Diritto umano e Diritto naturale

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Caterina63
00venerdì 28 novembre 2008 20:26
Diritti umani e diritto naturale
La lezione di re Mida


In occasione della giornata inaugurale del master in bioetica del Pontificio Ateneo Regina Apostolorum a Roma, ha tenuto una relazione l'arcivescovo presidente della Pontificia Accademia per la Vita e rettore della Pontificia Università Lateranense. Ne pubblichiamo un estratto.

di Rino Fisichella

Mida, il mitico re della Frigia, un giorno incontrò nel suo giardino il vecchio Silene, precettore di Dioniso. Il vecchio, alquanto brillo, era caduto dalla groppa del suo asino e girando per il giardino si smarrì. Il re Mida, consapevole di chi avesse dinanzi lo ospitò con grandi onori per ricondurlo poi a Dioniso.
In segno di riconoscenza per il suo aiuto, Dioniso chiese al re in quale modo avrebbe potuto ricompensarlo. Noto per la sua avidità, il re chiese che diventasse oro tutto ciò che avrebbe toccato; la sua richiesta fu prontamente esaudita. Re Mida fu felice: tutto ciò che toccava diventava davvero oro. Ben presto però si accorse di quanto infausta fosse stata la sua richiesta; diventava oro, infatti, anche ciò che portava alla bocca, ogni sorta di cibo e di bevanda.
Per non morire di fame e di sete, il re ritornò dal dio Dioniso chiedendogli di accogliere la sua rinuncia al dono ricevuto. Fu accontentato a patto di lavarsi prima nelle acque del fiume Pattolo che, da quel giorno, fu ricolmo di pagliuzze d'oro.

Sappiamo che nella mitologia antica Dioniso rappresenta tutto ciò che vi è di istintivo, sensuale e irrazionale nella vita; non è un caso, quindi, che l'incontro con l'avidità di Mida abbia prodotto una miscela di morte. Il mito antico è una parabola per l'uomo contemporaneo. Se si vuole procedere sulla strada che tutto ciò che si vuole venga riconosciuto come un diritto, alla fine non resterà che dichiarare la morte per incapacità a formare una società.
Chiuso in se stesso, l'uomo non potrà andare troppo lontano; la linfa per vivere gli è data dalla relazionalità, senza della quale non rimane che la più oscura solitudine e, quindi, la sterilità per non poter generare con l'inevitabile conclusione della fine per la vita.
Re Mida dovette compiere un gesto simbolico: il bagno nelle acque del fiume. La stessa cosa sarà necessaria per il nostro contemporaneo se vuole sopravvivere; avrà bisogno di purificazione e di rinuncia. È una strada che non si vuole percorrere per la presunzione di non aver nulla di cui privarsi che non sia un proprio diritto; eppure, senza questa rinuncia è difficile vedere un reale futuro per la società. Il diritto è fondamentale, ma l'avidità per averne sempre di più conduce all'autodistruzione. Il momento di saper discernere ciò che vale e porta progresso genuino da quanto, invece, è solo frutto del desiderio e di una visione ideologica solipsistica è improrogabile.

Il tema dei diritti umani si coniuga con una visione antropologica che ne determina l'orizzonte interpretativo. Ciò comporta la centralità della persona come essere relazionale. Nessun uomo è un'isola non è solo il titolo di un felice romanzo di Thomas Merton. Indica, giustamente, la verità sottesa alla visione dell'uomo che porta ognuno naturalmente ad entrare in relazione con altri per formare una società di persone.
Le stesse neuroscienze, nel momento in cui indagano il mistero dell'esistenza racchiusa nella mente umana, giungono alla conclusione che l'uomo trova nella relazione interpersonale e sociale il suo spazio vitale. Da soli e rinchiusi in noi stessi non potremmo produrre molto; il linguaggio non esisterebbe, la scienza non sarebbe mai nata né il pensiero avrebbe mai avuto uno sviluppo logico.

Queste semplici realtà, per restare solo nelle esemplificazioni, richiedono l'apertura di noi stessi all'altro come luogo del confronto e della complementarità. Questa relazionalità non si conclude con il proprio simile, ma si apre alla trascendenza; in forza di questa apertura, infatti, ognuno riconosce l'altro come depositario della stessa dignità, perché tutti racchiusi nello stesso abbraccio di un Dio che ama e crea. La centralità della persona, quindi, non annulla l'individuo né umilia la coscienza; al contrario, ne esalta le qualità e ne eleva lo sguardo.
Viviamo un periodo che permette di verificare le grandi conquiste della scienza e della tecnica. L'uomo in questa visione non si sente più intimamente legato alla natura come nel passato; il fatto di poter intervenire in essa e di produrre qualcosa di impensabile nel passato, come ad esempio la clonazione, porta come conseguenza ovvia un mutato atteggiamento nei confronti della natura e dell'uomo stesso. La vita diventa un prodotto da laboratorio, non più un dono della natura o il frutto della provvidenza.

La tentazione che sovrasta costantemente il nostro tempo - in maniera esplicita o implicitamente - è quella di raggiungere un uomo perfetto in tutte le sue componenti; quanti non rientrano più in questo schema devono trovare altre alternative siano esse la soppressione prima della nascita con una evidente selezione eugenetica, l'emarginazione sociale o l'interruzione della vita prima del suo fine naturale. Non bisogna essere nemici della scienza e del progresso per verificare che questo stato di cose non è frutto della fantasia, ma purtroppo realtà dei nostri giorni.
Quale possa essere la reazione dell'uomo comune dinanzi a queste scoperte è facile indovinarlo; da una parte, emerge un tratto di meraviglia ed entusiasmo per le possibili mete che possono essere raggiunte e che produrranno non solo un prolungamento della vita, ma anche una sua migliore qualità; dall'altra, tuttavia, non è esclusa una sorta di paura sempre sottesa quando ci si trova dinanzi a qualcosa di misterioso ed enigmatico che non si riesce a controllare fino in fondo e non si lascia pienamente dominare.

