Dialoghi UFFICIALI fra la Chiesa e la FSSPX (informazione e aggiornamenti)

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Caterina63
00mercoledì 24 giugno 2009 12:37

Amici....a seguito degli sviluppi voluti dal Santo Padre:

Benedetto XVI REVOCA LA SCOMUNICA AI LEFEBVRIANI! Evviva!

Lettera del Papa ai Vescovi sull'Unità della Chiesa e la revoca alla FSSPX

SUMMORUM PONTIFICUM Motu Proprio sulla Messa Antica


inseriremo qui gli aggiornamenti UFFICIALI dei dialoghi dottrinali fra la Chiesa nella Congregazione per la Dottrina della Fede e la Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX), non solo a scopo informativo, ma anche di FRATERNA CONDIVISIONE soprattutto nella Preghiera...affinchè la comprensione ci riporti nella piena comunione...


Quanto segue, ringraziando il blog Messainlatino, è una sorta di prefazione per comprendere di che cosa si parlerà in questi dialoghi...


Il Concilio è solo pastorale e in parte non vincolante?


Si apriranno a breve i colloqui con i lefebvriani e la grande questione è: il Concilio Vaticano II dev'essere accettato così come è (e ancora: che cosa significa, viste le molte interpretazioni avanzate?) oppure è compatibile con l'appartenenza alla Chiesa un rigetto di parti di esso considerate fallibili e non vincolanti? Che obblighi di fede derivano dal Concilio? Che cosa significa che fu un "Concilio pastorale"? Ma fu tale per davvero? Risponde a queste obiezioni l'abbé Claude Barthe, sul blog Disputationes theologicae. Invitiamo caldamente a leggere a quel link l'intero articolo, che dà una risposta a questi interrogativi quanto mai d'attualità e d'importanza (si pensi a come l'intera Chiesa sia divisa, nemmeno in modo sotterraneo, tra fautori di un'interpretazione del Concilio come rottura e assertori invece, il Papa in testa, della sua continuità). Qui riportiamo alcuni stralci di quel lavoro.


[..]
Bisogna ricordare con fermezza i diversi gradi che impegnano l'insegnamento supremo del Papa solo o del Papa e dei vescovi uniti a Lui. E' necessario soprattutto specificare che il magistero più elevato deve collocarsi intorno a due gradi di autorità:

1) Quello delle dottrine irreformabili del Papa solo oppure del collegio dei Vescovi (Lumen gentium N. 25 § 2, 3). Questo magistero infallibile al quale bisogna " obbedire nella obbedienza della Fede", può essere a sua volta proposto sotto due forme:
a) Le dichiarazioni solenni del Papa solo o del Papa e dei vescovi riuniti in Concilio.
b) Il magistero ordinario e universale (Dz 3011).

2) Secondariamente quello degli insegnamenti del Papa o del Collegio dei Vescovi col Papa, senza intenzione di proporlo in maniera definitiva, ai quali è dovuto "un assenso religioso della volontà e dello spirito" (Lumen gentium N.25 § 1). Si parla in questo caso, in genere, di "magistero autentico", sebbene l'espressione non sia stata fissata in maniera assoluta.
[..]

L'infallibilità del Concilio è paradossalmente un tema tradizionalista

In effetti la questione tanto discussa non è stata mai sollevata altrove se non nel mondo tradizionalista, di cui una parte di teologi, in maniera senza dubbio molto bene intenzionata, ma di cui in fin dei conti non si riesce a percepire l'utilità, vorrebbe che queste dottrine si accordassero perfettamente con il magistero anteriore. Ma a dire il vero mai nessuna istanza romana ha preteso la cosa ed ancor meno ha preteso farne una dottrina infallibile! D'altro canto i teologi "non tradizionalisti" non sono obnubilati da "Dignitatis humanae", ma da "Humanae vitae". La loro letteratura a proposito dell'autorità del magistero è immensa, ma essa si occupa – o almeno si occupava fino a "Ordinatio sacerdotalis" sull'impossibilità di ordinare preti le donne – solo del valore dell'enciclica di Paolo VI sull'immoralità intrinseca della contraccezione. Certamente qualche rarissimo autore, tacciato di massimalismo, ha sostenuto che la dottrina del N. 14 di "Humanae vitae" fosse Magistero Ordinario Universale (espressa dal Papa ed approvata dai vescovi in comunione con Lui), magistero di conseguenza infallibile: si tratta dei moralisti C. Ford e Germain Grisez, ed del P. Ermenegildo Lio, i quali hanno inutilmente fatto pressione affinché questa infallibilità fosse riconosciuta ufficialmente.

Per tutti gli altri teologi, "Humanae vitae" non voleva essere altro che "magistero autentico" (e ciò ci appare come un fatto certo, anche se noi consideriamo, come tesi nostra, che questa dottrina in sé sia conseguenza diretta della legge naturale). I teologi della contestazione sostengono che una dottrina non sia vincolante se semplicemente autentica. I teologi, invece, favorevoli a "Humanae vitae", al seguito di Giovanni Paolo II, affermano che benché non sia infallibile, sia vincolante in maniera assoluta. Ma costoro hanno dovuto ammettere che può essere prudentemente discussa. Così anche S.E.R. Mons. William Levada, allora Arcivescovo di Portland: " Visto che l'insegnamento certo, ma non infallibile, non comporta l'assoluta garanzia a proposito della sua veridicità, è ben possibile, per una persona che sia arrivata a delle ragioni veramente convincenti, giustificare la sospensione dell'adesione." Se quindi "Humanae vitae", che è nella linea della continuità con l'insegnamento anteriore a riguardo della condanna della contraccezione, non è stata mai proposta come infallibile, a maggior ragione "Dignitatis humanae", la quale propone in una maniera che può essere intesa in diversi modi, una dottrina che ha tutte le apparenze di una novità, non può avere questa pretesa. L'argomento, sicuramente insufficiente se preso in se stesso, ci rimanda ad un'inquietudine delle origini per quanto riguarda l'infallibilità, la quale é introdotta dal famoso fine semplicemente "pastorale" del Concilio.


Il contesto: un Concilio "semplicemente pastorale", cioè "semplicemente autentico"

All'origine di tutto c'è la dichiarazione preliminare di Giovanni XXIII nel suo discorso "Gaudet mater Ecclesia" del 11 Ottobre 1962: visto che una dottrina infallibilmente definita è già stata sufficientemente espressa dai concili precedenti, ora non resta che presentarla "nella maniera che corrisponde alle esigenze della nostra epoca" e dare attraverso quest'azione "un insegnamento di carattere soprattutto pastorale". Il punto cruciale è dunque sapere se il Concilio abbia potuto essere infallibile senza volerlo veramente e ciò per il solo fatto che pronunciava delle dottrine che adempivano oggettivamente le "condizioni" tipiche degli enunciati che devono esse fermamente accettati e creduti. Ma bisognerebbe anche valutare la reale pertinenza della questione.

Il Vaticano II è incontestabilmente un concilio eccezionale, unico nel suo genere, in tutta la storia della Chiesa, il quale ha provocato un sommovimento senza eguali nella fede e nella disciplina. Non si può dubitare che richiami un certo numero di insegnamenti tradizionali (come quello dell'infallibilità per esempio), e che abbia prodotto dei bei testi (sulle missioni o sulla Rivelazione per esempio). Ma è impossibile ragionare teologicamente fuori dal contesto pregnante del suo svolgimento e delle sue conseguenze, nel quale il fatto di volere attenuare le chiusure della dottrina tradizionale sembrava naturale nonché necessario per realizzare una "apertura verso il mondo". In questo contesto "pastorale", i Padri conciliari, coltivando una certa ambiguità che permetteva di scioccare un po' meno i propri contemporanei, i quali giudicavano come "tirannico" per le coscienze moderne, il potere di "scogliere e legare", hanno dovuto semplicemente lasciarsi trasportare dalla corrente generale. Questo Concilio ha si insegnato, ma "pastoralmente". [..] la situazione a-magisteriale che ha preceduto il Vaticano II rende almeno dubbia una delle specificità del Concilio, e non la meno importante, quella della volontà del Papa e dei vescovi sull'obbligo all'adesione. Invece, anche dopo tutte le dispute per l'interpretazione che conosciamo bene, è perfettamente presente la chiara volontà di "fissare una certa linea". Il Concilio Vaticano II ha creato una "disposizione dell'animo", ma non ha creato nessun corpo dottrinale. I teologi non-tradizionalisti, quasi unanimemente, non hanno mai smesso di conservare la spiegazione di "pastorale" come praticamente sinonimo di "autentico", cioè di non infallibile.


L'interpretazione degli autori: una chiara volontà di non definire


In ogni caso, le testimonianze ufficiali sono concordi sulla volontà di non "definire". A due riprese (6 marzo 1964, 16 novembre 1964), la Commissione Dottrinale, alla quale era stato chiesto quale dovesse essere la qualifica teologica della dottrina proposta nello schema sulla Chiesa (e la domanda mirava soprattutto alla dottrina della collegialità), rispose: "Tenendo conto della pratica conciliare e del fine pastorale dell'attuale Concilio, quest'ultimo definisce solo le cose concernenti la Fede e la Morale che esso stesso avrà esplicitamente dichiarato tali".

Paolo VI spiegò che la cosa non era avvenuta. Una volta terminato il Concilio ritornò in effetti due volte sulla questione. Una prima volta, nel discorso di chiusura del 7 dicembre 1965: "Il Magistero (..), pur non volendo pronunciarsi con sentenze dogmatiche straordinarie, ha profuso il suo autorevole insegnamento sopra una quantità di questioni, che oggi impegnano la coscienza e l'attività dell'uomo". Una seconda volta nel discorso del 12 gennaio 1966: "Vi è chi si domanda quale sia l'autorità, la qualifica teologica, che il Concilio ha voluto attribuire ai suoi insegnamenti, sapendo che esso ha evitato di dare definizioni dogmatiche solenni, impegnanti l'infallibilità del magistero ecclesiastico (…), dato il carattere pastorale del Concilio, esso ha evitato di pronunciare in modo straordinario dogmi dotati della nota di infallibilità; ma esso ha tuttavia munito i suoi insegnamenti dell'autorità del supremo magistero ordinario; il quale magistero ordinario e così palesemente autentico deve essere accolto docilmente e sinceramente da tutti i fedeli, secondo la mente del Concilio circa la natura e gli scopi dei singoli documenti". La redazione di questi testi è in certa misura imbarazzata. Li si può interpretare in due modi a seconda che si insista sull'uno o l'altro versante della dichiarazione essenziale:

1) il concilio non ha mai fatto uso di "definizioni dogmatiche solenni impegnanti l'infallibilità del magistero ecclesiastico", ma ha potuto far uso del magistero ordinario universale (infallibile). La cosa sarebbe sufficiente a fare del Vaticano II un Concilio "a parte" nella storia della Chiesa, il quale insegna su "materie nuove" (l'ecumenismo) ma rifiutando di definire;

2) il Concilio non ha mai fatto uso di "definizioni dogmatiche solenni impegnanti l'infallibilità del magistero ecclesiastico". Se non ha mai fatto uso di definizioni solenni è perché non ha voluto essere infallibile. Il che conferma il fatto che questi testi evitino accuratamente di parlare di "obbedienza della fede": "(Questo Concilio ha tuttavia) profuso il suo autorevole insegnamento sopra un quantità di questioni che oggi impegnano la coscienza e l'attività dell'uomo"….. "ha munito i suoi insegnamenti dell'autorità del supremo magistero ordinario; il quale magistero ordinario e così palesemente autentico deve essere accolto docilmente e sinceramente da tutti i fedeli". La qual cosa rinvia all' "assenso religioso della volontà e dello spirito" richiesto dal magistero "palesemente autentico", e non già all'"obbedienza della fede" richiesta dal magistero infallibile.

[..]
Eppure il commento più autentico che sia possibile, in quanto emana dagli autori stessi dei documenti, lo afferma senza ambiguità: non sono dei dogmi. Malgrado le apparenze, o malgrado la necessita intrinseca. Joseph Ratzinger commentava in un complemento all'opera classica di riferimento in Germania, il Lexicon fur Theologie und Kirche: "il Concilio non ha creato nessun nuovo dogma su nessuno dei punti abbordati. (…) Ma i testi includono, ognuno secondo il proprio genere letterario, una proposizione ferma per la loro coscienza di cattolici". Soltanto una "proposizione ferma": non l'obbligo a credere. Ciò che d'abitudine in un Concilio dovrebbe comportare l'impegno del magistero solenne non lo ha comportato nel caso del Vaticano II, quindi e a maggior ragione, se valutiamo il magistero non solenne, il quale, con la grande difficoltà che esso comporta nel discernimento del grado di impegno, si troverà al di sotto dell'infallibilità, altrimenti detto sarà semplicemente autentico.

Inoltre, qualunque ipotesi si voglia considerare, "nessuna dottrina è considerata come infallibilmente definita se la cosa non è stata stabilita in maniera manifesta" (CJC, can. 749 c. 3). L'importanza di questo canone è enorme perché legata all'appartenenza alla Chiesa. In effetti tutti sono obbligati a evitare ogni dottrina contraria", tenentur devitare (CJC, can. 750). E chiunque nega una verità cade nell'eresia (can. 751). (Allorché nulla di simile succede a colui che rifiuta una verità del "magistero autentico": "i fedeli avranno cura di evitare ciò che non concorda con questa dottrina", curent devitare, can. 752). La cosa deriva, del resto, dal principio generale che vuole che non si imponga mai un fardello senza motivo, e dunque che ciò che è più esigente non si presume: "le leggi che impongono una pena (…) sono di interpretazione stretta" (can. 18).
[..]

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Il sacerdote Morselli risponde al testo sopra:


Perché Humanae Vitae è infallibile? 


 
Il pur interessante articolo dell'Abbé Barthe è molto discutibile; in particolare quando l'enciclica Humanae Vitae viene presentata come non infallibile: riporto a questo proposito alcune considerazioni, sintetiche ed eccezionali, del Card. Siri (tratte da qui).Ribadisco la mia personale convinzione che l'Ermeneutica della Continuità è altra cosa dallo sminuire la portata del Vaticano II: ma è la crocifiggente ricerca, all'interno del circolo ermeneutico dominante neomodernista di fatto egemone e asfissiante - ovvero nella attuale situazione di crisi nella Chiesa -, dell'autentica ermeneutica della Chiesa di sempre. A sentire certe definizioni di pastoralità del Vaticano II, sembra che centinaia di Vescovi siano andati a Roma a mangiare le ballotte chiacchierando davanti al camino di argomenti teologici...Ho già espresso qui più diffusamente il mio pensiero

Sac. Alfredo M. Morselli


IL VALORE DELLA HUMANAE VITAE da «Renovatio», III (1968,4), pp. 506-507Si tratta evidentemente del valore teologico, perché è di questo che si è discusso. In altri termini si è chiesto: le affermazioni della Humanae Vitae, specialmente quella in cui si condannano tutti i metodi e i mezzi anticoncezionali, sono riformabili o sono irreformabili? Ossia: la sostanza del documento è garantita a qualche titolo dal carisma della infallibilità o non è garantita? Ai fedeli importa sapere se sono o non sono nella certezza divinamente garantita. E’ ovvio che ove mancasse la perfetta certezza, l’efficacia del documento risulterebbe grandemente sminuita.

Ora un punto appare certo: la Humanae Vitae non è una definizione ex cathedra. Ciò significa che da sé non esclude la reformabilità della sentenza. La questione allora viene a porsi in questo modo: posto che il documento non è ex cathedra, la sostanza del documento non ha la infallibilità e la conseguente irreformabilità da un’altra fonte, e, nel caso, quale sarebbe? Vediamolo partitamente.

Anzitutto, comunque si pensi, va tenuto conto di quanto insegna il Concilio Vaticano secondo al numero 25 della Lumen gentium: «Ma questo religioso rispetto di volontà e di intelligenza lo si deve in modo particolare prestare al magistero autentico del romano pontefice anche quando non parla ex cathedra, così che il suo supremo magistero sia con riverenza accettato e con sincerità si aderisca alle sentenze da lui date, secondo la mente e la volontà da lui manifestate, la quale si palesa specialmente sia dalla natura dei documenti, sia dal frequente riproporre la stessa dottrina, sia dal tenore della espressione verbale». Questo testo condanna quelli che non hanno dimostrato né considerazione, né rispetto, né riverente e sincera adesione; afferma che il documento in oggetto è, per lo meno, atto di magistero autentico, ma non risolve la questione proposta, che è ben altra. In fatti il concetto della «autenticità» non implica la infallibilità e la conseguente irreformabilità. I fedeli vogliono essere certi in modo assoluto. Ed hanno ragione.

Nel presentare come ipotesi, per il caso in oggetto, solo quella della definizione ex cathedra (che è scartata) ossia del magistero solenne e quella del magistero autentico (che non implica di per sé la infallibilità), c’è un grave sofisma di elencazione, anzi un grave errore, perché si tace un’altra ipotesi possibile: quella del magistero ordinario infallibile. E’ strano come da taluni si cerchi ad ogni costo di evitare il parlarne. Il magistero ordinario è per la Chiesa il nutrimento sicuro di ogni giorno, mentre il magistero solenne è raro e non sempre può stroncare le eresie nel loro primo cauto e orpellato presentarsi, appunto perché richiede una preparazione lunga ed accurata, sia che venga esercitato dal romano pontefice, sia, col romano pontefice, dal collegio episcopale (grassetto mio).

La questione pertanto va posta obbiettivamente così: concesso che il documento non sia atto del magistero infallibile e pertanto da solo non dia la garanzia della irreformabilità e della certezza, la sua sostanza non è forse garantita da un magistero ordinario in quelle note condizioni per cui lo stesso magistero ordinario è infallibile? In tal caso il contenuto del documento non sarebbe irreformabile in ragione del solo documento, ma la sostanza del documento avrebbe già di per sé ed aliunde la garanzia della infallibilità.

Ora a noi parrebbe di dover rispondere: la sostanza del documento è già garantita dal magistero ordinario, pertanto è irreformabile.

In fatti fin dal primo secolo la Didachè parlando della via della morte vi mette «gli uccisori dei figli». Le stesse parole sono ripetute nella lettera di Barnaba (20, 2); Clemente Alessandrino è deciso e particolareggiato contro i contraccettivi (Pedagogus 2. 10. 91. 2). Si possono sentire Minucio Felice (Octavius 30, 2), Lattanzio (Divinae institutiones 6.20. 25), Giustino (ApologiaI, 9), Atenagora (Legatio pro Christianis 33). Questa tradizione continua nei padri seguenti, assumendo particolare rilievo nei testi di sant’Agostino i quali sono la base della legislazione canonica. Il filone della tradizione patristica e teologica è attestato sugli stessi concetti. Si arriva così alla enciclica Casti Connubii di Pio XI (30 dicembre 1930). L’insegnamento di tale enciclica ricapitolava l’insegnamento antico e comune. Pare di poter dire che le condizioni nelle quali si verifica il magistero ordinario irreformabile siano raggiunte (per non parlare poi dell'Esortazione Apostolica Familiaris Consortio e di tutte le successive ratifiche di Giovanni Paolo II; n.d.r.). Il periodo della irrequietezza diffusa è fatto assai recente, che non incrina per nulla quanto era nel sereno possesso di tanti secoli.

E’ necessario aver presente che non c’è solo magistero solenne e magistero semplicemente autentico; tra le due espressioni sta il magistero ordinario, dotato del carisma della infallibilità.

Si chiede come sia possibile ottenere la adesione — talvolta costosa — alla enciclica Humanae Vitae, non escludendo dalla mente dei fedeli l’idea che un tale insegnamento possa venire un giorno cambiato. La scienza potrà, se un giorno dimostrare che taluni farmaci non sono né contraccettivi, né altrimenti dannosi sia subito che in prosieguo di tempo; in tale caso potranno essere usati. Ma non sarà la dottrina a cambiare, saranno i responsi scientifici.






Caterina63
00mercoledì 24 giugno 2009 12:46
PRO MEMORIA di un memorabile discorso dell'allora card. Ratzinger il 13 luglio 1988 ai Vescovi cileni sulla questione legata alla FSSPX:

così disse:


In realtà, l'unico punto che è affermato nell'accordo, secondo Lumen Gentium 25, è il fatto limpido che non tutti i documenti del Concilio hanno la stessa autorità. Per il resto, è stato indicato esplicitamente, nel testo che è stato firmato, che le polemiche pubbliche devono essere evitate e che è richiesto un atteggiamento di rispetto positivo per le decisioni ufficiali e le dichiarazioni.

È stato concesso, in più, che la Fraternità San Pio X possa presentare alla Santa Sede - la quale si riserva l'esclusivo diritto di decisione - le sue difficoltà particolari rispetto alle interpretazioni delle riforme giuridiche e liturgiche. Tutto ciò mostra che in questo dialogo difficile Roma ha unito chiaramente la generosità, in tutto quello che è negoziabile, alla fermezza nel necessario. La spiegazione che Mons. Lefebvre ha dato, per la ritrattazione del suo accordo, è indicativa. Ha dichiarato che infine ha capito che l'accordo che ha firmato mira soltanto ad integrare la sua fondazione "nella Chiesa Conciliare". La Chiesa Cattolica in unione con il Papa è, secondo lui, "la Chiesa Conciliare", che ha rotto con il suo passato. Sembra effettivamente che non riesca più a vedere che qui si tratta della Chiesa Cattolica nella totalità della sua Tradizione e che il Vaticano II appartiene ad essa.

Senza alcun dubbio, il problema che Lefebvre ha posto non è finito con la rottura del 30 giugno. Sarebbe troppo semplice rifugiarsi in una specie del trionfalismo e pensare che questa difficoltà abbia cessato di esistere dal momento in cui il movimento condotto da Lefebvre si è separato con una rottura formale con la chiesa. Un cristiano non può mai, o non dovrebbe, compiacersi di una rottura. Anche se è assolutamente certo che la colpa non può essere attribuita alla Santa Sede, è un dovere per noi esaminarci, tanto circa quali errori abbiamo fatto, quanto quali, persino ora, stiamo facendo. I criteri con cui giudichiamo il passato nel decreto del Vaticano II sull'ecumenismo devono essere usati - come è logico - per giudicare pure il presente.


Il resto lo trovate cliccando qui






Caterina63
00sabato 27 giugno 2009 14:14
Altre pagine di Messainlatino.it
 

sabato 27 giugno 2009

Intervista al superiore tedesco dei lefebvriani: Roma considera per noi una sorta di prelatura personale.


L’intervista è stata rilasciata a KNA - Katholische Nachrichten-Agentur, Agenzia di stampa cattolica, da Pater Franz Schmidberger, già Superiore generale della FSSPX e ora Superiore del Distretto tedesco della Fraternità. La traiamo da Rorate Caeli.


KNA: Herr Schmidberger, lei è un prete della Chiesa cattolica?
Naturalmente. Sono stato ordinato nel 1975 dall’arcivescovo Marcel Lefebvre a Econe.

KNA: Lo dice senza specificare?
Sì. Io vivo e lavoro nel cuore della Chiesa

KNA: Che cosa significa per lei il Concilio Vaticano II?
Non c’è dubbio che è stato un concilio ecumenico, ma tra i 21 concilii possiede un carattere unico come concilio pastorale. Entrambi i papi del concilio hanno dichiarato che non volevano definire nuovi dogmi. Perciò, il Concilio Vaticano II non ha lo stesso status degli altri concilii.

KNA: Che cosa pensa del suo contenuto?
Lo spirito del Concilio è stato descritto come un cattivo spirito, persino da Papa Benedetto XVI. Ci sono affermazioni ambigue nei documenti, e molte altre che non collimano con la dottrina tradizionale.

KNA: Come dovrebbe essere il dialogo teologico tra la fraternità e Roma circa il concilio?
Per quanto concerne la forma esteriore, potrebbe essere orale o scritto, ma principalmente dovrebbe essere scritto. Abbiamo scelto i nostri rappresentanti e Roma anche ha scelto i suoi. Le discussioni riguarderanno: che cosa è ambiguo nel Concilio? Che cosa contraddice la dottrina tradizionale della Chiesa?

KNA: Francamente, crede che vecchio e nuovo rito possano continuare a coesistere a lungo termine.
Beh, vedremo come le cose si sviluppano. Ci sono profonde differenze tra i due riti; per esempio, l'orientamento della celebrazione. Il vecchio rito è teocentrico. Quello nuovo è antropocentrico. Molti gesti, simboli, e rituali, sono stati cambiati nelle fondamenta. Oggi, il vecchio rito è come una solida roccia tra le onde scatenate, che deve restare invariato. Il nuovo rito richiede un radicale rifacimento in modo che la natura sacrificale sia di nuovo esplicitamente espressa.

KNA: Che cosa pensa la Fraternità del Decreto conciliare sull’Ecumenismo [Unitatis Redintegratio]?
Dice che le altre denominazioni [cristiane] sono mezzi di salvezza. Se quello è vero, allora non c’è più alcuno scopo ad impegnarsi in attività missionaria. Questo necessita d’esser chiarito.

KNA: Che ne pensa di Nostra Aetate, che concerne il rapporto con gli Ebrei?
Non solo gli Ebrei, riguarda anche Islam, Induismo e Buddismo. Queste religioni non cristiane sono coperte di lodi. Questo ha incoraggiato l’espansione dell’Islam, per esempio. Oggi ci sono 4,3 milioni di mussulmani in Germania. La Chiesa ha un mandato di adoperarsi per la loro conversione, ma io non conosco di un solo vescovo tedesco che abbia fatto progetti per farlo. Circa la relazione con gli Ebrei, le affermazioni del Concilio non possono essere criticate nella loro essenza. Ma, dopo il Concilio, si fa strada l’idea che gli Ebrei abbiano la loro propria strada per la salvezza. Questo è completamente opposto al comandamento missionario di Gesù Cristo.

KNA: E avete anche problemi con la descrizione degli Ebrei da parte di Papa Giovanni Paolo II come fratelli maggiori dei cristiani.
Certamente Abramo, Isacco, Giacobbe e i profeti lo sono. Ma gli Ebrei di oggi no, perché non riconoscono Gesù Cristo come l’unico e solo redentore. Come potrebbero essere i fratelli maggiori
[per vero lo stesso mons. Fellay ha usato tale espressione in riferimento agli Ebrei di oggi: “Gli Ebrei sono i “nostri fratelli maggiori”, nel senso che abbiamo un qualcosa in comune, cioè l’antica Alleanza. Certo, ci separa l’aver riconosciuto il Cristo quando lui è venuto”: clicca qui]

KNA: E’ corretta l’impressione che voi, con le vostre posizioni, volete imporre un prezzo per l’unione con la Chiesa cattolica?
Noi vogliamo che la verità trionfi. Non ha niente a che vedere con le opinioni soggettive, riguarda interamente la verità.

KNA: Come voi la definite!
No, noi leggiamo tutte le precedenti affermazioni dei Concilii e dei Papi. Papa Pio IX ha parlato contro la libertà religiosa, ad esempio. La domanda è: queste false religioni hanno diritti di natura? Il Concilio Vaticano II risponde diversamente da Pio IX. Quella è una rottura.

KNA: Il diritto canonico richiede ai preti di sottomettersi al vescovo locale. Perché questo è difficile per voi?
Non è per niente difficile. Ma noi siamo la nostra Fraternità, che fu perfino lodata da Roma nel 1971. In seguito, abbiamo sviluppato la nostra propria vita. Poi le tensioni di sono sviluppate perché rifiutammo di partecipare alle distruttive riforme protestantizzanti. Abbiamo domande sulla fede della Chiesa e i vescovi rispondono solo domandando obbedienza. Ma la Fede è superiore all’obbedienza.

KNA: In seguito allo scandalo Williamson, Papa Benedetto XVI ha accusato la FSSPX di arroganza e vi ha ingiunto di astenervi dalle provocazioni. Ma è successo il contrario. Come può aiutare a rimettere insieme i cocci?
Naturalmente, ogni uomo ha le sue debolezze e cose infelici sono state dette. Ma noi vogliamo vivere insieme in pace. Ho scritto una lettera privata personale al presidente della Conferenza episcopale, l’Arcivescovo Zollitsch, ma i vescovi non intendono iniziare un dialogo. Rifiutano ogni colloquio con noi. Perché chiedono che noi obbediamo al diritto canonico alla lettera mentre allo stesso tempo affermano che noi siamo fuori della Chiesa?

KNA: Nel 2005 c’è stata una conversazione a Castel Gandolfo in cui, oltre al Papa, al cardinale di Curia Dario Castrillon Hoyos, e al vescovo tradizionalista Bernard Fellay, c’era anche lei. Che cosa è stato deciso quella volta?
Abbiamo discusso l’intera situazione con la Fraternità e convenuto sul cammino che ora stiamo seguendo Il Motu Proprio del 2007 e la revoca delle scomuniche erano i primi passi. Ora viene il dialogo teologico. Dopo, dobbiamo trovare una struttura canonica per la Fraternità con i suoi 500 preti. Siamo soddisfatti della soluzione che Roma sta considerando.

KNA: Quale è?
In direzione di una prelatura personale

KNA: Simile all’Opus Dei?
In qualche modo.

KNA: Altre ordinazioni sono previste per il prossimo fine settimana, benché Roma abbia detto che sono illecite. Perché insistete con queste ordinazioni?
La legge suprema della Chiesa è la salvezza delle anime. I fedeli hanno un diritto alla celebrazione della forma tradizionale della Messa. Il punto è ordinare preti che desiderano rendere disponibile il Vangelo. Le ordinazioni non intendono essere un affronto ad alcuno. Sono fatte in realtà per aiutare il Papa e i vescovi. Ma è come trattare con pazienti che non vedono quello che la medicina fa per la loro salute.

KNA: E così pretende avere il ruolo di medico
Sì, è vero. La Tradizione è la sola guida per portare la Chiesa fuori della presente crisi. Nel 1950, 13 milioni di cattolici andavano alla Messa domenicale. Oggi è appena meno di 2 milioni. Questa è un crollo dell’85%. In dieci anni, tutte le chiese saranno vuote. E’ questo che vogliono i vescovi? Che cosa succederà ai nostri figli? Si tratta della preservazione del cristianesimo in Occidente.





Caterina63
00lunedì 29 giugno 2009 07:28

FSSPX: il Papa ha ragione, vecchio e nuovo possono coesistere.

Il primo superiore della FSSPX ammette: "il vecchio rito e' come una solida roccia tra le onde scatenate, che deve restare invariato. Il nuovo rito richiede un radicale rifacimento in modo che la natura sacrificale sia di nuovo esplicitamente espressa".


Old & New.



di Salvatore Izzo


A due anni dall'emanazione del Motu Proprio Summorum Pontificum che ha liberalizzato l'uso dell'antico messale latino, i lefebvriani danno ragione a Papa Ratzinger: "vecchio e nuovo rito possano continuare a coesistere a lungo termine", afferma il primo successore del vescovo francese Marcel Lefebvre, mons. Franz Schmidberger, che dopo essere stato il superiore generale della Fraternita' San Pio X e' ora responsabile per la Germania.

Si tratta di una ammissione di fondamentale importanza, fatta per di piu' in un'intervista diffusa dall'agenzia ufficiale dell'Episcopato tedesco, la Kna.

Nei giorni scorsi un'altra apertura nella stessa direzione l'aveva fatta l'attuale superiore generale, mons. Bernard Fellay, che aveva annunciato la disponibilita' della Fraternita' ad utilizzare la preghiera del venerdi' santo per gli ebrei nella forma modificata da Bendetto XVI.
E non c'e' dubbio che il Papa, dopo la remissione delle scomuniche decisa nel gennaio scorso, abbia davvero conquistato il cuore dei tradizionalisti che sposano ormai le sue tesi: "circa la relazione con gli Ebrei - ammette oggi mons. Schmidberger - le affermazioni del Concilio non possono essere criticate nella loro essenza".

