Cosa veste il Papa per la Liturgia?

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Caterina63
00domenica 30 novembre 2008 16:49
Dopo aver spiegato alcuni usi liturgici in ambiente della Chiesa Ortodossa che trovate qui:
difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd...

spieghiamo ora le vesti liturgiche usate nella Chiesa Cattolica....



Il piviale usato ieri dal Santo Padre per i Vespri solenni dell'Avvento



La stola (di san Pio X) usata da Benedetto XVI per l'incontro con il Patriarca Ecumenico S.S. Bartolomeo I in occasione dei Vespri per la chiusura del Sinodo dei Vaescovi sulla Sacra Scrittura, ottobre 2008




In questa foto il Papa ha indossato la pianeta di Pio XII per celebrare la Liturgia che commemorava il 50° dalla morte dello stesso Pontefice:



si noti il camice, il cingolo, la stola, la dalmatica (rossa) e appunto la pianeta....il colore liturgico era il rosso

si noti anche la cotta indossata dal Maestro delle Cermonie Pontifice (mons. Guido Marini) alla sinistra del Papa e dell'altro cerimoniere alla sua destra:


qui a seguire notiamo invece con il colore liturgico verde:



l'amitto che si nota dal collo; la dalmatica verde, la stola (scendono le frange) e la casula che ha il taglio di una pianeta...tutto appunto verde...il colore liturgico del Tempo Ordinario...

Infine qui a seguire una gif da me creata per farvi notare quando il Papa CONSACRA L'ALTARE....
da notare la dalmatica bianca con i manicotti per evitare di ungere la veste con l'olio...poi rindossa la casula....




Ecco anche il velo omerale usato da Benedetto XVI nel Giovedì Santo 2006, il Papa porta sotto il velo Gesù Eucarestia, lo copre con rispetto e FEDE per deporlo nel Tabernacolo che costituirà, tra il Venerdì Santo e Sabato Santo, il così detto SEPOLCRO per ricordare che Gesù fu veramente ucciso, morì e fu sepolto, per poi risorgere la Notte di Pasqua....
Tale velo omerale anche in diversi ricami, il Papa usa per le Benedizioni Eucaristiche e per la la Benedeizione dopo la processione del Corpus Domini




Al Te Deum 31.12.2007






 
Caterina63
00lunedì 15 dicembre 2008 08:35
Le Vesti Liturgiche di Benedetto XVI in questi 3 anni....piccolo riepilogo Occhiolino


.....












Caterina63
00lunedì 22 dicembre 2008 23:42
L'intervista integrale a mons. Guido Marini

llustrate dal maestro delle celebrazioni pontificie monsignor Guido Marini
Le novità liturgiche
nei riti natalizi presieduti dal Papa

di Gianluca Biccini

    La scultura raffigurante la Vergine in trono con il Bambino collocata accanto all'altare della confessione della Basilica di San Pietro dalla notte di Natale fino all'Epifania, e non solo nella solennità della Santissima Madre di Dio; il canto della Kalenda, non più all'interno della celebrazione eucaristica della vigilia, ma prima della processione d'inizio; il consueto omaggio floreale dei bimbi dei cinque continenti spostato al termine della stessa messa, quando Benedetto XVI sosterà davanti al presepio per deporvi la statuina del Bambino Gesù; e infine la mozzetta con la stola indossate dal Papa per la benedizione Urbi et orbi al posto del piviale utilizzato in passato. Sono le novità più significative di quest'anno nei riti natalizi presieduti da Benedetto XVI. Le spiega al nostro giornale il Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, monsignor Guido Marini, che in quest'intervista illustra anche le motivazioni alla base di tali scelte.

    Siamo alle porte del Natale. Che cosa significa questo per la vita liturgica della Chiesa?

    Le celebrazioni liturgiche del tempo di Natale, a cominciare dalla messa della notte, conducono i fedeli alla contemplazione del mistero dell'Incarnazione, il mistero della nostra salvezza. La Chiesa si ferma a contemplare, ancora una volta, il volto di Colui che è l'unico Salvatore del mondo. Di fronte al mistero dell'Incarnazione tutto  deve  concorrere  a  suscitare  stupore:  le parole, i gesti, i silenzi, i segni, la musica, il canto, il rito nel suo complesso. Non può non destare meraviglia, infatti, l'evento del Figlio di Dio che si fa bambino per noi e per la nostra  salvezza. Lì  si  rende  presente la straordinaria bellezza del mistero del Signore e del suo Amore ricco di infinita  misericordia.  Egli  è  il  Dio con noi.

    Per molti, forse, la nascita di Gesù è solo un fatto che appartiene al passato.

    Non si tratta solo di un fatto del passato, ma di un fatto che oggi ancora si rende presente e vivo nella celebrazione liturgica. Proprio per questo il Natale è caratterizzato dalla gioia.

    Dalla Liturgia alla vita:  come vivere questa necessaria relazione?

    Con il bagaglio della propria vita si entra nella liturgia e dalla liturgia si ritorna alla vita profondamente rinnovati. L'incontro con il mistero di Dio, quando è autentico, non può che portare a un cambiamento dell'esistenza. È importante, da questo punto di vista, che il rito risplenda luminoso e, dunque, capace di rendere partecipabile da tutti il mistero celebrato. Non si tratta di fare cose nuove, ma di fare in modo nuovo quanto la Chiesa ci invita a compiere nel gesto rituale. Qui sta il grande compito di ogni liturgia esemplarmente celebrata e davvero vissuta. Se ciò accade si ha davvero la partecipazione attiva di tutti, perché tutti non soltanto prendono parte alla celebrazione, ma ne restano attivamente e spiritualmente coinvolti, così da entrare nell'azione di Cristo e della Chiesa e averne una crescita in santità.

    C'è qualche particolare da sottolineare nelle celebrazioni natalizie presiedute da Benedetto XVI?

    Quest'anno la bella scultura lignea policroma raffigurante la Vergine in trono con il Bambino benedicente, sarà collocata accanto all'altare della confessione a partire dalla notte di Natale fino al giorno dell'Epifania, e non solo nella solennità della Santissima Madre di Dio. Si è voluto così sottolineare come il tempo natalizio sia un tempo anche mariano. La Vergine Santa non distoglie dal mistero del Figlio di Dio che si fa uomo, ma al contrario aiuta a comprenderlo nel significato più vero.
    È forse anche opportuno mettere in risalto il tempo della preparazione alla celebrazione:  l'alternarsi di letture, preghiera e musica aiuta a disporre l'animo di tutti presenti al clima di adeguato raccoglimento. Allo stesso modo sono da intendere le indicazioni, annotate sui libretti liturgici, di un breve tempo di silenzio, previsto dopo l'omelia del Santo Padre e dopo la distribuzione della Santa Comunione. Si tratta di brevi pause che aiutano il raccoglimento e la preghiera, soprattutto per assimilare il dono della Parola di Dio ascoltata e il dono dell'Eucaristia di cui ci si è nutriti.

    Veniamo alla notte di Natale e alla benedizione Urbi et orbi.

    Come già gli anni scorsi, è prevista una breve veglia di preghiera in preparazione alla santa messa della notte. Quest'anno, però, la veglia sarà arricchita dal canto della Kalenda, non più prevista all'interno della celebrazione eucaristica. L'antico testo della Kalenda che annuncia la nascita storica del Salvatore, di conseguenza, sarà l'ultimo atto della veglia prima che si dia avvio alla processione d'inizio della messa.
    Il martirologio romano prevede il canto della Kalenda nel giorno della vigilia di Natale alla conclusione delle Lodi o di un'ora minore della Liturgia delle Ore. In questo senso la collocazione della Kalenda al termine della veglia di preghiera sembra più rispondente alla sua natura.
    Al canto del Gloria, invece, dopo l'intonazione del Santo Padre, saranno suonate le campane con l'accompagnamento dell'organo, ma non vi sarà il consueto rito dell'omaggio floreale dei bambini, in rappresentanza dei vari continenti. Questo omaggio è stato spostato al termine della celebrazione eucaristica, quando il Pontefice si recherà davanti al presepio per la collocazione dell'immagine del Bambino Gesù.
    Quanto alla benedizione Urbi et orbi, il Santo Padre non indosserà il piviale. Si è preferito optare per la mozzetta con la stola trattandosi di una benedizione solenne che non comporta un particolare rito.

    Lo scorso anno, nella Cappella Sistina, per la festa del Battesimo del Signore, il Papa ha celebrato all'altare antico. Anche per quest'anno si prevede la stessa cosa?

    Sì, anche quest'anno sarà utilizzato l'altare proprio della Cappella Sistina. Si celebrerà nuovamente all'altare antico per non alterare la bellezza e l'armonia di questo gioiello architettonico, preservando la sua struttura dal punto di vista celebrativo e usando una possibilità contemplata dalla normativa liturgica. Ciò significa che in alcuni momenti il Papa, insieme con i fedeli, si rivolgerà verso il Crocifisso, sottolineando così anche il corretto orientamento della celebrazione eucaristica:  l'orientamento al Signore.
    Per il resto la celebrazione avrà il consueto svolgimento e il Santo Padre donerà il sacramento del Battesimo a tredici bambini.

    E per finire, qualche altro dettaglio?

    È forse utile ricordare che le lingue scelte per le letture e per le intenzioni della preghiera dei fedeli intendono rispecchiare la partecipazione di persone provenienti da diversi Paesi del mondo. Allo stesso tempo, il latino usato nella celebrazione esprime l'unità e la cattolicità, pur nella diversità delle appartenenze linguistiche.
    Aggiungo che, al canto dei Vespri dell'ultimo giorno dell'anno seguiranno, anche stavolta, l'esposizione del Santissimo Sacramento con il canto del Te Deum di ringraziamento e la conseguente Benedizione eucaristica, a significare la centralità dell'adorazione nella vita della Chiesa.
    Inoltre, alla messa del primo gennaio prenderanno parte, alla presentazione dei doni e alla lettura delle intenzioni della preghiera dei fedeli, alcuni bambini e adulti provenienti dal Libano.
    Infine, per la solennità dell'Epifania, il Santo Padre indosserà una pianeta di Paolo vi, come già ha fatto in qualche altra celebrazione, a sottolineare ancora una volta il necessario equilibrio nell'uso liturgico di cose nuove e cose antiche.