Il giudizio etico, a questo punto, diventa più problematico perché la nuova visione della natura e dell'esistenza personale traccia mete finora inesplorate e la prospettiva ideologica si lascia difficilmente guidare dalla ragione che ricerca il vero bene.
Sottoposta a una pressione comunicativa, spesso legata a interessi economici, la ragione personale non sempre trova la giusta via per il proprio giudizio. Accade così che la notizia può essere manipolata e la verità fatta dipendere non più in relazione al bene, ma ai sondaggi di opinione.
In un simile contesto, appare sempre più evidente quanto sia necessario ritrovare la strada perché laici e cattolici alla luce di un dialogo fecondo possano produrre un pensiero comune al di là delle differenze. Dovremo convincerci tutti, presto o tardi, che esiste un ordine nella creazione e questo fondamento va rispettato e custodito; preservare la natura non può essere il desiderio di pochi, ma la responsabilità di tutti. Il progresso della scienza, d'altronde, è veramente tale quando i risultati raggiunti non sono mai a danno dell'uomo, ma una sua salvaguardia. Ricerca e conquista scientifica, quindi, o si coniugano con i principi etici fondamentali che regolano l'ordine della natura e della vita personale o sono destinate al fallimento.

È urgente, a nostro avviso, recuperare in modo serio il tema della legge naturale come il principio a cui ricorrere, in una società laica e pluralista, per la rinnovata fondazione dei diritti dell'uomo. Questa legge diventa garanzia di libertà e fondamento per un giudizio etico che si relazioni al vero e al bene senza lasciarsi imbrigliare nelle secche del positivismo. Questa legge è ciò che consente di affermare che i diritti a cui facciamo appello non sono un'invenzione dovuta all'ingegno degli uomini di epoche storiche remote, ma la riscoperta perenne che ogni generazione compie di un contenuto che le viene offerto come puro dono. Quanto più cresce la conoscenza del creato e dell'uomo in esso e tanto più si tocca con mano il mistero che circonda la natura e l'esistenza personale. Più la scienza progredisce nel suo indagare sull'universo con le sue forme e maggiormente si scopre l'inadeguatezza dello strumento per entrare fino in fondo nel cosmo.

Se si vuole, la stessa osservazione può valere per il diritto. "Forse nessuna epoca meno della nostra - scriveva Sergio Cotta nel 1987 - ha saputo che cosa sia il diritto. È il comando del potere oppure la decisione dei giudici; una pluralità di ordinamenti chiusi oppure una unità sistematica; una prescrizione esteriore oppure comunitaria o, addirittura, interiore; l'imperativo della storia dello Spirito oppure dei rapporti di produzione?".
L'interrogativo non può rimanere senza risposta; obbliga in qualche modo a fare chiarezza, ma soprattutto a cercare di individuare la fonte stessa del diritto e il suo fondamento inalienabile. Se il diritto si limitasse a un accordo tra gli individui oppure a una convenzione tra gli Stati o a una ratifica di privilegi e obblighi da parte dei cittadini saremmo sempre all'insegna dell'arbitrarietà. Con ragione Benedetto XVI ha potuto affermare: "È opportuno ricordare che ogni ordinamento giuridico a livello sia interno che internazionale, trae ultimamente la sua legittimità dal radicamento nella legge naturale, nel messaggio etico inscritto nello stesso essere umano. La legge naturale è, in definitiva, il solo valido baluardo contro l'arbitrio del potere o gli inganni della manipolazione ideologica. La conoscenza di questa legge iscritta nel cuore dell'uomo aumenta con il progredire della coscienza morale" (Discorso ai partecipanti al congresso internazionale sulla legge morale naturale, febbraio 2007).

Per parlare con coerenza del "diritto naturale" è necessario far riferimento alla "legge naturale" di cui rappresenta il contenuto oggettivo. Nelle sue determinazioni fondamentali, questo diritto è immutabile, ma la consapevolezza del suo valore storico, dei contenuti che esprime e dell'incidenza che questi hanno presso i singoli e le società matura con il crescere della coscienza etica che non può fermarsi mai, pena l'interruzione stessa del progresso spirituale dell'umanità.
La legge naturale non è un'invenzione cattolica come qualcuno vorrebbe semplicisticamente liquidare per non affrontare nei termini dovuti l'importanza e l'attualità del tema. Dietro questa espressione si nasconde la maturazione della ragione umana in diverse epoche storiche nel suo tentativo di saper cogliere il reale e poter dare risposta intelligente ai permanenti interrogativi che essa pone.
Le prime esperienze filosofiche, d'altronde sono legate alle domanda sulla natura; prima di qualsiasi altra questione, la ragione ha dovuto cercare di rispondere proprio all'interrogativo su cosa fosse la physis, la natura, termine equivoco eppure fondamentale per comprendersi. Bisogna ritornare ai libri della Fisica e della Metafisica di Aristotele per trovare un primo abbozzo articolato del concetto: "Natura è un principio e una causa del movimento e della quiete in tutto ciò che esiste di per sé e non per accidente" (Fisica, ii, 1); in altre parole, la natura è la generazione di tutto ciò che ha vita e si sviluppa.

