Dolce Vicario di Cristo in terra, abbiamo bisogno di Lei! Lettere aperte al Santo Padre

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Caterina63
00sabato 27 marzo 2010 22:50

Dalla terra di Santa Caterina si alza un nuovo accorato grido al "dolce Cristo in terra"

Pubblichiamo questo bellissimo appello al Santo Padre tratto da fidesetforma.blogspot.com. Dalla terra di Santa Caterina si alza un nuovo accorato grido al "dolce Cristo in terra".

SANTITA', MAI COME OGGI C'E' BISOGNO DI FERMEZZA!
di Don M.D.M.

Santità,
            mi rivolgo a Voi, Dolce Cristo in terra, in quest’ora di dolore e di confusione, come l’ultimo e il più indegno dei vostri figli.

Ancora una volta la Barca di Pietro è sballottata dalle tempeste della menzogna, del peccato e dell’odio. Imploro dal Signore che vi tenga saldo e fermo al suo timone perchè possiate condurci al porto sicuro della Verità che è Cristo Signore.

Con dolore e sgomento assistiamo alla siturazione, a dir poco disastrosa, del Clero in questi giorni.
Certamente, un’occasione unica per chi non aspettava altro che poter sparare nel mucchio... E quale occasione migliore dell’aver finalmente “scoperto” il sommerso mondo dell’immoralità dei chierici?

La terribile piaga della pedofilia che flagella il mondo, e che non ha sicuramente risparmiato la Chiesa, diventa un’occasione d’oro per chi vuol gridare, ad ogni piè sospinto, che essa, la Sposa di Cristo giace impunita con il peccato, e che la sua casa, altro non è, se non un covo di perversi e fucina di ogni genere di malvagità.

Un boccone ghiotto e prelibato per chi, da tempo e in ogni modo, si adopera per strappare definitivamente l’Europa (e il mondo intero) da quella madre che l’ha nutrita, l’ha cresciuta, e che come unico baluardo, continua a difenderla dalle ondate nichiliste, relativiste, e laiciste di un potere che sembra voler giustizia, ma in realtà vuole solo far prevalere le sue ideologie! E che, -eliminata la Chiesa- rivestito come paladino di una nobile causa, finalmente avrà campo libero di imperversare in ogni modo!

Ma la realtà è ben altra da quella che sembra apparire e che ci vogliono far credere: “la pedofilia è un fenomeno di massa nella Chiesa…”, “tutti i preti sono pedofili...”, “non dobbiamo ascoltarla, nè seguirla, ma bisogna diffidarne...”, “i nostri figli sono in pericolo...”.

Noi sappiamo, Santità, e conosciamo quella schiera silenziosa di sacerdoti, religiosi, religiose, che ogni giorno per le strade del mondo, o nel silenzio dei monasteri, offrono la loro vita per Cristo e per il bene delle anime. Ma il mondo non li conosce, e non li accoglie, perchè non riesce a soggiogarli al suo potere e alle sue lusinghe, li odia: “...se hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi...ma abbiate fede, Io ho vinto il mondo...”. E per questo, tutto ciò che sta accadendo in questi giorni, in fondo non ci stupisce, anche se ci addolora, e per tanti aspetti, “il cor s’impaura”.
Basta tenere i piedi per terra, e non farsi travolgere dalla melma di ipocriti giudizi, per rendersi conto di quanta falsità, di quanto odio, e di quanta sete di distruzione si annida nel tumulto “giustizialista” di questi giorni.

Certo, con dolore, Santità, guardiamo il rumoroso dilagare e il viscido strisciare del male e della menzogna, della calunnia e anche dell'indifferente ignavia di coloro che più dovrebbero stringersi a Pietro per non lasciarlo solo in mezzo ai lupi, ma sappiamo anche riconoscere il Bene e la Verità, che fa molto meno rumore, e nel contempo è presente, opera, dà i suoi frutti e alla fine trionferà.

Ma è giunta l’ora, Padre santo, di guardare in faccia il male con lo stesso coraggio con cui la Santità Vostra ha deciso di affermare che non solo i responsabili degli ignominiosi crimini ai danni dell'infanzia vanno consegnati alla giustizia civile perché criminali oltre che peccatori, ma anche che i Vescovi omertosi devono collaborare con le autorità civili nell'affrontare i tremendi autori dei suddetti crimini. Anche se fa paura, e appare invincibile e inattaccabile, è giunta l'ora di iniziare a sferrare una vera e propria battaglia per estirparne le radici e fare in modo che il male, come un veleno, non si diffonda dappertutto! Certo, ce lo ha ricordato lei Santità, pochi giorni fà: tanta indulgenza verso il peccatore, ma nessuna per il peccato e le sue strutture.

Nello stesso tempo, però, sono in molti i fedeli ed ancor più i sacerdoti a domandarsi come sia stato possibile nel passato che la Chiesa proteggesse criminali conclamati lasciando loro per anni la possibilità di unire al proprio vizioso agire criminale l'esercizio del sacerdozio? Come ha potuto la Chiesa lasciare che quelle mani impure dei suoi indegni ministri accogliessero il Corpo e il Sangue di Nostro Signore?

Queste domande accorano i fedeli e noi sacerdoti incapaci di trovare ragionevoli e cristiane risposte! Ma Voi conoscete bene, Santità, la vastità della sporcizia che è dentro la Chiesa e Voi sapete bene quanta devastazione in questi ultimi sessant’anni ha causando quest’esasperato progressismo non solo nella morale, ma anche nell’ortodossia della fede.

Mentre buona parte della Chiesa si nutriva di un certo “buonismo”o “spirito di comprensione”, si trastullava nel “dialogo” o negli “equilibri da rispettare”, si schermiva dietro la “discrezionalità diplomatica” o gli “scandali da evitare”, la piaga si è aggravata sempre di più, diffondendosi e devastando senza sosta!

Il popolo assiste oggi attonito e confuso, e chiede, più di ogni altra cosa, a noi i pastori, e ancor più a Vescovi e Cardinali e a Voi, Santità, Pastore grande delle pecore - che mai come in questo momento siamo chiamati a custodire e proteggere - FERMEZZA!

Quella sana fermezza della Chiesa - ritenuta come un male di altri tempi da certi teologi e intellettuali - che non cedeva a compromessi, nè verso l’immoralità, nè verso gli attentati alla sana dottrina; quella santa fermezza, Santità, invocata da santi e sapienti cristiani, e che tante volte nella storia ha salvato la barca di Pietro da terribili derive e catastrofici naufragi.

Si la fermezza, Padre Santo.

Un argine, che se non altro, permetteva di controllare al massimo certi fenomeni e che sicuramente non assicurava vita facile e lunga a persone e idee, ad intra o ad extra, miranti a trascinare la Sposa di Cristo nel fango, disseminando confusione e odio.

Dov’è finita, Santità, la sapienza e la prudenza dei pastori?

Dov’è finita la fermezza, la prudenza e il sano discernimento nei Seminari- tanto in questioni “de fide” quanto “de moribus” – che portava agli Ordini Sacri candidati di solida formazione e di retta spiritualità. Certo, il male e la fragilità umana è stata, è, e sarà una realtà con cui bisognerà sempre fare i conti, ma non prima di aver certezza davanti a Dio, si dovrebbero poter proclamare quelle solenni e grevi parole contenute nel Rituale per le Ordinazioni agli Ordini sacri: «Quantum humana fragilitas nosse sinit, et scio et testificor illos dignos esse» («Per quanto l’umana fragilità permette di sapere, so e testimonio che sono degni»).

Una certa carità ci ha spinti a doverci mettere in ascolto del mondo, ad aprici ad esso, dimenticando che noi non gli apparteniamo, e che la nostra Patria è nei cieli; confondendo così la terra con il cielo e il cielo con la terra, ci siamo persi in esso, e non ci riconosciamo più.
Abbiamo preteso di poter fare a meno della sapienza della Chiesa, dei suoi Santi, della sua spiritualità, dei suoi insegnamenti, della sua Tradizione; li abbiamo ritenuti superati: il mondo non ci capiva più, ci ripetavamo preoccupati.

Così nei Seminari, nei Conventi, e negli stessi Monasteri si è cominciato a rinunciare alla disciplina, e si è iniziato a sostituire lo spirito di penitenza e di mortificazione con uno spirito gaio e festaiolo, nel nome di una presunta gioia della fede.
Il clero, sia secolare che regolare, ha iniziato a trasformarsi in una sorta di categoria sindacale senza volto e senza identità, tutta protesa verso un umanitarismo sociale e filantropico; e ci faceva piacere, Santità, perchè il mondo ci applaudiva.
“A che serve pregare?” - ci dicevano – “…bisogna operare, fare, costruire, combattere. La vita interiore? …Un inutile spiritualismo... La pratica della penitenza?...Cose medievali, d’altri tempi...!”.

Era sorta una nuova primavera, quella dei nuovi tempi inaugurata dall’era conciliare, e per queste cose non c’era più spazio; finalmente, più liberi e più moderni!
E ....il risultato? È sotto gli occhi di tutti!
La disciplina (dal latino discere, che significa imparare) la regola, il rigore, erano armi indispensabili per il raccoglimento interiore e per irrobustire la vita di fede, - e Lei, Santità, e i suoi Predecessori lo sapete bene -, lo spirito di mortificazione era un’esigenza per chi aveva deciso di rinunciare al mondo per seguire e consegnarsi totalmente a Cristo, umile, casto e povero.
Ma si è voluto semplicemente “cambiare pagina”, e senza queste armi il vizio ha spalancato le porte alla menzogna in ogni sua forma.

In Seminario - lo ricordo ancora con tristezza - se si tentava di vivere con una certa serietà gli studi e la formazione al Sacerdozio (che di fatto è inesistente e, in un certo senso, bisognava cercarsela) nella fedeltà al magistero e al Santo Padre, richiedendo un certo rigore e rimproverando un certo lassismo formativo e dottrinale, si veniva subito classificati come squilibrati, derisi dai Superiori e, molti, venivano allontanati e costretti ad abbandonare la vocazione. Per costoro i provvedimenti dell’Autorità non tardavano a giungere, implacabili!
Ma la cosa che ricordo ancora con più dolore e tristezza, Santità, è che per quanti nei corridoi del Seminario si rincorrevano gai, chiamandosi con nomignoli femminili e atteggiandosi con fare altrettanto ambiguo, viceversa, tutto era perdonato, compreso, non considerato come un problema, nonostante le chiari indicazioni della Chiesa in merito.

E allora, Santità: fermezza. Essa è la forma più alta della Carità!

I Pastori tornino a fare ciò per cui sono stati investiti dalla Sapienza Divina: custodi saggi e forti della fede del gregge e, in modo particolare, dei loro sacerdoti, senza cedimenti e senza compromessi, e in vera e totale comunione e obbedienza alla Santità Vostra e al Vostro Magistero. Meno parole, ragionamenti vani, convegni sociali e pastoralismi inutili! Più attenzione nei luoghi di formazione, più giudizi che partono dalla fede e non da ordini del giorno dettati dal mondo!

Allora, prima di rivolgersi ad extra, è ora, Padre Santo, di fare un’operazione ad intra e ripulire Atenei Pontifici, Seminari, Conventi, Curie e Sacri Palazzi da quella congerie di immondi personaggi che fanno scempio della dottrina e della morale cattolica, e che abusano delle loro cattedre o della loro funzione per demolire la Chiesa, assecondare i propri vizi o ricercare l’approvazione del secolo.

Perdonatemi, Padre Santo, se oso ricordare alla Santità vostra - in realtà intendo ricordarlo anche tutti quei Vescovi che sembrano ignorare le Vostre parole, i Vostri insegnamenti, le Vostre esortazioni, con cinica quanto poco cristiana indifferenza e ignavia - quanto già in tempi non meno confusi per la Chiesa, S. Caterina da Siena ripeteva ai vostri Predecessori: “...Pare, santissimo Padre, che questa Verità eterna voglia fare di voi un altro Lui; e si perché siete suo vicario di Cristo in terra, e si perché nell’amaritudine e nel sostenere vuole che riformiate la dolce Sposa sua e vostra, che tanto tempo è stata impallidita (…). Ora è venuto il tempo che Egli vuole che per voi, suo strumento, sostenendo le molte pene e persecuzioni, la Sposa sia tutta rinnovata. Di questa pena e tribolazione ella nascerà come fanciulla purissima…" (Lett.n. 346).

Si, Santità, come allora ancor più oggi, c’è bisogno di un rinnovamento soprattutto interiore, e su questo non si può più indugiare, e certo: “... Voi non potete di primo colpo levare i difetti delle creature, ma potete lavare il ventre della santa Chiesa, cioè procurare a quelli che vi sono presso e intorno a voi, spazzarlo dal fracidume, e ponervi quelli che attendono all’onore di Dio e vostro, e bene della santa Chiesa; coloro che non si lascino contaminare dalle lusinghe o dai denari. Se reformate questo ventre della sposa vostra, tutto il corpo agevolmente si riformerà; e così sarà onore a Dio, utilità a voi, santità delle membra e si spegnerà l’eresia.." (Lett. 364).

Verrà la persecuzione, ovviamente, anzi è già iniziata!

Ma senza salire al Calvario, Padre Santo, questa massa di Prelati e non, accecati dal mondo e dalle sue pompe, “...posti a nutrirsi al petto della Santa Chiesa...”, non potrà mai ambire ad esser parte del Corpo mistico di Cristo; se non saprà affrontare anch’essa la Croce, non meriterà di seguire Cristo nella gloria.

La Chiesa, Padre Santo, ha qualcosa di infinitamente più grande dei suoi limiti da offrire al mondo e che abbraccia le stesse vittime di tanta barbarie: l’abbraccio di Cristo e la sua promessa: “non praevalebunt”. Senza di questo non avremmo più scampo, e allora sì che il male prevarrebbe, e noi saremmo veramente perduti. Ci sentiamo un pò, come in quella notte, quando la tempesta imperversava su quel lago, e la povera barca sembrava sprofondare...e Lui a poppa dormiva....: “Maestro svegliati, non t’importa che periamo?...”, e Lui sgridò la tempesta: “...Taci, calmati...” e a quegli uomini, umanamente impauriti, con una tenerezza infinita disse: “...Perchè siete così paurosi? Non avete ancora fede?...”.

É il suo metodo, ci mette alla prova, tutti, perchè ci abbandoniamo a Lui con coraggio; perchè comprendiamo che senza di Lui non possiamo far nulla e tutto sarebbe irrimediabilmente perso; ma, soprattutto, vuol dirci di non temere perchè c’è Lui, nella Chiesa c’è Lui, e voi Padre Santo, di questo siete il segno grande e luminoso.

Che Dio abbia misericordia di me, Padre Santo, se qualche germe di orgoglio dovesse nascondersi anche solo dietro una di queste mie povere parole.

L’ultimo dei vostri figli, mentre conferma alla santità Vostra il suo filiale rispetto e incondizionata obbedienza, chiede indegnamente la sua Apostolica Benedizione.

Caterina63
00lunedì 29 marzo 2010 23:56

Un vescovo esemplare per la sua fedeltà al papa: Mons. Luigi Negri

Pubblichiamo la lettera con cui Mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino e Montefletro, esprime la sua solidarietà al Papa. Dopo Mons. Crepaldi, Arcivescovo di Trieste, e la sua bellissima lettera oggi Mons. Negri. Ci auguriamo che anche altri presuli seguano l'esempio di questi vescovi esemplari per coraggio e fedeltà al Sommo Pontefice.

Santità,

la menzogna e la violenza diabolica si avventano, ogni giorno, sulla Sua Sacra Persona.
Lei vive di fronte a tutta la Chiesa una singolarissima partecipazione alla Passione del Signore Gesù Cristo.

Di fronte alla Chiesa e al mondo Lei sta percorrendo “la via dolorosa”. Ci senta accanto a Lei, con un affetto infinito e con la volontà di confortare, per quanto possiamo, questo suo dolore. Nel suo dolore, Santità, vibra già tutta la potenza di Dio che, in questo dolore e per questo dolore, vince oggi il male del mondo.

Un grandissimo e comune amico, il Presidente Marcello Pera, mi ha scritto in questi giorni: com’è possibile che un miliardo di cristiani assistano in silenzio ed impotenti al tentativo di distruggere il Papa, senza rendersi conto che dopo questo non ci sarà più salvezza per nessuno.

Santità, è necessario che tutti noi lavoriamo, sotto di Lei, ad una grande riforma dell’intelligenza e del cuore della Chiesa, fondata sull’adesione incondizionata al Suo Magistero.

Solo questo può approfondire il senso della nostra dignità, di fronte a noi stessi e al mondo, e dell’ inderogabile compito della missione, che ci è conferito dal nostro battesimo.

Troppe cattive teologie, troppi vacui esegetismi, molte volte in polemica esplicita con il suo Magistero, avviliscono oggi la cultura della Chiesa.

A questa grande riforma dell’intelligenza e del cuore della Chiesa seguirà necessariamente una vera riforma morale, premessa di una nuova fioritura di santità. E cosi rifiorirà la missione della Chiesa in questo mondo, forte, lieta e sacrificata. Nei momenti più gravi della sua storia, la Chiesa ha sempre sperimentato tutto questo. Oggi, come allora, accoglieremo la grazia di questa sofferenza per vivere anche più profondamente le nostre responsabilità.

Santità Lei conosce i nostri cuori, sa che ci stringeremo in un abbraccio alla Sua Persona, pronti a morire per Lei e per la Chiesa.

Santità perdoni il nostro ardire e ci benedica.

27 Marzo 2010

+ Mons. Luigi Negri
  Vescovo di San Marino-Montefeltro
Caterina63
00martedì 30 marzo 2010 14:11

Un altro Vescovo esemplare per la sua fedeltà al Papa: Mons. Giampaolo Crepaldi

Lettera aperta di
S. Ecc. Mons. Giampaolo Crepaldi,
Arcivescovo di Trieste e
Presidente dell’Osservatorio Internazionale
Cardinale Van Thuân

Il tentativo della stampa di coinvolgere Benedetto XVI nella questione pedofilia è solo il più recente tra i segni di avversione che tanti nutrono per il Papa.

Bisogna chiedersi come mai questo pontefice, nonostante la sua mitezza evangelica e l’onestà, la chiarezza delle sue parole unitamente alla profondità del suo pensiero e dei suoi insegnamenti, susciti da alcune parti sentimenti di astio e forme di anticlericalismo che si pensavano superate. E questo, è bene dirlo, suscita ancora maggiore stupore e addirittura dolore, quando a non seguire il Papa e a denunciarne presunti errori sono uomini di Chiesa, siano essi teologi, sacerdoti o laici.

Le inusitate e palesemente forzate accuse del teologo Hans Küng contro la persona di Jopeph Ratzinger teologo, vescovo, Prefetto della Congregazione della Fede e ora Pontefice per aver causato, a suo dire, la pedofilia di alcuni ecclesiastici mediante la sua teologia e il suo magistero sul celibato ci amareggiano nel profondo. Non era forse mai accaduto che la Chiesa fosse attaccata in questo modo. Alle persecuzioni nei confronti di tanti cristiani, crocefissi in senso letterale in varie parti del mondo, ai molteplici tentativi per sradicare il cristianesimo nelle società un tempo cristiane con una violenza devastatrice sul piano legislativo, educativo e del costume che non può trovare spiegazioni nel normale buon senso si aggiunge ormai da tempo un accanimento contro questo Papa, la cui grandezza provvidenziale è davanti agli occhi di tutti.

A questi attacchi fanno tristemente eco quanti non ascoltano il Papa, anche tra ecclesiastici, professori di teologia nei seminari, sacerdoti e laici. Quanti non accusano apertamente il Pontefice, ma mettono la sordina ai suoi insegnamenti, non leggono i documenti del suo magistero, scrivono e parlano sostenendo esattamente il contrario di quanto egli dice, danno vita ad iniziative pastorali e culturali, per esempio sul terreno delle bioetica oppure del dialogo ecumenico, in aperta divergenza con quanto egli insegna.

Il fenomeno è molto grave in quanto anche molto diffuso.

Benedetto XVI ha dato degli insegnamenti sul Vaticano II che moltissimi cattolici apertamente contrastano, promuovendo forme di controformazione e di sistematico magistero parallelo guidati da molti “antipapi”; ha dato degli insegnamenti sui “valori non negoziabili” che moltissimi cattolici minimizzano o reinterpretano e questo avviene anche da parte di teologi e commentatori di fama ospitati sulla stampa cattolica oltre che in quella laica; ha dato degli insegnamenti sul primato della fede apostolica nella lettura sapienziale degli avvenimenti e moltissimi continuano a parlare di primato della situazione, o della prassi o dei dati delle scienze umane; ha dato degli insegnamenti sulla coscienza o sulla dittatura del relativismo ma moltissimi antepongono la democrazia o la Costituzione al Vangelo.

Per molti la Dominus Jesus, la Nota sui cattolici in politica del 2002, il discorso di Regensburg del 2006, la Caritas in veritate è come se non fossero mai state scritte.

La situazione è grave, perché questa divaricazione tra i fedeli che ascoltano il papa e quelli che non lo ascoltano si diffonde ovunque, fino ai settimanali diocesani e agli Istituti di scienze religiose e anima due pastorali molto diverse tra loro, che non si comprendono ormai quasi più, come se fossero espressione di due Chiese diverse e procurando incertezza e smarrimento in molti fedeli.

In questi momenti molto difficili, il nostro Osservatorio si sente di esprimere la nostra filiale vicinanza a Benedetto XVI. Preghiamo per lui e restiamo fedelmente al suo seguito.




Caterina63
00mercoledì 31 marzo 2010 00:24
Il cardinale Schönborn conferma l'impegno costante del Papa contro gli abusi

La corale solidarietà
a Benedetto XVI



"L'accusa di essere un insabbiatore è falsa", come dimostra il caso del cardinale Hans Hermann Groer, ritiratosi nel 1998, sul quale l'allora cardinale Joseph Ratzinger aveva chiesto di aprire un'inchiesta. È quanto ha affermato l'arcivescovo di Vienna, cardinale Schönborn, nel corso di una intervista rilasciata all'emittente televisiva austriaca Orf e al quotidiano "Kleine Zeitung".

Intanto, appoggio incondizionato e piena solidarietà a Benedetto XVI sono stati espressi anche dai vescovi del Vicino Oriente. In Iraq , - ha affermato in un'intervista al Sir l'arcivescovo di Mosul, Emil Nona, città dove da anni si consumano feroci violenze ai danni della comunità cristiana - i nostri fedeli sono convinti che si tratti di una propaganda contro la Chiesa, per infangarla agli occhi del mondo. Resta, certamente, il dolore per quanto è accaduto.

Da parte nostra stiamo spiegando loro quanto il Papa ha dichiarato contro questo scandalo e le misure adottate per fare luce sui diversi casi lavorando con fermezza, trasparenza e severità. I gravi errori commessi da pochi non possono mettere in discussione tutto quello che la Chiesa da sempre fa a favore dei bambini e dei giovani e delle persone più vulnerabili".
 
Solidarietà a Benedetto XVI anche dal Libano, dove alcuni vescovi si sono riuniti per esprimere la loro vicinanza al Papa. "Uno scandalo che scoppia nella Chiesa - ha dichiarato il vescovo di Beirut dei caldei, monsignor Michel Kassarji, - non può essere usato per screditarla. Purtroppo c'è molta superficialità che crea delle opinioni altrettanto superficiali. La Chiesa, e il Papa in testa, stanno fronteggiando con fermezza questo scandalo e questo è bene che si sappia. La fiducia nella Chiesa non può essere minata da fatti del genere che non coinvolgono tutti coloro che in essa sono impegnati a vario titolo. Mai come adesso è necessaria la testimonianza della preghiera".

"Stiamo assistendo - rileva a sua volta il vescovo di Alep dei caldei, in Siria, monsignor Antoine Audo - a una grave forma di propaganda anticattolica da fronteggiare e che ci mette in difficoltà. Ci conforta la fermezza di Benedetto XVI nel trattare la cosa. Da parte nostra stiamo facendo il possibile per informare correttamente i nostri fedeli anche se è difficile in quanto non abbiamo mezzi di comunicazione sociale".

La Chiesa cattolica "è l'unica ad aver avuto il coraggio di guardare al suo interno per porre riparo agli errori e questo va messo ben in evidenza", ha sottolineato il vicario patriarcale di Gerusalemme dei Latini, Salim Sayegh:  "Siamo vicini - ha detto - a Benedetto XVI in questo momento in cui lui e la Chiesa vengono attaccati e nutriamo profonda fiducia in tutte le iniziative adottate per evitare che simili cose possano ripetersi. Qui in Giordania i nostri fedeli sono vicini al Pontefice impegnati a testimoniare tutta la loro fede. Crediamo che questa sia la migliore risposta a chi, sparuti gruppi fondamentalisti, vogliono senza successo strumentalizzare questa vicenda".

Intanto ieri il cardinale Carlo Maria Martini ha precisato il suo pensiero, erroneamente riportato nell'edizione domenicale del quotidiano "Die Prese", a proposito del tema del celibato. Il porporato ha detto di essere "molto sorpreso" nel vedere ripresa anche sui media italiani "una espressione che non corrisponde al mio pensiero".

Il giornale - ha detto - non ha interloquito con me direttamente, ha piuttosto ripreso una mia lettera ai giovani austriaci. Ma il testo di tale lettera da me approvato diceva:  "Occorrerebbe ripensare alla forma di vita del prete" intendendo così sottolineare l'importanza di promuovere forme di maggiore comunione di vita e di fraternità tra i preti affinché siano evitate il più possibile situazioni di solitudine anche interiore". "Sono pertanto rimasto molto sorpreso - ha proseguito l'ex arcivescovo di Milano - nel vedermi attribuita un'espressione che non corrisponde al mio pensiero. Anzi, ritengo sia una forzatura coniugare l'obbligo del celibato per i preti con gli scandali di violenza e abusi a sfondo sessuale".


(©L'Osservatore Romano - 31 marzo 2010)
Caterina63
00mercoledì 31 marzo 2010 18:25

mercoledì 31 marzo 2010, la riflessione di Padre Giovanni Scalese dal blog "Senza peli sulla lingua"

Bellezza e miserie di una madre

Alcuni mesi fa avevo riportato su questo blog una delle Massime di perfezione cristiana del Beato Antonio Rosmini. Visto il momento che stiamo vivendo, giova rammentarla: «TERZA MASSIMA: rimanere in perfetta tranquillità circa tutto ciò che avviene per disposizione di Dio riguardo alla Chiesa di Gesú Cristo, lavorando per essa secondo la chiamata di Dio» (il resto della lezione potete leggerlo qui).

Ma siccome pare che ormai il pregiudizio contro la Chiesa cattolica non sia piú soltanto il “passatempo nazionale” in America (benissimo ha fatto Francesco Colafemmina a riportare l’articolo scritto dall’Arcivescovo di New York Timothy M. Dolan per il New York Times, mai pubblicato), ma anche in Europa e fra gli stessi cattolici, ho pensato che sia opportuno riportare qui un’altra delle Massime di perfezione di Rosmini, e precisamente la seconda:


«SECONDA MASSIMA: Orientare tutti i propri pensieri e le azioni all’incremento e alla gloria della Chiesa di Gesú Cristo.

1. Il primo desiderio che nel cuore del cristiano viene generato dal desiderio supremo della giustizia, è il desiderio dell’incremento e della gloria della Chiesa di Gesú Cristo. Chi desidera la giustizia desidera tutta la possibile gloria di Dio desidera qualsiasi cosa sia cara a Dio. Ora, il cristiano sa per fede che tutte le compiacenze del Padre sono riposte nel suo unigenito Figlio Gesú Cristo, e sa che le compiacenze dell’unigenito Figlio Gesú Cristo sono riposte nei suoi fedeli, i quali formano il suo regno.

2. Dunque il cristiano non può mai sbagliare quando si propone tutta la Santa Chiesa come oggetto dei suoi affetti, dei suoi pensieri, dei suoi desideri e delle sue azioni. Egli conosce con certezza la volontà di Dio a questo proposito. Sa con certezza che la volontà di Dio è questa: che la Chiesa di Gesú Cristo sia il grande strumento per mezzo del quale il suo nome venga glorificato pienamente.

3. Il cristiano può dubitare circa qualunque cosa particolare se Dio voglia renderla strumento della sua gloria in un modo o in un altro. Ma riguardo a tutta la Chiesa di Gesú Cristo non può dubitare. Sa con certezza che essa è stabilita come il grande strumento e il grande mezzo della sua glorificazione davanti a tutte le creature intelligenti.

4. Non potrebbe essere altrettanto sicuro quando si trattasse di una sola parte non essenziale al grande corpo della santa Chiesa. Egli deve dare i suoi affetti a tutta intera l’immacolata sposa di Gesú Cristo, ma non allo stesso modo a tutto ciò che potrebbe formarne una parte e che Dio non ha manifestato se veramente e stabilmente le appartenga. Non deve amare illimitatamente e incondizionatamente nessun mezzo particolare, anche se, considerato in se stesso, potrebbe essere strumento per la gloria di Dio, se Dio volesse. Può darsi che Dio, le cui vie sono sconosciute ai pensieri e ai giudizi degli uomini, respinga da sé quel mezzo. Ma quando si tratta di tutta la Chiesa, non c’è piú dubbio: Dio la elesse come strumento della sua gloria senza alcuna possibilità di pentimento per tutta l’eternità. Dunque il compito del cristiano che si propone di assecondare la propria vocazione e di seguire la perfezione, e che ha deciso di non far altro che cercare in tutte le cose la gloria di Gesú Cristo, necessariamente consiste nell’impegnare le sue forze a servire unicamente la santa Chiesa. Ad essa deve pensare in ogni modo possibile; per essa deve desiderare di logorare le proprie forze e di versare il proprio sangue, imitando Gesú Cristo e i martiri. [...]