Per il sacerdote, che fu il piu' stretto collaboratore di mons. Lefebvre, come per Papa Ratzinger, il Concilio deve essere letto alla luce della Tradizione anche perche' esso "tra i 21 concilii possiede un carattere unico come concilio pastorale". "Entrambi i Papi del Concilio - ricorda - hanno dichiarato che non volevano definire nuovi dogmi".

Percio', "il Concilio Vaticano II non ha lo stesso status degli altri concilii".

E per quanto riguarda in particolare il tema della liturgia - che provocò la frattura con i tradizionalisti - la linea del Motu proprio e' quella che puo' ricomporla: "il vecchio rito - spiega il sacerdote - e' come una solida roccia tra le onde scatenate, che deve restare invariato.
Il nuovo rito richiede un radicale rifacimento in modo che la natura sacrificale sia di nuovo esplicitamente espressa".

I lefebvriani condividono la linea del Papa anche per quanto riguarda il tema del dialogo interreligioso, e cioe' che esso non puo' mettere in discussione i fondamenti della fede e che solo nel nome di Gesu' c'e' la possibilita' della salvezza per gli uomini: dunque non si puo' rinunciare ad annunciare il Vangelo e a pregare per le conversioni.

Per quanto riguarda le ordinazioni sacerdotali di questi giorni, che il Vaticano ha dichiarato ancora "illegittime", esse, per il prelato tedesco, rispondono alla "legge suprema della Chiesa" che e' "la salvezza delle anime": "i fedeli - spiega mons. Franz Schmidberger - hanno un diritto alla celebrazione della forma tradizionale della Messa.

Il punto e' ordinare preti che desiderano rendere disponibile il Vangelo. Le ordinazioni non intendono essere un affronto ad alcuno. Sono fatte in realta' per aiutare il Papa e i vescovi. Ma e' come trattare con pazienti che non vedono quello che la medicina fa per la loro salute".

Quanto alle tensioni e polemiche scaturite dal provvedimento di remissione delle scomuniche che perdono' anche il negazionista Richard Williamson, il primo successore di Lefebvre getta acqua sul fuoco: "ogni uomo - sottolinea - ha le sue debolezze e cose infelici sono state dette. Ma noi vogliamo vivere insieme in pace". Dalla lunga intervista emerge cosi' un messaggio chiarissimo da parte dei lefebvriani: "siamo soddisfatti della soluzione che Roma sta considerando", che - secondo il sacerdote tedesco - ricalca la struttura giuridica della Prelatura personale gia' concessa all'Opus Dei.

"Il Motu Proprio del 2007 e la revoca delle scomuniche - rileva mons. Schmidberger - erano i primi passi. Ora viene il dialogo teologico che per quanto concerne la forma esteriore, potrebbe essere orale o scritto, ma principalmente dovrebbe essere scritto. Noi abbiamo scelto i nostri rappresentanti e Roma anche ha scelto i suoi. Le discussioni riguarderanno: che cosa e' ambiguo nel Concilio?

Che cosa contraddice la dottrina tradizionale della Chiesa? Dopo, dobbiamo trovare una struttura canonica per la Fraternita' con i suoi 500 preti".

Un cammino, rivela l'intervista, che segue un programma preciso concordato direttamente con il Pontefice: nell'incontro del 2005 a Castelgandolfo con Benedetto XVI, conclude infatti il capo dei lefebvriani tedeschi, "abbiamo discusso l'intera situazione della Fraternita' e convenuto sul cammino che ora stiamo seguendo".



Caterina63
00lunedì 29 giugno 2009 13:11
Sorriso una bella immagine di mons. Fellay alle Ordinazioni (illecite ma speriamo bene!) di ieri ad Econe





Siamo nell'Anno Sacerdotale, anche il Papa ha espresso nella sua Lettera ai Vescovi preoccupazione e sollecitazione paterna verso questi Sacerdoti, definendoli,
nella Lettera:
"Penso tuttavia che non si sarebbero decisi per il sacerdozio se, accanto a diversi elementi distorti e malati, non ci fosse stato l’amore per Cristo e la volontà di annunciare Lui e con Lui il Dio vivente. Possiamo noi semplicemente escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca della riconciliazione e dell’unità?"

E allora, preghiamo anche per LORO in questo Anno Sacerdotale...


 Sorriso








Caterina63
00martedì 30 giugno 2009 12:03

Padre Pio, Lefebvre e la dimensione sacrificale dell'Eucaristia.

.
di Francesco Colafemmina

Una precisazione riguardo alla foto di Padre Pio con Lefebvre: la foto fu scattata durante il brevissimo incontro fra i due che avvenne dopo la Pasqua del 1967.

Citiamo le parole dello stesso Mons. Lefebvre in una sua lettera dell'8 Agosto 1990:
"l'incontro ebbe luogo dopo la Pasqua del 1967 e durò due minuti. Ero accompagnato da Padre Barbara da un Frate dello Spirito Santo, frate Felin. Ho incontrato Padre Pio in un corridoio, mentre si dirigeva verso il confessionale, accompagnato da due cappuccini. Gli ho detto in poche parole lo scopo della mia visita: che lui benedicesse la Congregazione dello Spirito Santo che doveva svolgere un capitolo generale straordinario, come tutte le società religiose, per un aggiornamento, incontro che temevo avrebbe condotto a dei problemi. Allora Padre Pio gridato. 'Me, benedire un Arcivescovo, no, no, è lei che dovrebbe benedire me!' E si chinò, per ricevere la benedizione. Io lo benedissi, lui baciò il mio anello e continuò il suo cammino verso il confessionale... Questo è stato tutto l'incontro, né più né meno. Per inventare un resoconto come quello che mi avete inviato ci vuole una fantasia satanica e menzognera. L'autore è un figlio del padre della menzogna!".

Il riferimento di Lefebvre era al resoconto in base al quale Padre Pio avrebbe ammonito l'Arcivescovo a restare obbediente al Papa ed alla Chiesa ed a non prendere iniziative che rompessero l'obbedienza. Questa leggenda nata - evidentemente - in data successiva al 1967 è stata utilizzata per dipingere da un lato il solito Lefebvre ribelle e scismatico e dall'altro un Padre Pio "conciliare" e contrariato dall'atto di indisciplina di Lefebvre.

Il giudizio su Lefebvre non viene intaccato o modificato dalla presenza di Padre Pio. Infatti il Santo Padre Giovanni Paolo II lo ha scomunicato per il mancato rispetto dell'obbedienza e specificamente per l'illecita ordinazione episcopale di quattro vescovi. Un atteggiamento che mal si concilia con quella silenziosa sopportazione che ha caratterizzato l'intera travagliata esistenza di San Pio.

Però, non allo stesso modo, si può affermare che San Pio fosse in grado di testimoniare con la sua esistenza e la sua essenza cristiana una Chiesa rinnovata dal Concilio Vaticano II. Anzi, anche i recenti tentativi da noi smascherati, di recuperare un Padre Pio conciliare e devoto al Novus Ordo, fanno parte di una sorta di "angoscia anti-tradizionale" che persiste nella Chiesa e che ultimamente a seguito della lenta "rinascita liturgica" promossa da Papa Benedetto si manifesta ancora più rabbiosa e preoccupata.

Tutto ci sembra legato ad un aspetto letteralmente vissuto da San Pio nella liturgia eucaristica: la dimensione sacrificale dell'Eucaristia. Questo grande tabù della liturgia postconciliare - sebbene non estraneo allo "spirtito del Concilio" - resta uno scoglio tremendo sul quale inciampano tutti coloro che cercano di conciliare l'idea "comunitaria" del Novus Ordo, con la prassi liturgica del grande Santo di Pietrelcina. Nell'ambito dell'ermeneutica della continuità e della positiva discussione sul tema mi piace citare quanto affermato da un grande uomo diventato Papa:
Joseph Ratzinger nel suo intervento del 2001 al Convegno di Fontgombault. Questo estratto del suo saggio ci spiega chiaramente perchè è considerato ancora "scandaloso" e "strumentalizzabile" il fatto che Padre Pio celebrasse la Santa Messa secondo il Messale del 1962.


Fonte Fides et Forma.

***

Il sacrificio rimosso in questione

[...] Tornando al Vaticano II, vi troviamo la seguente descrizione di questi rapporti: "La liturgia, mediante la quale, soprattutto nel divino sacrificio dell’Eucaristia, si attua l’opera della nostra redenzione, contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e l’autentica natura della vera Chiesa" (ibid. n. 2).

Tutto ciò è diventato estraneo al pensiero moderno e nemmeno trent’anni dopo il concilio, persino tra i liturgisti cattolici, è oggetto di punti interrogativi. Oggi chi parla ancora del sacrificio divino dell’Eucaristia? Certo le discussioni intorno alla nozione di sacrificio sono tornate ad essere sorprendentemente vive, sia da parte cattolica che protestante. Si avverte che in un’idea che ha sempre occupato, sotto molte forme, non soltanto la storia della Chiesa, ma la storia intera dell’umanità, vi deve esserci l’espressione di qualche cosa di essenziale che riguarda anche noi.

Ma nello stesso tempo restano ancora vive ovunque le vecchie posizioni dell’illuminismo: accusa a priori di magia e di paganesimo, sistematiche opposizioni tra rito ed ethos, concezione di un cristianesimo che si libera dal culto ed entra nel mondo profano; teologi cattolici che non hanno per nulla voglia, per l’appunto, di vedersi tacciare di anti-modernità.
Anche se si ha in un modo o nell'altro il desiderio di ritrovare il concetto di sacrificio, ciò che alla fine resta è l’imbarazzo e la critica. Così recentemente Stephan Orth, in un vasto panorama della bibliografia recente consacrata al terna del sacrificio, ha creduto di riassumere tutta la sua inchiesta con le constatazioni seguenti: oggi, persino molti cattolici ratificano il verdetto e le conclusioni di Martin Lutero, per il quale parlare di sacrificio è il più grande e spaventoso errore, è una maledetta empietà.

Per questo motivo vogliamo astenerci da tutto ciò che sa di sacrificio, compreso tutto il canone e considerare solo tutto ciò che è santo e puro. Poi Orth aggiunge: " dopo il Concilio Vaticano II questa massima fu seguita anche nella Chiesa cattolica, per lo meno come tendenza, e condusse a pensare anzitutto il culto divino a partire dalla festa della Pasqua, citata nel racconto della Cena. Facendo riferimento ad un’opera sul sacrificio edita da due liturgisti cattolici di avanguardia, dice in seguito, in termini un po’ più moderati, che appare chiaramente che la nozione di sacrificio della Messa, più ancora di quella del sacrificio della Croce, è nel migliore dei casi una nozione che si presta molto facilmente a malintesi.

Non è necessario che dica che io non faccio parte dei "numerosi" cattolici che considerano con Lutero come il più spaventoso errore e una maledetta empietà il fatto di parlare di sacrificio della Messa". Si comprende parimenti che il redattore abbia rinunciato a menzionare il mio libro sullo Spirito della liturgia che analizza nel dettaglio la nozione di sacrificio.

La sua diagnosi risulta costernante. È anche vera? Io non conosco questi numerosi cattolici che considerano come una maledetta empietà il fatto di comprendere l’Eucaristia come un sacrificio. La seconda diagnosi, più cauta, secondo la quale si considera la nozione di sacrificio della Messa come concetto altamente esposto a malintesi, si presta invece a facile verifica. Ma, se si lascia da parte la prima affermazione del redattore, non trovandoci che una esagerazione retorica, resta un problema sconvolgente che occorre risolvere. Una parte non trascurabile di liturgisti cattolici sembra essere praticamente arrivata alla conclusione che occorre dare sostanzialmente ragione a Lutero contro Trento nel dibattito del XVI secolo; si può del pari ampiamente constatare la medesima posizione nelle discussioni post-conciliari sul sacerdozio.

Il grande storico del Concilio di Trento, Hubert Jedin, indicava questo fatto nel 1975, nella prefazione all’ultimo volume della sua Storia del Concilio di Trento: "il lettore attento... non sarà, leggendo ciò, meno costernato dell’autore, quando si renderà conto del numero di cose, a dire il vero quasi tutte, che, avendo una volta agitato gli uomini, sono di nuovo proposte oggi".

Solo a partire da qui, dalla squalifica pratica di Trento, si può comprendere l’esasperazione che accompagna la lotta contro la possibilità di celebrare ancora, dopo la riforma liturgica, la Messa secondo il messale del 1962. [...]


Intervento tenuto dall’allora Cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, durante una Conferenza svoltasi presso l’Abbazia benedettina di "Notre Dame de Fontgombault", in Francia (22-24 luglio 2001). Per il testo integrale: Il Convegno di Fontgombeault: tappa storica del nuovo movimento liturgico.





Caterina63
00giovedì 2 luglio 2009 00:56

Risposta del Superiore del Seminario di Zaitzkofen
alle contestazioni dei Vescovi tedeschi

In seguito alle pressioni di alcuni episcopati europei, in particolare quello tedesco cui ha fatto eco la sala stampa vaticana il giorno 17 giugno u.s., il Direttore del Seminario di lingua tedesca della Fraternità, Padre Stefan Frey, ha rilasciato la dichiarazione qui di seguito riportata.
 

L'accusa che viene rivolta alla Fraternità è quella di procedere ad ordinazioni sacerdotali prima di avere una situazione canonica definita. È evidente l'uso strumentale del Diritto Canonico semplicemente per impedire alla Fraternità di continuare la propria missione. È chiaro che se la Fraternità non ha uno status giuridico definito, si tratta d'una conseguenza della situazione gravissima in cui versa la Chiesa. Di tale crisi che coinvolge la Chiesa universale, l'atteggiamento degli Episcopati di lingua germanica ci sembra essere una delle più emblematiche espressioni.

Il seminario Cuore di Gesù della fraternità FSSPX in merito alla prevista ordinazione sacerdotale del 27 giugno 2009 dichiara quanto segue:

1. Queste ordinazioni verranno impartite nell`intenzione di servire la Chiesa Cattolica. Impartiremo tale ordinazione sacerdotale perchè vogliamo esprimere così la nostra unità con Roma. Tale unità consiste nel medesimo Magistero, nei medesimi Sacramenti e nel Sacrificio della Messa di tutti i tempi. I nuovi sacerdoti ordinati come tutti i membri della fraternità riconoscono l`ufficio del Papa e l`autorità della Chiesa. I candidati all`ordinazione pregheranno in tutte le loro Sante Messe nominalmente per il Santo Padre in carica così come per il vescovo locale, espressione di unità che tutti i sacerdoti della fraternità praticano da oltre trent`anni. Non vogliamo fondare alcuna chiesa parallela, bensì intendiamo conservare nell´unica vera Chiesa cattolica l`inestimabile tesoro della Tradizione Cattolica.

2. Il Santo Padre aveva sicuramente in mente un provvedimento di vita, e non di morte, con la revoca della scomunica ai quattro vescovi del 21 gennaio 2009. Il magnanimo gesto è stato soprattutto un provvedimento per gli imminenti colloqui teologici con i rappresentanti della Santa Sede, pensati per chiarire le rimanenti difficoltà e che si suppone non saranno facili.
 
3. Una situazione di emergenza richiede adeguati provvedimenti di necessità. Esiste nella Chiesa di oggi una tale situazione di emergenza? A tale nostra dichiarazione in appendice alleghiamo una serie di dichiarazioni di Pontefici, Cardinali, vescovi e teologi che documentano una tale crisi. Papa paolo VI parla di "autodemolizione della Chiesa", Papa Giovanni Paolo II di "silenziosa apostasia". Due esempi numerici: nel 1950 13 milioni di cattolici frequentavano regolarmente la Santa Messa domenicale, oggi sono meno di due milioni, una riduzione di più dell`85%! Il numero delle ordinazioni sacerdotali nelle diocesi tedesche quest`anno non ha raggiunto nemmeno il numero di 100, e mai si era verificata una cifra così bassa. Si tratta dell`esistere o del non esistere del Cristianesimo in Europa. Si dovrebbe rimandare l`ordinazione sacerdotale di nuovi preti formati sul solido fondamento della Tradizione Cattolica e che per la continuità della Chiesa sono così necessari? Non si dovrebbe ringraziare invece con insistenza il Signore per la Grazia di tali vocazioni, oggi che le vocazioni autentiche sono così rare? Di un affronto all´unità della Chiesa non se ne parla nemmeno, e tantomeno di un rifiuto alla mano tesa dal Santo Padre, per il quale ogni giorno preghiamo.

4. Gli adirati vescovi si appellano sempre al diritto canonico. Allora un paragone: un prezioso edificio brucia con fiamme alte, un gruppo di giovani uomini coraggiosi si affretta sul luogo dell`incendio per spengerlo o almeno circoscriverlo, per più tardi cominciare la ricostruzione. Ecco che però i tutori dell`ordine ostacolano tali uomini, dicendo loro che avrebbero infranto i limiti di velocità. Allora non è più valido l`ultimo canone del diritto canonico del 1983, in base al quale la suprema legge della Chiesa è la salvezza delle anime?

5. Poichè i problemi esistenti non sono di natura disciplinare, la discussione si deve portare allora su di un altro piano, quello della Fede. Se Papa Benedetto XVI nella sua lettera ai vescovi del 10 marzo 2009
 
http://difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=8412739
ha dichiarato drammaticamente che la Fede in molte parti del mondo minaccia di estinguersi, non dovremmo allora tutti insieme fare il possibile per ricercare le cause di questa crisi della Fede ed eliminarle? In tal senso rinnoviamo la nostra disponibilità al dialogo con i vescovi tedeschi in un`atmosfera di pace e di onestà intellettuale, lungi da polemiche e sterili accuse.


Padre Stefan Frey, rettore del Seminario Herz Jesu

(traduzione a cura del blog di Messainlatino.it)


le parole del Papa rivolte alla FSSPX nella sua Lettera ai Vescovi:


Io stesso ho visto, negli anni dopo il 1988, come mediante il ritorno di comunità prima separate da Roma sia cambiato il loro clima interno; come il ritorno nella grande ed ampia Chiesa comune abbia fatto superare posizioni unilaterali e sciolto irrigidimenti così che poi ne sono emerse forze positive per l’insieme. Può lasciarci totalmente indifferenti una comunità nella quale si trovano 491 sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti universitari, 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero tranquillamente lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa? Penso ad esempio ai 491 sacerdoti. Non possiamo conoscere l’intreccio delle loro motivazioni. Penso tuttavia che non si sarebbero decisi per il sacerdozio se, accanto a diversi elementi distorti e malati, non ci fosse stato l’amore per Cristo e la volontà di annunciare Lui e con Lui il Dio vivente. Possiamo noi semplicemente escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca della riconciliazione e dell’unità?






 

Caterina63
00domenica 9 agosto 2009 18:57

Non si tratta di un dialogo ufficiale, ma è una Lettera aperta di padre Scalese che stimo molto.... e l'ho trovata molto bella, interessante e indovinata negli argomenti...


lunedì 27 luglio 2009

Lettera aperta a Mons. Fellay

Eccellenza Reverendissima,

Non so se questa "lettera aperta" giungerà mai nelle Sue mani. Io l'affido agli angeli, perché Gliela recapitino personalmente. Già altra volta avevo scritto un articolo avendo in mente la vostra Fraternità; lo pubblicai su questo blog (fu il mio primo post), ed esso giunse miracolosamente a destinazione: fu ripreso dai vostri siti e definito "molto interessante".

Questa volta mi rivolgo a Lei, perché so che sono in corso i preparativi dei colloqui dottrinali con la Santa Sede, da voi a lungo richiesti e finalmente, con la remissione della scomunica, accordati da Papa Benedetto XVI. A quanto mi risulta, Lei è già stato a Roma per prendere i primi contatti con la Congregazione per la Dottrina della Fede.

Personalmente, sono sempre stato del parere che non ci sia bisogno di "colloqui" per la riammissione nella comunione della Chiesa cattolica. L'unica cosa necessaria, a parer mio, dovrebbe essere la professione di fede prevista dai sacri canoni. Una volta che condividiamo la stessa fede, dovremmo essere in piena comunione. Sul resto, che non è compreso in quella professione di fede, ritengo che sia sempre possibile discutere liberamente, ma stando all'interno, non all'esterno della Chiesa. L'accettazione di un Concilio, che si è autodefinito "pastorale", non dovrebbe, secondo me, essere una condizione per la riammissione nella comunione ecclesiastica. Sono d'accordo che sia quanto mai urgente una riflessione sul valore e l'interpretazione del Vaticano II; ma non mi sembra che questo debba essere oggetto di una trattativa fra la Santa Sede e la Fraternità di San Pio X; mi sembra piuttosto un problema che riguarda l'intera Chiesa. È per questo motivo che ho proposto piú volte da questo blog che il prossimo Sinodo dei Vescovi sia dedicato all'interpretazione del Concilio.

Ma tant'è: a quanto pare, sia da parte vostra, sia da parte della Sede Apostolica un chiarimento sul Vaticano II è considerato come una condizione previa a qualsiasi altro tipo di accordo. Di qui la necessità di "colloqui dottrinali". Orbene, visto che tali colloqui dottrinali ci saranno, mi permetta di darLe qualche consiglio. Non perché pretenda di saperne piú di Lei, ma solo per esprimerLe, in spirito di fraterna carità, quel che sento in questo delicato momento.

Innanzi tutto, quando verrà a Roma per discutere con la CDF, non venga nella veste di colui che contesta o, peggio, rifiuta il Concilio. Questo significherebbe il fallimento immediato di qualsiasi dialogo. Venga piuttosto come uno che accetta il Vaticano II per quello che esso ha voluto essere, ed è effettivamente stato, cioè un concilio pastorale. Dica pure al Card. Levada che l'unica cosa che voi rifiutate — e su questo siamo tutti d'accordo — è l'assolutizzazione e l'ideologizzazione del Concilio, non il Concilio in quanto tale. Gli dica pure che voi trovate nei documenti del Vaticano II alcuni testi ambigui. Anche su questo, il Card. Levada dovrebbe convenire con Lei. Lo stesso Paolo VI trovò ambigua la trattazione della collegialità episcopale fatta dalla Lumen gentium, tanto è vero che sentí il bisogno di allegare a quella costituzione una "Nota praevia". Aggiunga che, essendoci delle ambiguità nei testi conciliari, si rende necessaria un'opera di interpretazione. Ma, per favore, non si presenti con la pretesa di essere Lei o la Sua Fraternità gli interpreti autorevoli del Concilio. Chieda piuttosto che sia la Sede Apostolica a dare un'interpretazione autentica dei passi piú oscuri. Qualcosa è stato già fatto (la detta "Nota praevia"; la spiegazione del significato dell'espressione "subsistit in"), ma molto rimane ancora da fare. Il criterio generale di tale interpretazione è stato già indicato da Benedetto XVI nel discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005: l'ermeneutica della riforma in contrapposizione all'ermeneutica della discontinuità e della rottura. E gli dica che voi, su questo, non solo siete pienamente d'accordo col Santo Padre, ma volete mettervi a sua completa disposizione per aiutarlo in quest'opera di rilettura del Concilio nel solco della ininterrotta tradizione della Chiesa.

Eccellenza Reverendissima, sono sicuro che su quanto ho scritto finora Lei si trovi in buona misura d'accordo. Mi pare di percepirlo dal tono dei Suoi ultimi interventi, molto piú concilianti e possibilisti di un tempo. Ma so pure che deve fare i conti, all'interno della Fraternità, con posizioni piú massimaliste, che La mettono in guardia dall'essere troppo arrendevole nei confronti della Santa Sede. A mio modesto parere, dovrebbe far capire a questi Suoi confratelli che non c'è nulla da guadagnare, in questo momento, a irrigidirsi su posizioni intransigenti. Il Santo Padre ha già fatto molti passi verso di voi; ora sta a voi fare qualche passo verso di lui.

Questo non significa cedere sui vostri principi; perché, se veramente avete a cuore le sorti della Chiesa, non c'è luogo migliore, per far valere quei principi, che la Chiesa stessa. Rimanendone fuori, voi lascerete la Chiesa in balia di quelle forze distruttive che la stanno a poco a poco portando alla rovina. Finché voi continuerete a rifiutare il Concilio, queste forze avranno buon gioco a dire: "Vedete? Loro sono fuori della Chiesa, perché rifiutano il Concilio; noi siamo la vera Chiesa, perché accettiamo, difendiamo e attuiamo il Concilio". Se anche voi accettate il Concilio, rimarranno spiazzati; e a quel punto si rivelerà chi è veramente cattolico e chi non lo è; chi interpreta il Concilio alla luce della tradizione e chi lo interpreta ideologicamente, appellandosi a un suo preteso "spirito".

Questo non significa neppure tradire l'eredità dell'Arcivescovo Lefebvre. Lei sa meglio di me che il vostro Fondatore partecipò al Concilio, dando un notevole contributo alle discussioni e all'elaborazione dei suoi documenti, che approvò e firmò nella loro totalità. Come mai? Non si rendeva conto delle ambiguità in essi contenute? Evidentemente sperava che se ne potesse dare un'interpretazione ortodossa. Fu solo quando vide che l'interpretazione e l'applicazione del Concilio era diventata monopolio dei modernisti che irrigidì le sue posizioni. Sono convinto che, se avesse visto che c'era spazio nella Chiesa per continuare le sue battaglie dall'interno, non sarebbe mai giunto a una rottura con la Sede Apostolica. Ora che questo spazio esiste, ed è lo stesso Sommo Pontefice a offrirvelo, mi sembrerebbe sciocco non sfruttare questa occasione irripetibile. Si tratta di scegliere se rimanere nel seno della Chiesa e di lí svolgere un ruolo, certamente difficile, ma prezioso per la salvaguardia della tradizione e la rivitalizzazione della Chiesa stessa; oppure preferire di rimanere ai margini o addirittura fuori della Chiesa, col rischio di trasformarsi nel tralcio separato dalla vite, destinato a seccare.

Eccellenza, mi scusi se mi sono permesso di intervenire su tali delicate questioni. La posso assicurare che, da parte mia, non c'è alcuna pretesa e alcun interesse, c'è solo il desiderio di vedere il ristabilimento della piena comunione nella Chiesa. La Chiesa ha bisogno di voi e voi avete bisogno della Chiesa.

Colgo l'occasione per confermarmi, con sensi di distinto ossequio, dell'Eccellenza Vostra Rev.ma

dev.mo

Giovanni Scalese, CRSP


Caterina63
00mercoledì 26 agosto 2009 00:53

venerdì 31 luglio 2009

Intervista a Mons. Fellay: i colloqui in autunno

 Apcom intervista Mons.Fellay: Pressioni contro di noi su S.Sede


Menzingen (Zug, Svizzera), 31 luglio (Apcom) - L'inizio dei colloqui con il Vaticano in autunno, una forte critica agli ebrei ('ci lascino in pace'), e l'impressione che la comunità ebraica condizioni pesantemente la Santa Sede. E ancora: il Concilio che va 'superato' e la speranza di avere presto una 'prelatura'; le divisioni che esistono anche all'interno della Chiesa di Roma e l'annuncio che monsignor Richard Williamson non verrà espulso. Non manca un attacco all''Osservatore Romano' che non si deve occupare di temi come Michael Jackson, Calvino o Harry Potter, accanto a una impressione molto positiva di Papa Benedetto XVI, 'persona integra e attenta al bene della Chiesa'. Intervista a tutto campo quella che monsignor Bernard Fellay, superiore dei lefebvriani, concede ad Apcom, nella casa generalizia della Fraternità San Pio X a Menzingen, in provincia di Zug (a pochi km da Zurigo), uno dei 26 cantoni della Svizzera. Completamente immersa nel verde della campagna svizzera, tra le mucche e il suono delle campane della chiesa di paese, il quartier generale dei lefebvriani si presenta con la scritta: 'Priester Bruderschaft St. Pius X - Generalhaus'. Nella stanza che ospita monsignor Fellay una foto di Marcel Lefebvre e una del Papa. 'Certamente c'è anche la foto del Papa, siamo cattolici anche noi', esclama il superiore alla nostra sorpresa di vedere un'immagine del Pontefice.

- Il Papa si trova in Valle d'Aosta per trascorrere un periodo di vacanze. Vi trovate a due passi da lui. Avete avuto qualche contatto, o c'è stato qualche tipo di collegamento tra il suo entourage e voi?
No, assolutamente no. Non c'è stato alcun contatto. Durante le vacanze dobbiamo lasciare il Papa in pace. Le cose proseguono con il Vaticano, con le persone incaricate per i colloqui. Ma non abbiamo disturbato il Papa. Sono le sue vacanze.

- Monsignor Fellay, è previsto un suo viaggio a Roma prossimamente? E' stato fissata la data d'inizio dei colloqui? E la vostra commissione, avete già pensato da chi sarà composta? Quante persone la formano?
Non c'è ancora una data fissata per l'inizio del dialogo, ma possiamo presumere che sarà in autunno. Verrò a Roma per quel periodo, ma non c'è ancora niente di preciso. La Commissione è già formata da 3-4 persone, ma non possiamo ancora fornire i nomi, anche per evitare qualsiasi pressione.

- Ritiene che in Vaticano ci sia una sensibilità eccessiva nei confronti delle aspettative del mondo ebraico, sul 'caso Williamson' così come sulla preghiera del venerdì santo?
Sì, lo penso. Io stesso sono imbarazzato - tranne ciò che è successo sul caso di monsignor Williamson - quando vedo ebrei che si occupano degli affari della chiesa cattolica. Non è la loro religione. Ci lascino in pace. Sono questioni che riguardano la chiesa cattolica. Se noi vogliamo pregare per gli ebrei, pregheremo per gli ebrei, nel modo che vogliamo. Non so se loro pregano per noi, ma direi che è un problema loro.

- Dunque, il Papa e il Vaticano subiscono pressioni del mondo ebraico?
Certo. È un tema estremamente delicato e caldo e penso che dobbiamo uscire da questo clima che non è buono. C'è stata una sfortunata concomitanza di eventi che che non dovrebbe mai accadere. In questo contesto si può capire l'ira degli ebrei io la capisco e deploro quello che è successo.

- Nel motu proprio 'Unitatem ecclesiam' il Papa ritiene che 'le questioni dottrinali, ovviamente, rimangono e finché non saranno chiarite, la Fraternità non ha uno statuto canonico nella Chiesa e i suoi ministri non possono esercitare in modo legittimo alcun ministero'. Cosa ne pensa?
Penso che non ci sia granchè di cambiato. Quello che è cambiato è che questa nuova disposizione concentrerà le nostre relazioni sulle questioni dottrinali. Ma non è un cambiamento, è un processo che va avanti e che avevamo già chiesto nel 2000; il cammino va avanti. Ciò che scrive il Papa sta nella linea del discorso abituale di Roma, dal '76, quindi non è nuovo. Noi abbiamo una posizione chiara che portiamo avanti da tempo e che manteniamo anche se siamo in contrasto con questa legge, ci sono ragioni serie che giustificano il fatto di esercitare legittimamente questo ministero. Sono le circostanze nelle quali si trova la chiesa che noi chiamiamo 'stato di necessità'. Per esempio quando una grande catastrofe colpisce un paese, mette fuori uso la struttura ordinaria, va in crisi il sistema, e allora tutti coloro che possono aiutare, aiutano. E quindi non è la nostra personale volontà, ma il bisogno dei fedeli che necessita l'aiuto di tutti coloro che possono aiutare. E questo stato di necessità è abbastanza generalizzato nella chiesa - ci sono certamente alcune eccezioni - per potere assicurare, consapevolmente, l'esercizio legittimo dell'apostolato.