Il termine physis viene fatto derivare dal verbo phyein che indica tutto ciò che viene generato, che nasce e che cresce; insomma, ciò che ha forma e sostanza è racchiuso nel termine "natura". Per avere una visione ancora più elaborata della legge naturale, si deve prendere tra le mani il famoso testo di Cicerone: "La legge naturale è la diritta ragione, conforme a natura, universale, costante ed eterna, la quale con i suoi ordini invita al dovere, con i suoi divieti distoglie dal male. Essa non comanda né vieta invano agli onesti pur non smuovendo i malvagi. A questa legge non è lecito fare alcuna modifica né sottrarre qualche parte, né è possibile abolirla del tutto; né per mezzo del Senato o del popolo possiamo affrancarci da essa né occorre cercarne il chiosatore o l'interprete. E non vi sarà una legge a Roma, una ad Atene, una ora, una in seguito; ma una sola legge eterna e immutabile governerà tutti i popoli in tutti i tempi, e un solo dio sarà come la guida e il signore di tutti: lui, appunto, che ha concepito, redatto e promulgato questa legge; alla quale l'uomo non può disobbedire senza fuggire da se stesso e senza rinnegare la natura umana, e senza per ciò stesso scontare gravissima pena, quand'anche sfuggisse le punizioni ordinarie" (La Repubblica, 3, 22, 33).

Le parole di Cicerone non hanno bisogno di particolare commento; ciò che il romano scriveva, trova riscontro nel filosofo greco e lo stesso può essere ritrovato in Israele sotto l'espressione "legge di Dio".
Nella concezione biblica, il diritto non si limita alla sola legge. Esso è concepito come un ordine che Dio stesso ha posto nel creato e ha stabilito per il suo popolo perché impari a trovare la sua volontà e metterla in pratica come premessa e condizione di felicità. Non è un caso che nella sacra Scrittura il tema del diritto venga spesso associato a quello di giustizia. La relazione riporta al primato della coscienza che si sente sempre impegnata nella ricerca della giustizia mediante l'applicazione di un "diritto" che non può essere solo ciò che è codificato, ma deve cogliere il senso profondo della volontà del Creatore.

È per questo motivo che la concezione biblica aggiunge un'originalità propria alla concezione greco-romana: la giustizia non consiste solamente nel rispettare una norma, fosse pure la più perfetta che si possa formulare, e non si conclude neppure nel garantire l'uguaglianza fra tutti i soggetti. La giustizia che si coniuga con il diritto deve essere capace di far emergere il vero bisogno di ogni persona, perché possa trovare il suo posto e svolgere il suo ruolo corrispondente in seno alla comunità. Questa esigenza fondamentale appare più necessaria del pane, a tal punto che la ricerca della dignità della persona permane nella visione biblica come il vero fondamento del diritto e la giustizia non corrisponde pienamente al suo scopo fin quando non ha realizzato questo compito.



(©L'Osservatore Romano - 29 novembre 2008)
Caterina63
00mercoledì 7 gennaio 2009 00:21
Amici ho letto una domanda molto interessante....ho seguito due risposte interessanti...ed ho dato una risposta che naturalmente non è un finale....[SM=g7560]

domanda:
Vorrei sapere qual'è la legge morale naturale. Potete spiegarmelo in due parole?
Grazie.
...

......
Una prima risposta è stata:

La legge morale è la conoscenza della morale che è intrinseca nell'uomo, poichè esso è stato fatto da un Dio il quale ha posto dentro il suo cuore, la conoscenza del bene e del male.
Pur non toglindone mai, la sua libertà, e nel movimento, e nel pensiero e nella ragione.
La conoscenza di questi valori è genetica, è opera dello stesso Spirito che Ha alitato su di noi per donarci la vita.
E' la conoscenza di questi valori che ci fà riflettere sul comportamento, sul dialogo, sull'amore.
Dio creatore, non poteva donarci solo la vita come ha fatto con la creazione, ma ci ha posto al suo centro, a tal punto che si è innamorato della sua stessa creazione, difatti ci ha fatti simili a Lui, e quando dice facciamolo simile a NOI non dice espressamente di essere come Lui di aspetto, poichè EGLI non ha aspetto essendo puro Spirito, ma ci ha creati con capacità di pensiero, di azione e sopratutto di cuore, pronto ad amare e pronto a stupirsi dell'amore!

Infine, Lui stesso, ha voluto sancire questa conoscenza innata che abbiamo, scrivendola di Suo pugno sulle Tavole della Legge, perchè non avessimo a dire: Ma noi non lo sapevamo.
E per finire, Ha reso la cosa a tal punto credibile, che si E' incarnato e Ha dettato Lui stesso la Regola: "Vi lascio un mio Comandamento: Amatevi gli uni gli altri, come Io ho amato voi"!
Ecco ciò che posso dirti a riguardo ....!
Pace e Bene!.....

.....
Una seconda risposta è questa:
la legge morale naturale secondo me è la legge dell'amore, il vero amore quello ad immagine e somiglianza del PADRE  SANTO IL CREATORE DIO, certo adesso
nella creazione regna ancora il caos ma se noi ci sforziamo di dare retta alla coscienza che Dio ci ha donato qualcosa di buono riusciamo a fare.
Ciao e pace nel Signore

..........
Infine giunge la mia...[SM=g7831] che vuole amplificare questi concetti che messi già insieme danno una traccia....

...la domanda è interessante perchè è più attuale che mai.....basta vedere la mancanza della Pace, la disgregazione delle Famiglie, le uccisioni di questi figli..ecc..per comprendere che quando si parla di morale...non è relativa solo all'uso del sesso ma che coinvolge tanti altri comportamenti.....io ho risposto così....
 