6. Il cristiano sa, per le parole di Gesú, che la Chiesa che è in cammino qui in terra è fondata su una pietra contro cui non possono prevalere le forze dell’inferno. È fondata sul capo degli Apostoli San Pietro e sui suoi successori, i Pontefici Romani, supremi Vicari in terra di Gesú Cristo. Dunque egli sa, per divina rivelazione, che questa sede fu scelta per beneplacito del suo divin Fondatore, e che perciò non può mai venir meno. Si può dire perciò che essa è diventata, per questa elezione, la parte essenziale della Chiesa di Gesú Cristo. Tutte le altre sue parti si possono considerare solamente come accidentali, perché, singolarmente prese, non hanno ricevuto la promessa infallibile di non dover perire per qualche tempo. Dunque il cristiano dovrà nutrire in sé un affetto, un attaccamento e un rispetto illimitato verso la Santa Sede del Pontefice Romano. Senza alcun limite dovrà amare e procurare la vera e santa gloria, l’onore e la prosperità di questa parte essenziale dell’immacolata sposa di Gesú Cristo [...]».


Si tenga presente che chi scrisse le Massime è lo stesso che scrisse pure, piú o meno negli stessi anni, Le cinque piaghe della Santa Chiesa, uno cioè che conosceva a fondo i mali che affliggevano la Chiesa del suo tempo e che, nonostante tutto, non esita a chiamare questo corpo piagato “l’immacolata sposa di Gesú Cristo”. È lo stesso che, nei medesimi anni, viene a piú riprese inquisito (e, dopo la sua morte, addirittura condannato) da quella Santa Sede, “parte essenziale della Chiesa di Gesú Cristo”, senza che ciò gli impedisca di continuare ad amare quella madre.

Le due cose — la legittima denuncia delle piaghe della Chiesa e l’amore per essa — devono sempre andare insieme. La prima non può esistere, in un cristiano, se non come conseguenza della seconda: solo chi ama la Chiesa, ne desidera la purificazione; chi non ama la Chiesa, ne mette in piazza le miserie non per purificarla, ma semplicemente per denigrarla, nel piú o meno celato desiderio di vederla morire.

L’amore per la Chiesa porta a desiderarne l’incremento e la gloria; in taluni casi esso può giustificare anche una certa discrezione e riservatezza, oggi da tutti liquidata sbrigativamente come “omertà”. Personalmente, ci andrei piano a sparare certi giudizi.

L’altro giorno il Corriere della sera ha riportato una frase “sfuggita” al Card. Saraiva Martins: «Perché dei vescovi hanno taciuto? Cerchiamo solo d’essere intelligenti e onesti: se in una famiglia c’è un membro mascalzone, chi è che in quella famiglia va in piazza a denunciare e metterlo alla berlina? Semmai si cerca di salvaguardare il buon nome della famiglia». Una frase imbarazzante in questi giorni, che è stata presto dimenticata da tutti e che lo stesso Cardinale si è affrettato a precisare; ma che nasconde un fondo di verità e di buon senso che, in altri momenti, chiunque sarebbe stato disposto ad accettare.

Io rovescerei il problema: chi è quel figlio che metterebbe in piazza le miserie di sua madre? (non si può dire? è politicamente scorretto? non me ne importa nulla: io lo dico lo stesso). Ciò non significa che si debba impedire alla giustizia (canonica e civile) di fare il suo corso. Ciò che rifiuto è il processo mediatico in atto contro la Chiesa, che nulla ha a che vedere con l’accertamento giudiziario delle responsabilità dei singoli colpevoli. Ciò che non accetto è l’insinuazione nell’opinione pubblica dell’idea che la Chiesa sia un’associazione a delinquere e che il clero sia una banda di pedofili.

Anche se — bisogna dire — a quanto pare anni e anni di campagna diffamatoria negli Stati Uniti non hanno poi avuto un grande effetto, se è vero che per la prossima Pasqua migliaia di persone si preparano a entrare nella Chiesa cattolica: Stati Uniti: Migliaia di persone entreranno nella Chiesa a Pasqua





Caterina63
00mercoledì 31 marzo 2010 23:16
E il cardinale Cañizares ringrazia il Papa

I vescovi degli Stati Uniti
al fianco di Benedetto XVI


Washington, 31. I vescovi degli Stati Uniti si schierano a difesa dell'operato di Benedetto XVI volto a contrastare con fermezza il "peccato e il crimine" degli abusi sessuali compiuti da sacerdoti. Affermano i presuli in una dichiarazione resa pubblica ieri:  "Sappiamo per nostra stessa esperienza come Papa Benedetto XVI sia profondamente preoccupato per quanti sono stati colpiti da abusi sessuali e come abbia rafforzato la risposta della Chiesa alle vittime e dato sostegno ai nostri sforzi di affrontare i colpevoli".

Il recente emergere - continuano i vescovi - di più resoconti su abusi sessuali compiuti da sacerdoti rattrista e indigna la Chiesa e ci causa vergogna. Se c'è un posto dove i bambini dovrebbero essere al sicuro questo dovrebbe essere nella propria casa e nella Chiesa". Proseguono i presuli:  "Continueremo a intensificare i nostri sforzi di fornire un ambiente sicuro per i bambini nelle nostre parrocchie e nelle nostre scuole. Inoltre, lavoreremo insieme agli altri nelle nostre comunità per affrontare la piaga degli abusi sessuali in tutta la società".

Nella dichiarazione - firmata dal presidente della Conferenza episcopale, il cardinale Francis George, dal vicepresidente, il vescovo di Tucson, Gerald Kicanas, dall'arcivescovo di Louisville, Joseph Kurtz, dal vescovo di Youngstown, George Murry e dal vescovo di Paterson, Arthur Serratelli - si ricorda la visita negli Stati Uniti di Benedetto XVI nel 2008:  "Uno dei momenti più toccanti" - si legge nel documento - è stata la conversazione privata del Papa, avvenuta nella Nunziatura apostolica di Washington, con le vittime degli abusi. Benedetto XVI "ha potuto ascoltare direttamente come gli abusi sessuali abbiano devastato la vita delle vittime. Il Santo Padre ha condiviso la loro dolorosa esperienza e ha ascoltato, tenendo strette frequentemente le loro mani e rispondendo teneramente, rassicurandoli".

Con l'appoggio - continua la dichiarazione - "sia di Giovanni Paolo ii che di Benedetto XVI noi vescovi ci siamo vigorosamente impegnati a fare ogni cosa in nostro potere per fare in modo che non vengano più compiuti abusi sui bambini. Concretizziamo questo impegno attraverso il Charter for the protection of Children and Young People, uno statuto che ci chiama a rispondere con compassione alle vittime, a lavorare diligentemente al fine di vigilare su quanti lavorano con i bambini e i giovani nella Chiesa, a diffondere una coscienza anti abusi e un'educazione preventiva, a comunicare casi sospetti di abuso alle autorità giudiziarie civili e a valutare i nostri sforzi nella protezione dei bambini e dei giovani attraverso una verifica esterna annuale a livello nazionale". Concludono i vescovi:  "Così come accompagniamo Cristo nella Sua passione e morte nel corso della Settimana Santa, siamo con il Santo Padre Benedetto XVI in preghiera per le vittime dell'abuso sessuale, per tutta la Chiesa e per il mondo intero".

Intanto, martedì, nell'omelia per la messa per i membri del parlamento italiano, il cardinale Antonio Cañizares Llovera ha voluto esprimere vicinanza al Papa:  "In questi giorni così particolarmente santi" - ha detto - "terremo quanto mai presente il Papa Benedetto, autentico servitore di Dio che, abbracciato alla croce salvatrice di Cristo Signore della Chiesa e della storia, ci insegna continuamente, e in modo speciale nel momento attuale, che "solo Dio conta", perché "Dio è amore" e "in speranza siamo già salvati", invitandoci a "non avere paura", a non essere pusillanimi. Grazie, Santo Padre! Con tutta la Chiesa, e in modo particolarmente eminente nei tempi odierni, siamo con Pietro, con il grande dono che Dio ci ha fatto nel suo successore il nostro amatissimo Papa Benedetto XVI.

Preghiamo insieme per lui, pieni di affetto filiale, a braccia levate:  proprio dalla Croce, nell'ora delle tenebre, scaturisce la speranza della luce e la vittoria dell'amore. Come Gesù nella croce, anche noi viviamo l'ora di Dio, che è l'ora della fiducia piena - la fiducia del bimbo appena svezzato in braccio alla madre - l'ora della speranza che non delude, l'ora della preghiera. Grazie di tutto, Santo Padre! Grazie per incoraggiarci alla speranza e per mostrarci quanto Dio ci ama nella persona del Vicario del Suo Figlio, abbracciato alla croce e testimone singolare del suo amore in questi tempi difficili che viviamo. È da tempi così, analoghi a quelli di allora a Gerusalemme, che scaturisce la vita e la chiamata alla conversione, l'invito a ritornare alla Sorgente dell'unico Amore che i rinnova, a essere uomini nuovi, purificati dal sangue versato per noi sulla croce, dove pende la salvezza per il mondo intero".




Non mi vergogno di essere prete


di don Piergiordano Cabra

Anche nei giorni dell'accusa e del dileggio mediatico, non mi vergogno di dire che non mi sono vergognato d'essere prete.
Alcuni preti sono stati incolpati di pedofilia? Una vergogna, ed è giusto fare pulizia dove c'è sporcizia. L'espressione, presente già nell'Introduzione al cristianesimo di Joseph Ratzinger del 1968, è stata usata, per la prima volta riferita alla Chiesa, dal cardinale Ratzinger durante la Via crucis al Colosseo, suscitando sorpresa. E ora vorrebbero coinvolgere anche lui. Ma non lo avevano chiamato "pastore tedesco", per la sua inflessibile disciplina?

Detto questo, non mi vergogno di appartenere a una "categoria" di persone che ha dedicato la propria vita a preparare i ragazzi e i giovani alla vita, che ha avuto il coraggio di promuovere con la parola e con l'esempio - sì, proprio con il buon esempio - l'ideale d'una vita pulita, seria con sé e con gli altri, rispettosa, generosa. Penso in questo momento agli ottimi sacerdoti che mi hanno educato, a quelli che ho conosciuto nel mio lungo ministero, che hanno vissuto per gli altri, ponendo la dignità della persona - specialmente dei bambini e dei giovani - alla base del loro servizio pastorale.

Penso anche ai casi di vere e proprie calunnie, che hanno distrutto delle vite innocenti.
E di fronte a questo infuriare mediatico non posso non vedere anche l'avidità di chi - e non sono certo le vittime - sfrutta il caso a suo vantaggio; penso a conduttori di programmi televisivi deleteri, che irridono a ogni ideale e che oggi fanno gli scandalizzati. Penso alla buona occasione per infangare la Chiesa e svalutare la sua dottrina che resiste all'andazzo generale, non piegandosi ad accondiscendere a confondere il male con il bene, il pulito con lo sporco.

Penso ai santi preti, che non sono pochi, e a quelli onesti, che sono molti, ricordando i quali, mi sento spinto a guardare avanti con fiducia.

Non sono così cieco per non vedere le cose che non vanno, prima in me e poi negli altri.
Ma il bene maggiore non è di abbassare l'ideale, ma di innalzare il livello della mia vita, di sentirsi tutti più umili, più uniti nella Chiesa, di non lasciare troppo soli i nostri preti, di pregare per loro, di sostenerli con il nostro calore umano. Soprattutto a non scagliare troppo facilmente la prima pietra.
No. Non mi vergogno d'essere prete. Mi vergogno solo di non essere un santo prete.


(©L'Osservatore Romano - 1 aprile 2010)
Caterina63
00giovedì 1 aprile 2010 16:06
Il Patriarca interviene sulla questione della pedofilia e conferma “l’appassionata sequela” a Papa Bendetto XVI. Il testo pronunciato dopo la Messa del Crisma a San Marco

FONTE ORIGINALE QUI

La ricorrenza solenne della Santa Messa del Crisma che vede qui riunito tutto il presbiterio, con i diaconi, le religiose ed i religiosi e non pochi fedeli laici, mi spinge a dire una doverosa parola in merito alla questione del peccato e del crimine di pedofilia commesso da sacerdoti e consacrati. Questo tema, anche nel nostro Paese, è da più giorni in primo piano.

Con un giudizio pacato ed obiettivo intendo manifestare a voi tutti, a tutto il popolo cristiano e a tutti gli abitanti del Patriarcato quanto in proposito ho nel cuore da giorni.

1. Come ha affermto Benedetto XVI, hanno ribadito il Cardinale Angelo Bagnasco ed il recente Comunicato finale del Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana, la pedofilia «è un crimine odioso, ma anche peccato scandalosamente grave che tradisce il patto di fiducia inscritto nel rapporto educativo… Se commesso da una persona consacrata, acquista una gravità ancora maggiore».

Da qui il nostro sgomento, senso di tradimento e rimorso per l’infanzia violata e ancor più la nostra vicinanza alle vittime e ai loro famigliari. Da qui anche, senza tentennamenti e minimizzazioni, il rinnovato impegno a rendere conto di ognuno di questi misfatti, decisi a non nascondere nulla. La misericordia ed il perdono verso quanti hanno sbagliato implica da parte loro il sottomettersi alle esigenze di piena giustizia e quindi il rispondere «davanti a Dio onnipotente come pure davanti ai tribunali debitamente costituiti».

I Vescovi italiani si impegnano a seguire le direttive ribadite dal Santo Padre sia attraverso le procedure canoniche che mediante una leale collaborazione con le autorità dello Stato. Moltiplicheranno inoltre i loro sforzi per prevenire simili situazioni. Anche un solo caso «è sempre troppo, soprattutto se a compierlo è un sacerdote».

Fa parte di un atteggiamento obiettivo rilevare il dato, sottolineato da molte parti anche non cattoliche, che il fenomeno della pedofilia concerne diversi ambienti e varie categorie di persone. Questa notazione non intende sminuire la gravità dei fatti segnalati in ambito ecclesiastico, ma invita «a non subire – qualora ci fossero – strategie di discredito generalizzato».

2. Mi preme in questo contesto ringraziare voi tutti, carissimi sacerdoti del Patriarcato, per la vostra indefessa e diuturna azione in campo educativo. I gravissimi episodi segnalati in talune diocesi non debbono oscurare questo vostro luminoso impegno e gettare discredito sulla preziosa azione che da tempo immemorabile voi svolgete nelle nostre parrocchie, nelle nostre scuole, nonché nelle aggregazioni di fedeli. Azione educativa che nelle Chiese del Nord-Est e nella diocesi di Venezia oggi è più che mai attenta a tutti i risvolti pedagogici.

Invito voi tutti a proseguire serenamente e ancora più energicamente nel prezioso compito di trasmettere alle nuove generazioni il senso cristiano della vita che, se adeguatamente proposto, è in grado di far crescere personalità equilibrate e mature a tutti i livelli, compreso quello affettivo e sessuale. Per questo sono certo che i moltissimi genitori che normalmente affidano alle parrocchie, alle scuole cattoliche, ai patronati, ai GREST, alle associazioni cattoliche i loro figli intensificheranno la loro fiducia e prenderanno ancor più coscienza della decisiva importanza della famiglia per introdurre ed accompagnare, nell’ambito della parrocchia, i bambini, i fanciulli ed i pre-adolescenti all’incontro con Cristo nella comunità cristiana.

3. È fuorviante e inaccettabile mettere in discussione a partire dai casi di pedofilia in ambito ecclesiastico, il santo celibato che la Chiesa latina domanda, in piena libertà, ai candidati al sacerdozio alla luce di una lunghissima tradizione. Ne stiamo riscoprendo la bellezza in questo anno sacerdotale. Il celibato, quando è vissuto con lo sguardo fisso in Gesù sacerdote e con cuore indiviso per il bene del popolo di Dio che ci è affidato, è una preziosa esperienza d’amore che fa fiorire la nostra umanità. Accogliere liberamente il dono del celibato e percorrerne la via non implica alcuna mutilazione psichica e spirituale. Per coloro che sono chiamati, la grazia del celibato è strada per una singolare ma compiuta espressione della propria affettività e sessualità. Certo siamo vasi di argilla e portiamo in essi un tesoro grande ma, con l’aiuto di Dio ed il sostegno della comunità cristiana, lo portiamo con responsabilità e letizia.

4. Infine in questa straordinaria giornata del Giovedì Santo, espressione del peculiare “genio cattolico” perché in essa splende la potenza dell’Eucaristia ed il significato pieno del sacerdozio ordinato, intendiamo ridire pubblicamente e con forza il nostro affetto e la nostra appassionata sequela al Santo Padre Benedetto XVI. A lui che tanto ha fatto e tanto fa per togliere “ogni sporcizia” dalla compagine degli uomini di Chiesa vengono rivolte accuse menzognere. Ma l’ «umile lavoratore della vigna» - così Egli si definì presentandosi al mondo ormai cinque anni fa in occasione della Sua elezione al Pontificato – riceverà dallo Spirito la grazia di offrire questa iniqua umiliazione trasformandola in rinnovata energia per l’indispensabile Suo ministero di Successore di Pietro.

Noi, sacerdoti e popolo veneziano, Lo affidiamo oggi, in modo del tutto speciale, alla Santissima Vergine Nicopeja.

Carissimi, accogliete con cuore aperto queste parole del vostro Patriarca. E siate certi della sua piena fiducia e della sua stima. Sono fondate sulla conoscenza ormai pluriennale del vostro amore per Cristo e per la Chiesa che si trasforma in dono quotidiano, spesso silenzioso e non compreso, della vostra vita a favore di ogni nostro fratello uomo.

Il cammino della Visita Pastorale continui a rinsaldare la nostra unità affinché, come Gesù ci ha chiesto, il mondo creda e scopra in tal modo la pienezza del vivere.

Vi invito a trovare i modi opportuni per far conoscere il più capillarmente possibile questa Dichiarazione a tutti i fedeli e a tutti gli uomini e le donne che vivono nel nostro Patriarcato.

Con vivo affetto di comunione nel Signore benedico voi e tutti i fedeli augurandovi una Santa Pasqua.

+ Angelo Card. Scola

patriarca

Venezia, 1 aprile 2010, Giovedì Santo








Ulteriori approfondimenti sull'argomento:

ATTENZIONE: LETTERA DI BENEDETTO XVI CONTRO GLI ABUSI SESSUALI NELLA CHIESA

Visita straordinaria dei Vescovi Irlandesi e Tedesco dal Pontefice per condannare gli abusi sessuali

Dolce Vicario di Cristo in terra, abbiamo bisogno di Lei! Lettere aperte al Santo Padre

Ottimo intervento di M.Introvigne e Padre Lombardi alla trasmissione di Uno-Mattina

Marcello Pera scrive Lettera aperta contro gli attacchi al Papa ed alla Chiesa per le colpe di pochi sugli abusi sessuali


LA FORMAZIONE DEI PRETI






Caterina63
00giovedì 1 aprile 2010 19:44
Interventi del cardinale Levada e dell'arcivescovo di Milwaukee

Errori sono stati fatti
Ma non a Roma


Washington, 1.
 "Sono stati fatti errori" ma questi errori "non sono stati fatti a Roma nel 1996, 1997 e 1998. Gli errori sono stati fatti qui, nell'arcidiocesi di Milwaukee negli anni Settanta, Ottanta e Novanta, dalla Chiesa, dalle autorità civili, da funzionari ecclesiastici e dai vescovi".

È quanto ha affermato l'arcivescovo di Milwaukee, Jerome E. Listecki, nel corso dell'omelia per la messa crismale nella cattedrale di St. John the Evangelist, Ha aggiunto il presule:  "Per questo chiedo il vostro perdono a nome della Chiesa e dell'arcidiocesi", "come vescovo, sacerdote e come uomo di fede, mi scuso con tutti quelli che sono stati vittime di abusi sessuali commessi da sacerdoti". Questo crimine - ha detto ancora - "questo peccato, questo orrore non dovrebbe mai accadere, specialmente ad opera di un sacerdote. Quelli che hanno commesso questi crimini e quelli, incluso qualche vescovo, che non hanno fatto tutto ciò che avevano il potere di fare per fermarli, vanno contro a tutto ciò che la Chiesa e il sacerdozio rappresentano. Per queste azioni offro le mie scuse sincere".

Tuttavia la Chiesa è impegnata ad agire fermamente:  "Non sono parole - ha detto ancora l'arcivescovo - ma azioni che proveranno la nostra risolutezza. E, in qualche modo, a prescindere da ciò che dico oggi o in ogni altra circostanza, chi ci accusa dirà che non è abbastanza. Ma questo non può impedirmi e non mi impedirà di compiere ogni sforzo possibile nell'assistenza nei confronti di chi è stato colpito e nella determinazione a far sì che  quello che è accaduto non si ripeta più". A chi accusa Benedetto XVI il presule risponde:  "Le sue azioni rapide e decise in risposta a questa vicenda e la sua compassionevole risposta alle vittime parlano per lui. Il Santo Padre è stato fermo nel suo impegno a combattere gli abusi sessuali, a sradicarli dalla Chiesa, a raggiungere chi è stato colpito, a perseguire i colpevoli. È stato una guida, incontrando le vittime e punendo i vescovi per la loro mancanza di giudizio e capacità di direzione".

Intanto il "Catholic Anchor", edito dall'arcidiocesi di Anchorage, ha pubblicato un intervento di padre Thomas Brundage, che presiedeva il procedimento canonico a carico di padre Lawrence Murphy, accusato di innumerevoli casi di abuso verificatisi a Milwaukee presso un istituto per audiolesi. Padre Brundage ha specificato che tale procedimento, nonostante alcuni organi di stampa abbiano lasciato intendere il contrario, non si è fermato se non alla morte dello stesso accusato, avvenuta nel 1998:  "Per quanto riguarda il ruolo dell'allora cardinale Joseph Ratzinger nella questione, non ho nessun motivo di ritenere che vi sia stato in qualche modo coinvolto. Coinvolgerlo nella questione significa compiere un enorme salto di logica e di informazione". Benedetto XVI - ha aggiunto padre Brundage - "è stato l'autorità ecclesiastica più attiva e reattiva della storia a livello internazionale a rispondere alla piaga degli abusi sessuali commessi da sacerdoti".

Nei confronti di Benedetto XVI - ha scritto il cardinale William J. Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, in un intervento in risposta agli articoli pubblicati nei giorni scorsi dal "New York Times" - "abbiamo un grande debito di gratitudine per aver introdotto le procedure che hanno aiutato la Chiesa ad agire di fronte allo scandalo degli abusi sessuali. Questi sforzi sono iniziati quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e sono continuati dopo che è stato eletto pontefice.

Il fatto che il "Times" abbia pubblicato una serie di articoli in cui viene ignorato l'importante contributo che ha fornito - soprattutto nello sviluppo e nella implementazione della Sacramentorum sanctitatis tutela - il motu proprio di Giovanni Paolo II del 2001 - mi sembra tale da giustificare l'accusa di mancanza di quella giustizia che dovrebbe essere la caratteristica di ogni giornale che goda di buona reputazione".

Vescovi europei in merito al dramma degli abusi

In difesa della verità
e contro la calunnia



Preghiera, affetto e vicinanza al Papa, insieme alla riconferma della validità del celibato sacerdotale e dell'azione educativa della Chiesa nonostante i casi di abusi su minori compiuti da alcuni suoi ministri, casi venuti alla luce e amplificati, talora artificiosamente, dai mass media. Questi gli aspetti messi in luce da numerosi presuli nel corso della messa crismale del Giovedì santo. "Nessuna ombra, per quanto grave, dolorosa, deprecabile - ha detto il cardinale arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana - può annullare il bene compiuto" da tantissimi sacerdoti. "Il sacerdote - ha affermato - è l'uomo della gioia, una gioia intrisa di bontà, una gioia impenitente perché non è fondata su illusioni e su beni effimeri, ma su Dio". La gente - ha proseguito rivolgendosi ai numerosi sacerdoti presenti - "vi vuol bene, vi guarda con stima e a volte con quella curiosità che la vostra vita, semplice e dedicata nel segno della gratuità, sollecita", perché "sempre e comunque, il mondo, credente o meno, guarda al sacerdote con l'aspettativa di vedere in noi il meglio dell'umanità e del bene. Vuole dal sacerdote niente meno che la santità".

Particolare vicinanza al Pontefice è stata espressa dal cardinale arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi. "Vogliamo dire a Papa Benedetto XVI, specie in queste settimane e con particolare intensità di sentimenti, la nostra fede, la nostra preghiera e il nostro affetto". Ricordando come una delegazione diocesana sarà a Roma con il Santo Padre in occasione della celebrazione conclusiva dell'Anno sacerdotale, Tettamanzi ha dedicato interamente l'omelia al suo presbiterio. "Siamo radunati a contemplare il nostro essere presbiteri come dono grande di Dio, che precede ogni nostro merito ed eccede ogni nostra attesa, come vocazione personalissima e insieme essenzialmente ecclesiale".

A Venezia, il patriarca cardinale Angelo Scola è intervenuto al termine della messa crismale sulla "questione del peccato e del crimine di pedofilia commesso da sacerdoti e consacrati". In particolare, ha ribadito l'"affetto" e la propria "appassionata sequela" a Benedetto XVI che "tanto ha fatto e tanto fa per togliere "ogni sporcizia" dalla compagine degli uomini di Chiesa" e al quale "vengono rivolte accuse menzognere". E avverte:  i vescovi italiani "moltiplicheranno i loro sforzi per prevenire i casi di pedofilia", ma la Chiesa non può subire "strategie di discredito generalizzato".

Di fronte ai numerosi casi di abusi su minori la Chiesa prova - assicura Scola - "sgomento, senso di tradimento e rimorso", ma reagisce anche con "rinnovato impegno a rendere conto di ognuno di questi misfatti, decisi a non nascondere nulla, senza tentennamenti e minimizzazioni". Tuttavia, è "fuorviante e inaccettabile" mettere in discussione il celibato dei sacerdoti sulla base di queste accuse. Un "santo celibato" - ha sottolineato - che "la Chiesa latina domanda, in piena libertà, ai candidati al sacerdozio alla luce di una lunghissima tradizione". Il celibato "quando è vissuto con lo sguardo fisso in Gesù sacerdote e con cuore indiviso per il bene del popolo di Dio che ci è affidato, è una preziosa esperienza d'amore che fa fiorire la nostra umanità. Accogliere liberamente il dono del celibato e percorrerne la via non implica alcuna mutilazione psichica e spirituale. Per coloro che sono chiamati, la grazia del celibato è strada per una singolare ma compiuta espressione della propria affettività e sessualità. Certo siamo vasi di argilla e portiamo in essi un tesoro grande ma, con l'aiuto di Dio ed il sostegno della comunità cristiana, lo portiamo con responsabilità e letizia".

Per il cardinale arcivescovo di Bologna, Carlo Caffarra, "obbedienza e sacro celibato" sono i segni caratteristici del ministero sacerdotale.
Se con l'obbedienza "il sacerdote non è più a disposizione di se stesso, è stato espropriato da se stesso", vivendo il sacro celibato ha "la capacità di donarsi totalmente a ciascuno senza possedere nessuno né essere posseduto da alcuno". E "se la nostra persona - ha concluso rivolgendosi ai sacerdoti - non fosse "stigmatizzata" da questi due segni, segnata a fuoco da essi, il mistero della nostra partecipazione all'unzione di Cristo sarebbe come il seme seminato in un terreno roccioso".

Nel frattempo, la Chiesa in Austria chiede perdono e riconosce le colpe di cui si sono macchiati alcuni suoi ministri responsabili di abusi su minori. A farlo è stato mercoledì sera il cardinale arcivescovo di Vienna, nonché presidente della Conferenza episcopale austriaca, Christoph Schönborn, nel corso di una celebrazione penitenziale nella quale hanno preso la parola anche alcune vittime degli abusi. "Riconosciamo la nostra colpa e siamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità di fronte alla storia e al presente", ha detto il porporato. La celebrazione, alla quale hanno partecipato circa tremila fedeli, si è svolta nel duomo di Santo Stefano ed è stata organizzata in collaborazione con alcune organizzazioni come Wir sind Kirche ("Noi siamo Chiesa") e le associazioni delle vittime degli abusi.

Una decina di testimoni, donne e uomini, vittime dirette degli abusi o loro rappresentanti, hanno parlato denunciando e presentando davanti a Dio le violenze subite, le ferite insanabili, la delusione, ma anche le speranze e le richieste. Dinanzi a tanto dolore, ha osservato il porporato, ogni parola diventa "fuori luogo". Meglio il silenzio, ma non certamente quello dell'omertà, bensì quello riflessivo e sapienziale di Giobbe, la cui fede, secondo il racconto biblico, viene duramente messa alla prova. Schönborn ha così ringraziato le vittime degli abusi per aver rotto il silenzio, sottolineando tuttavia che "c'è ancora molto da fare" per far emergere con chiarezza i confini delle responsabilità. Gli abusi nella Chiesa sono particolarmente gravi - ha detto - perché "avvelenano il nome di Dio". E i colpevoli di questi orribili abusi sono in un certo senso "distruttori del rapporto con Dio". È questo "che rende ancora più gravi gli abusi nella Chiesa". È terribile "quando l'accesso a Dio viene ostacolato dagli uomini".

Il rito è culminato in un atto di contrizione pronunciato da Schönborn, in cui il porporato ha riconosciuto la responsabilità di alcuni sacerdoti, sia in casi di "violenza sessuale" che nell'aver "occultato i fatti". E ha riconosciuto, a nome della Chiesa, "di avere dato più importanza alla sicurezza, al potere, all'apparenza".

 


(©L'Osservatore Romano - 2 aprile 2010)
Caterina63
00lunedì 5 aprile 2010 11:43
Piazza San Pietro gremita per la messa di Pasqua

PAPA: GLI AUGURI DI SODANO,"LA CHIESA E' CON TE, DOLCE CRISTO IN TERRA" [SM=g1740738]

(AGI) - CdV, 4 apr.

"Buona Pasqua Padre Santo, la Chiesa e' con te, dolce Cristo in terra". Con questa antica e significativa espressione il decano del Collegio Cardinalizio, Angelo Sodano, si e' rivolto a Benedetto XVI con un gesto non previsto ma reso necessario dalla drammaticita' del momento.
"La liturgia della Chiesa - ha detto il porporato - ci invita a una santa letizia: anche se scende la pioggia su questa storica piazza il sole risplende sui nostri cuori, ci stringiamo a lei rocci indefettibile della Santa Chiesa di Cristo. Le siamo profondamente grati per la sua fortezza d'animo e per il coraggio apostolico. Noi ammiriamo il suo grande amore che con cuore di padre fa prporie le speranze di tutta l'umanita' di oggi, in modo speciale dei poveri e dei sofferenti".

