? .... Io sono infatti persuaso che ne morte nè vita .... nè alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore" Rm 8,35-39 e l'apostolo desidera lasciare il corpo carnale per dimorare presso il Signore: "Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore" 2 Cor 5,8. I martiri vivono nella città celeste, presso il trono dell'Agnello: "Quando l'Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l'altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa" Ap 6,9; vivono, non dormono un sonno immanente e profondo lontano da Cristo. In attesa della parusia e della conseguente resurrezione, i Santi vivono già presso Dio, sono con Cristo e gridano: "fino a quando" perchè la morte è stata distrutta ed essi attendono la manifestazione visibile dei figli di Dio in Gesù Cristo: "fino a quando, o sovrano, non vendicherà il vostro sangue sopra gli abitanti della terra?" Ap 6,10.

Quello che abbiamo detto finora lo ritroviamo nella lettera agli Ebrei: la manifestazione di Dio nella città celeste, nel Regno verso cui noi andiamo. In quella nube gloriosa di testimoni, in quella festa solenne, accanto agli Angeli, ci sono gli spiriti dei giusti resi perfetti.

I morti nella fede, i Santi della terra, dopo aver lasciato la vita di quaggiù fanno la comunione dei Santi del cielo, nella perfezione ottenuta dall'unico mediatore Cristo e attorniano Dio.

Così è vista la comunione dei santi del cielo e della terra dall'autore della lettera: "Vi siete accostati al monte Sion e alla città del Dio vivente, la Gerusalemme celeste, a miriadi di Angeli e alla Chiesa dei primogeniti, iscritti nei cieli, a Dio, giudice di tutti e agli spiriti dei giusti, resi perfetti, e al mediatore della nuova alleanza, Gesù". Eb 12,22-24.

Che solitudine sarebbe quella del credente senza la comunione dei Santi!

La comunione dei Santi testimone e garante della continuità di vita nella fede in Cristo è là perchè noi non ci sentiamo soli, ma uniti agli altri salvati. E' la manifestazione della unità di tutti in Dio.




L A M E M O R I A - L' I M I T A Z I O N E - L' A M O R E

come confessione visibile

1) Come rendere visibile la confessione di fede nella Comunione dei Santi? Già il pio israelita nel rendere un culto a Dio, nel glorificarlo, aveva bisogno del memoriale. E faceva memoria delle opere della creazione, delle sue azioni nella storia, così come pure degli uomini che avevano "camminato con Dio": (Eccl 44,1-2) Facciamo dunque l'elogio degli uomini illustri, dei nostri antenati per generazione; il Signore ha profuso in essi la gloria, la sua grandezza è apparsa sin dall'inizio dei secoli. e l'Ecclesiastico ne da una testimonianza citando, ricordando e celebrando i Padri della prima alleanza, i patriarchi, i profeti, i re, i sacerdoti fedeli e Dio, quelli che furono i più in tempo di peccato. (ivi 49,3)

Anche nella nuova alleanza, la lettera agli Ebrei ripete il memoriale, celebrando la fede dei testimoni della prima alleanza, quelli che "furono messi alla tortura.... lapidati, segati, messi alla prova, morirono di spada, andarono coperti di pelli di montone e di capra, privi di tutto, tribolati, erranti nei deserti, sui monti, nelle grotte, nelle caverne della terra Eb 11,35-37.

Era dunque normale e consueto, anche per i cristiani, anche per la Chiesa confessare in modo tangibile e concreto la comunione con costoro. Così la Chiesa, seguendo le orme dei credenti ebrei, cerca di confessare questo dato del "credo" con il culto dei santi.

- Ma quale culto? Di che cosa era costituito, in che cosa si concretizzava?

2) La Chiesa apostolica dei primi secoli confessava la comunione dei Santi e le dà contenuto visibile nella "memoria" nella "imitazione" e nell' "amore" reso ad essi, nella lode a Dio per loro causa.

Come non fare "memoria" dei testimoni di coloro che, legati alla chiesa nella stessa fede, hanno dato prova di fedeltà a Dio e di "sequela a Cristo"?

Come fa l'autore della lettera agli Ebrei, ricordando come modelli i credenti dell'A.T. così fecero subito i cristiani rispetto agli Apostoli, testimoni della resurrezione, sui quali la Chiesa era fondata.

Già nel N.T. si fa presente in modo implicito il memoriale degli Apostoli. Li si ricorda per la loro vita e per le loro opere che li accompagnarono. Essi, come i giusti morti nel Signore, sono beati: Ap 14,13.

Questa memoria però ha un fine preciso: proporceli come modelli degni di "imitazione"

La Chiesa primitiva ha coscienza che nella uguale chiamata alla fede i carismi sono diversi, diversa è la misura della fede ricevuta e diverso dunque il grado di perfezione che gli uomini "i Santi" raggiungono.

Quelli che hanno sopravanzato gli altri nella perfezione, che hanno dato grande testimonianza di fedeltà a Cristo, sono dunque ricordati e proposti come modelli. Tale atteggiamento è bene esposto da Clemente Romano. Egli, dopo l'invito a "guardare agli eccellenti Apostoli Pietro e Paolo" fa memoria di essi e della loro opera - il coraggio e la fede - e dice: "ad essi, la cui vita è stata santa, venne ad aggiungersi una folla di eletti ..... che subirono oltraggi e violenze e che lasciarono tra noi un mirabile esempio"

Mirabile esempio: cioè essi furono modelli e dunque per la Chiesa sono da imitarsi.

Il cristiano non prende esempio solo da Cristo "Io vi ho dato l'esempio" Gv 13-15, ma trova sulla sua strada altri modelli da imitare, che rendono visibile e corretto il modello che non può essere superato, l'unico maestro, il Cristo.

Già nel N.T. è frequente il tema dell'imitazione dell'Apostolo: "vi esorto, dunque, fatevi unici imitatori, 1 Cor 4,16; "sapete, infatti, come dovete imitarci" 2 Tes 3,7; dei pastori: "nessuno disprezzi la tua giovane età, ma sii esempio ai fedeli nelle parole, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza" 1 Tim 4,12; "Esorto gli anziani facendosi modelli del gregge" 1Pt 5,3; delle Chiese stesse: voi, infatti, fratelli, siete diventati imitatori delle Chiese di Dio in Gesù Cristo, che sono nella Giudea: 1 Tess 2,14.

Dunque, ricordo dei santi come proposta di imitazione ai fedeli. E' questo il primo modo di comunicare con essi.

Più tardi Ambrogio dirà: Quanto imitate un santo, voi comunicate con Lui", sintetizzando bene questo contenuto della memoria - imitazione dei santi.

3) Ma tale memoria e tale imitazione significano celebrare, "rendere onore al modello" Quindi ben presto la Chiesa ha cominciato a venerare e onorare la memoria dei santi. Certo, si faceva bene attenzione all'onore reso ad essi dall'onore tributato al Signore.

Nel "martirio di Policarpo" si dice : "Noi adoriamo il Signore, perchè è il Figlio di Dio; quanto ai martiri noi li amiamo come discepoli e imitatori del Signore, ed è giusto a causa della devozione incomparabile che essi ebbero verso il loro re e Signore" (Martirio di Policarpo 17.3) Perciò l'onore ai Santi, la venerazione di essi, è distinta dal culto a Dio ed è anzi finalizzato ad esso. Girolamo sintetizza questo concetto nella lettera a Ripario : "Noi onoriamo i santi in memoria che l'onore dei Santi risalga a Dio" (epistola 109.1).

Così la Chiesa dei Padri con la memoria, l'emulazione, la celebrazione e l'onore dei santi, si metterà in cammino con essi.

Giovanni Damasceno, nel suo terzo discorso in difesa delle icone, dice: "Ed io farò icone degli amici di Cristo? Ed io non renderò loro un culto, non come fossero dèi, ma come spetta a degli amici di Cristo? Io venero dunque i Santi e glorifico gli amici eletti, i coeredi di Cristo per grazia Divina". (discorso terzo sulle icone,26).