(©L'Osservatore Romano - 22-23 dicembre 2008)
Caterina63
00martedì 6 gennaio 2009 16:34

Festa dell'Immacolata 8.12.2008 Stola di Leone XIII




Santa Messa di Natale 2008

             




              


Benedizione Urbi et Orbi Natale 2008:

il Papa ha mantenuto il trono, e per la stola ha indossato quella di san Pio X Sorriso
















TE DEUM  del 31.12.2008

il Papa per il Te Deum Sorriso





particolare della "fibbia" (nun ricordo il nome) del piviale...


 


e per la Santa Messa  1.1.2009 il Papa ha riportato la Mitria dell'Immacolata Sorriso








EPIFANIA DEL SIGNORE Gesù 6.1.2009
Benedetto XVI ha indossato il piviale di Paolo VI e il trono del Beato Pio IX[SM=g1740717]


















Caterina63
00venerdì 16 gennaio 2009 20:06

venerdì 9 gennaio 2009

Il Papa dalla loggia centrale della Basilica Vaticana, il giorno di Natale, con la mozzetta e la stola. Niente piviale, mitria o pastorale, trattandosi di una benedizione solenne che non comporta un particolare rito liturgico. Mozzetta e stola, dunque.




Così l'hanno seguito in centinaia di milioni di persone in ogni parte del mondo.Una scelta di sobrietà e di essenzialità? No, semplicemente una ricerca di ordine, di pulizia anche nei paramenti nell'era della globalizzazione mediatica. Benedetto XVI guarda anche a questi particolari, attento a non ingenerare confusioni, a non annacquare soprattutto il mistero o la celebrazione dei sacramenti nel tritatutto delle immagini. Ma è sulla liturgia che l'attenzione papale è del tutto particolare. Bastava seguire, appena poche ore prima, il solenne rito della messa della notte di Natale per rendersene conto. La «Kalenda» al termine della veglia e prima della liturgia; i lunghi silenzi; l'inginocchiatoio per i fedeli che facevano la comunione; il crocifisso al centro dell'altare e dei candelieri, belli ma forse ingombranti per la ripresa televisiva, l'omaggio floreale dei bambini collocato al termine della messa.

E le modifiche non si fermeranno qui. In questa partita sottile ha al suo fianco un monsignore giovane (43 anni) e «sottile» come Guido Marini, laureato in diritto canonico. Da quattordici mesi è il maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie. Ha sostituito il vescovo Piero Marini, per anni al fianco di Giovanni Paolo II. Sacerdote genovese schivo, un po' timido, ma con le idee chiare e distinte. Un uomo pio, dolce e con un sorriso disarmante che te lo rendono immediatamente simpatico. Questa e una delle sue prime, rare interviste.

Monsignor Guido Marini, chi sono stati i suoi maestri?
«Quando sono entrato in seminario era arcivescovo il cardinale Giuseppe Siri. Sono stato ordinato sacerdote dal cardinale Canestri. Sette anni come segretario di Canestri e sette col cardinale Dionigi Tettamanzi. Il cardinale Tarcisio Bertone mi ha nominato responsabile dell'ufficio scuola dell'arcidiocesi, direttore spirituale in seminario dove insegnavo diritto canonico. Poi cancelliere della curia e prefetto responsabile della cattedrale. Col cardinale Tettamanzi ho iniziato i primi passi come cerimoniere».

«Liturgia culmine della vita della Chiesa, tempo e luogo di rapporto profondo con Dio», come dice Benedetto XVI. Da dove le è venuto questo amore per la liturgia?
«È stato un amore giovanile nel senso che la mia vocazione ha le sue radici nella liturgia; l'amore per il Signore è stato anche l'amore per la liturgia come luogo d'incontro col Signore. A Genova poi c'è sempre stato un importante movimento liturgico».

Suppongo che sia stato il cardinale Tarcisio Bertone, divenuto Segretario di Stato della Santa Sede a proporre il suo nome a Benedetto XVI.
«Sì, la proposta mi è arrivata tramite il cardinale Bertone. "Il Papa - mi ha spiegato - sta pensando al tuo nome"».

Col Papa bavarese, stiamo assistendo ad una operazione di restyling liturgico o a qualcosa di più profondo?
«È qualcosa di più profondo nella linea della continuità, non della rottura. C'è uno sviluppo nel rispetto della tradizione».

Da quando è arrivato lei i cambiamenti o le correzioni ci sono stati. Alcuni impercettibili, altri più vistosi.
«Il cambiamento è diversificato. Uno è stata la collocazione del crocifisso al centro dell'altare per indicare che il celebrante e l'assemblea dei fedeli non si guardano, ma insieme guardano verso il Signore che è il centro della loro preghiera. L'altro aspetto è la comunione data in ginocchio dal Santo Padre e distribuita in bocca. Ciò per mettere in evidenza la dimensione del mistero, la presenza viva di Gesù nella Santissima Eucarestia. Anche l'atteggiamento, la postura sono importanti perché aiutano l'adorazione e la devozione dei fedeli».

Papa Benedetto è il primo Papa che non ha nel suo stemma la tiara. Ha cambiato il pallio del suo inizio di ministero apostolico ed ha abbandonato il caratteristico pastorale, dell'artista Scorzelli, donato dai milanesi a Paolo VI. Quel pastorale a forma di croce fu usato anche da Papa Luciani e da Giovanni Paolo II. Papa Ratzinger ha scelto una ferula. Una semplice croce.
«Come dice lei, il pastorale papale è la ferula, la croce senza il crocifisso, dando a questa un uso più consueto e abituale e non soltanto straordinario. Accanto a tale considerazione si è imposta una questione pratica: un pastorale più leggero e lo abbiamo trovato nella sacrestia papale».

Abbiamo già accennato all'introduzione del silenzio nella messa. A Roma, al centro della cristianità, le liturgie appaiono nella loro splendida solennità. E la lingua di Cicerone, il latino, svetta su tutte. Poi si pensa ad anticipare il segno della pace e ad un saluto finale diverso da parte del celebrante. L'intenzione è quella di recuperare in pieno il carattere non arbitrario del culto. La creatività e spontaneità come una minaccia.
«Non sarei così drastico e non mi piace neppure l'espressione, usata da qualcuno, di "bonifica liturgica". È uno sviluppo che valorizza ulteriormente ciò che ha fatto egregiamente e per tanti anni, come maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie, il mio predecessore, il vescovo Piero Marini. Le questioni da lei sollevate circa lo spostamento del segno della pace o altro non competono al mio ufficio bensì alla Congregazione per il Culto Divino e al nuovo prefetto, il cardinale Antonio Canizares. Io ho il compito di impegnarmi a realizzare in modo esemplare l'unità e la cattolicità di tutti coloro che partecipano alla celebrazione della Santa Messa papale».

Quando vedremo Papa Benedetto celebrare la messa in latino secondo il rito romano straordinario, quello di san Pio V? Il «motu proprio» io, personalmente, l'ho interpretato come un atto di liberalità, di apertura, non di chiusura.
«Non lo so. Molti fedeli si sono avvalsi di questa possibilità. Deciderà il Papa, se lo crederà opportuno»

Nella «Esortazione Apostolica» post-sinodale sulla liturgia, Joseph Ratzinger si è soffermato su tanti aspetti. Ha persino proposto che le chiese siano rivolte verso oriente, verso la città Santa di Gerusalemme. Lui, un anno fa, ha celebrato messa nella Cappella Sistina con le spalle rivolte al popolo. Chi glielo ha proposto?
«Gliel'ho proposto io. La Cappella Sistina è uno scrigno di tesori. Sembrava una forzatura alterarne la bellezza costruendo un palco artificiale, posticcio. Nel rito ordinario, questo celebrare "con le spalle rivolte al popolo", è una modalità prevista. Però sottolineo: non si voltano le spalle ai fedeli, bensì celebrante e fedeli sono rivolti verso l'unico punto che conta che è il crocifisso».

«Il Papa veste Cristo non Prada» si è letto addirittura su «L'Osservatore Romano». Il look di Benedetto XVI colpisce e intriga. Paramenti, mitre, croci pettorali, cattedre su cui siede, mozzette e stole. Siamo di fronte ad un Papa elegante. È una invenzione giornalistica?
«Già dire "elegante", nel linguaggio di oggi, sembrerebbe significare un Papa che ama aspetti esteriori, mondani. Un occhio attento avverte che c'è una ricerca che sposa tradizione e modernità. Non è la logica di un improponibile ritorno al passato ma è un riequilibrio fra passato e presente. È la ricerca, se vuole, della bellezza e dell'armonia, che sono rivelazione del mistero di Dio».

Cosa vedremo in Camerun e in Angola? Le liturgie africane sono pittoresche, popolari, dove c'è una totalità che si esprime anche con la danza, i tamburi. Lei sarà messo alla prova…
(Ride). «Solo adesso stiamo preparando il viaggio. Cercheremo di mettere insieme ciò che vale per tutti con le tradizioni locali. Con la sua sola presenza il Papa richiama la Chiesa, una, santa, cattolica. Troveremo la sintesi fra ciò che unisce la Chiesa sul rito romano e aspetti tipici, sensibilità culturali. Inculturazione della fede e della liturgia e dimensione universale».

La liturgia è un sedimentato, un patrimonio millenario. Il messale è intessuto di citazioni dalla Bibbia ai Padri della Chiesa dell'Oriente e dell'Occidente. Salmi responsoriali, orazioni o collette, il sacramentario che è la parte centrale della messa. È un patrimonio intoccabile. Ogni volta che c'è una celebrazione lei si consulta col Papa? Che tipo di comunicazione c'è?
«Molto semplice. Il Papa viene interpellato nelle cose rilevanti e prima di una celebrazione ha tutti i testi. Di solito, gli inviamo delle note scritte e lui risponde per iscritto, di suo pugno»
.
Lei sta facendo un'esperienza forte e straordinaria. Episodi che l'hanno toccata?
"Sì, è una esperienza forte. Mi ha colpito il viaggio del Papa negli Stati Uniti. Essendo il mio primo viaggio internazionale col Santo Padre c'era il sapore della novità. Un viaggio emozionante per l'affetto e il calore, per il clima spirituale. E mi ha colpito la consegna del pallio, in giugno, ai metropoliti. Un metropolita si è rivolto così al Papa in ginocchio: "Padre Santo, vengo da una diocesi in cui il mio predecessore ha patito il martirio per la fede. Preghi per me perché anch'io possa essere un martire". Ho capito ancora di più cosa significa essere Chiesa».