"Oggi - ha continuato - per mezzo mio tutta la Chiesa desidera dirle in coro, buona psaqua amato Santo Padre, la Chiesa e' con lei, con lei sono i cardinali suoi collaboratori della curia romana, con lei i vescovi che guidano le 3 mila circoscrizioni ecclesiastiche e quei 400 mila sacerdoti che servono generosamente il popolo di Dio nelle parrocchie, nelle scuole, negli ospedali come pure nelle missioni. E' con lei il popolo di Dio che non si lascia impressionare dal chiacchiericcio. Come lei ci ha insegnato giovedi' santo citando San Pietro, Gesu' insultato non rispose con insulti e ci soccorre nelle prove: nel mondo, ci disse, avrete delle tribolazioni ma abbiate coraggio io ho vinto il mondo".




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Caterina63
00martedì 6 aprile 2010 20:32
Intervista al cardinale decano

Con la Chiesa a fianco del Papa


di Giampaolo Mattei


"È ormai un contrasto culturale:  il Papa incarna verità morali che non sono accettate e così le mancanze e gli errori di sacerdoti sono usate come armi contro la Chiesa". Alza la voce il cardinale Angelo Sodano, decano del collegio cardinalizio, che all'inizio della messa del giorno di Pasqua ha espresso a Benedetto XVI l'affetto e la fedeltà di tutti i cattolici. "Dietro gli ingiusti attacchi al Papa - sottolinea nell'intervista rilasciata al nostro giornale - ci sono visioni della famiglia e della vita contrarie al Vangelo. Ora contro la Chiesa viene brandita l'accusa della pedofilia. Prima ci sono state le battaglie del modernismo contro Pio X, poi l'offensiva contro Pio XII per il suo comportamento durante l'ultimo conflitto mondiale e infine quella contro Paolo VI per l'Humanae vitae".

Il suo intervento, la mattina di Pasqua, si può leggere come una reazione alla campagna diffamatoria contro il Papa, intensificata in questi giorni dalle accuse pretestuose di non aver parlato, durante i riti pasquali, delle vittime degli abusi sessuali?

Davanti a questi ingiusti attacchi ci viene detto che sbagliamo strategia, che dovremmo reagire diversamente. La Chiesa ha il suo stile e non adotta i metodi che oggi sono usati contro il Papa. L'unica strategia che abbiamo ci viene dal Vangelo.

La comunità cristiana come vive, secondo lei, questa prova?

Si sente giustamente ferita quando si tenta di coinvolgerla in blocco nelle vicende tanto gravi quanto dolorose di qualche sacerdote, trasformando colpe e responsabilità individuali in colpa collettiva con una forzatura veramente incomprensibile. Nel mio intervento non ho fatto altro che dare voce al popolo di Dio:  al collegio cardinalizio, anzitutto, che è tutt'uno con il Romano Pontefice; ma anche ai vescovi e a tutti i quattrocentomila sacerdoti. Sì, ho voluto espressamente parlare dei pastori che spendono la loro vita a servizio di Dio e della Chiesa. Se qualche ministro è stato infedele non si può e non si deve generalizzare. Certo, ne soffriamo, e Benedetto XVI ha chiesto scusa più volte. Ma non è colpa di Cristo se Giuda ha tradito. Non è colpa di un vescovo se un suo sacerdote si è macchiato di colpe gravi. E certo non è responsabile il Pontefice.

Tutta la Chiesa è con il Papa:  è stato questo il messaggio?

Le mie parole erano inserite nella liturgia di Pasqua. È logico che nelle feste più significative dell'anno una famiglia si stringa intorno al proprio padre. Ho quindi ritenuto che questa fosse un'occasione adatta per riaffermare i profondi vincoli di unità che stringono tutti i membri della Chiesa intorno a colui che lo Spirito Santo ha posto a guidare la comunità dei credenti. Da parte mia, come decano del collegio cardinalizio, ho ritenuto doveroso fare quell'intervento. Come ogni cardinale, ho la missione di stare sempre a fianco del Papa e di servire la Chiesa usque ad effusionem sanguinis. Sento un dovere di riconoscenza a Benedetto XVI per la dedizione apostolica con cui presta il suo quotidiano servizio alla Chiesa. Quelle parole sono nate anche da un'esigenza personale, dall'affetto profondo che porto al Vicario di Cristo.

Come ha pensato il suo intervento?

Oltre a una testimonianza di vicinanza al Papa, il mio è stato un invito alla serenità. È l'appello che il Papa stesso, per primo e continuamente, rivolge alla Chiesa e al mondo, sulla scia dei suoi grandi predecessori sulla cattedra di Pietro. Non meravigliamoci delle persecuzioni perché Gesù già aveva detto ai suoi apostoli che "un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra", come si legge nel Vangelo secondo Giovanni.


(©L'Osservatore Romano - 6-7 aprile 2010)
Caterina63
00venerdì 9 aprile 2010 21:45
La guida di Benedetto XVI

Per mostrare la luce di Cristo


di Gualtiero Bassetti
Arcivescovo di Perugia - Città della Pieve
Vice presidente della Conferenza episcopale italiana
 

Coraggioso testimone della verità. In questo modo si può definire Benedetto XVI, che alla verità tutta intera ha dedicato la sua vita, dapprima come teologo e sacerdote, poi da vescovo, e ora da Papa. Senza smettere mai di mostrare agli uomini la "luce di Cristo" (lumen Christi) che è rifulsa nel mondo.
Fin dall'inizio del suo pontificato, ma anche da molto prima, Joseph Ratzinger ha messo a fuoco con carità e chiarezza le ragioni e le radici della speranza cristiana. Per questo motivo e con la stessa passione, oggi Benedetto XVI non teme di indicare i fondamenti della vita, sia in chiave morale sia in termini escatologici.

Lo stesso binomio emerge, sin dal titolo, nella Caritas in veritate. Il Papa sottolinea la necessità di avere la ragione e il cuore aperti e che la Parola di Dio, anche e specialmente quando è percepita come vera, smaschera la cattiva coscienza e la cattiva condotta. Questo "il mondo" non tollera, non amando, oggi come duemila anni fa, quanti si oppongono all'ingiustizia, alla falsità, all'empietà, al capriccio elevato a norma:  "Senza verità, senza fiducia e amore per il vero, non c'è coscienza e responsabilità sociale, e l'agire sociale - si legge nell'enciclica (n. 4) - cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società".

Ma il coraggio di Benedetto XVI va oltre, non temendo di indicare alla Chiesa anche la realtà scomoda delle mancanze, delle povertà e degli scandali dei suoi figli. Chi sa abbandonare i pregiudizi rimane impressionato e ammirato di fronte alla forza di questo Papa che, nonostante il peso eccessivo assunto dall'apparenza nella società dell'immagine, non teme l'oltraggio e la derisione del mondo. La verità a ogni costo, anche se fa male, anche se brucia l'anima.

Papa Ratzinger non chiede ad altri di portare la croce:  l'assume di persona, sull'esempio di nostro Signore, che "umiliò se stesso" e "si caricò dei peccati dei fratelli", per fare risplendere la parola di vita e di salvezza. Pietro ancora una volta è di esempio e di guida:  infondendo coraggio nei nostri cuori e chiedendo di non essere pavidi, di non sfuggire alle responsabilità e di confessare le colpe.
Con mano ferma e gentile il Papa guida la Chiesa, anche tra le difficoltà e nell'ora della prova. All'inizio del suo pontificato Benedetto XVI chiese ai fedeli:  "Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi". Noi, come i primi cristiani pregavano per l'apostolo e per la Chiesa nascente e perseguitata, preghiamo per lui, perché egli si senta protetto e sostenuto da Cristo, in unione con l'intera comunità cristiana.

La Chiesa soffre con lui e con lui prega, penitente per le colpe di alcuni suoi figli, proprio quelli che in misura maggiore avrebbero dovuto mostrarne il volto più bello e misericordioso, il volto di Cristo buon pastore. Questo volto splende e si rivela a tutti coloro che hanno fame e sete del Dio vivente. La Chiesa, guidata dal soffio dello Spirito, trova sempre la forza per purificarsi e rinnovarsi. Anche se "il mondo" tenta di assimilarla, per renderla insignificante. Essa invece resta coscienza critica e fonte di sicura speranza per quanti davvero aspirano al bene.



(©L'Osservatore Romano - 10 aprile 2010)



19 Aprile: Anniversario di un Pontificato nel segno dei tempi! Ad maiora Santo Padre!

Caterina63
00domenica 11 aprile 2010 22:53

LETTERA DI SOLIDARIETA’ PER IL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

                                      Pope Benedict XVI celebrates the First Vespers and Te Deum prayers in Saint Peter's Basilica at the Vatican December 31, 2009.


Venerato Papa Benedetto, siamo un gruppo di cattolici addolorati per gli insulti dei quali la sua Persona è stata recentemente oggetto da parte di uomini che colpiscono in Lei  il Successore di  Pietro, roccia sulla quale Cristo ha fondato la Chiesa e principe degli apostoli, al quale Cristo ha consegnato le chiavi del regno dei cieli. Vostra Santità nel nome di Cristo pasce il suo gregge e conferma i fratelli nella fede animandoli alla “carità della verità”, come diceva S.Agostino e alla verità che fa liberi, secondo le parole del divino Maestro.

La dolcezza della Paternità Vostra tocca le coscienze; la fermezza le scuote dal torpore e le anima alla carità di Cristo. Con dedizione instancabile Ella ci indica la via del sincero culto a Dio nella liturgia,  della sapienza del Vangelo, della comunione ecclesiale, della conversione dei cuori, della dignità della persona umana, della ricerca della santità, della vera interpretazione del
 Concilio Vaticano II, della rinascita cristiana dell’Europa, della evangelizzazione del mondo, del dialogo ecumenico ed interreligioso, della giustizia e della pace.

Uomini invidiosi della testimonianza commovente e disarmata di Voi, Padre venerato, si appigliano a vergognosi pretesti per tentare invano di offuscare la luce che emana dalla Sua Persona, benedetta di nome e di fatto, ma il loro tentativo è meschino e ridicolo.

Invano essi vorrebbero che si distogliesse l’attenzione dalla vostra testimonianza e dai veri problemi della Chiesa e della società. Se non fosse che occorre difendere i deboli dallo scandalo, non varrebbe neppure la pena prendere in considerazione il chiasso di tanto basse insinuazioni.

Lo smarrimento di pochi ministri di Cristo, certo vergognoso, ma rimediabile con la giustizia e la misericordia, sembra essere il sintomo di una ben più profonda crisi di fede che turba e tormenta la Sposa di Cristo ad opera di oscure e potenti forze che vorrebbero toglierla di mezzo. Ella, nostro Padre comune nella fede, ci insegna che la pratica della verità viene dalla conoscenza della Verità. Oggi abbiamo tutti, credenti e non credenti, bisogno di recuperare il valore della verità, verità su Dio e sull’uomo.

Da qui sorgerà la riforma dei costumi. Padre venerato, lo Spirito Santo Le conceda tutta la forza necessaria, la Vergine Santa, Sedes Sapientiae, ottenga dal suo divin Figlio per Lei l’abbondanza della sapienza.

Siamo i suoi figli, siamo i suoi discepoli, vogliamo portare la Croce con Lei. Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat. A nome di tutti e con essi di Vostra Santità mi firmo dev.mo

Padre Giovanni Cavalcoli, OP

della Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna
CONVENTO PATRIARCALE S. DOMENICO
40124 BOLOGNA - Piazza S. Domenico 13
Tel. 051/64.00.411 - Fax 051/64.00.431
Vicepostulazione della Causa di Beatificazione
del Servo di Dio P.Tomas Tyn, OP



Caterina63
00domenica 16 maggio 2010 21:16

Card. Carlo Caffarra: La fede ha già vinto il mondo, poiché essa ci radica nella divina Verità

Omelia di S. Eminenza il Card. Carlo Caffarra
per il V° anniversario della elezione al Soglio Pontificio di Papa Benedetto XVI 
Chiesa Cattedrale di Bologna - 19 aprile 2010

È intrinseco alla testimonianza cristiana lo scontro coi poteri di questo mondo. Quale è il “potere del mondo” con cui oggi si scontra la testimonianza che quotidianamente Benedetto XVI rende a Cristo? Prima ho parlato della “dittatura del relativismo”. Con questa espressione il S. Padre intende quel modo di pensare oggi così diffuso secondo il quale non esiste alcuna verità universalmente valida circa ciò che è bene o male; che «non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie».

Una tale posizione, sul piano etico, ha una potenza devastante smisurata. Vengono censurate non solo le norme morali del cristianesimo; ma ogni tentativo di mostrare che esistono norme morali che difendono “beni umani non negoziabili”, è rigettato in partenza. Mai l’uomo è stato esposto ad un pericolo più grave, dal momento che è stato privato del potere di riconoscere le prevaricazioni contro se stesso. Il “sistema spirituale immunitario” che lo difende da ogni attacco alla sua dignità – la convinzione che esistano beni umani non negoziabili – è stato annullato.

È su questo livello che lo scontro fra il S. Padre e il potere culturale del mondo è totale.

1. « In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati». È a persone che lo cercano [«voi mi cercate»], che Gesù si rivolge. Ma esse o limitano la misura del loro desiderio o non ne hanno la giusta comprensione: per loro il pane mangiato è solo pane, e non segno che rimanda ad un cibo «che dura per la vita eterna».

In questa pagina evangelica è posta chiaramente sia la domanda circa Gesù: chi è veramente Gesù di Nazareth?, sia la domanda circa la misura del desiderio dell’uomo: che cosa l’uomo ha il diritto di sperare, una vita eterna o solo «un cibo che perisce»?

Cari fratelli e sorelle, il dialogo evangelico fra Gesù e le folle ci fa capire profondamente il servizio petrino di Benedetto XVI. Esso è interamente teso a proporre la verità salvifica di Gesù al cuore dell’uomo del nostro tempo, e pertanto la questione della verità della fede cristiana è al centro del suo insegnamento. Non a caso nel suo stemma episcopale aveva scritto cooperatores veritatis.

Che cosa significa più esplicitamente tutto questo? Ritorniamo al testo evangelico. Gesù, come avete sentito, parla di un cibo «che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre ha messo il suo sigillo».

Cari fratelli, queste parole ci parlano di Dio, ce ne svelano il mistero. Nel suo servizio alla verità, il S. Padre ha costantemente insegnato il primo luogo la verità su Dio. L’affermazione con cui inizia il quarto Vangelo «in principio era il Verbo», costituisce «la parola conclusiva del concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi» [Benedetto XVI, Discorso di Regensburg]. E pertanto la proposta cristiana interloquisce in primo luogo con la ragione dell’uomo, esibendosi come la religione vera.

Ma questo non è tutto. Il testo evangelico ci ha detto che Dio in Gesù dona all’uomo un pane «che dura per la vita eterna». Il Dio vero in cui crediamo, non è una realtà inaccessibile. È un Dio che ama l’uomo, fino a condividerne il destino mortale per poterlo nutrire con un pane «che dura per la vita eterna». La prima enciclica di Benedetto XVI, quella programmatica del suo pontificato, inizia così «Deus charitas est» [Dio è carità].

La verità circa Dio è di un Dio che è il Verbo - Logos e identicamente l’Amore - Agape. Egli è identicamente il Dio «che abita una luce inaccessibile» e il Dio che entra nella nostra storia tribolata e contraddittoria. L’impegno di rendere presente questo Dio nella vita degli uomini – lo ha detto il Santo Padre stesso – è l’impegno fondamentale di questo pontificato.

Ma un “tale Dio” può essere incontrato solo mediante un atto della persona che faccia uso e di una ragione che decida di andare oltre se stessa, e di una libertà che non si faccia imprigionare dalla ipnosi dei beni umbratili. In una parola: può essere incontrato dalla fede. «Gesù rispose: questa è l’opera di Dio: credere in colui che ha mandato». E qui troviamo l’altro grande centro del servizio petrino di Benedetto XVI: salvare la ragione e quindi la libertà dell’uomo. È un servizio che può esprimersi positivamente nella formula: allargare gli spazi della ragione; e negativamente: rifiutare la dittatura del relativismo. È su questo piano che lo scontro mite e coraggioso del S. Padre colla cultura egemone in Occidente è totale, ed ha assunto ormai un profilo drammatico.

Quando il S. Padre parla di “allargare gli spazi della ragione” intende dire che la nostra ragione non è capace di conoscere solo ciò che è scientificamente sperimentabile, e solo ciò che noi possiamo tecnicamente realizzare. È ciò che dice Gesù alle folle: non fermatevi al pane che ha soddisfatto la vostra fame; in questo pane vedete un “segno” di un cibo che è risposta ad un desiderio illimitato di vita. Trascendere il sensibile per salire fino a Dio è una capacità ed un atto ragionevole.

Può sembrare strano che un Papa si erga a difensore della ragione con tanta forza. Non è, il successore di Pietro, prima di tutto il testimone del Vangelo? Cari fratelli e sorelle: la separazione tra la fede e la ragione distrugge la fede cristiana perché finisce col ridurla ad un fatto emotivo e puramente soggettivo. Una “ragione debole” è incapace di una fede ragionevole.

2. Cari amici, la seconda lettura ci ha narrato lo scontro tra Stefano ed il potere religioso del suo tempo. È intrinseco alla testimonianza cristiana lo scontro coi poteri di questo mondo. Quale è il “potere del mondo” con cui oggi si scontra la testimonianza che quotidianamente Benedetto XVI rende a Cristo? Prima ho parlato della “dittatura del relativismo”. Con questa espressione il S. Padre intende quel modo di pensare oggi così diffuso secondo il quale non esiste alcuna verità universalmente valida circa ciò che è bene o male; che «non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie».

Una tale posizione, sul piano etico, ha una potenza devastante smisurata. Vengono censurate non solo le norme morali del cristianesimo; ma ogni tentativo di mostrare che esistono norme morali che difendono “beni umani non negoziabili”, è rigettato in partenza. Mai l’uomo è stato esposto ad un pericolo più grave, dal momento che è stato privato del potere di riconoscere le prevaricazioni contro se stesso. Il “sistema spirituale immunitario” che lo difende da ogni attacco alla sua dignità – la convinzione che esistano beni umani non negoziabili – è stato annullato.

È su questo livello che lo scontro fra il S. Padre e il potere culturale del mondo è totale.
«Siedono i potenti, mi calunniano, ma il tuo servo medita i tuoi decreti», abbiamo or ora pregato col Salmo. Ecco: questo sembra essere l’atteggiamento fondamentale del S. Padre.
Questo deve essere l’atteggiamento della Chiesa, anche della Chiesa di Dio in Bologna. La fede ha già vinto il mondo, poiché essa ci radica nella divina Verità e trova corrispondenza profonda nel cuore di ogni uomo, fatto per incontrarsi con Dio nel Cristo

Caterina63
00martedì 25 maggio 2010 18:06
Una lettera di solidarietà al Papa dei vescovi salesiani

Quel lembo del mantello di don Bosco


Torino, 25. Vicini al Papa nella preghiera. Ma anche, "in quest'ora difficile della Chiesa", nella condivisione delle preoccupazioni pastorali:  il rinnovamento interiore e l'emergenza educativa. Nel segno di don Bosco del quale i suoi discepoli vescovi vogliono imitare il servizio pieno alla Chiesa. Questi, in sintesi, i contenuti della lettera che il rettore maggiore dei salesiani, don Pascual Chávez Villanueva, ha indirizzato a Benedetto XVI. Il testo consegnato nelle mani del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, che l'ha già recapitato al Pontefice è stato firmato anche da una novantina tra vescovi e cardinali salesiani radunati a Torino - da venerdì 21 a oggi - per il convegno su "Carisma salesiano e ministero episcopale". "Vogliamo ringraziarla, Beatissimo Padre - scrive il rettore maggiore - per il suo ministero illuminante che ci spinge a vivere la speranza, a cogliere la ricchezza dell'amore cristiano, a renderlo vivo e testimoniante nel tessuto della storia di oggi".

Dopo aver spiegato le circostanze che hanno motivato l'incontro dei vescovi salesiani, il rettore maggiore illustra al Pontefice le ragioni che lo hanno spinto a scrivere tale lettera. La principale è quella di esprimere "l'affetto, la vicinanza, la piena disponibilità che don Bosco ci ha insegnato a vivere, fin dai primi tempi della sua esperienza carismatica, nei confronti del Santo Padre e di tutta la Chiesa". Oggi i vescovi salesiani sono 119. Alcuni di loro sono al servizio della Chiesa presso i dicasteri vaticani, ma la maggior parte ha un ruolo pastorale nella guida di Chiese locali. Vescovi impegnati in tutti i continenti, dai luoghi più remoti e di missione, come le Isole Salomone, la Terra del Fuoco, la regione dell'Assam in India, la Thailandia, il Congo, l'Etiopia o la selva amazzonica fino alle storiche diocesi dell'Europa, come Rotterdam, Gent, Salisburgo, Linz.

"Beatissimo Padre - scrive don Chávez Villanueva - voglia sentire la nostra vicinanza in quest'ora difficile della Chiesa. Con Vostra Santità condividiamo le preoccupazioni del momento presente, chiedendo al Signore di purificare la nostra vita e di purificare la Chiesa per poter essere degni annunciatori del Vangelo, soprattutto ai giovani, ai poveri, agli ultimi, a coloro che ancora non conoscono la Buona Novella".

Il secondo aspetto rilevato dal rettore maggiore salesiano è quello di assicurare l'impegno, all'interno della congregazione e tra gli stessi vescovi salesiani, per un "profondo rinnovamento spirituale". Infatti, "crediamo che il cammino di santità è un obiettivo che va continuamente rinnovato nei nostri cuori". Infine, il terzo aspetto, che è quello di assicurare, come "Figli di Don Bosco" la "preoccupazione per i giovani di oggi, che spesso appaiono come "pecore senza pastore"". In particolare, "condividiamo la necessità, indicataci da Vostra Santità, di farci carico di questa forte "emergenza educativa"".

Così, in un mondo che "pur con mille contraddizioni cerca di farsi carico di difendere i diritti della persona umana, vogliamo essere apostoli dei giovani, custodendo il loro diritto alla conoscenza di tutto quello che è nobile, giusto, puro, onorabile, degno di lode. Vogliamo far conoscere la possibilità di una strada di maturazione umana, affettiva e spirituale che sia delineata secondo i grandi valori umani contenuti nel Vangelo". E altresì, "vogliamo garantire loro il diritto di conoscere Gesù Cristo e la sua proposta di una vita in pienezza. Vogliamo aprirli a un'esperienza di Chiesa che sia al tempo stesso vera ed entusiasmante. Vogliamo anche far scoprire loro la bellezza del donarsi a Dio, totalmente, attraverso la vita consacrata o la vita sacerdotale".

Su questi binari si è sviluppato anche l'intero convegno voluto nella casa madre di Valdocco dal rettore maggiore per celebrare alcune ricorrenze come il 150° della congregazione salesiana, il centenario della morte del primo successore di don Bosco, il beato Michele Rua, e il 125° dell'ordinazione episcopale del primo vescovo e cardinale salesiano, Giovanni Cagliero. Ma soprattutto per "riflettere insieme sulla realtà della pastorale giovanile, interrogandoci su come vada oggi inculturato e proposto il Vangelo nei diversi contesti mondiali". E anche "per ascoltare l'esperienza pastorale di fratelli che, elevati alla dignità episcopale, portano nel loro cuore, come salesiani, l'identità di pastori con un'attenzione particolare al mondo giovanile".

La spiritualità salesiana, l'azione educativa ed evangelizzatrice tra i giovani, la comunicazione del Vangelo nell'era digitale sono state le principali tematiche affrontate nell'incontro che ha avuto in agenda anche alcuni importanti appuntamenti celebrativi. Oltre alla messa celebrata domenica 23 dal cardinale Bertone nel santuario di Colle Don Bosco - di cui abbiamo dato conto nell'edizione di ieri, ndr - la festa di Maria Ausiliatrice e il pellegrinaggio alla Sindone. Di particolare rilievo l'incontro di domenica 23 in cui si sono confrontati presuli salesiani responsabili di importanti diocesi di quattro continenti:  Gaston Ruvezi Kashala, vescovo di Sakania-Kipushi nella Repubblica Democratica del Congo, Thomas Menamparampil, arcivescovo di Guwahati in India, Adrianus Herman van Luyn, vescovo di Rotterdam nei Paesi Bassi, Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, cardinale arcivescovo di Tegucigalpa in Honduras.

"La nostra maggiore minaccia - ha detto quest'ultimo - è il grigio pragmatismo della vita quotidiana di una Chiesa in cui apparentemente tutto procede normalmente, ma in realtà la fede si va consumando e degenerando in meschinità".


(©L'Osservatore Romano - 26 maggio 2010)

Caterina63
00domenica 19 dicembre 2010 15:39

Mons. Negri: il Papa ostacolato sul motu proprio e la riforma della riforma

Il dott. Paolo Facciotto, giornalista, ci scrive affermando d'esser nostro lettore (e in effetti lo si intuisce da alcune delle domande che pone nell'intervista che segue) e ci segnala questo bellissimo articolo nato da una conversazione con mons. Luigi Negri, vescovo di San Marino (nella foto). Uno dei pochi vescovi, se non l'unico, che scrisse al Papa una lettera di ringraziamento per il motu proprio. E noi ringraziamo sia il presule, per le parole che leggerete, sia il dott. Facciotti, per le puntuali e pertinenti che ha poste, per la segnalazione e per il cortese apprezzamento che ha espresso per questo modesto blog. L'articolo è apparso su La voce di Romagna di ieri; sottolineature e interpolazioni in blu nostre.


"IL PAPA FRENATO DA FORZE NEGATIVE"

di Paolo FACCIOTTO

Ieri come oggi c’è chi vorrebbe ridurre la Messa a “palestra di socialità”. Mons. Negri fa il punto sulla “riforma della riforma
DOMAGNANO - “Nel rapporto con la liturgia si decide il destino della fede e della Chiesa”: lo dice Joseph Ratzinger-Benedetto XVI nel primo volume della sua opera omnia, “Teologia della liturgia”. Il 27 novembre ai Vespri d’inizio Avvento, il Papa ha inoltre definito la liturgia “il luogo dove viviamo la verità e dove la verità vive con noi”. Affrontiamo questi temi a tu per tu con il vescovo di San Marino - Montefeltro, mons. Luigi Negri, che si prepara alla visita del Papa nel 2011.

- Eccellenza, il tratto distintivo di questo pontificato è il rapporto tra fede e ragione: perché insistere sulla liturgia?«La liturgia è la vita di Cristo che si attua nella Chiesa e coinvolge esistenzialmente i cristiani. La liturgia non è semplicemente un culto che si elevi dall’uomo a Dio, come nella stragrande maggioranza delle formulazioni religiose naturali. La liturgia è l’attuarsi ampio dell’avvenimento della vita, passione, morte e resurrezione del Signore che prende forma nell’organismo sacramentale e coinvolge i cristiani in senso sostanziale e fondamentale, facendoli appartenere a Cristo e alla Chiesa attraverso i sacramenti dell’iniziazione cristiana, e poi li accompagna nelle grandi scelte e nelle grandi stagioni della loro vita. Nelle grandi scelte vocazionali - matrimonio, ordine - o nelle stagioni della vita. Ora, la liturgia difende la fattualità di Cristo e della Chiesa. Per questo ho molta gratitudine verso il professor De Mattei, il suo straordinario volume sulla storia del Vaticano II e le pagine dedicate a un lento e inesorabile “socializzarsi” della liturgia, già prima del Concilio: come se il valore della liturgia fosse nella possibilità che il cosiddetto popolo cristiano partecipasse attivamente a un evento che era poi svuotato di fatto della sua sacramentalità e finiva per essere un’iniziativa di socialità cattolica.  E io credo che sulla liturgia si giochi la verità della fede perché si gioca la grande alternativa che Benedetto XVI ha messo all’inizio della “Deus caritas est”: il cristianesimo non è un’ideologia di carattere religioso, non è un progetto di carattere moralistico, ma è l’incontro con Cristo che permane e si svolge nella vita della Chiesa e nella vita di ogni cristiano. La liturgia rende il fatto di Cristo presente nel flusso e nel riflusso delle generazioni: “Fate questo in memoria di me”. Io credo che anche la difesa di una coscienza esatta del dogma dipenda dalla verità con cui viene vissuta la liturgia. In questo senso da sempre la Chiesa ha affermato che “lex orandi, lex credendi”: è la legge del pregare che fa nascere la legge del credere, ma soprattutto che la vigila in maniera adeguata e positiva.»