- Quale status giuridico auspicate per la Fraternità San Pio X? Una prelatura, una società di vita apostolica, o cosa?
Dipenderà da Roma, ovviamente, che è l'autorità che decide di questa struttura. La loro prospettiva è la volontà di rispettare al massimo la realtà concreta che noi rappresentiamo. La mia speranza è che siamo sufficientemente protetti nell'esercitare l'apostolato per potere fare del bene, senza essere sempre impediti nell'azione da ragioni giuridiche. L'auspicio è una prelatura, anche se non ho una preferenza. Sulla tempistica non posso esprimermi, dipende tutto da Roma.

- Per Williamson il Concilio vaticano II è una 'torta avvelenata' che va buttata nella 'pattumiera', per Tissier de Mallerais il Concilio va 'cancellato' e per Alfonso de Gallareta non c'è 'molto da salvare' del Concilio: c'è una spaccatura all'interno della Fraternità San Pio X? Come pensa di risolverla? Il Vaticano sostiene che all'interno della Fraternità ci siano delle divisioni.
Mi permetto di dire che non vedo unione nemmeno in Vaticano. Il problema nella chiesa di oggi non siamo noi. Noi diventiamo un problema solo perchè diciamo che c'è un problema. Inoltre, anche se possiamo avere l'impressione di dichiarazioni opposte o anche contraddittorie, non ci sono fratture al nostro interno. Per esempio sul Concilio, possiamo dire che c'è quasi tutto da respingere. Ma si puo dall'altre parte anché dire di provare a salvare quello che è possibile. Ma non potremo mai dire tutti la stessa cosa. Il Concilio è un misto: c'è del buono e del cattivo. Anche il Papa quando sostiene che ci vuole un'ermeneutica di continuità, che non ci vuole una rottura, rifiuta il Concilio interpretato come rottura.

- Monsignor Williamson è un problema?
È un problema totalmente marginale. Quello che lui ha detto non ha niente a che vedere con la crisi della chiesa, con il problema di fondo che noi trattiamo da 30 anni dopo il Concilio, è una questione storica. La questione di sapere quanti e come gli ebrei sono morti non è una questione di fede, neanche una questione religiosa, è una questione storica. Ovviamente sono convinto che lui non abbia trattato questo tema come avrebbe dovuto e prendiamo le distanze. Ma sulle posizioni religiose della Fraternità rispetto al Concilio non vedo nessun problema con Williamson.

- Williamson dice che il Concilio è una 'torta avvelenata' da buttare nella 'pattumiera'. Non le sembra una frase un po' forte? Lei è d'accordo?
È una frase polemica, ma non le condanno. Tante dichiarazioni oggi sono fatte in chiave polemica, è una provocazione per tentare di far riflettere la gente. Direi il concetto in un altro modo, ma non lo so se non sono d'accordo. Direi il concetto in un altro modo, direi che dobbiamo superare il Concilio per ritornare a quello che la chiesa ha sempre insegnato e di cui la chiesa non può separarsi e a un certo momento dovremo superare il Concilio che si è voluto pastorale ma non dottrinale. Che ha voluto occuparsi della situazione contingente della chiesa. Ma le cose cambiano e tante cose nel Concilio sono già superate.

- Il vescovo Williamson aveva promesso di rimanere in silenzio e continua a parlare: verrà sanzionato? se continua a sostenere che non è possibile un compromesso con Roma sul Concilio, verrà espluso?
Non è vero che Williamson parla spesso. È rarissimo...una volta ha detto qualcosa...e poi non gli abbiamo chiesto di tacere su tutte le cose. Il campo su cui gli abbiamo chiesto il silenzio era molto limitato. La sua è stata un'uscita momentanea. La minimizzo al massimo...è poca roba... al momento non vedo alcuna ragione di espulsione. Dipende da lui, dalle situazioni nelle quali si è messo. Per il momento c'è un processo in corso, ha seriamente danneggiato la reputazione, non immagino adesso niente di più della situazione in cui sta già. Dipenderà da quello che dirà. E' già sufficientemente punito, messo ai margini, senza nessun incarico.

- E sul Concilio, accetterete il compromesso con Roma?
Non dobbiamo fare alcun compromesso sul Concilio. Non ho nessuna intenzione di fare un compromesso. La verità non sopporta il compromesso. Non vogliamo un compromesso, chiediamo chiarezza sul Concilio.

- Le recenti ordinazioni dei preti sono state viste come una provocazione: non era meglio evitare, in questo momento delicato?
Non è stata una provocazione. Alcuni vescovi hanno approfittato dell'occasione per gridare alla provocazione. Ma nè per Roma nè per noi è stata una provocazione. È come togliere il respiro a una persona. Noi siamo una società sacerdotale il cui l'obiettivo è formare sacerdoti. E quindi impedire l'atto ultimo di formazione che è l'ordinazione è come impedire a qualcuno di respirare. D'altra parte è stato sempre previsto e abbiamo sempre saputo che revocando la scomunica si è formata una situazione nuova che è migliore della precedente ma non perfetta. Per noi è normale andare avanti con le nostre attività, e quindi anche con le ordinazioni.

- L'Osservatore Romano ha parlato di Calvino, Michael Jackson, Harry Potter, Oscar Wilde. Cosa ne pensa?
Mi chiedo: è veramente il ruolo dell''Osservatore Romano' occuparsi di queste cose? Questa è una prima domanda. E la seconda domanda è: Quello che dicono su queste persone è veramente la cosa giusta? Ho uno sguardo piuttosto critico su queste presentazioni.

- Pensa che con questo Papa si possa finalmente giungere a una conclusione nell'annosa questione dei lefebvriani?
Credo che ci sia certamente una buona speranza. Penso che dobbiamo pregare tanto, sono questioni molto delicate. Sono 40 anni che siamo in questa condizione e non per questioni personali, ma veramente per cose serie che toccano la fede e il futuro della chiesa. Vediamo certamente nel Papa una autentica volontà di volere andare fino in fondo al problema e questo lo accogliamo con tanta soddisfazione. Preghiamo e speriamo che con la grazia del buon Dio arriveremo a qualcosa di buono per la chiesa e per noi.

- Cosa pensa di Benedetto XVI?
E' una persona integra, che prende la situazione e la vita della chiesa molto seriamente.



Caterina63
00mercoledì 26 agosto 2009 00:54
Mons. De Galareta guiderà la commissione di preti, professori e teologi della Fraternità San Pio X nei colloqui dottrinali con la Santa Sede


La Fraternità Sacerdotale San Pio X ha nominato mons. Alfonso De Galarreta (foto), uno dei quattro vescovi consacrati da mons. Lefebvre, a capo del team di esperti che condurrà le discussioni teologiche con la Santa Sede.

Lo ha annunciato l'agenzia online argentina Panorama Catolico Internacional.
Il ''dialogo dottrinale'' del Vaticano con i lefebvriani è stato voluto da Papa Benedetto XVI, in seguito alla sua decisione di togliere la scomunica ai quattro vescovi tradizionalisti all'inizio di quest'anno; i colloqui avranno lo scopo di aprire la strada al rientro della Fraternità e dei suoi preti nella ''piena comunione'' con la Chiesa Cattolica, passando dal ''pieno riconoscimento del Concilio Vaticano II'' richiesto dalla Segreteria di Stato nella sua nota del 4 febbraio scorso.


Mons. De Gallareta guida attualmente il seminario lefebvriano argentino di La Reja, dove ha sostituito il vescovo inglese mons. Richard Williamson, rimosso dopo la tempesta provocata dalla sue dichiarazioni negazioniste. Mons. De Galarreta, anche se dai modi meno provocatori, non è comunque lontano da lui dal punto di vista dottrinale. In una intervista in maggio con la rivista Iesus Christus egli rifiuta le ''novità ispirate ai principi liberali, neomodernisti'' del Concilio Vaticano II, ''come la libertà religiosa, la libertà di coscienza, l'ecumenismo, la democrazia che è entrata nella Chiesa con la concezione della 'Chiesa comunione' e della 'Chiesa popolo di Dio' attraverso la collegialità', che limita l'autorità del Papa e dei vescovi''.


Secondo quanto annunciato in luglio da un altro dei vescovi lefebvriani, mons. Bernard Tissier de Mallerais, la commissione della Fraternità incaricata del dialogo con il Vaticano sarà composta da 10 preti, professori nei seminari e esperti di teologia, che lavoreranno sotto la ''supervisione'' dei quattro vescovi lefebvriani - compreso, quindi, mons. Williamson.

Agenzia Asca
Caterina63
00venerdì 28 agosto 2009 23:22

Intervista 

di S. Ecc. Mons. Bernard Tissier de Mallerais
della Fraternità San Pio X

rilasciata a John Vennari per il giornale Catholic Family News

  11 febbraio 2009

FSSPX

Intervista condotta da John Vennari a Syracusa, New York, in occasione della visita di Mons. Tissier De Mallerais nella chiesa della Beata Vergine Maria Madre di Dio della Fraternità San Pio X, per amministrarvi il sacramento della Cresima.

In questa intervista mons. De Mallerais parla di Mons. Lefebvre, del Regno Sociale di Nostro Signore Gesù Cristo, del Concilio Vaticano II, della deriva modernista dei cattolici, dei prossimi colloqui tra la Fraternità San Pio X e la Santa Sede






John Vennari: Il suo discorso a Syracuse, l’8 febbraio scorso, era intitolato: « Mons. Lefebvre, il sacerdozio e il Regno  Sociale di Cristo ». Qual è il significato di questo titolo?

Mons. De Mallerais: Ho voluto spiegare, seguendo il P. Le Floch, che fu il professore di Marcel Lefebvre al Seminario Francese di Roma, e seguendo Mons. Lefebvre, che il sacerdozio implica non solo la santificazione delle ànime, ma anche il battesimo delle nazioni. L’integrità del sacerdozio porta alla conversione delle nazioni, di modo che la società civile si sottometta a Nostro Signore Gesù Cristo. È questo lo scopo supremo del sacerdozio.

J. V.: In questo discorso, Lei ha detto che i seminaristi ordinati al Seminario Francese sotto l’abbé Le Floch avevano elaborato un piano in tre punti per esporre il modo in cui si sviluppa una rivoluzione. Può indicarli?

Mons. De Mallarais:  Io ho seguito ciò che P. Fahey ha spiegato a dei professori del Seminario Francese.

Essi descrivono le tre tappe della rivoluzione.

Prima tappa della rivoluzione: L’eliminazione di Cristo Re dal governo, tramite la laicizzazione o la secolarizzazione dello Stato. Da questa laicizzazione consegue che il Diritto Civile non sarà più sottomesso al Vangelo, e la religione cattolica non sarà più riconosciuta pubblicamente dallo Stato. In base a questo principio rivoluzionario lo Stato non può determinare la verità in materia religiosa.

Seconda tappa della rivoluzione: La soppressione della Santa Messa. La Massoneria ha realizzato questo alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX secolo con la separazione tra la Chiesa e lo Stato. Si sperava così che i cristiani perdessero la fede e abbandonassero la Chiesa, e che la Santa Messa non fosse più celebrata.

Terza tappa della rivoluzione:
Far perdere la vita divina di Cristo nelle ànime, così che esse non vivano più in stato di grazia. Realizzare delle ànime pagane, delle ànime laicizzate.

J. V.: Come vede il Vaticano II e le sue riforme alla luce di questo piano in tre punti?

Mons. De Mallerais: Col Vaticano II questi tre punti sono stati effettivamente accettati dalla Chiesa.
Innanzi tutto, la distruzione dello Stato cattolico con la dichiarazione sulla libertà religiosa; la separazione tra la Chiesa e lo Stato; lo Stato non può più pronunciarsi veritativamente in materia di religione.
È quanto ha spiegato il Card. Ratzinger a Mons. Lefebvre nel colloquio del 14 luglio 1987: che lo Stato non può sapere che cos’è la vera religione.

In secondo luogo, la soppressione della Santa Messa. Che è stata attuata dopo il Vaticano II con la nuova messa. Questa nuova messa non esprime più il sacrificio di propiziazione. In più essa esprime più un’offerta delle persone a Dio piuttosto che un sacrificio celebrato dal sacerdote al fine di espiare i nostri peccati. Questo secondo punto è stato realizzato con la riforma liturgica.

Terzo, la laicizzazione delle ànime. Questa è praticamente la situazione odierna, perché quasi più nessuno va a confessarsi. Il sacramento della penitenza è stato praticamente soppresso con la cosiddetta assoluzione collettiva. Adesso Roma vuole tornare a delle confessioni individuali, ma io sono certo che numerosi vescovi non accetteranno, perché molti preti non vogliono ascoltare le confessioni.

J. V.: Tuttavia vi è comunque un buon numero di preti che vogliono ascoltare le confessioni.

Mons. De Mallerais: Si, ma in genere i preti moderni non amano confessare e non incoraggiano le confessioni. Il peccato, il peccato originale, il bisogno di confessione e la soddisfazione perché il peccato non sia più inteso. Statisticamente vi sono poche confessioni nelle parrocchie. Il risultato è che la maggioranza dei cattolici che possono ancora avere la fede non possono vivere in stato di grazia. Siamo realisti, il mondo è così corrotto che è impossibile vivere in stato di grazia senza il sacramento della penitenza.

J. V.: Lei ha indicato che Mons. Lefebvre riteneva che la risposta alla crisi della fede oggi stesse nell’invertire questi tre punti. Può spiegarlo?

Mons. De Mallerais: Sì. Prendiamo il piano della rivoluzione, ma invertendolo.
Prima di tutto, celebrare di nuovo la Santa Messa per la fede, così che si ricevano le grazie derivanti dal sacrificio della croce, attraverso la Messa vera. È quello che noi facciamo con la nostra fede. Noi vediamo i frutti della santificazione. Noi vediamo molte famiglie con tanti figli e con tante vocazioni.

In secondo luogo, per mezzo della Messa e dei sacramenti tradizionali fare sì che le ànime vivano in stato di grazia. È la situazione dei nostri fedeli. Io penso che la maggior parte di loro vive in stato di grazia. Vengono regolarmente a confessarsi, allo scopo di aumentare la grazia santificante o di recuperarla se hanno avuto il dispiacere di perderla. Vivono in stato di grazia. I bambini vivono in stato di grazia. Si insegna ai bambini a lottare contro le occasioni di peccato.

In terzo luogo, con questi gruppi di cattolici che vivono in stato di grazia, agire perché Nostro Signore Gesù Cristo ritrovi il suo posto nella società, così che Gli si restituisca la sua corona. Essi fanno questo nelle loro famiglie, nelle nostre strutture cattoliche e, a poco a poco, nei loro luoghi di lavoro, nelle loro professioni, perché queste si ritrovino in armonia con la legge di Gesù Cristo, così da essere dei buoni esempi per i loro colleghi. Il tutto, infine, per la ricristianizzazione della società civile.

J. V.: Nel suo intervento Lei ha parlato della nozione moderna del “personalismo” come errore filosofico del Vaticano II, che ha corrotto la dottrina della Chiesa.

Mons. De Mallerais: Questo errore ha impregnato la cosiddetta dichiarazione sulla libertà religiosa. Dire che ciascuno ha il diritto a non essere impedito ad adottare la divinità di sua scelta deriva direttamente dal personalismo.
La vera definizione della persona umana è stata data da Boezio: una sostanza individuale di natura ragionevole. Il tomista insiste su “la natura ragionevole”, perché l’uomo ha un intelletto che è fatto per scoprire, per cogliere la verità, e per mantenere la verità. Di modo che la finalità dell’intelligenza è di conoscere la verità, perché la verità è l’oggetto dell’intelligenza. Tale che la perfezione della persona umana consiste nel possedere la verità.
Oggi, i nuovi “personalisti”, riprendono la stessa definizione di persona umana, ma subordinandola alla “sostanza individuale”. La persona consisterebbe nell’essere un “individuo”, tale da avere dei diritti secondo la propria individualità. Questo significa avere la libertà senza considerazione per la verità. Restringendo tutto alla “sostanza individuale”, la persona umana ha il diritto di un “individuo”, secondo i suoi di principi, le sue scelte, senza alcuna considerazione per la verità. Per la nuova definizione il possesso della verità non è essenziale.
Questo fu l’insegnamento di Jacques Maritain in Francia, che fu un tomista, ma che si convertì al “personalismo”. Gli ebbe una grande influenza su Paolo VI e sul Vaticano II.
Il personalismo insiste sul fatto che l’individuo dev’essere libero, dev’essere indipendente, deve scegliere da sé. In questo consiste la “dignità umana”. E questo è stato condannato dal papa San Pio X nella sua lettera ai vescovi francesi contro il Sillon.

J. V.: Può commentare ciò che ha sostenuto nel suo intervento: la Chiesa non può conservare la verità senza combattere l’errore?

Mons. De Mallerais: L’intera storia della Chiesa dimostra questo principio. Fin dai primi secoli i Padri della Chiesa impiegarono il loro tempo a combattere le eresie e a condannare gli eretici. Il Concilio di Nicea, il Concilio di Efeso, sono delle dimostrazioni di questa verità. Il Concilio di Trento fu uno splendido Concilio perché condannò il protestantesimo.
Mai la Chiesa ha messo in gran luce i suoi principi se non lottando contro le eresie. Anche oggi la Chiesa deve condannare i falsi principi, al fine di mettere in luce i suoi principi, i principi rivelati. È una necessità.
La Chiesa non può insegnare la verità senza combattere gli errori. È questo il cammino provvidenziale stabilito dal Buon Dio per il magistero della Chiesa.

J. V.: Direbbe che il nuovo orientamento del “dialogo” è un falso principio per condannare l’errore?

Mons. De Mallerais: Si, con la scusa della “carità”. Sant’Agostino dice, amiamo i peccatori, ma combattiamo gli errori. Oggi invece si dice « amiamo gli errori, rispettiamo tutti gli errori ! ». Poiché l’errore è sempre professato da persone, occorre rispettare le persone, dobbiamo rispettare i loro errori. Questo è soggettivismo.

J. V.: Alla luce dell’insegnamento della verità e della resistenza agli errori, che può dirci a proposito delle prossime discussioni dottrinali tra la FSSPX e Roma?

Mons. De Mallerais: Promulgando il decreto del 21 gennaio, il Papa Benedetto XVI si è dichiarato aperto a queste discussioni e io penso che avranno inizio rapidamente.
La FSSPX è formata nel magistero cattolico eterno per i secoli; formata in conformità al Syllabus di Pio IX e al Syllabus contro il modernismo del papa San Pio X. Gli ecclesiastici moderni con i quali avremo queste discussioni dottrinali sono degli uomini che in gran parte sono stati formati nella continuità del Vaticano II e nel nuovo anti-anti-Modernismo del Concilio. Possiamo speculare sull’incontro degli spiriti in queste prossime discussioni?
La nostra intenzione è di metterli di fronte alla contraddizione tra le loro dottrine e le dottrine tradizionali. Noi vogliamo mostrare loro che vi è una vera contraddizione.

J. V.: Come procederanno queste discussioni?

Mons. De Mallerais: È nostra intensione impegnarci in una discussione scritta. Noi scriveremo le nostre obiezioni e loro risponderanno. Forse verso la fine si potranno avere delle discussioni a voce.

J. V.: Nel corso di queste discussioni, Lei ritiene che la lingua sia un potenziale problema? Per esempio, termini come “continuità” e “Tradizione” sono definiti in maniera diversa dalle autorità cattoliche tradizionali e da quelle attuali del Vaticano.

Mons. De Mallerais: È difficile discutere con delle persone che usano la stessa lingua, ma non danno il medesimo significato agli stessi termini. Così noi cercheremo di comprendere la loro filosofia e di parlare a loro con i termini della loro falsa filosofia. Quando parleremo della “Tradizione” parleremo con loro in modo tale che ci comprendano, non per accettare la loro nuova definizione, ma per comprendere come vi si sono adattati.

J. V.: Nel 1988, l’accordo contenuto nel protocollo tra Roma e la FSSPX comprendeva: 1) che la FSSPX ottenesse un proprio vescovo; 2) che avesse la maggioranza nella commissione vaticana; 3) che avesse l’autonomia in rapporto ai vescovi diocesani. Quando verrà il tempo di parlare di una giurisdizione per la FSSPX, essa insisterà su questi punti?

Mons. De Mallerais: Sì, e questo che Roma è disposta a dare. Il card. Castrillon ha già parlato a qualcuno di queste disposizioni, tuttavia è poco probabile che la FSSPX abbia la maggioranza nella Commissione Ecclesia Dei. Per ciò che riguarda l’indipendenza nei confronti dei vescovi diocesani, è evidente che Roma è pronta a darci una struttura che ci consenta una certa indipendenza, cosa possibile in virtù della legge. Devo dire che noi non possiamo ricercare rapidamente una regolarizzazione. Le discussioni dottrinali dureranno per lungo tempo.

J. V.: Una delle ragioni per le quali Le parlo dell’autonomia nei confronti dei vescovi è costituita da un recente rapporto di mons. Müller, vescovo di Ratisbona (Germania). Egli ha detto che se la FSSPX sarà regolarizzata dovrà anche « accettare che il seminario di Zaitzkofen rientri sotto la sorveglianza della diocesi di Ratisbona. Il seminario dovrà essere chiuso e gli studenti dovranno andare nei seminari dei loro paesi d’origine, se sono adatti a questo fine. »

Mons. De Mallerais: Noi dobbiamo avere una struttura giuridica che ci protegga da una tale intenzione distruttiva da parte dei vescovi.

J: V.: Se la FSSPX sarà regolarizzata, chi conferirà le ordinazioni e le cresime?

Mons. De Mallerais: I nostri vescovi. Questo sarà previsto nei documenti finali. Ma devo sottolineare che questa soluzione giuridica non si realizzerà se Roma non attuerà una vera conversione, perché sarà impossibile ottenere una cosa del genere se Roma non si converte. Non sarebbe possibile vivere una tale regolarizzazione senza la conversione di Roma. Io l’ho già detto in un’intervista con La Stampa a Roma, e la cosa fu considerata come uno scandalo. Certuni hanno detto: “ Questo vescovo è ridicolo! Quale pretesa convertire Roma! ”. Ma è questa la nostra intenzione. Questo è chiaro. Quando discuteremo con queste persone sarà per convertirle.

J. V.: Visto che ha toccato l’argomento, Le chiedo: Pensa che i rappresentanti di Roma daranno il via a queste discussioni con la stessa intenzione: convertire la FSSPX su quanti più punti è possibile? Per stimolarvi a “vedere la luce” o quantomeno a “sentire il suo calore”.

Mons. De Mallerais: Sì, questo è vero.

J. V.: Che dice del fatto che Mons. Lefebvre firmò tutti i documenti del Vaticano II, cosa che, secondo alcuni, starebbe a significare che non vi sarebbe alcun problema col Concilio nel suo insieme?

Mons. De Mallerais: Nella mia biografia di Mons. Lefebvre ho dimostrato – nei capitoli sul Concilio – che Monsignore ritenne che allora non poteva rifiutare una decisione di un Concilio Generale senza separarsi dalla Chiesa. La gran maggioranza dei vescovi firmò i documenti. Mons. De Castro Mayer firmò tutti i documenti del Concilio. Si trattava di una decisione collegiale, e in una decisione collegiale anche se non si è d’accordo con la decisione stessa la si firma. Per esempio, nel decreto sulla nullità di un matrimonio si può avere la decisione di tre giudici su cinque. Se un giudice non è d’accordo firmerà ugualmente il decreto perché la decisione è presa a maggioranza. Lo stesso accade in un Concilio Generale. Questo non significa che Mons. Lefebvre abbia accettato tutte le decisioni del Concilio. Per esempio, alla fine ha votato contro il documento sulla libertà religiosa e in seguito ha continuato ad opporsi pubblicamente alla libertà religiosa, fino alla sua morte nel 1991.
Piuttosto che leggere il Vaticano II alla luce della Tradizione, dobbiamo realmente leggere e interpretare il Vaticano II alla luce della nuova filosofia. Dobbiamo leggere e comprendere il Concilio nel suo vero significato, e cioè secondo la nuova filosofia. Poiché tutti questi teologi che hanno prodotto i testi del Vaticano II erano impregnati della nuova filosofia. E dobbiamo leggerlo in questo modo non per accettarlo, ma per comprenderlo come lo comprendono i teologi moderni che hanno redatto i documenti. Leggere il Vaticano II alla luce della Tradizione significa non leggerlo correttamente. Significa distorcere i testi. Io non voglio distorcere i testi.

J. V.: Lei è stato con Mons. Lefebvre fin dall’inizio nel 1969. È stato con lui nelle tre grandi tappe della FSSPX nelle discussioni con Roma: la revoca del permesso per il seminario di Ecône nel 1975, la sospensione nel 1976 e il vicolo cieco che gli fece abbandonare il Vaticano per le consacrazioni episcopali nel 1988. In che cosa l’attuale situazione nel 2009 è comparabile con le discussioni precedenti?

Mons. De Mallerais: Io penso che non vi sia nulla di cambiato sotto questo profilo. In definitiva vogliono condurci al Vaticano II. Per indurci ad accettarlo. La remissione della scomunica non ha cambiato questo problema profondo della fede. Ha solo cambiato qualcosa per i cattolici che non comprendono la nostra battaglia, i quali adesso vedono che non siamo più scomunicati, e questo è un bene per la Chiesa.


Un grazie al sito
http://www.unavox.it/Documenti/Doc0201_Int_Mallerais_11.2.09.html

Caterina63
00giovedì 10 settembre 2009 09:53

Le discussioni fra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X: un punto di vista teologico


de l'Abbè Claude Barthe


Ci si potrebbe interrogare sulla reale efficacia della "disputa teologica" e sui limiti effettivi del dibattito intorno al Concilio Vaticano II, che sembra comportare ancora oggi un certo numero di tabù insormontabili. Tuttavia non si può negare che la personalità di un Papa "universitario" abbia impegnato la discussione teologica in una prospettiva di ricerca della Verità che si sta rivelando molto meno schiava dei pregiudizi rispetto a qualche anno fa. Allo stesso tempo si deve rilevare, con un certo disappunto, che un certo pessimismo cronico di alcune frange del mondo tradizionale sembra voler chiudere gli occhi davanti all'apertura intellettuale che si annuncia all'orizzonte.

L'Abbé Barthe, già noto ai nostri lettori per il suo intervento sul magistero ordinario infallibile, dipinge in questa sede il quadro di una tale apertura tra i teologi designati dalla Sede Apostolica, che lascia intravedere delle reali prospettive di approfondimento riguardo le questioni più dibattute. In particolare mette in evidenza la disponibilità della Santa Sede ad ascoltare le obiezioni relative a certi passaggi del Vaticano II, qualunque sia l'origine di esse, vengano dai teologi della scuola romana o persino dalla Fraternità San Pio X. La ricerca della verità non si impone dei limiti "a priori".

Nell'insieme il quadro che si delinea con questa nuova apertura è quello di un clima di ricerca incoraggiante, che sembra aver abbandonato lo sterile spirito della dialettica hegeliana, che finisce per lasciare a ciascuno la "propria" verità, per abbordare la discussione nello spirito di un'autentica "disputatio theologica" la quale deve condurre ad un'unica verità che le due parti devono abbracciare: lo scopo è di giungere, nei limiti del possibile, ad una reale soluzione dei problemi, senza velleitarismi. La Verità non appartiene agli uni o agli altri, la Verità deve essere di tutti ed è per tutti. La prospettiva descritta dall'Abbé Barthe si rivela di particolare interesse, specie nella misura in cui essa traccia i reali contorni del dibattito e mette in evidenza quello che oggi è probabilmente l'unico di affrontarlo.



Il punto di partenza di questo mio articolo - le cui riflessioni impegnano solo il sottoscritto - è la mia lettura nell’ultimo numero di «La Nef » (settembre 2009, p. 21), di un’intervista di Padre Manelli, Superiore dei Francescani dell’Immacolata, con Christophe Geoffroy e Jacques de Guillebon. Padre Manelli dichiara: “Egli (il Papa) cerca di evitare rotture, specialmente nella ricezione del Concilio Vaticano II – è la famosa “ermeneutica della riforma nella continuità”. Possono tuttavia esserci nel Concilio delle discontinuità su punti precisi, la cosa non avrebbe nulla di scandaloso, poiché quest’ultimo ha voluto essere “pastorale”, possono esservi degli “errori” che il Papa può correggere, come Mons. Gherardini ha dimostrato in uno studio che noi abbiamo pubblicato e che sarà presto tradotto in francese”.

Simili dichiarazioni, nuove non già per il loro tenore, quanto per la convinzione con la quale sono ormai formulate, sono in effetti come cristallizzate dalla “linea ermeneutica” che rappresenta Mons. Brunero Gherardini
[1], al quale “Disputationes Theologicae” a dato largo eco[2].

Essa rimette in auge, rinnovandola considerevolmente, quella della minoranza conciliare – minoranza di cui non si può dimenticare l’importante ruolo nell’elaborazione del testo di "transizione" o, detto in maniera più polemica, di "ambiguità" - e cioé in breve: un certo numero di passaggi del Vaticano II è suscettibile, non soltanto di precisazioni, ma anche eventualmente di future correzioni.

In maniera diversa, Mons. Nicola Bux, voce molto ascoltata alla Congregazione per la Dottrina della Fede, dichiarava all’agenzia “Fides” il 29 gennaio 2009 : « E' stato constatato che non vi sono differenze dottrinali sostanziali, e che il Concilio Vaticano II, i cui decreti furono firmati da Mons. Lefebvre, non poteva essere separato dalla Tradizione della Chiesa nella sua interezza. In uno spirito di comprensione, bisogna in seguito tollerare e correggere gli errori marginali. Le divergenze passate o più recenti, grazie all’azione dello Spirito Santo saranno risanate grazie alla purificazione dei cuori, alla capacità di perdono, e alla volontà di riuscire a superarle definitivamente ».

In questo contesto di libertà teologica e di effervescenza di sane “disputationes” alle quali questo sito vuol partecipare, le conversazioni dottrinali che verranno, implicitamente evocate da Mons. Nicola Bux, e che presto si apriranno tra i teologi che rappresentano la Congregazione della dottrina della fede e i teologi che rappresentano la Fraternità San Pio X, dovranno logicamente far progredire le cose. E’ in definitiva ciò che si può pensare, tenuto conto della qualità dei tre teologi, tutti e tre consultori alla Congregazione della Dottrina delle Fede, che dovrebbero partecipare alle discussioni per delegazione della Santa Sede (nella misura in cui le informazioni concernenti le nomine siano esatte e fermo restando che l’ “equipe” costituita possa essere modificata, ridotta o aumentata), sotto lo sguardo di Mons. Guido Pozzo, nuovo segretario della Commisione Ecclesia Dei.


Qual è il grado d’autorità di quei passaggi che presentano difficoltà nel Vaticano II?