Mi riallaccio agli interventi che mi hanno preceduto....dandogli più voce....
Accanto alla descrizione della Creazione di Dio fatta negli interventi sopra....accostiamoci il concetto di "fatti ad immagine e somiglianza Sua".....il nocciolo è qui...[SM=g7831] ..in questa frase che racchiude una grande verità.....
Dio, creando l'uomo l'ha fatto a Sua immagine....ora che Dio abbiamo noi al quale dovremo somigliarGli?...[SM=g7574]

Non abbiamo un Dio che è caos, ma ordine......non un Dio che odia, ma che AMA...non un Dio che agisce per istinto, ma che ha progetti, ragiona, discute, decide...Non un dio che sguazza negli istinti dunque, ma Dio che, essendo BENE ASSOLUTO, per  decide per Amore e trasmette Amore.....
Questo concetto lo si apprezza meglio in Cristo, poichè in Lui, visibilità del Padre... l'Incarnazione di Dio non solo ci spiega questa "immagine e somiglianza", ma ci spiega questa MORALE in quel Suo "Creare- rifaccio nuove TUTTE le cose..."
e ci ha detto "Come ho fatto io, così voglio che facciate anche voi!".......e qui non ci sono limiti sul da farsi.....la base di partenza sono i comandamenti.....ribaditi dal Cristo...

In questa tabella la morale è ampiamente COMANDATA DI RISPETTARE......(e per morale, dicevamo appunto, c'è anche l'onorare i genitori, santificare le feste, non ADORARE null'altro al di fuori di Dio, cioè...non il danaro più della vita, non un uomo a discapito di un altro uomo, non adorare Dio...odiando l'uomo....NON dare false interpretazioni sulla Bibbia...[SM=g7831] ...; vi sono poi i desideri disordinati...quello del rubare porta a drammatiche conseguenze, quello del desiderare che sfocia nella gelosia...uccidere non fa bene...ecc..)
Il superamento di queste difficoltà, cioè, il frenare gli istinti (tutti....non solo quelli a livello sessuale poichè la morale comincia NON dal sesso, ma da una vita ORDINATA[SM=g1740722] ) che legati alla carne ci fanno sottovalutare la morale.....stà in questo suggerimento che è oro...."Chi mi ama, prenda la sua croce e mi segua....ogni giorno!".......
Questa frase ci fa comprendere la fatica.....ma anche le soddisfazioni: "Il mio giogo è leggero...."

TUTTO POSSO IN COLUI CHE MI DA LA FORZA.....senza il Cristo....difficilmente potremo superare le difficoltà.....legate a che cosa? al mondo che a causa del Peccato Originale è caduto nel disordine e con lui siamo caduti anche NOI, anche la Natra, dice infatti san Paolo, attende la redenzione...Per questo Gesù dice anche: "Voi (i Battezzati, chi crede in LUI) siete NEL mondo, ma NON siete del mondo"[SM=g7831]

Anche colui che si definisce "ateo"...ha in effetti fatto una scelta....è probabile che abbia trovato soddisfazione per il suo spirito...in altre realtà più o meno umane e terrene....ma gira e rigira...giungerà, se il suo cuore è puro, a porsi certe domande.....l'inquietitudine è il primo campanello d'allarme..... diceva Agostino "Il nostro cuore è inquieto fino quando non riposa in TE!"[SM=g1740717]

La Morale Naturale non è un semplice obbedire a delle regole, ma molto di più, E' L'ORDINE NATURALE prima del Peccato Originale....quel Peccato che Cristo Gesù è venuto a debellare[SM=g1740720] , ma per debellarlo ha bisogno della nostra collaborazione, non a caso ci ha creati LIBERI E CON LA VOLONTA'  A SUA IMMAGINE, Dio si è Incarnato per AIUTARCI E PER SOSTENERCI perchè solo nell'Ordine delle Cose possiamo essere veramente FELICI: la Morale Naturale è la nostra vera FELICITA'...[SM=g1740717]

[SM=g1740750] [SM=g7182]
Caterina63
00venerdì 23 ottobre 2009 18:30
Intervento del segretario generale della Cei vescovo Mariano Crociata

Il diritto e il dovere
del farmacista cattolico


Roma, 23. "L'obiezione di coscienza è anche un diritto che deve essere riconosciuto ai farmacisti permettendo loro di non collaborare direttamente o indirettamente alla fornitura di prodotti che hanno per scopo scelte chiaramente immorali come l'aborto e l'eutanasia". È quanto ha affermato il segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), il vescovo Mariano Crociata, intervenendo al convegno nazionale dell'Unione cattolica farmacisti italiana, dal titolo "L'obiezione di coscienza del farmacista tra diritto e dovere".

La questione dell'obiezione di coscienza - ricorda monsignor Crociata - nasce dal conflitto interiore dell'uomo "posto di fronte all'alternativa, a volte lacerante, fra il comando della legge, che imporrebbe una determinata azione, e l'imperativo della propria coscienza - rispondente a motivazioni religiose, ma anche etiche o ideologiche - secondo cui quella azione risulta inaccettabile. Il riconoscimento della possibilità di appellarsi alla "clausola di coscienza" è diretto appunto a superare tale conflitto interiore tra coscienza individuale e obbligo legale". L'obiettore, cercando di evitare gli "esiti insanabili e gravissimi" che derivano da una legge ingiusta di cui sia destinatario - spiega monsignor Crociata citando il giurista Francesco D'Agostino - "dicendo di no alla legge intende dire di sì al diritto".


Tradizionalmente - ha continuato nel suo intervento il segretario generale della Cei - la possibilità dell'obiezione di coscienza è stata riconosciuta con riguardo al servizio di leva obbligatorio e agli interventi diretti all'interruzione volontaria di gravidanza, cioè ai due casi tipici che per la loro radicalità permettono di mettere in evidenza i referenti essenziali dell'obiezione stessa:  "Sono casi emblematici perché, pur nella loro diversità, appaiono entrambi legati direttamente al fondamentale principio del non uccidere. In questo quadro si colloca anche la questione del diritto-dovere dei farmacisti all'obiezione di coscienza, che viene oggi in discussione sia di fronte a taluni farmaci abortivi (come la Ru486, per i farmacisti ospedalieri) o potenzialmente abortivi - quale in concreto la cosiddetta pillola del giorno dopo - sia di fronte a taluni sviluppi (o meglio involuzioni) che si profilano in materia di fine vita, considerato che in alcuni Paesi europei, come a esempio in Belgio, risulta già in vendita nelle farmacie un kit eutanasico".