In occidente, Agostino dirà in un'omelia: "miei cari, venerate i martiri, lodateli, amateli, celebrateli, suonateli; ma è al Dio dei martiri che dovete rendere culto" (sermone 273,9). E specificherà meglio: "occorre dunque onorare i Santi sotto forma di imitazione, ma non adorateli sotto forma di religione" (La vera religione,55). Questa venerazione può essere meglio compresa se si pensa che in essa era presente anche un elemento derivante dalla tradizione ebraica del culto delle tombe dei Santi. i cristiani ripeteranno quel culto verso le tombe dei martiri.

Nel "Martirio di Policarpo" si dice: "potemmo raccogliere le sue ossa, più preziose delle gemme e le collocammo in luogo conveniente. Ormai, per quanto ci sarà possibile ci raduneremo nella gioia e nella allegrezza per celebrare il giorno natalizio del suo martirio". (ivi, 18). Più tardi la Chiesa locale ebbe uguale attenzione per i suoi testimoni, gli asceti, i monaci e le vergini. Dopo la morte di Antonio e Flaviano, i monaci celebravano la festa e la memoria del giorno della loro morte. Gli amici di Dio erano venerati e onorati nelle chiese locali in cui essi avevano mostrato le loro opere che li avevano accompagnati. Perchè se essi sono già attorno a Dio nel cielo come nube festosa, sono là attivamente presenti non pregano forse gridando "fino a quando", come ci testimonia l'Apocalisse 6,10?

La lode degli eletti, evocata nell'Apocalisse, è fatta di parole di preghiera: "allora tutti gli Angeli che stavano attorno al trono e i vegliardi e i quattro esseri viventi, si inchinarono profondamente con la faccia davanti al trono e adorarono Dio, dicendo: Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli Amen" (ivi, 7,11-12). Con la preghiera dei Santi del cielo unita a quella dei Santi della terra è offerta a Dio in cielo "la preghiera di tutti i Santi"; "Poi venne un'altro Angelo e si fermò all'altare, reggendo un'incensiere d'oro. Gli furono dati molti profumi, perchè li offrisse insieme con le preghiere di tutti i Santi, bruciandoli sull'altare d'oro, posto davanti al trono" Ap 8,3. La preghiera dei Santi infatti è l'espressione della loro comunione con il Cristo.

4) La Chiesa, dunque, dà molta importanza alla intercessione dei Santi e la propone ai fedeli.

I Padri già affermavano, con Girolamo: "Se gli Apostoli e i martiri hanno potuto pregare per gli altri quando erano ancora nei loro corpi, quanto più ora che sono incoronati, vittoriosi, trionfanti" (contro Vigilanzio, 6).

La preghiera dei morti in Cristo confessata dalla Chiesa non è quindi una ipotesi arricchita. La preghiera sulla terra trova continuità nella preghiera del cielo, nella liturgia celeste che la nube festiva celebra con Dio.

Così nei graffiti di S. Sebastiano in Roma, in data 9 Agosto 260, i cristiani testimoniano la loro fede nell'intercessione dei Santi. "Paolo e Pietro pregate per Nativo nell'eternità".

Così sono nate le invocazioni dei santi, che hanno trovato nella chiesa cattolica la formula litanica "prega per noi".

Tuttavia la preghiera dei Santi non può essere una istanza straordinaria sollecitata da noi, come se l'intercessione di Cristo facesse difetto. I Santi li raggiungiamo solo in Cristo, unico mediatore: solo in Cristo, capo del corpo formato da tutti i Santi del cielo e della terra.
(Teofilo)
00sabato 19 settembre 2009 22:20
Gli Angeli


Affermano l'esistenza degli Angeli il IV Concilio Lateranense e il Concilio Vaticano I. Negano la loro esistenza i materialisti, poichè per essi esiste solo la materia; i razionalisti, che considerano gli Angeli come creazione della immaginazione, oppure come degli attributi o attività divine o delle forze della natura, oppure come simboli delle virtù e dei vizi; gli spiritisti, che identificano spesso gli Angeli con le anime dei defunti.

L'esistenza degli Angeli è attestata nella Sacra Bibbia fin dagli inizi; non invece la loro creazione. Gn. 3,24 "Scacciò l'uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all'albero della vita". Gn.18 "Furono Angeli quelli che apparvero ad Abramo.

Gn. 19 - Lot fu salvato da Angeli

Gn. 22 - "Sacrificio di Isacco" - 22,11 "L'angelo del Signore lo chiamò dal cielo" -22,12 "L'angelo disse....." -22,15 "L'angelo del Signore chiamò dal cielo per la seconda volta". Gn. 24,7 "Il Signore .... manderà il suo angelo davanti a te" - un angelo viene promesso ad Eliseo come compagno di viaggio. Gn. 28,12 "fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano". Es. 23,20 "Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti nel cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato" - 23,23 "Quando il mio Angelo camminerà alla tua testa". Nm 20,16 "Noi gridammo al Signore ed Egli udì la nostra voce e mandò un angelo e ci fece uscire dall'Egitto"

Gdc 6,11-23 "Ora l'angelo del Signore venne a sedere sotto il terebinto di ofra ... l'angelo del Signore gli apparve e gli disse.... l'angelo di Dio disse ..... allora l'angelo del Signore stese l'estremità del bastone .... l'angelo del Signore scomparve ai suoi occhi .... Gedeone vide che era l'angelo del Signore e disse : Ho dunque visto l'angelo del Signore". Gdc 13,3-22 (l'annuncio della nascita di Sansone): "L'angelo del Signore apparve a questa donna e le disse .... aveva l'aspetto di un angelo di Dio .... L'angelo del Signore a _______; _______disse all'angelo del Signore....." Zaccaria 1,9-19 "L'angelo che parlava con me mi rispose.... si rivolsero all'angelo del Signore che stava tra i morti..... l'angelo del Signore disse..... all'angelo che parlava con me....." Zaccaria 6,4-8 "Domandai all'angelo che parlava con me..... e l'angelo .....". Tobia 5,4 Uscì (Tobi) e si trovò davanti l'angelo Raffaele, non sospettando minimamente che fosse un angelo di Dio" Tobia 6,1 "Il giovane partì insieme con l'angelo" Tb. 12,15 "Io sono Raffaele, uno dei sette Angeli che sono sempre pronti ad entrare alla presenza della maestà del signore". Dn. 9,21 "mentre dunque parlavo e pregavo, Gabriele, che io avevo visto prima in visione, volò veloce verso di me". Dn. 10,13 "Michele, uno dei primi principi....." Dn. 10,21 "Nessuno mi aiuta in questo, se non Michele, il vostro principe..." Dn. 12,1 "in quel tempo sorgerà Michele, il gran principe...." Giuda, 9 "L'Arcangelo Michele, quando in contesa col diavolo...." Ap 12,7 "Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago". Dn. 8,6 "Gabriele, spiega a lui la visione". Dn. 9,21 "mentre dunque parlavo e pregavo, Gabriele, che io avevo visto prima in visione...." Lc. 1,11 "allora gli apparve un angelo del Signore" Lc.- 1,19 "L'angelo gli rispose: io sono Gabriele che sto al cospetto di Dio...." Lc. 1,26 "L'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea..."

Gesù parla sovente degli angeli: Mt. 18,10 "Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perchè vi dico che i nloro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli" Mt. 22,30 "alla resurrezione infatti non si prende nè moglie nè marito, ma si è come angeli nel cielo". Mt. 26,53 "pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli?...." mC. 12,25 "Quanto poi a quel giorno e a quell'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo....." Lc. 16,22 "Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo". Gv. 1,51 "in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo".