C'è grande sintonia, feeling fra lei e il Papa?
«Da parte mia è assoluta».

Come definirebbe Papa Benedetto XVI, lei che ha fortuna di stargli accanto?
«Unisce ad una eccezionale levatura intellettuale una grandissima semplicità e dolcezza. È un tratto caratteristico della sua figura spirituale e umana. È una realtà che verifico e tocco con mano. Il fatto di essere vicino al Papa, a questo Papa, è una grande grazia per il mio sacerdozio».

Fonte Il Tempo, 29 Dicembre 2008.
Caterina63
00lunedì 26 gennaio 2009 23:46
Inseriremo qui le Stole usate da Benedetto VI dei suoi Predecessori.... Occhiolino

7 aprile 2008 alla Chiesa di san Bartolomeo all'isola Tiberina
stola bianca di Benedetto XV











Immacolata 8.12.2008 Stola bianca di Papa Leone XIII




Rosario con Benedetto XVI a santa Maria Maggiore: 3.5.2008
Stola di Papa Leone XIII e trono papale di Papa Leone XIII







Non dimentichiamo che papa Leone XIII è stato un altro grande Papa DEL ROSARIO... Occhiolino nonchè promotore del Santuario di Pompei....[SM=g1740717] [SM=g1740750] [SM=g7182] [SM=g1740720]

Occorre che comprendiamo anche l'uso di queste stole da parte di Benedetto XVI, in collegamento magisteriale con i predecessori che le usarono; esse non sono un abbellimento del vestiario, ma hanno un profondo significato sia sacramentale per l'uso, quanto per la continuità nel metterle ancora oggi.......[SM=g1740722] [SM=g1740721]

questa bianca non è stato possibile identificarla....




incontro con i diplomatici 2008, altro significativo uso della stola rossa di Benedetto XV



 Sorriso

Leone XIII stola rossa Benedizione agnelli gennaio 2008




Benedizione Urbi et Orbi Natale 2008
la stola di recente più usata dal Papa sono due, rosse di san Pio X:





Pompei 19.11.2008 stola rossa di Leone XIII



[SM=g1740722]

Caterina63
00martedì 27 gennaio 2009 00:00
Dall'avvento di mons. Guido Marini Maestro Cerimoniere Pontificio delle Messe e della Liturgia del Sommo Pontefice dal novembre 2007
November

Mass for deceased cardinals 5 November


Vatican Pool

Consistory to create new Cardinals 24-25 November


Alessandra Benedetti


Alessandra Benedetti


Ada Masella

December

First Vespers of Advent 1 December


Benodette

Midnight Mass 24 December


Alessandra Benedetti

Urbi et Orbi 25 December


Caterina63
00venerdì 13 febbraio 2009 21:44
Enciclopedia Cattolica
voce Fanone

FANONE.

- Nella sua forma attuale è un ornamento proprio del solo Sommo Pontefice, che lo assume quando celebra solennemente, dopo l'ora canonica di terza. Consiste in una doppia mozzetta di seta finissima e oro, tessuta in strisce perpendicolari, una bianca, l'altra d'oro, congiunte fra loro da una terza più piccola di colore amaranto: un palloncino d'oro ne borda l'estremo sia superiore che inferiore: la mozzetta esterna ha inoltre ricamata una croce d'oro con raggi. Queste due mozzette sono cucite nella parte che circonda il collo, allacciandosi con un bottone le aperture corrispondenti alle spalle; ora non più, perché Pio X per comodità le fece separare. Nelle Messe pontificali, quando il papa ha preso il succintorio e la croce pettorale, il cardinale diacono ministrante gli impone la prima mozzetta del f., poi la stola, le dalmatiche, la pianeta, e sopra di essa la seconda mozzetta: in ultimo il pallio.

È molto difficile rimontare alle origini di questo ornamento. Confuso forse in principio con il manipolo, o con l'amitto (anabolagio), o con gli oralia, specie di fazzoletti o tovaglioli, che servivano ad asciugare il sudore del capo e perciò portati intorno al collo, passò nella forma attuale verso il sec. XIII. Precedentemente serviva a coprire il capo a guisa di cappuccio e vi si metteva sopra la mitra. Usava non solo nelle funzioni liturgiche, ma anche in circostanze profane, come in occasione di pranzi solenni, nella distribuzione del presbiterio.

In un antico messale, di cui si ignora la data, della chiesa di S. Damiano in Assisi è detto che il papa mette sul capo il f. senza la mitra per la lavanda dei piedi il Giovedì Santo; e che il Venerdì Santo non usa il f. Pietro Aurelio, sacrista di Urbano V nel 1362, nel suo Cerimoniale romano dice che il papa mangiava in pubblico con il manto rosso e con il f. o orale sul capo sotto la mitra. Di Bonifacio VIII sappiamo che portava il f. sotto la mitra, e che fu sepolto con esso; lo stesso dicasi di Clemente IV morto nel 1268.

Innocenzo III (nel De mysteriis Missae, l. I, cap. 13) parla esplicitamente di questo ornamento che chiama orale: si è dunque al principio del sec. XIII. Qualche autore vorrebbe vedere il f. nella figura scolpita nella porta di bronzo nella cappella di S. Giovanni Evangelista al Laterano rappresentante Celestino III.

Vari autori vogliono che l'uso dei vescovi greci di coprirsi la testa con un velo, quando hanno assunto gli ornamenti principali, abbia dato origine al f. del papa; ma è cosa incerta. Altri, invece, e con essi lo stesso Innocenzo III, intendono far derivare il f. dall'ephod del sommo sacerdote ebreo, anch'esso tessuto di strisce d'oro e colorate, ma di diversa forma.
Con questa parola si designava anticamente un velo pendente da un'asta a guisa di bandiera, chiamato appunto gonfalone, stendardo, vessillo; oppure, secondo l'etimologia ecclesiastica, il velo pendente dal braccio dei ministri sacri detto manipolo, sudario, orale.
Enrico Dante
da Enciclopedia Cattolica, V, Città del Vaticano, 1950, coll. 1024-1025

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FANONE - S. S. Pio XII parato per la Messa pontificale.
Il f. è la mantellina che il Papa reca sulla pianeta.


Paolo VI col fanone sulla casula

Giovanni Paolo II col Fanone
Caterina63
00martedì 17 febbraio 2009 00:34
Il TEMPO 28/12/2008

Il Papa dalla loggia centrale della Basilica Vaticana, il giorno di Natale, con la mozzetta e la stola. Niente piviale, mitria o pastorale, trattandosi di una benedizione solenne che non comporta un particolare rito liturgico. Mozzetta e stola, dunque.



Così l'hanno seguito in centinaia di milioni di persone in ogni parte del mondo.
Una scelta di sobrietà e di essenzialità? No, semplicemente una ricerca di ordine, di pulizia anche nei paramenti nell'era della globalizzazione mediatica. Benedetto XVI guarda anche a questi particolari, attento a non ingenerare confusioni, a non annacquare soprattutto il mistero o la celebrazione dei sacramenti nel tritatutto delle immagini. Ma è sulla liturgia che l'attenzione papale è del tutto particolare. Bastava seguire, appena poche ore prima, il solenne rito della messa della notte di Natale per rendersene conto. La «Kalenda» al termine della veglia e prima della liturgia; i lunghi silenzi; l'inginocchiatoio per i fedeli che facevano la comunione; il crocifisso al centro dell'altare e dei candelieri, belli ma forse ingombranti per la ripresa televisiva, l'omaggio floreale dei bambini collocato al termine della messa.
E le modifiche non si fermeranno qui. In questa partita sottile ha al suo fianco un monsignore giovane (43 anni) e «sottile» come Guido Marini, laureato in diritto canonico. Da quattordici mesi è il maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie. Ha sostituito il vescovo Piero Marini, per anni al fianco di Giovanni Paolo II. Sacerdote genovese schivo, un po' timido, ma con le idee chiare e distinte. Un uomo pio, dolce e con un sorriso disarmante che te lo rendono immediatamente simpatico. Questa e una delle sue prime, rare interviste.

Monsignor Guido Marini, chi sono stati i suoi maestri?
«Quando sono entrato in seminario era arcivescovo il cardinale Giuseppe Siri. Sono stato ordinato sacerdote dal cardinale Canestri. Sette anni come segretario di Canestri e sette col cardinale Dionigi Tettamanzi. Il cardinale Tarcisio Bertone mi ha nominato responsabile dell'ufficio scuola dell'arcidiocesi, direttore spirituale in seminario dove insegnavo diritto canonico. Poi cancelliere della curia e prefetto responsabile della cattedrale. Col cardinale Tettamanzi ho iniziato i primi passi come cerimoniere».

«Liturgia culmine della vita della Chiesa, tempo e luogo di rapporto profondo con Dio», come dice Benedetto XVI. Da dove le è venuto questo amore per la liturgia?
«È stato un amore giovanile nel senso che la mia vocazione ha le sue radici nella liturgia; l'amore per il Signore è stato anche l'amore per la liturgia come luogo d'incontro col Signore. A Genova poi c'è sempre stato un importante movimento liturgico».

Suppongo che sia stato il cardinale Tarcisio Bertone, divenuto Segretario di Stato della Santa Sede a proporre il suo nome a Benedetto XVI.
«Sì, la proposta mi è arrivata tramite il cardinale Bertone. "Il Papa - mi ha spiegato - sta pensando al tuo nome"».

Col Papa bavarese, stiamo assistendo ad una operazione di restyling liturgico o a qualcosa di più profondo?
«È qualcosa di più profondo nella linea della continuità, non della rottura. C'è uno sviluppo nel rispetto della tradizione».