In Italia - aggiunge monsignor Crociata - il problema "è avvertito soprattutto riguardo alla vendita della cosiddetta pillola del giorno dopo. Infatti, sebbene l'autorizzazione ministeriale all'immissione in commercio della specialità medicinale Norlevo abbia qualificato tale prodotto come "contraccettivo d'emergenza", in base alle evidenze scientifiche disponibili non si può escludere la concreta possibilità di un'azione post-fertilizzativa del farmaco stesso nelle ipotesi in cui, essendosi già verificata la fecondazione dell'ovulo e quindi la formazione dell'embrione, viene impedito all'embrione stesso di iniziare l'impianto nella parete uterina, con evidente effetto abortivo".

In tal senso - aggiunge - "si è pronunciato il Comitato nazionale di bioetica nella Nota sulla contraccezione d'emergenza, approvata il 28 maggio 2004, nella quale, dopo aver rilevato la diversità di opinioni emerse nel dibattito scientifico circa l'efficacia della "pillola del giorno dopo", ha "ritenuta unanimemente da accogliersi la possibilità per il medico di rifiutare la prescrizione o la somministrazione" del levonorgestrel (lng, principio attivo del farmaco). Se una tale opzione è correlata ai possibili effetti post-fertilizzazione del farmaco, osserva il Comitato, "il medico ha comunque il diritto di appellarsi alla clausola di coscienza, dato il riconosciuto rango costituzionale dello scopo di tutela del concepito che motiva l'astensione"".

Del resto - aggiunge ancora monsignor Crociata - appare abbastanza chiaro "che l'intenzione di chi chiede o propone l'uso di questa pillola o è finalizzata direttamente all'interruzione di una eventuale gravidanza, proprio come nel caso dell'aborto, o perlomeno non esclude e accetta questo possibile risultato, che verrebbe a realizzarsi al di fuori delle rigorose prescrizioni e procedure stabilite dalla legge 194/78".

Proprio i farmacisti - spiega dunque il segretario generale della Cei - sono chiamati a dare in questo ambito una chiara testimonianza:  "Il farmacista cattolico è chiamato a cogliere questa opportunità per esercitare un autentico apostolato e un'opera di misericordia spirituale attraverso il suo lavoro. Per far questo è importante coltivare la vita di fede con la preghiera, i sacramenti e la testimonianza di onestà e di carità. Altresì è necessaria al farmacista, come a tutti gli operatori sanitari, quella speciale attenzione nella formazione della coscienza morale che si richiede per essere accanto a chi soffre. Dare testimonianza evangelica laddove i contenuti della fede sono messi in questione da casi limite emotivamente coinvolgenti, da forti interessi economici o da una cultura edonista e nichilista è oggi particolarmente faticoso. Bisogna perciò, come singoli farmacisti e come associazione, attingere al patrimonio morale e agli insegnamenti della Chiesa e coordinarsi con l'azione pastorale che essa esercita a tutela della vita e a servizio dei malati.


D'altra parte - aggiunge monsignor Crociata rivolgendosi ai farmacisti - la riflessione ecclesiale che la Chiesa che è in Italia sta portando avanti sul tema dell'educazione rappresenta anche la via per un rilancio culturale della vostra professione, che spesso rischia di essere percepita e regolamentata come una pura attività commerciale, svuotata della sua dignità esposta a logiche economiche di tipo unicamente mercantile. Invece, educare le coscienze con la propria professione di farmacista è oggi una priorità per il bene comune e l'interesse di tutti e una missione alta e certamente impegnativa".
Per il farmacista cattolico - aggiunge monsignor Crociata - aderire all'insegnamento della Chiesa sul rispetto della vita e della dignità della persona umana, che è di natura etica e morale, "rappresenta anzitutto un dovere, sicuramente difficile da adempiere in concreto ma al quale non può rinunciare.

I cristiani infatti sono chiamati a non prestare la loro collaborazione a quelle pratiche che, pur ammesse dalla legislazione civile, sono in contrasto con la Legge di Dio". Tale cooperazione si verifica quando - come si legge nell'enciclica Evangelium vitae (n.74) - "l'azione compiuta, o per la sua stessa natura o per la configurazione che essa viene assumendo in un concreto contesto, si qualifica come partecipazione diretta a un atto contro la vita umana innocente o come condivisione dell'intenzione immorale dell'agente principale".

In questa prospettiva - conclude monsignor Crociata - "l'obiezione di coscienza è anche un diritto che deve essere riconosciuto ai farmacisti, permettendo loro di non collaborare direttamente o indirettamente alla "fornitura di prodotti che hanno per scopo scelte chiaramente immorali, come per esempio l'aborto e l'eutanasia" e di superare le difficoltà di un contesto culturale che tende, talvolta, a non favorire l'accettazione dell'esercizio di questo diritto, in quanto elemento "destabilizzante" del quietismo delle coscienze", come affermato dalla Pontificia Accademia per la Vita (15 marzo 2007).

Il diritto-dovere all'obiezione di coscienza non riguarda dunque solo i farmacisti cattolici ma tutti i farmacisti, perché, come afferma ancora la Evangelium vitae (n. 101), "la questione della vita e della sua difesa e promozione non è una prerogativa dei soli cristiani. Anche se dalla fede riceve luce e forza straordinarie, essa appartiene a ogni coscienza umana che aspira alla verità ed è attenta e pensosa per le sorti dell'umanità".
Il segretario generale della Cei ha infine rivolto un incitamento:  "Desidero quindi esortare voi tutti a essere testimoni coraggiosi nell'esercizio della professione del valore inalienabile della vita umana, soprattutto quando è più debole e indifesa. Seguire la propria coscienza non è sempre una via facile e può comportare sacrifici e aggravi.