Altri passi biblici attestanti presenza ed ufficio degli Angeli: Mt. 1,18 "Gli (a Giuseppe) apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: non temere di prendere con te Maria tua sposa". Mt. 2,13 "Essi (i Magi) erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe....." Mt. 2,19 "morto Erode, un angelo del Signore ...." (fuga e ritorno dall'Egitto). Mt. 4,11 "Allora il diavolo lo lasciò ed ecco gli angeli gli si accostarono e lo servivano". Mt. 28,2 "un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa ...... ma l'angelo disse alle donne ....." Lc. 1,26-38 "L'annuncio dell'angelo a Maria" Lc. 2,9-15 "Un angelo del Signore si presentò davanti a loro (ai pastori)... l'angelo disse loro.... e subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste ..... appena gli angeli si furono allontanati......" At. 12,7-11 "ed ecco gli si presentò (a Pietro in carcere) un angelo del Signore, tocco il fianco di Pietro, lo destò e disse: alzati, in fretta"

At. 27,23 "Mi è apparso questa notte un angelo di Dio al quale appartengo e che servo, dicendomi: non temere, Paolo...". At, 10,3 ss. "Un giorno verso le tre del pomeriggio, vide (Cornelio) chiaramente in visione un angelo di Dio venirgli incontro...." 1 Paolo ricorda più volte gli angeli nelle sue letture. 1 Pietro, 1,12 "....cose nelle quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo..." Nell'Apocalisse, S. Giovanni parla degli Angeli quasi in ogni capitolo.





I Demoni

(ossia la caduta degli angeli)


Il Concilio Lateranense ha definito, contro il "dualismo, che ammette un principio cattivo eterno, che "i diavoli e gli altri demoni sono stati creati da Dio naturalmente buoni, ma sono diventati cattivi per causa propria".

L'esistenza degli spiriti cattivi è evidenziata per la prima volta nel Deuteronomio. Si dice degli Israeliti che essi sacrificarono a demoni e non a Dio; a dei che non conoscevano, (Dt. 32,17). Anche il Salmista identifica i falsi dei con gli spiriti cattivi: "Tutti gli dei delle nazioni sono spiriti cattivi" (salmo 95,5). Israele apostatò e "sacrificarono i loro figli e le loro figlie agli spiriti cattivi" (Sal. 105,37). Dal libro di Giobbe è detto che, un giorno "venuti i figli di Dio a presentarsi al Signore, tra loro andò anche Satana (Gb. 1,6; 2,1). Avversario del bene, fa ogni sforzo per diffondere il male tra gli uomini. Dio gli permette di provare il suo servo Giobbe.

Satana appare di fronte al Signore come accusatore del sommo sacerdote Giosuè, che egli vorrebbe cadesse in suo potere a causa delle sue colpe. Ma il Signore lo rimprovera e misericordiosamente rimette i peccati del sacerdote. "Poi mi fece vedere il sommo sacerdote Giosuè, ritto davanti all'angelo del Signore, e satana era alla sua destra per accusarlo. L'angelo del Signore disse a satana: ti rimprovera il Signore, o Satana.... (Zaccaria 3,1-2) Troviamo ancora satana nella storia di David: "Satana insorse contro Israele. Egli spinse David a censire gli israeliti" (1 Cr 21,1). "La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo" (Sap. 2,24) cfr. Gn. 3. Dal libro di Tobia: ".....Asmodeo, il cattivo demonio, (ivi 3,8); "....uomo o donna invasata dal demonio o da uno spirito cattivo.... ho sentito dire che un demonio le (a Sara) uccide i mariti...... il demonio è geloso di lei non fa del male, ma se qualcuno le si vuole accostare, egli lo uccide..... l'odore si spanderà, il demonio lo dovrà annusare e fuggirà......(ivi 6,8-19).

Gesù non dice niente circa l'origine del demonio, ma suppone senz'altro la sua esistenza e la sua azione nefasta e cattiva. Satana tenta il Signore stesso (Mt. 4,3-10); sparge la zizzania nel buon grano (Mt. 13,39); tenta i discepoli (Lc. 22,3-31); combatte contro la Chiesa (Mt. 16,18); è il "principe di questo mondo": "ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori" (Gv. 12,31); "non parlerò più a lungo con voi, perchè viene il principe del mondo" (Gv.14,30); "....quanto al giudizio, perchè il principe di questo mondo è stato giudicato" (Gv. 16,11).

Satana muore agli uomini, possedendoli. Quando è cacciato fuori raddoppia gli sforzi per mantenere il suo dominio: "quando lo spirito immondo esce dall'uomo ..... allora va, prende con sè altri sette spiriti peggiori di lui ..... (Lc. 11,24-26).

Cristo ha potere sul demonio: "...condussero a lui .... indemoniati ... ed Egli li guariva" (Mt. 4,24); "venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti...." (Mt. 8,16); "....gli presentarono un muto indemoniato; scacciato il demonio, il muto parlò" (Mt. 9,32); "...gli portavano gli indemoniati .... scacciò molti demoni...." (Mc. 1,32). Gesù vede Satana "cadere dal cielo come una folgore" (Lc. 10,28). Dà ai suoi discepoli il potere su satana: "Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome .... io vi ho dato il potere sopra ogni potenza del nemico...." (Lc.10,17 ss)

Secondo S. Paolo, il diavolo è il dio di questo mondo" (2 Cor. 4,4); su di esso regna mediante la potenza della morte: "Poichè dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch'egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo" (Eb. 2,14); Satana causa malattie: "questo individuo sia dato in balia di satana per la rovina della sua carne" (1 Cor. 5,5); "perchè non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di Satana, incaricato di schiaffeggiarmi....." (2 Cor. 12,7); "ho desiderato di venire da voi, ma Satana ce lo ha impedito" (1 Tess. 2,18). 1 Paolo esorta a resistergli: ".....come un leone ruggente gira attorno cercando di divorare: resistetegli forti nella fede" (1 Pt. 5,8-9).

- Gv. ammonisce che "chi fa il peccato viene dal diavolo" (1Gv.3,8); - Gc. infine: "resistete al diavolo ed egli fuggirà da sè" (Gc. 4,7).

Dagli Atti: "la folla accorreva.... portando persone tormentate da spiriti immondi e venivano guariti" (ivi 5,16); "Da molti indemoniati uscivano spiriti immondi, emettendo alte grida" (ivi 8,7); "(per opera di Paolo) .... le malattie cessavano e gli spiriti cattivi fuggivano" (ivi 19,12). Nell'Apocalisse tiene un grande posto "il grande drago, il serpente antico, colui che chiamano il diavolo e satana e che seduce tutta la terra...." (ivi 12,9).

Il castigo degli angeli cattivi è determinato dalla Scrittura come una pena eterna nell'inferno: "Dio non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma, cacciatili nell'abisso, li legò con le catene dell'inferno per essere tormentati e serbati per il giorno del giudizio" (2 Pt. 2,4).

"il Signore ha serbato per il gran giorno del giudizio, nelle tenebre, avvinti in catene, gli angeli, che, invece di conservare la loro dignità, abbandonarono la loro propria dimora" (Giuda, 6).

Protettorato di Satana

Anche dopo la cacciata dei Progenitori dal Paradiso terrestre, Lucifero avrebbe conservato il suo protettorato sull'umanità.

Da "La verità vi farà liberi" pag. 114: "al vecchio serpente, il Diavolo, fu permesso da Dio di rimanere nel suo potere. Egli dunque era ancora il loro (di Adamo ed Eva) invisibile sovrano, ma interamente ingiusto".

1) Che al Demonio sia stato lasciato il potere di tentare l'uomo è una ben nota verità, ma ciò non include ne esige che Lucifero sia il protettore della umanità. Semmai colui che tenta è in contrasto con colui che protegge. Gesù stesso fu tentato da Satana (Mt. 4,1-11), ma non è possibile pensare che per questo Gesù fosse protetto da Satana.
(Teofilo)
00sabato 19 settembre 2009 22:28

L'INFERNO

Errori dei Testimoni di Geova

1 I reprobi sono esclusi dalla resurrezione. Il testo preso in esame è Gv. 5,28-29: "Non vi meravigliate di questo, perchè verrà l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene per una resurrezione di vita e quanti fecero il male per una resurrezione di condanna".