Da quando è arrivato lei i cambiamenti o le correzioni ci sono stati. Alcuni impercettibili, altri più vistosi.
«Il cambiamento è diversificato. Uno è stata la collocazione del crocifisso al centro dell'altare per indicare che il celebrante e l'assemblea dei fedeli non si guardano, ma insieme guardano verso il Signore che è il centro della loro preghiera. L'altro aspetto è la comunione data in ginocchio dal Santo Padre e distribuita in bocca. Ciò per mettere in evidenza la dimensione del mistero, la presenza viva di Gesù nella Santissima Eucarestia. Anche l'atteggiamento, la postura sono importanti perché aiutano l'adorazione e la devozione dei fedeli».

Papa Benedetto è il primo Papa che non ha nel suo stemma la tiara. Ha cambiato il pallio del suo inizio di ministero apostolico ed ha abbandonato il caratteristico pastorale, dell'artista Scorzelli, donato dai milanesi a Paolo VI. Quel pastorale a forma di croce fu usato anche da Papa Luciani e da Giovanni Paolo II. Papa Ratzinger ha scelto una ferula. Una semplice croce.
«Come dice lei, il pastorale papale è la ferula, la croce senza il crocifisso, dando a questa un uso più consueto e abituale e non soltanto straordinario. Accanto a tale considerazione si è imposta una questione pratica: un pastorale più leggero e lo abbiamo trovato nella sacrestia papale».

Abbiamo già accennato all'introduzione del silenzio nella messa. A Roma, al centro della cristianità, le liturgie appaiono nella loro splendida solennità. E la lingua di Cicerone, il latino, svetta su tutte. Poi si pensa ad anticipare il segno della pace e ad un saluto finale diverso da parte del celebrante. L'intenzione è quella di recuperare in pieno il carattere non arbitrario del culto. La creatività e spontaneità come una minaccia.
«Non sarei così drastico e non mi piace neppure l'espressione, usata da qualcuno, di "bonifica liturgica". È uno sviluppo che valorizza ulteriormente ciò che ha fatto egregiamente e per tanti anni, come maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie, il mio predecessore, il vescovo Piero Marini. Le questioni da lei sollevate circa lo spostamento del segno della pace o altro non competono al mio ufficio bensì alla Congregazione per il Culto Divino e al nuovo prefetto, il cardinale Antonio Canizares. Io ho il compito di impegnarmi a realizzare in modo esemplare l'unità e la cattolicità di tutti coloro che partecipano alla celebrazione della Santa Messa papale».

Quando vedremo Papa Benedetto celebrare la messa in latino secondo il rito romano straordinario, quello di san Pio V? Il «motu proprio» io, personalmente, l'ho interpretato come un atto di liberalità, di apertura, non di chiusura.
«Non lo so. Molti fedeli si sono avvalsi di questa possibilità. Deciderà il Papa, se lo crederà opportuno».

Nella «Esortazione Apostolica» post-sinodale sulla liturgia, Joseph Ratzinger si è soffermato su tanti aspetti. Ha persino proposto che le chiese siano rivolte verso oriente, verso la città Santa di Gerusalemme. Lui, un anno fa, ha celebrato messa nella Cappella Sistina con le spalle rivolte al popolo. Chi glielo ha proposto?
«Gliel'ho proposto io. La Cappella Sistina è uno scrigno di tesori. Sembrava una forzatura alterarne la bellezza costruendo un palco artificiale, posticcio. Nel rito ordinario, questo celebrare "con le spalle rivolte al popolo", è una modalità prevista. Però sottolineo: non si voltano le spalle ai fedeli, bensì celebrante e fedeli sono rivolti verso l'unico punto che conta che è il crocifisso».

«Il Papa veste Cristo non Prada» si è letto addirittura su «L'Osservatore Romano». Il look di Benedetto XVI colpisce e intriga. Paramenti, mitre, croci pettorali, cattedre su cui siede, mozzette e stole. Siamo di fronte ad un Papa elegante. È una invenzione giornalistica?
«Già dire "elegante", nel linguaggio di oggi, sembrerebbe significare un Papa che ama aspetti esteriori, mondani. Un occhio attento avverte che c'è una ricerca che sposa tradizione e modernità. Non è la logica di un improponibile ritorno al passato ma è un riequilibrio fra passato e presente. È la ricerca, se vuole, della bellezza e dell'armonia, che sono rivelazione del mistero di Dio».

Cosa vedremo in Camerun e in Angola? Le liturgie africane sono pittoresche, popolari, dove c'è una totalità che si esprime anche con la danza, i tamburi. Lei sarà messo alla prova…
(Ride). «Solo adesso stiamo preparando il viaggio. Cercheremo di mettere insieme ciò che vale per tutti con le tradizioni locali. Con la sua sola presenza il Papa richiama la Chiesa, una, santa, cattolica. Troveremo la sintesi fra ciò che unisce la Chiesa sul rito romano e aspetti tipici, sensibilità culturali. Inculturazione della fede e della liturgia e dimensione universale».
La liturgia è un sedimentato, un patrimonio millenario. Il messale è intessuto di citazioni dalla Bibbia ai Padri della Chiesa dell'Oriente e dell'Occidente. Salmi responsoriali, orazioni o collette, il sacramentario che è la parte centrale della messa. È un patrimonio intoccabile.

Ogni volta che c'è una celebrazione lei si consulta col Papa? Che tipo di comunicazione c'è?
«Molto semplice. Il Papa viene interpellato nelle cose rilevanti e prima di una celebrazione ha tutti i testi. Di solito, gli inviamo delle note scritte e lui risponde per iscritto, di suo pugno».

Lei sta facendo un'esperienza forte e straordinaria. Episodi che l'hanno toccata?
"Sì, è una esperienza forte. Mi ha colpito il viaggio del Papa negli Stati Uniti. Essendo il mio primo viaggio internazionale col Santo Padre c'era il sapore della novità. Un viaggio emozionante per l'affetto e il calore, per il clima spirituale. E mi ha colpito la consegna del pallio, in giugno, ai metropoliti. Un metropolita si è rivolto così al Papa in ginocchio: "Padre Santo, vengo da una diocesi in cui il mio predecessore ha patito il martirio per la fede. Preghi per me perché anch'io possa essere un martire". Ho capito ancora di più cosa significa essere Chiesa».

C'è grande sintonia, feeling fra lei e il Papa?
«Da parte mia è assoluta».

Come definirebbe Papa Benedetto XVI, lei che ha fortuna di stargli accanto?
«Unisce ad una eccezionale levatura intellettuale una grandissima semplicità e dolcezza. È un tratto caratteristico della sua figura spirituale e umana. È una realtà che verifico e tocco con mano. Il fatto di essere vicino al Papa, a questo Papa, è una grande grazia per il mio sacerdozio».
Caterina63
00mercoledì 25 febbraio 2009 18:29
Dunque, terminata la diretta.... [SM=g9433]

Il Papa non ha indossato quest'anno il piviale per la processione, la stola sulla mozzetta è quella di Leone XIII che il Papa indossò l'anno scorso per la benedizione degli agnelli in gennaio 2008...quanto alla Santa Messa ha indossato tutto come l'anno scorso,come facemmo notare è evidente che il Papa ora ha dato una sorta di imprimatur celebrazione per celebrazione e finalmente senza più esperimenti di abbigliamenti vari... ;)
L'omelia, che posteremo nel Thread dedicato alla Quaresima, è stata incentrata sull'apostolo Paolo....

seguono leimmagini che ne ho tratto dalla diretta internet...








[SM=g9503] [SM=g9433]

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Caterina63
00domenica 5 aprile 2009 14:34
5.4.2009 Domenica delle Palme e Giornata Mondiale della Gioventù....[SM=g1740717]
























 Sorriso


Il Papa ha usato due mitrie e nella sostanza nulla di nuovo, tranne che hano messo un bel parasole sullo schienale del tronetto (finalmente) eliminando l'ombrello....





Caterina63
00domenica 5 aprile 2009 14:36
Sorriso faccio osservare che DURANTE LA MESSA non c'era nessun striscione....solo dopo la Messa, al passaggio della Croce della GMG, sono usciti fuori GIOIA, APPLAUSI, CANTI E STRISCIONI.... Occhiolino









Il parasole












 Sorriso


notare la tonsura...... Ghigno





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[SM=g1740733]
Caterina63
00domenica 5 aprile 2009 17:06




























 
Caterina63
00giovedì 30 aprile 2009 19:11
il Papa ha usato per la Messa del Sacro Crisma del Giovedì Santo le vesti liturgiche usate a Genova.... Occhiolino





 
Sorriso

Dalla Messa in Coena Domini











 
Sorriso

Venerdì Santo, Liturgia della Passione:





















[SM=g1740733]
Caterina63
00giovedì 30 aprile 2009 19:16
Dunque per Venerdì Santo il Papa ha mantenuto le scelte (ottime) dell'anno passato....
per il Venerdì alla Via Crucis il Papa ha usato la stola di Pio IX ed è stato allestito un decoroso avamposto in rosso....non bianco come l'anno scorso.... Occhiolino

Grazie al Cielo non ha piovuto quest'anno.....

Venerdì Santo: Via Crucis al Colosseo






















Messa per la Notte di Pasqua











LA MESSA DEL GIORNO DOPO, DI PASQUA DAL SAGRATO



Così per la Benedizione Urbi et Orbi il Papa ha mantenuto la scelta fatta per Natale.... Occhiolino

Notare la stola BIANCA E' NUOVA, è sua c'è lo stemma ....