Tuttavia, rimane necessario "proclamare chiaramente che la via dell'autentica espansione della persona umana passa per questa costante fedeltà alla coscienza mantenuta nella rettitudine e nella verità"", come affermato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nella Dichiarazione sull'aborto procurato del 1974.

 

 

Il presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari a un convegno su medicine tradizionali e complementari

Etica e spiritualità devono andare di pari passo nel campo della salute


 

In un ambiente "in cui i pericoli possono nascondersi dietro un arsenale di tecniche e di dispositivi di apparecchiature ultramoderne o provenire dalla desolante solitudine dei malati abbandonati a se stessi" il ministero pastorale all'interno delle strutture ospedaliere non può essere ridotto "all'amministrazione dei sacramenti", dev'essere al contrario "un'azione ecclesiale in cui l'esistenza sacramentale dei malati e del personale sanitario s'inserisce pienamente nell'annuncio del Vangelo della vita". È quanto ha ribadito l'arcivescovo Zigmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, intervenendo al seminario su "Etica e spiritualità della salute. Medicine tradizionali e complementari.

Ricerche e nuovi orientamenti", svoltosi al Palazzo della Cancelleria il 20 e il 21 ottobre scorsi.
Al presule polacco è stata affidata la prolusione, dopo che il cardinale Paul Poupard, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Cultura, aveva presentato i lavori:  due giornate di riflessione, conclusesi con un incontro di tutti i partecipanti a Villa Bonaparte su invito dell'Ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, Stanislas de Laboulaye.
Monsignor Zimowski ha dapprima descritto in modo sintetico l'insegnamento della Chiesa cattolica sul tema del convegno. "Etica e spiritualità - ha spiegato - costituiscono l'essenza stessa dell'umano", in quanto "segnano una profonda differenza fra l'uomo e le altre specie animali". La prima riguarda l'agire umano giusto e retto, finalizzato al bene da realizzare, le sue potenzialità, le sue norme e i suoi criteri, come pure i mezzi e le modalità della sua realizzazione concreta. La seconda è invece di un'altra natura, di un altro livello:  è la vita secondo la Spirito.

Per il presidente del dicastero vaticano la pastorale della salute considera indubbio che "l'etica e la spiritualità rivelano tutto il loro senso e dispiegano tutte le loro ricchezze nell'ambito della sofferenza e della malattia". Del resto - ha aggiunto - "a causa dei suoi stessi limiti, non solo metodologici e di prospettiva, ma anche strutturali, la medicina ufficiale, detta anche scientifica, lascia aperti molti spazi in cui necessariamente s'inseriscono altre offerte, definite la maggior parte delle volte alternative o complementari".

E se il seminario di Palazzo della Cancelleria si è proposto di esaminarne alcune, il presule ha ribadito come nel suo magistero la Chiesa "non solo fornisca una base antropologica salda alla riflessione etica e bioetica, ma riconosca anche espressamente responsabilità etiche ai professionisti della salute. Ci tiene anche a ricordare che tutta la loro attività, sia quella diagnostica sia quella terapeutica, deve essere retta dalle norme etiche, fondate sul rispetto della dignità della persona e dei diritti dei malati". In particolare, visto che la malattia colpisce la persona nella sua integrità, e non solo una parte del corpo, il servizio reso ai malati dai professionisti della salute abbraccia anch'esso tutte le dimensioni della persona:  vale a dire fisica, psichica, spirituale, sociale e la successiva assistenza.
Di conseguenza - ha sottolineato l'arcivescovo Zimowski "il personale sanitario all'opera" è a tutti gli effetti un "seminatore di speranza". La sua azione e le sue iniziative rientrano infatti nella categoria dell'agire definito da  Benedetto  XVI  di  "speranza  in atto".

La conclusione è allora che "un'etica cristiana distaccata dalla spiritualità o una spiritualità cristiana distaccata dall'etica non sono immaginabili. Sarebbero - ha argomentato - come amputate, private dalla loro linfa vivificante. Sarebbero eteree, senza legame né impatto sulla vita reale delle persone e delle comunità". Per questo iniziative come il seminario sono "estremamente profetiche e meritano sostegno e incoraggiamento costante, fermo e convinto. Nella sua missione - ha evidenziato l'arcivescovo - la Chiesa presta particolare attenzione a simili iniziative e accompagna con la preghiera gli sforzi di ricerca e di riflessione" in questo campo.

(©L'Osservatore Romano - 24 ottobre 2009)


SI LEGGA ANCHE QUI:

LA PILLOLA DI ERODE (da Zenit di Cesare Cavoni
Caterina63
00lunedì 4 ottobre 2010 19:56
Intervento della Santa Sede sulla libertà religiosa

La dimensione comunitaria
dei diritti umani



Pubblichiamo la traduzione dell'intervento svolto il 28 settembre dall'Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Ufficio delle Nazioni Unite e Istituzioni Specializzate, arcivescovo Silvano M. Tomasi, nel corso della XV Sessione Ordinaria del Consiglio dei Diritti dell'Uomo, in corso a Ginevra.
 

Signor Presidente,
Negli ultimi anni, la religione ha assunto maggiore visibilità nell'arena pubblica. Tuttavia, un atteggiamento anti-religioso ampiamente diffuso favorisce alcune manifestazioni legate alla discriminazione e al pregiudizio, come ha documentato il Rapporteur Speciale sulle forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e relativa intolleranza, e ciò solleva questioni complesse legate ai diritti umani. La mia Delegazione desidera chiarire l'interazione e la contraddizione fra rivendicazioni astratte e violazioni concrete dei diritti che appaiono in diverse istanze del dibattito pubblico sulla religione.