I Testimoni di Geova affermano che "appare che non vi sia alcuna ragione o prova scritturale che Iddio risusciterebbe quelli che sono intenzionalmente empi" (Salvezza pag.331).

Sostengono che "Iddio non può ritenere nella sua memoria quegli empi che si sono deliberatamente uniti al demonio ed hanno combattuto contro la rettitudine, i quali hanno traditi, opposti e perseguitati i servitori di Dio" Salvezza pag. 332).

Traggono la loro argomentazione da Proverbi 10,7; : "La memoria del giusto è in benedizione, il nome degli empi svanisce" e traducono il termine greco "mnemeion=sepolcro=monumento in memoria dei morti", con "memoria di Dio"

"Sepolcro" sarebbe "il secreto della benevola memoria di Dio" e non il monumento commemorativo fatto dagli uomini.

Il termine ebraico da cui deriva il greco "mnemeion=sepolcro", è "qeber". Tale termine è usato da Gesù in Mt. 23,27; :"Voi siete come tombe imbiancate". Nessun dubbio che Egli abbia adoperato "qeber" come tomba e non come memoria imbiancata".

Sostengono inoltre che "quelli che hanno operato male sono quelli che non hanno avuto nè fede nè conoscenza di Dio e che hanno fatto il male per ignoranza, essendo stati concepiti nel peccato e formati nella iniquità" in (sia Dio riconosciuto verace; PAG. 274-275.

Quelli dunque che hanno operato il male sarebbero quelli che hanno fatto perchè non hanno fede, non conoscono Dio, hanno agito per ignoranza, concepiti nel peccato e formati nell'iniquità

Essi sono dunque responsabili del male. Come possono essere condannati?

S. Paolo in Rm 2,12-15 afferma: "Quelli che hanno peccato senza conoscere la legge di Mo- sè, non saranno giudicati in base a tale legge, ma coloro che hanno peccato conoscendo la leg- ge di Mosè, verranno giudicati secondo la legge"

I pagani, pur non conoscendo la legge data da Dio, vengono ugualmente giudicati, quando essi compiono ugualmente ciò che la legge comanda, come se l'avessero in se stessi=legge di natura. la conoscenza della legge è indispensabile per il giudizio.

Il male o "cose cattive" è la traduzione del termine greco "fàula" Tale termine ricorre insieme con "agathè"="bene" o cose buone in S. Paolo: Rm. 9,11; "quando non erano (Esaù e Giacobbe) ancora nati e non avevano ancora fatto nulla, nè di bene nè di male ......"

Se "Faula" = cose cattive fatte senza conoscenza, anche "Agathà" dovrebbe essere interpretato per "cose buone fatte senza conoscenza.

In Gv. 3,20 Gesù afferma: "Chi fa il male odia la luce e ne sta lontano, perchè la luce non faccia conoscere le sue opere a tutti". Gesù ammette certamente che si tratti di cose cattive (Faula) fatte con conoscenza, perché parla di chi intenzionalmente fugge la luce. Inoltre, in

At. 24,15; "Come loro (i profeti) io ho questa sicura speranza nel Signore: che tutti gli uomini, sia

buoni che malvagi, risorgeranno dai morti"

1Cor. 6,9: "Sappiate che non c'è posto per i malvagi nel nuovo regno di Dio" e malvagi sono gli immorali, gli adoratori di idoli, gli adulteri, i maniaci sessuali, i ladri, gli invidiosi, gli ubriaconi,

i delinquenti.

Lc. 13,27: "Alla fine egli vi dirà: Non vi conosco, andate via da me, gente malvagia":

2 Cor. 5,10: "Perché, tutti noi dovremo presentarci davanti al tribunale di Cristo, per essere giudicati da Lui. Allora ciascuno riceverà quel che gli è dovuto, secondo il bene ed il male che avrà fatto nella sua vita". Il testo non ammette equivoci: "tutti".

Gv. 5,25: "Io vi dico una cosa: viene un'ora, anzi è già venuta, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e chi lo sente vivrà". (resurrezione spirituale).

Gv. 5,28: "Verrà l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la Sua voce e ne usciranno"

Ap. 20, 12-13: "Poi vidi i morti, grandi e piccoli, ritti davanti al trono.... i morti vennero giuduicati in base a ciò che era scritto in quei libri, ciascuno secondo le sue opere. Il mare restituì i morti che esso custodiva e la morte e gli inferi resero i morti da essi custoditi e ciascuno

venne giudicato secondo le sue opere. Poi la morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco...."









- P U N T O 2 -

L'inferno fu sconosciuto per per quattromila anni dalla caduta di Adamo (Dio sia riconosciuto verace pag. 79)

E' pacifico che la Rivelazione si sia verificata in maniera progressiva.

S. Paolo, parlando del mistero della unificazione e della pacificazione di tutte le creature in Cristo, in Ef. 3,5 afferma: "Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito....."

Anche i Testimoni di Geova ammettono un progresso nelle loro rivelazioni: la "identificazione delle altre pecore" sarebbe del 1932 e la "conoscenza del mandato divino" sarebbe del 1938.

Circa la dottrina sulla vita futura e la sorte eterna dei buoni e dei cattivi c'è stato un vero progresso nelle rivelazione. La dottrina del V.T. non è completa, ma non è in contraddizione con il dogma dell'inferno. Il N.T. porterà un ulteriore sviluppo sulla dottrina della retribuzione, esponendo in termini chiari la dottrina del Paradiso e dell'Inferno secondo l'interpretazione cattolica.

Riguardo alla dottrina della retribuzione (= premio dei buoni e castigo degli empi) abbiamo nella Bibbia la seguente situazione; Come situazione generale troviamo:

a) Dio è giusto e Santo: Sl 7,12-18 "Dio è giudice giusto.....; loderò il Signore per la sua giustizia" Sl. 11,7 "Giusto è il Signore, ama le cose giuste.....; Sl 145,7 "diffondono il ricordo delle tua bontà immensa, acclamano la tua giustizia. Sl 17,15 "per la giustizia contemplerò il tuo volto"

b) Sa tutto, perchè è dovunque presente: Sl 139 "omaggio a chi sa tutto"

c) Scruta i cuori Sl 94,11 "Il Signore conosce i pensieri dell'uomo

d) Ama la giustizia: Sl. 11,7 "Giusto è il Signore, ama le cose giuste"

e) Odia l'iniquità: Sl. 5,5 "Tu non sei un Dio che si compiace del male; presso di te il malvagio

non trova dimora"

f) Guiderà il giusto e l'empio: Qo. 3,17 "Dio guiderà il giusto e l'empio".

g) Premia i giusti e castiga gli empi: Sl. 11,5-7 "Il Signore scruta giusti ed empi, egli odia chi

ama la violenza. Farà piovere sugli empi brace, fuoco e zolfo, vento bruciante toccherà

loro in sorte. Giusto il Signore ama le cose giuste; gli uomini retti vedranno il suo volto".

h) Frequentemente si prospetta anche un premio terreno alla virtù: Sl. 41,12 "Da questo

saprò che tu mi ami, se non trionfa su di me il nemico". Sl. 112 "Elogio dell'uomo giusto;

beato l'uomo che teme il Signore".

i) Non è detto, comunque, che alla virtù corrisponde sempre un bene terreno, tanto è vero

che spesso l'empio è senza guai ed il giusto è perseguitato; Sl. 94,3-7 "Fino a quando gli

empi, o Signore, fino a quando gli empi trionferanno? .... calpestano il tuo popolo, opprimo-

no la tua eredità. Uccidono la vedova ed il forestiero, danno la morte agli orfani. Dicono di

Giacobbe non se ne cura". Sl. 69,8-10 "per te io sopporto l'insulto e la vergogna mi copre

la faccia. Poichè mi divora lo zelo per la tua casa, ricadano su di me gli oltraggi di chi ti in-

sulta....".

