LA SOSTENIBILE
INSOPPORTABILITÀ
DELL’ESSERE …PAPA
C’è il peso di una missione che sembra troppo grande per le spalle di un solo uomo, se la guardiamo soltanto da una prospettiva umana. Non è lo stesso potere di un sovrano, di un primo ministro, di un presidente, fosse anche del Presidente dei presidenti, quello degli Stati Uniti (…) No, il potere del papa è incredibilmente più grande, perché infinitamente diverso. E’ quel potere invisibile che nasce dalla certezza di guidare la barca di Pietro che, se affonda, trascina a picco con sé tutta l’umanità. Il rischio c’è sempre. Perché la barca è solida – resiste da duemila anni e più – ma la tempesta sembra volerla rovesciare da un momento all’altro e ogni volta il vento ci rimanda quel grido rabbioso e terrorizzato dei discepoli “Maestro, non t’importa che moriamo?”
di Claudia Cirami da papalepapale.com
E’ una dolce sera di settembre. Jean Guitton, filosofo e accademico di Francia, passeggia lungo i viali di Castegandolfo, in compagnia di Papa Paolo VI. Che porta sulle spalle, in quel momento, il peso di una cattolicità in subbuglio, uscita dal Concilio con ansie di rinnovamento e incapace di vedere gli effetti nefasti di certe decisioni apparentemente liberanti, ma che, in realtà, le stringono un cappio al collo ad ogni passo. D’un tratto, Guitton esprime il suo stupore per essere lì, in quel momento, in compagnia del Santo Padre, quasi fosse un sogno. Ecco la risposta del Papa: «Crede che io non provi la sua stessa impressione, e che non mi sorprenda di essere qui, di essere papa? Quando ho un grave problema da risolvere, succede, come a Giovanni XXIII, che mi dica: Esporrò la cosa al Santo Padre. E mi accorgo che l’oracolo sono io; io l’ultimo ricorso, l’ultima istanza. E’ una cosa insopportabile se non vi si è preparati»” (J. Guitton, Paolo VI segreto).
IL PAPA PIACE FINCHÉ NON DESTABILIZZA IL NOSTRO “SECONDO ME”
Paolo VI e l'amico Jean Guitton, il grande filosofo e apologeta cattolico, nei giardini vaticani
Sì. L’ “insopportabilità” dell’essere papa è una realtà. Non è semplice cogliere oggi la solitudine e la responsabilità che gravano sulle spalle di un pontefice quando lo vediamo – nelle occasioni pubbliche – circondato, quasi sommerso da una folla festosa. Siamo tentati di misurare da questo l’amore per il papa, ma non è così semplice. C’è prima di tutto un aspetto che chiama in causa ogni cattolico: basta un suo discorso, una parola, un gesto che stride con una convinzione personale o con un comune sentire “politicamente corretto” ed immediatamente tutto cambia. Investito dalle polemiche, amplificate ad arte dai media, il Papa si ritrova con un dito accusatore puntato addosso. Polemiche quasi sempre pretestuose che spesso tirano verso il basso, come in un vortice, lo stesso “gradimento” di alcuni tra i fedeli. Come se il Papa – anche lui, come già prima Cristo – funzionasse finché il suo pensiero si accorda con il nostro. Quando osa discostarsene, però, anche il Papa – come Cristo, come la Chiesa – diventa un ostacolo alla nostra felicità personale, quindi un nemico.