Per chi ha seguito la diretta....il Papa ha preso un ciampicone ....... Imbarazzato meno male che mons. Guido Marini e l'altro alla sua destra l'hanno prontamente sorretto.... Occhiolino












Qui la S.Messa di Pasqua



Il Papa ha usato entrambi i troni.... Occhiolino






Un ottimo-eccellente.... mons.Guido Marini.....
Ghigno





Nuova, si fa per dire...stola indossata dal Papa stamani, 30 aprile, e dallo stemma si direbbe di Leone XIII[SM=g1740722]



il presidente della Repubblica di Colombia, Álvaro Uribe Vélez, è stato ricevuto in udienza da Benedetto XVI







 Sorriso

Caterina63
00domenica 24 maggio 2009 19:16
Da Montecassino:

Benedetto XVI in visita a Montecassino da san Benedetto suo patrono


...gli abiti indossati dal Pontefice sono un dono della Diocesi e riprendono i ricami e disegni di abiti liturgici antichi in uso nella stessa diocesi....
il Trono con il baldacchino sono del 1700, conservati nell'Abbazia e ricamato interamente a mano dalle monache di Avezzano...











[SM=g1740738]
Caterina63
00sabato 13 giugno 2009 14:40
Dopo aver seguito qui la:

Festa e Adorazione del CORPUS DOMINI

ecco una bellissima immagine del Papa con il piviale nuovo recante il suo stemma per l'occasione...



 Sorriso


Caterina63
00domenica 21 giugno 2009 22:47










Caterina63
00domenica 21 giugno 2009 22:49













 
Caterina63
00domenica 28 giugno 2009 19:42
L'Omelia è stata davvero una lezione da grande Magistero....
In questi Vespri il Papa ha indossato un piviale nuovo ed una mitria mi pare anch'essa nuova....









Caterina63
00domenica 11 ottobre 2009 12:57
Canonizzazioni 11.10.2009

[SM=g9503] [SM=g9433]










[SM=g7430]

[SM=g1740733]
Caterina63
00domenica 11 ottobre 2009 15:53





INCREDIBILE LA FOLLA DENTRO LA BASILICA PER LA MESSA, E FUORI IN ATTESA DELL'ANGELUS, ARRIVAVA FINO A VIA DELLA CONCILIAZIONE....
Hanno seguito la Messa e come si vede dall'immagine, non c'erano bandiere e striscioni, usciti poi quando il Papa è arrivato sul sagrato dopo la Liturgia....TUTTI HANNO SEGUITO IN SILENZIO...e raccoglimento Sorriso






Dall'interno






si, sembra che la mitria sia sua ha il suo stemma..... Occhiolino




Caterina63
00giovedì 5 novembre 2009 19:35
Messa di Suffragio per i Defunti Cardinali e Vescovi dell'anno 2009












 Sorriso
Caterina63
00mercoledì 14 aprile 2010 17:46

La riforma della riforma su vatican.va


Segnaliamo una felicissima iniziativa dell'Ufficio delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, la cui pagina web ha aperto due nuove sezioni: Approfondimenti e Studi.

Nella prima viene spiegato il significato di alcuni degli elementi ormai acquisti nelle liturgie pontificie - con riferimento anche al magistero dei papi più recenti -, quali il crocifisso al centro dell'altare, l'uso del latino, la comunione in ginocchio ecc. Insomma, un implicito appello ai parroci di buona volontà affinché comprendano e seguano l'esempio del Papa. La riforma della riforma si fa anche così...

La seconda sezione invece contiene Studi dei consultori dell'Ufficio sulle varie parti della Messa (dalla vestizione, al Canone, ai riti di comunione). Ciascuno di questi studi affronta l'argomento con riferimento a entrambe le forme del rito romano, sia quella ordinaria sia quella straordinaria. Così nel sito ufficiale della Santa Sede si parla anche di manipolo, di cornu epistolae e cornu evangelii...
Caterina63
00venerdì 23 luglio 2010 19:34
Come è mutato nel tempo l'abbigliamento papale pubblico e da udienza

Quando il Pontefice non portava la croce pettorale



di Stefano Sanchirico

Le notizie storiche circa l'uso della mozzetta e della stola pontificia riportate in un precedente articolo su "L'Osservatore Romano" del 14 luglio scorso consentono di ricavare delle costanti circa l'utilizzo dell'abito papale pubblico e da udienza.

Con una distinzione previa. L'abito da udienza - talare, rocchetto e mozzetta - da indossarsi senza stola da parte del Papa negli appartamenti pontifici per le udienze ordinarie, non prevedeva, fino a Paolo vi l'uso della croce pettorale, che era riservata alla sola liturgia, o all'abito privato.
 
L'abito da udienza veniva utilizzato anche per recarsi al "letto dei paramenti" per le celebrazioni nelle cappelle di palazzo, in particolare la Sistina (o la Paolina al Quirinale).

Indossando tale abito senza stola il Papa non era mai preceduto dalla croce papale. Quanto, invece, all'abito pubblico con la stola, l'uso di quest'ultima era obbligatorio ogni qualvolta il Pontefice apparisse in pubblico fuori dal Palazzo Apostolico. In questo caso, era preceduto sempre dalla croce papale:  esempio di ciò, forse l'unico rimasto, è la prima apparizione del Papa dalla loggia centrale della basilica Vaticana dopo l'elezione. Inoltre, l'uso di un tale abito sostituì, nel cerimoniale solenne, il manto e la mitra (o il triregno) nelle visite e nelle udienze concesse agli imperatori, ai sovrani, o a particolari personalità.

Dopo questa premessa di carattere più generale, occorre entrare nella tipologia delle mozzette e sul loro uso. Esistevano cinque tipologie di mozzetta, il cui utilizzo era regolato da norme particolarmente rigide, che riguardavano tempi, cerimonie, solennità.
 
La prima, di raso rosso, senza ermellino con cappuccio, portata dal primo vespro dell'Ascensione alla festa di santa Caterina d'Alessandria (25 novembre), corrispondente al vestito di seta;
la seconda, di velluto rosso foderato di ermellino con cappuccio, assunta dalla festa di santa Caterina e deposta al primo vespro dell'Ascensione, corrispondente al vestito di seta;
la terza, di cammelloto o di saia rossa con cappuccio, foderata di seta, portata nello stesso periodo in cui si porta quella di raso rosso, ma la si indossava nelle vigilie, alle quattro tempore e nelle messe dei defunti, equivalente al cosiddetto vestito di lana;
la quarta, di panno rosso, foderata di ermellino e con cappuccio, indossata nello stesso periodo di quella di velluto. Quest'ultima si adoperava, però, nei tempi penitenziali e forti:  Avvento e Quaresima, con l'eccezione delle feste e solennità, in particolare dell'Immacolata, e degli anniversari dell'elezione e incoronazione del Romano Pontefice, corrispondente al cosiddetto vestito di lana. Le mozzette che corrispondono al vestiario di lana si adoperano nelle processioni e liturgie penitenziali, come la liturgia stazionale e via dicendo.
Infine, la mozzetta di damasco bianco foderata di ermellino, adoperata nella settimana di Pasqua (ottava). Essa si assumeva, prima della riforma della Settimana Santa di Pio xii, la mattina del Sabato Santo, dopo quella cappella, e la si deponeva prima di pararsi per la cappella del Sabato in albis. Dopo la riforma della Settimana Santa si assumeva dopo la veglia pasquale e si deponeva dopo i secondi vespri della Domenica in albis.

La stola, come pure le scarpe e il camauro, devono corrispondere al colore della mozzetta:  quindi rossa con camauro rosso e pantofole rosse quando si indossa quella rossa, stola bianca con pantofole bianche e camauro di damasco bianco, come la mozzetta, per l'ottava pasquale. Le disposizioni circa l'utilizzo della mozzetta e della stola erano di competenza del prefetto delle Cerimonie apostoliche, il quale soleva consegnare all'anticamera, all'inizio di ogni anno, una "nota dei giorni ne' quali il Sommo Pontefice userà gli abiti di seta e di lana nel corrente anno". Simile notificazione era stampata anche per il collegio cardinalizio:  le ultime furono alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso.

L'uso odierno dell'abito papale prevede che si indossi la mozzetta rossa con ermellino, con stola rossa (scarpe rosse), dalla festa di santa Caterina alla solennità dell'Ascensione. La mozzetta rossa, senza ermellino, sempre con stola rossa (e scarpe rosse), si adopera dalla solennità dell'Ascensione fino alla festa di santa Caterina. La mozzetta di damasco bianco con stola bianca (di norma con pantofole bianche) si usa nell'ottava di Pasqua, da dopo la veglia pasquale ai secondi vespri della Domenica in albis.

È importante sottolineare che il colore della stola e degli altri accessori è in relazione al colore della mozzetta e non già del tempo liturgico, seguendo in ciò la simbologia dei colori papali.
Effettivamente, la mozzetta e la stola non costituiscono abito liturgico in senso stretto; pertanto, non dovrebbero mai essere usate in sostituzione dei paramenti liturgici o del manto papale (piviale) per presiedere la liturgia delle Ore, per assistere a celebrazioni pontificali e dare la benedizioni urbi et orbi.

L'uso della mozzetta e della stola è d'obbligo per i Concistori una volta definiti segreti (per le nomine concistoriali, i voti delle cause dei santi) o in quelli in cui si discuteva di alcune situazioni particolari. Il Concistoro ordinario pubblico solenne per la creazione dei nuovi cardinali prevede come abito proprio il manto (piviale) con mitra.

Inoltre, va aggiunto che quando vi è l'uso del trono - inteso in questo caso come cattedra liturgica - non è permesso l'uso di mozzetta e stola. Infine, qualora si intendesse conservare l'uso in particolari circostanze della talare di seta, occorrerebbe attenersi alle norme che lo regolano, che, come accennato, sono di competenza del maestro delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice.

Queste note, senza alcuna pretesa di completezza, vogliono offrire un piccolo contributo per orientarsi nella continuità, necessariamente "aggiornata", di alcuni elementi della liturgia e delle tradizioni papali, forse non primari ma che rendono visibile l'unicità e la peculiarità del ministero del successore di Pietro.


(©L'Osservatore Romano - 24 luglio 2010)

Caterina63
00venerdì 23 luglio 2010 19:48
Articolo sopra citato del 14 luglio 2010


Le origini dell'uso della mozzetta e della stola papale

I Pontefici in bianco e rosso


di Stefano Sanchirico
Cerimoniere pontificio

L'utilizzo della mozzetta e della stola pontificia trae la sua origine in un universo simbolico e liturgico che si andò affermando a partire dall'epoca carolingia, fino a giungere a un uso codificato e con regole abbastanza precise verso la seconda metà del 1400, con l'apporto particolarmente significativo delle innovazioni introdotte nel cerimoniale papale durante il periodo avignonese.