Mons. Pozzo, che ha insegnato in maniera estremamente classica all’Università del Laterano, e che in “Le Figaro” dell’8 luglio diceva: “Il punto debole della Chiesa è la sua identità cattolica, spesso poco chiara”, e aggiungeva: “non è rinunciando alla propria identità che la Chiesa si metterà nelle migliori condizioni per dialogare con il mondo, è esattemente il contrario”, per poi concludere : “noi abbiamo bisogno di uscire da questa illusione ottimista, quasi irenica, che ha caratterizzato il post-concilio". Egli è tra l’altro uno specialista di quelle che vengono chiamate “note teologiche” (il valore normativo che si può attribuire ai testi dottrinali), in maniera tale che le discussioni non potranno evitare di occuparsi del « valore normativo » delle asserzioni discusse, del loro valore in relazione al contesto, dell’eventuale assenza dell’obbligo di fede che esse comportano.
[3]

Il Padre Charles Morerod, nuovo Segretario della Commissione teologica internazionale, che dovrebbe partecipare a queste discussioni, è un domenicano svizzero che ha fatto la propria tesi su Lutero e il Gaetano. E’ decano della facoltà di filosofia dell’Università San Tommaso d’Aquino, l’Angelico, redattore dell’edizione francese della rivista “Nova et Vetera”. Su richiesta della Congregazione della Dottrina della Fede, ha lavorato molto sulla questione dell’anglicanesimo. E’ vicino al Cardinal Cottier, gioisce della totale fiducia del Segretario di Stato, già Segretario del Sant’Uffizio e del Papa stesso. Nella sua importante bibliografia, si può citare: Tradition et unité des chrétiens. Le dogme comme condition de possibilité de l’œcuménisme[4] ; Œcuménisme et philosophie. Questions philosophiques pour renouveler le dialogue[5].



E’ ormai notorio che il Padre Morerod abbia partecipato coi membri della Fraternità San Pio X a delle conversazioni dottrinali che si potrebbero definire “preliminari”. In una riunione pubblica tenutasi nell’ambito del Grec (Gruppo d’incontro tra cattolici), nei locali prossimi a Saint-Philippe-du-Roule, a Parigi il 26 febbraio 2008, nel quale dibatteva con il Padre Grégoire Célier, della Fraternità San Pio X, sul tema: « Rivedere e/o interpretare certi passaggi del Vaticano II », i due relatori erano arrivati ad un’interessante convergenza. Padre Morerod spiegava che gli sembrava: 1) che la possibilità di una ricezione del Vaticano II, « che si fondasse solidamente sullo stato del magistero anteriore », potrebbe perfettamente avere il suo posto nella Chiesa, avendo come condizione, a suo parere, che questa interpretazione non sia un rigetto del Vaticano II; 2) che poteva essere ammessa la non-confessione di certi punti del Vaticano II, con “una certa esigenza di rispetto” dell’insegnamento “ufficiale” del Vaticano II.



Alcune precisazioni interpretative dal sapore d’ “incompiuto”


Il Padre Karl Josef Becker, gesuita che dovrebbe anche lui partecipare a queste discussioni nel 1928, teologo molto amato da Benedetto XVI, è stato professore esterno alla facoltà di teologia dell’Università gregoriana (ha in particolare insegnato la teologia sacramentaria e scritto sulla giustificazione e l’eclesiologia). Ha pubblicato un articolo comparso ne «L’Osservatore Romano» del 5 dicembre 2006 [6], nel quale tutti hanno visto un’applicazione del discorso del Papa del dicembre 2005 e che menzionerò più avanti. Egli difendeva la tesi che il “subsistit in” di Lumen Gentium 8 (la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica) non vuol dire altro che il tradizionale: est (la Chiesa di Cristo è puramente e semplicemente la Chiesa Cattolica). E addirittura, secondo la rilettura molto volontarista del padre Becker, il “subsistit in” sarebbe destinato a rinforzare l’est, da cui ne risulterebbe, secondo la sua valutazione, e prendendo di mira la parte dell’ecumenismo conciliare che è più difficile da mettere in accordo con la dottrina tradizionale, che l’ecclesialità parziale delle chiese separate non è sostenibile [7].

Fernando Ocáriz, il terzo teologo che dovrebbe ugualmente far parte dell’equipe di Pozzo per partecipare ai dibattiti teologici, è nato nel 1944, vicario generale dell’Opus Dei, ha insegnato alla Pontificia Università della Santa Croce, è l’autore di numerosissime pubblicazioni.



La sua designazione è da attribuire certamente al suo interesse per la questione dell’interpretazione omogenea della dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis Humanae, a proposito del punto più sensibile –l’apparente sostituzione della teologia della tolleranza con quella della libertà in materia di "diritto pubblico della Chiesa[8]" – sul quale ha lui stesso scritto[9]. Si può tra l’altro senza grandi rischi affermare che egli è per la formula che si può definire “di transizione” sulla libertà religiosa nel Catechismo della Chiesa Cattolica, ou sur lequel il a dirigé des thèses d’étudiants[10]. (Catéchisme de l’Église catholique[11]).
Quanto al Padre Charles Morerod, approfittando della parte importante che ha assunto nei lavori dell’Anglican-Roman Catholic International Commission (ARCIC), ha dimostrato nel suo Œcuménisme et philosophie. Questions philosophiques pour renouveler le dialogue
[12], che un dialogo ecumenico serio avrebbe dovuto essere integrato da chiarimenti sui presupposti filosofici delle posizioni teologiche dei cristiani separati, presupposti che possono largamente spiegare la loro incomprensione dei dogmi della Chiesa.
Ma è soprattutto il suo Tradition et unité des chrétiens. Le dogme comme condition de possibilité de l’œcuménisme
[13], che merita una particolare attenzione per l’argomento che ci interessa. Quest’opera rappresenta uno sforzo considerevole d’interpretazione tradizionale dell’ecumenismo portata a un grado elevatissimo d’acume e di agilità, perché non mira nientemeno che a dimostrare come il dogma cattolico in generale e quello dell’infallibilità pontificia in particolare sono….i motori più efficaci dell’ecumenismo. Dimostrazione paradossale (paradossale nella misura in cui si sostiene comunemente, per gioirne o per lamentarsene, che l’ecumenismo cerca d’attenuare i lati spigolosi del dogma cattolico).
Ora il paradosso si raddoppia quando la pia interpretatio del saggio domenicano fa una lettura tomista di un punto di vista spesso criticato nel testo conciliare, la « gerarchia delle verità ».
Secondo lui, se si accorda ai separati che, dalle due parti, c’è stata cattiva comprensione delle posizioni rispettive, bisognerà pronunciare alla fine una formula obbligatoria per tutti - altrimenti detto, un dogma - che manifesti che ormai ci si capisce perfettamente e che ci si accorda univocamente nell’esprimere la fede degli Apostoli.
Riguardo il decreto conciliare sull’ecumenismo al n. 11 § 3
[14], ricorda che la Tradizione cattolica, specie ricorrendo a San Tommaso, ha sempre affermato che il rifiuto di credere in un qualsivoglia articolo di fede porta a rifiutare l’autorità di Dio da cui dipende la fede, e annichila di fatto il motivo di credere e quindi polverizza la fede.
Tuttavia, come espone anche San Tommaso, l’insieme delle verità da credere si organizza secondo un certo ordine, che non sopprime in nessun modo l’importanza di ogni articolo. Il Padre Morerod spiega, che così intesa, la “gerarchia di verità” non è in fondo niente altro che un metodo di catechesi elementare per spiegare, per esempio, la Maternità divina a partire dall’Incarnazione, un modo pedagogico di portare alla fede cattolica coloro che se ne sono allontanati
.


Un nuovo contesto teologico e le sue virtualità

Le dimostrazioni in forma di precisazioni dei Padri Becker, Ocáriz, Morerod e molti altri ancora sono molto seducenti. L’inconveniente è che esse sono rese necessarie perché i testi in questione (riguardo ciò che ho evocato: il n.8 di Lumen Gentium, il n. 2 di Dignitatis humanae e il n.11 di Unitatis Redintegratio, ma esistono altri luoghi di difficoltà
[15]) non contengono le precisazioni che avrebbero evitato tutte le interpretazioni devianti[16].
Non è forse, più in generale, la grande difficoltà che solleva tale o tal’altra asserzione del Vaticano II, e nello specifico quella di aver avuto ciò che potremmo qualificare come un «velare nuovamente» (ndt “réenveloppement du dogme” nell’originale), facendo allusione alla teoria dello “svelamento” (ndt “désenveloppement” nell’originale), che rappresenta, secondo il Card. Journet, la funzione dogmatica (ndt si fa notare che l’espressione désenveloppement\svelamento, in francese è prossima per il suono, ma distante per significato da quella di développent\sviluppo del dogma, tanto evocata dall’evoluzionismo modernista, ed è quindi carica di significato).


Ma prima di tutto bisogna far notare, che il fenomeno innescato dal discorso indirizzato il 22 dicembre 2005 da un Papa teologo, Benedetto XVI, alla Curia romana, sulla buona interpretazione del Vaticano II, si situa in una fase storica del « ritorno al dogma » particolarmente interessante. Si potrebbe del resto difendere che l’esercizio del suo incarico di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, specialmente dal 1985 (con la pubblicazione di Inchiesta sulla Fede) fino al 2005, ha costituito una specie di pre-pontificato di reinterpretazione e d’inquadramento dei punti sensibili del Vaticano II.

Al limite, ciò che si dice e scrive oggi liberamente un pò dappertutto era perfettamente conosciuto: cioè a dire che l’autorità dei passaggi del Vaticano II che sono apparsi o paiono, prout sonant, non accordarsi con le asserzioni dogmatiche anteriori, non avevano niente di dogmatico. Allo stesso modo si potrebbe dire che le reinterpretazioni in forma di precisazioni ortodosse di quei passaggi, le quali oggi si moltiplicano da parte di penne autorizzate a parlare, sono sempre esistite. Ma è permesso far notare che queste due vie coniugate, le quali prendono oggi un carattere quasi ufficiale, restano in una certa misura insoddisfacenti: la prima via (la non infallibilità dei punti contestati) perchè essa è puramente negativa e non regola il fondo del dibattito; la seconda (la reinterpretazione tomista di questi punti) perché appare relativamente artificiale o perché essa è in ogni caso e con tutta evidenza a posteriori.

Ma tuttavia come nella via spirituale l’accesso alle vie della mistica non può fare economia delle purificazioni ascetiche, tutta l’attuale effervescenza scatenata o attivata dal discorso teologico liberatore del 2005, ha un valore preparatorio sul lungo termine – e senza dubbio sul lunghissimo termine – indispensabile. Mi sarà concesso di dire che la presente situazione magisteriale presenta (parlo sempre in questo caso, unicamente, dei punti sensibili del Vaticano II, e in nessuna maniera dei progressi indiscutibili di questo Concilio, come il decreto Ad gentes, e, a mio avviso la costituzione Dei Verbum) è abbastanza inedito nella storia dei dogmi . Non si tratta , come classicamente, di eresie esterne e di condanne interne, ma di flussi dottrinali interni e del rigetto (fino all’ora presente) all’esterno della loro contestazione. Si è in presenza di una crisi che assomiglia se si vuole ad una crisi – molto tardiva, è vero – d’adolescenza, nella quale il meglio e il peggio si mescolano per accedere alla maturità.

Il peggio sarebbe di restare in mezzo guado - per esempio: Unitatis redintegratio non assegna una finalità chiaramente precisata in termini dogmatici all’ecumenismo. Il meglio è nella materia nuova che è emersa – parlo sempre a titolo personale - e che fa si che, non dispiaccia a coloro che vorrebbero ritornare allo “status quo ante”, è impossibile pretendere per esempio di cancellare l’ecumenismo dall’insegnamento della Chiesa. Più esattamente, bisognerà, dopo un lavoro teologico che non si è mai interrotto da quarant’anni, ma al quale un Papa teologo permette uno sviluppo libero e insperato, fare dell’ecumenismo un insegnamento della Chiesa in quanto tale. Le difficoltà di questi testi che chiamo “d’adolescenza” (poiché mi è stato ovunque rimproverato l’appellativo di “magistero incompiuto”) possono essere allora capiti come degli interrogativi.

Mi spiego approfondendo questo esempio dell’ecumenismo. Leggendo il n. 3 di Unitatis Redintegratio, si può capire questo testo come il riconoscimento tradizionale dell’esistenza di elementi della Chiesa cattolica, come il Battesimo, la Sacra Scrittura, a volte l’Ordine, in seno alle comunità separate: "Tra gli elementi o i beni nell’insieme dei quali la Chiesa si edifica ed è vivificata, alcuni e anche molti, e di grande valore, possono esistere al di fuori dei limiti della Chiesa Cattolica". Ma Unitatis Redintegratio aggiunge, ciò che apporta una difficoltà considerevole, una certa legittimazione delle comunità separate in quanto tali: «Di conseguenza , queste Chiese e comunità separate , sebbene noi crediamo che soffrano di deficienze, non sono affatto sprovviste di significato e di valore nel mistero della salvezza. Lo spirito di Cristo, in effetti, non rifiuta di servirsi di esse, la forza dei quali deriva dalla pienezza di grazia e di verità che è stata affidata alla Chiesa Cattolica”. I termini del testo sembrano dire dunque che in quanto separate queste Chiese sarebbero delle “continuazioni” (ndt “relais” nell’originale) della Chiesa Cattolica. La qual cosa sarebbe, se tale era la vera interpretazione, in rottura con l’insegnamento anteriore.

E tuttavia è necessario convenire che se – conformemente alla dottrina tradizionale – alcuni separati in buona fede accedono alla salvezza attraverso questi elementi cattolici che si rinvengono de facto nelle loro comunità, non è la loro appartenenza concreta a queste comunità separate che può (nell’insondabile mistero di Dio) apportar loro questi elementi cattolici salutari. Allo stesso tempo, è vero, che questa appartenenza è anche il principale ostacolo oggettivo al loro ritorno nell’unità della Chiesa. E’ chiaro che il dogma del passato non ha fatto proprio esplicitamente questo fatto, e cioè che gli elementi cattolici che esistono nelle comunità separate possano essere strumento della grazia per i cristiani separati in buona fede e dunque che essi appartengono in voto alla Chiesa di Pietro, né che essi siano in attesa di essere rivivificati dal ritorno alla Chiesa cattolica dei cristiani separati, i quali di tali elementi beneficiano (cosa che non ho in nessun modo la pretesa di spiegare in poche righe). In fondo è come se l’ “interrogativo” del n. 3 di Unitatis Redintegratio testimoniasse di due deficienze, una riguardo il passato che diceva troppo poco, e l’altra riguardo il presente che, di contro, dice troppo
.


Nota della redazione: Per eventuali citazioni invitiamo sempre a rifarsi al testo nella lingua originale dell'autore, nella fattispecie il francese, in questo spirito le note non sono state tradotte.



[1] Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Case Mariana Editrice, 25 mars 2009.
[2] Mons. Brunero Gherardini, « Quale valore magisteriale per il Concilio Vaticano II », da Disputationes Theogicae, 5 maggio 2009 ; Claude Barthe, « Il Magistero ordinario infallibile. L’abbé Barthe difende la posizione di Mons. Gherardini », 18 giugno 2009.
[3]. Sur la manière dont la FSSPX décline le thème de la non-infaillibité des points contestés de Vatican II : Jean-Michel Gleize, « Le concile Vatican II a-t-il exercé l’acte d’un véritable magistère ? » et Alvaro Calderón « L’autorité doctrinale du concile Vatican II », dans Magistère de soufre (Iris, 2009, pp. 155-204 et 205-218)
[4]. Parole et Silence, 2005.
[5]. Parole et silence, 2004.
[6]. « Nel clima dell’Immacolata i quarant’anni del Concilio. Subsistit in (Lumen gentium, 8) », pp. 1, 6-7.
[7]. Un autre ancien professeur de l’Université Grégorienne, le P. Francis A Sullivan, avait d’ailleurs contesté cette interprétation dans « A Response to Karl Becker, S.J., on the Meaning of Subsistit In » Theological Studies, vol. 67 (2006), pp. 395-409. Le P. Sullivan, d’une tendance opposée à celle du P. Becker, ne croit cependant pas davantage que lui à l’autorité infaillible de Vatican II. Dans la ligne Sullivan, mais dans une perspective tout autre que le débat sur les points contestés de Vatican II, la bibliographie sur la relativisation de l’autorité magistérielle dans la théologie actuelle est considérable. En français : un classique, Jean-François Chiron, L’infaillibilité et son objet. L’autorité du magistère infaillible de l’Église s’étend-elle aux vérités non révélées ? (Cerf, 1999) ; et la plus récente contribution : Grégory Woimbée, Quelle infaillibilité pour l’Église ? De jure veritatis (Téqui, 2009).
[8]. Dernier ouvrage paru donnant un bref, mais très substantiel résumé du débat : Guillaume de Thieulloy, « Vers une relecture de Vatican II), dans La théologie politique de Charles Journet (Téqui, 2009, pp. 149-163). Pour l’état le plus complet et le plus parfaitement référencé de la doctrine d’avant Dignitatis humanae, voir le chapitre 9 du schéma De Ecclesia (Documenta oecumenico Vaticano II apparando, Constitutio De Ecclesia, c. 9, traduction dans Claude Barthe, Quel avenir pour Vatican II. Sur quelques questions restées sans réponse (François-Xavier de Guibert, 1999, pp. 163-179).
[9]. « Délimitación del concepto de tolerancia y su relación con el principio de libertad », Scripta Theologica 27 (1995), pp. 865-884.
[10]. P. Basile Valuet, osb, La liberté religieuse et la Tradition catholique, éditions Sainte-Madeleine, 1998, dont il faut souligner qu’il ne semble pas vouloir assimiler l’enseignement conciliaire au magistère ordinaire universel. Tiennent, en revanche, pour la qualification de magistère ordinaire et universel à la doctrine conciliaire de la liberté religieuse (dont ils donnent des interprétations catholiques aux nuances diverses, qu’il n’est pas possible de rapporter ici) : Brian W. Harrison, Le développement de la doctrine catholique sur la liberté religieuse (Dominique Martin Morin, 1988) ; de nombreux articles de Dominique-M. de Saint-Laumer, par exemple « Liberté religieuse. Le débat est relancé », Sedes Sapientiae, 25, pp. 23-48 ; Bernard Lucien, : Les degrés d’autorité du Magistère (La Nef, 2007).
[11]. « Le devoir social de religion et le droit à la liberté religieuse », nn. 2104-2109.
[12]. Op. cit., Parole et silence, 2004.
[13]. Op. cit., Parole et Silence, 2005.
[14]. « En exposant la doctrine, ils [les théologiens catholiques] se souviendront qu’il y a un ordre ou une “hiérarchie” des vérités de la doctrine catholique en raison de leur rapport différent avec les fondements de la foi chrétienne ».
[15]. Le n. 2 de la Déclaration Nostra aetate : « « Elle [l’Église catholique]considère avec un respect sincère — observantia : respect religieux — ces manières d’agir et de vivre, ces règles et doctrines qui, quoiqu’elles diffèrent en beaucoup de points de ce qu’elle-même tient et propose, cependant apportent souvent un rayon de la Vérité qui illumine tous les hommes ».
[16]. En ce qui concerne l’ensemble des difficultés levées par la FSSPX et la manière dont elle les présente, on peut notamment lire le livre collectif : Magistère de soufre, op. cit. (Iris, 2009).


Caterina63
00mercoledì 16 settembre 2009 08:06
La S. Sede conferma tempi e nomi dei colloqui con la FSSPX

CITTA' DEL VATICANO, martedì, 15 settembre 2009 (ZENIT.org).

- Nella seconda metà di ottobre, avranno luogo i colloqui tra la Santa Sede e la Fraternità di San Pio X, fondata dall’Arcivescovo Marcel Lefebvre, secondo quanto ha confermato il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi S.I., rispondendo alle domande di alcuni giornalisti.

Il portavoce vaticano ha confermato i nomi dei tre esperti, per parte vaticana, che parteciperanno agli incontri.
Si tratta del domenicano svizzero Charles Morerod, del gesuita tedesco Karl Josef Becker e del Vicario generale dell’Opus Dei, il prelato spagnolo Fernando Ocariz Brana.

Benedetto XVI vede come “suo dovere, e con ragione, l'impegno per l'unità della Chiesa”.



Il mese di Ottobre è affidato alla Madonna del Rosario...preghiamo dunque che la Vergine Maria porti l'Unità nella Chiesa affinchè presto possa trionfare maggiormente il suo Cuore Immacolato...

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Caterina63
00giovedì 15 ottobre 2009 18:05
Il 26 ottobre primo incontro in Vaticano con la Fraternità San Pio X

Il prossimo lunedì 26 ottobre, nella mattinata, avrà luogo il primo incontro dei previsti colloqui con la Fraternità San Pio X. Lo ha reso noto il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi.

Vi parteciperanno, per parte della Commissione Ecclesia Dei, oltre al segretario della stessa Commissione, mons. Guido Pozzo, il segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, mons. Luis F. Ladaria Ferrer, e gli esperti già nominati: padre Charles Morerod, segretario della Commissione teologica internazionale, consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede, mons. Fernando Ocáriz, vicario generale dell’Opus Dei, consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede, padre Karl Josef Becker, consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede.

L’incontro avrà luogo presso il Palazzo del Sant’Ufficio. I contenuti delle conversazioni, che riguarderanno le questioni dottrinali aperte, rimarranno strettamente riservati. Al termine dell’incontro verrà rilasciato un comunicato.
Radio Vaticana


Ragazzi ancora una volta siamo chiamati alla preghiera. Armiamoci di rosario.


IL COMUNICATO UFFICIALE:


Dichiarazione del direttore della Sala Stampa della Santa Sede



Il prossimo lunedì 26 ottobre, nella mattinata, avrà luogo il primo incontro dei previsti colloqui con la Fraternità San Pio x. Lo ha reso noto nella mattina di giovedì 15 il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi.
Vi parteciperanno, per parte della Commissione Ecclesia Dei, oltre al segretario della stessa, monsignor Guido Pozzo, il segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, arcivescovo Luis F. Ladaria Ferrer, e gli esperti già nominati: il domenicano Charles Morerod, segretario della Commissione teologica internazionale e consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede; monsignor Fernando Ocáriz, vicario generale dell'Opus Dei, anch'egli consultore della Congregazione; il gesuita Karl Josef Becker, anch'egli consultore del dicastero.
L'incontro avrà luogo presso il palazzo del Sant'Ufficio. I contenuti delle conversazioni, che riguarderanno le questioni dottrinali aperte, rimarranno strettamente riservati. Al termine dell'incontro verrà rilasciato un comunicato.



(©L'Osservatore Romano - 16 ottobre 2009)




[SM=g1740717] [SM=g1740720]
Caterina63
00lunedì 26 ottobre 2009 18:18

TESTO IN LINGUA ITALIANA

Lunedì 26 ottobre 2009 si è tenuto nel Palazzo del Sant’Uffizio, sede della Congregazione per la Dottrina della Fede e della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, il primo incontro della Commissione di studio, formata da esperti della medesima Commissione e della Fraternità Sacerdotale S. Pio X, allo scopo di esaminare le difficoltà dottrinali che ancora sussistono tra la Fraternità e la Sede Apostolica.

In un clima cordiale, rispettoso e costruttivo si sono evidenziate le maggiori questioni di carattere dottrinale che saranno trattate e discusse nel corso dei colloqui che proseguiranno nei prossimi mesi probabilmente a scadenza bimensile. In particolare si esamineranno le questioni relative al concetto di Tradizione, al Messale di Paolo VI, all’interpretazione del Concilio Vaticano II in continuità con la Tradizione dottrinale cattolica, ai temi dell’unità della Chiesa e dei principi cattolici dell’ecumenismo, del rapporto tra il Cristianesimo e le religioni non cristiane e della libertà religiosa. Nel corso dell’incontro si è anche precisato il metodo e l’organizzazione del lavoro.

[01551-01.01]


TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

On Monday 26 October 2009 in the Palazzo del Sant'Uffizio, headquarters of the Congregation for the Doctrine of the Faith and of the Pontifical Commission "Ecclesia Dei", the study commission made up of experts from "Ecclesia Dei" and from the Society of St. Pius X held its first meeting, with the aim of examining the doctrinal differences still outstanding between the Society and the Apostolic See.

In a cordial, respectful and constructive climate, the main doctrinal questions were identified. These will be studied in the course of discussions to be held over coming months, probably twice a month. In particular, the questions due to be examined concern the concept of Tradition, the Missal of Paul VI, the interpretation of Vatican Council II in continuity with Catholic doctrinal Tradition, the themes of the unity of the Church and the Catholic principles of ecumenism, the relationship between Christianity and non-Christian religions, and religious freedom. The meeting also served to specify the method and organisation of the work.

[01551-02.01] [Original text: Italian, traduzione a cura della Sala Stampa]



PREGHIAMO [SM=g1740717] [SM=g1740720] PREGHIAMO, PREGHIAMO....INCESSANTEMENTE PREGHIAMO......[/DIM]

Caterina63
00martedì 27 ottobre 2009 18:58
Iniziati i colloqui Santa Sede-FSSPX

da messainlatino:

Gianni Cardinale ha scritto su Avvenire di domenica questo articolo che si distingue per profondità di analisi. Cardinale (nomen omen) è un giornalista in gamba che non è insensibile al fascino della liturgia tradizionale; almeno così appariva allorché scriveva su 30Giorni. Oggi, ad Avvenire, supponiamo che su certi temi la prudenza sia di rigore; ma al tempo stesso constatiamo, nell'articolo che segue, una libertà non solo di giudizio del giornalista (la conoscevamo già) ma soprattuto di pubblicazione; la cosa, trattandosi del quotidiano ufficiale della C.E.I., non può non farci piacere.




Vent’anni dopo ricominciano i colloqui dottrinali tra Santa Sede e comunità le­febvriana. Nel 1988 non ebbero un e­sito felice, questa volta c’è la forte speranza da ambo le parti che i risultati possano essere po­sitivi.

Domattina, nell’austero palazzo del Sant’Uffi­zio, dove ha sede la Pontificia Commissione Ec­clesia Dei, si incontreranno le due delegazioni. Da parte vaticana ci saranno l’arcivescovo Luis Francisco Ladaria, gesuita, segretario della Con­gregazione per la dottrina della fede (Cdf), il pa­dre Karl I. Becker, anche lui gesuita, professore emerito della Gregoriana, padre Charles More­rod, domenicano, rettore dell’Angelicum e se­gretario della Pontificia Commissione teologi­ca internazionale, monsignor Fernando Oca­riz, vicario generale dell’Opus Dei.

Tutti e tre questi ecclesiastici sono consultori della Cdf, e sono noti per non avere preclusioni 'ideologi­che' nei confronti della controparte, anche se coscienti della complessità dei problemi che verranno trattati.

Da parte della Fraternità sa­cerdotale di san Pio X ci saranno invece il ve­scovo Alfonso de Galarreta, direttore del semi­nario argentino della Fraternità e i sacerdoti Pa­trick de La Rocque, Jean-Michel Gleize e Benoit de Jorna. Quest’ultimo è autore di alcuni scrit­ti dai toni piuttosto accesi, ma questo non do­vrebbe essere un problema se un certo estre­mismo sarà circoscritto al linguaggio e non ai contenuti. Comunque la presenza di Galarreta dovrebbe, almeno nelle intenzioni, essere ga­ranzia di equilibrio e misura.

I sei partecipanti al dialogo saranno moderati da monsignor Gui­do Pozzo, segretario di Ecclesia Dei.
I temi dei colloqui, come annunciato dallo stes­so Benedetto XVI nella lettera del 10 marzo scor­so in cui ne aveva preannunciato l’inizio, sono «di natura essenzialmente dottrinale e riguar­dano soprattutto l’accettazione del Concilio Va­ticano II e del magistero post-conciliare dei Pa­pi».
In discussione quindi non c’è l’ultimo Con­cilio.

E in questo senso hanno suscitato una buo­na impressione le recenti dichiarazioni del su­periore dei lefebvriani, il vescovo Bernard Fel­lay, per il quale le «serie obiezioni» della Frater­nità sono «circa» e quindi non «sul» Concilio in sé.

Il dialogo quindi potrà esserci solo sull’in­terpretazione autentica del Concilio e di alcuni suoi documenti in particolare, come quelli riguardanti la collegialità episcopale, la libertà re­ligiosa, l’ecumenismo e i rapporti con le altre re­ligioni.
A questo riguardo hanno suscitato una impressione meno positiva le dichiarazioni di Fellay, che sembravano auspicare un allarga­mento dei temi di dialogo a questioni inerenti, ad esempio, «l’influenza della filosofia moder­na » nella Chiesa del post-Concilio. Temi inte­ressanti che però non dovrebbero costituire di per sé oggetto di discussione dirimente per l’ac­coglimento dei lefebvriani e che rischiano di al­lungare indefinitamente i tempi dei colloqui.

In sostanza si tratterà di vedere se la Frater­nità fondata da monsignor Marcel Lefebvre è disposta ad accettare il Concilio Vaticano II al­la luce di tre principi.
Innanzitutto nel segno dell’ «ermeneutica della continuità» e non di «rottura» con la tradizione come affermato da Benedetto XVI nel celebre discorso alla Curia Romana per gli auguri natalizi del 2005. Det­to questo per la Santa Sede è imprescindibile il fatto che il deposito della fede sia conside­rato «un tutto», nella sua integrità e organicità, e che non è possibile estrapolarvi arbitraria­mente dottrine gradite a scapito di altre che non piacciono.
In questo caso il testo di riferi­mento sarà il Catechismo della Chiesa catto­lica.

Questo secondo principio sarà forse quel­lo su cui potrebbero registrarsi le maggiori dif­ficoltà, poiché in campo lefebvriano si tende a volte a non dare il giusto peso ai diversi gra­di di importanza dei pronunciamenti magi­steriali (ad esempio la dottrina dello 'stato cat­tolico', ancorché teoricamente legittima, non può essere invocata come l’unica vincolante per la Chiesa...).

Terzo principio che guiderà i colloqui sarà quello di discutere della lettera au­tentica del Concilio e non delle di­scutibili interpretazioni, anche nel caso godessero di un certo seguito all’interno della Chiesa cattolica. Come si noterà di materia da discu­tere ce n’è in abbondanza. E per non allungare troppo i tempi si prevede che le discussioni proseguiranno a scadenze ravvicinate.

Quanti mesi occorreranno è ancora presto per dirlo. E comunque alla fine le con­clusioni dovranno essere sottopo­ste alle istanze superiori (Congre­gazione per la dottrina della fede e Papa per la Santa Sede, Fellay e Ca­pitolo della Fraternità per i lefeb­vriani). Solo dopo potrà essere cer­tificata la piena comunione. Le mo­dalità canoniche con cui questo po­trà avvenire (prelatura personale o altro) è un’altra storia.


Fonte: Avvenire 25 ottobre 2009


Caterina63
00mercoledì 11 novembre 2009 15:16

Qualche informazione in più sui colloqui Roma-FSSPX


Nel corso di una trasmissione radiofonica di lunedì su Radio courtoisie, in cui erano presenti tra gli altri l’abbé Grégoire Celier della Fraternità San Pio X, l'abbé Guillaume du Tanoüarn dell’Istituto del Buon Pastore e l’abbé Claude Barthe, noto ai nostri lettori, insieme ai giornalisti di simpatie tradizionali Philippe Mexence e Daniel Hamiche, sono state fornite informazioni interessanti ed anche curiose inerenti le discussioni dottrinali Roma-FSSPX da poco iniziate.

In particolare, in merito ai membri della commissione di parte lefebvriana, l'abbé Celier ha spiegato che essi potrebbero cambiare in futuro, a seconda delle specialità di ciascuno. Ha spiegato che esiste anche una sottocommissione della FSSPX di appoggio alla commissione ufficiale, e che ci sono "esperti" per poter rispondere alle richieste e domande dei membri che intervengono a Roma. Vi è, insomma, una organizzazione ben pianificata.

L'abbé Célier, in risposta ad un’ascoltatrice, ha rivelato che gli scambi non sono in latino e che anche se tutte le parti interessate, di ambo le commissioni, comprendono il francese e l’italiano, gli interventi beneficiavano di traduzioni simultanee, poiché alcuni degli esperti presenti non padroneggiano abbastanza queste due lingue.