l) Perchè soffre il giusto? Quando sarà fatta giustizia? Un tentativo di risposta è offerto dal li-

bro di Giobbe, dal Qoelet e dal Salmo 73. Giobbe risolve la questione mostrando come Dio

inscrutabile nei suoi disegni, permette che il giusto patisca per purificarlo dei falli passati o

per preservarlo dal male. Il Qoelet, dopo aver constatata la universale vanità di quanto esi-

ste sotto il sole, conclude che bisogna osservare i comandamenti di Dio, perchè a tutti

spetta un giudizio di Dio. Il Sl. 73,13 si chiede "invano dunque ho purificato il mio cuore ed

ho lavato le mie mani nella innocenza" e inoltre versetti 16-17; "Ho voluto riflettere per in-

tendere questo, ma la cosa mi è parsa molto ardua, finchè non sono entrato nel santuario

di Dio e non ho considerato la fine di costoro"

m) La dottrina che Dio si riserva un giudizio per condannare gli empi e per premiare i giusti e-

merge dal Salmo 1,5; "non reggeranno gli empi nel giudizio, né i peccatori nell'assemblea

dei giusti". Salmo 97; "Il Signore trionfa " Salmo 98,9; ".....giuducherà il mondo con giustizia

e i popoli con rettitudine". Salmo 16,10-11; "....perché non abbandonerà la mia vita nel se-

polcro, nè lascerai che il tuo santo volto veda la corruzione. Mi indicherai il sentiero della

vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra". Salmo 17,14-15;

"Liberami con la tua mano dagli uomini, o Eterno, dagli uomini del mondo la cui parte è in

questa vita ed il cui ventre tu empi coi toui tesori; hanno figliuoli in abbondanza e lasciano

il resto dei loro averi ai loro fanciulli. Quanto a me per la mia giustizia, contemplerò la tua

faccia, mi sazierò, al mio risveglio, della tua sembianza". Salmo 49,15; "(gli empi) come

pecore saranno avviati agli inferi, sarà loro pastore la morte; scenderanno a precipizio nel

sepolcro, svanirà ogni loro parvenza: gli inferi saranno la loro dimora". Per sfuggire ai colpi

dello Sheol, il saggio conta su Dio. Non si può affermare che intraveda la possibilità di es-

sere portato in cielo come Enoch ed Elia, ma penso che la sorte finale dei giusti deve esse-

diversa da quella degli empi e che l'amicizia divina non deve cessare. Questa fede ancora

implicita in una retribuzione futura prepara la rivelazione ulteriore della resurrezione dei

morti e della vita eterna. (2Mac. 7,9).

  14.. Categorica dichiarazione che all'empio è riservato dolore ed infamia è annunciata da Daniele 12,2;
  15.. "Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna". In Sap. 3,1ss. " Le anime dei giusti
sono nelle mani di Dio nessun tormento le toccherà.... Dio li ha provati e li ha trovati degni di

sè... grazia misericordia sono riservate ai suoi eletti.... gli empi riceveranno il castigo..."







LA DOTTRINA DELL'INFERNO E' CONTRARIA ALL'AMORE DI DIO, RIPUGNA

ALLA SUA GIUSTIZIA E PERCIò E' ASSURDA



I Testimoni di Geova affermano che la dottrina dell'inferno non può essere vera, perchè

1) è assolutamente antiscritturale,

2) perchè è assurda

3) perchè è contraria all'amore di Dio,

4) perchè ripugna alla sua giustizia.

L'accusa di essere antiscritturale è infondata perchè è proprio la Sacra Bibbia che insegna tale dottrina. In "Dio sia riconosciuto verace" a pag. 276 i T. di G. riconoscono una cattiva volontà in chi è incorreggibilmente cattivo. A pag. 79-80 invece la negano, perché dicono che sono cattivi "quelli che ebbero la disgrazia di nascere peccatori". Se ammettono una cattiva volontà che ha scelto liberamente il male, allora non devono tacciare di ingiustizia la dottrina dell'inferno. Se negano all'uomo la responsabilità dei suoi atti, cadono nell'errore luterano del "servo arbitrio" = mancanza di libertà nell'uomo o in quello calvinista della "predestinazione al male".

La Sacra Bibbia attribuisce a Dio gli attributi di Amore; 1Gv. 4,16; "Dio è amore".

Misericordia: Lc. 6,36; "siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro". Giustizia, Sl. 7,12; "Dio è giudice giusto" Non è possibile togliergli uno di questi attributi per affermare gli altri.







L'INFERNO BIBLICO E' IL SEPOLCRO





I Testimoni di Geova traducono la parola ebraica "Sheol" per tomba ed attribuiscono uguale significato al termine greco "Hades" = tomba, sepolcro.

Se "Sheol" va tradotto con "Hades", "Hades" non significa "sepolcro o tomba" bensì "regno dei morti" o "luogo dove i morti continuano a vivere". Confronta: libro VI dell'Eneide, dove viene descritto il viaggio di Enea nel regno dei morti e dove ritrova il suo padre Anchise, già morto e il libro XI dell'Odissea, dove si accenna alla visita di Ulisse all'hades: egli si arresta alla bocca del regno dei morti, mentre questi salgono a bere il sangue delle vittime da lui sacrificate.

I due confronti non indurranno i Testimoni di Geova ad affermare che lòa dottrina cattolica derivi la dottrina dell'inferno da miti pagani, ma servano solo a dimostrare che il termine "hades" = "inferi" significa un ben precisato regno dei morti in cui sopravviveranno i loro spiriti.

A conferma della loro tesi i T.di G. citano Gn. 37,35; "Tutti i suoi figli e le sue figlie vennero a consolarlo (Giacobbe per la morte di Giuseppe), ma egli non volle essere consolato, dicendo: No, io voglio scendere in lutto dal figlio mio nella tomba".

In "Sia Dio riconosciuto verace" a pag. 70 argomentano che Giuseppe non poteva essere andato in un luogo di tormento e di pene atroci per trascorrervi l'eternità nè voleva andarci anche lui per consolarlo; pensava semplicemente che il suo diletto figlio era morto e nella tomba, ed egli stesso desiderava morire.

Ma se Giacobbe, sapendo che Giuseppe era stato divorato da una fiera, pensava di andare ad incontrarlo nello sheol, è segno che per lui lo sheol non era il sepolcro (che per Giuseppe non esisteva) nè lo stomaco della fiera (al quale Giacobbe certamente non alludeva.

Giobbe 14,22; "Soltanto i miei dolori egli sente e piange sopra di sè". L'uomo, nello sheol, conserva dunque una certa autocoscienza, ossia non pensa e non si preoccupa che di sè stesso, oppure che ricorda con rimpianto la sua esistenza carnale.







LA GEHENNA NON FU SIMBOLO DI TORMENTO ETERNO MA DELLA CONDIZIONE DI ETERNA CONDANNA E DI ETERNA DISTRUZIONE





La gehenna o valle dei figlioli di hinnon è una figura o simbolo del completo annichilimento o dello sterminio e non di tormento (Sia Dio riconosciuto verace) pag. 77.

La gehenna era un profondo burrone che da ovest a sud circondava la città di Gerusalemme, ove ardeva in continuazione fuoco per la distruzione dell'immondizia.

Nella letteratura rabbinica l'allusione alla gehenna quale stato di supplizio dei malvagi, non indica mai il loro annichilimento, ma indica un luogo preciso in cui essi vengono tormentati, tra l'altro anche col fuoco.

I Testimoni di Geova confortano la loro tesi con i seguenti passi:


1) Mc. 9,47-48; "Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella gehenna, 48 dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue". Intanto la traduzione interconfessionale del N.T. traduce il versetto 48 così: "dove si soffre sempre e il fuoco non finisce mai". I Testimoni di Geova ironizzano che il verme, e non l'uomo, sarebbe immortale. Ma verme è usato in correlazione con "fuoco" e come "fuoco" dice strumento di pena, anche "verme" deve essere preso con lo stesso significato.

Quello, comunque, che emerge dal testo di Luca è che essi non finiscono mai e che si trovano nella Gehenna che pertanto resta luogo di tormento.