La libera espressione di considerazioni generali o personali in termini di dibattito pubblico o di dialogo culturale, filosofico o teologico non può essere considerata tout court una forma di diffamazione delle religioni o di incitamento all'odio contro una determinata religione o comunità di credenti. La libertà di pensiero e di espressione, inclusa la libertà di critica, se esercitata nei limiti dell'accuratezza, della correttezza, del rispetto, della morale e dell'ordine pubblici, si può considerare un progresso di civiltà da tutelare come patrimonio giuridico e politico comune dell'umanità, non solo come prerogativa di un contesto sociale o di una tradizione culturale particolari. Lo sviluppo e l'autorealizzazione della persona umana implicano, quale componente essenziale, l'espressione e la condivisione della sua visione della realtà. Negare questo diritto mortificherebbe una delle aspirazioni più profonde della persona umana e un fattore chiave del progresso di tutte le civiltà.

Dobbiamo anche distinguere il livello teorico, ossia il livello astratto dei valori e dei principi filosofici e religiosi, dal livello esistenziale, ovvero dal livello pratico in cui questi valori e principi hanno un impatto su individui e comunità di esseri umani. La persona umana e le comunità umane dovrebbero costituire il fulcro dei diritti umani. Lo Stato di diritto e i diritti umani hanno per mandato la tutela e la promozione della dignità, dei diritti fondamentali e delle libertà di individui e comunità di persone. I sistemi di valori e di principi, condivisi da individui e comunità di persone, sono qualcosa di buono, anche dal punto di vista politico e legale, ma sempre se sono funzionali alla tutela degli individui e delle comunità di persone e non viceversa.

Il rispetto per le persone e per le comunità di persone non si esprime dunque con una mera "protezione" o con una formale "immunizzazione" dalla critica a sistemi di valori e principi, ma con una promozione e una affermazione sostanziali dei diritti fondamentali e delle libertà. Quindi, la libertà di espressione, inclusa quella di criticare, non nega i diritti delle persone o delle comunità di persone. Si tratta piuttosto di un elemento della supremazia della legge che include la libertà di religione e di credo e il divieto di discriminazione basata sulla religione o sul credo. In tale contesto, bisognerebbe concentrare l'attenzione sulle persone e sulle comunità di persone per comprendere in che modo i loro diritti sono protetti de facto, al di là della tutela di un determinato sistema di valori o di principi, culturali o religiosi, sia maggioritario sia minoritario.

Le posizioni di individualismo e di collettivismo estremi offrono una visione parziale della persona umana:  il primo la porta all'isolamento, il secondo la cancella e la assorbe nell'idea astratta di una collettività sociale o ideologica. Queste due prospettive non permettono il dialogo, ma, anzi, lo rendono impossibile, perché entrambe contrastano con la realtà della natura umana. L'essere umano ha una propria unicità e una propria originalità, ma è aperto per natura ai rapporti con gli altri. Infatti, soltanto in tali rapporti si realizza quale persona. Come insegnano le grandi civiltà del mondo, la persona umana è un "essere sociale" che si realizza appieno soltanto nella comunità, a cominciare dalla famiglia passando per tutti i livelli della società fino alle dimensioni nazionale e internazionale.

Coerentemente con la natura e con la dignità umana, la comunità non è un limite alla libertà e alla realizzazione. Al contrario, è lo spazio vitale a partire dal quale la persona realizza ed esprime la propria libertà, in cui persegue il suo sviluppo materiale, etico e spirituale e, a sua volta, contribuisce allo sviluppo delle comunità alle quali appartiene e, in definitiva, all'intera società umana.

Quando la dimensione sociale e comunitaria viene negata, una componente essenziale della persona risulta mortificata e mutilata. La storia ci insegna e documenta le conseguenze negative prodotte dall'allontanamento o dalla negazione di questo aspetto della persona da parte dell'ideologia. Quando quest'ultima ricostruisce l'essere umano come un'astrazione, la dignità e i diritti umani della persona reale vengono violati in modo radicale e svuotati del proprio contenuto dall'interno. La strada verso il futuro, anche nella sua dimensione religiosa, passa attraverso la comprensione della persona e la sua vocazione naturale verso la comunità, quindi attraverso la piena tutela e la piena affermazione dei diritti umani nelle loro duplici e inseparabili dimensioni, individuale e comunitaria.
La responsabilità principale dello Stato è la tutela dei suoi cittadini e di tutte le persone, in particolare di quelle sotto la sua giurisdizione.

Le leggi statali devono proteggere le persone concrete anche nelle loro esigenze comunitarie, che sono inscindibili dalla persona. Nel dibattito attuale i livelli sono spesso confusi cosicché le ideologie sono protette mentre, a volte, le persone e le comunità di persone non lo sono in maniera adeguata. La legislazione nazionale deve essere efficace nel tutelare i diritti di tutte le persone nella sua giurisdizione. Ciò implica che nei sistemi educativo e giudiziario, nella partecipazione politica, nell'accesso all'occupazione, in breve, nella società civile e politica, la religione non debba essere motivo di discriminazione. "La religione, in altre parole, per i legislatori non è un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico nella nazione". (Papa Benedetto XVI, Discorso nella Westminster Hall, 18 settembre 2010). La vera diffamazione di una religione si verifica quando essa viene manipolata e trasformata in un'ideologia discriminatoria contro persone e comunità di persone concrete.
Signor Presidente.

In conclusione, è necessario trovare nuove forme di dialogo e di educazione per identificare e promuovere valori condivisi e principi universali, che siano coerenti con la dignità e la natura sociale della persona umana, volti al bene comune e all'edificazione di una società che comprenda uno spazio concreto per i diritti e le libertà fondamentali di persone e di comunità di persone. "Vi sono molti campi in cui la Chiesa e le pubbliche autorità possono lavorare insieme per il bene dei cittadini" (Ibidem). La mia delegazione concorda con la raccomandazione del Rapporteur Speciale sulle forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e relativa intolleranza, secondo la quale dobbiamo fissare il dibattito nell'importante cornice legale internazionale esistente e quindi garantire un futuro pacifico per tutti.