- Due aspetti mi sembrano centrali nel libro di Ratzinger “Teologia della liturgia”: la prevalenza purtroppo verificatasi, di un senso della messa come assemblea, “evento di un determinato gruppo o Chiesa locale”, cena, quindi la partecipazione intesa come l’agire di varie persone che secondo l’autore si trasforma talvolta in parodia. E poi la celebrazione verso il popolo che per una serie di equivoci e fraintendimenti “appare oggi come il frutto del rinnovamento liturgico voluto dal Concilio”, scrive il Papa: conseguenze, la comunità come cerchio chiuso in se stesso, e una clericalizzazione mai vista prima dove tutto converge verso il celebrante.«Io sono d’accordo che il Papa dovrà continuare una “riforma della riforma” liturgica del Concilio, usando un’espressione di don Nicola Bux. Ma deve essere detto con estrema chiarezza che il Papa sta facendo fatica a fare questa “riforma della riforma”. Esistono delle tendenze negative di resistenza, neanche tanto passiva. La riforma liturgica venuta dopo il Concilio, il più delle volte si è sostanziata di pseudo-interpretazioni, o ha fatto valere casi eccezionali come norma - basti per tutti il problema della lingua, o quello della distribuzione della comunione sulla mano. Ci sono stati veri e propri colpi di mano delle Conferenze episcopali nei confronti di Roma. C’è stata certamente una debolezza della reazione vaticana, dovuta probabilmente a tensioni e contro-tensioni anche all’interno delle strutture che dovevano regolare l’interpretazione esatta e l’attuazione del Concilio. Ora, pur tenendo presente questi dati condizionanti con cui un governo della Chiesa deve fare realisticamente i conti, l’alternativa è fra una sociologizzazione della liturgia - come dire, un funzionamento adeguato delle leggi e dei comportamenti della comunità cristiana radunata per celebrare l’eucaristia, che diventa il soggetto della celebrazione eucaristica, anziché l’interlocutore privilegiato - e il riportare al centro il vero soggetto della celebrazione eucaristica, che è Gesù Cristo in persona. La struttura della tradizione liturgica così come anche la Chiesa del Concilio l’ha ricevuta, salva i diritti di Cristo e la presenza di Cristo. Allora tutto ciò che viene fatto per estenuare o ridurre la coscienza della presenza di Cristo a tutto vantaggio della modalità con cui la comunità è presente, è una perdita del valore ultimo della liturgia, del valore ontologico, direbbe don Giussani, e quindi metodologico e educativo. Nel tempo in cui andava in vigore per la prima volta la riforma del Concilio Vaticano II, una altissima personalità vaticana - non posso dirle quale, ma è vero perché l’ho letto coi miei occhi - scrisse che così finalmente la celebrazione della messa ritornava ad essere “una sana palestra di socialità cattolica”. Anziché la memoria della presenza di Cristo che muore e risorge, che crea il popolo nuovo, che sostiene e lancia il popolo nuovo nella missione, “una sana palestra di socialità cattolica”

- Mi può dire almeno se era un gradino più in su di monsignor Bugnini?«Molti gradini più in su di monsignor Bugnini.» [PAOLO VI?]

- “In Italia, salvo poche lodevoli eccezioni, i vescovi e i superiori degli Ordini religiosi si sono opposti all’applicazione del motu proprio”: lo ha dichiarato pubblicamente il vicepresidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei a un anno di distanza dalla “Summorum Pontificum” con cui Benedetto XVI ha “liberalizzato” la liturgia tradizionale tridentina. Una denuncia molto forte di disobbedienza dell’episcopato italiano. A che punto siamo nell’applicazione del motu proprio? Nella sua diocesi, sono presenti celebrazioni della liturgia nella forma straordinaria del Messale Romano del 1962?«Io ho cercato di attuare, oltre che di recepire e di spiegare al mio clero il senso profondo di questo motu proprio, che per me è una possibilità data a chi vuole nella Chiesa di valorizzare una ricchezza più ampia e articolata di quello che è a disposizione di tutti. E’ come se il Papa avesse riaperto la possibilità di una celebrazione liturgica che il singolo e il gruppo sente più corrispondente al suo desiderio di crescita e ai suoi princìpi. Devo dire però che sono mancate fino ad ora le norme applicative, che noi stiamo aspettando da anni. Sostanzialmente per quello che si può fare oggi, là dove il vescovo ha obbedito, come nel mio caso, si celebrano non molte, ma tutte quelle messe che sono state chieste, secondo la modalità precisamente identificata dal motu proprio. Quando precedentemente ho detto che il Papa fa fatica a far passare la “riforma della riforma” avevo esattamente in mente un motu proprio che manca, a più di tre anni dalla sua promulgazione, delle dimensioni applicative. Ma mi pare che il rifiuto, la resistenza siano stati non tanto sul motu proprio, bensì sul fatto che la riforma liturgica del Vaticano II, così come i testi vengono interpretati e come la liturgia si è andata determinando, sembra non possa più essere messa in discussione. La resistenza è sulla possibilità stessa, che invece il Papa ha aperto, di avere altre forme di attuazione della vita liturgico-sacramentale: è questo in questione, non le applicazioni. Mentre il Papa ha detto: c’è una ricchezza liturgico-sacramentale a cui tutta la Chiesa, se vuole, può accedere senza che tutto sia ricondotto a una sola forma; secondo me, c’è un largo strato della ecclesiasticità che ritiene che invece la riforma del Concilio Vaticano II azzeri tutto ciò che vien prima. E’ quella ermeneutica della discontinuità su cui il Papa è intervenuto con molta chiarezza e decisione.»

- Per un sondaggio della Doxa [vedi colonna a destra] il 71% dei cattolici troverebbe normale che nella propria parrocchia convivessero le due forme del rito romano, tradizionale e nuovo. Il 40% di chi va a messa tutte le domeniche, se la trovasse in parrocchia, preferirebbe andare tutte le settimane alla messa di san Pio V. Come commenta questi dati, da prendere con le molle come ogni sondaggio?
«Rimango dell’avviso che, a parte questi dati, oggi la Chiesa deve essere molto disponibile a offrire forme e modi di partecipazione alla vita di Cristo, che corrispondano nella loro diversità alla diversità inevitabile che esiste fra gli uomini e fra i giovani. Io credo che ci debba animare un sincero entusiasmo missionario. Nel momento in cui le chiese si svuotano e ci sono tante difficoltà a una percezione adeguata del mistero di Cristo e della Chiesa, tutto ciò che può facilitare questo va utilizzato, ma non per affermare le proprie opzioni ideologiche! Lo scontro tradizionalismo-progressismo non ha più ragion d’essere, e di questo superamento siamo veramente debitori a Benedetto XVI. Sono contrapposizioni ideologiche che ipostatizzano punti di vista, sensibilità, forme, anziché chiedersi che cosa serve di più la missione della Chiesa e quindi il suo compito educativo.»

- Come celebrava messa don Luigi Giussani? Qual era il suo pensiero sulla liturgia e come recepì la riforma?«Ho visto Giussani celebrare secondo il rito di san Pio V: lo celebrava con la consapevolezza profonda di diventare protagonista di un evento di grazia che apriva al cuore e alla vita degli uomini. E l’ho visto celebrare secondo la liturgia riformata, allo stesso modo. Giussani andava all’essenziale ed era per sua natura non incline a sottolineare eccessivamente i particolari. Non posso dire come ha reagito alla riforma perché a memoria mia non ne abbiamo mai parlato, né fra noi due, anche se abbiamo avuto centinaia di ore di colloquio su tutti i problemi della vita della Chiesa e della società, né pubblicamente. Ma l’immagine della liturgia che aveva è contenuta in quel bellissimo volumetto “Dalla liturgia vissuta, una proposta”. Credo che la liturgia tradizionale come la liturgia riformata, se si mantengono nella identità che viene riconosciuta loro dal magistero, possano favorire che una vita diventi una proposta di vita: la liturgia è una vita, la vita di Cristo coi suoi, che diventa proposta di vita. Non credo che fosse disposto a morire per salvare la liturgia di san Pio V, ma non credo neanche - per come l’ho conosciuto in cinquant’anni di convivenza - che dicesse immediatisticamente che la liturgia del Vaticano II fosse la migliore possibile. Anzi, credo che come su altre questioni del Concilio Vaticano II, avesse qualche difficoltà interpretativa, come poi adesso è riconosciuto da parte della stragrande maggioranza dei pastori e dei teologi intelligenti. E’ così vero che dopo quarant’anni, Benedetto XVI dice che comincia adesso una vera interpretazione del Concilio.»

- Che caratteristiche avrà la parte religiosa ed ecclesiale della visita del Papa a San Marino nel 2011?«Ci sarà una celebrazione della Messa a San Marino per tutta la diocesi, allo stadio di Serravalle, la mattina del 19 giugno, secondo il programma ufficioso che piano piano sta diventando ufficiale.»

- In questi giorni Lei è stato fatto oggetto della osservazione di un giornalista, su di un giornale laico, sulla sproporzione fra la sua personalità - “punta di diamante” - e la diocesi che Le è stata affidata, definita “diocesi da operetta”...«Sono grato a questo giornalista per gli elogi, anche un po’ immeritati, che mi ha fatto, non soltanto in questo caso ma anche in altri momenti. Nei cammini tortuosi che si concludono con una provvista di una determinata chiesa particolare, oppure di una responsabilità anche centrale nella conduzione della Chiesa, nessuno, meno che mai il sottoscritto, è così ingenuo da non capire che ci sono movimenti, contro-movimenti, reazioni, contro-reazioni, interessi, solidarietà, che hanno un grosso peso. Io stesso ho scritto qualche cosa sul carrierismo nella mia rubrica “Opportune et importune” su “Studi Cattolici”, perciò tutta questa fenomenologia di una presenza di atteggiamenti politici non mi risulta così eccezionale o scandalosa. Io sono di quella generazione di preti e di vescovi che ritiene che comunque alla fine, e sopra tutto questo sciabattare di correnti, contro-correnti, amicizie, veti incrociati, sta la volontà di Dio interpretata dal Santo Padre. Quando il Santo Padre ti chiama puoi essere certo che è Dio che ti chiama, e se ti chiama a quella realtà a cui ti chiama, è perché Iddio ritiene che sia il meglio per te in quel momento. E’ con questo stato d’animo, molto abbandonato alla volontà di Dio e molto lieto, che io faccio il vescovo di una diocesi definita “da operetta” da qualcuno; ma mi pare di aver portato questa diocesi a una sua presenza e a una sua visibilità nel contesto ecclesiale e sociale italiano, e non solo.»

- D’altra parte molte nomine vanno a persone non sempre all’altezza delle responsabilità loro affidate, un problema grave oggi, quando la Chiesa dovrebbe dare il massimo quanto a vigore della proposta culturale e pastorale. Eccellenza, non crede che ciò sia un freno o un impedimento alla missione della Chiesa?Ma qui monsignor Negri non risponde e chiude il colloquio. Mi guarda profondamente coi suoi occhi chiari e fa silenzio.
E’ il giorno di santa Lucia, il pomeriggio sta per cedere alla “notte più lunga che ci sia”. A Domagnano scendono i primi radi fiocchi di neve. Invece più giù, a Rimini, tutto si scioglie in acqua.
Caterina63
00lunedì 20 dicembre 2010 12:02
                                  Benedetto XVI e la Chiesa
(Benedetto XVI Omelia nella Pentecoste del 2010)



Benedetto XVI e le due chiese. Il commento di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro (Formiche)

Riceviamo e con grandissimo piacere e gratitudine pubblichiamo dal Blog di Raffaella:

Le due chiese

di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro

In linea di principio, i teologi saranno pure una benedizione di Dio, ma se su certe questioni fossero i vescovi a dire qualcosa di assennato sarebbe molto meglio: primo perché sarebbe parte essenziale del loro ufficio, secondo perché le loro parole avrebbero benefico effetto su un gregge disorientato, terzo perché si paleserebbe un sostegno al papa da parte di chi gli ha giurato fedeltà.

L’uso del condizionale, per quanto aderente al quadro della Chiesa di questi tempi, in Italia comincia a essere leggermente impreciso. Grazie a Dio, qualche vescovo ha fatto sentire autorevolmente la propria voce di sostegno al Santo padre durante e dopo la tempesta mediatica scatenata su veri e presunti scandali pedofili in seno al corpo ecclesiale.
Monsignor Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste, monsignor Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro, monsignor Oliveri, vescovo di Albenga-Imperia, sono tra coloro che hanno parlato più chiaramente.

Tanto chiaramente e con uso talmente cattolico del pensiero, da essere giunti tutti alla stessa conclusione: stante la gravità degli attacchi del mondo a Benedetto XVI, è ben peggio il dissenso livoroso e infingardo che si è contemporaneamente manifestato dentro la Chiesa, una vera e propria macchina del fango messa in atto contro la persona di Joseph Ratzinger per colpire il suo ufficio di guida della cristianità.

Un fenomeno talmente vasto che, lo scorso aprile, monsignor Crepaldi, dando corpo alla sua riflessione in un articolo sul settimanale diocesano di Trieste Vita Nuova titolato “Gli antipapi e i pericoli del magistero parallelo”, ha efficacemente evocato con la figura delle “due Chiese”: una cattolica, fedele alla dottrina immutabile garantita dal papa, l’altra certamente difficile da definire cattolica visto lo stravolgimento della dottrina, della liturgia, della morale e, naturalmente, del concetto di obbedienza che la rendono qualcosa di inedito in venti secoli di storia, quanto meno per la vastità del fenomeno. C’è ben altro che la pedofilia a soffocare la Chiesa, è l’eresia, spiega monsignor Negri.

Il quale, nella premessa a una nuova edizione dell’enciclica Pascendi dominici gregis e del decreto Lamentabili sane exitu di San Pio X, ha constatato che “le proposizioni fondamentali” condannate dal papa al principio del Novecento “tutte chiaramente in contrasto con la dottrina cattolica, hanno costituito in questi ultimi vent’anni il contenuto anche esplicito di tante pubblicazioni teologiche ed esegetiche e hanno sicuramente influenzato l’insegnamento in facoltà e in seminari”. Tradotto nel bell’amore per il latino di monsignor Oliveri, ciò significa che dentro la Chiesa di oggi, troppi teologi, troppi vescovi, troppi sacerdoti e, quindi, troppi fedeli hanno preso a dire “nova”, cioè “cose nuove”, invece che “nove”, cioè cose antiche “in modo nuovo”.

Concetto opportunamente espresso nella prefazione al fondamentale studio di monsignor Brunero Gherardini Concilio Vaticano II. Un discorso da fare. Bruciato il grano d’incenso sull’ovvia deprecazione della dissoluzione morale e sulle nefandezze pedofile che scandalizzano i più piccoli, non si può nascondere che il problema della Chiesa è un altro, è “l’altra Chiesa” che da sempre la aggredisce e che, dal modernismo in poi, ha preso sempre più forza e usato più astuzia.

Cosicché oggi ci si trova davanti a un fenomeno che Ernesto Buonaiuti, punta di diamante del modernismo italiano, disegnò a suo tempo come modalità perfetta della rivoluzione: «Fino ad oggi si è voluto riformare Roma senza Roma, o magari contro Roma. Bisogna riformare Roma con Roma, fare che la riforma passi attraverso le mani di coloro i quali devono essere riformati. Ecco il vero e infallibile metodo; ma è difficile. Hoc opus, hic labor. [...] Il culto esteriore durerà sempre come la gerarchia, ma la Chiesa, in quanto maestra dei sacramenti e dei suoi ordini, modificherà la gerarchia e il culto secondo i tempi: essa renderà quella più semplice e liberale, e questo più spirituale; e per quella via essa diventerà un protestantesimo; ma un protestantesimo ortodosso, graduale, e non uno violento, aggressivo, rivoluzionario, insubordinato».

La lungimirante efficacia di tale programma si mostra nella tragedia di tanti fedeli, tanti parroci, tanti vescovi, tanti teologi e tanti intellettuali che, in tutta sincerità, si credono conservatori e, invece, sono progressisti della più bell’acqua. Pur accreditando loro la “buona fede”, non si può certo fare altrettanto con la “fede buona”. Volenti o nolenti, hanno fatto proprio il nocciolo duro del modernismo, che non stava tanto nell’opposizione all’una o all’altra delle verità rivelate, ma nel cambiamento radicale della nozione stessa di verità, mediante l’accettazione del “principio di immanenza” che sta alla base del pensiero moderno: “La verità non è più immutabile dell’uomo stesso, giacché essa si evolve con lui, in lui e per mezzo di lui”. Proposizione, quest’ultima, condannata dal decreto Lamentabili.

La conseguenza più clamorosa di questo errore modernista è la convinzione che i dogmi progrediscono, in un vortice evolutivo in cui l’essere si confonde con il non essere, il bene con il male, il vero con il falso, nel più clamoroso ripudio del principio di non contraddizione. Qualcuno potrebbe obiettare che il modernismo è un fenomeno storico, che ormai appartiene al passato.

Non la pensava in questo modo Paolo VI, che durante l’udienza generale del 19 gennaio 1972 spiegava ai fedeli che il modernismo “sotto altri nomi è ancora di attualità”, in quanto espressione di una serie di errori che potrebbero “rovinare totalmente la nostra concezione della vita e della storia”.

Nel 1966 era stato Jacques Maritain nel suo Il contadino della Garonna ad affermare che il modernismo non era che “un modesto raffreddore da fieno” se paragonato alla “febbre neomodernista” allora diffusa nella cultura cattolica. Dottrina, liturgia, morale e disciplina ne sono uscite a pezzi. Per capire come tutto questo si traduca nella pratica quotidiana, basta por mente alla miriade di convegni e conferenze promossi da diocesi e parrocchie, in cui vengono messi in cattedra studiosi e intellettuali che insegnano una dottrina capovolta rispetto a quella cattolica. Oppure alla terrificante confusione innescata da analoghe, numerose iniziative promosse sul terreno del dialogo interreligioso.

Scrive a proposito monsignor Crepaldi: «Benedetto XVI ha dato degli insegnamenti sui “valori non negoziabili” che moltissimi cattolici minimizzano o reinterpretano e questo avviene anche da parte di teologi e commentatori di fama ospitati sulla stampa cattolica oltre che in quella laica; ha dato degli insegnamenti sul primato della fede apostolica nella lettura sapienziale degli avvenimenti e moltissimi continuano a parlare di primato della situazione, o della prassi o dei dati delle scienze umane; ha dato degli insegnamenti sulla coscienza o sulla dittatura del relativismo ma moltissimi antepongono la democrazia o la Costituzione al Vangelo. Per molti la Dominus Iesus, la Nota sui cattolici in politica del 2002, il discorso di Regensburg del 2006, la Caritas in veritate è come se non fossero mai state scritte».

Il problema, dunque, non è solo nell’ostilità dei nemici esterni alla Chiesa, ma è innanzitutto nella dabbenaggine dei cattolici stessi, documentata da “teologi e commentatori di fama ospitati sulla stampa cattolica”, chiara allusione a ben identificabili testate nel limitato gruppetto di quotidiani e settimanali formalmente ecclesiali. Cui si aggiunge la bordata contro il “cattolicesimo democratico” che “antepone la democrazia o la Costituzione al Vangelo”.

Data la naturale e soprannaturale corripondenza tra lex orandi e lex credendi, tra liturgia e dottrina, tutto ciò si trasforma nella devastazione della Messa. Nella maggior parte delle chiese, ormai, la celebrazione non è più intesa come rinnovamento del sacrificio del Calvario, ma come festa con uso di banchetto conviviale, non è più regolata dal rispetto del diritto di Dio al culto, ma dalla autoglorificazione dell’uomo.
Da questo scende una semplicissima constatazione: a due culti diversi corrispondono due fedi diverse e, quindi due chiese diverse.
Una da scrivere con la “C” maiuscola, l’altra sembrerebbe di no.

ALESSANDRO GNOCCHI E MARIO PALMARO Autori di Viva il papa. Perché lo attaccano, perché difenderlo, Vallecchi editore, 2010

 Formiche anno VII - numero 54 - dicembre 2010




Caterina63
00sabato 8 gennaio 2011 22:03

Il grande abbraccio
   

Giovedì 12 novembre 2009, ad Assisi, nella Basilica di santa Maria degli Angeli, di fronte ai partecipanti dell’Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, ha rinnovato l’assoluta fedeltà al Papa e la consacrazione dell’Italia al Cuore immacolato di Maria.

Nel corso dell’omelia, nel Santuario che custodisce la Porziuncola, il Presidente della Cei ha espresso affetto e ubbidienza a Benedetto XVI.

«Nel cuore dell’Eucaristia – ha confessato – il nostro pensiero va al Santo Padre: il ricordo non viene dall’esterno, ma sorge dall’affetto che abbiamo per lui, la sua persona e il suo compito: "Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia Chiesa"». «Nasce da quel vincolo di radicata e obbediente comunione che il divino Maestro chiede innanzitutto a noi, pastori della sua Chiesa», ha sottolineato.

«Davanti all’altare e sotto lo sguardo della Madre di Dio – ha affermato l’Arcivescovo di Genova – rinnoviamo il che abbiamo pronunciato un giorno, quello della nostra Ordinazione episcopale. È affiorato trepidante sulle nostre labbra, coscienti che per essere vescovi secondo il cuore di Dio avremmo dovuto farci in modo più deciso e amoroso discepoli di Cristo».

«Siamo qui – ha detto – anche per fare memoria del 50° anniversario della consacrazione dell’Italia al Cuore immacolato di Maria (13.9.1959), un evento che ha segnato coloro che l’hanno vissuto in prima persona e che ha segnato altresì la storia religiosa della Chiesa e del Paese». Il Porporato ha spiegato che i gesti che si compiono nel segno della fede non restano in superficie come dei gesti esteriori e convenzionali, ma scendono in profondità come dei semi buoni che, una volta deposti, portano frutto secondo i tempi e i modi che Dio solo conosce.

In questo contesto, il Presidente della Cei ha affermato come da un capo all’altro dell’Italia il numero sconfinato di chiese e santuari, di cappelle ed edicole dedicati alla Madonna siano come «un grande abbraccio, il segno visibile di una presenza che illumina e rassicura come lo sguardo di una madre».

Di fronte alla devozione del popolo alla Vergine, alle tradizioni radicate nel cuore della gente, non solo degli adulti, ma anche dei ragazzi e dei giovani, il Cardinale ha sostenuto che i vescovi sono «testimoni spesso commossi e grati».

Un   primo piano del card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e   presidente della Cei.
Un primo piano del card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei (foto Giuliani).

Il Presidente della Cei ha riconosciuto che «la devozione alla Madonna non subisce tracolli col tempo, è sempre fresca e profonda, irriga l’anima e orienta a Dio, supera indenne e feconda le temperie culturali più diverse».

Ha reso noto il messaggio di Benedetto XVI che in merito ha scritto: «I vescovi italiani vollero consacrare l’Italia al Cuore immacolato di Maria. Di tale atto così significativo e profondo, voi rinnoverete la memoria, confermando il particolarissimo legame di affetto e devozione che unisce il popolo italiano alla celeste Madre del Signore. Volentieri mi unisco a questo ricordo».

Facendosi guidare dall’esempio di Maria, la quale «è stata anche la prima e più fedele discepola», il Cardinale ha auspicato che «la devozione nostra e del nostro popolo tocchi l’anima e la vita, i sentimenti e le decisioni» di tutti i credenti.

«Tutti – ha riconosciuto – siamo esposti alla tentazione di correre sulle cose disperdendo quanto il Signore ci dona di ispirazioni, grazie, incontri, affetti. Anche noi vescovi corriamo questo rischio pressati da responsabilità molteplici e gravi».

Ma «il cuore della Vergine – ha continuato il Porporato – non è un semplice e geloso contenitore di ricordi, un puro esercizio di memoria: è anche il luogo della riflessione» perché «è storia di salvezza. La riflessione di Maria si rivela così desiderio e ricerca della volontà di Dio. Per questo è preghiera».

A questo proposito, dopo aver ricordato grandi mistici come Francesco d’Assisi, Teresa d’Avila, il Curato d’Ars e Teresa di Calcutta, il Cardinale ha concluso invocando la Madonna affinché «ci faccia crescere come pastori secondo il cuore di Cristo, ricordando le parole di Giovanni Maria Vianney: "Il sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù"» (cf A. Gaspari, Zenit, 12.11.2009).

E a Redona… Il 17 e 18 febbraio 2009 si è tenuto nella località bergamasca un incontro organizzato dalla Provincia italiana dei Missionari monfortani sul tema: Insieme… per evangelizzare.

Nel suo intervento il monfortano Santino Epis ha ripercorso la storia della consacrazione dell’Italia al Cuore immacolato di Maria, illustrandone l’attualità e l’efficacia pastorale per l’oggi. Il religioso, chiedendosi alla luce delle sfide cui deve far fronte la Chiesa italiana quale significato assuma tale evento, ha sottolineato che non è tanto un’occasione per rinnovare, in forma magari solenne, un atto di fede e di amore, col pericolo che esso resti un gesto "formale". La consacrazione a Maria va rinnovata e vissuta soprattutto come tappa nel lungo e difficile itinerario della continua opera di conversione che impegna tutta la Chiesa italiana. Si tratta di prendere coscienza del ruolo di Maria in questo comune sforzo di conversione, riscoprendo l’insostituibilità della sua missione materna.

Inoltre, la ricorrenza può diventare un’occasione provvidenziale per riproporre una catechesi adeguata sul culto mariano in genere, e in particolare sulla consacrazione a Maria. Essa riveste tutti i caratteri di un’autentica forma di spiritualità, cioè di una vita cristiana non passivamente ricevuta, ma responsabilmente accolta; non dispersiva, ma unificata; non vissuta a intermittenze, ma coinvolgente tutta l’esistenza.

Don Giacomo Panfilo. Il Parroco di Clusone (Bergamo) ha accompagnato l’assemblea di Redona in un percorso mariano profondamente biblico e ricco di esperienza. Nel suo primo intervento su La consacrazione a Gesù per mezzo di Maria è partito dalla definizione della consacrazione come dono esplicito di sé a Dio. Consacrazione è riconoscere che si è suoi, che non ci si appartiene più, ma che si appartiene a lui e lasciare che questa verità segni la propria vita.

Così la consacrazione richiama con forza il Battesimo perché si radica nella connessione a Gesù Cristo che avviene nel Sacramento. Lì si diventa figli nel Figlio, consacrati nel Consacrato che mette se stesso nelle mani del Padre, scegliendo di essere una cosa sola con lui e che fa della sua volontà il suo cibo e la sua vita.

Il Battesimo è l’inizio di questo cammino che dovrà divenire sempre più consapevole e totale.

Il culmine della consacrazione di Gesù sarà la croce e anche il discepolo è chiamato ad unirsi alla sua obbedienza, a consacrarsi con lui e come lui.

E Maria? Lei è presente nel Battesimo e nel Battesimo il discepolo ancora una volta è affidato a Maria; è chiamato, con il suo aiuto materno e seguendo il suo esempio, a ridiventare sempre più del Signore.

Don Giacomo, poi, ha gettato una bella luce sul senso della ricorrenza della consacrazione dell’Italia a Maria. È una chiamata rivolta a noi perché viviamo veramente la nostra consacrazione. Così il nostro Paese sarà consacrato!

Nella seconda relazione, don Giacomo, a partire dal Vangelo, ha proposto alcuni atteggiamenti "mariani" che dovrebbero animare il fare pastorale. In particolare, riferendosi alle parole di Maria alle nozze di Cana, ha ricordato che Gesù va riconosciuto come il Signore, il punto di riferimento, il centro, il motore, la ragione di tutto quello che si fa da cristiani e come Chiesa.

Gesù Cristo è l’alfa e l’omega anche della pastorale e Maria porta a dipendere da lui (cf sito Internet; voce: Convegno Redona).

d.m.
   

«Come potremmo vivere il nostro Battesimo senza contemplare Maria, così accogliente del dono di Dio?».

Giovanni Paolo II



http://www.stpauls.it/madre/1003md/1003md00.htm
Caterina63
00martedì 11 gennaio 2011 23:06

Santità, abbiamo paura per l'incontro di Assisi





Santo Padre Benedetto XVI,

siamo alcuni cattolici gratissimi dell’opera da Lei compiuta come pastore della Chiesa universale in questi anni; riconoscenti per la sua grande valutazione della ragione umana, per la concessione del "Motu proprio Summorum pontificum", per il Suo proficuo rapporto con gli Anglicani che ritornano all’unità, e per molto altro ancora.

Abbiamo preso il coraggio di scriverle dopo aver sentito, proprio nei giorni del massacro dei cristiani copti in Egitto, dell’ intenzione di convocare ad Assisi, per il mese di ottobre, un grande raduno interreligioso, venticinque anni dopo "Assisi 1986".

Tutti noi ricordiamo quell’evento di tanti anni fa.

Un evento anche mediatico come pochi, che, a prescindere dalle intenzioni e dalle dichiarazioni di chi lo convocò, ebbe un contraccolpo innegabile, rilanciando, proprio nel mondo cattolico, l’indifferentismo ed il relativismo religioso.

Proprio da quell’avvenimento prese vigore presso il popolo cristiano l’idea che l’insegnamento secolare della Chiesa, "una, santa cattolica e apostolica", sull’unicità del Salvatore, fosse in qualche modo da archiviare.

Tutti noi ricordiamo rappresentanti di tutte le religioni in un tempio cattolico, la Chiesa di santa Maria degli Angeli, allineati con in mano un ramoscello di ulivo: quasi a significare che la pace non passa da Cristo ma, indistintamente, da tutti i fondatori di un credo, quale che esso sia (Maometto, Budda, Confucio, Kalì, Cristo…)

Ricordiamo la preghiera dei mussulmani in Assisi, cioè nella città di un santo che aveva fatto della conversione degli islamici uno dei suoi obiettivi.

Rammentiamo la preghiera degli animisti, la loro invocazione degli spiriti elementali, e quella di altri credenti o di rappresentanti di religioni atee come il giainismo.

Quel pregare "insieme", qualsiasi fosse il fine, volenti o nolenti ebbe l’effetto di far credere a molti che tutti pregassero "lo stesso Dio", solo con nomi diversi.

Invece le Sacre Scritture parlano chiaro: "Non avrai altro Dio all’infuori di me" (I comandamento); "Io sono la Via, la Verità e la Vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" " (Gv, 14, 6).

Chi scrive non nega certamente il dialogo, con ogni persona, di qualsiasi religione essa sia.

Viviamo nel mondo, e tutti i giorni parliamo, discutiamo, amiamo, anche chi non è cristiano, perché ateo, incerto, o di altre religioni. Ma questo non ci impedisce di credere che Dio stesso sia venuto sulla terra, e si sia fatto uccidere, per insegnarci, appunto, la Via e la Verità, e non solo una delle tante e possibili vie e verità. Cristo è per noi cristiani il Salvatore: l’Unico Salvatore del mondo.

Ricordiamo dunque con sgomento, tornando a quell’avvenimento di venticinque anni fa, i polli sgozzati sull’altare di santa Chiara secondo riti tribali e la teca con una statua di Budda posta sopra l’altare della chiesa di san Pietro, sopra le reliquie del martire Vittorino, ammazzato, 400 anni dopo Cristo, per testimoniare la sua fede.

