Domenica 6 settembre 2009: Benedetto XVI in visita pastorale a Viterbo

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Caterina63
00mercoledì 26 agosto 2009 00:42

Il Papa a Viterbo e Bagnoregio. La copertura televisiva della visita di Benedetto XVI. Lunga diretta e approfondimenti sugli schermi Rai




Domenica 6 settembre, Viterbo sarà protagonista degli schermi di Rai Uno grazie all’interessamento della diocesi di Viterbo che, attraverso gli organi informativi per la visita del Papa, ha curato tutti i particolari, compreso quello della diffusione delle immagini all’Italia e al mondo.

Il servizio sarà possibile grazie alla disponibilità di Rai Vaticano e Tg1 che seguiranno l’intera mattinata a Viterbo.

La cerimonia del pomeriggio a Bagnoregio sarà invece in diretta solo sui canali satellitari TelePace e Sat 2000, a cura del Centro Televisivo Vaticano.
 
Sarà una lunga diretta dalla città dei Papi.

La prima trasmissione inizierà alle ore 9.40 del mattino con “A Sua Immagine”, il settimanale domenicale a cura di Rai Uno dedicato alla religione e al Magistero della Chiesa.

La conduzione della trasmissione, che si concluderà alle 10.10, sarà affidata a Rosario Carello conduttore televisivo originario della Sicilia, ma legato alla esperienza Viterbese nell’Azione Cattolica Italiana nata proprio nella nostra città ad opera del viterbese Mario Fani sepolto nella Basilica di Santa Rosa.

Le telecamere di Rai Uno già dalla settimana prossima saranno presenti sul territorio viterbese e a Bagnoregio per raccogliere il più possibile immagini suggestive della Città papale con la Cattedrale, il Palazzo dei Papi, le belle chiese, i santuari, il quartiere medievale di San Pellegrino e il suggestivo “paese che muore” Civita di Bagnoregio che il Santo Padre vedrà dall’alto dell’elicottero.

La diretta riprenderà subito dopo alle 10.15 in mondovisione trasmettendo la Santa Messa dalla Valle Faul. Condurrà il giornalista del Tg1 Aldo Maria Valli, che ha già preso contatti con la Struttura Informativa della diocesi per la visita del Papa per avere informazioni di contenuto storico artistico e religioso da far conoscere a quanti seguiranno la diretta televisiva.

Durante la diretta della Messa ci sarà spazio, come già promesso dalla regista e dal capo di produzione Rai, di poter vedere e far vedere a tutti i telespettatori e alle numerose agenzie tv collegate italiane ed estere le belle immagini della processione del Cuore di Santa Rosa e del Trasporto della nuova “Macchina” effettuate per il Tgr Rai dalla Provideo di Viterbo, agenzia ufficiale di riprese della diocesi per la visita papale. La regia sarà a cura di Milena Milani che segue e cura le riprese dei grandi eventi nazionali in particolare dal Vaticano e dal Quirinale.

I sopralluoghi già effettuati dai tecnici della Rai hanno già dato la possibilità di individuare tutte le postazioni mediatiche e dei giornalisti corrispondenti del Tg1 Tg2 e Tg3, come pure dei canali mediaset e Tg5, SKY e altre emittenti, che seguiranno e offriranno servizi per i tg della giornata.

Caterina63
00giovedì 27 agosto 2009 11:52

Benedetto XVI e San Bonaventura


Il viaggio papale nella terra natale del santo è più importante di quanto sembri


di Robert Moynihan

ROMA, mercoledì, 26 agosto 209 (ZENIT.org).- A volte in un viaggio papale ci sono aspetti più importanti di quelli che si possono percepire a prima vista. E' il caso dell'imminente visita di Benedetto XVI a Bagnoregio, paese natale di San Bonaventura.

Il 6 settembre il Papa visiterà Bagnoregio e Viterbo. Quest'ultima città, a circa 85 chilometri a nord di Roma, è nota per essere il luogo in cui è nato il conclave.

Fino al 1271, la riunione di Cardinali per l'elezione papale non era chiamata "conclave" (da cum e clavis, a indicare un incontro in un luogo chiuso a chiave). Dopo la morte di Papa Clemente IV nel 1268, i porporati riuniti a Viterbo non elessero nessuno per quasi tre anni. Alla fine, i funzionari cittadini li chiusero in una sala e diedero loro solo pane e acqua. Presto elessero Papa Gregorio X, che stabilì che le elezioni papali si svolgessero in conclave.

Benedetto XVI si recherà a Viterbo in elicottero dalla residenza papale di Castel Gandolfo, a sud di Roma. Sulla via del ritorno si fermerà a Bagnoregio.

Perché fermarsi in un luogo così piccolo? Perché San Bonaventura vi nacque nel 1217.

Il Papa non va nel paese natale di ogni santo importante. Non avrebbe il tempo di farlo. Perché allora vuole visitare il luogo di nascita di Bonaventura?