Sempre l'abbé Célier ha detto che la delegazione della FSSPX era ospitata alla Domus Sanctae Marthae, luogo dove hanno soggiornato i cardinali per il conclave. E poiché gli altari della Casa erano già tutti occupati per le messe, quelle dei membri della Fratenità sono state celebrate nella Basilica di S. Pietro.

L’abbé Barthe ha invece riferito che le discussioni sono state filmate, certamente affinché il Papa possa vederle. Egli ha concluso che queste discussioni dimostrano che il Vaticano II non è più un dogma di fede e che in pochi anni la funzione magisteriale potrà riprendere tutta la sua forza. Allo stesso modo, ritiene che si troverà un accordo tra Roma e la FSSPX.
(P.S. infatti va specificato che LE INTERPRETAZIONI SBAGLIATE scaturite da DOPO il Concilio sulla base dei Documenti del Concilio stesso NON sono mai state definite dogma di fede, anzi, è sono proprio queste materia di discussione....)



Fonte: Summorum Pontificum Observatus

Caterina63
00martedì 22 dicembre 2009 10:10
Dal blog Messainlatino, raggiungibile dal link nel titolo, postiamo quanto segue:


martedì 22 dicembre 2009

Notizie di prima mano sui colloqui con la Fraternità S. Pio X

Nessuna indiscrezione da fonti riservate: pubblichiamo invece la sintesi di un’omelia del 19 dicembre 2009, pronunziata dal vescovo mons. De Galarreta (che coordina la squadra di teologi della Fraternità S. Pio X impegnati nei colloqui con Roma) nel corso della Messa di ordinazione di 5 diaconi e 3 sacerdoti (foto a lato) al seminario lefebvriano in Argentina di La Reja, di cui egli è rettore dopo la cacciata dal Paese del precedente rettore, mons. Williamson.

Nel corso dell’allocuzione, Monsignor Alfonso de Galarreta ha rivelato i seguenti elementi interessanti, in riferimento alle discussioni iniziate a Roma due mesi fa:

(1) Il risultato della prima riunione è stata positivo.

(2) Principalmente si è stabilita l'agenda e il metodo di discussione.

(3) I temi da discutere sono di natura dottrinale, con espressa esclusione di qualsiasi questione di ordine canonico attinente alla situazione della FSSPX.

(4) Il comune punto di riferimento dottrinale sarà il Magistero anteriore al Concilio .

(5) Le conversazioni seguono un metodo rigoroso: si pone un problema, la parte che lo solleva invia un’opera argomentando le sue questioni. La Santa Sede risponde per iscritto, previ scambi dei consulenti via e-mail. Nella riunione si discute il punto.

(6) Tutte le riunioni vengono registrate da entrambe le parti e filmate.

(7) Le conclusioni di ogni argomento saranno sottoposte al Santo Padre e al Superiore Generale della FSSPX.

(8) La cronologia di queste riunioni dipende: se il tema è nuovo o è già in fase di discussione. Nel primo caso, sarà circa ogni tre mesi. Nel secondo, ogni due. La prossima riunione è prevista per metà gennaio.

(10) I rappresentanti teologici della S. Sede "sono persone con le quali si può parlare", parlano "il nostro stesso linguaggio" teologico (leggi: sono tomisti).

(11) Ecco alcune delle questioni oggetto di discussione, menzionate dal vescovo in modo non esaustivo:

(a) il magistero del Concilio e il postconcilio
(b) la riforma liturgica conciliare.
(c) l'ecumenismo e il dialogo interreligioso
(e) l'autorità Pontificia e la collegialità
(f) la libertà di coscienza, la libertà religiosa, il laicismo e il Regno sociale di Gesù Cristo
(g) i "diritti dell'uomo" e la "dignità umana" in conformità con la dottrina conciliare.

Il Vescovo ha ripetuto che i risultati della prima riunione sono buoni, relativamente alla situazione precedente. Si è parlato in piena libertà e solo di temi di dottrina in un quadro teologico tomistico.

È impossibile prevedere che cosa accadrà in futuro. Si va giorno per giorno, come indica la prudenza e secondo lo spirito del Vangelo.

Fonte:
Panorama catolico Internacional





Caterina63
00lunedì 11 gennaio 2010 09:30
COLLOQUI TRA LA SANTA SEDE
E LA FRATERNITÀ SACERDOTALE SAN PIO X

 
Brani dell'omelia pronunciata da
 S. Ecc. Mons. Alfonso de Galarreta

in occasione delle ordinazioni al seminario di La Reja (Argentina)

19 dicembre 2009


Il testo è ripreso dal sito della Fraternità
DICI del 6 gennaio 2010

I neretti sono della redazione di DICI
Le sottolineature sono nostre

http://www.unavox.it/Documenti/Doc0212_Omel_Galarreta_19.12.09.html




Un giudizio di Mons. de Galarreta sui colloqui dottrinali
DICI 6 gennaio 2010


Alla fine dell’omelia che ha pronunciato lo scorso 19 dicembre nel seminario di La Reja (Argentina), in occasione delle ordinazioni sacerdotali, Mons. Alfonso de Galarreta ha espresso alcuni apprezzamenti e dato alcune informazioni sui colloqui dottrinali che hanno avuto inizio lo scorso ottobre tra Roma e la Fraternità Sacerdotale San Pio X. Questo giudizio, espresso da chi è a capo della delegazione di teologi della Fraternità San Pio X è particolarmente interessante.

Diamo di seguito degli ampi stralci di questa omelia per i lettori di DICI

Mons. De Galarreta definisce «buono » il clima nel quale si è svolto il primo incontro con i teologi romani, tenuto conto delle circostanze e delle aspettative.


«Il 26 ottobre scorso ha avuto luogo la prima riunione con la Commissione romana e se evidentemente non posso riferire certi dettagli, certe circostanze o certe cose che sono state dette, posso tuttavia dirvi per grandi linee ciò che è accaduto e ciò che abbiamo fatto. Questo primo incontro è stato relativamente buono; dico relativamente perché occorre tenere conto delle circostanze in cui ci troviamo e delle aspettative che si possono nutrire realmente. Considerando queste circostante e quello che ci si può aspettare, la riunione è stata buona.»

Poi Mons. de Galarreta ha precisato che questi colloqui sono buoni perché sono esclusivamente dottrinali e vertono esclusivamente sul Concilio Vaticano II e sul magistero postconciliare.

«È stata buona innanzi tutto perché questi contatti si sono mantenuti chiaramente sul piano dottrinale. Si tratta di una commissione che ha per obiettivo lo studio delle questioni dottrinali e che non ha lo scopo di prendere in considerazione, né teoricamente né praticamente, un qualsivoglia accordo di ordine puramente giuridico, puramente canonico, puramente pratico.
«Questa questione è totalmente esclusa.
«E questo è stato chiaramente precisato.
«Si tratta di una discussione unicamente ed esclusivamente posta sul piano dottrinale.
«In secondo luogo, si tratta di una discussione sul Concilio Vaticano II e il magistero postconciliare. Esattamente: il Concilio e il magistero postconciliare, il magistero postconciliare e il Concilio.

«Gli argomenti, i temi che tratteremo sono stati chiaramente stabiliti: sono quelli relativi a tutte le questioni, a tutti i temi che abbiamo criticato da quarant’anni, specialmente la libertà religiosa, le libertà moderne, la libertà di coscienza, la dignità della persona umana – come viene chiamata -, i diritti dell’uomo, il personalismo, l’ecumenismo, il dialogo interreligioso, l’inculturazione, la collegialità: questo egualitarismo, questo democraticismo e questa distruzione dell’autorità che sono state introdotte nella Chiesa; come anche tutte le nozioni di ecclesiologia che hanno completamente cambiato ciò che è la Chiesa: la questione dell’autocoscienza della Chiesa, la Chiesa comunione, la Chiesa sacramento, la Chiesa Popolo di Dio… tutte queste nuove nozioni sulla relazione tra la Chiesa e il mondo.
«Poi la questione della Messa, della nuova Messa, del nuovo Messale, della riforma liturgica… e altri temi ancora.

«Noi ci siamo messi d’accordo per condurre una discussione dottrinale su tutti questi temi. E ciò che è più importante – e che è stato stabilito in maniera molto chiara -  è che l’unico criterio comune e possibile di queste discussioni è il Magistero anteriore; lo ripeto: l’unico criterio comune e possibile, l’unico criterio che accettiamo e che costituisce conditio sine qua non per queste discussioni è il Magistero anteriore al Concilio Vaticano II, il Magistero di sempre, la Tradizione.»

Il metodo di lavoro adottato dai membri della commissione è anch’esso, agli occhi di Mons. de Galarreta, una garanzia di serietà.

«Io ritengo che si sia trattato di un buon inizio se si guarda al metodo che è stato adottato. Vi saranno delle riunioni ogni due o tre mesi: tre mesi quando si parlerà di un tema nuovo, due mesi quando si proseguirà con un tema già iniziato. Se incominciamo con un tema e proseguiamo con esso, la riunione successiva potrà svolgersi entro due mesi, ma se dobbiamo preparare un tema nuovo abbiamo bisogno di tre mesi.
«È stato chiaramente stabilito che la Fraternità – la delegazione che io dirigo – fornirà per prima un lavoro su un tema preciso (…) Gli esperti romani dovranno risponderci per iscritto, in seguito, sulla base di questi due testi, si svolgerà la discussione orale, che darà luogo ad un documento scritto.
«Tutto verrà registrato, da parte loro come da parte nostra, e in più tutto verrà filmato. Così che pur non potendo, per ragioni evidenti, essere riportato tutto ciò che diciamo e studiamo, su tutto si avrà comunque una documentazione – una registrazione scritta, registrata e filmata – davanti a tutti, davanti alla Chiesa, davanti a Dio.

«Alla fine di ogni confronto si traccerà come un bilancio nel quale si dirà se vi è coincidenza (dei punti di vista) o meno e in che cosa consista il problema.
«Ogni questione si definisce, si affina e si redige un dossier che è trasmesso agli altri membri della Congregazione della Dottrina della Fede, se lo ritiene opportuno il Prefetto, o ad un'altra Congregazione se questa è competente sul tema studiato – per esempio, quello sulla Messa sarà fatto sicuramente in collaborazione con la Congregazione per il Culto Divino.
«In seguito, su tutti i temi dibattuti verrà rimesso al Papa e al Superiore della Fraternità un dossier, un compendio scritto – come ho già detto.
«Lo ribadisco, questa commissione non ha l’obiettivo di giungere ad una specie di accordo dottrinale, cosa che sarebbe nefasta. No! Noi andiamo semplicemente a dare testimonianza della fede, a difenderla, fare il bene che possiamo, e in ogni caso difenderemo l’onore di Dio, l’onore di Nostro Signore e l’onore della Chiesa, che è l’essenziale, se avete ben compreso ciò che ho detto all’inizio sulla mediazione e l’ufficio del sacerdote, il che in ogni caso è tutto quello che basta.»

La qualità intellettuale degli interlocutori romani permette loro di comprendere perfettamente le obiezioni formulate dai teologi della Fraternità San Pio X. Ma, ricorda Mons. de Galarreta, solo Nostro Signore può illuminare le intelligenze.

«I nostri interlocutori – mi riferisco specificamente a coloro che interloquiscono con noi in questa commissione – sono delle persone con le quali si può parlare, comprendono il nostro linguaggio, comprendono ciò che diciamo, comprendono molto bene le nostre obiezioni. Noi possiamo parlare pacificamente e in tutta libertà, questo è sufficiente. Se fino ad ora tutto dipendeva dalla nostra corrispondenza alla grazia di Dio, a partire da ora possiamo dire che tutto dipende interamente dalla grazia di Dio; perché Dio, Nostro Signore, e solo Lui, è il Maestro interiore che può illuminare le intelligenze e convertire. Solo Dio può toccare i cuori. Noi andiamo lì come per predicare – come quello che sto facendo qui -, ma toccare la vostra intelligenza e il vostro cuore Dio solo può farlo, e siccome non conosciamo i disegni di Dio, non sappiamo a cosa porterà tutto questo. Quello che sappiamo sicuramente è che Egli può tutto. A Dio niente è impossibile. Egli può convertire quando vuole, come vuole, chi vuole.»

Se riconosce la parte di incertezza presente in ogni intrapresa umana, Mons. de Galarreta riafferma nettamente la doppia certezza della Fraternità San Pio X in questi colloqui.

«Vi do queste spiegazioni perché abbiate la tranquillità e l’assicurazione necessarie. Se queste circostanze che mi sembrano assolutamente certe cambiassero, allora valuteremo se questi colloqui, questi contatti dovranno proseguire o no. Noi conosciamo con chiarezza ciò che non siamo disposti ad accettare. Se non sappiamo perfettamente come potranno evolvere le cose, sappiamo invece molto bene ciò che non abbiamo intenzione di fare, in alcun modo: primariamente cedere sulla dottrina e secondariamente fare un accordo puramente pratico.

«A queste condizioni e con la loro disponibilità a mettere per la prima volta in discussione il Concilio – è la prima volta che ci danno la possibilità di presentare loro una critica dottrinale, profonda, fondata sul Magistero di sempre, è la prima volta! – è chiaro che dobbiamo farlo. Poi, sarà ciò che Dio vorrà!
«La prudenza ci mostra ciò che dobbiamo fare adesso, ma non chiaramente ciò che dovremo fare fra tre o sei mesi, perché le circostanze possono cambiare. Comunque sia, per noi è chiaro che la missione della Fraternità, prima di ogni altra cosa, anche prima di andare a Roma, è essenzialmente di dare testimonianza della fede. Noi dobbiamo continuare, salvaguardare, trasmettere, vivere il vero sacerdozio cattolico. Noi dobbiamo conservare, difendere, vivere, trasmettere il vero sacrificio della Messa. »



Caterina63
00martedì 19 gennaio 2010 19:47
Summit a sorpresa presso la Congregazione per la Dottrina della Fede tra la Commissione ‘Ecclesia Dei’ e i lefebvriani. Top secret i contenuti del vertice

da Petrus

CITTA’ DEL VATICANO - Si e' tenuto il 18 gennaio, in gran segreto, il secondo incontro tra la Santa Sede e i lefebvriani. Lo annuncia l'agenzia francese ‘I.Media’, specializzata sull'attualita' vaticana. La prossima riunione si terra' nella seconda meta' di marzo, stando alla cadenza bimensile annunciata all'avvio dei colloqui.

L'incontro - all'indomani della visita del Papa alla sinagoga di Roma - si e' tenuto nella sede della Congregazione per la dottrina della fede, e - ha riferito uno dei partecipanti -, "abbiamo cominciato ad approfondire i temi in agenda nei colloqui dottrinali". Nella nota emessa il 26 ottobre scorso, al termine del primo incontro, la Santa Sede specificava che "si esamineranno le questioni relative al concetto di Tradizione, al Messale di Paolo VI, all'interpretazione del Concilio Vaticano II in continuita' con la Tradizione dottrinale cattolica, ai temi dell'unita' della Chiesa e dei principi cattolici dell'ecumenismo, del rapporto tra il Cristianesimo e le religioni non cristiane e della liberta' religiosa".

 I contenuti rimangono comunque "strettamente riservati", anche se entrambe le parti hanno espresso soddisfazione per l'inizio dei colloqui. Solo qualche giorno fa, ricevendo in udienza i membri della Congregazione per la dottrina della fede, Benedetto XVI aveva auspicato che "vengano superati i problemi dottrinali che ancora permangono per il raggiungimento della piena comunione con la Chiesa da parte della Fraternita' San Pio X". L'unita' di fede di tutti i cristiani - ha sottolineato il Pontefice in quell'occasione - e' "il primo e fondamentale compito" del Papa, un "inderogabile servizio" e "la priorita' della Chiesa in ogni tempo".

 Il "nodo" principale dei colloqui tra Vaticano e lefebvriani e' quello della ricezione del Concilio Vaticano II - in particolare le costituzioni sull'ecumenismo e il dialogo interreligioso - e del Magistero dei Papi a partire da allora. La delegazione cattolica e' guidata dal segretario della Commissione ‘Ecclesia Dei’, Monsignor Guido Pozzo. Ne fanno parte, inoltre, il gesuita Monsignor Luis F. Ladaria Ferrer (Segretario della Congregazione per la dottrina della fede), il domenicano Charles Morerod (segretario della Commissione teologica internazionale), Monsignor Fernando Ocariz, vicario generale dell'Opus Dei, e il gesuita Karl Josef Becker.

 I lefebvriani, dal canto loro, sono guidati da Monsignor Alfonso de Galarreta, direttore del Seminario ‘Nuestra Senora Corredentora de La Reja’ (Argentina), e sono anche rappresentati da don Benoit de Jorna (direttore del Seminario ‘San Pio X’ di Econe, in Svizzera), don Jean-Michel Gleize (professore di ecclesiologia al seminario di Econe) e don Patrick de La Rocque (priore del Priorato San Luigi di Nantes, in Francia).


Caterina63
00lunedì 22 febbraio 2010 01:08

domenica 21 febbraio 2010

Schmidberger (FFSSPX): La Chiesa è entrata in acque più tranquille

Kathnet ha pubblicato una intervista esclusiva di Benjamin Greschner a P. Franz Schmidberger FSSPX, superiore del Distretto tedesco della Fraternità. Su Rorate caeli trovate la traduzione in inglese. Qui ne riportiamo la gran parte.


Franz Schmidberger nasce il 19 ottobre 1946 in Riedlingen. Dopo aver studiato matematica all'Università di Monaco, nel 1972 entrò nel seminario della fraternità di San Pio X a Ecône. Lì, nel 1975, fu ordinato al sacerdozio dall'arcivescovo Marcel Lefebvre. Nel 1979, Schmidberger divenne superiore del Distretto tedesco della Fraternità e, nel 1982, divenne superiore generale della fraternità. Dal 1994 al 2003, fu attivo nella guida della Fraternità. Nel 2003 è stato nominato rettore del seminario in Zaitzkofen. Nel 2006 divenne nuovamente superiore del Distretto tedesco.

- Reverendo, qual è la sua valutazione dello stato corrente delle discussioni teologiche tra rappresentanti della Fraternità San Pio X e la Santa sede?
In base alle informazioni disponibili piuttosto scarse, le discussioni teologiche clarificatrici sono cominciate bene. Per la prima volta siamo in grado di esporre senza fretta all’autorità competente le nostre riserve sulle dichiarazioni del Concilio Vaticano II e sugli sviluppi postconciliari. Queste discussioni certamente continueranno per un tempo lungo, forse anni. Ma forse i nostri partner di discussione saranno in grado di determinare rapidamente che non è possibile negare che la Fraternità sacerdotale San Pio X sia cattolica, anche se vi possono essere aree di disaccordo. Il che rappresenterebbe un enorme progresso. La natura molto discreta delle discussioni è indispensabile per il successo, niente di buono causa un tumulto e nulla di positivo proviene da un tumulto.

- Recentemente, in un'intervista video, il vescovo Richard Williamson ha commentato riguardo le discussioni. Egli si è espresso piuttosto negativamente ed era evidentemente poco convinto che portino a un accordo. Che cosa pensa dei suoi commenti? Rappresentano la posizione ufficiale della fraternità?
Il parere del vescovo Williamson sulle discussioni a Roma è deplorevole, perché certamente non rappresenta la posizione della Fraternità. D'altro canto, allo stesso tempo, è necessario mettere in guardia chiaramente contro un esagerato ottimismo rispetto alle discussioni. Mons. Fellay ha detto che sarebbe un miracolo, se si concludessero veramente con successo.

- Secondo lei, quanto è realistico un accordo tra la Santa sede e la Fraternità San Pio X? Nel 1988 come superiore generale, lei è già stato coinvolto in discussioni simili. La situazione è cambiata da allora?
Un accordo tra la Santa sede e la Fraternità potrebbe significare solo una cosa: che Roma accetta la voce del Magistero preconciliare. La Fraternità non ha mai sviluppato una posizione sua propria, ma si è invece fatta portavoce dei Papi, soprattutto quelli dalla rivoluzione francese fino al Concilio Vaticano II. Dal 1988, la situazione è cambiata nella misura in cui Roma ora prende sul serio la nostre obiezioni ed è alla ricerca di risposte.

- A suo avviso, quali sono soprattutto gli argomenti bisognosi di chiarimenti e di discussione di natura teologica o magisteriale? Ci sono argomenti che potrebbe descrivere come "patate bollenti"?
La questione della nuova liturgia è senza dubbio un punto di discussione, ma così anche l’ecumenismo, il ruolo delle altre religioni e il rapporto della Chiesa col mondo. Come "patate bollenti" soprattutto definirei la questione della libertà religiosa e anche la questione della dottrina.

- Un anno fa, Benedetto XVI ha revocato la scomunica dei quattro vescovi della vostra Fraternità. Questa decisione del Santo Padre ha avuto un effetto positivo sull’opera della Fraternità?
La revoca del decreto di scomunica ha eliminato ostacoli e ci ha portato più fedeli. D'altro canto però il tumulto della stampa ha sollevato alcune nuove barriere. Credo, tuttavia, che questa coraggiosa decisione presa dal Papa abbia positivamente colpito non solo la Fraternità e il suo lavoro, ma in realtà la Chiesa intera.

- Come valuta lo stato d'animo attuale nei vostri priorati e cappelle? Che cosa pensano i fedeli e i sacerdoti delle discussioni con la Santa sede?
Per quanto mi risulta, lo stato d'animo nei nostri priorati e cappelle è generalmente abbastanza buono, e in generale, i nostri membri guardano con favore le discussioni con la Santa sede. Tuttavia nessuno di noi è vittima di illusioni.

- Nell'aprile del 2005, con il card. Joseph Ratzinger, è stato eletto al trono di Pietro un principe della Chiesa che ha rappresentato un barlume di speranza per molti cattolici "tradizionali". Ad oggi, Benedetto XVI ha governato la Chiesa per quasi cinque anni. Come valuta questi primi cinque anni del suo pontificato?
La Chiesa è entrata in acque più serene con Benedetto XVI. La riabilitazione del santo sacrificio della messa nella forma tradizionale, la revoca del decreto di scomunica e le discussioni dottrinali con la Santa Sede sono atti molto positivi di questo pontificato. D'altro canto ci dispiace per la visita alla sinagoga romana e soprattutto la dichiarazione del Papa che noi e gli Ebrei preghiamo lo stesso Dio. [..]

Caterina63
00mercoledì 10 marzo 2010 09:09

mercoledì 10 marzo 2010 da Messainlatino

Mons. Fellay: andamento e prospettive dei colloqui dottrinali


Traduciamo integralmente la recentissima intervista al Superiore Generale della Fraternità S. Pio X, apparsa sulla rivista lefebvriana Fideliter di questo mese e riportata da La Porte Latine.


Fideliter - Monsignore, grazie di aver accettato di rispondere alle nostre domande. Che differenza c’è tra queste discussioni dottrinali e gli scambi precedenti che ebbero luogo quando era vivo l' Arcivescovo Lefebvre, ad esempio a proposito dei Dubia?

Bernard Fellay: in precedenza, gli scambi erano piuttosto informali, tranne in alcune rare occasioni, come all'inizio del pontificato di Giovanni Paolo II. Mons. Lefebvre, pur presentando le principali obiezioni alle novità - e protestando vigorosamente contro gli scandali che scuotevano la Chiesa – cercava allaora un accordo piuttosto pratico: pensava che Roma potesse lasciargli fare "l’esperienza della Tradizione" accordando alla Fraternità San Pio X una regolarizzazione canonica, prima di qualsiasi dibattito sulla sostanza. Dopo il 1988, egli ha chiaramente indicato la strada da seguire: portare la discussione sul campo dottrinale, sull'essenza stessa della crisi che fa tanti scempi. Oggi, la Santa Sede ci ha dato senza contropartita questi famosi colloqui dottrinali, in maniera formale. Questa sarà per noi l'opportunità per rendere testimonianza della fede e di farci l’eco di duemila anni di Tradizione, senza privarci di riprendere alcuni studi, come appunto i Dubia sulla libertà religiosa che, a quel tempo, non avevano ottenuto risposta soddisfacente.

Fideliter - Solo la Fraternità ha ottenuto queste discussioni, serie e quasi solenni. Nessuna comunità Ecclesia Dei l’ha ottenuto. Secondo lei, questo è il segno della fondatezza della nostra resistenza e del rifiuto di un compromesso o di un riconoscimento canonico ambiguo, oppure è il segno che le comunità Ecclesia Dei non hanno più molto che li distingua dalla linea conciliare?

Bernard Fellay – E’ senza dubbio il segno di entrambe le cose [questa inelegante risposta il mons. se la poteva davvero risparmiare: ricordate i capponi di Renzo?]

Fideliter - lei può darci un elenco esatto dei temi, monsignore?

Bernard Fellay - si trova in un comunicato stampa che ha seguito la prima riunione, il 26 ottobre: "in particolare saranno esaminate le questioni circa il concetto di tradizione, il Messale di Paolo VI, l'interpretazione del Vaticano Secondo in continuità con la Tradizione dottrinale cattolica, i temi dell'unità della Chiesa e dei principi cattolici dell'ecumenismo, del rapporto tra Cristianesimo e religioni non cristiane e della libertà religiosa".

Fideliter – La filosofia moderna e i nuovi concetti (testimonianza, dialogo, apertura, impegno, esperienza, ecc.) saranno all'ordine del giorno delle discussioni?

Bernard Fellay - Tutti questi argomenti sono all'origine di molti problemi che riguardano la nuova ecclesiologia, e sembra inevitabile che vengano evocati in occasione di quei colloqui che, le ricordo, ruotano intorno al Concilio e al suo “aggiornamento” [in italiano nell'originale].

Fideliter – E’ possibile osservare un totale discrezione intorno a questediscussioni? Non ci sono voci che sono già filtrate?

Bernard Fellay – Non a mia conoscenza, se non per alcuni aspetti secondari relativi all'organizzazione generale di queste conversazioni.

Fideliter – Per quale ragione il Vaticano e la Fraternità tengono a mantenere una così grande discrezione intorno alle conversazioni dottrinali?

Bernard Fellay – E’ molto importante che il clima delle discussioni sia sereno e tranquillo. Viviamo al tempo della mediatizzazione e della democrazia universale dove ognuno giudica tutto e dà il suo parere su tutto. Le questioni teologiche e la posta in gioco sono tali che è meglio lasciare che le cose si facciano nella discrezione. Al momento opportuno, se necessario, sarà sempre tempo per renderne conto pubblicamente.

Fideliter – E’ spesso detto che tra Roma e la Fraternità, non ci si comprende perché non si ha la stessa lingua. Questo è vero per i nostri interlocutori romani attuali? Come fare per avere la stessa lingua?
Bernard Fellay – E’ ancora troppo presto per rispondere. In ogni caso, si tratta di menti brillanti, con le quali siamo in grado di confrontarci. La formazione filosofica tomista è evidentemente il modo migliore di procedere.

Fideliter – I teologi che Roma ha scelto sono secondo lei rappresentativi della corrente teologica generale nella Chiesa di oggi? O sono più vicini a una particolare tendenza? La loro linea di pensiero è vicina a quello di Benedetto XVI?

Bernard Fellay – I nostri interlocutori mi sembrano molto fedeli alle posizioni del Papa. Essi si trovano in quella che si può chiamare la linea conservatrice, quella dei sostenitori di una lettura la più tradizionale possibile del Concilio. Vogliono il bene della Chiesa e allo stesso tempo salvare il Concilio: è tutta qui la quadratura del cerchio.

Fideliter – I teologi scelti dal Vaticano sono tomisti? Lo sono in modo tradizionale?

Bernard Fellay – Lo vedremo. In ogni caso abbiamo a che fare con un Dominicano, certo, grande conoscitore di San Tommaso d'Aquino, ma anche con un gesuita e con un membro dell'Opus Dei.

Fideliter – Nei colloqui, quali saranno i punti di riferimento al di fuori della Rivelazione, della Scrittura e della Tradizione? Il Magistero anteriore al Vaticano II soltanto? Oppure quello posteriore?

Bernard Fellay - il problema concerne il Vaticano II. È, quindi, alla luce della Tradizione precedente che prenderemo in esame se il magistero post-conciliaire è una rottura o no.

Fideliter – Alcuni temono che i nostri teologi, presi dall'atmosfera degli uffici vaticani, abbassino la guardia nei colloqui. Li può rassicurare?

Bernard Fellay – Andiamo a Roma per testimoniare la fede, e l'atmosfera negli uffici ci importa ben poco. I nostri teologi si riuniranno ogni due o tre mesi in una grande sala del Palazzo del S. Uffizio, non negli uffici...

Fideliter - Circa la durata di questi colloqui, data la difficoltà della maggior parte dei soggetti, che richiedono almeno uno o due anni ciascuno, la durata potrà essere inferiore a cinque o dieci anni?

Bernard Fellay - Spero che non sarà così... in ogni caso, quando si affronta, con una persona qualsiasi, la questione della messa, della libertà religiosa o dell’ecumenismo, non occorre normalmente tutto questo tempo per convincerla!

Fideliter - Non teme che, nel corso di queste discussioni, Roma arrivi alla fine a rispondere alle nostre obiezioni (per quanto riguarda la libertà religiosa o la nuova messa) con l’argomento di autorità: Roma ha deciso così, essa non può sbagliare, etc.?

Bernard Fellay – Lo si può temere, certo, ma in questo caso, si dimostrerebbe che Roma non aveva davvero intenzione di discutere. Ora, il dibattito sul Vaticano II è ineludibile. Il recente libro di mons. Gherardini, teologo romano riconosciuto, lo prova a sufficienza. Il Vaticano II può essere discusso; deve esserlo.

Fideliter - Non si può temere che queste discussioni conducano a dichiarazioni congiunte, in cui le parti concordano su punti comuni, ma senza regolare i dibattiti di fondo, un po’ come con la dichiarazione congiunta con i luterani sulla giustificazione?

Bernard Fellay - Non è questione di dichiarazioni congiunte.

Fideliter - Supponiamo che uno dei teologi, dal lato romano, sia condotto ad approvare questa o quella tesi tradizionale, ad esempio a giudicare la libertà religiosa non conforme alla Tradizione, in conseguenza di questi colloqui. Che cosa accadrebbe allora?

Bernard Fellay - Ciò che desidera la Provvidenza. Vedremo allora cosa dovrà essere fatto. Non ci siamo ancora.

Fideliter - I fedeli hanno pregato il rosario per il riconoscimento della messa tradizionale e la revoca scomuniche; ora pregano per la consacrazione della Russia da parte del Papa. Ha l’idea che preghino anche per il buon esito dei colloqui dottrinali?

Bernard Fellay – Vale la pena di pregare per questa intenzione, come hanno fatto i bambini della crociata eucaristica nel mese di gennaio. Dalla nostra testimonianza di fede può derivare un gran bene per la Chiesa... In realtà, mi sembra che gli obbiettivi di queste crociate del rosario siano connessi gli uni agli altri: non ci sarà nessun trionfo mariano senza la restaurazione della Chiesa e, pertanto, della messa con l'insegnamento della fede.



Caterina63
00martedì 5 ottobre 2010 22:22

I vertici della FSSPX "Rischio di compromessi nei colloqui dottrinali? Ubbie da sedevacantisti!"