Per comprendere correttamente l'utilizzo della mozzetta e della stola papale occorre brevemente fare riferimento all'uso dei colori rosso e bianco per gli abiti pontificali, in particolare, nelle cerimonie legate all'elezione e all'insediamento del nuovo Papa. Non è oggetto di questo studio delineare le complesse vicende storiche che portarono il papato romano al progressivo e provvidenziale affrancamento dalla potenza bizantina e al rapporto con l'impero d'Occidente, prima franco e poi tedesco; giova solo ricordare che l'uso dei colori bianco e rosso, quali distintivi della dignità pontificia, lasciano tra l'altro scorgere quel processo di imitatio imperii del vescovo di Roma, di cui il Constitutum Constantini costituisce la giustificazione e la sanzione giuridica più evidente. Tale documento, che probabilmente è stato redatto tra la seconda metà dell'VIII secolo e la prima metà del successivo, stabilisce tra l'altro il passaggio delle insegne imperiali per la pars occidentis dell'impero dall'imperatore Costantino al Papa Silvestro. Tra queste insegne troviamo il phrygium, la clamis purpurea, cioè il mantello di porpora, e gli imperialia scectra, che già a partire dal ix secolo cominciano a svolgere un ruolo nei riti d'insediamento del nuovo Pontefice.

La progressiva importanza che si darà al rito di intronizzazione e di coronazione, come pure il fatto che alcune elezioni avvenivano fuori Roma, introdussero, accanto all'atto formale di adozione di un nuovo nome da parte del Papa, l'uso di ammantare, subito dopo l'elezione, con la cappa rubea, o purpurea, il neo eletto Pontefice. Il primo esempio di immantatio si ebbe con Leone IX, eletto a Worms nel 1048. Fu con Gregorio vii che questo rito apparve con certezza a Roma, al momento della sua elezione nel 1073. Tale atto è documentato per Vittore III (1086-1087), Urbano ii (1088-1099) e Pasquale ii (1099-1118).

Guglielmo Durando riferirà nel suo Rationale divinorum officiorum, scritto verso il 1286, che oltre agli ornamenti tipici del vescovo, il Romano Pontefice poteva far uso della corona e del manto di porpora, in quanto l'imperatore Costantino consegnò al beato Silvestro tutte le insegne dell'impero romano:  "Su concessione dell'imperatore Costantino, il Pontefice Romano, può portare la clamide purpurea e la tunica scarlatta e tutti gli indumenti imperiali:  scettri, stendardi e ornamenti, la croce lo precede ovunque andrà per indicare che a Lui, più che ad ogni altro si confà il detto dell'Apostolo:  non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, e perché sappia che deve imitare il crocifisso".

Per tale ragione il Pontefice esibisce tutto questo apparato anche nelle grandi processioni, come un tempo usavano fare gli imperatori. Il rituale di intronizzazione del Romano Pontefice prevedeva, in una forma che si era ormai andata stabilizzandosi, che il priore dei diaconi ammantasse il neo eletto Pontefice con il manto rosso simbolo di potere di origine chiaramente imperiale. Accanto all'uso del manto rosso, come distintivo dell'autorità pontificia, si affianca l'uso della veste bianca. Filippo Bonanni, nella sua opera Della Sacra Gerarchia spiegata nei suoi abiti civili ed ecclesiastici (Roma, 1720), riferirà di una tradizione, abbastanza diffusa ancora nel 1700, che attribuirebbe all'apparizione di una bianca colomba al momento del martirio di san Fabiano la ragione dell'adozione dell'abito bianco del Pontefice. Tradizioni o leggende a parte, l'uso del Pontefice di indossare una veste bianca è antichissimo. Bonanni porta l'esempio di Papa Vittore III, che, eletto nel 1086, fece resistenza a indossare la veste bianca prima della clamide purpurea.

Ancora una volta Guglielmo Durando offrirà quella che da molti è ritenuta l'interpretazione simbolica più completa dei colori bianco e rosso della veste papale:  "Il Sommo Pontefice appare sempre vestito di un manto rosso all'esterno, ma all'interno è ricoperto di veste candida, perché il bianco significa innocenza e carità, il rosso esterno simbolizza invece il sangue di Cristo.(...) Il Papa rappresenta infatti la Persona (il Cristo) che per noi rese rosso il suo indumento".

La veste esterna, il manto rosso, diviene simbolo del sacrificio di Cristo, la veste bianca rinvia alla purezza dei costumi e alla santità della vita. Durando afferma anche che la veste detta pluviale o cappa si pensa derivi dalla tunica descritta nell'Antico Testamento:  come quella era adorna di sonagli, questo lo è di frange, che rappresentano le fatiche e le preoccupazioni di questo mondo. In tale descrizione si trova concorde con quella di Domenico Macri, che nel suo Hierolexicon (Venezia 1765) associa il manto papale e il piviale al mandýa greco.

Il primo cerimoniale papale che si sofferma in modo sistematico su tali vesti del Pontefice è quello redatto per Gregorio X (tra il 1272 e il 1273), mentre gli ordines precedenti ricordano chiaramente solo il colore del manto rosso con il quale il priore dei diaconi ammantava il neo eletto Pontefice. I colori bianco e rosso rendono così visibile ciò che il Papa rappresenta:  la persona di Cristo e la Chiesa suo corpo mistico.

Tali indumenti e colori, usati fin dal momento dell'elezione del Romano Pontefice, con la loro simbologia cristica e imperiale allo stesso tempo, verranno codificati dai cerimoniali del periodo avignonese (in particolare il cosiddetto cerimoniale Long), da quello dello Stefaneschi, che è stato scritto nella fase di rientro a Roma, e da quello del Patriarca Pietro. Infine, troverà una codificazione precisa nel cerimoniale redatto da Agostino Patrizi-Piccolomini e da Giovanni Burcardo. Questo disporrà che il neo-eletto Pontefice, indossata la veste bianca - di lino o altra stoffa a seconda della stagione - venisse ammantato del manto rosso pontificio dal cardinale priore dei diaconi, conservando la stola indossata secondo il rispettivo ordine di appartenenza, o senza, qualora l'eletto non fosse insignito neanche dell'ordine diaconale, e con la mitra di lama sul capo. Così rivestito il nuovo Papa, posto in trono nel luogo dell'elezione, riceveva la prima obbedienza dei cardinali:  rituale, questo, che pur con qualche differenziazione riguardo ai momenti è stato conservato sino a tempi recenti.

Tale veste diveniva così abituale per le occasioni pubbliche e solenni del Papa, non solo in quelle strettamente liturgiche, ma anche quando riceveva l'imperatore e i sovrani in solenne udienza e durante i concistori pubblici per la creazione di nuovi cardinali, per le solenni cavalcate per l'Urbe, in particolare per la presa di possesso di San Giovanni in Laterano, che seguiva la coronazione in San Pietro.

Circa la forma e la foggia del manto e della veste in epoca medioevale si sono fatte molte speculazione e un certo aiuto può venire dal patrimonio iconografico. Bonanni conviene nel definire tale manto rosso come contrassegno della dignità pontificia. Del resto, egli aggiunge che i vocaboli "di manto, cappa e peviale vogliono significare nelli rituali le vesti adoperate dalli Pontefici nelle funzioni sacre e non comunemente", concludendo semplicemente:  "se di tal forma o di tal colore si usasse dalli pontefice anticamente non l'ho potuto ricavare appresso alcuno autore, ne riconoscere in alcuna pittura antica posso solo dire che il Pontefice quando era eletto gli si poneva indosso la clamide rossa, altri dicono manto, altri veste pontificia o spesse volte il peviale, come oggi si fa".

Il Papa usava anche una cappa rossa, sul modello di quella dei cardinali, ma aperta davanti e con ampio cappuccio, che durante il periodo avignonese fu foderata di ermellino. Tale cappa era indossata di rado:  nel mattutino di Natale, in quelli della Settimana Santa ed in poche altre occasioni. Cadde presto in disuso e fu sostituita dal manto, che il Papa utilizzava ogni qualvolta assisteva alle cappelle papali, usandolo bianco, quando era prescritto tale colore liturgico, e rosso in tutte le altre circostanze. Nel caso di uso della cappa da parte del Papa, non era prevista l'assistenza dei cardinali diaconi.

Il periodo avignonese introdusse alcune novità, non solo nella liturgia papale, con l'introduzione del concetto di "cappella" - da cui nasce, tra l'altro, il tribunale della Rota Romana, formato dai cappellani auditores Domini Papae, a conferma dell'importante ruolo liturgico svolto dai prelati uditori di Rota fino alla riforma della cappella papale attuata nel 1968 in ossequio alla Pontificalis domus di Paolo VI - quale oggi, pur riformato, conosciamo; ma anche nel vestiario del Papa, non discostandosi però sul piano della simbologia dei colori bianco e rosso dal periodo precedente. Tale novità è l'utilizzo della mozzetta.

La mozzetta, veste ecclesiastica propria del Papa e di altre dignità, è aperta sul davanti e viene chiusa con una bottoniera, si porta sulle spalle e copre anche il petto e porzione delle braccia. Solo in quella papale sopravvive un piccolo cappuccio, avanzo di uno più ampio che si portava per coprirsi il capo. La mozzetta, nella foggia che conosciamo oggi, non è veste particolarmente antica in quanto, come sopra accennato, la veste pubblica del Papa era il manto e la veste bianca. Bonanni riferisce che la mozzetta "usasi dal Sommo Pontefice, sempre ed in pubblico sopra la veste talare il rocchetto, chiamato volgarmente camisa romana (di maniche strette sempre di lino bianco e di forma quasi talare), poi reso più corto", e aggiunge che tale corta veste non fosse usata anticamente dai Sommi Pontefici i quali oltre la tonaca bianca ricevevano il manto.