UN POTERE INFINITAMENTE PIÙ GRANDE. PERCHÈ PROFONDAMENTE DIVERSO
Nelle parole di Paolo VI, però, si intuisce qualcosa di più. C’è il peso di una missione che sembra troppo grande per le spalle di un solo uomo, se la guardiamo soltanto da una prospettiva umana. Non è lo stesso potere di un sovrano, di un primo ministro, di un presidente, fosse anche del Presidente dei presidenti, quello degli Stati Uniti d’America, nelle cui stanze sembrano esser prese decisioni fondamentali per le sorti dell’umanità. O quello del vertice di qualsiasi loggia massonica o di gruppo di potere che sembra tirare le fila del mondo, secondo chi crede che i complotti umani possano avere l’ultima parola. No, il potere del papa è incredibilmente più grande, perché infinitamente diverso. E’ quel potere invisibile che nasce dalla certezza di guidare la barca di Pietro che, se affonda, trascina a picco con sé tutta l’umanità. Il rischio c’è sempre. Perché la barca è solida – resiste da duemila anni e più – ma la tempesta sembra volerla rovesciare da un momento all’altro e ogni volta il vento ci rimanda quel grido rabbioso e terrorizzato dei discepoli “Maestro, non t’importa che moriamo?” (Mc 4, 38). Papa Benedetto XVI è consapevole delle difficoltà di navigazione: “Non sono un mistico – ha detto – Ma è sicuramente vero, da Papa, ci sono molte ragioni in più per pregare e per affidarsi completamente a Dio. Infatti mi rendo conto che quasi tutto quello che devo fare non potrei farlo da solo. E già solo per questo sono per così dire costretto a mettermi nelle mani del Signore e a dirgli: «Fallo tu, se lo vuoi»”.
L’USCITA NELLA NOTTE
I recenti accadimenti – con l’aiutante di camera arrestato come presunto colpevole per una sottrazione di documenti – hanno mostrato quale “insopportabilità” può nascondere l’essere capo visibile della Chiesa di Cristo. Se è il “dolce vicario di Cristo sulla terra”, come lo definì santa Caterina da Siena, lo è fino in fondo, anche nel tradimento. Non importa quello che potrà dire la giustizia su questi fatti e su chi è il vero colpevole del trafugamento di carte riservate. La verità è che anche un papa, anzi prima di tutti un papa, ha il suo “giuda”, colui che sembra sposare la sua missione ma che, nell’intimo, ha già scelto di “uscire nella notte” (cf. Gv 13, 30) – come lo sventurato apostolo – per compiere l’azione indegna.
Nell’omelia del Giovedì Santo 2012, Benedetto XVI ha detto: “La notte significa mancanza di comunicazione, una situazione in cui non ci si vede l’un l’altro. È un simbolo della non-comprensione, dell’oscuramento della verità. È lo spazio in cui il male, che davanti alla luce deve nascondersi, può svilupparsi.” Anche Gesù esce nella notte, come Giuda, ma mentre l’apostolo viene inghiottito dalle tenebre dell’anima, Gesù “entra nella notte per superarla e per inaugurare il nuovo giorno di Dio nella storia dell’umanità”. Così anche il Papa, costretto dagli eventi, ad entrare nelle “notti” del tradimento, delle incomprensioni, dei corvi, dei maneggi, è preso per mano dal suo Signore per vincere ancora una volta sul male.
ROCCIA E SABBIE MOBILI
Perché non importa quello che è stato prima, quello che verrà dopo: Pietro, divenuto pastore della Chiesa, non è più soltanto il pescatore Simone. Su di lui – sulla sua vicenda umana, sulle prove, sulle angosce – soffia il vento vivificante dello Spirito Santo. In Varcare la soglia della speranza, Giovanni Paolo II ha scritto che con la forza dello Spirito: “Pietro è diventato la roccia, anche se come uomo, forse, non era che sabbia mobile” e questo deve significare che l’invito “non abbiate paura” di Gesù vale anche per lui. Solo in questo modo un pontificato diventa sostenibile. L’invito è valido anche quando la sabbia mobile non è il Santo Padre, come tristemente notiamo da tempo, ma chi – e siamo molti – non riesce ad essergli fedele fino in fondo. Così, quando noi, umani troppo umani con le nostre infedeltà e le nostre pochezze, sconfessiamo con i fatti l’obbedienza e l’amore che sosteniamo a parole, su di lui vegli la Santissima Trinità, che rimedia, a volte anche in extremis, ai disastri in cui, più o meno intenzionalmente, tentiamo di trascinare il Papa e la Chiesa tutta.