DICI, agenzia di stampa ufficiale della Fraternità San Pio X, ha appena pubblicato un'intervista con il rev. Niklaus Pfluger, primo assistente della FSSPX. Ecco un estratto delle sue parole, particolarmente significative poiché provengono dal "comando" della Fraternità. Sottolineature nostre (Blog Messainlatino)

 

[..]
-Ha l'impressione che la FSSPX stia crescendo?
Certamente nel numero. L'apostolato nelle scuole e missioni è in crescita in tutto il mondo, oltre all'apostolato della parola stampata e della catechesi su internet. In alcune regioni, è in aumento il numero dei fedeli: gli Stati Uniti, Francia, Italia, Polonia, Asia e Africa. Negli ultimi due anni abbiamo avuto un numero di ordinazioni sacerdotali, che è superiore alla media. Infine, nuove case sono aperte ogni anno, il che significa che deve essere intensificata l'attività pastorale.
Una particolare crescita è proveniente dalle famiglie, vale a dire, bambini e giovani. Inoltre, dopo il Summorum Pontificum nel 2007, molti cattolici provengono dal Novus Ordo alla Tradizione e alla Messa tradizionale. Questo in particolare mi ha colpito in America, dove ho potuto visitare diverse cappelle in agosto. Ci sono anche singoli sacerdoti che hanno rinunziato alla celebrazione della nuova Messa per lavorare con noi.
La devastazione che è una conseguenza della crisi nella Chiesa e nella società cresce ogni anno. C'è quindi un campo più grande da lavorare per la FSSPX. Di conseguenza, abbiamo bisogno di più vocazioni sacerdotali e religiose, in particolare nelle missioni.

- Che mi dice della crescita in qualità?
Una evoluzione di tipo molto diverso è la crescente influenza della FSSPX sulla Chiesa universale. Questo non è solo il caso per molti sacerdoti giovani, conservatori, che hanno cominciato a celebrare la Messa Tridentina in tutto il mondo. Per loro, la FSSPX è un segno di speranza reale e fornisce stabilità nel caos teologico e pastorale odierno.
Le discussioni teologiche con Roma soprattutto mostrano che, dopo tutto, quale ne sia il motivo, il Papa ci prende sul serio. Cinque anni fa sarebbe stato impensabile discutere il Concilio ufficialmente o anche solo metterlo in questione. Roma sta facendo marcia indietro e sta cercando di fornire una nuova interpretazione al fine di salvare il salvabile del Concilio. Ciò che era incontrastato in passato improvvisamente deve essere giustificato: il Concilio e i suoi frutti presunti. Questa è una novità. Senza la FSSPX, ciò sarebbe stato impensabile fino a poco fa. La FSSPX è sempre stato una pietra d'inciampo. Ma ora dobbiamo essere presi sul serio e non è più possibile ignorarci.
Gli eventi degli ultimi mesi e soprattutto dello scorso anno, in Europa, mostrano che i vescovi modernisti non possono più ignorarci. Ora e allora alcuni di loro danno l'impressione di odiare noi e la Tradizione. Vale a dire, devono aver paura di noi. Che i media ci attacchino vilmente di tempo in tempo - penso alla trasmissione TV Les Infiltrés in Francia o alla campagna di stampa nel 2009 – è un'indicazione che essi non possono più ignorare la Tradizione; sono invece costretti a prenderci sul serio.
E, ultimo ma non meno importante: anche se normalmente non è menzionato, vi sono molti membri della FSSPX in tutto il mondo, religiosi e molti laici, che camminano con la grazia di Dio nella via della santità. Questo è un dono speciale di Dio al nostro tempo.
[..]
- Alcuni hanno accusato la FSSPX di lavorare per un compromesso. Vede ragioni per tali paure?
Quelli sono timori senza fondamento. Sono principalmente le accuse da parte di persone esterne alla Fraternità, che credono di poter giudicare questioni interne della stessa. Sono paure che non testimoniano uno spirito di fede. Gli autori di tali insinuazioni – di solito vicini a idee sedevacantiste – semplicemente non vogliamo ammettere che qualcosa è cambiato.
Oppure semplicemente hanno un'idea sbagliata di come superare questa terribile crisi di fede. Essi pensano che la chiesa moderna ritornerà ad essere nuovamente cattolica in un solo giorno; è l'illusione che uno si addormenti da modernista e si risvegli cattolico. Se fosse così facile! Un ritorno all'ortodossia, una vera riforma, è un percorso lungo e arduo. Ci sono voluti decenni prima che i decreti di riforma del Concilio di Trento fossero applicati in qualche modo. Le regioni che si erano volte all'arianesimo sia in Occidente che in Oriente solo lentamente e gradualmente divennero nuovamente cattoliche.
La FSSPX non fa compromessi. Mons. Fellay non ha alcun piano segreto, strategia o politica per quanto riguarda la Fede nel trattare con Roma. Dobbiamo rispondere a una situazione nuova. Dobbiamo dire a questa "Chiesa conciliare": "Stop! Non è possibile continuare in questo modo. C'è un grosso problema nella Chiesa. Il Concilio è la ragione di questa apostasia e non la soluzione alla crisi." Alcuni vogliono ritirarsi in una sorta di ghetto, pensando di poter aspettare fino a quando la crisi sia finita. Questa non è una posizione cattolica; è piuttosto una debolezza della Fede. La luce deve essere posta su un lucernario e non deve essere nascosta sotto un moggio, dice il Signore nel discorso della montagna.
In realtà è solo una piccola minoranza di sacerdoti e fedeli che ha paura. La grande maggioranza ha fiducia nella direzione della FSSPX e nel Superiore Generale. Ai primi di luglio abbiamo avuto un incontro per diversi giorni tra tutti i superiori della FSSPX a Ecône. Dobbiamo ringraziare Dio per l'unità profonda della FSSPX in tutte le questioni essenziali. Questo non è facile in questi momenti tempestosi.

-Alcuni accusano la FSPX di essere "fondamentalista". Che cosa risponderebbe?
Il problema non è il fondamentalismo in sé, ma piuttosto da quale fonte trae i suoi principi e in quale direzione va. Un fondamentalista musulmano è, ovviamente, un problema perché dobbiamo temere attacchi terroristici. Un fondamentalista cristiano non è, di per sé, un problema perché la nostra religione è la religione dell'amore.
Ciò significa che il mondo moderno, cioè, il liberalismo, è lontano da Dio. Pertanto, essi devono giustificare loro principi e valori da se stessi. Ecco perché il mondo finisce lontano dal cristianesimo, lo combatte o, nel migliore dei casi, non lo comprende. Chiamano "fondamentalista" ciò che è fondamentale e radicale. Quando un cristiano lascia il suo fondamento, che è Cristo, non sarà come i fondamentalisti musulmani, ma piuttosto come sale che perde il suo sapore.
Il miglior esempio di questo "cristianità senza principi" sono molti cristiani moderni. Non è necessario lottare contro di loro, e non saranno perseguitati. Cadono dalla loro fede come foglie secche dall'albero. D'altro canto, cristiani convinti e missionari sono l'orgoglio della Chiesa. Li chiamiamo martiri, perché hanno dato testimonianza della loro fede in Cristo.
[..]
-Vede segni che suggeriscono che Roma è alla ricerca di qualche tipo di restaurazione?
Chi o che cosa è Roma? Il Papa, la curia, i Cardinali, alcuni prelati? È difficile valutare; una distinzione è urgente. Possiamo giudicare le cose dall'esterno, dove vediamo segnali evidenti: il motu proprio sulla liberazione della Messa Tridentina, il ritiro della ridicola scomunica del 1988, la volontà del Papa di discutere questioni teologiche con noi. Tutto questo è insufficiente, certo, ma c'è ed è reale.
Anche se uno cerca — e non lo si dovrebbe mai fare - di ipotizzare recondite intenzioni del Papa, quello che ha fatto è evidente. L'attacco contro Benedetto XVI da parte di vescovi, dei media e perfino del Parlamento ha rivelato che il mondo non ha gradito quei passi. Anche il pur insufficiente documento Dominus Jesus circa l'unicità della Chiesa ha portato i vescovi ecumenici in Germania e Svizzera a schiumare di rabbia.
E c'è di più: il Papa ha lanciato un dibattito che è inarrestabile. Anche se le discussioni teologiche con noi finissero domani, anche se fosse irrogata una nuova scomunica contro la Tradizione, anche se non emergesse alcun risultato tangibile: il ritorno alla Tradizione è inarrestabile all'interno della Chiesa. Il danno che ha fatto questo Concilio è troppo grande. È come il "crepuscolo degli dèi": i sacerdoti e i cattolici di buona volontà che vogliono rimanere cattolici si avvicinano sempre di più alla Tradizione. Forse lentamente e non in grandi numeri, ma è costante ed inesorabile. I modernisti lo sanno e così anche il mondo. Ecco perché vediamo tali attacchi concentrati nei confronti del Papa e della Chiesa.
[..]

- È una coincidenza, o è il risultato degli sviluppi nella Chiesa, che i vescovi cattolici in molti paesi non prendano una posizione chiara in questioni di diritto naturale, come l'aborto o l'insegnamento cattolico in materia sessuale?
Talvolta questo errore può effettivamente essere una conseguenza di un atteggiamento modernista: una nuova fede genera una nuova morale. In realtà, essi sono da compiangere: la loro fede illuminata e moderna è così banale, debole e ridicola. Seguono un Gesù che non credono sia davvero resuscitato dai morti, che la tomba sia effettivamente vuota, e che Gesù sia il vero Dio! Una vecchia battuta mi torna alla mente: un gesuita chiama il Generale dei gesuiti e dice: "Ascolta, abbiamo trovato la tomba di Gesù, ma non è vuota". Segue un lungo silenzio. Alla fine, il Generale dice: "Vorresti dire che è esistito per davvero??".
Il tipo moderno di fede adattata è senza convinzione e potenza. Ma ci possono essere molti altri vescovi che semplicemente non hanno il coraggio di proclamare la verità. Il potere dei media e la paura dell'opinione pubblica sono maggiori della fedeltà a Cristo e dell'amore per la verità. Un noto critico del periodo post-conciliare, in Germania, prof. George May, ha detto "la spina dorsale della maggior parte dei Vescovi è come il tubo interno di una bicicletta". Ci vuole molta preghiera per il Papa e per la Chiesa!
Caterina63
00giovedì 7 ottobre 2010 18:47

Mons. Fellay intervistato da "La Porte Latine"




Mons. Bernard Fellay, Superiore Generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X dal 1994, ha voluto concederci un’intervista esclusiva in occasione dei 40 anni dalla fondazione dell’opera di restaurazione iniziata da Mons. Marcel Lefebvre.
Come sua abitudine, Monsignore ha risposto alle nostre domande con formulazioni brevi e precise, ove ogni parola ha la sua importanza.
Voglia egli ricevere l’espressione dei nostri calorosi e rispettosi ringraziamenti per questa intervista e per il maggior lavoro che essa gli ha procurato.


La Porte Latine – Quarant’anni fa, il 1 novembre 1970, Mons. Lefebvre faceva riconoscere dal vescovo di Friburgo la Fraternità Sacerdotale San Pio X. Come considera questi quattro decenni?

Mons. Fellay – Questi quarant’anni rimarranno nella storia della Chiesa come un periodo doloroso di decadenza, di perdita di influenza sul mondo contemporaneo e sulle nazioni. Indubbiamente è difficile fare un bilancio del tempo in cui si vive, ma non vedo come si possa fare a meno di esprimere un giudizio negativo. In questo contesto, la nostra piccola opera appare come un raggio di luce in mezzo alle tenebre, un'oasi nel deserto, una piccola zattera in pieno naufragio. Per noi, sono tempi indimenticabili e assai fantastici, certo cosparsi di lacrime e di prove, ma in cui domina la gioia.

La Porte Latine – A metà strada di questi quarant’anni, si sono verificati due grandi avvenimenti nella storia della Fraternità: le consacrazioni episcopali nel 1988 e la sparizione di Mons. Lefebvre nel 1991. Vi è quindi stato un prima e un dopo. Si tratta di due periodi da opporre?

Mons. Fellay – Io non vi vedo due periodi, ma una continuità. La nostra cura a rimanere fedeli alle linee forniteci dal nostro venerato fondatore ha svolto probabilmente un qualche ruolo. Del pari, il fatto che le circostanze esteriori siano rimaste, anch’esse, quasi le stesse, ha contribuito enormemente a questa continuità. Nulla ci obbliga o ci spinge ad agire in maniera diversa: al contrario, i giudizi di Mons. Lefebvre erano così profondi che rimangono perfettamente validi. E questo è del tutto rimarchevole!

La Porte Latine – La Fraternità è un’opera che si stabilizza oppure vi sono dei nuovi apostolati che continuano ad aprirsi attraverso il mondo?

Mons. Fellay – Lo sviluppo non è folgorante, per mancanza di sacerdoti. Ma è notevole per alcuni passi avanti, soprattutto nei paesi di missione. Attualmente, l’Africa ci chiama da posti diversi e noi abbiamo della difficoltà a rispondere, poiché non abbiamo tanti operai per la messe. È anche certo che se avessimo più sacerdoti a disposizione potremmo conoscere degli ampliamenti prodigiosi in Asia. Ma peraltro, occorre sottolineare lo sviluppo interno delle opere già esistenti, che è molto costante.

La Porte Latine – Tutti questi anni costituiscono anche un tempo di carità spirituale, vissuta con delle comunità religiose che hanno accompagnato l’ideale di restaurazione della Fraternità. Come accoglie tale sostegno?

Mons. Fellay – Lo riceviamo e lo diamo. Questo mutuo sostegno delle opere tradizionali è molto confortante. In una situazione di quasi persecuzione come la nostra, questa intesa tra noi è vitale.

La Porte Latine – Al tempo stesso, questi quarant’anni sono stati cosparsi da difficoltà note a tutti. Certi sacerdoti, talvolta figure importanti, certi religiosi o fedeli, alcuni con uno strappo, altri per stanchezza, hanno smesso di sostenere la Fraternità. Come bisogna valutare queste separazioni?

Mons. Fellay – Una delle immagini migliori per illustrare la sua domanda sarebbe quella della guerra, o di un assalto durante il quale gli uomini cadono sotto il fuoco a destra e a manca, eppure non c’è altra scelta che continuare nell’assalto. Vi è un aspetto estremamente duro nella guerra, la nostra epoca è senza misericordia per chi cade. La sofferenza è grande tanto per quelli che ci lasciano quanto per noi che li vediamo partire senza modo di trattenerli.

La Porte Latine – Esistono nel contempo dei sacerdoti e delle comunità religiose che, comprendendo il ruolo della Fraternità per la Chiesa, si mettono in contatto con voi?

Mons. Fellay - Sì, abbiamo anche questa consolazione. Non passa un mese senza che alla nostra porta bussi, qui un seminarista, là un sacerdote o un religioso. Qualche volta si tratta di un semplice contatto, altre volte si tratta di un passo decisivo verso di noi. Vi sono anche, ma è più raro, dei vescovi e delle intere congregazioni che ci manifestano la loro simpatia o anche più.

La Porte Latine – Viaggiando in tutti i continenti, Lei sentirà parlare della Fraternità e di Mons. Lefebvre nei modi più diversi. Il fondatore e la sua opera sono sempre oggetto di un certo sospetto o le cose sono cambiate dal 1970?

Mons. Fellay – Non v’è stata una vera evoluzione, a parte alcune eccezioni. Mi sembra che sia sorprendente constatare che, nel mondo intero, la Fraternità viene ricevuta quasi alla stessa maniera, e cioè vilipesa dalla grande maggioranza dei vescovi e apprezzata da un piccolo gregge di anime che vogliono rimanere fedeli. Io credo che si tratti di una buona illustrazione dell’estensione della crisi e della sua profonda unità di natura.

La Porte Latine – Percepisce anche dei cambiamenti a Roma? L’attività dell’opera di Mons. Lefebvre ha avuto un effetto sugli alti organi della Chiesa?

Mons. Fellay – A Roma, un certo cambiamento nei nostri confronti lo si nota, benché non abbia ancora un grande effetto. Mi sembra che il nostro lavoro sia apprezzato da certuni, mentre è detestato da altri. Le reazioni nei nostri confronti sono molto contrastanti. Si vede bene che vi sono due ambiti, uno favorevole e l’altro ostile, cosa che rende le relazioni molto difficili, poiché ci si chiede sempre chi avrà l’ultima parola. Tuttavia, resta il fatto che coloro che vogliono essere fedeli al Papa ci considerano con rispetto e si aspettano molto da noi per la Chiesa. Ma da qui a vedere degli effetti concreti, bisognerà pazientare ancora!

La Porte Latine – Quarant’anni sono, ad un tempo, molto pochi, eppure molto lunghi per un gran numero di fedeli che non hanno alcun ricordo del Vaticano II. Non si rischia, via via che ci si allontana dal Concilio, di vivere su un certo adagiarsi, tra sacerdoti o fedeli che si accontentano della nostra situazione?

Mons. Fellay – Indubbiamente, esiste il pericolo di appartarsi in una certa autonomia pratica. Una gran parte di questa attitudine dev’essere attribuita alla situazione in cui ci troviamo, quella di una Tradizione rigettata. È per questo che cerchiamo di allargare la visuale e l’attenzione dei fedeli parlando loro della Chiesa e di Roma. È molto importante conservare uno spirito romano. Il nostro attaccamento a Roma non dev’essere simbolico, ma molto concreto. Questa situazione è anche una prova per la nostra fede nella Chiesa.

La Porte Latine – Un anno fa sono iniziati i colloqui dottrinali tra gli esperti della Santa Sede e della Fraternità. Sappiamo bene che una grande discrezione circonda queste relazioni e che molti fedeli pregano per una riuscita felice. Senza parlare dell’argomento di fondo, ci si deve attendere prossimamente uno scacco ineluttabile o, al contrario, una incontestabile restaurazione?

Mons. Fellay - Visto l’andamento di questi colloqui, io non penso che sfoceranno in una brusca rottura o in una repentina soluzione. Si scontrano due mentalità, ma la volontà di stabilire una discussione – a livello teologico – è molto reale. È per questo che, seppure lo sviluppo rischia di essere lungo, i frutti potrebbero essere quanto meno promettenti.

La Porte Latine – Da questi colloqui, bisogna attendersi una ferma condanna del Concilio da parte di Roma oppure bisognerà infine accettare il Concilio senza recalcitrare? Come immaginare l’uscita da una tale crisi magisteriale?

Mons. Fellay – Mi sembra che se un giorno arriverà una condanna del Concilio, non sarà domani. Si delinea molto chiaramente una volontà di correzione dell’attuale situazione. Sullo stato presente della Chiesa, particolarmente grave, i nostri giudizi si incontrano in diversi punti, tanto sulla dottrina quanto sulla morale e la disciplina. Tuttavia la tendenza dominante a Roma consiste sempre nell’esonerare il Concilio: non si vuole risalire fino al Concilio, si cercano altre cause, ma soprattutto si esclude il Concilio! Vista la psicologia corrente, sembra che sarebbe più facile superarlo ricordando molto semplicemente l’insegnamento irrefutabile della Chiesa, lasciando a più tardi la condanna diretta. Io credo che nell’attuale contesto una condanna sarebbe semplicemente incompresa.

La Porte Latine – In una recente opera, Concilio ecumenico Vaticano II, un discorso da fare, un teologo romano, Mons. Gherardini, ha delineato un quadro assai allarmante della Chiesa. Egli lascia intendere che una lettura del Concilio nella continuità con la Tradizione non è cosa chiaramente scontata e lancia un appello solenne al Papa perché si effettui un grande lavoro di chiarificazione magisteriale. Come si deve accogliere questo scritto?

Mons. Fellay – Non bisogna considerarlo uno scritto che viene da noi o che sarebbe destinato a noi. No, esso è diretto ai cattolici in genere e alla Gerarchia in carica. Considerata in questa prospettiva, quest’opera riveste una grande importanza, poiché introduce una messa in questione del Concilio così com’è stato ricevuto. Si tocca un tabù. Quando lo facciamo noi, scateniamo nei nostri interlocutori un moto di difesa che blocca ogni discussione. Ma quando il colpo parte dall’interno, esso mette in questione molte cose. Ne ricavo che questo libro è oggettivamente importante e che potrebbe essere una delle scintille suscettibili di scatenare un grande incendio.

La Porte Latine – Vi è un messaggio preciso che vorrebbe indirizzare ai sacerdoti e ai fedeli della Fraternità in Francia?

Mons. Fellay – In occasione dei nostri quarant’anni, la fedeltà! Fedeltà, garanzia del futuro. Fedeltà nelle piccole cose, garanzia di fedeltà nelle grandi. E soprattutto non scoraggiarsi se la battaglia dovrà ancora continuare per molto tempo, che è quello che tutto lascia presagire; al contrario, occorre rincorarsi per avanzare nell’opera di restaurazione della Chiesa.

+ Mons. Bernard Fellay
Menzingen, 7 ottobre 2010
Festa di Maria Santissima del Santo Rosario


Caterina63
00venerdì 18 febbraio 2011 16:45

La posizione della Frat. San Pio X nei colloqui dottrinali a Roma

Intervista condotta da John Vennari, direttore di Catholic Family News, con il rev. Arnaud Rostand, Superiore del distretto degli Stati Uniti della Fraternità San Pio X.



- J Vennari: I nostri lettori sono interessati alle discussioni dottrinali attualmente in corso tra la Fraternità San Pio X e Roma. Sappiamo che queste discussioni si svolgono in una sorta di segretezza. Perché questo?

Father Rostand:
Fin dall'inizio delle discussioni dottrinali tra Roma e la FFSPX, è stato dichiarato chiaramente che queste discussioni sarebbero rimaste segrete. Era il desiderio di Roma e della Fraternità. In primo luogo, è importante ricordare le circostanze in cui tali discussioni sono iniziate: quando il Papa ha revocato le scomuniche invalide dei quattro vescovi consacrati dall'arcivescovo Marcel Lefebvre, una campagna mediatica ha attaccato il Papa stesso e la Frat. San Pio X, con pesanti pressioni su tutte le parti interessate.
Non è sempre facile capire il potere che i media hanno sulla mente delle persone, specialmente qui negli Stati Uniti; ma come dato di fatto, la pressione è stata intensa. Roma vuole evitare questo tipo di stress e tensione, in particolare durante le discussioni cruciali.

Ma soprattutto, è una pratica normale e comune della Chiesa mantenere la privacy, anche il segreto, nel corso di questi tipi di questioni o di affari. Un esempio potrebbe essere l'elezione del Papa, che è fatta in assoluta segretezza, senza contatti con il mondo al fine di evitare qualsiasi influenza esterna. Molte questioni sono discusse dal Papa e dai cardinali in una maniera simile. Non c'è nulla di disturbante o allarmante su questa abitudine; è effettivamente la normale procedura. Vorrei anche aggiungere che è anche una questione di rispetto per il Papa, perché stiamo parlando con il vescovo di Roma, la massima autorità del mondo, il successore di San Pietro, il vicario di nostro Signore Gesù Cristo.

La pressione, tuttavia, non è unicamente dal mondo, da fuori della Chiesa; proviene anche dall'interno. C'è un’implacabile lotta in corso all'interno della Chiesa. La maggior parte dei modernisti non vuole alcuna discussione con la Frat. San Pio X, non vogliono eventuali discussioni sul Concilio Vaticano II, perché nessuno può questionare il Concilio Vaticano II. Essi sono da tempo passati dall’idea di un concilio pastorale, che hanno originariamente promosso al fine di ottenere i loro obiettivi, ad uno dottrinale, un Concilio che deve essere accettato come dottrinale, e che in realtà è anzi diventato ancora più importante che tutti i concilii precedenti.
Tuttavia, oggi Roma ha deciso di ascoltare le nostre obiezioni e rimostranze per quanto riguarda il Concilio Vaticano II e ciò che è accaduto alla Chiesa nel corso degli ultimi decenni; Questo di per sé è un miracolo. Mons. Fellay, in una conferenza che ha tenuto a Parigi il 9 gennaio 2011, ha dichiarato che queste discussioni sono sorprendenti! È sorprendente che Roma, il supremo Magistero della Chiesa cattolica, accetti di discutere la propria dottrina. Eppure, questo è esattamente ciò che sta succedendo a Roma con queste discussioni. È molto inusuale.
Su questa questione, potrebbe essere necessario sottolineare che, sebbene la riservatezza venga mantenuta mentre queste discussioni sono in corso, probabilmente non avverrà più così quando saranno finite. Tutto ciò che è detto è registrato sia in audio che video, e tutto è trascritto, e questi documenti vengono dati al Papa e a mons. Fellay.

- Data la riservatezza delle discussioni, che cosa siete liberi di dire circa il loro stato attuale?

La riservatezza di tali discussioni riguarda essenzialmente la questione che viene esaminata. Tuttavia, alcuni aspetti di queste discussioni sono state rese pubbliche. Fin dall'inizio, mons. de Galarreta, il Presidente della Commissione della FSSPX, ha spiegato che questi colloqui sono a livello dottrinale e riguardano esclusivamente il Concilio Vaticano II e il Magistero postconciliare. Roma ha accettato anche che il Magistero della Chiesa prima del Vaticano II serva come riferimento. Per noi era una condizione sine qua non per queste discussioni. Così, noi esponiamo come l'insegnamento del Vaticano II è in contraddizione con ciò che i concili e i papi hanno esposto in passato, mentre loro tentano di dimostrare che c'è continuità.
Sebbene ognuno mantenga la riservatezza necessaria su queste discussioni, le posizioni delle due parti sono ben note e sono anche state pubblicamente ribadite recentemente.

La Fraternità San Pio X fedelmente continua a condannare gli errori del Vaticano II. Permettetemi di citare il vescovo de Galarreta come un esempio fra tanti: "Noi sappiamo chiaramente ciò che non siamo disposti ad accettare. Se non sappiamo perfettamente come possono evolvere le cose, d'altro canto, sappiamo chiaramente ciò che non abbiamo intenzione di fare in qualsiasi caso: in primo luogo, a cedere su questioni di dottrina e in secondo luogo, a raggiungere un accordo puramente pratico" (19 dicembre 2009). Ci atteniamo a questo proposito.
D'altro canto, Monsignor Pozzo, il capo della Commissione Pontificia, anche pubblicamente ha dichiarato la sua posizione: tenere sul Concilio Vaticano II e difendere le opinioni del Papa, Benedetto XVI. Finora, nessuna delle due parti ha cambiato il proprio punto di vista.
Nonostante ciò, possiamo già vedere alcuni buoni frutti da queste discussioni: il primo esempio che vorrei dare è l'interesse che è dimostrato oggi sull’arcivescovo Marcel Lefebvre. L'anno scorso, sull'arcivescovo, quattro libri sono stati pubblicati in Europa, due in Italia, due in Francia! Questi studi, queste pubblicazioni, non sono stati effettuati da sacerdoti o fedeli della Frat. San Pio X: sono state scritte da persone che possiamo considerare come outsiders e la maggior parte di loro sono a favore e difendono l’opera dell'Arcivescovo. Questa considerazione è nuova ed è un risultato indiretto di questi colloqui.

Un altro esempio è l'influenza maggiore della Frat. San Pio X sui sacerdoti diocesani. Ad esempio, mons. Fellay, nell'ambito della Conferenza di cui sopra, ha rivelato che un gruppo abbastanza grande di sacerdoti in Italia è regolarmente in contatto con la Fraternità. Nell'ultima riunione che ha frequentato, c'erano circa una trentina di sacerdoti diocesani. Che cosa aspettano questi sacerdoti dalla Frat. San Pio X è ancora più interessante. Essi ci supplicano di dare loro la dottrina; ci chiedono di insegnare loro la dottrina cattolica. Si rendono conto che non sono stati nutriti con dottrina sana e solida. Questo è molto importante. Non è solo una questione della Messa in latino come affermano la Commissione Ecclesia Dei e le fraternità che ne dipendono; è davvero una questione di dottrina. I sacerdoti diocesani si rendono conto che non è stata insegnata loro la vera dottrina e ne hanno sete!

Due anni fa, per la prima volta, una voce a Roma si è levata per questionare il Concilio Vaticano II: monsignor Gherardini ha scritto numerosi articoli e un libro per criticare il Concilio. Egli dimostra che il Concilio Vaticano II non è in continuità con la precedente dottrina della Chiesa. Il 17 dicembre 2010 un vescovo, Mgr. Schneider, ha chiesto un nuovo Sillabo. In una conferenza a Roma , ha denunciato le interpretazioni sbagliate del Vaticano II e proposto un elenco di proposizioni (un Syllabus) di condanna degli "errori di interpretazione del Vaticano II". Così, la soluzione che egli raccomanda per correggere la situazione attuale della Chiesa è l'uso del Magistero straordinario del Papa, una dichiarazione solenne infallibile del Papa per chiarire il Concilio. Questa evoluzione è molto interessante e andrà più lontano, perché se il Magistero infallibile è necessario per chiarire il Concilio, vuol dire che, per usare un eufemismo, esso è ambiguo e quindi porta ad errori riguardanti la fede! Questo spostamento del dibattito verso il livello dottrinale sta chiaramente accadendo, anche se a un ritmo lento. Credo che questo sia un altro effetto delle discussioni dottrinali.
Il semplice fatto che siamo in grado di discutere la dottrina con Roma , anche se rimane segreto, ha portato alcuni effetti imprevisti molto importanti. Per noi, è solo una questione di pazienza e di fermezza.
 

- La Frat. San Pio X giustamente insiste sul fatto che la crisi nella Chiesa è causata da problemi con il Concilio Vaticano II stesso. Papa Benedetto XVI sostiene che il problema non è con il Concilio, ma con una cattiva interpretazione del Concilio. Sembra che quelli a Roma con cui avete queste discussioni dottrinali, stiano seguendo questa linea e non siano ancora disposti ad ammettere che il Concilio è la vera causa del problema. Pensa che stiano ancora cercando di "salvare" il Concilio Vaticano II?

Come accennato in precedenza, la Frat. di San Pio X insiste sul fatto che la causa principale della crisi interna della Chiesa è il Concilio Vaticano II. Non diciamo che è l'unica causa della decristianizzazione del mondo oggi; le radici della crisi sono iniziate ben prima del Vaticano II, e San Pio X vide chiaramente i pericoli molti decenni prima del Concilio. Non possono essere esclusi altri fattori, come ad esempio le azioni politiche della secolarizzazione, la separazione tra Chiesa e Stato, le leggi immorali diffuse in tutto il mondo e così via.
Tuttavia, abbiamo affermato sempre che il Concilio era il 1789 nella Chiesa. Questa espressione, riferita alla rivoluzione francese, è stata usata la prima volta da un modernista, il Cardinale Suenens. Si tratta di una rivoluzione che ha minato e distrutto la sana dottrina, la vera liturgia e la morale, e ha portato alla perdizione di milioni, se non miliardi di anime.
D'altro canto, il papa afferma che solo l'interpretazione del Concilio è andata storta. Egli afferma che non esiste alcuna rottura tra l'insegnamento della Chiesa prima e dopo il Concilio Vaticano II. C'è continuità, perché ci deve essere una continuità!