Il cappuccio (mozzetta), il cui uso fu iniziato appunto in Francia, deve intendersi quale aggiunta alla veste abituale del Papa, simile a quella dei cardinali, come annotato in un diario riportato da Bonanni e da Gaetano Moroni nel suo Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica (Venezia, 1857):  "erat autem per ea tempora mantellum hoc Pontificis simile omnino cardinalium vesti, quam vulgo dicimus mantellectum, longum tamen ad talos descendens, et rubeum sempre et caputium, quod imponebatur mantelletto, similiter rubrum tale erat, quod caput operiens humeros pectus, et brachia simul integre ambiebat, vestimenti genus ad aeris injurias repellendas per accommodatum, et ad fovedum aptissimum, namet in hyeme variis pellibus fulciebatur. Hoc igitur indumenti genere mantello scilicet et caputio inter proprios lares, est extra etiam in actionibus quibuscuinque non tamem sacris usi Pontifices fere usque ad Leonen x".

Nel sopraccitato diario si aggiunge che se la stagione era calda si deponeva il mantelletto e si usava mantenere il cappuccio (mozzetta) sopra il rocchetto in quanto occorreva conservare al Sommo Pontefice il colore bianco e quello di porpora, per significare la sua somma dignità. Così fu mantenuto, anche al rientro a Roma, l'uso del rocchetto e del cappuccio (ora mozzetta) con l'unito piccolo cappuccio, in ricordo dell'antico, che non si usava più per coprire il capo. Tale funzione era stata assunta dal berrettino ugualmente rosso, il camauro. Domenico Giorgi, nel suo Gli abiti sagri del Sommo Pontefice Paonazzi, e Neri in alcune solenni funzioni della Chiesa, giustificati degli antichi rituali, e degli scrittori ecclesiastici (Roma, 1727), dopo aver affermato che la veste interiore fu sempre bianca, laddove l'esteriore, cioè la mozzetta detta cappa rubea, fu sempre rossa, osserva che i Pontefici non hanno mai avuto l'abitudine di intervenire alle sacre funzioni vestiti di abiti familiari; quindi conviene con Bonanni che il mantello e il cappuccio, abiti non sacri e ignoti agli antichi Pontefici, furono per la prima volta introdotti in Francia a motivo dell'intemperie dell'aria, per cui essi tralasciarono di usare l'antico manto pontificio. Inoltre del cappuccio (mozzetta) si servivano i Papi mentre erano ritirati nelle proprie abitazioni e di fuori ancora, in ogni funzione, ma non in quelle sacre e molto meno solenni con gli abiti familiari, ossia di camera.

Tale abito con la stola pontificia diventerà ben presto l'abito pubblico del Sommo Pontefice, ereditando in tale modo, nelle funzioni extra liturgiche, il valore simbolico del manto rosso e della veste bianca. Le vesti che il Sommo Pontefice suole comunemente usare nelle funzioni non sacre pubbliche saranno descritte da monsignor Landucci, sacrista pontificio del XVII secolo:  "Due paia di scarpe rosse, una di panno di lana e l'altro di velluto, con croce ricamata d'oro, con un paio bianche con simile croce, due vesti corte bianche, con l'aggiunta di altre due vesti larghe in coda, che chiamasi falda, la quale vien cinta nei lombi con cingoli di seta rossa e fiocchi oro, rocchetto, cappuccio (mozzetta), berrettino di velluto rosso, cappuccio e berrettino di panno, altro di damasco bianco, ugualmente con berrettino di eguale fattura (tutti questi circondate di pelli bianche di armellino), queste saranno senza pelli durante l'estate ed i periodi più caldi, a ciò si aggiungano due piccoli berrettini (zucchetti), l'uno di panno, l'altro di seta, da mettersi, secondo le occasioni, quando si indossi la mitria o il regno (triregno)".

Dalla seconda metà del 1400 l'uso della stola e della mozzetta divenne sempre più frequente e riservato, insieme al rocchetto, al solo Pontefice, quale segno di giurisdizione. Tale abito andò, come detto, sostituendo il manto in alcuni atti solenni. Tra questi atti, forse il più solenne, in cui si vide la sostituzione del manto con l'abito sopra descritto, fu la solenne cavalcata per la presa di possesso della Arcibasilica del Santissimo Salvatore. Infatti, dopo il possesso di Leone X nel 1513, i Papi terminarono di prendere possesso della basilica Lateranense in mitra, o regnum, e manto papale. Il primo Papa a recarsi in mozzetta e stola per la presa di possesso del Laterano fu Clemente VII, l'altro Papa Medici, nel 1525. Il suo successore Paolo III, fece lo stesso, mentre  San  Pio  V  indossò  anche  la falda  minore  e  così  anche  i suoi successori.

Inoltre, la simbologia dei colori ritornava anche sui finimenti del cavallo utilizzato dai Pontefici, prima che fosse introdotto l'uso della carrozza, in occasione della prese di possesso e di viaggi. Essi, infatti, cavalcavano un cavallo bianco con una gualdrappa rossa. Già in epoca carolingia si introdusse, inoltre, un gesto carico di simboli:  il nuovo imperatore nell'abito delle cerimonie di incoronazione imperiale, in segno di sottomissione e di umiltà, conduceva le briglie del cavallo del Papa, per un breve tratto di strada, lo spazio di un tiro d'arco, ripetendo quanto già fece Pipino il breve con Stefano ii.

Gaetano Moroni e Giuseppe Novaes, come pure altri autori, ricordano che anche quando il Papa si recava alle cappelle dell'Annunziata, di San Filippo e della Natività, a Santa Maria Maggiore, usciva in mozzetta stola e rocchetto. Moroni aggiunge, poi, che tutte le volte che il Papa assume la mozzetta la porta sempre sul rocchetto, la veste, che può essere di seta o di lana a seconda delle circostanze, la fascia con i fiocchi e la stola (tranne in alcuni casi specifici), con l'aggiunta della falda  minore,  in  particolari  circostanze.

Una parola più specifica va spesa infine sull'uso della stola del Sommo Pontefice. Il Papa la utilizzava ogni qualvolta compariva in pubblico o per qualche funzione non strettamente liturgica. Tale stola era lunga sino ad un palmo sotto il ginocchio ed è alquanto unita al petto da un cordone formante un nastro, con due croci laterali. "È tutta ricamata con arabeschi, ossia frangi di foglie e fiori, pendendo dalle estremità lunghe frange. Essa è sempre ricamata d'oro, di colore bianco o rosso, secondoché si usa la mozzetta bianca o rossa, come si prescrive nei rituali, alcune volte più, altre volte meno preziosa, usandola nelle solenni cavalcate ricamata di perle. Solo il Romano Pontefice la porta in segno di Suprema dignità e potestà".

All'uso della stola sulla mozzetta si univa sempre quello della croce papale, che portata dal suddiacono apostolico - un uditore di Rota - e accompagnata dai maestri ostiari di virga rubea, precedeva sempre il Papa in ogni uscita che aveva carattere di ufficialità:  l'una e l'altra si adoperavano per Roma, nelle chiese, nei monasteri, nelle visite ai sovrani, e via dicendo. Inoltre un tale abito era previsto quando il Papa si recava per l'Urbe senza andare a celebrare messa, oppure quando viaggiava da un città all'altra, approssimandosi ad entrarvi.



(©L'Osservatore Romano 14 luglio 2010)
Caterina63
00sabato 18 settembre 2010 22:47

Papa Benedetto tra gli anglicani nel segno di Leone XIII





Mi sono accorto solo oggi, dando un'occhiata ai vari blog e forum che riportano belle foto della celebrazione ecumenica di ieri a Westminster Abbey, alla quale ha partecipato il Papa, di un particolare cripto-messaggio lanciato da Benedetto XVI. 

Sua Santità, infatti, sfoggiava un'insolita stola neogotica con ricami di santi e sante. Come i lettori sapranno, solo i Papi hanno il privilegio di portare sulla stola le proprie insegne araldiche, per questo motivo si può facilmente identificare a quale pontefice era appartenuta originariamente una data stola. Ebbene, quella indossata da Papa Ratzinger ieri era nientemeno che di Leone XIII. La bestia nera degli anglicani! Il pontefice che stabilì in modo irrevocabile (con la Apostolicae Curae) che le ordinazioni anglicane sono assolutamente "nulle e invalide", per cui l'Eucaristia celebrata dai sacerdoti anglicani non è a sua volta valida, non avendo essi la potestas consecrandi. [potete rileggere anche questo post]

Non è certo un caso se il Papa, nella sua visita alla chiesa anglicana, a cui ha ricordato di essere, personalmente, il successore di Pietro e il custode dell'unità dei cristiani, il nostro Benedetto (che ben conosce la storia) ha indossato un così vistoso paramento del suo venerato e chiaro predecessore. Riaffermare anche con i simboli e gli scudi araldici la continuità del magistero. Così, sorvolando volutamente nel suo discorso a proposito dei problemi teologici che dividono cattolici e anglicani, con quella stola ha ribadito la posizione cattolica tradizionale. Ma non dimentichiamo che, il Papa dell'Unità, ha già pensato alla soluzione: gli "Ordinariati" per gli anglicani di ritorno non vedono l'ora di poter prendere avvio...

Pio XI con la stessa stola usata ieri da Benedetto XVI


Testo presto da: http://www.cantualeantonianum.com/2010/09/papa-benedetto-tra-gli-anglicani-nel.html#ixzz0zur5Ovnh





VIAGGIO DEL PAPA NEL REGNO UNITO



Caterina63
00domenica 14 novembre 2010 01:08

Qualcosa è cambiato: quattro anni con Mons. Guido Marini

 
 


Tutti l'hanno notato, tutti ne parlano, tanti ne scrivono: ma cosa ha combinato in questi ormai quattro anni il Monsignore genovese alle Liturgie Papali?
Ha recuperato? Ha restaurato? Ha stravolto i piani del predecessore? Sicuramente ha chiuso un'epoca, in gran stile.
Ha eliminato le danze, le simbologie e il neutro grigio.
Ha ripristinato i troni dismessi dai tempi di Paolo VI, rispolverato paramenti antichi e tesori dimenticati.
Ma la trovata migliore è stata sicuramente quella di porre il
Crocifisso al centro dell'Altare, e ancora, la comunione sulla lingua ed in ginocchio, tutto secondo le direttive del vero regista, Papa Benedetto XVI che in Liturgia è vero intenditore.