2) Ap. 20,13-14; "Il mare restituì i morti che esso custodiva e la morte e gli inferi resero i morti da loro custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le sue opere. "Poi la morte e gli Inferi furono gettati nello stagno di fuoco". Questa è la seconda morte, lo stagno di fuoco".

Secondo i Testimoni di Geova il passo biblico citato andrebbe interpretato così: l'inferno rese i morti che erano in essi e che i morti furono giudicati secondo le loro opere. Ma poi la morte e l'inferno (hades) furono gettati nello stagno di fuoco che è la seconda morte, dalla quale condizione non c'è ricuperamento o risurrezione (Sia Dio riconosciuto verace) pag. 74-75.

In che consiste questa seconda morte? I Testimoni di Geova dicono che è un annientamento, l'Apocalisse non lo dice. Se esaminiamo 1 Cor. 15,54-55; "quanto poi questo corpo corruttibile si sarà vestito di incorruttibilità e questo corpo mortale di immortalità, si compirà la parola della scrittura: la morte è stata ingoiata per vittoria. "Dov'è, o morte la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione?", comprendiamo che S. Paolo parla della vittoria sulla morte del corpo che consiste appunto nella risurrezione.

3) Lc. 16,19-31; "La parabola del ricco cattivo e del povero Lazzaro". Con questa parabola, dicono i Testimoni di Geova Gesù pronunciò una profezia che si trova in via di adempimento nel suo moderno ambiente dell'anno 1818 d.c. Essa si applica a due classi esistenti attualmente sulla terra. L'uomo ricco rappresenta la classe ultraegoista del clero e della cristianità che si trova al presente alienata da Dio. Lazzaro rappresenta il residuo del corpo di Cristo ed anche quella classe di persone che sono di buona volontà. (Sia Dio riconosciuto verace) pag. 78-79.

E' fin troppo chiara l'intenzione di Gesù che nella parabola istituisce un colloquio tra Epulone e Lazzaro per mettere in evidenza una inversione di sorte nell'aldilà: di qua c'è un ricco Epulone ed un mendico, di là le sorti si invertono.


4) 1Gv. 4,16; "Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi. Dio è amore,; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui".

I Testimoni di Geova dicono che l'inferno non ci può essere perchè Dio è buono. Intanto, se Gesù ha parlato di castigo riservato ai malvagi è segno che non bisogna distruggere la giustizia di Dio con la misericordia. Se poi, in nome della bontà di Dio, i T. di G. non possono ammettere l'inferno, come possono giustificare l'idea di un annientamento perenne dei reprobi?

In che cosa consiste il castigo dell'inferno? Il termine greco "Kalasis" dai T. di G. è tradotto con "eterno stroncamento". Se esso, però, è riferito a uomini, deve essere tradotto con "punizione" o "castigo". cfr. 1 Gv. 4,18; "Nell'amore non c'è timore, al contrario l'amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell'amore".

2 Pt. 2,9; "Il Signore sa liberare i più dalla prova e serbare gli empi per il castigo nel giorno del giudizio".

Mt. 13,42-49; "..... gli angeli raccoglievano tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li gettavano nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti......" Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli Angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti". Mt. 18,8-9; "..... è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno; è meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, che avere due occhi ed essere gettato nella gehenna del fuoco".

Mt. 22,13-14; "Allora il re ordinò ai servi: legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perchè molti sono i chiamati, ma pochi eletti". Mt. 25,41; "Poi

dirà a quelli della sua sinistra: via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli". Lc. 12,4-5; "A voi, miei amici, dico: Non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono fare più nulla. Vi mostrerò invece chi dovete temere: temete Colui, che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella gehenna". Ap. 14,10-11; "Chiunque adora la bestia....... e sarà tormentato con fuoco e zolfo al cospetto degli angeli santi e dall'Agnello. Il fumo del loro tormento salirà per i secoli dei secoli e non avranno riposo nè giorno nè notte quanti adorano la bestia.......".

Lo stagno di fuoco e di zolfo infiammato è il luogo di punizione degli empi. Ap. 19,20; "....ambedue (la bestia e il falso profeta) furono gettati vivi nello stagno di fuoco, ardente di zolfo".

Ap. 20,10; "e il diavolo che li aveva sedotti, fu gettato nello stagno di zolfo e fuoco... saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli. Ap. 21,8; "Ma per i vili e gli increduli...... è riservato lo stagno ardente di fuoco e zolfo. E' questa la seconda morte". Mt. 13,42-50; "Parabole della zizzania e della rete = Gli angeli raccoglieranno tutti gli scandali e operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti". Mt. 18,8-9; "identifica la condanna col "fuoco eterno" Mt. 22,13 (come Mt. 13,42-50; 24,51; 25,30) = chi è annientato (come vogliono i T. di G.) non piange. Mt. 25,41; "Poi dirà a quelli della sua sinistra: via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per voi e i suoi angeli".

A quelli che stanno alla sua destra, dice Gesù: "Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo". Ora, se è vero il regno, è altrettanto vero il fuoco. Lc. 12,4-5; "Se la morte (come vogliono i T. di G.) è la massima pena, non ci sarebbe da temere nulla di più grave. Gesù invece specifica che dopo c'é ancora qualche cosa di peggio: la gehenna (usata per indicare una pena reale ed eterna. Ap. 14,11;

"tormento nei secoli dei secoli"..."non hanno requie" Se fossero annientati non comincerebbe, ma finirebbe per loro il tormento.

Per i cattolici, dunque, l'inferno è tormento, fuoco, lontananza dalla presenza di Dio = (Tenebra di fuori: Mt. 22,13) di gente che è viva (altrimenti non soffrirebbe).

(Teofilo)
00sabato 19 settembre 2009 22:32
L'ANIMA DELL'UOMO -


I Testimoni di Geova negano decisamente l esistenza di un anima spirituale ed immortale nell'uomo. L'argomento è trattato in "Sia Dio riconosciuto verace" cap. V e in "La verità vi farà liberi" cap. V


- ERRORI DEI TESTIMONI DI GEOVA -

- Punto 1

Il termine "nephesch" nella Bibbia viene riferito anche alle bestie; l anima quindi è dichiarata mortale e non la si trova mai unita ad un aggettivo, che in qualche modo esprime spiritualità ed immortalità.

Nel descrivere la creazione originale dell'uomo, Gn. 2,7 asserisce in maniera semplice: E l'eterno Dio formò l'uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l'uomo divenne un anima vivente" Lo stesso Genesi 1,20-30 chiama "creature viventi" anima = vita, i pesci, gli uccelli e gli animali. - Numeri 31,28 ordina di "prelevare un anima su cinquecento, sia di persone, che dei buoi, degli asini e delle pecore" - "Nephesch" è tradotto per "vita" sia che si riferisce ad una vita animale sia alla vita di un uomo. Perciò se una creatura possiede la vita, si può dire di tale creatura che vi è in essa un anima vivente.

L anima umana è mortale: difatti Dio la può mettere a morte per il peccato: "L anima che pecca sarà quella che morrà" Ez. 18,4-20;

Non c'è nessun testo nella Bibbia il quale affermi che l anima umana sia immortale.

Dai Testimoni di Geova il significato incompleto del termine "nephesch" viene esteso al termine greco "psiche". Essi ignorano che il V.T. usa anche un'altro termine "ruach" = (spirito) per definire l'uomo. Il corrispondente termine greco di "ruach" è "pneuma" = (spirito).