Così, la Commissione di Roma sta cercando di salvare Vaticano II? Direi di no, non stanno cercando di salvare il Concilio Vaticano II; sono davvero convinti del Vaticano II.
Baso la mia opinione in proposito solo su loro dichiarazioni pubbliche e non sulle discussioni. Queste affermazioni mostrano che non ammettono ancora che il Vaticano II è la vera causa.
La linea che segue Roma è che dobbiamo tornare alla vera interpretazione del Concilio, evitare gli estremi, ritornare al vero spirito del Concilio. Tentano di correggere gli eccessi, la traduzione del pro multis per esempio, o il subsistit, la comunione nella mano o ragazze chierichette, ma non c'è nessuna messa in discussione dei principi sottostanti. Così allo stesso tempo avete azioni che sono molto più gravi e devastanti per la Chiesa, come la visita alla sinagoga, la preghiera in un tempio protestante, la settimana ecumenica per l’unità e, ultimamente, l'annuncio di Assisi III.
Tuttavia, possiamo vedere un'evoluzione nell'analisi della situazione della Chiesa. Il primo passo è quello di accettare che vi sia una crisi nella Chiesa, quindi accettare la discussione sul Concilio, una cosa impossibile non molto tempo fa. Il passaggio successivo per loro potrebbe essere un tentativo di ‘salvare’ il Concilio e l'ultima, si spera, sarà riconoscere che questa crisi proviene dal Concilio e pertanto correggere i suoi errori.
Dietro la questione della denuncia e rettifica del Concilio c'è la questione della infallibilità del Papa. Uno degli ostacoli principali alla messa in discussione del Concilio è il problema del Magistero della Chiesa. Non possono accettare che il Concilio e i Papi avevano torto. Com'è possibile che la Chiesa possa essere stata sviata in modo quasi universale? La questione non è nuova per noi, poiché è stato sollevato dall'inizio della crisi, ma la questione sembra essere nuova per loro.

Prima del Concilio Vaticano primo, il Cardinale Newman ha espresso la sua apprensione sulla dichiarazione della infallibilità pontificia. Egli non aveva dubbi sulla verità del dogma, che il Papa è il pastore e maestro di tutti i cristiani, non aveva alcun dubbio che il Papa è infallibile in determinate condizioni, ma era preoccupato delle conseguenze se ciò fosse stato frainteso. Oggi, possiamo dire che egli era un profeta? L'infallibilità del Papa non è capita e viene utilizzata come strumento per ottenere pieno conformismo e sottomissione su questioni che non rientrano nelle condizioni di infallibilità della Chiesa. Il Concilio Vaticano II è stato pastorale e non dogmatico. I Papi stessi hanno chiarito che non avevano l'intenzione di insegnare la dottrina. Non c'è dubbio che il Vaticano II non è stato un insegnamento infallibile della Chiesa. È diventato, tuttavia, un superdogma, una legge che ha abrogato tutto l'insegnamento del passato.
In definitiva, ci troviamo davanti a un mistero, il mistero della Chiesa cattolica, che è indefettibile ancorché costituita di persone imperfette e fallibili. La Frat. San Pio X ha riflettuto su questo tema per anni. Grazie alla leadership e alla chiarezza della visione dell'arcivescovo Marcel Lefebvre, abbiamo risposte chiare a questo problema. Non è così per quelli con cui ci incontriamo a Roma. La cosa farà ovviamente parte delle discussioni.

- Potrebbe dare alcuni esempi del perché il Concilio stesso è il problema?

Il Vaticano II ha portato nella Chiesa un nuovo insegnamento, un nuovo "spirito". I principali errori possono essere elencati come segue: errori riguardanti la santa Messa e la sacra liturgia; errori sulla libertà religiosa e la sua conseguenza, l'ecumenismo; errori riguardo ai rapporti tra Stato e Chiesa; errori per quanto riguarda la collegialità e il potere del Papa e dei vescovi, ma anche gli errori relativi al sacerdozio, al matrimonio e così via - la lista è lunga.
Per motivi di chiarezza e concisione, vorrei illustrare solo alcuni esempi: uno degli errori più semplici da comprendere del Concilio Vaticano II, è la nuova definizione della Messa: abbiamo solo bisogno di confrontare la definizione fornita dal Catechismo di San Pio X e la nuova definizione data dal Concilio. San Pio X definisce la Santa messa come "il sacrificio del Corpo e Sangue di Gesù Cristo che, sotto le specie del pane e del vino, sono offerti dal sacerdote a Dio sull'altare in memoria e rinnovamento del sacrificio della Croce". Si può ammirare la chiarezza e la precisione di questa definizione. Che cosa dice il Concilio Vaticano II? "la celebrazione eucaristica è il centro dell'Assemblea dei fedeli presieduta dal sacerdote. Pertanto, i sacerdoti insegnano ai fedeli ad offrire la vittima divina a Dio Padre nel sacrificio della Messa e con la vittima a fare un'offerta di tutta la loro vita" (Presbyterorum ordinis - § 5)

Si noterà che la funzione del sacerdote è ridotta a "presiedere" e "insegnare". L'idea di una con-celebrazione tra il sacerdote e il popolo si manifesta qui; un'idea espressamente condannata dal Magistero preconciliare.
Oggi, Roma incoraggia a girare l'altare al suo posto, con il sacerdote rivolto verso est e verso il Tabernacolo. Tuttavia, si rifiutano di vedere che, se il sacerdote semplicemente presiede e insegna, perché egli non dovrebbe esser girato verso i fedeli? Il motivo per cui hanno girato originariamente l'altare, la tavola, è perché il Vaticano II dà una nuova definizione del sacerdote. Le radici della riforma si trovano nel testo stesso. L'altare sta tornando al suo posto, ma la dottrina non viene corretta!
Oggi, Roma cerca di combattere gli abusi nella liturgia, ricordando, per esempio, che il modo ordinario per ricevere la comunione è inginocchiati e sulla lingua, non in piedi e nelle mani. Beh, è Concilio Vaticano II che ha dato alle conferenze dei vescovi per la prima volta un'inedita e straordinaria autorità in materia liturgica, con un'ampia facoltà di sperimentare nuove forme di culto. Roma tenta di spegnere il fuoco, l'origine del quale è il Concilio stesso. (Sacrosanctum concilium - §§ 22, 39, 40)

Il Concilio Vaticano II si diletta con una definizione carente di "prete". I sacerdoti sono definiti, soprattutto, in qualità di cooperatori dei "vescovi". (PO §4). "In quanto è unito con l'ordine episcopale, l'ufficio dei sacerdoti partecipa dell'autorità con cui Cristo stesso costruisce, santifica e governa il Suo Corpo" (PO §2; vedi anche LG §28). Il Vaticano II sembra avere voluto, diciamo, comprimere la figura del sacerdote nel "Popolo di Dio", cancellando, nei limiti del possibile, la sua differenza dai fedeli, e dall'altra parte, soprattutto, descrivendo la sua principale qualità come quella di essere il "collaboratore" subordinato dei vescovi
Come diceva l'Arcivescovo Lefebvre, le due vittime del Concilio sono il Papa e il Sacerdote. Il primo ha perso il suo potere a causa della collegialità dei vescovi e il secondo è semplicemente diventato un "Presidente dell'Assemblea". Questo è oggi evidente con la Messa Tridentina. Andando oltre le norme del Motu Proprio di Benedetto XVI, i vescovi esigono abusivamente un'autorizzazione e molti sacerdoti non osano celebrare per timore dell'assemblea o lo fanno solo se si sentono supportati da un gruppo di fedeli!

Questi esempi non sono le più rivoluzionarie novità del Vaticano II, ma possono essere facilmente comprensibili e oggi possiamo vederne gli effetti nella vita della Chiesa.
Come spesso ha spiegato l'Arcivescovo Lefebvre, ciò che può essere visto nella Chiesa oggi non sono solo gli abusi, ma le conseguenze di principi, di idee già stabilite in sede di Consiglio. Non sono solo interpretazioni errate. I vescovi stessi che prima hanno portato queste idee al Concilio, le hanno poi introdotte nelle loro diocesi. Ovviamente i risultati sono venuti dal Concilio stesso, perché uno agisce come pensa.

- JV: In un discorso che lei ha dato in Ridgefield (Connecticut) lo scorso luglio, lei ha ricordato che il vescovo della Fraternità de Galarreta ha detto egli pensa che queste discussioni dottrinali non dovrebbero andare troppo a lungo. Avrebbe voglia di commentare su questo?

FR: Il Vescovo de Galarreta ha espresso, in effetti, che egli non pensa che queste discussioni dovrebbero andare avanti troppo a lungo. La società di San Pio X vuole esporre la discrepanza del Vaticano II, riaffermare l'insegnamento tradizionale della Chiesa, documentare tutto quanto affermiamo e rispondere alle obiezioni. Vogliamo "essere un testimone per la Fede". La società non vuole, tuttavia, discutere per il gusto della discussione. Questo è quel che, credo, esprimeva il vescovo de Galarreta.


Fonte: Catholic Family News

Caterina63
00domenica 20 febbraio 2011 00:40

Mons. Fellay: il motu proprio è un atto essenziale ma inefficace per l'opposizione massiccia dei vescovi

Dal sito ufficiale del Distretto italiano della FSSPX, Sanpiox.it, riprendiamo la traduzione di quest'importante e recente intervista a mons. Fellay: molti argomenti che ci stanno a cuore sono qui affrontati senza perifrasi. Iniziamo la pubblicazione con i primi due argomenti: i colloqui romani e il motu proprio. Sottolineature nostre e commenti interpolati in blu.


I – I colloqui dottrinali


- 1. Monsignore, Lei ha scelto di intraprendere dei colloqui dottrinali con Roma. Ce ne può ricordare lo scopo?
Occorre distinguere lo scopo romano dal nostro. Roma ha indicato che esistevano dei problemi dottrinali con la Fraternità e che bisognava chiarirli prima di un riconoscimento canonico, - problemi che chiaramente sarebbero da parte nostra, trattandosi dell’accettazione del Concilio. Ma per noi si tratta di altra cosa, noi desideriamo dire a Roma ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e, per ciò stesso, intendiamo evidenziare le contraddizioni che esistono fra questo insegnamento plurisecolare e ciò che si pratica nella Chiesa da dopo il Concilio. Per quanto ci riguarda, è questo il solo scopo che perseguiamo.

- 2. Qual è la natura di questi colloqui: negoziati, discussioni o esposizione della dottrina?
Non si può parlare di negoziati. Non si tratta affatto di questo. Vi è, per un verso, un’esposizione della dottrina, e per l’altro una discussione, poiché abbiamo effettivamente un interlocutore romano col quale discutiamo su dei testi e sul modo di comprenderli. Ma non si può parlare di negoziati, né di ricerca di un compromesso, poiché si tratta di una questione di Fede.

- 3. Ci può ricordare il metodo di lavoro utilizzato? Quali sono i temi che sono già stati affrontati?
Il metodo di lavoro è quello dello scritto: vengono redatti dei testi sui quali si baserà il colloquio teologico ulteriore. Sono già stati affrontati diversi temi. Ma per adesso lascio questa domanda in sospeso. Posso dire semplicemente che siamo alla conclusione, poiché abbiamo fatto il giro delle grandi questioni poste dal Concilio.

- 4. Può presentarci gli interlocutori romani?
Sono degli esperti, cioè dei professori di teologia che sono anche consultori della Congregazione per la Dottrina della Fede. Si può dire dei «professionisti» di teologia. Vi è uno svizzero, il Rettore dell’Angelicum, il Padre Morerod; un gesuita, un po’ più anziano, il Padre Becker; un membro dell’Opus Dei, nella persona del suo Vicario generale, Mons. Ocariz Braña; poi Mons. Ladaria Ferrer, Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, e infine il moderatore, Mons. Guido Pozzo, Segretario della Commissione Ecclesia Dei.

- 5. Vi è un’evoluzione nel pensiero dei nostri interlocutori, dopo che hanno letto le esposizioni dei teologi della Fraternità?
Non penso che si possa dirlo.

- 6. Mons. De Galarreta, nel corso dell’omelia per le ordinazioni a La Reja, a dicembre 2010, ha detto che Roma aveva accettato che il Magistero anteriore al Vaticano II fosse assunto come «unico criterio comune e possibile» in questi colloqui. Vi è qualche speranza che i nostri interlocutori rivedano il Vaticano II o si tratta di una cosa impossibile per loro? Il Vaticano II è veramente una pietra d’inciampo?
Penso che bisogna porre la domanda in altro modo. Dalle distinzioni fatte da Papa Benedetto XVI nel suo discorso del dicembre 2005, si capisce molto bene che una certa interpretazione del Concilio non è più permessa e dunque, senza parlare direttamente di una revisione del Concilio, vi è malgrado tutto una certa volontà di rivedere il modo di presentare il Concilio. La distinzione può sembrare sottile, ma è proprio su questa distinzione che si basano coloro che non vogliono toccare il Concilio e che nondimeno riconoscono che, a causa di un certo numero di ambiguità, vi è stata un’apertura in direzione di strade proibite, di cui bisogna ricordare che sono proibite [Mons. Fellay sembra qui ammettere che la distinzione del Papa, tra ermeneutica della rottura e della continuità, possa rappresentare un utile strumento per arrivare alla revisione delle conseguenze controverse derivanti dal Concilio, senza dover passare per un'aperta sconfessione del Concilio stesso che, come egli osservava realisticamente in un'intervista dell'ottobre 2010, sarebbe al momento prematura e non compresa]. – Il Vaticano II è una pietra d’inciampo? Per noi sì, senza alcun dubbio!

- 7. Perché è così difficile per loro ammettere una contraddizione tra il Vaticano II e il Magistero anteriore?
La risposta è molto semplice. Dal momento in cui si riconosce il principio secondo il quale la Chiesa non può cambiare, se si vuole fare accettare il Vaticano II si è obbligati a dire che esso non ha cambiato niente. È per questo che non accettano di riconoscere delle contraddizioni tra il Vaticano II e il Magistero anteriore. E tuttavia sono a disagio nello spiegare la natura del cambiamento che è effettivamente accertato.

- 8. Al di là della testimonianza della Fede, è importante e vantaggioso per la Fraternità recarsi a Roma? È pericoloso? Pensa che questo possa durare a lungo?
È molto importante che la Fraternità porti questa testimonianza, è anche la ragione di questi colloqui dottrinali. Si tratta veramente di far risuonare a Roma la fede cattolica e – perché no? – ancor meglio farla risuonare in tutta la Chiesa.
Un pericolo esiste, ed è quello di nutrire delle illusioni. Si capisce che certi fedeli hanno potuto nutrire delle illusioni. Ma gli ultimi avvenimenti hanno provveduto a dissiparle. Penso all’annuncio della beatificazione di Giovanni Paolo II o a quello di una nuova Assisi nella linea delle riunioni interreligiose del 1986 e del 2002.

- 9. Il Papa segue da vicino questi colloqui? Li ha già commentati?
Penso di sì, ma non so nulla di preciso. Li ha commentati? In occasione della riunione dei suoi collaboratori, a Castel Gandolfo, ha detto che era soddisfatto. È tutto.

- 10. Si può dire che il Santo Padre, che da più di venticinque anni ha trattato con la Fraternità, oggi si dimostri nei suoi confronti più favorevole che nel passato?
Non ne sono sicuro. Sì e no. Penso che in quanto Papa egli abbia il fardello di tutta la Chiesa, la preoccupazione per la sua unità, il timore di vedere dichiarato uno scisma. Lui stesso ha detto che erano questi i motivi che lo spingevano ad agire. Oggi egli è il capo visibile della Chiesa ed è questo che può spiegare perché agisce così. Questo significa che manifesta una maggiore comprensione per la Fraternità? Io credo che egli abbia una certa simpatia per noi, ma con dei limiti.

- 11. Riassumendo, che direbbe oggi di questi colloqui?
Se occorresse rifarli, li rifarei. È molto importante. È capitale. Se si spera di correggere tutto un movimento di pensiero, non si può fare a meno di questi colloqui.

- 12. Da qualche tempo si fanno sentire le voci di ecclesiastici, come Mons. Gherardini o Mons. Schneider, che nella stessa Roma pronunciano delle vere critiche sui testi del Vaticano II, non solo sulla loro interpretazione. Si può sperare che questo movimento si amplifichi e penetri all’interno del Vaticano?
Io non dico che lo si può sperare, ma che bisogna sperarlo. Bisogna veramente sperare che questi inizi di critiche - diciamo: obiettive, serene – si sviluppino. Fino ad oggi si è sempre considerato il Vaticano II come un tabù, e questo rende quasi impossibile la guarigione da questa malattia che è la crisi nella Chiesa. Occorre poter parlare dei problemi e andare al fondo delle cose, altrimenti non si arriverà mai ad applicare i rimedi giusti.
- 13. La Fraternità può svolgere un ruolo importante in questa presa di coscienza? Come? Qual è il ruolo dei fedeli in questo contesto?
Da parte della Fraternità sì, essa può svolgere un ruolo, e precisamente quello di presentare ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e di porre delle obiezioni sulle novità conciliari. Il ruolo dei fedeli consiste nel dare una prova con l’azione, poiché essi sono la prova che oggi la Tradizione è vivibile. Ciò che la Chiesa ha sempre chiesto, la disciplina tradizionale, è non solo attuale, ma realmente vivibile anche oggi.

II – L’effetto Motu Proprio

- 14. Monsignore, pensa che il Motu Proprio, malgrado le sue deficienze, sia un passo in favore della restaurazione della Tradizione?
È un passo capitale. È un passo che si può chiamare essenziale, anche se fino ad oggi praticamente non ha avuto effetto, o molto poco, perché vi è un’opposizione massiccia dei Vescovi [affermazioni condivisibili al 100.000 per cento!].  In termini di diritto, il fatto di aver riconosciuto che l’antica legge, quella della Messa tradizionale, non è mai stata abrogata è un passo capitale per ridare il suo posto alla Tradizione.

- 15. Concretamente, a partire dal Motu Proprio, Lei ha visto nel mondo degli importanti cambiamenti da parte dei Vescovi sulla Messa tradizionale?
No. Qui o là alcuni obbediscono al Papa, ma sono rari.

16. E per quanto riguarda i sacerdoti?
Sì, vedo un grande interesse da parte loro, ma molti di loro sono perseguitati. Occorre un coraggio straordinario per osare semplicemente applicare il Motu Proprio così com’è stato emanato. Certo, vi sono sempre più sacerdoti che si interessano alla Messa tradizionale, soprattutto tra le giovani generazioni. E questo è consolante!

17. Vi sono delle comunità che hanno deciso di adottare l’antica liturgia?
Forse ve ne sono diverse, ma ve n’è una che si conosca, in Italia, quella dei Francescani dell’Immacolata, che ha deciso di ritornare all’antica liturgia. Per il ramo femminile questo è già stato fatto. Per i sacerdoti che sono implicati nella vita delle diocesi la cosa non è sempre facile.

- 18. Cosa consiglia ai fedeli che, a partire dal Motu Proprio e grazie ad esso, hanno una Messa tradizionale più vicina per loro di quanto lo sia una cappella della Fraternità San Pio X?
Per prima cosa io consiglio di chiedere il parere dei sacerdoti della Fraternità, di non andare alla cieca a qualunque Messa tradizionale celebrata vicino a loro. La Messa è un tesoro, ma vi è anche il modo di dirla e tutto quello che l’accompagna: l’omelia, il catechismo, il modo di amministrare i Sacramenti… Ogni Messa tradizionale non è automaticamente accompagnata dalle condizioni richieste perché porti tutti i suoi frutti e protegga l’anima dai pericoli della crisi attuale. Dunque, si chieda prima consiglio ai sacerdoti della Fraternità. [Anche se è vero che vi sono state, specie ai tempi dell'indulto, Messe tridentine celebrate controvoglia da preti mandati a convertire i 'nostalgici' alle meraviglie conciliari, questa risposta di mons. Fellay è comunque opinabile poiché trasmette l'impressione che ci si preoccupi del proprio "fondo di commercio"; o, forse, di non contraddire analoghi concetti espressi, ma in modo molto piùsgradevole, dal suo collega Tissier de Mallerais. La Messa antica è positiva in sé, bonum diffusivum sui, come dichiara lo stesso Fellay nella risposta successiva; sicché queste cautele che raccomanda il Superiore della FSSPX lasciano un retrogusto di guerre di cappelle]

- 19. La liturgia non è l’elemento di fondo della crisi nella Chiesa. Lei pensa che il ritorno della liturgia sia sempre l’inizio di un ritorno all’integrità della Fede?
La Messa tradizionale ha una potenza di grazia assolutamente straordinaria. Lo si vede nell’azione apostolica, lo si vede soprattutto nei sacerdoti che ritornano ad essa, è veramente l’antidoto alla crisi. Essa è realmente molto potente, a tutti i livelli, quello della grazia, quello della fede… Penso che se si lasciasse una vera libertà alla Messa antica la Chiesa potrebbe uscire assai presto da questa crisi, ma nondimeno questo comporterebbe parecchi anni! [Amen!]

20. Da lungo tempo, il Papa parla della «riforma della riforma». Lei pensa che egli voglia tentare di conciliare la liturgia antica con la dottrina del Vaticano II, in una riforma che sarebbe una via di mezzo?
Ascolti, per adesso non se ne sa niente! Si sa che egli vuole questa riforma, ma fin dove andrebbe? E alla fine tutto sarebbe fuso insieme, «forma ordinaria» e «forma straordinaria»? Non è quello che troviamo nel Motu Proprio, che chiede che si distinguano bene le due «forme» e che non le si mischi: il che è molto saggio. Occorre aspettare e vedere, per adesso atteniamoci a ciò che dicono le autorità romane.
Caterina63
00domenica 20 febbraio 2011 01:08
[SM=g1740733] Breve riflessione agli ultimi aggiornamenti nell'intervista sopra riportata.... e che proseguirà in più parti....


Ammiro davvero mons. Fellay, si avverte davvero come sia ispirato dallo Spirito Santo, ne sono convinta.... il suo equilibrio dona saggezza alle risposte che da anche se, come fa notare la Redazione in nota blu al n.18 delle risposte, è umano che anche mons. Fellay si lasci ogni tanto trasportare da un partigianesimo lampante....  
 
Io credo fortemente che la FSSPX sia una sorta di "spina nel fianco" messa dalla Provvidenza a SOSTEGNO della Chiesa.... se imparissimo a vedere la resistenza aperta da mons. Lefebvre da questo aspetto, comprenderemo che combattiamo in fondo la medesima battaglia....e la stessa FSSPX oggi, si renderebbe conto che all'interno della Chiesa ci sono sempre stati, e sono in aumento, gruppi di fedeli, consacrati e laici, che SOFFRONO e vivono per il medesimo traguardo:  
- Anime da salvare, correggere la grave aspostasia che si è allargata nella Chiesa, ritornare al sano Catechismo, riscoprire il senso del Sacro, farci guidare DAI SANTI, perseverare nella vera fede, NUTRIRE FIDUCIA NEL VICARIO DI CRISTO E IN CRISTO STESSO perchè....per quanto sia vero che noi siamo STRUMENTI, alla fine trionferà ciò che vuole il Signore e non semplicemente ciò che "noi" riteniamo giusto o bello...  
 
Ma soprattutto è importante che cessino le discordie fra gruppi favorevoli alla TRADIZIONE SANA... che la si smetta di curare il proprio orticello e che ci si preoccupi di TUTTI, è importante che ciò che dottrinalmente sappiamo essere la COMUNIONE ECCLESIALE, RIDIVENTI UNA FORTE TESTIMONIANZA....  
 
Forza con le Corone del Rosario Wink  
la nostra Mater Ecclesiae non spetta altro che di esaudire le suppliche autentiche e private da ogni forma di egoismo....  
Rifugiamoci TUTTI in quel Costato aperto, in quel Cuore generoso, AFFOGHIAMOCI, come insegna santa Caterina da Siena, NEL SANGUE DI CRISTO, facciamolo ECCLESIALMENTE....CON PIETRO!


**************************************


Mons. Fellay e Assisi

Proseguiamo con la pubblicazione della più recente intervista del Superiore Generale della Fraternità S. Pio X. Il quale ipotizza una giustificazione 'geopolitica' nella decisione del Pontefice: poco a che vedere con l'ecumenismo, e molto più con un tentativo (che a mons. Fellay pare un po' disperato) di appeasement con un mondo maomettano aggressivo e violento. Che quello sia lo scopo soggiacente la scelta del Papa, è in effetti del tutto verosimile se si considera che, specie a margine del recente sinodo dei vescovi del Medio Oriente, il Santo Padre deve avere avuto piena contezza dei segni di un vero e proprio progetto di genocidio cristiano nei paesi a maggioranza araba; pulizia etnica, anzi religiosa, che i mass-media occidentali si sforzano di camuffare per evitare di alimentare ulteriormente l'animosità araba, ma che traspare chiaramente dal numero crescente di martiri della Fede: le bombe ai copti in Egitto, la caccia al cristiano in Irak, l'assassinio di don Santoro e del vicario apostolico in Turchia, pochi giorni fa lo sgozzamento del missionario polacco in Tunisia, ecc. Secondo il generale Lyautey, il "pacificatore" del Marocco e grande teorico delle guerre coloniali, la mentalità araba tende a percepire i gesti di buona volontà più che altro come segnali di debolezza; ma è comprensibile che il Santo Padre tenti di fare tutto quanto è in suo potere per proteggere i suoi figli perseguitati in terra islamica.
Sottolin. nostre.
Enrico


III – Assisi 2011

- 21. Il Santo Padre ha annunciato la prossima riunione di Assisi. Lei ha reagito nella sua omelia a Saint-Nicolas, del 9 gennaio 2011, e ha fatto sua l’opposizione che fu di Mons. Lefebvre in occasione della prima riunione di Assisi, 25 anni fa. Pensa di intervenire direttamente presso il Santo Padre?
Se me ne sarà data l’occasione e se essa potrà portare dei frutti, perché no?

- 22. È così grave chiamare le altre religioni ad operare per la pace?
Sotto un certo aspetto, e solo sotto tale aspetto, no. Chiamare le altre religioni ad operare per la pace – una pace civile – non è un problema; ma in questo caso non si tratterebbe del livello religioso, ma di quello civile. Non sarebbe un atto di religione, ma molto semplicemente l’atto di una società religiosa che opera civilmente in favore della pace. E non sarebbe la pace religiosa ad essere ricercata, ma la pace civile tra gli uomini. Invece, chiedere che in occasione di questa riunione si pongano degli atti religiosi è un’assurdità, perché tra le religioni vi è un’incomprensione radicale. In queste condizioni non si capisce cosa significhi tendere alla pace, quando non si è neanche d’accordo sulla natura di Dio, sul significato che si dà alla divinità. Ci si chiede veramente come si possa giungere a qualcosa di serio.

- 23. Si può pensare che il Santo Padre non intenda l’ecumenismo alla stessa maniera di Giovanni Paolo II. Non si tratterebbe di una differenza di grado nello stesso errore?
No, io credo che egli l’intenda alla stessa maniera. Egli dice proprio: «È impossibile pregare insieme». Ma bisogna vedere cosa intenda con questo esattamente. Ne ha data una spiegazione nel 2003, in un libro intitolato «La fede, la verità, la tolleranza, la cristianità e le religioni del mondo». Trovo che egli tagli il capello in quattro. Cerca di giustificare Assisi. Ci si chiede proprio come questo sarà possibile il prossimo ottobre.

- 24. Degli intellettuali italiani hanno manifestato pubblicamente la loro inquietudine sulle conseguenze di una tale riunione. Conosce altre reazioni all’interno della Chiesa?
Hanno ragione. Vediamo altre reazioni all’interno della Chiesa? Negli ambienti ufficiali, no. Da noi, evidentemente sì.

- 25. Vi sono state delle reazioni dalle comunità Ecclesia Dei?
Che io sappia, no.

- 26. Come spiega che il Santo Padre che denuncia il relativismo in campo religioso e che si era anche rifiutato di assistere alla riunione di Assisi del 1986, possa voler commemorare tale riunione reiterandola?
Per me è un mistero. Non lo so. Penso che forse egli subisca delle pressioni o delle influenze. Probabilmente è spaventato per le azioni anticristiane, le violenze anticattoliche: le bombe in Egitto, in Iraq. Forse è questa la ragione che lo ha spinto ad attuare quest’atto di una nuova Assisi, atto che non voglio chiamare disperato, ma che è stato posto in maniera disperata… Prova a fare qualcosa. Non mi stupirei se fosse così, ma non so niente di più.

- 27. Vi è la possibilità che il Santo Padre rinunci a questa manifestazione religiosa?
Non si sa molto bene come verrà organizzata. Bisognerà vedere. Suppongo che cercheranno di provare a minimizzarla, poiché, ancora una volta, per l’attuale Papa è impossibile che dei gruppi differenti possano pregare insieme quando non riconoscono lo stesso Dio. Ci si chiede quindi ancora e sempre cos’è che possano fare insieme!

- 28. Che devono fare i cattolici di fronte a quest’annuncio di un’Assisi III?
Pregare che il Buon Dio in un modo o in un altro intervenga perché la cosa non avvenga, e in ogni caso incominciare già a riparare.


Fonte: Sanpiox.it



***********  
 
Ora, mons. Fellay ammette due cose importanti:  
 
1- Chiamare le altre religioni ad operare per la pace – una pace civile – non è un problema; ma in questo caso non si tratterebbe del livello religioso, ma di quello civile. Non sarebbe un atto di religione, ma molto semplicemente l’atto di una società religiosa che opera civilmente in favore della pace. E non sarebbe la pace religiosa ad essere ricercata, ma la pace civile tra gli uomini.  
 
2- Cerca di giustificare Assisi. Ci si chiede proprio come questo sarà possibile il prossimo ottobre.  
 
appare dunque evidente che anche mons. Fellay "brancola nel buio"....ma NON chiude le porte ad una FUTURA COMPRENSIONE dell'evento... senza dubbio dipenderà molto da come l'evento avverrà, ma proprio per questo noi abbiamo fiducia in Benedetto XVI....  
inutile fasciarsi la testa non prima di essersela rotta anche se molti di noi ne hanno già avuta pessima esperienza...  
 
Personalmente, ripeto, avrei evitato  una "nuova Assisi", NON MI PIACE lo "spirito" senza il Santo....... ma credo molto anche nelle Profezie dei Santi....e nell'equilibrio del Vicario di Cristo... Laughing  
Benedetto XVI è ben cosciente di ciò che ha sempre affermato e lo ha detto chiaramento che non è possibile "pregare insieme".... ma al tempo stesso è diventato necessario e fondamentale che TUTTE QUELLE REALTA' CHE VANTANO UNA SORTA DI SPIRITUALITA', o chiamatela come vi pare, SI INCONTRINO perchè ciò che è attaccato oggi è LA RELIGIONE...  
 
Mons. Fellay, assai più ragionevolmente di talune risposte qui dentro, NON ESCLUDE AFFATTO l'azione del Pontefice, il problema che rimane aperto è IL COME AVVERRA'....E COSA SI DIRA'....  
e su questo PREGHIAMO!

Il Papa condanna il sincretismo, e noi gli crediamo, però si rifà Assisi che 25 anni fa fece scaturire il sincretismo nel mondo cattolico.... si può negare questo?, si può negare il pollo sacrificato sull'altare dedicato a santa Chiara e il Budda VENERATO sull'altare nella cripta di san Francesco? si può negare l'intercomunione condannata da Paolo VI e da Giovanni Paolo II?  
Il Papa dice chiaramente che in questi incontri interreligiosi che DEVONO RIMANERE UNA ECCEZIONE "non è possibile pregare insieme" ma ognuno è invitato a farlo per il bene della Pace....  
 
Amico mio che leggi questi dibattiti (posso? )  è in grado di spiegare ad una ignorante come me come ciò potrà avvenire senza rischiare il sincretismo o senza dover dire che "tutte le religioni sono uguali ed invocano lo stesso Dio?" altrimenti dovremmo ragionevolmente dire che NON preghiamo lo stesso Dio e dunque esistono altri dei? Se è si come la mettiamo con il Primo Comandamento?  
Prego, riflettiamo!  
Wink


segue ora l'ultima parte dell'intervista.... è un tantino provocatoria, ma utile....

Caterina63
00mercoledì 23 febbraio 2011 18:20

Mons. Fellay: "è necessario che giunga il trionfo del Cuore Immacolato della Santissima Vergine! ".