Caterina63
00lunedì 6 dicembre 2010 23:56

UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE 
DEL SOMMO PONTEFICE  

I Cardinali Diaconi e l’uso della dalmatica.


Come a Gerusalemme, anche nella primitiva Chiesa di Roma troviamo subito, quando i cristiani sono più numerosi, 7 diaconi che assistevano il Pontefice nell’assemblea dei fedeli, nell’amministrazione e nell’esercizio della carità. Il Liber Pontificalis attribuisce a Clemente I (92-99) la divisione di Roma in sette regioni per la cura dei poveri della città, e per questo servizio troveremmo i diaconi. Di fatto il suo successore, Papa Evaristo (99-108), precisava le loro funzioni nella Chiesa e ordinò 7 diaconi per assistere il Vescovo di Roma nella distribuzione delle elemosine.

Nel secolo III, Papa Fabiano (236-250) organizzò meglio il lavoro dei 7 diaconi, creando 14 regioni a Roma ed affidando a ciascuno dei diaconi due regioni. Crescendo il numero dei cristiani, furono assegnati altri preti e diaconi come ausiliari al principale titolare delle chiese o diaconie. In realtà, per il servizio della Chiesa di Roma non bastavano i diaconi e così Papa Cleto (80-92) aveva anche fissato in 25 il numero di preti per il servizio della città, con un territorio affidato a ciascuno di loro e, in questo modo, sorsero le parrocchie.

Nel pontificato di Gregorio I (590-604) vennero raddoppiati il numero di regioni e quello dei diaconi che saranno 14. Sotto il pontificato di Gregorio II (715-731) furono aggiunti quattro nuovi diaconi detti palatini per servire la basilica del Laterano e così i diaconi diventarono 18. Il loro incarico consisteva nell’aiutare il Papa nella Messa per turno nei giorni della settimana.

Nella seconda metà del sec. XI, col riordinamento del Collegio cardinalizio, le chiese delle diaconie cominciano ad essere assegnate in titolo a 18 cardinali, che perciò si chiamarono cardinali diaconi, firmandosi come tali in aggiunta al titolo della chiesa rispettiva.

Si può dire che questi preti e diaconi principali dovevano aiutare il Papa nelle basiliche romane dove erano incardinati e si cominciò a qualificarli come “cardinali”. Vengono chiamati da questo momento “preti o diaconi cardinali”, cioè “incardinati”. a questo punto troviamo il presbiterio romano, consiglieri e cooperatori del Papa, Vescovo di Roma, che dal 1150 formarono il Collegio Cardinalizio con un Decano, che è il Vescovo di Ostia, e un Camerlengo quale amministratore dei beni.


Vediamo così che dai primi tempi per l’amministrazione della città di Roma e per il servizio liturgico del Papa si trovano i Cardinali diaconi. E così rimarrà lungo i secoli. Sarà nel sec. XI, con la riforma ecclesiastica di Leone X, quando i cardinali cominciarono ad essere meno legati al servizio liturgico e pastorale di Roma, per diventare coadiutori diretti del Papa nel servizio della Chiesa universale.


D’altra parte, e in diretta relazione con i Cardinali diaconi, troviamo la dalmatica. Questa veste a principio del III sec. era divenuta la sopravveste delle persone più ragguardevoli. La troviamo nel Liber Pontificalis come un distintivo d’onore concesso ai diaconi romani da Papa Silvestro (314-335), ut diaconi dalmaticis in ecclesia uterentur (Liber Pontificalis, Ed. Mommsen 1,1, p. 50) per distinguerli fra il clero a motivo degli speciali rapporti che essi avevano col Papa. In precedenza essa era parte dell’abbigliamento del pontefice e abito proprio e distintivo del vescovo. Fuori di Roma i diaconi indossavano nel servizio liturgico la semplice tunica bianca, a cui ben presto sovrapposero l’orarium o stola.

La notizia della concessione di papa Silvestro è confermata dall’autore romano delle Quaestionum Vet. et novi Testamenti (circa a. 370), il quale, non senza una punta d’ironia scrive: Hodie diaconi dalmaticis induuntur sicut episcopi (n. 46). Ciò prova che la Chiesa romana riteneva l’uso della dalmatica come un privilegio suo proprio, e che soltanto il Papa potesse conferirla. Questo costume romano ancora nel sec. X, si afferma nell’OR XXXV (n. 26), la cui rubrica mantiene la prerogativa della Dalmatica ai diaconi cardinali, cioè ai sette diaconi regionari, che la ricevevano nella loro Ordinazione, mentre i diaconi forenses ne erano esclusi.

Con lo stabilirsi della liturgia romana in Gallia al tempo dei Carolingi, la dalmatica diventa abbastanza comune sebbene Roma sempre vi si oppose. Probabilmente a partire del secolo XI la dalmatica diventerà la vera e propria veste liturgica superiore dei diaconi mentre vescovi e presbiteri la indosseranno sotto la pianeta.

Da quanto abbiamo brevemente accennato si può desumere che quando i cardinali diaconi si rivestono con la dalmatica per servire il sommo Pontefice nelle celebrazioni liturgiche ci troviamo davanti a un uso tipicamente romano in stretta relazione con la storia dei papi e della loro liturgia.

I Cardinali diaconi adoperano la dalmatica quando servono il Pontefice, sia nella santa Messa o in altre celebrazioni liturgiche, ma non quando concelebrano con lui. In questo secondo caso adoperano la veste propria del sacerdote celebrante che è la casula o pianeta. Adoperare la dalmatica quando servono il pontefice serve in realtà a manifestare esteriormente la loro funzione di “ministri” del Pontefice. Senza dimenticare che, come ci ha mostrato la storia, la verità del segno “dalmatica”, non suppone necessariamente che soltanto i diaconi possono adoperarla.

D’altra parte i Vescovi la rivestono nelle grandi solennità, sotto la casula, e anche come veste superiore nell’unzione dell’altare o nella lavanda dei piedi. In quest’ultimo caso, come riporta il Caeremoniale Episcoporum, 301, il vescovo si toglie mitra e casula ma non la dalmatica. Si vuole mettere in risalto non tanto la pienezza del sacerdozio come il carattere di servizio del ministero episcopale. Nel caso dei cardinali diaconi rivestiti con la dalmatica si vuole sottolineare il suo carattere di servitori, collaboratori stretti del Romano Pontefice anche nella liturgia. La dalmatica è segno di servizio, dedicazione al Vescovo e agli altri. Ma anche quando il Vescovo adopera la dalmatica lo fa per servire: sia nella lavanda dei piedi, sia nel speciale servizio liturgico che svolgono i vescovi –cardinali diaconi- vicino al Romano Pontefice.


Possiamo dire che la dalmatica adoperata per il servizio liturgico da parte dei cardinali diaconi si muove in quella dinamica di servizio che fa dire a
Benedetto XVI: “Il cristiano è chiamato ad assumere la condizione di "servo" seguendo le orme di Gesù, spendendo cioè la sua vita per gli altri in modo gratuito e disinteressato. Non la ricerca del potere e del successo, ma l’umile dono di sé per il bene della Chiesa deve caratterizzare ogni nostro gesto ed ogni nostra parola.

La vera grandezza cristiana, infatti, non consiste nel dominare, ma nel servire. Gesù ripete quest’oggi a ciascuno di noi che Egli «non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). Ecco l’ideale che deve orientare il vostro servizio. Cari Fratelli, entrando a far parte del Collegio dei Cardinali, il Signore vi chiede e vi affida il servizio dell’amore: amore per Dio, amore per la sua Chiesa, amore per i fratelli con una dedizione massima ed incondizionata, usque ad sanguinis effusionem, come recita la formula per l’imposizione della berretta e come mostra il colore rosso degli abiti che indossate” (
Omelia per il Concistoro Ordinario Pubblico per la creazione di nuovi Cardinali, 24.XI.2007).

http://www.vatican.va/news_services/liturgy/details/ns_liturgy_20091117_approfondimenti_it.html

Caterina63
00martedì 4 gennaio 2011 11:15

Eccellenze venete: una mitria per Sua Santità

 
mitria


Una mitria dal sangue veneto nel trionfo della Liturgia Papale dei Primi Vespri per la Solennità di Maria SS.ma Madre di Dio e del Te Deum in ringraziamento per l'anno trascorso, nello scorso 31 dicembre: il Pontefice ha indossato, assieme al bel manto con le armi del Papa Giovanni XXIII uno splendido paramento frutto della nota casa Decima Regio, che da anni porta alta la bandiera della qualità delle terre della Serenissima nell'ambito dell'arte sacra. Noi, curiosi e bramosi di scoprire le bellezze di un Veneto operoso anche nel sacro, ci siamo fatti raccontare qualcosa su questa papale e venetissima mitria...


 
  
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La mitria, che è dono al Santo Padre dei P. P. Cappuccini di San Giovanni Rotondo, è caratterizzata da un lavoro a broccatura che significa, nel suo più antico e nobile significato, il ripasso manuale a ricamo, come contorno o riempimento di un preesistente motivo già tessuto. Questa broccatura in cinque diversi tipi di filato d'oro, frutto di ben centootto ore di lavoro, segue un disegno francese della seconda metà del sec. XVIII. Il ricamo si impone su lampaso di seta bianca, tramata, mentre la fodera è in duchesse di pura seta avorio. La forma della mitra è tipica della prima metà del sec. XIX. All'estremità delle infule è montata una frangia a doppio registro in canottiglia e torciglioni d'oro. Sui piatti e sulle infule sono applicati sedici ovali in madreperla sfaccettata tra sferule d'oro.
 
vespritedeum2011c.jpg
 
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AVVISO:

DATA LA DIFFICOLTA' DEL CARICAMENTO DELLA PAGINA A CAUSA DELLE MOLTE IMMAGINI,
APRIAMO UN NUOVO THREAD....CLICCATE QUI:

Cosa veste il Papa per la Liturgia? (2)




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