Ricordiamo i sacerdoti cattolici che si sottoposero a riti iniziatici di altre religioni: una scena raccapricciante, dal momento che, se è "sciocco" battezzare nella fede cattolica una persona adulta che non vi crede, altrettanto assurdo è il fatto che un sacerdote cattolico si sottoponga a un rito cui non riconosce alcuna validità né utilità. Così facendo si finisce infatti solo per far passare una idea: che i riti, tutti, non siano altro che vuoti gesti umani. Che tutte le concezioni del divino si equivalgano. Che tutte le morali, che da ogni religione promanano, siano intercambiabili.

Ecco, quello "spirito di Assisi", su cui poi i media e i settori della Chiesa più relativisti ricamarono a lungo, gettò confusione. Ci sembrò estraneo al Vangelo e alla Chiesa di Cristo, che mai, in duemila anni, aveva scelto di fare altrettanto. Avremmo voluto riscrivere, allora, queste ironiche osservazioni di un giornalista francese: "In presenza di tante religioni, si crederà più facilmente o che esse sono tutte valide o che sono tutte indifferenti; vedendo così tanti dei, ci si chiederà se tutti non si equivalgono o se ce n’è uno solo vero. Il parigino beffardo (scettico ed ateo, ndr) imiterà quel collezionista scettico, il cui amico aveva appena fatto cadere un idolo da una mensa: ‘Ah! Disgraziato, poteva essere il Dio vero’".

Trovammo conforto, allora, alle nostre perplessità, in tantissime dichiarazioni di pontefici che avevano sempre condannato un siffatto "dialogo".

Un Congresso di tutte le religioni era stato già organizzato, infatti, a Chicago, nel 1893, e a Parigi, nel 1900. Ma papa Leone XIII era intervenuto a vietare qualsiasi partecipazione cattolica.

Lo stesso atteggiamento tenne Pio XI, il papa che condannò l’ateismo comunista e quello nazionalsocialista, ma che deplorò nel contempo il tentativo di unire gli uomini in nome di un vago e indistinto senso religioso, senza Cristo.

Scriveva quel papa nella sua "Mortalium Animos" (Epifania del 1928), proprio a riguardo dei congressi ecumenici: "Persuasi che rarissimamente si trovano uomini privi di qualsiasi sentimento religioso, sembrano trarne motivo a sperare che i popoli, per quanto dissenzienti gli uni dagli altri in materia di religione, pure siano per convenire senza difficoltà nella professione di alcune dottrine, come su un comune fondamento di vita spirituale. Perciò sono soliti indire congressi, riunioni, conferenze, con largo intervento di pubblico, ai quali sono invitati promiscuamente tutti a discutere: infedeli di ogni gradazione, cristiani, e persino coloro che apostatarono da Cristo o che con ostinata pertinacia negano la divinità della sua Persona e della sua missione. Non possono certo ottenere l’approvazione dei cattolici tali tentativi fondati sulla falsa teoria che suppone buone e lodevoli tutte le religioni, in quanto tutte, sebbene in maniera diversa, manifestano e significano egualmente quel sentimento a tutti congenito per il quale ci sentiamo portati a Dio e all’ossequente riconoscimento del suo dominio. Orbene, i seguaci di siffatta teoria, non soltanto sono nell’inganno e nell’errore, ma ripudiano la vera religione depravandone il concetto e svoltano passo passo verso il naturalismo e l’ateismo…".

Col senno di poi, possiamo dire che Pio XI aveva ragione, anche solo sul piano della mera opportunità: quale è stato, infatti, l’effetto di "Assisi 1986", nonostante le giuste dichiarazioni di papa Giovanni Paolo II, volte ad impedirne una simile interpretazione?

Qual è il messaggio che hanno rilanciato talvolta gli stessi organizzatori, i media, ed anche non pochi ecclesiastici modernisti, ansiosi di ribaltare la Tradizione della Chiesa?

Ciò che è passato, presso moltissimi cristiani, tramite le immagini, che sono sempre le più evocative, e tramite i giornali e le tv, è molto chiaro: il relativismo religioso, che è poi l’equivalente dell’ateismo.

Se tutti pregano "insieme", hanno concluso in tanti, allora le religioni sono tutte "uguali": ma se così è, significa che nessuna di esse è quella vera.

A quell’epoca, Lei, cardinale e prefetto della Congregazione della Fede, insieme al cardinal Giacomo Biffi e a tanti altri, fu tra coloro che espressero forti perplessità. Per questo, negli anni successivi, non partecipò mai alle repliche proposte ogni anno dalla Comunità di Sant’Egidio.

Infatti, come Lei ha scritto in "Fede, Verità e Tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo" (Cantagalli, 2005), proprio criticando l’ecumenismo indifferentista, al cattolico "deve risultare nettamente che non esistono ‘le religioni’ in generale, che non esiste una comune idea di Dio e una comune fede in Lui, che la differenza non tocca unicamente l'ambito della immagini e delle forme concettuali mutevoli, ma le stesse scelte ultime..".

Lei concorda perfettamente, dunque, con Leone XIII e con Pio XI sul pericolo di contribuire, con gesti come quelli di "Assisi 1986", al sincretismo ed all’indifferentismo religioso.

Rischio messo in luce anche dai padri conciliari del Vaticano II, che in Unitatis Redintegratio, a proposito, si badi bene, dell’ecumenismo non con le altre religioni, ma con gli altri "cristiani", invitavano alla prudenza: "Tuttavia la comunicazione nelle cose sacre non la si deve considerare come un mezzo da usarsi indiscriminatamente per il ristabilimento dell’unità dei cristiani…" Lei ha insegnato, in questi anni, non sempre compreso neppure dai cattolici, che il dialogo avviene e può avvenire non tra diverse teologie, ma tra diverse culture; non tra le Fedi, ma tra gli uomini, alla luce di ciò che tutti ci contraddistingue: la ragione umana.

Senza ricreare l’antico Pantheon pagano; senza che l’integrità della Fede venga messa a repentaglio dall’amore per il compromesso teologico; senza che la Rivelazione, che non è nostra, venga rimaneggiata dagli uomini e dai teologi intenti a conciliare l’inconciliabile; senza che Cristo, "segno di contraddizione", debba essere messo sullo stesso piano di Budda o di Confucio, che tra il resto non dissero mai di essere Dio.

Per questo siamo qui a esporLe la nostra preoccupazione.

Temiamo che qualsiasi cosa Lei dirà, tv, giornali e tanti cattolici interpreteranno alla luce del passato e dell’indifferentismo imperante; che qualsiasi cosa affermerà, l’evento sarà letto come la continuazione della manipolazione della figura di Francesco, trasformato, dagli ecumenisti odierni, in un irenista e in un sincretista senza fede. Sta già succedendo…

Abbiamo paura che qualsiasi cosa Lei dirà, per fare chiarezza, i fedeli semplici, come siamo anche noi, in tutto il mondo non vedranno (e non gli sarà fatto vedere, ad esempio in tv) altro che un fatto: il vicario di Cristo non che parla, discute, dialoga con i rappresentanti di altre religioni, ma che prega con loro. Come se il modo e l’obiettivo della preghiera fossero indifferenti.

E molti, sbagliando, penseranno che anche la Chiesa ormai ha capitolato, ed ha riconosciuto, in sintonia con la mentalità New Age, che pregare Cristo, Allah, Budda o Manitù sia la stessa cosa. Che la poligamia islamica e animista, le caste induiste o lo spiritismo politeista animista… possano stare insieme alla monogamia cristiana, alla legge dell’amore e del perdono ed al Dio Uno e Trino.

Ma come ha scritto sempre Lei, nel libro citato: "Con l’indifferenziazione delle religioni e con l’idea che esse siano tutte sì distinguibili, e tuttavia propriamente uguali, non si avanza".Santo Padre, noi pensiamo che con una nuova "Assisi 1986" nessun cristiano in terre d’Oriente verrà salvato: né nella Cina comunista, né in Corea del nord, né in Pakistan o in Iraq…tanti fedeli, invece, non capiranno più perché proprio in quei paesi c’è ancora oggi chi muore martire per non rinnegare il suo incontro non con una religione, ma con Cristo. Come sono morti gli stessi apostoli.

Di fronte alla persecuzione, ci sono vie politiche, diplomatiche, dialoghi personali e di Stato: si seguano tutte, nel modo migliore possibile. Con la Sua amorevolezza e il Suo desiderio di pace per tutti gli uomini.

Ma senza che sia possibile a chi vuole confondere le acque e rilanciare il relativismo religioso, anticamera di ogni relativismo, una opportunità, anche mediatica, così ghiotta come la "riedizione" di "Assisi 1986".

Con devozione filiale

Francesco Agnoli
Lorenzo Bertocchi
Roberto de Mattei
Corrado Gnerre
Alessandro Gnocchi
Camillo Langone
Mario Palmaro



A questo accorato appello aderisco toto corde e, per l'occasione, mi firmo anche col cognome, per quanto indegno di associarmi alla bella scola dei redattori della supplica. Ci rassicura il pensiero del Santo Padre Benedetto XVI sul rischio di derive sincretiste o relativiste, che proprio lo spirito di Assisi può incoraggiare (fu l'allora cardinal Ratzinger, con un gesto di dissenso straordinariamente clamoroso - anche perché in contrasto con la sua indole bonaria e con la sua abituale sintonia con Giovanni Paolo II - a rifiutarsi di partecipare al primo e più disgraziato incontro di Assisi). Sappiamo anche che l'idea ratzingeriana di dialogo interconfessionale si ferma opportunamente su un gradino pre-religioso: è inutile discutere di teologia con chi non ha fede in Gesù Cristo, ma può essere opportuno raggiungere punti di convergenza su questioni etiche (la difesa della vita, della famiglia, della pace), per avere più forza nella lotta al secolarismo. Infine, non ci manca la speranza che la prevista futura ammucchiata di Assisi voglia proprio essere uno strumento per appannare, sovrapponendovi un evento assai più ortodosso, il ricordo dello scandalo inaudito di 25 anni fa. Ma con tutto ciò, non possiamo non dire, come in questo appello: "abbiamo paura". Abbiamo paura che, qualunque discorso sia letto e pronunziato (tanto lo leggeranno in pochissimi); qualsiasi gesto sia compiuto (tanto i media selezioneranno solo i più clamorosi); qualsiasi precisazione sia fatta dalla - per giunta non impeccabile - macchina di comunicazione vaticana, il messaggio che passerà nella mente di milioni sarà quello che espresse la suora intervistata alla morte di Giovanni Paolo II: "sono grata a Papa Woityla perché ci ha insegnato che tutte le religioni sono uguali".

Enrico Spitali





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Embarassed Unendomi all'accorato appello dei firmatari ed alle speranze sottolineate da Enrico, pongo la mia flebile firma con un video speciale....proprio quest'anno santa Caterina da Siena compie 550 anni dalla Canonizzazione e siamo nel 41° dalla sua proclamazione a Dottore della Chiesa... non mi sembra un anniversario a "caso".... se come insegna san padre Pio il caso non esiste, ma c'è il CASO che Dio vuole... ragione ancor più viva perchè in colei che chiamò il Pontefice BABBO MIO DOLCE, DOLCE VICARIO DI CRISTO IN TERRA.... affidiamo con preghiere e sacrifici l'intercessione affinchè questo incontro segnali davvero il ritorno della chiarezza della Dottrina Cattolica senza più ambiguità o fraintendimenti....  
 
http://www.gloria.tv/?media=122603   
 
Siamo con Lei santo Padre!!!




Caterina63
00mercoledì 12 gennaio 2011 19:03

Santo Padre, io non ho paura!

Santo Padre, io non ho paura!

di don Alfredo M. Morselli

 

È stato pubblicato, sul quotidiano Il Foglio, in data 10 gennaio 2010, un accorato appello al Santo Padre, riguardante il prossimo incontro inter-religioso che si svolgerà ad Assisi nell’ottobre di quest’anno. In questo appello, gli autori (Francesco Agnoli, Lorenzo Bertocchi, Roberto de Mattei, Corrado Gnerre, Alessandro Gnocchi, Camillo Langone, Mario Palmaro, Luisella Scrosati, Katharina Stolz) esprimono diverse perplessità sull’evento in questione, e le loro preoccupazioni.

Innanzi tutto ho constatato la pacatezza e la correttezza formale dell’intervento, nonché il rispetto per il Santo Padre in esso manifestato. Valuto positivamente che il dibattito si svolga in simile modo.

Ho però, in coscienza, gravi ragioni per dissentire dalle conclusioni degli stimatissimi autori sopra menzionati, e ho motivi per valutare molto positivamente il prossimo incontro inter-religioso di Assisi.

Con l’aiuto della Beata Sempre Vergine Maria, proverò ad esporre le suddette ragioni, non perché mie, ma perché mi sembrano quelle della Chiesa.


Cosa mi induce a salutare con favore il prossimo incontro di Assisi?

Ciò che mi induce a valutare positivamente l’evento di Assisi è sostanzialmente una frase di San Tommaso, il quale insegna che, negli ultimi tempi, l’anticristo sarà avversario di ogni uomo religioso, pur seguace di false religioni: “L’anticristo si prepone a tutte… le modalità di intendere Dio”, anche nel caso Dio “si dica secondo [una qualsiasi] opinione [come nel caso dei falsi dei pagani, delle cui divinità sta scritto] tutti gli dei delle nazioni sono demoni” [1].

Sono convito che i motivi che spingeranno l’anticristo a preporsi ad ogni religione sono gli stessi che spingono - ovviamente in direzione opposta e giusta - Benedetto XVI a ritornare, con la Chiesa Cattolica, ad Assisi, sulle orme di Giovanni Paolo II.

E adesso provo a spiegare quanto affermo.


L’attuale contingenza storica.

Ci troviamo in una fase della storia del mondo dove – per quanto riguarda la religiosità dell’uomo, siamo precipitati in un baratro profondissimo, e – per certi aspetti -, mai visto prima d’ora.

L’antropologo P. W. Schmidt S.D.V.[2] ha potuto scientificamente provare che nel mondo non esiste un popolo primitivo naturalmente a-religioso e che non abbia un qualche riferimento ad un unico Dio supremo – quindi che non sia in qualche modo implicitamente monoteista.

Anche S. Paolo all’areopago poté lodare gli Ateniesi per la loro religiosità: “Ateniesi, vedo che, in tutto, siete molto religiosi”[3].

Agli Apostoli bastava annunciare ai pagani quale fosse il Dio vero tra tanti falsi, e spiegare agli Ebrei che il Dio vero è anche Trino, e che Cristo è Dio.

Ma, nel secolo scorso, sulla scena di questo mondo, dopo lunga gestazione, si è levato il grido empio: Dio è morto.[4] E questo grido ha infettato milioni di persone, che vivono non solo nell’ateismo pratico, ma arrivano a condannare ogni fenomeno religioso.

Un importate indicatore di questa patologia sociale è stata la pubblicità pro ateismo sugli autobus di Londra, nell’ottobre 2008. Cartelloni disposti sulle fiancate dei mezzi contenevano la scritta "There's probably no God. Now stop worrying and enjoy your life" (Probabilmente Dio non c’è. Ora smetti di preoccuparti e goditi la tua vita)[5].

In base a quanto detto, ci troviamo oggi di fronte alla necessità di mostrare, - non per fare sincretismo, ma proprio per porre le condizioni per poter scegliere la vera religione - , che innanzi tutto bisogna essere religiosi.

Ed ecco il motivo per cui l’anticristo non sopporterà nessuna religione, nemmeno le false, perché vorrà tagliare l’albero della Verità alla radice. La sua dottrina sarà: “Uomini, non siate religiosi”.


La percezione del dovere di essere religiosi, primo passo per la conversione dell’ateo.

Adesso dobbiamo semplicemente fare ciò che San Paolo e Sant’Ireneo chiamavano ricapitolazione. Ridare al mondo Cristo Capo (Instaurare omnia in Christo) percorrendo a ritroso quella che era stata la via della perdizione.

La Chiesa – mi si perdoni un esempio - sta mettendo i sassolini perché Pollicino possa percorrere a ritroso la via della morte percorsa fino ad oggi.

E la prima indicazione della Chiesa, nel confronto col mondo, è, oggi, giustamente: bisogna essere religiosi.


Dalla religione alla fede

Senza fede è impossibile piacere a Dio[6], scrive San Paolo. Dobbiamo anche dire che mai la Chiesa ha creduto che, in caso di ignoranza invincibile, per salvarsi fosse necessario professare integralmente la religione Cattolica[7].

Esemplare è il caso del centurione Cornelio, le cui preghiere - pur non essendo egli ancora cristiano - erano gradite a Dio[8]: San Tommaso dice che erano gradite perché aveva la fede implicita, a tal punto che non si può dire che fosse infedele:

“Quanto al centurione Cornelio si deve notare che egli non era infedele: altrimenti il suo operare non sarebbe stato accetto a Dio, al quale nessuno può essere gradito senza la fede. Però egli aveva una fede implicita, non ancora rischiarata dalla verità evangelica. Ecco perché gli fu inviato S. Pietro, per istruirlo pienamente nella fede”[9].

In che cosa consiste questa fede implicita: San Tommaso non ha prescritto un minimo materiale (anche se i teologi hanno discusso a lungo su questo punto), ma ha insegnato che a un pur minimo materiale deve corrispondere un massimo formale.

Ogni uomo, per salvarsi, deve fare tutto quello che può per arrivare alla fede vera[10].


La dinamica dell’atto di fede

L’atto di fede è un atto umano, e quindi si può riconoscere in esso un’intenzione, un’esecuzione e una fruizione[11].

L’intenzione della fede è data dalla conoscenza e dalla scelta di rapportarsi al fine (Dio), l’esecuzione è data dalla conoscenza e dalla scelta dei mezzi (gli articoli del Credo), la fruizione è data dal riposo nel fine delle potenze umane implicate nell’atto in questione (la vita soprannaturale del cristiano).

Nell’atto di fede dunque, la scelta del fine coincide con il primo atto di religione, con cui si riconosce la necessità di un essere supremo e della totale dipendenza da lui; la scelta dei mezzi consiste nel prendere atto che gli articoli del Simbolo sono credibili (necessità dell’apologetica e dei preambula fidei!), e che quindi bisogna credere, e così dare alla fede un oggetto conforme al vero (la cosiddetta fides quae, e non solo fides qua e nemmeno solo sentimento religioso).

La fruizione è data da quell’esperienza di cui la Chiesa canta nec lingua valet dicere, nec littera exprimere,[12] quando “l’uomo si abbandona tutto a Dio”[13].


Perché dunque Assisi?

Oggi non basta più, come è bastato fino a 100 anni fa, indicare agli infedeli i mezzi da eleggere per credere (gli articoli del Credo), ma bisogna ribadire a tutto il mondo a-religioso la necessità di rapportarsi al fine ultimo; senza questa prima disposizione, non si potranno mai scegliere i mezzi (la vera religione).

Pio XI nella Mortalium animos diceva di non fare riunioni in cui si potesse pensare che si onora Dio indifferentemente con qualsiasi culto: e condannava “la falsa teoria che suppone buone e lodevoli tutte le religioni, in quanto tutte, sebbene in maniera diversa, manifestano e significano egualmente quel sentimento a tutti congenito per il quale ci sentiamo portati a Dio e all’ossequente riconoscimento del suo dominio”.

Assisi è una riunione per mezzo della quale il Papa indica al mondo la necessità di essere religiosi, invita gli uomini ad essere religiosi quanto è loro dato ed essi possono (si suppone, è chiaro, la buona fede), senza dire che tutte le religioni sono buone e lodevoli. E lodevole la virtù di religione praticata come meglio uno può, come il centurione Cornelio, non le false religioni in quanto tali. E quindi non vi è contraddizione tra il presente e il passato.


Lo scandalo.

Lo scandalo (atto che favorisce la caduta in peccato del prossimo) è da evitarsi assolutamente quando è dato oggettivamente (scandalum datum et acceptum), cioè quando si tratta di un atto a sua volta disonesto, che non esaurisce la malizia in se stesso, ma provoca altri peccati.

Lo scandalo è da evitarsi ugualmente per quanto possibile, anche quando è meramente ricevuto (mere receptum), quando cioè non è un atto cattivo in sé, ma può indurre ugualmente i deboli a peccare. Per illustrare come si deve far di tutto per evitare questo tipo di scandalo, si è soliti citare la frase di San Paolo: “Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello”[14], anche se mangiare carne sacrificata agli idoli in sé non è peccato.

Ma i moralisti sono concordi nell’ammettere la liceità dello scandalo mere receptum, quando l’effetto positivo è superiore a quello negativo, e viene ravvisata una certa necessità di porre l’atto, pur scandaloso per i pusilli.

Applichiamo ora ad Assisi questi principi generali.

Si sono verificati – soprattutto nel 1986 – degli atti non solo scandalosi, ma anche disgustosi e peccaminosi, che sono da evitarsi in futuro (polli sgozzati sull’altare di santa Chiara secondo riti tribali e la teca con una statua di Budda posta sopra l’altare della chiesa di san Pietro etc,). Ma questi atti si sono svolti in modo del tutto scollegato dal magistero e dalle azioni del Pontefice.

Tolti questi atti, è lecito porre il presunto scandalo di Assisi?

Visto che si tratta, in ultima analisi, di una valutazione prudenziale, alla fine, sta solo al Papa decidere; il Papa è assistito dallo Spirito Santo anche nelle decisioni pratiche.

È chiaro che non si potrà esigere una definizione per accettare docilmente la decisione ultima, o rifugiarsi nell’aut aut “o infallibile o libera discussione”.


La gente non capisce?

Il Cristianesimo è una siffatta realtà dove per convertire le masse bisogna convertire le persone una per una, e spiegar loro le cose una alla volta.

E come la mettiamo con la ormai famosa povera suora che dopo Assisi ha finalmente capito che tutte le religioni sono uguali? Si fa presto ad usarla come probatio contra Assisim, ma è un po’ più lunga – direi quasi crocifiggente - spiegarle come stanno le cose.

Che fare allora? O non facciamo niente perché la storia si farebbe troppo lunga, oppure cominciamo subito, perché, prima si comincia, prima si finisce.

Il Cielo – non perché ne abbia bisogno, ma perché vuole renderci in un certo modo concause dell’opera della Redenzione – aspetta la nostra risposta. Che l’Immacolata ci prenda per mano e ci faccia compiere la scelta giusta.

Stiatico di San Giorgio di Piano, 11 gennaio 2011.



[1] “Dicitur autem Deus tripliciter. Primo naturaliter. Deut. VI, 4: audi, Israel, dominus Deus tuus, Deus unus est. Secundo opinative. Ps. XCV, 5: omnes dii gentium Daemonia. Tertio participative. Ps. LXXXI, 6: ego dixi: dii estis. Omnibus autem his se praeferet Antichristus.”; Super II Thes., cap. 2, l. 1.

[2] 1868–1954.

[3] At 17, 22.

[4] Csì diceva Pio XII: “nel corso di questi ultimi secoli si è tentata la disgregazione intellettuale, morale e sociale dell’unità nell’organismo misterioso di Cristo. Si è voluta la natura senza la grazia; la ragione senza la fede; la libertà senza l’autorità; e qualche volta anche l’autorità senza la libertà. Questo nemico è diventato sempre più concreto, con un’audacia che Ci lascia stupefatti: Cristo sì, la Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. E infine il grido empio: Dio è morto; o piuttosto Dio non è mai esistito. Ecco il tentativo di edificare la struttura del mondo su fondamenti che Noi non esitiamo a indicare col dito come i principali responsabili della minaccia che pesa sull’umanità: un’economia senza Dio, un diritto senza Dio, una politica senza Dio”; All’Unione Uomini di Azione Cattolica (12.10.1952).

[5] Per ulteriori informazioni, vedi news.bbc.co.uk/2/hi/7681914.stm.

[6] Eb 11, 6.

[7] S. Pio X, Catechismo maggiore: “171 D. Ma chi si trovasse, senza sua colpa, fuori della Chiesa, potrebbe salvarsi? R. Chi, trovandosi senza sua colpa, ossia in buona fede, fuori della Chiesa, avesse ricevuto il Battesimo, o ne avesse il desiderio almeno implicito; cercasse inoltre sinceramente la verità e compisse la volontà di Dio come meglio può; benché separato dal corpo della Chiesa, sarebbe unito all’anima di lei e quindi in via di salute”.

[8] At 10, 31-32: “Cornelio allora rispose: "Quattro giorni or sono, verso quest'ora, stavo facendo la preghiera delle tre del pomeriggio nella mia casa, quando mi si presentò un uomo in splendida veste e mi disse: "Cornelio, la tua preghiera è stata esaudita e Dio si è ricordato delle tue elemosine”.

[9] “De Cornelio tamen sciendum est quod infidelis non erat, alioquin eius operatio accepta non fuisset deo, cui sine fide nullus potest placere. Habebat autem fidem implicitam, nondum manifestata evangelii veritate. Unde ut eum in fide plene instrueret, mittitur ad eum Petrus”; S Th. II II q. 10 a. 4 ad 3

[10] “...etiam ad fidem habendam aliquis se praeparare potest per id quod in naturali ratione est; unde dicitur, quod si aliquis in barbaris natus nationibus, quod in se est faciat, deus sibi revelabit illud quod est necessarium ad salutem, vel inspirando, vel doctorem mittendo. Unde non oportet quod habitus fidei praecedat praeparationem ad gratiam gratum facientem; sed simul homo se praeparare potest ad fidem habendam, et ad alias virtutes et gratiam habendam”; In IV Sent., II, d. 28 q. 1, a. 4 ad 4

[11] Una magistrale disamina di questi aspetti dell’atto di fede è svolta in A. Gardeil, La credibilité et l'Apologétique, Paris 1912.

[12] Inno liturgico Iesu dulcis memoria.

[13] Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum, 5; cf. anche S. Pio X: “La fede […] lega tutto l'uomo e lo soggetta al suo supremo Fattore e Moderatore”; Lett. enc. Acerbo nimis, IV.

[14] 1 Cor 8, 13.

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Condividiamo di cuore queste riflessioni di padre Giovanni Scalese dal suo blog senza peli sulla lingua:


Come non detto

Due giorni fa ho pubblicato l’articolo Il “cortile dei gentili” (che era stato scritto nel mese di ottobre per l’Eco dei Barnabiti), nel quale facevo riferimento anche al dialogo interreligioso e allo “spirito di Assisi”, sottolineando le differenze tra il pontificato di Benedetto XVI e quello di Giovanni Paolo II. Fra l’altro, affermavo: «Il 19 aprile 2005 Joseph Ratzinger è diventato Papa Benedetto XVI; e da allora non ci sono state, come era prevedibile, nuove giornate di Assisi». Era sottinteso: Non ci sono state — e non ci saranno piú! — nuove giornate di Assisi.

E invece ieri sono stato smentito: il Papa, durante l’Angelus di Capodanno, ha annunciato che a ottobre si recherà ad Assisi per una nuova Giornata mondiale di preghiera per la pace, in occasione del 25° anniversario della prima, nel 1986. Se devo essere sincero, ci sono rimasto male. Non perché consideri “eretiche” questo tipo di iniziative: è ovvio che i Pontefici, nell’intraprenderle, lo fanno con le migliori intenzioni e mettendo bene in chiaro lo spirito che le deve animare. Ma non è questo il punto.

Il problema è un altro (ed è ricorrente, purtroppo): che cosa “passa” al grande pubblico, di queste iniziative? che cosa rimane nell’immaginario collettivo? L’idea che una religione vale l’altra. Ovviamente il Papa non vuole che passi questo messaggio; ma di fatto è ciò che succede. L’uomo non comunica solo con le parole, ma anche con i gesti. E i gesti, il piú delle volte, sono ambigui. È per questo che vanno spiegati; ma molto spesso anche la spiegazione piú precisa non è sufficiente: talvolta sono necessari gesti di segno opposto per far passare il messaggio giusto.

Mi spiego. Quando la Chiesa, nel Concilio di Trento, si oppose all’uso della lingua volgare nella liturgia o alla comunione sotto le due specie, non lo fece perché tali cose, in sé stesse, fossero cattive (tanto è vero che attualmente noi le pratichiamo senza problemi); ma semplicemente perché esse avrebbero veicolato il messaggio sbagliato: la Messa vale solo se i fedeli capiscono ciò che si dice (agisce ex opere operantis); la comunione sotto una sola specie non è completa. E allora che fece la Chiesa? Spiegò, certo, la retta dottrina (i sacramenti sono efficaci di per sé, agiscono ex opere operato; Cristo è presente nella sua pienezza sotto ciascuna delle specie eucaristiche); ma a ciò aggiunse l’obbligo di celebrare la Messa in latino e di ricevere la comunione sotto la sola specie del pane. A quell’epoca non si parlava di pastorale, ma si aveva un senso pastorale che noi ci sogniamo. Oggi ci riempiamo la bocca di pastorale, ma poi non ci rendiamo conto di quanta confusione possono provocare certe iniziative.

Qualcosa del genere è accaduto anche con il libro-intervista Luce del mondo. Soprattutto dopo la precisazione della Congregazione per la dottrina della fede, si può difficilmente affermare che la risposta del Papa a proposito del preservativo fosse moralmente erronea. Il problema è ancora una volta: qual è il messaggio che è passato alla gente? Che l’uso del profilattico, almeno in certe situazioni, è giustificato. In barba alle reali parole pronunciate dal Papa, alle precisazioni di Padre Lombardi e alle note dottrinali del Sant’Uffizio!

Ma mi veniva da fare anche un’altra considerazione. C’è qualcuno che si chiede se Benedetto XVI e il Card. Ratzinger siano la stessa persona. Talvolta, confesso, me lo sono chiesto anch’io. Ma poi ho allargato la riflessione al passato (ormai comincio a non essere piú tanto giovane), e mi sono accorto che quanto sta accadendo al pontificato di Benedetto XVI è, piú o meno, lo stesso che accadde anche al pontificato di Giovanni Paolo II. Anche allora, quante attese, quante speranze all’inizio del pontificato! E poi, a poco a poco, quel pontificato si appiattí sull’ortodossia del “politicamente corretto”. Ho l’impressione che stia succedendo la stessa cosa anche oggi. Non nascondo di essere stato fra i “tifosi” del Card. Ratzinger durante il conclave (nonostante che molti escludessero in maniera categorica la sua elezione). Non potete immaginare la gioia di vederlo alla loggia di San Pietro quel 19 aprile 2005. Ancora una volta tante attese, tante speranze… E ancora una volta mi pare che si stia compiendo il progressivo adeguamento al “politicamente corretto”. Non vorrei essere frainteso: non sto muovendo accuse né a Giovanni Paolo II né a Benedetto XVI; sto semplicemente facendo una constatazione e cercando di comprendere il motivo che può spiegarla.