(©L'Osservatore Romano - 4-5 ottobre 2010)

Caterina63
00sabato 27 novembre 2010 12:58
IL DIRITTO INNATURALE DI VIETARE DI PREGARE......


GIACOMO GALEAZZI
In Bielorussia i testi religiosi sono censurati, in Nord Corea è vietata qualunque forma di religione ad eccezione dell'ideologia atea «juche» (l'uomo deve redimere se stesso). Chi viene trovato con un Vangelo finisce in lager dai quali quasi nessuno esce vivo. A scuola i bambini vengono spronati alla delazione, anche dei loro genitori. Le persecuzioni sono trasversali e riguardano tutte le fedi. Un dato clamoroso denunciato dal rapporto 2010 sulla libertà religiosa nel mondo realizzato dall'Acs (Aiuto alla Chiesa che soffre) e tradotto in sei lingue.

Discriminazioni, controlli, divieti, censure e poi arresti, persecuzioni, violenze perpetrate a volte sulla scorta di leggi estranee ai principi del diritto. Nessuna fede ne è immune, nessun angolo del pianeta è totalmente al riparo. Sono molti i modi in cui, nel mondo, si limita o si cancella la libertà religiosa e di culto. Dalle forme più blande di condizionamento fino agli atti più estremi, le stime indicano cifre impressionanti: le violazioni riguardano circa 5 miliardi di persone, il 70% della popolazione mondiale.

Tra questi, 50 milioni sono cristiani. Dentro questi numeri convivono situazioni diverse fra loro per gravità, ma unite da uno stesso comune denominatore: la negazione forzata del proprio credo e del proprio pensiero. A fornire le cifre è padre Giulio Albanese, missionario e giornalista, fondatore dell'agenzia Misna: «Solo in Cina e India sono circa 2,5 miliardi le persone a rischio per motivi religiosi e di culto». Un'emergenza sociale e politica della quale le organizzazioni internazionali stentano ad accorgersi. «La libertà religiosa – afferma il ministro degli Esteri Franco Frattini - è uno dei cardini della nostra civiltà: violarlo significa negare non solo un diritto fondamentale, ma l'essenza più profonda dell'uomo».
 
In Mauritania la libertà religiosa non esiste e la legge coranica impedisce ai cittadini di entrare nelle case dei non musulmani. Non sono solo i cristiani a vedere calpestata la libertà religiosa. «È indubbio che soprattutto dopo la prima guerra in Iraq l'errata equazione tra cristianesimo e interessi dell'Occidente ha preso piede, soprattutto nei Paesi islamici», osserva Francesco Maria Greco, direttore generale per la cooperazione culturale del ministero degli Esteri, da dicembre ambasciatore italiano presso la Santa Sede. In base alle stime riferite da René Guitton, scrittore, impegnato nel dialogo culturale e interreligioso tra Oriente e Occidente, «sono oltre 50 milioni i cristiani vittime nel mondo di persecuzioni, disprezzo, discriminazioni».

In Iraq una delle situazioni più difficili: negli ultimi mesi circa 1700 famiglie sono fuggite da Mosul e a Baghdad interi quartieri sono stati abbandonati dai cristiani. E le leggi contro l'apostasia o la blasfemia, che arrivano a prevedere la condanna morte, sono spesso uno strumento per attacchi e vendette personali. A Cuba cattolici e protestanti hanno il marchio governativo di «parassiti sociali». I fedeli sono imprigionati e le chiese distrutte. In Eritrea, ex colonia italiana, i missionari stranieri sono nel mirino dei fondamentalisti islamici, mentre in India gli indù radicali moltiplicano gli episodi di violenza contro i cristiani e molti Stati hanno varato leggi «anti conversione».

Ahmadinejad in Iran ha deciso di impedire le conversioni con misure rigide: le chiese non osano più accogliere gli (ex) musulmani per paura di spie e ritorsioni. In Pakistan dal 1986 a oggi si calcola che oltre mille persone siano state incriminate. «I cristiani in Iraq siano difesi e sia protetto il loro diritto alla libertà religiosa; tutti gli uomini di buona volontà, anche a livello internazionale, collaborino, alzino la loro voce e agiscano in maniera concreta in favore dei nostri fratelli», invoca il cardinale Leonardo Sandri che ieri a San Pietro ha celebrato una messa di suffragio per le 58 vittime dell'attentato alla chiesa di Baghdad del 31 ottobre. La Santa Sede chiede che non si arrivi alla «assuefazione alla violenza che in Iraq si verifica tutti i giorni» e che non si assuma un «atteggiamento di passività e conformismo». In Nigeria la maggioranza musulmana del Nord nega i diritti civili ai cristiani.
 
La Siria non consente l'evangelizzazione aperta e per i missionari stranieri la residenza è impossibile. In Somalia la «Sharia» viene applicata da giudici autocostituiti: i non musulmani subiscono fustigazioni, lapidazioni e sono costretti a emigrare. Non va meglio con il nazionalismo buddhista. Nello Stato himalayano del Bhutan il cristianesimo è ufficialmente vietato dal 1969 e perseguitato dal ‘96: i cristiani non possono mandare i figli a scuola, ottenere un impiego governativo, creare un'azienda, tenere riunioni in casa.

Vengono incarcerati, torturati e, se non rinnegano la fede, espulsi. Le autorità dello Sri Lanka associano il cristianesimo al colonialismo, agli stranieri. L'intolleranza religiosa non conosce confini e non ha copyright...



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