Esaminiamo i termini in questione:

V.T. "nephechs" e "ruach"

"NEPHESCH"



Anche noi ammettiamo che il termine "nephesch" possa significare anche "creatura" a) Gn 2,7; Ma tale termine ha anche questi altri significati:

1 Principio vitale: 2) Gn. 35,18; 3) 1Re 17,21; 4) Is. 53,12; 5) Sal. 31,10; 6) Gb. 14,22;


2 Vita : 7) Gn. 37,21; 8) Es. 4,19; 9) 21,23; 10) Dt. 19,26; 11) Gdc. 12,3; 12) 1 Sam. 19,5;

13) 28,21; 14) 1Re 20,39-40; 15) 2Re 7,7; 16) Gb. 13,14; 17) Sal. 6,5; 18) 7,6; 19) 17,13;

20) 22,21; 21) 49,16; 22) 56,7; 23) 59,4; 24) Gio. 1,14;

3 Vivente (cioè che vive): 25) Gn. 1,21; 26) 2,7-19; 27) 9,10; 28) Lev. 11,10-46; 29) 24,18;

4 Uomo (individuo) 30) Gn. 46,15-27; 31) Es. 1,5; 32) 12,4; 33) 16,16; 34) Nm. 31,28;

5 Uomo (alcuno) 35) Lev. 2,1; 36) 4,2; 37) 5,1-4; 38) 7,21;

6 Uomo (ognuno) 39) Es. 12,16; 40) Lev. 7,27; 41) 17,15;

7 Usato invece dei pronomi personali: 42) Gn. 12,13; 43) 49,6; 44) Nm. 32,10; 45) Gb. 6,7;

46) 7,15; 47) 16,4; 48) Sal. 57,7; 49) 105,18; 50) 120,6; 51) 130,5; 52) Ger. 5,9; 53) 13,17;

54) Mic. 6,7;

8 Soggetto di vita nutritiva: uomo affamato, assetato ecc.: 55) Dt. 12,20; 56) Mic: 7,1; 57) Prv.

16,26; 58) 23,2; 59) Sal. 107,9; 60) Is. 29,8; 61) Ger. 50,19;

9 Qualunque desiderio : come divorare e distruggere = odio, furore, ira: 62) Es. 15,9; 63) Sal.

10,3; 64) 27,12; 65) 35,25; 66) 41,3; 67) Is 5,14; 68) Ez. 16,26; 69) 25,6; 70) Mic 7,3.

10 Soggetto di affetti di ogni genere:

a) è triste: 71) Ger. 4,31; 72) Sal. 6,4; 73) 42,6; 74) 44,26;

b) è quieto: 75) Ger. 6,16; 76) Sal. 116,7;

c) gode: 77) Is. 61,10; 78) Sal. 72,23; 79) 86,4;

d) ama: 80) Is. 42,1; 81) Ger. 12,7; 82) 15,1;

e) odia: 83) 2 Sam. 5,8; 84) Is. 1,14;

f) desidera: 85) Is. 26,9; 86) Sal: 42,2.

11 Soggetto cosciente: 87) Sal.139,14; 88) Pro. 19,2; 89) 23,7; 90) 24,14;

12 E' usato particolarmente col termine "cuore": con tutto il cuore e tutto l'animo: 91) Dt. 4,29;

92) 6,5; 93) 10,12; 94) 13,4; 95) 26,16; 96) 30,2.

Il termine "nephesh" è dunque molto generico ed indica principalmente il "soggetto vivente". Può quindi essere riferito tanto all'uomo (per esempio 97 Gn. 35,18; 98 1 Re 17,21), quanto alle bestie (per esempio 99 Gn. 1,21; 100 2,19; 101 9,10; 102 Lev. 11,10-46; 103 Ez. 47,9), quanto allo stesso Dio (104 Is. 1,14; 105 42,1; 106 Gr. 14,19; 107 15,1; 108 Sl. 11,5).

Poichè dunque il termine "nephesh" viene comunemente usato per "persona" o "soggetto vivente" non è da esso che la Chiesa Cattolica fa dipendere la sua dottrina della spiritualità dell'anima umana.

R U A C H

Il termine "ruach" ha un significato più omogeneo: "spirito" e dalla nozione generica di "vento" (109 Is. 7,2; 110 27,8; 111 32,2; 112 Gb. 1,19;), passa a quella più definita di "spirito" opposto a "carne" (113 Is. 31,3). In questo secondo senso ben precisato è riferito:

1 A Dio (114 Nm 24,2; 115 27,18; 116 Gdc. 3,10; 117 6,34; 118 11,29; 119 13,25; 120 1Sam

10,6-10; 121 16,13; 122 19,20,23; 123 2 Re 2,15; 124 Gb. 26,13; 125 33,4; 126 Sl 51,11;

127 Is. 34,16; 128 42,1; 129 59,21; 130 Ez. 3,12-14; 131 8,3; 132 11,1-26; 133 43,5; 134 Os.

9,7.

2 Al principio vitale : 135 Gn: 45,27; 136 Nm. 16,22; 137 27,16; 138 Gdc. 15,19; 139 1 Sam.

30,12; 140 Gb. 27,3; 141 34,14; 142 Sl. 104,29; 143 Qo. 12,7; 144 Is. 57,16; 145 Ez. 37,9.

3 Al principio razionale dell'uomo, come carattere e sede di sentimenti ed affetti: a) triste 146

Gn. 26,35; 147 Is. 65,14; b) impaziente 118 Es. 6,9; c) paziente 149 Qo. 7,8;

d) tranquillo 150 Sl 11,13; 152 32,2; e) leale 151 Sl. 11,13; 152 32,2; f) forte 153

Sl. 51,12.

4 riconnessione con la volontà e decisione: 154 ......................................... 156 36,22; Ag. 1,14;

a) alle bestie: 158 Qo. 3,21; b) ad oqni carne: 159 Gb. 12,10.

Confrontando i due termini tra di loro, si potrebbe dire che ambedue esprimono la stessa forza vitale considerato come principio e forza operante si chiama "ruach"; considerato invece come principiato e operante nella creatura, si chiama "nephesh".

N U O V O T E S T A M E N T O

"PSICHE" e "PNEUMA"


Psiche, il termine in parte corrisponde ai vari significati del termine ebraico "nephesh"; in certi casi ha il significato preciso di parte viva dell'uomo in opposizione al corpo.

a) casi in cui si presenta col senso generico affine a quello di "nephesh":


-1 vita: 160 Mt. 2,20; 161 6,25; Mc. 3,4; 163 Gv. 10,11; 15,17.18; 164 Fl. 2,30.

-2 uomo concreto=individuo: 165 At. 2,41; 166 1 Pt. 3,20; uomo fisiologico: 167 1 Cor.

2,14; 168 15,44; 169 Gd. 19;

-3 animo, complesso affettivo e di ragione: 170 Mt. 22,37; Gv. 10,24; At. 4,32; Ef. 6,6;

Col. 3,23.


b) Casi in cui ha il significato ben preciso di parte vitale in distinzione ed opposizione al cor-

po: Mt. 10,28; 171 At 2,27; 172 Ap. 6,9; 173 Lc. 12,20; 174 Mt. 16,26; 175 Lc. 9,56 (176

Gc. 1,21; 177 1Pt. 1,9) 178 Gv. 12,25; 179 2Cor. 12,15; 180 Eb. 13,17.



Pneuma dalla nozione alquanto generica di "vento" 181 Gv. 3,8; 182 Eb. 1,7; di "soffio della

bocca" 183 2Tes. 2,8; di "mentalità" 184 1Cor. 2,12; 185 Ef. 4,23; si passa a quella ben determinata di "realtà immateriale" In questo secondo senso il termine "pneuma" è riferito:

-1 a Dio, esplicitamente ed ordinariamente, tanto da definire la natura: Dio è spirito 186

Gv. 4,24.


-2 Anche ai demoni: 187 Mt. 12,43; 188 Mc. 1,23-26; 189 Lc. 10,20.


-3 a Gesù: -commosso nello spirito: 190 Gv. 13,21;

-turbato nello spirito: 191 Gv. 11,33; 13,21;

-esultò nello spirito: 192 Lc. 10,21

-conobbe nel suo spirito: 193 Mc. 2,8;

-raccomandò il suo spirito: 194 Lc. 23,46;

-in opposizione al suo corpo: 195 1Pt. 3,18.

-4 all'uomo: a) in attività parallele a quelle di Dio stesso: lo spirito conosce: 196 1Cor.