Una risposta abbastanza semplice potrebbe essere: beh, man mano che si sale in alto, si ha una visione sempre piú ampia della realtà; certe cose che non si possono capire da soldati semplici, si riescono a capire una volta divenuti ufficiali. Può darsi che sia cosí. 

Non escluderei però che ci possa essere anche una spiegazione d’altro genere, diciamo di carattere “cospirativo” (sono un inguaribile complottista). Nessuno mi toglierà di mente che il Potere cerchi di attuare, nei confronti di ciascun pontificato, una sorta di “normalizzazione”. Che cos’è stato, in fondo, l’attentato a Giovanni Paolo II del 13 maggio 1981? Con Benedetto XVI non si è fatto ricorso alle armi da fuoco, ma ad armi non meno lesive (i processi mediatici): i primi cinque anni di pontificato sono stati un attacco continuo, che non può essere considerato casuale; è ovvio che dietro c’era una regia ben organizzata. 

A un certo punto, sia nel caso di Papa Wojtyla, sia nel caso di Papa Ratzinger, tutto è cambiato. Nel primo caso, la seconda parte del pontificato è stata una continua apoteosi, culminata nel “Santo subito!” dei funerali. Ora, non so se ve ne siate accorti, da qualche tempo le cose stanno cambiando anche per Benedetto XVI: gli attacchi sono improvvisamente cessati; il Corriere della sera sembra diventato un’edizione locale dell’Osservatore Romano e la BBC una sezione staccata della Radio Vaticana. Che cosa è successo? Il Papa sta semplicemente recitando lo stesso copione che era stato scritto per il suo predecessore (visita alle sinagoghe e alle moschee, visita ad Auschwitz e allo Yad Vashem, giornate di preghiera con le altre religioni, ecc.). Cosí va bene: questo è il Papa che piace a chi ha in mano le sorti dell’umanità. A questo punto Benedetto XVI può anche permettersi il lusso di fare il tradizionalista in campo liturgico: un po’ di folclore non guasta...

Che dire? Cosí va il mondo. E forse dobbiamo farci il callo. Dopo tutto, la Chiesa è sopravvissuta a due Giornate di Assisi; volete che non sopravviva alla terza?


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 condividiamo anche quanto riportato da unafides che  riporta un passo integrale dell'allora cardinale Ratzinger..... il quale non può certo contraddire se stesso.....


 leggiamo...

Preghiera multireligiosa e interreligiosa

Nell’epoca del dialogo e dell’incontro delle religioni è sorto inevitabilmente il problema se si possa pregare insieme gli uni con gli altri. A questo proposito oggi si distingue preghiera multireligiosa e interreligiosa. Il modello per la preghiera multireligiosa è offerto dalle due giornate mondiali di preghiera per la pace, nel 1986 e nel 2002, ad Assisi. Appartenenti a diverse religioni si radunano. […] Tuttavia le persone radunate sanno pure che il loro modo di intendere il “divino”, e quindi la loro maniera di rivolgersi a esso, sono così diversi che una preghiera comune sarebbe una finzione, non sarebbe nella verità. Esse si raccolgono per dare un segno del comune anelito [alla pace e alla giustizia, ndr], ma pregano – anche se in contemporanea – in sedi separate, ciascuno a modo proprio. […]


In riferimento ad Assisi – tanto nel 1986 quanto nel 2002 – ci si è chiesti ripetutamente e in termini molto seri se questo sia legittimo. La maggior parte della gente non penserà che si finge una comunanza che in realtà non esiste? Non si favorisce così il relativismo, l’opinione che in fondo siano solo differenze secondarie quelle che si frappongono tra le “religioni”? Non si indebolisce così la serietà della fede, non si allontana ulteriormente Dio da noi, non si consolida la nostra condizione di abbandono? Non si possono accantonare con leggerezza tali interrogativi.

I pericoli sono innegabili, e non si può negare che Assisi, particolarmente nel 1986, da molti sia stato interpretato in modo errato. Sarebbe però altrettanto sbagliato rifiutare in blocco e incondizionatamente la preghiera multireligiosa così come l’abbiamo descritta. A me sembra giusto legarla a condizioni che corrispondano alle esigenze intrinseche della verità della responsabilità di fronte ad una cosa così grande come è l’implorazione rivolta a Dio davanti a tutto il mondo.

Ne individuo due:

1. Tale preghiera multireligiosa non può essere la norma della vita religiosa, ma deve restare solo come un segno in situazioni straordinarie, in cui, per così dire, si leva un comune grido d’angoscia che dovrebbe riscuotere i cuori degli uomini e al tempo stesso scuotere il cuore di Dio.

2. Un tale avvenimento porta quasi necessariamente ad interpretazioni sbagliate, all’indifferenza rispetto al contenuto da credere o da non credere e in tal modo al dissolvimento della fede reale. Perciò avvenimenti del genere devono restare eccezionali, e dunque è della massima importanza chiarire accuratamente in che cosa consistano. Questo chiarimento, in cui deve risultare nettamente che non esistono le “religioni” in generale, che non esiste una comune idea di Dio e una comune fede in Lui, che la differenza non tocca unicamente l’ambito delle immagini e delle forme concettuali mutevoli, ma le stesse scelte ultime – questo chiarimento è importante, non solo per i partecipanti all’avvenimento, ma per tutti quelli che ne sono testimoni o comunque ne sono informati.
 
L’avvenimento deve presentarsi in sé stesso e davanti al mondo in modo talmente chiaro da non diventare dimostrazione di relativismo, perché si priverebbe da solo del suo senso.

Mentre nella preghiera multireligiosa si prega nello stesso contesto, ma separatamente, la preghiera interreligiosa significa un pregare insieme di persone o gruppi di diversa appartenenza religiosa. È possibile fare questo in tutta verità e onestà? Ne dubito.

Comunque devono essere garantite tre condizioni elementari, senza le quali tale pregare diverrebbe la negazione della fede:

1. Si può pregare insieme solo se sussiste unanimità su chi o che cosa sia Dio e perciò se c’è unanimità di principio su cosa sia il pregare: un processo dialogico in cui io parlo a un Dio che è in grado di udire ed esaudire. In altre parole: la preghiera comune presuppone che il destinatario, e dunque anche l’atto interiore rivolto a Lui, vengano concepiti, in linea di principio, allo stesso modo. Come nel caso di Abramo e Melchisedek, di Giobbe e di Giona, dev’essere chiaro che si parla col Dio unico che sta al di sopra degli dèi, col Creatore del cielo e della terra, col mio Creatore. Dev’essere chiaro dunque che Dio è “persona”, vale a dire che può conoscere ed amare; che può ascoltarmi e rispondermi; che Egli è buono ed è il criterio del bene, e che il male non fa parte di Lui. […]

2. Sulla base del concetto di Dio, deve sussistere pure una concezione fondamentalmente identica su ciò che è degno di preghiera e può diventare contenuto di preghiera. Io considero le richieste del Padre nostro il criterio di ciò che ci è consentito implorare da Dio, per pregare in modo degno di Lui. In esse si vede chi e come è Dio e chi siamo noi. Esse purificano la nostra volontà e fanno vedere con che tipo di volontà stiamo camminando verso Dio, e che genere di desideri ci allontana da Lui, ci metterebbe contro di Lui. Richieste che fossero in direzione opposta alle richieste del Padre nostro, per un cristiano non possono essere oggetto di preghiera interreligiosa, e di nessun tipo di preghiera.

3. L’avvenimento deve svolgersi nel suo complesso in modo tale che la falsa interpretazione relativistica di fede e preghiera non vi trovi alcun appiglio. Questo criterio non riguarda solo chi è cristiano, che non dovrebbe essere indotto in errore, ma alla stessa stregua anche chi non è cristiano, il quale non deve avere l’impressione dell’interscambiabilità delle “religioni” e che la professione fondamentale della fede cristiana sia di importanza secondaria e dunque surrogabile. Per evitare tale errore bisogna pure che la fede dei cristiani nell’unicità di Dio e in quella di Gesù Cristo, il Redentore di tutti gli uomini, non sia offuscata davanti a chi non è cristiano.

(tratto da J.Ratzinger, Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena, 2003, pagg.110-114)



Caterina63
00martedì 18 gennaio 2011 14:57

Quel che deve fare un Papa secondo Sant'Alfonso


da Cordialiter:

Si stava per riunire il conclave del 1774, il Cardinale Castelli chiese a Mons. Alfonso Maria de Liguori di scrivergli una lettera sui provvedimenti che avrebbe dovuto prendere il nuovo Papa per riformare la Chiesa dilaniata dal rilassamento generale. Riporto i passi principali della lettera alfonsiana.

Amico mio e Signore, circa il sentimento che si desidera da me intorno agli affari presenti della Chiesa e circa l'elezione del Papa, che sentimento voglio dar io miserabile ignorante, e di tanto poco spirito qual sono?

Dico solo che vi bisognano orazioni e grandi orazioni; mentre, per sollevare la Chiesa dallo stato di rilassamento e confusione in cui si trovano universalmente tutti i ceti, non può darvi rimedio tutta la scienza e prudenza umana, ma vi bisogna il braccio onnipotente di Dio.

Tra' vescovi, pochi sono quelli che hanno vero zelo delle anime.

Le comunità religiose quasi tutte, e senza quasi, sono rilassate; poiché nelle religioni, nella presente confusione delle cose l'osservanza è mancata e l'ubbidienza è perduta.

Nel clero secolare vi è di peggio: onde vi è necessità precisa di una riforma generale per tutti gli ecclesiastici, per indi dar riparo alla grande corruzione de' costumi, che vi è ne' secolari.

E perciò bisogna pregar Gesù Cristo che ci dia un Capo della Chiesa, il quale, più che di dottrina e di prudenza umana, sia dotato di spirito e di zelo per l'onore di Dio, e sia totalmente distaccato da ogni partito e rispetto umano; perché se mai, per nostra disgrazia, succede un Papa che non ha solamente la gloria di Dio avanti gli occhi, il Signore poco l'assisterà, e le cose, come stanno nelle presenti circostanze, andranno di male in peggio.

Sicché le orazioni possono dar rimedio a tanto male, con ottenere da Dio che egli vi metta la sua mano e dia riparo.

[…] Bramerei primieramente che il Papa venturo (giacché ora mancano molti Cardinali che si han da provvedere) scegliesse, fra quelli che gli verranno proposti, i più dotti e zelanti del bene della Chiesa, ed intimasse preventivamente a' Principi, nella prima lettera in cui darà loro parte della sua esaltazione, che, quando gli domanderanno il Cardinalato per qualche lor favorito, non gli proponessero se non soggetti di provata pietà e dottrina; perché altrimenti non potrà ammetterli in buona coscienza.

Bramerei inoltre che usasse fortezza in negare più benefizi a coloro che stanno già provveduti de' beni della Chiesa, per quanto basta al lor mantenimento secondo quel che conviene al loro stato. Ed in ciò si usasse tutta la fortezza avverso gl'impegni che s'affacciano.

Bramerei, di più, che s'impedisse il lusso nei prelati, e perciò si determinasse per tutti (altrimenti a niente si rimedierà) si determinasse, dico, il numero della gente di servizio, giusta ciò che compete a ciascun ceto de' prelati: tanti camerieri e non più; tanti servitori e non più; tanti cavalli e non più; per non dare più a parlare agli eretici.

Di più! che si usasse maggior diligenza nel conferire i benefizi solamente a coloro che han servito la Chiesa, non già alle persone particolari.

Di più, che si usasse tutta la diligenza nell'eleggere i vescovi (da' quali principalmente dipende il culto divino e la salute dell'anime) con prendersi da più parti le informazioni della loro buona vita e dottrina necessaria a governare le diocesi; e che, anche per quelli che siedono nelle loro chiese, si esigesse da' metropolitani e da altri, segretamente, la notizia di quei vescovi, che poco attendono al bene delle loro pecorelle.

Bramerei ancora che si facesse intendere da per tutto che i vescovi trascurati, e che difettano o nella residenza o nel lusso della gente che tengono al lor servizio, o nelle soverchie spese di arredi, conviti e simili, saranno puniti colla sospensione o con mandar vicari apostolici a riparare i loro difetti; con darne l'esempio da quando in quando, secondo bisogna.

Ogni esempio di questa sorta farebbe stare attenti a moderarsi tutti gli altri prelati trascurati.

[…] Sovra tutto desidererei che il Papa riducesse universalmente tutti i religiosi all'osservanza del loro primo Istituto, almeno nelle cose più principali.

Or via, non voglio più tediarla. Altro noi non possiamo fare che pregare il Signore, che ci dia un Pastore pieno del suo spirito, il quale sappia stabilir queste cose da me così accennate in breve, secondo meglio converrà alla gloria di Gesù Cristo.

E con ciò le fo umilissima riverenza, mentre con tutto l'ossequio mi protesto

Di V. S. Illma Devmo ed obblmo servo vero

Alfonso Maria, vescovo di Sant'Agata de Goti





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[SM=g1740717] a queste eccellenti riflessioni di un santo Vescovo, e per le quali riflettiamo la realtà che in ogni tempo la Chiesa ha dovuto combattere al suo interno le prevaricazioni di "Giuda" e le imposizioni di non pochi "farisei"... aggiungiamo le stupende parole del cardinale Biffi riportate nel primo libro: "Memorie di un cardinale italiano" nel quale riporta una "Lettera aperta" scritta al nuovo Pontefice che di li abreve sarebbe stato eletto...
 
Conclave 2005, che cosa ho detto al futuro papa

(pp. 614-615)


I giorni più faticosi per i cardinali sono quelli che precedono immediatamente il conclave. Il Sacro Collegio si raduna quotidianamente dalle ore 9,30 alle ore 13, in un’assemblea dove ciascuno dei presenti è libero di dire tutto ciò che crede.

S’intuisce però che non si possa trattare pubblicamente l’argomento che più sta a cuore agli elettori del futuro vescovo di Roma: chi dobbiamo scegliere?

E così va a finire che ogni cardinale è tentato di citare più che altro i suoi problemi e i suoi guai: o meglio, i problemi e i guai della sua cristianità, della sua nazione, del suo continente, del mondo intero. È senza dubbio molto utile questa generale, spontanea, incondizionata rassegna delle informazioni e dei giudizi. Ma senza dubbio il quadro che ne risulta non è fatto per incoraggiare.

Quale fosse nell’occasione il mio stato d’animo e quale la mia riflessione prevalente emerge dall’intervento che dopo molte perplessità mi sono deciso a pronunciare il venerdì 15 aprile 2005. Eccone il testo:

"1. Dopo aver ascoltato tutti gli interventi – giusti opportuni appassionati – che qui sono risonati, vorrei esprimere al futuro papa (che mi sta ascoltando) tutta la mia solidarietà, la mia simpatia, la mia comprensione, e anche un po’ della mia fraterna compassione. Ma vorrei suggerirgli anche che non si preoccupi troppo di tutto quello che qui ha sentito e non si spaventi troppo. Il Signore Gesù non gli chiederà di risolvere tutti i problemi del mondo. Gli chiederà di volergli bene con un amore straordinario: 'Mi ami tu più di costoro?' (cfr. Giovanni 21,15). In una 'striscia' e 'fumetto' che ci veniva dall’Argentina, quella di Mafalda, ho trovato diversi anni fa una frase che in questi giorni mi è venuta spesso alla mente: 'Ho capito; – diceva quella terribile e acuta ragazzina – il mondo è pieno di problemologi, ma scarseggiano i soluzionologi'.

"2. Vorrei dire al futuro papa che faccia attenzione a tutti i problemi. Ma prima e più ancora si renda conto dello stato di confusione, di disorientamento, di smarrimento che affligge in questi anni il popolo di Dio, e soprattutto affligge i 'piccoli'.

"3. Qualche giorno fa ho ascoltato alla televisione una suora anziana e devota che così rispondeva all’intervistatore: 'Questo papa, che è morto, è stato grande soprattutto perché ci ha insegnato che tutte le religioni sono uguali'. Non so se Giovanni Paolo II avrebbe molto gradito un elogio come questo.

"4. Infine vorrei segnalare al nuovo papa la vicenda incredibile della 'Dominus Iesus': un documento esplicitamente condiviso e pubblicamente approvato da Giovanni Paolo II; un documento per il quale mi piace esprimere al cardinal Ratzinger la mia vibrante gratitudine. Che Gesù sia l’unico necessario Salvatore di tutti è una verità che in venti secoli – a partire dal discorso di Pietro dopo Pentecoste – non si era mai sentito la necessità di richiamare. Questa verità è, per così dire, il grado minimo della fede; è la certezza primordiale, è tra i credenti il dato semplice e più essenziale. In duemila anni non è stata mai posta in dubbio, neppure durante la crisi ariana e neppure in occasione del deragliamento della Riforma protestante. L’averla dovuta ricordare ai nostri giorni ci dà la misura della gravità della situazione odierna. Eppure questo documento, che richiama la certezza primordiale, più semplice, più essenziale, è stato contestato. È stato contestato a tutti i livelli: a tutti i livelli dell’azione pastorale, dell’insegnamento teologico, della gerarchia.

"5. Mi è stato raccontato di un buon cattolico che ha proposto al suo parroco di fare una presentazione della 'Dominus Iesus' alla comunità parrocchiale. Il parroco (un sacerdote per altro eccellente e ben intenzionato) gli ha risposto: 'Lascia perdere. Quello è un documento che divide'. 'Un documento che divide'. Bella scoperta! Gesù stesso ha detto: 'Io sono venuto a portare la divisione' (Luca 12,51). Ma troppe parole di Gesù oggi risultano censurate dalla cristianità; almeno dalla cristianità nella sua parte più loquace".

__________

Una piccola nota umoristica ma purtroppo anche velatamente autentica.....

Cartolina dalla Spagna

                         

Riceviamo dalla Spagna questa cartolina e la pubblichiamo ( aspettiamoci le solite fumose smentite ...)

Un bambino sussura al Papa :
"Santo Padre i Vescovi non mi lasciano andare alla Messa Tridentina".
Il Papa gli risponde : " NEPPURE A ME" !


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  ... battute a parte, sono convinta - e non solo per opinione personale ma per molte congetture realistiche - che il Papa NON può in questo momento.... c'è una priorità che riguarda il mettere insieme, prima, I COCCI.... nel frattempo ha dato ad altri la libertà di Celebrare questa Messa... per domani Dio vede e provvede....  
PREGHIAMO e soprattutto per il Pontefice...



Caterina63
00sabato 26 febbraio 2011 00:06

Il Nunzio in Argentina: "Il Papa si sente abbandonato dai vescovi e dai preti, ma sostenuto dai fedeli"

La lettura dell'omelia che il Nunzio Apostolico in Argentina, mons. Adriano Bernardini, ha pronunciato tre giorni fa nella festa della Cattedra di Pietro, ci ha lasciato ammirati, commossi, e colpiti. Si sta finalmente sgretolando quell'untuoso linguaggio curiale, cui tutti purtroppo siamo stati abituati per decenni, che lasciava vagare la lingua senza dir nulla, se non ripetere triti slogan ammirativi del "rinnovamento conciliare". No: questo Nunzio chiama per nome e per cognome i collaboratori delle forze del male, in primo luogo denunciando la sorda e sordida opposizione alla Verità e al Papa che proviene non soltanto dall'esterno della Chiesa, ma ancor più dal suo interno: da teologi, religiosi, vescovi e preti. E ancor più importante: il Nunzio evidenzia come l'attaccamento alla Verità implichi necessariamente l'opposizione del mondo, e viceversa. E così: quando ci dice che il mondo fu in pace con la Chiesa negli anni immediatamente successivi al Concilio e fino all'Humanae Vitae, e che Paolo VI fu esaltato dal mondo (fino a quell'enciclica) anche per la sua ammirazione per Maritain, si capisce chiaramente che cosa questo profetico Nunzio ci suggerisce di pensare, in merito sia a Maritain, sia al Concilio...

Viviamo tempi interessanti: chi avrebbe pensato solo pochi anni fa di udire mai da un diplomatico vaticano cose del genere, del resto di buon senso e sotto gli occhi di tutti? Il muro dell'ipocrisia conciliare è brecciato da ogni parte, e presto cadrà rivelando a tutti le macerie che rinserra.
E nel frattempo, date una berretta da cardinale a questo Nunzio!

Enrico


 
"E ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e il potere della morte non prevarranno contro di essa" (Mt 16,18)
Il testo di Matteo contiene due elementi molto importanti:
-Il primato di Pietro e dei suoi successori nella Chiesa che Cristo ha fondato, e pertanto del Santo Padre;
-L’assistenza di Gesù per la Sua Chiesa contro le forze del male.
Diamo per scontato il primo punto, fondamentale per la Chiesa, perché senza questo primato di Pietro e la comunione con lui, non c'è la Chiesa cattolica. Permettetemi, però, alcune riflessioni sul secondo punto: le forze del male, che Matteo chiama "il potere della morte".
Assistiamo oggi ad un accanimento molto speciale contro la Chiesa cattolica in generale e contro il Santo Padre in particolare. Perché tutto questo? Qual è la ragione principale? Si può articolare in poche parole: perché è la Verità che ci dà il messaggio di Cristo!
Quando questa Verità non si oppone alle forze del male, tutto va bene. Invece, quando avanza la minima opposizione, insorge una lotta che utilizza la diffamazione, l’odio e persino la persecuzione contro la Chiesa e più specificamente contro la persona del Santo Padre.
Diamo un'occhiata ad alcuni momenti della storia, che è "maestra della verità".

Gli anni immediatamente successivi al Concilio Vaticano II passano in un'euforia generale per la Chiesa e di conseguenza per il Papa. Ma è sufficiente la pubblicazione dell'Humanae vitae, con cui il Santo Padre conferma la dottrina tradizionale per cui l'atto coniugale e l'aspetto procreativo non possono essere lecitamente separati, che esplode la critica più feroce contro papa Paolo VI, che fino a quel momento era nelle grazie del mondo. Le sue simpatie per Jacques Maritain e per l’umanesimo integrale avevano aperto le speranze degli ambienti modernisti interni alla Chiesa e al progressismo politico e mondano.
Lo stesso si è ripetuto più volte nel lungo pontificato di Giovanni Paolo II. Quando viene eletto, le élites culturali occidentali sono ammaliate dalla lettura marxista della realtà. Giovanni Paolo II non si adatta a questo conformismo culturale imbarazzante e intraprende col comunismo un duello duro, che lo porta sino ad essere un bersaglio fisico di un oscuro progetto omicida.
Lo stesso accadrà sempre a Giovanni Paolo II relativamente alla bioetica, con la pubblicazione dell'Evangelium vitae, nel 1995, un compendio solido e senza sconti sulle principali questioni della vita e della morte.
Ed ora, sempre per amore alla "Verità vera ed evangelica", il bersaglio è diventato Benedetto XVI. Già marcato con disprezzo negli anni precedenti come il "guardiano della fede", appena eletto, immediatamente è stato accolto da commentatori da tutto il mondo con una miscela di sentimenti, che vanno dalla rabbia alla paura, al vero e proprio terrore.
Ora, una cosa è certa: Papa Benedetto XVI ha impresso al suo pontificato il sigillo della continuità con la tradizione millenaria della Chiesa e soprattutto della purificazione. Sì, perché all'insicurezza della fede segue sempre l'offuscamento della morale.

Infatti, se vogliamo essere onesti, dobbiamo riconoscere che è aumentato anno dopo anno, tra i teologi e religiosi, tra suore e vescovi, il gruppo di quanti sono convinti che l'appartenenza alla Chiesa non comporta il riconoscimento e l'adesione a una dottrina oggettiva.
Si è affermato un cattolicasimo "à la carte", in cui ciascuno sceglie la porzione che preferisce e respinge il piatto che ritiene indigesto. In pratica un cattolicesimo dominato dalla confusione dei ruoli, con sacerdoti che non si applicano con impegno alla celebrazione della Messa e alle confessioni dei penitenti, preferendo fare dell’altro. E con laici e donne che cercano di prendersi un poco per loro il ruolo del sacerdote, per guadagnare un quarto d'ora di celebrità parrocchiale, leggendo la preghiera dei fedeli o distribuendo la comunione.
Ecco, che qui Papa Benedetto XVI, proprio a causa della sua fedeltà verso la "Verità", fa una cosa che è sfuggita all'attenzione di molti commentatori: porta di nuovo, integralmente, il credo nella formula del Concilio di Costantinopoli, cioè nella versione normalmente contenuta nella Messa. Il messaggio è chiaro: ricominciamo dalla dottrina, dal contenuto fondamentale della nostra fede. "Sì, perché - scrive il teologo e Papa Ratzinger – il primario annuncio missionaria della Chiesa oggi è minacciato dalle teorie di tipo relativistico, che intendono giustificare il pluralismo religioso, non solo de facto ma anche de jure".
La conseguenza di questo relativismo, spiega il futuro Papa Benedetto XVI, è che si considerano superate un certo numero di verità, per esempio: il carattere definitivo e completo della rivelazione di Cristo; la naturalezza della fede teologica cristiana rispetto alla credenza nelle altre religioni; l'unicità e l'universalità salvifica nel mistero di Cristo; la mediazione salvifica universale della Chiesa; la sussistenza nella Chiesa cattolica romana dell’unica Chiesa di Cristo.

Ecco qui, pertanto, la Verità come la principale causa di questa avversione e direi quasi persecuzione al Santo Padre. Un'avversione che ha come conseguenza pratica il suo sentirsi solo, un po’ abbandonato.
Abbandonato da chi? Ecco la grande contraddizione! Abbandonato dagli oppositori alla Verità, ma soprattutto da certi sacerdoti e religiosi, non solo dai vescovi; però non dai fedeli.
Il clero sta vivendo una certa crisi, prevale nell'episcopato un basso profilo, ma i fedeli di Cristo sono ancora con tutto il loro entusiasmo. Accanitamente continuano a pregare e ad andare a messa, frequentano i sacramenti e dicono il Rosario. E soprattutto, sperano nel Papa. C'è un sorprendente punto di contatto tra il Papa Benedetto XVI e la gente, tra l’uomo vestito di bianco e le anime di milioni di cristiano. Loro capiscono e amano il Papa. Questo perché la loro fede è semplice! D’altronde è la semplicità la porta di ingresso della Verità.

Durante questa celebrazione eucaristica chiediamo al buon Dio e alla Vergine di poter far parte, anche noi, di questo tipo di cristiani.

Mons. Adriano Bernardini, Nunzio apostolico in Argentina

Fonte: La buhardilla de Jeronimo. Sottol. nostre.


Caterina63
00lunedì 28 febbraio 2011 18:11
[SM=g1740733]

In 10mila firmano l'appello contro le restrizioni alla Messa in latino (Izzo)

PAPA:10 MILA FIRMANO APPELLO CONTRO RESTRIZIONI A MESSA IN LATINO

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 20 feb.

Sono gia' 10 mila i fedeli che hanno firmato l'appello indirizzato a Benedetto XVI affinche' e non siano approvate "misure restrittive" della possibilita' concessa nel 2007, con il motu proprio "
Summorum Pontificum", di celebrare in latino secondo il vecchio rito se cio' viene richiesto da un gruppo stabile di fedeli.
Tali limitazioni, si legge nel testo, "causerebbero scandalo, discordia e sofferenze nella Chiesa e frustrerebbero la riconciliazione che Sua Santita' cosi' ardentemente desidera; inoltre impedirebbero la prosecuzione del rinnovamento liturgico e dello sviluppo nella continuita' con la Tradizione, frutti gia' notevoli del suo Pontificato".
"Notiamo con tristezza - continua l'appello - l'opposizione continua e reale all'attuazione del 'Summorum Pontificum' in molte diocesi e da parte di molti membri della Gerarchia, la sofferenza e il disagio che questo continua a causare a molti fedeli di Cristo e l'ostacolo che questa opposizione rappresenta ad un'effettiva riconciliazione all'interno della Chiesa.
Ci rivolgiamo alla Santita' Vostra con filiale fiducia e, come obbedienti figlie e figli, impetriamo che Ella, beatissimo Padre, voglia considerare con sollecitudine le nostre preoccupazioni e intervenire laddove giudichi opportuno.
Manifestiamo - conclude il testo - la nostra speranza, il nostro desiderio e il nostro appello urgente affinche' i positivi effetti che la Santita' Vostra ha gia' ottenuti attraverso il motu proprio non possano essere ostacolati da tali limitazioni".

Tra i firmatari anche 15 studenti dell'Universita' di Verona che nei giorni scorsi hanno inviato al rettore, al vescovo di Verona e al direttore del Centro Pastorale dicoesano una petizione scritta perche' la messa tridentina sia celebrata almeno ogni mese presso la cappella Universitaria in Campo Marzio. Il gruppo stabile, previsto dal motu proprio, c'e' gia' in Facolta' ed e' formato da un numero maggiore di studenti rispetto ai firmatari mentre anche molti docenti hanno simpatizzato con questa richiesta.

Il sito "
messainlatino.it" pubblica inoltre la lettera di una moglie il cui marito e' tornato ad essere praticante grazie alla messa tradizionale.
La signora, catechista da 27 anni, si rivolge ai vescovi italiani e al Santo Padre con una richiesta accorata: "non abbandonateci. Non abbandonate questa strada intrapresa, non uccidete la speranza. Non vogliate imporre l'ingiustizia".
"A voi, amati vescovi, non si chiede - spiega la signora Caterina - l'obbligo di celebrare con quella Forma, ma lasciate davvero che Anime come queste possano ritornare a Dio attraverso la bellezza di una Tradizione che puo' smuovere oggi anche i cuori piu' induriti e difficili che non vogliono 'concelebrare una messa' ma desiderano solo assaporarne il mistero meditativo in silenzio".