Pubblichiamo la seconda parte dell'intervista concessa da Mons. Fellay al Distretto degli Stati Uniti della FSSPX, il 2 febbraio 2011.

IV La beatificazione di Giovanni Paolo II?

29. L’annuncio della prossima beatificazione di Giovanni Paolo II pone un problema?

Un problema grave, quello di un pontificato che ha fatto fare dei balzi in avanti in senso negativo, nel senso del progressismo e di tutto ciò che si chiama «spirito del Vaticano II». Si tratta dunque della consacrazione, non solo di Giovanni Paolo II, ma anche del Concilio e di tutto lo spirito che l’ha accompagnato.

30. Vi è un nuovo concetto di santità dopo il Vaticano II?

C’è da temerlo! È un concetto di santità per tutti, di santità universale. Non è falso dire che vi è una chiamata, una vocazione alla santità per tutti gli uomini, ma è falso abbassare la santità ad un livello che lascia credere che tutti vadano in cielo.

31. Come potrebbero essere permessi da Dio dei veri miracoli per autenticare una falsa dottrina, in occasione delle molteplici beatificazioni e canonizzazioni fatte in questi ultimi anni?

È questo il problema: sono dei veri miracoli? Sono dei prodigi? Secondo me vi sono dei dubbi. Sono molto stupito della leggerezza con la quale si trattano queste cose, per quanto io possa saperne.

32. Se la canonizzazione impegna l’infallibilità pontificia, possiamo rifiutare i nuovi santi canonizzati dal Papa?

È vero che vi è un problema sulla questione delle canonizzazioni attuali. Tuttavia ci si può chiedere se nei termini utilizzati dal Sommo Pontefice vi sia una reale volontà di impegnare l’infallibilità. Per la canonizzazione, questi termini sono cambiati, e sono divenuti meno forti di un tempo. Penso che questo vada di pari passo con la nuova mentalità che non vuole definire dogmaticamente impegnando l’infallibilità. Tuttavia, riconosciamo che su questo ci troviamo su un terreno problematico… Non v’è risposta soddisfacente, se non quella dell’intenzione dell’autorità suprema di impegnare o meno la sua infallibilità.

33. Si può scegliere tra i nuovi santi proposti alla venerazione dei fedeli? Che ne è di Padre Pio?

Penso che non bisogna scegliere. Tuttavia, si possono sempre conservare i criteri che sono stati riconosciuti universalmente in passato, così, quando vi è una massiccia devozione popolare, come per Padre Massimiliano Kolbe o per Padre Pio, la cosa non dovrebbe presentare delle difficoltà. Ma, ancora una volta, in assenza di un giudizio del Magistero dogmaticamente enunciato, qui si tratta solo di opinioni.

34. Per Mons. Lefebvre, conosce degli esempi di grazie ottenute per sua intercessione?

Si, se ne conoscono, e perfino abbastanza. Ma non so se appartengono veramente all’ordine dei miracoli, forse per l’uno o l’altro caso. Quando si tratta di guarigioni non si hanno, a mia conoscenza, tutti i documenti medici necessari. Per intercessione di Mons. Lefebvre sono ottenute molte grazie, ma non mi spingo oltre.

V – La Fraternità San Pio X

35. La Fraternità ha appena festeggiato un importante anniversario. Come può riassumere questi 40 anni?

Una storia entusiasmante… lacrime, molte, in mezzo a grandi gioie. Una delle gioie più grandi è quella di constatare fino a che punto il Buon Dio ci permette di essere associati a molte delle beatitudini che ha predicato nel Discorso della Montagna, come quella di poter soffrire a causa del Suo Nome. E attraverso tutte le vicissitudini della crisi attuale, vediamo che quest’opera continua a crescere – cosa che, umanamente è prossima all’impossibile. È proprio il segno di Dio sull’opera di Mons. Lefebvre.

36. Vi è un aumento delle vocazioni? E se sì, quali sono le cause?

Credo che vi sia una grande stabilità. Amerei vedere più vocazioni. Penso che bisognerà rilanciare delle crociate per le vocazioni. Il mondo in quanto tale è molto ostile allo sbocciare delle vocazioni, è per questo che occorre provare a ricreare dappertutto un clima nel quale le vocazioni possano nuovamente sbocciare. In effetti vi sono molte vocazioni, ma spesso esse non riescono a maturare a causa di questo mondo materialista.

37. Ultimamente, in occasione del Congresso del Courrier de Rome, a Parigi, Lei ha parlato di una riunione di una trentina di sacerdoti diocesani in Italia, alla quale ha assistito. Cos’è che oggi i sacerdoti si aspettano dalla Fraternità?

Questi sacerdoti ci chiedono innanzitutto la dottrina, il che è un segno eccellente. Se essi vengono da noi è sicuramente perché vogliono la Messa antica, ma dopo la scoperta di questa Messa, essi vogliono dell’altro. E vogliono di più perché scoprono tutto un mondo che riconoscono essere autentico. Essi non hanno dubbi che si tratta della vera religione. E allora hanno bisogno di rinnovare le loro conoscenze teologiche. E non si sbagliano, e vanno direttamente a San Tommaso d’Aquino.

38. Questo movimento di sacerdoti che si rivolgono alla Fraternità è, per gradi diversi, lo stesso in tutti i paesi?

Vi sono certamente dei gradi diversi e anche delle cifre diverse a seconda dei paesi. Ma si ritrova un po’ dappertutto lo stesso fenomeno. Il sacerdote, in genere giovane, che si accosta alla Messa tradizionale, che scopre con grande entusiasmo questo tesoro, percorre pian piano un cammino verso la Tradizione, che alla fine lo rende del tutto tradizionale.

39. Ha la speranza che un tale interesse possa raggiungere certi vescovi, al punto da intravedere una futura collaborazione?

Noi abbiamo già dei contatti con dei vescovi, ma per adesso tutto è congelato a causa delle conferenze episcopali e delle pressioni circostanti, ma non c’è dubbio che in avvenire vi potrà essere una collaborazione con certi vescovi.

40. È pronto a tentare l’esperienza della Tradizione con un vescovo, a livello diocesano?

La cosa non è ancora matura, non siamo ancora a questo punto, ma penso che potremmo arrivarci. Sarà difficile, bisognerà valutare da vicino in che modo lo si possa realizzare. Sarà indispensabile che questo si faccia con dei vescovi che abbiano compreso realmente la crisi e che veramente vogliano saperne di noi.

41. I fedeli sono sempre più numerosi. Le cappelle si moltiplicano. Lo stato di necessità è sempre presente. Ha preso in considerazione la consacrazione di altri vescovi ausiliari per la Fraternità? Pensa che oggi Roma possa essere favorevole a delle consacrazioni episcopali nella Tradizione?

Per me, la risposta è molto semplice: vi saranno o non vi saranno dei vescovi a seconda che si verifichino o meno le circostanze che hanno prevalso per la prima consacrazione.

VI – L’espansione della Fraternità San Pio X negli Stati Uniti

42. Monsignore, abbiamo la gioia di vederLa spesso negli Stati Uniti. Le piace venirvi. Un commento?

Il mio commento è questo: io amo tutte le anime che il Buon Dio ci affida, e negli Stati Uniti non sono poche. Ecco tutto!

43. Ha già potuto incontrare il cardinale Burke?

Ho cercato di vederlo diverse volte, ma non l’ho ancora visto.

4. Sono stati numerosi i vescovi che hanno manifestato il loro sostegno alla Marcia per la Vita, uno di essi è anche intervenuto energicamente contro un ospedale che favorisce l’aborto. Vi è la speranza che essi comprendano che la crisi attuale tocca anche la Fede?

Io penso che, sfortunatamente, tra i vescovi attuali bisogna distinguere tra i costumi e la fede. Così che si potranno trovare più vescovi ancora sensibili ai problemi morali di quanti ve ne siano legati alle questioni della fede. Tuttavia, si può dire che se qualcuno difende con molto coraggio la morale cattolica, necessariamente deve avere la fede, e la sua fede ne sarà anche rafforzata… Questo è ciò che spero, pur riconoscendo che vi sono alcune eccezioni…

45. I vescovi americani vogliono rivedere insieme le direttive date da Giovanni Paolo II per le Università. Quali dovrebbero essere, secondo Lei, le misure urgenti da prendere per fare delle Università attuali delle vere Università cattoliche?

La misura urgente, la prima, è il ritorno alla scolastica. Occorre sbaragliare queste filosofie moderne, ritornare alla sana filosofia, alla filosofia oggettiva, realista. Come all’inizio del XX secolo, San Tommaso deve tornare ad essere la norma. Un tempo le 24 tesi tomiste erano obbligatorie. Occorre ritornarvi, è assolutamente necessario. E dopo questa restaurazione filosofica si potrà continuare con lo stesso slancio in teologia.

46. Mons. Robert Vasa de Baker (Oregon) ha recentemente ricordato che le dichiarazioni della Conferenza Episcopale non possono obbligare un vescovo nella sua diocesi. È questa una rimessa in questione della collegialità promossa dal Concilio?

Su questa questione della collegialità non è solo un vescovo che ha parlato. Il Papa stesso, rivolgendosi alla Conferenza Episcopale Brasiliana, ha usato delle parole molto forti, rimettendo al suo posto il ruolo della Conferenza Episcopale e insistendo sull’autorità personale dei vescovi e sulle loro relazioni dirette con il Santo Padre.

47. Il seminario di Winona è il più importante come numero di seminaristi. Come lo spiega?

Penso che questo sia dovuto, molto semplicemente, alla generosità di questo paese che si lascia facilmente entusiasmare per una buona causa.

48. Che fare per moltiplicare le vocazioni sacerdotali e religiose?

Pregare, pregare, pregare! E anche sacrificarsi.

49. Quali sono i punti importanti della Tradizione negli Stati Uniti?

Penso che vi sia questa generosità di cui ho detto prima, ed anche le scuole. Vero è che vi è un numero considerevole di sacerdoti e che ne servirebbero ancora di più, ma direi che ad essere indispensabili sono soprattutto le scuole. Occorre anche incoraggiare l’aiuto alle famiglie tradizionali. Occorre mettere in piedi un movimento per le famiglie, per sostenerle, per formarle. La famiglia è la prima cellula della società. Essa è fondamentale nell’ordine naturale e nell’ordine soprannaturale.

50. Qual è secondo Lei, Monsignore, l’importanza delle scuole?

È un’importanza capitale. È il futuro. La giovinezza sarà cattolica se ha ricevuto una buona formazione. E per questo ci servono delle scuole cattoliche.

51. Le famiglie numerose, perché generose, talvolta sono ridotte a fare la scuola a casa. Cosa raccomanda a quelle che hanno accesso a delle buone scuole?

Quelle che hanno accesso a delle buone scuole non esitino un istante: mandino i figli in queste scuole! La scuola in casa non sostituirà mai una buona scuola. Naturalmente la cosa diversa è se non vi sono buone scuole.

52. Pensa, Monsignore, di indire una nuova crociata del Rosario? Cosa raccomanda oggi ai fedeli?

Sì! La situazione del mondo, la situazione della Chiesa – lo si vede proprio – continua ad essere molto cupa, anche se vi sono dei bagliori di speranza, e questi elementi angoscianti ci obbligano più che mai a raddoppiare l’intensità nella preghiera, nel ricorso alla Santa Vergine. Oggi per i fedeli è indispensabile la preghiera, la preghiera in famiglia, rinnovata, frequente, accompagnata da ciò che forma l’anima cristiana: lo spirito di sacrificio.

VII – Per concludere

53. Monsignore, il prossimo anno Lei festeggerà 30 anni di sacerdozio, di cui 20 a capo della Fraternità San Pio X. Quali sono stati gli avvenimenti più importanti in tutti questi anni?

È tutto un romanzo!… Sicuramente, bisogna citare per primo le consacrazioni! Come avvenimenti importanti figurano anche la gioia di essere stato vicino a Mons. Lefebvre, la gioia di essere stato vicino a Don Schmidberger, e di aver imparato molto al loro fianco; anche la gioia di aver potuto lavorare con gli altri vescovi della Fraternità, come anche con tutti i nostri sacerdoti in un grande slancio di zelo per la Fede, per il mantenimento della Chiesa cattolica.

54. Un auspicio per gli anni a venire?

Che la Chiesa ritrovi i suoi binari! È un’immagine, ma è veramente il nostro augurio. E per questo è necessario che giunga il trionfo del Cuore Immacolato della Santissima Vergine! Ne abbiamo tanto bisogno!

Grazie, Monsignore, per aver accettato di rispondere a questa intervista.

Intervista raccolta nel seminario San Tommaso d’Aquino di Winona, USA, il 2 febbraio 2011,
nella festa della Presentazione di Gesù e della Purificazione della Santissima Vergine

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ATTENZIONE, a riguardo della beatificazione di Giovanni Paolo II vi invitiamo a leggere anche una fonte non lefebvriana....

"Semina Verbi"  e 

Tutti i Papi da canonizzare?


Chiarimenti sul DIALOGO INTERRELIGIOSO e l'incontro ad Assisi

Caterina63
00venerdì 1 aprile 2011 12:38

Proposta di ordinariato per regolarizzare la FSSPX

E' apparso ieri su Disputationes Theologicae, blog dell'Istituto Buon Pastore, un denso articolo di riflessione sull'attualità dei rapporti tra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X. Ne riportiamo un estratto. Offre molti spunti di riflessione, pur nella forte polemicità di toni. Probabilmente ciò deriva da esasperazione; è ben vero che gli Istituti Ecclesia Dei in questa fase ecclesiale han fatto un po' la parte della Cenerentola: Roma fino ad oggi è stata colpevole, bisogna ben dirlo, nel non averli sostenuti di fronte alle angherie di ogni genere cui sono sottoposti dai vescovi; e chi vi scrive ne ha avuto esperienza diretta, come contiamo di riferirvi prossimamente.
Comunque, le notizie che l'articolo riporta sono sostanzialmente due. Il primo: il fallimento dei colloqui dottrinali. Voce già diffusa da John Allen, il celebre vaticanista americano, dall'abbé de Caqueray, Superiore del Distretto francese della FSSPX, e da un gongolante mons. Williamson, in una delle sue 'encicliche' settimanali. Su questo punto, peraltro, vi sono anche voci che inquadrano la situazione sotto un profilo più ampio e positivo, come riferiremo in un prossimo post.
Ma la notizia senza dubbio più importante e confortante è questo progetto di ordinariato che, come è di tutta evidenza, rappresenterebbe una benedizione per la FSSPX, poiché consentirebbe alla stessa di mantenere l'attuale indipendenza di movimento, di azione e di catechesi, pur ricevendo finalmente la regolarizzazione canonica, in modo da perdere quello stigma di esser fuori della Chiesa che, oggettivamente, limita in larga misura la sua capacità di penetrazione pastorale. Di questa generosa proposta romana (che attesterà l'amore del Santo Padre per l'unità e il suo coinvolgimento affinché la Tradizione ritrovi piena cittadinanza nella Chiesa;ci sentiamo in grado di fornire conferma, poiché ne siamo al corrente da circa un mese da fonte attendibile; non ne abbiamo parlato finora perché vincolati alla discrezione. Ma ormai la notizia è pubblica.

Enrico




I colloqui dottrinali tra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X, non é più un mistero nemmeno per gli ostinati, non vanno nel senso sperato. I toni entusiasti si sono spenti e le belle speranze sembrano infrante, da un lato e dall’altro. Oltretevere sono tornate in voga espressioni che non si sentivano più da qualche tempo: alcuni dicono a chi orecchie per intendere che “la Fraternità San Pio X è allo scisma, è fuori della Chiesa”. Eppure dopo due anni di regolari discussioni bisognerà pur trovare il modo di uscirne decorosamente. Le soluzioni possibili non sono moltissime, secondo la più plausibile Roma prima dell’estate dovrebbe proporre a Mons. Fellay la sottoscrizione di un documento e con esso si offrirà la struttura canonica ideale, quella dell’Ordinariato personale con l’esenzione dai Vescovi diocesani.
[..]
Dal 2009 parte il progetto dei colloqui fra i due schieramenti, come quando nel Medioevo s’affrontavano scotisti e tomisti, ma stavolta sarà in segreto. La Fraternità s’affretta tuttavia a ricordare che “sulla verità non si discute quindi non si faranno compromessi ”. Sceglierà quindi i suoi rappresentanti secondo un criterio che sembra essere più quello dell’austera rigidità che quello dell’affabile diplomazia. I teologi di Ecône attraverseranno le Alpi a più riprese, per aiutare Roma a convertirsi: “noi non andiamo a Roma per fare un accordo, perché non c’è accordo possibile tra la verità e l’errore. Roma deve convertirsi. E allorquando si sarà convertita, allora decadranno gli ostacoli all’accordo canonico”. Né mons. Fellay ha mai preso le distanze da tali proclami impresentabili, essendo proferiti da chi lui stesso aveva scelto per discutere “rispettosamente” con la Santa Sede Apostolica.

Roma sembra cedere sulla “scaletta” e si impegna in questi colloqui teologici, con intenti comprensibilmente più diplomatici che scientifici. La conseguenza, come da constatazione ormai comune, é che tutta la problematica del rito tradizionale e della Tradizione in generale, non viene risolta con un concreto aiuto sul piano canonico a chi è già canonicamente riconosciuto, così incoraggiando veramente la Fraternità; al contrario si concentra il problema solo intorno al “caso” della Fraternità San Pio X. In fondo è meno impegnativo anche per Roma e si potrà sempre dire che sono dei turbolenti scismatici. Dalla decisione, che tradisce tutta una forma mentis, deriva, all’atto pratico, uno squilibrio assai poco sensato, per cui la stessa Commissione Ecclesia Dei - e con essa chi ne dipende - invece d’essere potenziata e sostenuta nella sua opera, é ridotta ad essere un diverticolo della Congregazione per la Dottrina della Fede. Tutta la sua attività e il suo ruolo sono quindi, almeno apparentemente, ridotti a favorire il buon esito degli incontri col “partito intransigente” della Fraternità. Capisca chi può, ma il risultato é grottesco : tutto la “questione tradizionale” é oggi sospesa ai capricci dell’ “ala dura” della Fraternità San Pio X. E i vescovi hanno campo libero nel non sentirsi chiamati in causa dall’affare, perché bisogna aspettare - dicono – che Roma regoli definitivamente la questione; al punto tale che L’Osservatore Romano si permette di mettere in dubbio l’ortodossia di tutti gli istituti dipendenti dall’Ecclesia Dei, gettando su di essi - e sulla Commissione - il discredito. La situazione é dunque legata alle future scelte di Mons. Fellay, che, dopo aver disprezzato il profilo pratico, si ritrova ad essere padrone della situazione e a bloccare - in pratica - lo sviluppo dei tanto odiati “traditori”, come con disprezzo vengono definiti tutti coloro che hanno fatto la scelta di affidarsi a Roma e che sono caduti nel terribile peccato di “accordismo”. [..]
In questo strano panorama eccoci ormai giunti alla fine dei colloqui, dopo due anni. Ci sono stati degli incontri, alcuni dei quali in un clima piacevole, ma, tra discussioni e pasti amichevoli, evidentemente, nessuna soluzione. Né gli uni né gli altri si sono convertiti. La Santa Sede vorrebbe assolutamente che si interpretassero i testi conciliari e successivi in armonia con la Tradizione, asserendo un’evoluzione omogenea; la controparte sostiene invece che certi contenuti conciliari sarebbero eretici (o come minimo favens haeresim), bisognerebbe quindi escluderli preliminarmente dal Magistero, e con essi buttare a mare l’intero Concilio che li ha prodotti. Sarebbe questa la “conditio sine qua non” per ogni accordo. Accontentarsi d’esprimere riserve teologiche, rimettendo il giudizio ultimo alla Santa Sede - come ha fatto il Buon Pastore -, sarebbe un tradimento. I contenuti ereticali sarebbero numerosi, a dire della Fraternità, ma l’elenco completo a tutt’oggi non é dato conoscere in maniera definitiva. E questo perché, in fondo in fondo, anche la Fraternità San Pio X sa che i testi conciliari sono più ambigui che eretici, ma per ammetterlo bisognerebbe accettare d’essere accusati di “liberalismo” dalla sua “ala dura”, secondo un vocabolario che essi stessi hanno adattato alla situazione.

L’esito dei dibattiti non ha portato ad alcuna ricucitura : i “romani” lasciano correre la voce che i teologi della Fraternità non hanno il livello richiesto e la loro formazione neo-tomista li ha fossilizzati sulle posizioni e sul linguaggio del 1930. L’accusa può non essere del tutto priva di fondamento, ma sembra un modo rapido, troppo rapido, per evitare di riconoscere i problemi dottrinali che realmente affliggono la Chiesa da almeno quarant’anni. I teologi d’Ecône, dal canto loro, sembra accusino i “romani” d’essere talmente impregnati di “nouvelle théologie” che tutte le loro formule, anche le più tradizionali, non sono condivisibili, perché possono sempre nascondere, sotto termini “accettabili”, nozioni moderniste...la qual cosa renderebbe le frasi ancor più pericolose. Un altro metodo poco corretto d’evitare un vero confronto, sebbene anch’esso possa contenere elementi di verità, atteggiandosi - senza gran rischio - a difensori inflessibili dell’ortodossia.

Ci si ritrova ora in un’impasse per aver preteso una soluzione “dottrinale”, senza accontentarsi di chiedere reali garanzie per poter attuare serenamente quella che Mons. Lefebvre - in modo ben più saggio e ponderato - aveva definito “l’esperienza della Tradizione”. Si è voluto strafare, si è voluto “convertire Roma”. Ora che Roma non vuol lasciarsi convertire siamo alle soglie di una rottura, cui si darà l’altisonante nome di “dottrinale”, ma che in realtà sarà soprattutto il risultato d’un grave errore di superbia e di imprudenza.

La Santa Sede cercherà lo stesso una via d’uscita e proporrà probabilmente un ordinariato personale (o qualcosa di simile). A quel punto la Fraternità dovrà scegliere e non ci saranno che due alternative: entrambe tuttavia migliori della terza, l’equivoco continuo.

Nel primo caso accetterà lo statuto canonico che le sarà proposto. In tal caso, senza rinnegare le giuste battaglie condotte nel passato dovrà realmente lasciare certa psicologia sedevacantista o gallicana, con le sue tendenze da “pétite église”. Dovrà anche entrare in un ordine d’idee per cui i vescovi diocesani non sono sistematicamente da trattarsi con disprezzo, quasi fossero automaticamente dei nemici della Chiesa solo perché dicono la Messa di Paolo VI. Purtroppo gli ultimi eventi di Francia, con le sconcertanti dichiarazioni dei più autorevoli superiori della Fraternità, lasciano credere che sia già troppo tardi per sperare un cambiamento di toni. In ogni caso una tale scelta sarebbe in fin dei conti un accordo pratico, o “canonico” se si preferisce, ma nel punto a cui si è giunti e a forza di tirare la corda in tutti i sensi, esso è divenuto oggi ben più problematico rispetto a qualche anno fa.

Nell’altro caso la Fraternità rifiuterà le proposte del Pontefice, in questo caso si troverà una spiegazione ideale e si parlerà dell’impossibilità di trovare un accordo dottrinale sui testi del Concilio. Mons. Fellay dovrebbe però, per dovere di giustizia e per amor di verità, assumersi la responsabilità delle sue scelte e riconoscere che quell’accordo dottrinale - che all’epoca Roma non gli aveva chiesto - è fallito: e che proprio a causa di quelle esose richieste la situazione si è fatta oggi più complicata di ieri. Tuttavia anche questa scelta avrebbe un lato positivo, quello di finirla con le ambiguità e la doppiezza di linguaggio. Sarebbe la posizione più coerente con le ultime prese di posizione all’interno della Fraternità, che dopo l’annuncio d’Assisi III, la beatificazione di Giovanni Paolo II e le dichiarazioni del Papa sul profilattico, gridano allo scandalo e affermano che la conversione richiesta a Roma non si è avuta. Lo stato di cose ne uscirebbe chiarito : chi vorrà restare “romano” saprà finalmente cosa dovrà fare e, pur dolorosamente, non gli resterà altro che lasciare la Fraternità al vortice impazzito degli “zelanti”. Roma dirà che la Fraternità ha abbandonato definitivamente la Chiesa e già in questi giorni a Roma si riparla di grave attitudine scismatica. Ma lamentarsi dello scisma non sarà facile, quando di fatto si è resa non universalmente possibile, sicura e serena quell’esperienza della Tradizione, che non si è voluto tentare sul serio con gli organismi già esistenti. La debolezza di Roma è diventata cronica, tanto che una norma applicativa sul Motu Proprio, che doveva uscire nel gennaio 2008, forse prenderà il volo nella primavera 2011. Al tempo stesso ci si getta in faraonici progetti d’accordo con l’ “ala dura” della Fraternità, quando non si è nemmeno capaci di difendere chi l’accordo canonico l’ha già fatto. Quando si lascia cacciare da una diocesi un istituto tradizionale, riconosciuto canonicamente, solo perché ha osato insegnare un po’ di catechismo a qualche bambino, quando il “piano pastorale diocesano” preferisce affidare incarichi parrocchiali ad un gruppo di laici piuttosto che ad un prete con la tonaca perché “sarebbe assimilato ai lefebvriani”, quando capita ripetutamente che gli organizzatori della Messa gregoriana subiscano continue minacce e pressioni e si sentano costretti a dire cose che in coscienza non pensano, per potere ottenere (o per paura di perdere) l’instabile “concessione” - nel silenzio generale - è quantomeno difficile spiegare a quei genitori, a quei seminaristi e anche a quei preti che è meglio abbandonare la posizione, per certi versi confortevole e facile, rappresentata dalla Fraternità San Pio X.

Adesso sta a Roma prendere l’iniziativa e sta a Roma di non lasciarsi imporre una “pratica” linea d’azione da Mons. Fellay. Non si chiede la luna, si chiede di poter fare seriamente, ovunque e con tranquilla sicurezza, quella che Mons. Lefebvre chiamava “l’esperienza della Tradizione”. Che Roma dia almeno questa possibilità a chi già vuol farla sotto l’Autorità del Papa! Chi vuol combattere per il bene della Chiesa sia il benvenuto, se la Fraternità vuol esserci sappia che tutti l’attendono. Altrimenti sappia che il Vicario di Cristo ha gli strumenti che il Divino Fondatore gli ha dato per “salvare la Chiesa” nella crisi che essa attraversa. Non ha bisogno, per risollevare le sorti della “barca che prende acqua da tutte le parti”, di chi si crede indispensabile. Pur nel doveroso ossequio al primato della verità, è pur sempre la Chiesa che ci salva e non siamo noi, per quanto inflessibili e puri possiamo essere, a salvare la Chiesa.



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Ancora sui colloqui con la FSSPX e l'ordinariato tradizionale


Su Summorum Pontificum observatus è stata pubblicata una risposta all’articolo di Disputationes inerente lo stato dei colloqui coi lefebvriani e la proposta di un ordinariato. Questo commento, che traduciamo dal francese, si intitola "Voci infondate sul fallimento delle discussioni tra Roma e la FSSPX". Non intendiamo ora addentrarci nella valutazione dello stato di queste discussioni dottrinali, anche se non v’è dubbio che l’articolo che segue pone in una prospettiva più ampia lo svolgimento di quei colloqui e vi trova aspetti, risvolti e conseguenze innegabilmente positive; da segnalare anche l’accenno dell’articolista che ravvisa, tra i fomentatori di quelle voci sull’andamento negativo dei colloqui, "una minoranza attiva di preti francesi della FSSPX ostili a un riconoscimento canonico": una fronda interna, insomma, della quale sembrano far parte, purtroppo, anche il superiore del distretto di Francia e il vescovo Tissier de Mallerais (quello che accusa la teologia di Ratzinger niente meno che di "supermodernismo": link).
Noi vogliamo piuttosto sottolineare che anche questo articolo conferma quanto abbiamo riportato (sopra la riga degli asterischi, nota mia), ossia che è allo studio la proposta di offrire alla FSSPX una soluzione canonica tipo ordinariato; addirittura, ci dice, si parla di questo progetto Roma dalla fine del 2010.
Enrico 
 

Il sito Disputationes Theologicae, diretto da membri dell’Istituto del Buon Pastore e di eccellente tenore, ha appena pubblicato un articolo umorale dal titolo: "Il fallimento dei colloqui tradizionali con la Fraternità S. Pio X e la questione di un ordinariato tradizionale"

L’articolo, dal tono molto duro, cosa che certamente si spiega da parte di un "fratello nemico" molto vicino, si può riassumere dicendo che ha un triplice oggetto:

1 / L’articolo riporta voci secondo le quali i colloqui organizzati dalla Commissione "Ecclesia Dei", nel quadro della Congregazione per la Dottrina della fede, sarebbero notoriamente un " fallimento " che farebbe apparire a tutti che la Fraternità è scismatica. Voci infondate: l’autore dell'articolo ha mal interpretato le informazioni che ha raccolto (a cui si aggiungono anche le voci che vengono da una minoranza attiva di preti francesi della FSSPX, ostili a un riconoscimento canonico). In realtà, sembra che il tono dei rappresentanti della FSSPX sia parso "rigido". Ma entrambe le parti hanno accolto con vero favore che le discussioni siano state franche e che abbiano consentito di a conseguire l'obiettivo, in fondo modesto, assegnato loro: determinare precisamente quali erano i punti controversi e e conoscere la dottrina della FSSPX su questi punti.

2 / L’articolo sembra dare una notizia inedita: una soluzione canonica vantaggiosa sarà proposta (si afferma "prima dell'estate") alla FSSPX, tipo ordinariato, che garantirà l'indipendenza d'azione contro i vescovi. In effetti, questa informazione contraddice parzialmente le voci sul fallimento delle discussioni [in effetti: ce ne fossero, di fallimenti che conducono a risultati del genere!], ed è nota da molto tempo. È ben noto a Roma, a partire dalla fine dello scorso anno, che il Papa tiene personalmente a proporre di nuovo una soluzione di questo tipo al Vescovo Fellay.

3 / Infine, a giusto titolo:

- L’articolo si lamenta del fatto che questi colloqui non abbiano risolto il merito del problema del Vaticano II. Ma questi colloqui si sono svolti. Il che, insieme ad altri eventi (la pubblicazione del libro-avvenimento di mons. Gherardini sulla non infallibilità del Concilio, il notevole libro storico di Roberto De Mattei sulla storia del Vaticano II che riabilita il ruolo della minoranza del Concilio, il Simposio sul tema dei Francescani dell'Immacolata, ecc.), dimostra che ormai "la parola è liberata" e che questo lavoro di riaggiustamento a proposito del Concilio potrà ora continuare all'aria aperta.

- L’articolo si lamenta del fatto che una soluzione molto vantaggiosa per la FSSPX penalizza gli istituti "Ecclesia Dei", che non hanno, a differenza della FSSPX, dei propri vescovi, e che sono soggetti per il loro apostolato e le loro ordinazioni alla buona volontà dei vescovi "ufficiali". Questo è vero, e sarebbe, in effetti, opportuno pensare, come era stato fatto a Roma alla fine del pontificato di Giovanni Paolo II, a soluzioni canoniche in questo senso (attraverso, in pratica, la nomina di vescovi specifici).

Si può soprattutto sottolineare che una "sfida", come si dice, e che una notevole responsabilità, pesano oggi sulle spalle del Papa e di mons. Bernard Fellay i quali, de facto, potranno porre in essere un atto la cui importanza per tutta la Chiesa sarà nella stessa direzione, quanto alle sue conseguenze pratiche, del Motu Proprio Summorum Pontificum.





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