2,11; lo spirito attesta col nostro spirito: 197 Rm. 8,16; formazione di uno

spirito solo con Dio: 198 1Cor. 6,17.


b) associato al termine "corpo" per dire "tutto l'uomo": 199 1Cor. 7,34.


c) opposto al corpo: lo spirito è pronto, ma la carne è debole: 200 Mt. 26,41

(concetto ampiamente esposto da S. Paolo: 201 Gal. 5,16-24; corpo castiga-

to perchè lo spirito sia salvo: 202 1Cor. 5,5; assente col corpo, ma presente

con lo spirito: 203 1Cor. 5,3-4.

d) Quando lo Spirito non c'è, il corpo è morto: 204 Gc. 2,26; 205 Ap. 11,11.

e) con la morte torna a Dio: 206 Lc. 8,55; 207 At. 7,59.

-5 riferito ad esseri nell'oltretomba: 208 !Pt. 3,19. Infine, la definizione di Cristo: "Lo spirito

non ha carne ed ossa" 209 Lc. 24,39.

Concludendo: 1 Solo il termine "nephesh" non può dare una risposta alla nostra questione: ne

positiva, in favore cioè della spiritualità dell'anima, perchè è usato anche per le

bestie; ne negativa, perchè è attribuita anche a Dio.


2 Il termine greco "psiche" da solo può portare ad una soluzione positiva, perchè

i testi che lo riferiscono certamente alla parte immateriale dell'uomo sono una

prova convincente.


3 I termini "ruach" e "pneuma" apportano argomenti decisivi per una soluzione po-

sitiva.

Che il termine "ruach" sia anche attribuito alle bestie, non costituisce una difficoltà, perchè per l'uomo si dice espressamente che il suo spirito torna a Dio che lo diede: 210 Qo. 12,7.









LA BIBBIA DICHIARA CATEGORIGAMENTE CHE SOLO DIO E' IMMORTALE



Solo Dio è immortale: 1Tim. 1,17: "al re dei secoli, immortale, invisibile, solo Dio, siano onore e gloria nei secoli amen"; 1Tim. 6,16; : "il quale solo possiede l'immortalità ed abita una luce inaccessibile; il quale nessun uomo ha veduto ne può vedere; al quale siano onore e potenza eterna. Amen".

L'immortalità viene presentata come qualcosa che il vero cristiano deve ricercare: Rm. 2,7;: "vita eterna a quelli che con la perseveranza nel bene operare cercano gloria e onore e immortalità" in (Sia Dio riconosciuto verace, pag. 64).

I passi citati della prima lettera a Timoteo non vanno contro la immortalità dell'anima. La Bibbia dice che l'uomo sopravvive allo sfacelo della morte. Abramo riceve la promessa di ricongiungersi con i suoi Padri in pace 211 Gn. 15,15; e non nella tomba: difatti egli fu sepolto nella spelonca di Macpela e i suoi antenati nella Mesopotamia.

S. Paolo 212 Fl. 1,22-23 è perplesso se accettare di vivere ancora per essere utile ai suoi cristiani o di morire ed essere con Cristo. Egli insegna che Gesù è sempre vivo ed assiso alla destra del Padre: essere con Cristo quindi significa essere in cielo.

213 In Mt. 10,28-29 214 Lc. 12,4-5 Gesù parla dell'anima (psiche) che non può essere soppressa neppure con la morte violenta. Il termine anima "psiche" ha il preciso significato di un qualche cosa di essenziale all'uomo e concomitante con il corpo: lo si capisce bene dalla seconda parte del versetto, dove anima e corpo sono messi assieme per indicare tutto l'uomo. Con la morte viene richiesta l'anima, lo spirito, dell'uomo 215 Lc. 12,20 216 Qo. 12,9; mentre il corpo va al sepolcro. E' vero, Dio solo possiede l'immortalità, perchè è increato ed eterno e nessuno gliela può aver data. L'uomo invece l'ha ricevuta da Dio.

Dio è la vita 217 Gv. 5,20; è l'amore 218 1Gv. 4,8-16; ed egli ha dato la vita e l'amore all'uomo, che naturalmente rimane sempre una creatura.

Anche i Testimoni di Geova riconoscono che una vita immortale viene elargita a chi è fedele a Dio.





ORIGINE DEMONIACA DELLA DOTTRINA DELLA IMMORTALITA' DELL'ANIMA







L'immortalità dell'anima è di origine demoniaca, perchè sarebbe stata prospettata ad Eva dal serpente: "L'unico testo nella Sacra Bibbia che asserisce che l'uomo disubbidiente non sarebbe certamente morto si trova in Gn. 3,4; ".....e il serpente disse alla donna. no, non morrete affatto".

S. Paolo insegna che è il corpo che ha ereditato la morte per il peccato di Adamo 220 Rm. 8,10-11. 221 1Cor 15,47; invocato dai Testimoni di Geova per dimostrare che Adamo era terreno e quindi non aveva un'anima immortale, si riferisce al corpo: 222 1Cor. 15,44.









LA SOMIGLIANZA DI ADAMO CON DIO (GN. 1,26)

CONSISTEVA NEL DOMINIO SULLE CREATURE INFERIORI


L'uomo differisce dalle bestie sia per la sua posizione diritta, per la sua intelligenza infinitamente superiore sia per l'esercizio del suo dominio. L'uomo fu fatto ad immagine di Dio: ciò non vuol dire che l'uomo ebbe la stessa forma e sostanza del Creatore, ma come Dio esercitò il dominio universale sopra tutta la creazione, così era stato accordato all'uomo il privilegio di avere il dominio sulla terra e sulle sue varie forme di vita in (Sia Dio riconosciuto verace, pag. 129).

L'uomo, o Adamo, era un'anima vivente simile agli animali inferiori, avendo anch'egli un corpo materiale. Vi era però un'eccezione: l'uomo era di un ordine superiore, avendo una forma diritta ed essendo dotato di una intelligenza infinitamente superiore a quella degli animali in (La verità vi farà liberi. pag. 73)

Non è vero che per Adamo la somiglianza con Dio consistesse nel dominio delle creature. La Sacra Bibbia infatti distingue accuratamente le due cose. In qualunque modo si traduca Gn. 1,26; "....... ed abbia dominio" oppure "...... affinchè abbia dominio" resta sempre vero che si tratta di due cose distinte.

Adamo, dunque, ebbe il dominio sulle creature perchè era stato creato ad immagine di Dio e non viceversa.

La Sacra Scrittura attribuisce all'uomo e a Dio:


1 l'intelletto 223 Sl. 33,15; 224 137,5; 225 Gb. 12,13; 226 1.........18,91; 227 Mc.12,33; 228

Fl. 4,7.

2 il pensiero: 229 Dt. 32,7; 230 Gb. 23,13; 231 Sl. 94,11; 232 Is. 1,16; 233 55,8; 234

...28,9.

3 la giustizia: 235 1Re 10,9; 236 Esd. 9,15; Ne. 9,8; 238 Sl. 7,12; 239 Is. 45,21; 240 56,1;

241 Ge 22,3; 242 23,6; 243 Ez. 45,9.

4 L'amore: 244 Dt. 11,1.


Sono queste attività spirituali che mostrano in che consiste la somiglianza naturale dell'uomo con Dio. Dire che l'uomo ha un'intelligenza infinitamente superiore a quella delle bestie, è un errore, perchè la Bibbia nega decisamente l'intelletto e la ragione alle bestie: 245 Sl. 32,9; 246 Gb. 39,17; 2Pt. 2,12.

Tra l'uomo e la bestia non c'è solo una differenza di grado (un più e un meno), ma una differenza sostanziale. Se poi si pensa che la Redenzione di Cristo fu un riscatto ed una restituzione, si capisce ancora meglio che ad Adamo fu dato quel complesso di beni soprannaturali (figliolanza adottiva di Dio, eredità del cielo etc.) in cui consisteva la somiglianza soprannaturale di Adamo con Dio.

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