© Copyright (AGI)
Caterina63
00mercoledì 20 aprile 2011 16:41

Ho fatto un bellissimo sogno: il Papa seduto sui gradini dell'obelisco a spiegare ed a dialogare con i fedeli (Raffaella)

Cari amici, e' un po' di tempo che mi capita di pensare ad una scena irrealizzabile ma sicuramente un gran bel sogno: Papa Benedetto, seduto sui gradini dell'obelisco di Piazza San Pietro o sul sagrato della Basilica a parlare, a spiegare ed a dialogare con i fedeli.
In questi sei anni abbiamo ascoltato centinaia di discorsi, di omelie e di catechesi.
Personalmente sono affezionata, in particolare, a queste ultimi nelle quali mi sembra che il Papa possa tornare a fare cio' che ama di piu': l'insegnante.
La splendida e commovente catechesi di questa mattina e' solo l'ultimo esempio di questo stile particolare del Santo Padre.
Indimenticabili sono le occasioni in cui egli ha potuto parlare "a braccio", rispondendo ora ai bambini, ora ai ragazzi, ora ai parroci, ora ai telespettatori (accadra' venerdi').
Vedo Benedetto XVI come il piu' grande e preparato dei catechisti. Mi piacerebbe vederlo su quei gradini anche se e' solo un sogno :-)
R.

Se san Tommaso fu detto a ragione che fu Dottore, il Cantore, nel dispiegare la Divina Eucarestia, Benedetto XVI è Dottore della Divina Liturgia con tutto ciò che ne consegue e ruota attorno, ossia, la vita stessa della Chiesa...

Ho appena finito di realizzare un video usando come sonoro questa meravigliosa Catechis del Papa sulla Settimana Santa e sullo sfondo ho postato delle immagini con la barca, simbolo di questa Chiesa per la quale, ripete da anni Ratzinger, venti e tempeste le si abbattono contro...ma noi restiamo SALDI E CALMI nella scia dello Spirito Santo che alimenta e sostiene questa barca sulla quale, lui, umile lavoratore della vigna, Benedetto XVI vi è stato messo per reggerne il difficile timone...


Dio mio!! che grande Pontefice ci hai dato!!

Ti supplichiamo di preservarlo anche dalle nostre critiche, di noi che ci diciamo cattolici....
di custodirlo dai non cattolici che pur non volendo salire su questa barca, pretendono di dire al Timoniere come guidarla e dove dirigerla...
Difendi il Tuo Dolce Vicario dalle male lingue, così come da quanti, dicendosi cattolici, in verità gli remano contro....non gli obbediscono, mettono zizzania nella Tua Barca e sparlano alle sue spalle...
Non ti chiediamo di risparmiargli di portare la sua Croce, Ti imploriamo solo perchè Tu lo aiuti a portarla...ha 84 anni...e pur volendosi ritirare, Ti ha obbedito e si è preso sulle spalle anche le nostre croci...
Dagli forza e coraggio, lo Spirito di temperanza e di fortezza...
e dona a noi di amarLo come TU lo ami.... dona a noi di innamorarci della Chiesa e di prestarci volentieri al suo servizio con Pietro, con il nostro amato Benedetto XVI!
Santa Caterina da Siena, intercedi per noi e per il Papa!
Amen!



Caterina63
00sabato 16 luglio 2011 11:22

Mons. Forte: "Nessuno come Benedetto XVI ha parlato con tanto coraggio della pedofilia, una piaga atroce che tocca l'intera società e purtroppo anche alcuni uomini di Chiesa. Gli attacchi che ne sono conseguiti sono facilmente spiegabili: questo Papa che ama la verità, la dice senza giri di parole" (O.R.)

L'arcivescovo di Chieti-Vasto sulla «nuova evangelizzazione»

Una sfida e una promessa per le antiche terre cristiane

Pubblichiamo ampi stralci di una meditazione tenuta dall'arcivescovo di Chieti-Vasto su «La “nuova evangelizzazione”: una sfida e una promessa».

di Bruno Forte

Di fronte al mutato contesto culturale dell'Occidente e all'impatto che tutto questo ha sulla vita degli uomini, nasce la domanda su come si possa annunciare oggi credibilmente la buona novella di Gesù.

Afferma Benedetto XVI nel discorso del 30 maggio 2011 in occasione della prima assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione: «Il termine “nuova evangelizzazione” richiama l'esigenza di una rinnovata modalità di annuncio, soprattutto per coloro che vivono in un contesto, come quello attuale, in cui gli sviluppi della secolarizzazione hanno lasciato pesanti tracce anche in Paesi di tradizione cristiana. Il Vangelo è il sempre nuovo annuncio della salvezza operata da Cristo per rendere l'umanità partecipe del mistero di Dio e della sua vita di amore e aprirla a un futuro di speranza affidabile e forte. Sottolineare che in questo momento della storia la Chiesa è chiamata a compiere una nuova evangelizzazione, vuol dire intensificare l'azione missionaria per corrispondere pienamente al mandato del Signore». Ciò che cambia, insomma, non è il Vangelo, ma il destinatario cui va annunciato: occorre aprirsi alle nuove sfide, apprendere nuovi linguaggi, tentare nuove forme di approccio.

«La nuova evangelizzazione -- afferma ancora il Papa -- dovrà farsi carico di trovare le vie per rendere maggiormente efficace l'annuncio della salvezza, senza del quale l'esistenza personale permane nella sua contraddittorietà e priva dell'essenziale. Anche in chi resta legato alle radici cristiane, ma vive il difficile rapporto con la modernità, è importante far comprendere che l'essere cristiano non è una specie di abito da vestire in privato o in particolari occasioni, ma è qualcosa di vivo e totalizzante, capace di assumere tutto ciò che di buono vi è nella modernità».
Alla radice di questa novità di linguaggi e di approcci sta sempre però la novità dell'incontro col Cristo vissuto da chi crede: «All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Deus caritas est, 1). In questo senso, l'aggettivo «nuova» posto innanzi al termine «evangelizzazione» va ben compreso: non si tratta di una semplice novità cronologica, quasi che quanto fatto finora è stato sbagliato o parziale, e ora inizi l'anno zero della proclamazione del Vangelo al mondo.

Una simile lettura sarebbe fuorviante: dal passato ci vengono straordinari esempi di rinnovato slancio evangelizzatore in epoche di grande creatività pastorale e missionaria. Si pensi, per fare solo un esempio, all'opera delle missioni nell'età moderna, che ha conquistato al Vangelo interi popoli e diversissime culture. Ciò che deve essere nuovo nello sforzo dell'evangelizzazione oggi richiesto si pone piuttosto sul piano qualitativo: per ricorrere alla terminologia del greco neotestamentario, in gioco è la novità del kainòs, non quella del neòs, la novità qualitativa ed escatologica, non quella meramente cronologica di ciò che accade adesso e prima non era accaduto. Non a caso Gesù chiama kainè il suo comandamento nuovo: entolè kainè (1 Giovanni, 2, 7s) per indicare che solo gli uomini nuovi, resi tali dal Figlio, possono vivere la novità dell'amore da Lui richiesto e darne testimonianza credibile.
In questa luce, l'evangelizzazione sarà «nuova» se nascerà da un impegno di profondo rinnovamento e riforma di tutta la Chiesa e di ciascuno dei protagonisti che la vivranno: il Papa afferma che «non si deve pensare che la grazia dell'evangelizzazione si sia estesa fino agli Apostoli e con loro quella sorgente di grazia si sia esaurita». Citando sant'Agostino, osserva che «questa sorgente si palesa quando fluisce, non quando cessa di versare. E fu in tal modo che la grazia tramite gli Apostoli raggiunse anche altri, che vennero inviati ad annunciare il Vangelo (…) anzi, ha continuato a chiamare fino a questi ultimi giorni l'intero corpo del suo Figlio Unigenito, cioè la sua Chiesa diffusa su tutta la terra» (Sermo 239, 1).

Benedetto XVI conclude perciò affermando che «la grazia della missione ha sempre bisogno di nuovi evangelizzatori capaci di accoglierla, perché l'annuncio salvifico della Parola di Dio non venga mai meno, nelle mutevoli condizioni della storia» (discorso del 30 maggio 2011). È giustificato, allora, ricorrere a modelli del passato e pensare, per esempio, che la «nuova evangelizzazione» possa stare al concilio Vaticano II come il grande processo della «riforma cattolica» stette al concilio di Trento: quello che lo Spirito ha detto alla Chiesa attraverso questi grandi eventi conciliari, va tradotto nella vita nuova dei battezzati, nel nuovo entusiasmo dell'incontro col Signore risorto, che la Chiesa rende sempre di nuovo possibile, e nello slancio a trasmettere credibilmente ciò che ha segnato e trasformato la nostra vita di discepoli di Gesù.
Anche in questa convinta chiamata alla «nuova evangelizzazione» si manifesta, allora, quella che sempre più si rivela come una caratteristica fondamentale di questo Pontificato: l'impegno per la riforma della Chiesa a partire dalla conversione dei cuori.
Già da cardinale Joseph Ratzinger non aveva nascosto la sua sofferenza davanti a ciò che aveva definito la «sporcizia» nella Chiesa. I suoi interventi da Papa hanno affrontato con fermezza e veracità la sfida della purificazione della comunità ecclesiale.

Nessuno come Benedetto XVI ha parlato con tanto coraggio della pedofilia, una piaga atroce che tocca l'intera società e purtroppo anche alcuni uomini di Chiesa. Gli attacchi che ne sono conseguiti sono facilmente spiegabili: questo Papa che ama la verità, la dice senza giri di parole.
È su questa convinzione che Benedetto XVI chiama tutta la Chiesa a camminare fiduciosa «fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio», come ripeteva Agostino (De civitate Dei, 18, 51, 2).
L'autentica riforma passa attraverso l'amore, e questo vuol dire farsi carico delle colpe, fare penitenza e camminare speditamente sulla via della conversione, volere la giustizia, anche umana, e la giusta riparazione, stando accanto alle vittime senza alcuna ipocrisia: ispirato dal primato della carità e dei bisogni reali, chi intende operare per il rinnovamento della vita ecclesiale, dovrà tornare all'amore, con la pazienza di rispettare anche i cammini più lenti, nella docilità e nella decisa obbedienza allo Spirito.

È la via cui Benedetto XVI sta chiamando la Chiesa intera, a tutti i livelli. Proprio così questo Papa si rivela un «riformatore»: e la riforma che persegue è quella profonda della «metànoia» evangelica, la sola capace di riportare la Chiesa alla sua bellezza originaria e di farla risplendere così come segno levato fra i popoli.

(©L'Osservatore Romano 16 luglio 2011)

Molto bello, davvero!
R.
Caterina63
00martedì 26 luglio 2011 23:07
[SM=g1740733]da una fides

il fuoco del dogma


LA VIA SOPRANNATURALE
PER RIPORTARE PACE TRA
PRIMA E DOPO IL VATICANO II

(con finale richiesta al Santo Padre di una iniziativa da prendere in vista del
50° anniversario della chiusura del Concilio)

di Enrico Maria Radaelli

Nota dell'Autore

Il presente testo, approntato appositamente per il sito internet di Sandro Magister (http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1348309), venendo a costituire la più chiara chiave ermeneutica per comprendere appieno l’inalienabilità e la profondità della relazione metafisica tra Bellezza e Verità, col presente “dodicesimo” è stato allegato al saggio La Bellezza che ci salva, di cui è quasi l’anima.

Il presente testo è stato rivisto e corretto dall'Autore



La discussione che sta avvenendo, grazie alla meritevole idea e alla conseguente ospitalità di Sandro Magister sul suo sito internet, (1) tra scuole di diverse e opposte posizioni riguardo a riconoscere nel concilio ecumenico Vaticano II continuità o discontinuità con la tradizione, oltre che chiamarmi in causa direttamente fin dalle prime battute, tocca da vicino alcune pagine preliminari del mio recente libro La bellezza che ci salva.

Il fatto di gran lunga più significativo del saggio è la comprovata identificazione delle “Origini della bellezza” con quelle quattro qualità sostanziali che san Tommaso (vi si veda il primo capitolo) mostra essere i nomi dell’Unigenito di Dio, identificazione che dovrebbe chiarire una volta per tutte il fondamentale e non più eludibile legame che un concetto ha con la sua espressione, che è a dire la verità con la bellezza, il linguaggio con la dottrina che lo utilizza.

Mi pare doveroso intervenire e fare così alcuni chiarimenti per mi parrebbero decisivi per chi vuole ricostruire quella Città della bellezza che è la Chiesa e riprendere così l’unica strada (questa la tesi del mio saggio) che può portarci alla felicità eterna, che ci può cioè salvare.
Completo il mio intervento con il suggerimento della richiesta che meriterebbe essere fatta al Santo Padre affinché, ricordando con mons. Gherardini che nel 2015 cadrà il 50° anniversario del concilio, (2) la Chiesa tutta approfitti di questo straordinario evento per ripristinare la pienezza di quel munus docendi sorprendentemente sospeso cinquant’anni fa.

Riguardo al tema in discussione, la questione è stata ben riassunta da Padre Cavalcoli: «Il nodo del dibattito è qui. Siamo infatti tutti d’accordo - Gherardini, de Mattei [e il sottoscritto] e noi [padre Cavalcoli, Padre Valuet, il professor Introvigne e il reverendo professor Rhonheimer] - che le dottrine già definite [dal magistero dogmatico della Chiesa pregressa] presenti nei testi conciliari sono infallibili. Ciò che è in discussione è se sono infallibili anche gli sviluppi dottrinali, le novità del Concilio».

Il Domenicano si avvede infatti che la necessità è di «rispondere affermativamente a questo quesito, perché altrimenti che ne sarebbe della continuità, almeno così come la intende il papa?». E non potendo fare, come ovvio, le affermazioni che pur vorrebbe fare, le gira nelle

opposte domande, cui qui darò la risposta che avrebbero se si seguisse la logica aletica insegnataci dalla filosofia.


PRIMA DOMANDA: «È AMMISSIBILE CHE LO SVILUPPO DI UNA DOTTRINA DI FEDE O PROSSIMA ALLA FEDE GIÁ DEFINITA SIA FALSO?»

Caro Padre Cavalcoli, lei per la verità avrebbe tanto voluto dire: «Non è ammissibile che lo sviluppo di una dottrina di fede o prossima alla fede già definita sia falso». Invece la risposta è: sì, lo sviluppo può essere falso, perché una premessa vera non porta necessariamente a una conclusione vera, ma può portare pure a una conclusione falsa, o a più, tant’è che in tutti i concilii del mondo – persino nei dogmatici – si confrontarono le più contrastanti posizioni proprio in odore a tale possibilità: per avere lo sperato sviluppo di continuità delle verità per grazia rivelate non basta essere teologi, vescovi, cardinali o Papi, ma è necessario richiedere l’assistenza speciale, divina, data dallo Spirito Santo di Cristo solo a quei concilii in cui essi si radunano che, dichiarati alla loro apertura solennemente e indiscutibilmente a carattere dogmatico, tale divina assistenza se la garantiscono formalmente. In tali soprannaturali casi avviene che lo sviluppo dato alla dottrina soprannaturale risulterà garantito come vero tanto quanto come vere sono già divinamente garantite le sue premesse.

Ciò non è avvenuto all’ultimo concilio, dichiarato formalmente a carattere squisitamente pastorale almeno tre volte: alla sua apertura, che è quel che conta, poi all’apertura della seconda sessione e per ultimo in chiusura; sicché in tale assemblea da premesse vere si è potuti giungere a volte anche a conclusioni almeno opinabili (a conclusioni che, canonicamente parlando, rientrano nel 3° grado di costrizione magisteriale, quello che, trattando temi a carattere morale, pastorale o giuridico, richiede unicamente «religioso ossequio») se non «addirittura errate», come riconosce lo stesso Padre Cavalcoli contraddicendo la sua tesi portante, «e comunque non infallibili» (Idem), e che dunque «possono essere anche mutate» (Idem), sicché, anche se disgraziatamente non vincolano formalmente, ma “solo” moralmente il pastore che le insegna anche nei casi siano di incerta fattura, provvidenzialmente non sono affatto obbligatoriamente vincolanti l’obbedienza del fedele.

D'altronde, se a gradi diversi di magistero non si fanno corrispondere gradi diversi di assenso del fedele non si capisce cosa ci stiano a fare i gradi diversi di magistero. I gradi diversi di magistero sono dovuti ai gradi diversi di prossimità di conoscenza che essi hanno con la Realtà prima, con la Realtà divina rivelata cui si riferiscono, e è ovvio che le dottrine rivelate direttamente da Dio pretendono un ossequio totalmente obbligante (1° grado), tali come le dottrine a loro connesse se presentate con definizioni dogmatiche o con atti definitivi (2° grado); entrambe si distinguono da quelle altre dottrine che, non potendo appartenere al primo ceppo, potranno essere annoverate al secondo solo allorquando si sarà appurata con argomenti plurimi, prudenti, chiari e irrefutabili la loro connessione intima, diretta ed evidente con esso nel rispetto più pieno del principio di Lérins recepito nel Vaticano I (quod semper, quod ubique, quod ab omnibus creditum est), garantendo così al fedele di trovarsi anch’esse dinanzi alla conoscenza più prossima di Dio; tutto ciò, come si può capire, si può ottenere soltanto nell’esercizio più consapevole, voluto e implorato dalla e sulla Chiesa del munus dogmatico.

La differenza tra le dottrine di 1° e 2° grado e quelle di 3° è data dal carattere certamente soprannaturale delle prime, che invece nel 3° gruppo non è garantito: forse c’è, ma forse anche non c’è. Quel che va colto è che il munus dogmatico è: 1) un dono divino; dunque, 2), un dono da richiedere espressamente; e 3), un dono la cui non richiesta non offre poi alcuna garanzia di assoluta verità che unicamente quel munus sopradetto accompagna, e che dunque sgancia magistero e fedeli da ogni obbligo (l'uno di veridicità, gli altri di obbedienza), pur richiedendo loro religioso ossequio: nel 3° grado potrebbero trovarsi indicazioni e congetture di ceppo naturalistico, e il vaglio per verificare se, depuratele da tali eventuali anche microbiche infestazioni, è possibile un loro innalzamento al grado soprannaturale, può compiersi unicamente mettendole a confronto col fuoco dogmatico: la paglia brucerà, ma il ferro divino, se c’è, risplenderà certo in tutto il suo fulgore.

È ciò che è successo alle dottrine dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione, oggi dogmi, articoli cioè di fede appartenenti oggi di diritto al 2° gruppo: ma fino rispettivamente al 1854 e al 1950 esse appartevano al gruppo delle dottrine opinabili, al 3°, alle quali si doveva nient’altro che «religioso ossequio», pari pari a quelle dottrine novelle che, più avanti elencate qui in breve e sommario inventario, si affastelleranno nel più recente insegnamento della Chiesa dal 1962. Ma nel 1854 e nel 1950 il fuoco del dogma le circondò della sua divina e peculiare marchiatura, le avvampò, le vagliò, le impresse e infine in eterno le sigillò quali ab initio e per sese già esse nella loro più intima realtà erano: verità certissime e universalmente comprovate, dunque di diritto appartenenti al ceppo soprannaturale (il 2°) anche se fino allora non formalmente riconosciute sotto tale splendida veste: felice riconoscimento, e qui si vuol appunto sottolineare: riconoscimento degli astanti, Papa in primis, non affatto trasformazione del soggetto: come quando i critici d’arte, osservata sotto ogni punto di vista e indizio utili ad avvalorarla o smentirla – certificati di provenienza, di passaggi di proprietà, prove di pigmentazione, di velatura, pentimenti, radiografie e riflettografie – riconoscono in un quadro d’autore la sua più indiscutibile e palmare autenticità.

Quelle due dottrine si rivelarono entrambe di fattura divina, e della più pregiata. Se qualcuna dunque di quelle più recenti è della stessa altissima mano lo si riscontrerà pacificamente col più splendido dei mezzi.

SECONDA DOMANDA: «PUÓ IL NUOVO CAMPO DOGMATICO ESSERE IN CONTRADDIZIONE CON L'ANTICO?»

Ovviamente no, non può in alcun modo, infatti dopo il Vaticano II non abbiamo alcun «nuovo campo dogmatico», come si esprime il Domenicano, anche se molti vogliono far passare le novità conciliari e postconciliari per tale pur essendo il Vaticano II un semplice se pur solenne (della solennità dovuta a un concilio ecumenico, come rivela anche mons. Gherardini) e straordinario «campo pastorale»: nessuno dei documenti richiamati da Padre Valuet alla sua nota 5 dichiara un’autorevolezza del concilio maggiore di quella da cui esso fu investito fin dall’inizio: nient’altro che una solenne e universale (= ecumenica), adunanza “pastorale” intenzionata a dare al mondo alcune indicazioni pastorali, rifiutandosi dichiaratamente e ostentatamente di definire dogmaticamente (o anatemizzare) alcunché.

Tutti i maggiorenti neomodernisti (o sempliciter novatori che dir si voglia) che - come sottolinea il professor de Mattei nel suo Il concilio Vaticano II. Una storia mai scritta - furono attivi nella Chiesa fin dai tempi di Pio XII: teologi, vescovi e cardinali della Nouvelle Théologie come Alfrink col suo perito Schillebeeckx, Bea, Câmara, Carlo Colombo, Congar, De Lubac, Döpfner, Frings col suo perito Ratzinger; König col suo Küng; Garrone col suo Daniélou; Lercaro, Liénart, Maximos IV, Montini, Suenens, e, quasi gruppo a sé, i tre maggiorenti della cosiddetta scuola di Bologna: ieri Dossetti e Alberigo, oggi Melloni, hanno nello svolgimento del Vaticano II e dopo di esso cavalcato con ogni sorta di espedienti la rottura con le detestate dottrine pregresse sullo stesso presupposto, equivocando cioè sulla solennità della straordinaria adunanza (ripeto: indubbia); per cui si ha che tutti costoro compirono de facto rottura e discontinuità proclamando de voce saldezza e continuità. Che vi sia poi da parte loro e poi universalmente oggi desiderio di rottura con la Tradizione è riscontrabile almeno: 1) dal più largo scempio perpetrato sulle magnificenze degli altari antichi; 2) dall’egualmente universale odierno rifiuto di tutti i vescovi del mondo tranne due o tre a dare il minimo spazio al Rito Tridentino o Gregoriano, in stolida e ostentata disobbedienza alle direttive della Summorum Pontificum, e si potrebbe continuare; lex orandi, lex credendi: se tutto ciò non è rigetto della Tradizione, cosa allora?

Malgrado ciò, e la gravità di tutto ciò, non si può però ancora parlare in alcun modo di rottura: la Chiesa è «tutti i giorni» sotto la divina garanzia data da Cristo nei giuramenti di Mt 16, 18 (Portæ inferi non prævalebunt) e di Mt 28, 20 (Ego vobiscum sum omnibus diebus) e ciò la mette metafisicamente al riparo da ogni timore in tal senso, anche se il pericolo è sempre alle porte e spesso i tentativi in atto; ma chi sostiene un’avvenuta rottura (alcuni dei maggiorenti anzidetti, ma anche i sedevacantisti) cade nel naturalismo.

Però non si può parlare neanche di saldezza, cioè di continuità con la Tradizione, perché è sotto gli occhi di tutti che le più varie dottrine uscite dal e dopo il concilio: ecclesiologia, collegialità, panecumenismo, rapporto con le altre religioni, filogiudaismo, irenismo, medesimezza del Dio adorato da cristiani, ebrei e islamici; correzione della “Dottrina della sostituzione” della Sinagoga con la Chiesa in “dottrina delle due salvezze parallele”, unicità delle fonti della Rivelazione, libertà religiosa, teodicea, antropocentrismo, aniconologia, o quella da cui è nato il Novus Ordo Missæ in luogo del Gregoriano (oggi raccattato a fianco del primo, ma subordinatamente!), sono tutte dottrine che una per una non reggerebbero alla prova del fuoco del dogma, se si avesse il coraggio di provare a dogmatizzarle, fuoco che consiste nel dar loro sostanza teologica con richiesta precisa di assistenza dello Spirito Santo di Cristo, vedasi il corpus theologicum posto a loro tempo a base dell’Immacolata Concezione o dell’Assunzione; esse sono realizzate unicamente per il fatto che non vi è nessuna barriera dogmatica alzata per non permettere il loro concepimento, però poi si impone una fasulla continuità col dogma per pretendere verso di esse l’assenso de fide necessario all’unità e alla continuità (si vedano per esempio, ivi, le pp. 70 sgg., 205 e 284 (3)), restando così tutte in pericoloso e «fragile borderline tra continuità e discontinuità» (p. 49), ma sempre al di qua del limite dogmatico, che infatti, se applicato, determinerebbe la loro fine, e non invece, come qualcuno paventa, la del tutto impossibile «uscita della Chiesa da se stessa» (p. 43). Anche l’affermazione di continuità tra tali dottrine e Tradizione pecca a mio avviso di naturalismo.

TERZA DOMANDA: «SE NOI NEGHIAMO L'INFALLIBITÀ DEGLI SVILUPPI DOTTRINALI DEL CONCILIO CHE PARTONO DA PRECEDENTI DOTTRINE DI FEDE O PROSSIME ALLA FEDE, NON INDEBOLIAMO LA FORZA DELLA TESI CONTINUISTA?»

Certo che la indebolite, anzi la annientate. E date forza alla tesi opposta, che continuità non c’è. E questo in odore alla verità.

Niente rottura, ma anche niente continuità. E allora cosa? La via d’uscita la suggerisce Romano Amerio con quella che l’autore di Iota unum (p. 28 dell'edizione Lindau) definisce «la legge della conservazione storica della Chiesa», raccolta a p. 41 del mio saggio, per la quale «la Chiesa non va perduta nel caso non pareggiasse la verità, ma nel caso perdesse la verità». E quando la Chiesa non pareggia la verità? Quando i suoi insegnamenti la dimenticano, oppure la confondono, la intorbidano, la mischiano, come avvenuto (non è la prima volta e non sarà l’ultima, vedasi la mia Postfazione a Iota Unum, Lindau, pp. 702-707) dal Concilio a oggi; e quando perderebbe la verità? (Al condizionale: si è visto che non può in alcun modo perderla). Solo se la anatemizzasse, o se viceversa dogmatizzasse una dottrina falsa, cose che potrebbe fare il Papa e solo il Papa, se (= “nella metafisicamente impossibile ipotesi che”) le sue labbra dogmatizzanti e anatematizzanti non fossero soprannaturalmente legate dai due sopraddetti giuramenti di Nostro Signore.
Insisterei su questo punto, che mi pare decisivo.

Qui si avanzano delle ipotesi, ma, come dico nel mio libro (p. 55), «lasciando alla competenza dei Pastori ogni verifica della cosa e ogni successiva conseguenza, per esempio del se e del chi eventualmente, e in che misura, sia incorso od ora incorra» negli atti configurati. Nelle primissime pagine evidenzio in particolare come non si possono alzare gli argini al fiume di una bellezza salvatrice se non sgombrando la mente da ogni equivoco, errore o malinteso: la bellezza si accompagna unicamente alla verità (p. 23), e tornare a far del bello nell’arte (almeno nella sacra) non si riesce se non lavorando nel vero di insegnamento e atto liturgico.

Quello che a mio avviso si sta perpetrando nella Chiesa da cinquant’anni è un ricercato amalgama tra continuità e rottura. È lo studiato governo delle idee e delle intenzioni spurie nel quale si è cambiata la Chiesa senza cambiarla, sotto la copertura (da mons. Gherardini nitidamente illustrata anche nei suoi libri più recenti) di un magistero volutamente sospeso, a partire dal Discorso d’apertura del concilio Gaudet Mater Ecclesia, in una tutta innaturale e tutta inventata sua forma detta con grande imprecisione teologica, “pastorale”: si è svuotata la Chiesa delle dottrine poco o nulla adatte all’ecumenismo e perciò invise ai maggiorenti visti sopra e la si è riempita delle idee “ecumeniche” di quegli stessi, e ciò si è fatto senza toccarne punto la veste metafisica, natura sua dogmatica (p. 62), natura sua cioè soprannaturale, ma lavorando unicamente su quel «campo» del suo magistero che inferisce solo sulla sua «conservazione storica». In altre parole: non c’è rottura formale, né peraltro formale continuità, unicamente perché i Papi degli ultimi cinquant’anni si rifiutano di ratificare nella forma dogmatica di 2° livello le nuove dottrine di 3° che sotto il loro governo stanno devastando e svuotando la Chiesa (p. 285). Ciò vuol dire che in tal modo la Chiesa non pareggia più la verità, ma neanche la perde, perché i Papi, persino in occasione di un concilio, si sono formalmente rifiutati e di dogmatizzare le nuove dottrine e di anatemizzare le pur disistimate (o corrette o raggirate) dottrine pregresse.

Come si vede, si potrebbe anche ritenere che tale incresciosissima situazione andrebbe a configurare un peccato del magistero, e grave, sia contro la fede, sia contro la carità (p. 54): non sembra infatti che si possa disobbedire al comando del Signore di insegnare alle genti (cfr. Mt 28, 19-20) con tutta la pienezza del dono di conoscenza elargitoci, senza con ciò «deviare dalla rettitudine che l’atto (di '‘insegnamento educativo alla retta dottrina”) deve avere (S. Th. I, 25, 3, ad 2). Peccato contro la fede perché la si mette in pericolo, e infatti la Chiesa negli ultimi cinquant’anni, svuotata di dottrine vere, si è svuotata di fedeli, di religiosi e di preti, diventando l’ombra di se stessa (p. 76). Peccato contro la carità perché si toglie ai fedeli la bellezza dell’insegnamento magisteriale e visivo di cui solo la verità risplende, come illustro in tutto il secondo capitolo. Il peccato sarebbe d’omissione: sarebbe il peccato di «omissione della dogmaticità propria alla Chiesa» (pp. 60 sgg.), con cui la Chiesa volutamente non suggellerebbe sopranaturalmente e così non garantirebbe le indicazioni sulla vita che ci dà.

Questo stato di peccato in cui verserebbe la santa Chiesa (infatti si intende sempre: di alcuni uomini della santa Chiesa), se riscontrato, andrebbe levato e penitenzialmente al più presto anche lavato, giacché, come il cardinale José Rosalio Castillo Lara scriveva al cardinale Joseph Ratzinger nel 1988, il suo attuale ostinato e colpevole mantenimento «favorirebbe la deprecabile tendenza […] a un equivoco governo cosiddetto “pastorale”, che in fondo pastorale non è, perché porta a trascurare il dovuto esercizio dell’autorità con danno al bene comune dei fedeli» (pp. 67-8).

Per restituire ancora una volta alla Chiesa la parità con la verità, come le fu restituita ogni volta che si trovò in simili drammatiche traversie, non c'è altra via che tornare alla pienezza del suo munus docendi, facendo passare al vaglio del dogma a 360 gradi tutte le false dottrine di cui oggi è intrisa, e riprendere come habitus del suo insegnamento più ordinario e pastorale (nel senso rigoroso del termine: “trasferimento della divina Parola nelle diocesi e nelle parrocchie di tutto il mondo”) l’atteggiamento dogmatico che l’ha sopranaturalmente condotta fin qui nei secoli. Ripristinando la pienezza magisteriale sospesa si restituirebbe alla Chiesa storica l’essenza metafisica sottrattale, e con ciò si farebbe tornare sulla terra la sua bellezza divina in tutta la sua più riconosciuta e assaporata fragranza.


PER CONCLUDERE, UNA PROPOSTA

Ci vuole audacia. E ci vuole Tradizione. In vista della scadenza del 2015, 50° anniversario del concilio della discordia, bisognerebbe poter promuovere una forte e larga richiesta al Trono più alto affinché, nella sua benignità, non perdendo l’occasione davvero speciale di tale eccezionale ricorrenza, consideri che vi è un unico atto che può riportare pace tra l’insegnamento e la dottrina elargiti dalla Chiesa prima e dopo la fatale assemblea, e quest’unico, eroico, umilissimo atto è quello di accostare al soprannaturale fuoco del dogma le dottrine sopra accennate invise ai fedeli di parte «tradizionalista» (p. 289), e le contrarie: ciò che deve bruciare brucerà, ciò che deve risplendere risplenderà. Da qui al 2015 abbiamo davanti tre anni abbondanti. Bisogna utilizzarli al meglio. Preghiere e intelligenze debbono essere portate alla pressione massima: fuoco al calor bianco. Senza tensione non si ottiene niente, come a Laodicea.
Questo atto che qui si propone di compiere, l’unico che potrebbe tornare a riunire in un’unica cera, come dev’essere, quelle due potenti anime che palpitano nella santa Chiesa e nello stesso essere, riconoscibili l’una negli uomini “fedeli specialmente a ciò che la Chiesa è”, l’altra negli uomini il cui spirito è più aggettato, diciamo così, al suo domani, è l’atto che, mettendo fine con bella decisione a una cinquantennale situazione piuttosto anticaritativa e alquanto insincera, riassume in un governo soprannaturale i santi concetti di Tradizione e Audacia: per ricostruire la Chiesa e tornare a fare bellezza, il Vaticano II va letto nella griglia della Tradizione con l’Audacia infuocata del dogma.

Dunque tutti i «tradizionalisti» della Chiesa, a ogni ordine e grado come a ogni particolare taglio ideologico appartengano, sappiano raccogliersi in un’unica sollecitazione, in un unico progetto: giungere al 2015 con la più vasta, consigliata e ben delineata istanza affinché tale ricorrenza sia per il Trono più alto l’occasione più propria per ripristinare il divino munus docendi su tutta la Chiesa nella sua pienezza.

Enrico Maria Radaelli

NOTE
1 - A partire da http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1347420; le citazioni successive di Padre Giovanni Cavalcoli sono prese da: http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1348041
2 - Cfr. «Divinitas», anno 2011, 2, p. 188.
3 - Enrico Maria Radaelli, La bellezza che ci salva.


Caterina63
00domenica 2 ottobre 2011 18:45
[SM=g1740733]Questa, più che una lettera aperta al Papa, è come quella sopra all'inizio di mons. Crepaldi, una stupenda Omelia che invita a SEGUIRE IL PAPA NEL SUO MAGISTERO E NEL SUO ORIENTAMENTO PETRINO....

Straordinaria predica del Mons. Sostituto alla Segreteria di Stato in sostegno del Magistero di Benedetto XVI: "Con fede, in ascolto del Papa".

Il Sostituto per la "Sezione Prima - Affari Generali" della Segreteria di Stato (il numero 3 della Gerarchia "politica" della S. Sede, dopo il Papa -di cui è il braccio destro-, e il Segretario di Stato), S. Ec.za. Mons. Giovanni Angelo Becciu ha celebrato una S. Messa solenne nel pomeriggio di giovedì 30 settembre, nella cattedrale di Ozieri (sito diocesano), sua diocesi di origine. Insieme con l'Arcivescovo hanno concelebrato sette vescovi della Sardegna e tutto il clero diocesano, alla presenza di numerosi fedeli.
Di seguito una parte della sua predica, riportata integralemente sull'Osservatore Romano del 2 ottobre 2011 (si veda qui sul
blog Amicizi di Papa Ratzinger 4).
Sono molto forti ed esplicite le parole (a tratti anche affettuose) che Mons. Becciu pronuncia in difesa del Papa, del suo Magistero Petrino di Unità della Fede, di difesore della Verità, di dispensatore di Carità, e, quindi, di condanna (pur implicita) di quanti (ah, gente sciagurata e meschina!) -anche e soprattutto nella Curia Romana- si oppongono stoltalmente e infelicemente al Pontefice e cercano di avversarlo ("Guai a voi che non avete ascoltato"!), alimentanto la persecuzione del Papa, procurandogli sofferenze.
Speriamo che non siano solo parole di circostanza, ma siano suscitate da un vero e sincero amore verso il Santo Padre, che induca alla fedeltà, all'aiuto, alla collaborazione e all'obbedienza incondizionati filiali al Papa, non solo come Capo Supremo della Chiesa Cattolica, ma come Vicario di Cristo, Roccia della Chiesa e garanzia di unità e verità.
E speriamo che faccia qualcosa contro i media che, istruiti forse a dovere da monsignori curiali, "montano" le cifre dei contestatori dei Papa.
Il sottolineato è nostro.

Roberto


di GIOVANNI ANGELO BICCIU
" (omissis)
L'essere in questa Cattedrale mi porta ad unirmi spiritualmente alle comunità diocesane di cui i confratelli Vescovi qui presenti sono Pastori. Mi inchino di fronte alle loro responsabilità e al loro zelo di uomini appassionati nella costruzione del Regno di Dio. Come accennavo - è questo il motivo per cui questa sera siamo riuniti in preghiera - da pochi mesi [dal 10 maggio 201, qui ne avevamo dato annuncio, n.d.r.] il Santo Padre mi ha chiamato vicino a Sé per collaborare direttamente con Lui, a servizio della sua missione pastorale universale.

In questo nuovo compito, le parole di Gesù nel Vangelo odierno "Chi ascolta voi ascolta me", acquistano in me una risonanza tutta particolare. Esse mi pongono davanti al Papa in un ascolto di fede più intenso e attento: nella sua parola, nei suoi orientamenti ascolto la voce del Signore che continua a farsi Guida e Pastore del suo popolo. Ci rendiamo conto che spesso, in una società senza padri né guide sicure, anche la persona del Papa tende ad essere messa in un angolo, e la sua parola ridotta ad una opinione, posta accanto alle tante altre opinioni. Tuttavia, le immagini delle folle dei giovani che hanno acclamato Papa Benedetto a Madrid e dei suoi stessi connazionali che la settimana scorsa gli hanno tributato affetto e riconoscenza, contro le pessimistiche previsioni della vigilia, ci devono far riflettere e convincerci che l'amore verso il Papa e la Chiesa torna di moda e che le nuove generazioni non hanno vergogna di manifestarlo pubblicamente. Talvolta è purtroppo tra i credenti che dobbiamo lamentare come la persona del Papa non sia sempre tenuta nella considerazione che è domandata dal progetto di Cristo sulla sua Chiesa.
Se è vero che chi pensa Cristo senza la Chiesa pensa ad una persona immaginaria, mai esistita, è altrettanto vero che chi pensa la Chiesa senza Pietro, pensa ad una realtà che non è quella voluta da Cristo. "Chi abbandonerà la cattedra di Pietro, sulla quale è fondata la Chiesa - si domandava Cipriano già a metà del III secolo -, penserà di essere ancora nella Chiesa?" .
Pietro è la roccia posta da Gesù come fondamento della Chiesa. "Tu sei Pietro - affermava papa Leone Magno parafrasando le parole di Cristo -, cioè, pur essendo io la pietra irremovibile, la pietra angolare che dei giudei e dei pagani faccio un solo popolo... tuttavia anche tu sei pietra, perché sei consolidato dalla stessa forza, così che, ciò che io posseggo in virtù della potestà, tu l'abbia in comune con me per partecipazione... Su questa pietra edificherò la mia Chiesa. Sulla solidità di questa pietra costruirò un tempio eterno..." .

Come non ricordare in proposito la celebre espressione di Sant'Ambrogio: "Dov'è Pietro, lì è la Chiesa..."? .
Si comprende la verità dell'espressione non soltanto affettiva, ma teologica, con la quale Caterina da Siena si rivolgeva al successore di Pietro quale "Dolce Cristo in terra". Verrebbe da chiedersi: come è conciliabile una missione così alta con uomini per certi aspetti così deboli?
Benedetto XVI è consapevole di essere "un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore", come ebbe a dire nel suo primo saluto dalla Loggia centrale della Basilica di san Pietro.
Come non cogliere, in questo scarto tra la vastità della missione e la fragilità degli strumenti scelti per condurla a termine, la logica di Dio, che "sceglie ciò che nel mondo è debole... perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio"? .
L'unica condizione richiesta a Pietro e ai suoi successori per pascere il popolo di Dio è amare di più: "Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?" . "Quel 'più' - disse Paolo VI -... esige e suscita... un primato d'amore... Al primato d'autorità, già conferito a Simon Pietro, Gesù vuole che corrisponda un primato di carità" . Si tratta di un amore simile a quello del Buon Pastore, che giunge a dare la vita per le sue pecore, al martirio.

Quando penso a Benedetto XVI, quando lo incontro personalmente, quando lo accompagno nei faticosi viaggi, nella fragilità della sua persona sento il suo amore appassionato per Cristo e la sua Chiesa, come pure la saldezza della roccia. Sento la verità dell'affermazione di Leone Magno: "La fermezza che Pietro ha ricevuto da Cristo, dal quale è stato costituito, si trasmette anche ai suoi eredi" , sino all'attuale Pontefice.
Guardo Benedetto XVI e vedo la lunga successione che lo riporta su quella prima roccia che è Pietro, fino alla pietra angolare che è Cristo. Come sono appropriate le parole di sant'Agostino: "Se si dovesse considerare la successione regolare dei vescovi, che si succedono uno dopo l'altro, con tanta maggiore certezza e vantaggio dovremmo cominciare a contare dallo stesso Pietro, al quale, come rappresentante di tutta la Chiesa, il Signore disse: 'Su questa pietra edificherò la mia Chiesa...'. A Pietro infatti successe Lino, a Lino Clemente, a Clemente Anacleto, ad Anacleto Evaristo, ad Evaristo Sisto, a Sisto Telèsforo, a Telèsforo Iginio..." e prosegue elencando tutti i successori fino ad Anastasio . Noi possiamo proseguire elencando Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, fino al nostro Benedetto XVI.

In questa epoca di smarrimento e di mancanza di sicuri riferimenti dottrinali ed etici, la vicinanza con il Santo Padre mi consente di prendere maggiore coscienza anche del suo fondamentale carisma magisteriale. Le chiavi che ha ricevuto indicano anche il potere di dare l'interpretazione autentica della legge di Gesù. È dunque Pietro che prima d'ogni altro dovrà compiere il mandato di Gesù, di "insegnare" ad osservare tutto ciò che egli ha comandato . Gesù gli ha affidato il compito di confermare i fratelli, gli altri apostoli, pregando che non venisse meno la sua fede .

Al carisma petrino, Benedetto XVI associa anche il personale carisma di dottore, di teologo, forse perché in questo momento la Chiesa e la società intera hanno bisogno di chi non soltanto riproponga la verità, ma mostri allo stesso tempo la capacità della mente umana di cercarla e di accoglierla, coniugando insieme fede e ragione. "Io penso - ha affermato in Santo Padre al riguardo - che Dio, scegliendo come Papa un professore, abbia voluto mettere in risalto proprio questo elemento della riflessività e della lotta per l'unità tra fede e ragione".

Benedetto XVI continua la missione di Pietro, l'uomo dell'amore più grande, e insieme l'uomo che conferma nella verità. La prima enciclica ha significativamente richiamato il primato dell'amore che proviene dall'unica sua sorgente divina: "Deus Caritas est". L'ultima enciclica ha mostrato che l'amore è verità: "Caritas in veritate".

"La verità va cercata, trovata ed espressa nell''economia' della carità - dice il Papa - ma la carità a sua volta va compresa, avvalorata e praticata nella luce della verità. In questo modo - egli continua - non avremo solo reso un servizio alla carità, illuminata dalla verità, ma avremo anche contribuito ad accreditare la verità, mostrandone il potere di autenticazione e di persuasione nel concreto del vivere sociale. (...) Un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali. (...) Senza la verità, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni. È esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di portata universale, nel dialogo tra i saperi e le operatività" .
In queste parole sta forse la cifra del pontificato di Benedetto XVI: servire alla carità, illuminata dalla verità e insieme "accreditare la verità, mostrandone il potere di autenticazione e di persuasione nel concreto del vivere sociale". Una missione esigente e spesso incompresa, eppure illuminata e illuminante. Il concetto di verità oggi è talmente travisato da suscitare sospetto, divenendo quasi sinonimo di intolleranza. Tuttavia, come si esprime il Papa, "mettere semplicemente da parte la verità perché ritenuta irraggiungibile ha effetti veramente devastanti" . Di qui la sua lotta dichiarata alla "dittatura del relativismo", che lascia come ultima misura del tutto solo il proprio io e le sue passioni, ma anche la fiducia nell'uomo come "capace di verità" e quindi la passione per la ricerca della verità, non tanto al fine di possederla, cosa impossibile perché essa sempre ci trascende, ma per esserne posseduti. La missione di Benedetto XVI sembra proprio essere, come ha scritto nell'ultima Enciclica: "Difendere la verità, proporla con umiltà e convinzione e testimoniarla nella vita" mediante "forme esigenti e insostituibili di carità" .

Pure su di noi incombono le forti parole di Gesù appena ascoltate nel Vangelo, quando si rivolge alle città di Corazìn, Betsàida, Tiro, Sidòne, Cafàrnao: "Guai a te, perché non hai ascoltato...". Non si può far ignorare, far tacere, non accogliere la verità, la cui pienezza si è manifestata in Colui che ha detto "Io sono la Verità". In Lui - il Cristo -, la carità nella verità è il Volto stesso della sua Persona, e ciò diviene per noi vocazione ad amare i nostri fratelli nella verità del suo progetto" .

Ricordando il momento nel quale Gesù si definisce la Verità e il testimone della verità, il Santo Padre fa notare il modo con cui Egli difende la verità: "non con le legioni, ma la rende visibile attraverso la sua passione e con essa la rende operante" . Non sta anche Benedetto XVI pagando la difesa della verità con la sua passione? Per questo vogliamo essergli particolarmente vicini e fargli sentire vicinanza e solidarietà, condividendo con lui l'umile e insieme fermo annuncio della verità, che è amore vissuto e testimoniato.
Su di noi Vescovi, chiamati ad essere Maestri della fede, ricade la responsabilità di poter rispondere alle attese del Santo Padre.
Anche nella nostra Isola, un tempo terra esente da correnti agnostiche e secolarizzanti, soffia il vento dell'indifferentismo religioso e del relativismo morale. Su di Voi Pastori, ai quali è stato affidato il compito di guidare il gregge di Cristo, incombe la responsabilità di predicare "opportune et inopportune", di mostrare amore incondizionato e generoso verso i vostri sacerdoti e fedeli, ai quali con coraggio e chiarezza dovrete spezzare il pane della verità. Uniti al Papa e "sub Petro" troverete la forza e le parole per essere guide certe e autorevoli.
[...]
A conclusione di queste mie parole, mi permetto di chiedere la vostra preghiera per essere all'altezza del compito che mi ha affidato il Santo Padre e per essere una persona credente e coraggiosa come Egli mi vuole, in modo che anch'io, insieme a lui, possa rispondere a Gesù che mi chiede se lo amo: "Tu sai tutto di me, tu sai che ti amo".

Che Maria, la dolce Immacolata venerata in questa Cattedrale e alla quale da seminarista e sacerdote spesso ho elevato lo sguardo per trarre ispirazione e conforto, mi aiuti a tenere fede al mio impegno di amore totale a Cristo e al suo Vicario. Sia Lei, Madre della Chiesa, a proteggere ognuno di noi e a condurci in quel cammino che porta a Cristo, Via,Verità Potremo così riportare Dio nel cuore della storia, come Egli stesso ci chiede: "Credo che oggi (...) il nostro grande compito sia in primo luogo quello di rimettere di nuovo in luce la priorità di Dio. La cosa importante, oggi, è che si veda di nuovo che Dio c'è, che Dio ci riguarda e che ci risponde. E che, al contrario, quando viene a mancare, tutto può anche essere razionale quanto si vuole, ma l'uomo perde la sua dignità e la sua specifica umanità; e così crolla l'essenziale. Ecco perché credo che l'accento nuovo che oggi dobbiamo porre è la priorità della questione di Dio" .



Caterina63
00sabato 1 settembre 2012 11:00

Camillo Langone ha intervistato Mons.Luigi Negri ( da Il Foglio del 31 agosto)

 

 Di Camillo Langone ( su Il Foglio del 31-08-2012) 
Il più cattolico dei pochi vescovi italiani cattolici si trova all’estero, a San Marino. “Lei vive in una cartolina!” esclamò Benedetto XVI l’estate scorsa, durante la visita nella diocesi.  
“Sì, ma è una cartolina che non viene spedita mai” rispose monsignor Luigi Negri. 
Un altro vescovo sicuramente
cristiano, sebbene di prosa un po’ democristiana (monsignor Crepaldi), alligna a Trieste che è città importante però ai confini della nazione e del dibattito. 
Un terzo vescovo sul quale metterei la mano sul fuoco (monsignor Oliveri) risiede in fondo alla Liguria, fra Albenga e Imperia, che non sarà ancora Francia ma certo non è il cuore dell’Italia.
E’ come se i fautori di una “presenza cattolica vissuta senza compromessi” fossero tenuti a distanza di sicurezza dalle cattedre metropolitane o comunque
cruciali, dove evidentemente i compromessi sono ritenuti indispensabili. Se Negri fosse stato vescovo di Udine, il corpo malato di Eluana Englaro (“vittima di un omicidio di stato”) avrebbe trovatousbergo nella chiesa locale, che invece reagì con molta flemma.

Se fosse stato vescovo di Torino o anche solo di Manfredonia (da cui dipende San Giovanni Rotondo) Mario Botta e Renzo Piano si sarebbero dovuti acconciare a costruire chiese a forma di chiesa e non di centrale termica o di hangar. 
Negri sarebbe riuscito perfino a far mettere in posizione visibile il tabernacolo, che gli architetti nichilisti tanto odiano, contro il quale tanto si accaniscono. 
O avrebbe risolto il problema alla radice chiamando al loro posto Pier Carlo Bontempi, che sta all’architettura italiana contemporanea come Sua Eccellenza sta alla chiesa cattolica di oggi.

Domanda: San Marino è davvero un’isola (o una cartolina, per dirla col Papa) felice?
Risposta: In occasione della sua visita Benedetto XVI ha celebrato una liturgia nello stadio di Serravalle alla presenza di 22.000 persone. 
L’intera diocesi, comprensiva di San Marino e Montefeltro, supera di poco i 60.000 abitanti: quindi c’era una persona su tre.

D: Come se a una singola messa di Milano partecipassero un milione e mezzo di persone.
R: Il Papa ha avuto la percezione che anche uno stadio può diventare una cattedrale. 
Il coro di oltre duecento persone ha intonato i canti della tradizione ela maggior parte dei presenti si è comunicata in bocca.
D: Non come a Parma dove nel santuario della Steccata il celebrante spende omelie per dire che l’ostia si può legittimamente ricevere sia in mano sia sulla lingua, però in mano è meglio. 
E quindi ciò che fa il Papa nelle sue messe è peggio.
R: Guardi, né il clero né il popolo cristiano si formano più attorno al magistero, si lasciano convivere i magisteri paralleli, modi di pensare e concepire e comunicare la fede che hanno come riferimento un teologo, un ecclesiastico, non il vescovo di Roma…
D: Almeno siamo certi che a San Marino e in Montefeltro il punto di riferimento è Pietro.
R: Questo Papa è assolutamente grande nel magistero e i sette anni da vescovo che mi sono stati concessi sono stati bellissimi. 
Ho cercato di ridare esistenza ed energia al popolo cristiano, interpretando il mio ruolo non come fornitore di servizi, liturgici o solidaristici, ma come ridestatore della coscienza di un’intera comunità.
D: Però anche nella ridente Repubblica di San Marino sta per sbarcare la sodomia di stato, contro la quale lei ha diffuso un messaggio di esplicita condanna. Reazioni?
R: Tutte le volte che faccio un intervento ricevo mail entusiaste e mail piene di insulti.
C’è stata la canea radical-chic, la stessa che c’è in Italia quando si tocca il medesimo argomento, ma il comune sentire del nostro popolo è molto diverso. Io ho voluto indicare un’immagine di chiesa che forte della sua identità si assume la responsabilità di intervenire nelle vicende sociali.
D: Un po’ come fanno i vescovi americani a cui spesso lei si riferisce.
R: Sì, vorrei citare la studentessa di New York che ha scritto al cardinale Dolan, uomo
di chiesa che si batte per salvaguardare i diritti non solo della chiesa ma dell’intera società: “Eminenza, io sono con lei non perché sono credente ma perché sono americana”.
D: Bello, però temo che in Italia le cose vadano in senso opposto e non mi stupirei che una studentessa le scrivesse: 
 “Eccellenza, io non sono con lei non perché non sono credente ma proprio perché lo sono”. Nei giorni scorsi Marco Pannella l’ha attaccata su Radio Radicale dicendo all’incirca così (provo a tradurre dal suo italiano stentato): “Nel nostro paese le grandi vittorie sui diritti civili sono state rese possibili dai cattolici che hanno agito in aperta disobbedienza rispetto alle loro guide”.
R: Non nego la presenza di cattolici tra le loro file ma bisogna capire se questi possono ancora considerarsi tali. 
Divorzio e aborto hanno distrutto la nostra società, distruggendo
la famiglia che ne è la cellula fondamentale. I radicali promuovono un’esperienza umana individualista, egoista: salvo poi fare i moralisti con le esperienze degli altri. (Qui vorrei dire a Negri che gli applausi tributati dal Meeting a Mario Monti, nemico della domenica e quindi della civiltà cristiana, mi sembrano dare ragione a Pannella. 

Ma non glielo dico perché: 
1) le mani spellate di Emilia Guarnieri e Giorgio Vittadini non rappresentano tutti i ciellini, anzi, la maggior parte di loro in privato se ne dispera; 
2) Gianfranco Polillo, sottosegretario montiano all’Economia, non aveva ancora pronunciato la seguente frase: “Per far ripartire il paese c’è bisogno di turni di lavoro su sette giorni settimanali”; 
3) mica mi posso inimicare il più cattolico dei pochi vescovi italiani cattolici, altrimenti poi chi mi resta? Però qualcosa sull’applausificio ciellino devo pur dirlo e adesso glielo dico).
D: Lei Monti lo avrebbe applaudito?
R: No, io non applaudo nessun politico, non è giusto che un vescovo applauda un politico. Applaudo solo grandi testimonianze etiche e culturali: al Meeting ho applaudito Walesa, Madre Teresa di Calcutta…

D
: Bisognerebbe spiegare che c’è un tempo per gli applausi e un tempo per i fischi. Mi sembra un aspetto dell’emergenza educativa… E avrebbe mandato un messaggio ai musulmani al termine del ramadan, come ha fatto Scola?
R: Io non ce li ho i musulmani.
D: Vescovo fortunato: ma com’è possibile?
R: Nella mia diocesi non sono una presenza organizzata. 
Non ho nulla contro di loro ma io devo pensare a far crescere un popolo cristiano il quale poi si assumerà la responsabilità di un dialogo, di un rapporto. 
Di questo ne risponderò a Dio: perché solo se il popolo cristiano sarà forte non si farà manipolare dai poteri mondani, occidentali o islamici che siano.
D: Come sono messi i seminari?
R: Male. 
Se noi continuiamo a pensare che il clero che esce dai seminari sia formato a praticare l’evangelizzazione ci illudiamo. 
E’ un clero di retroguardia, un clero fanalino di coda, incapace di portare certezze esaltanti, propositive. 
Mentre il grande Origene diceva che bisogna vivere la fede con entusiasmo: bisogna essere entusiasti della fede.
D: E invece l’entusiasmo scarseggia.
R: E invece, anziché il cristianesimo inteso come incontro con Cristo, da un lato abbiamo l’esegetismo, l’esegesi fai-da-te, e dall’altro una concezione della fede moralistica e sociopolitica.
D: Come se la passano le scuole cattoliche di cui lei si è occupato a lungo? Sopravviveranno
all’Imu?
R: Erano in crisi anche prima dell’Imu. A fronte di uno sgravio per le finanze pubbliche di proporzioni enormi lo stato ha sempre restituito le briciole e adesso neanche più quelle.

D
: I cattolici in politica che cosa ci stanno a fare? Secondo me niente, e secondo lei?
R: Devo dire con amarezza che i cattolici impegnati nei due schieramenti non hanno fatto un solo gesto per riaprire la questione della libertà di educazione. 
Eravamo giunti a ottenere che il sistema scolastico non fosse più considerato doppio (pubblico-privato) ma unico: un sistema scolastico pubblico all’interno del quale potevano convivere la forma statale e quella paritaria. 
Mentre oggi siamo al tracollo, basti pensare che le scuole private sono inserite nel redditometro come bene di lusso. 
Dalla dichiarazione dei redditi si possono detrarre le spese veterinarie ma non le rette scolastiche.
D: Nonostante che il governo sia ingombro di ministri sedicenti cattolici.
R: Lo stato si è reso inadempiente anche in passato, sia con i governi di centrodestra
che con i governi di centrosinistra. 

E’ un tema cruciale, se non c’è educazione libera non ci sono personalità mature e se non ci sono personalità mature non c’è dialogo ma un pensiero maggioritario che si impone su persone incapaci di usare il cuore e la ragione. Il mio maestro…
D: Don Giussani?
R: Don Giussani. Negli anni Sessanta diceva: “Mandateci in giro nudi ma lasciateci
la libertà di educazione”.
D: Adesso siamo nudi e senza libertà di educazione. 
Ciò nonostante lei ha sempre avuto un occhio di riguardo per Berlusconi, atteggiamento che le viene spesso rinfacciato dai colleghi, ad esempio da monsignor Bettazzi, il vescovo emerito di Ivrea.
R: Berlusconi ha avuto il merito di impedire, con la sua discesa in campo, un colpo
di stato cattogiustizialista. C’è un ottimo libro postumo di Baget Bozzo, si intitola “Giuseppe Dossetti. La costituzione come ideologia politica”…

D:
Gran bel titolo.
R: Chiarisce tutta la questione.
D: Come la mettiamo con i politici tipo Casini che si dicono cattolici e poi, sulla scorta di piccoli calcoli di bottega, varano alleanze con una sinistra ideologica e nichilista?
R: Il mio grande amico Augusto Del Noce disse con chiarezza, trent’anni fa, che per arrivare al potere il Partito comunista avrebbe venduto l’anima diventando un partito radicale di massa. E questo è puntualmente avvenuto.
D: Casini quindi sta vendendo l’anima a chi se l’è già venduta. Ma anche oltre l’Udc non vedo molti politici desiderosi di tenersela stretta, l’anima.
R: Secondo me c’è un’assoluta incultura sia nel centrodestra che nel centrosinistra mentre la politica o diventa cultura forte o rimane piccolo cabotaggio. 
Questi politici incolti più del massmediaticamente corretto non sono capaci di pensare.
D: Lei al posto di “politicamente corretto” usa spesso l’espressione “massmediaticamente corretto”. Mi sembra un aggiustamento di tiro necessario.
R: Perché i politici vanno a rimorchio dei media, anche a costo di piegarsi a sovversioni
totali del buon senso. 

Avanza quella che Hannah Arendt chiamava democrazia totalitaria, una democrazia solo procedurale dove ciò che io definisco massmediaticamente corretto prende il posto di ciò che prima era il riferimento culturale che nasceva dalla fede.
D: Come si può superare questo annichilimento della politica?
R: Con cristiani presenti, coerenti e intraprendenti.
D: E la crisi della chiesa?
R: Lo ha detto il Papa come se ne esce, bisogna tornare a seguire davvero il suo magistero, senza se e senza ma.

D
: La mia paura è che gli anticristiani appaiano più vitali, più divertenti. Ad esempio gli omosessuali sono riusciti a imporre di farsi chiamare “gay”, gai, un termine per nulla neutro, pieno di connotazioni positive. 

Se loro sono gai noi cristiani non possiamo che risultare tristi, proibizionisti, ossessionati dal peccato, negativi.
R: Se i cristiani non capiscono che la loro è una vita vera, perciò bella, non sono in grado di contestare la società di oggi. Giovanni Paolo II, rivolgendosi ai giovani, ha ricordato che Gesù non dice dei no alle esigenze autentiche del cuore ma soltanto dei sì alla vita, all’amore, alla libertà.
D: La presente crisi economica fa male o fa bene alla fede?
R: La crisi è innanzitutto antropologica. In Europa, non solo in Italia, prima è arrivata la crisi della fede, che non è stata più intesa come ricchezza. 
Conseguenza inevitabile della perdita di questa ricchezza è stata la povertà: inizialmente morale e adesso anche materiale.



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