Per trovare la risposta dobbiamo guardare al passato del Papa, dove troveremo qualcosa di piuttosto interessante.

Bonaventura ha rappresentato una delle due maggiori fonti intellettuali per la formazione teologica di Papa Benedetto (l'altra è Sant'Agostino).

In Germania gli studiosi devono scrivere due tesi. La prima è per ricevere il dottorato (Ph.D.), la seconda, chiamata "Habilitationsschrift", permette di accedere all'insegnamento.

A metà degli anni Cinquanta, il giovane Joseph Ratzinger scrisse la sua seconda tesi su San Bonaventura e la sua comprensione della storia.

I resoconti della stampa affermano che il Papa dovrebbe venerare il Santo Braccio di San Bonaventura, custodito nella Cattedrale di Bagnoregio (il resto del corpo è sepolto in Francia).

Benedetto XVI venererà anche la profonda saggezza della visione di Bonaventura sulla rivelazione cristiana, e facendo questo "entrerà in contatto" con una delle preoccupazioni fondamentali della propria visione teologica.

In questo senso, se possiamo capire cosa Benedetto XVI abbia imparato da Bonaventura, possiamo capire ancor più chiaramente ciò che il Papa sta cercando di fare ora, nel suo pontificato, per guidare la Chiesa in questo complicato periodo della sua storia.

Lo stesso Benedetto XVI ci ha dato un'idea del suo background intellettuale in un discorso rivolto a un gruppo di studiosi alcuni anni fa, prima di diventare Papa.

In quell'occasione disse: "La mia dissertazione dottorale fu incentrata sulla nozione di Popolo di Dio in Sant'Agostino... Agostino mantenne un dialogo con l'ideologia romana, specialmente dopo l'occupazione di Roma da parte dei Goti nel 410, e fu per questo che mi risultò assai affascinante osservare come attraverso questi diversi dialoghi e culture egli definisce l'essenza della religione cristiana. Egli vide la fede cristiana non in continuità con le religioni anteriori, ma piuttosto in continuità con la filosofia intesa come vittoria della ragione sulla superstizione".

Potremmo quindi affermare che un passo fondamentale nella formazione teologica di Ratzinger è stato capire il cristianesimo come "in continuità con la filosofia" e come "una vittoria della ragione sulla superstizione". Poi Ratzinger ha compiuto un secondo passo. Ha studiato Bonaventura.

"Il mio lavoro post dottorale fu incentrato su San Bonaventura, un teologo francescano del XIII secolo", continuava nel discorso agli studiosi. "Scopersi un aspetto della teologia di San Bonaventura a quanto ne so non basato sulla letteratura precedente: la sua relazione con una nuova idea di storia concepita da Gioacchino da Fiore nel XII secolo. Gioacchino intese la storia come progressione da un periodo del Padre (un tempo difficile per gli esseri umani sotto la legge), ad un secondo periodo della storia, quello del Figlio (con maggiore libertà, più franchezza, più fratellanza), ad un terzo periodo della storia, il periodo definitivo della storia, il tempo dello Spirito Santo".

"Secondo Gioacchino questo doveva essere il tempo della riconciliazione universale, di riconciliazione tra l'Est e l'Ovest, tra cristiani ed ebrei, un tempo senza legge (in senso paolino), un tempo di vera fraternità nel mondo".

"L'interessante idea che scopersi fu che una corrente significativa di francescani era convinta che San Francesco di Assisi e l'Ordine francescano segnarono l'inizio di questo terzo periodo della storia, e fu loro ambizione l'attualizzarlo; Bonaventura mantenne un dialogo critico con tale corrente".

Potremmo dunque dire che Ratzinger ha preso da Bonaventura una concezione della storia umana intesa come qualcosa che si svela in modo deciso, verso un obiettivo specifico, un momento di profonda introspezione spirituale, un'"tempo dello Spirito Santo".

Laddove la filosofia classica parlava dell'eternità del mondo, e quindi del "ritorno eterno" ciclico di tutta la realtà, Bonaventura, seguendo Gioacchino, condannava il concetto di eternità del mondo e difendeva l'idea per cui la storia era uno svolgersi di eventi che non sarebbero mai tornati, ma che sarebbero giunti a una conclusione.

La storia aveva un senso. Era collegata e orientata a un significato, il Logos, a Cristo. Ciò non vuol dire che Ratzinger - o Bonaventura - abbia compiuto interpretazioni specifiche di Gioacchino per conto suo. Significa che Ratzinger, come Bonaventura, è entrato in un "dialogo critico" con la sua concezione generale - che la storia aveva una forma e un significato -, che, come Bonaventura, prendeva piuttosto seriamente.

Ho un'opinione personale su quanto sia stato serio il modo di Ratzinger di affrontare tali questioni.

La mia ricerca dottorale ha riguardato l'influenza del pensiero di Gioacchino sui primi Francescani. Quando ho incontrato per la prima volta Joseph Ratzinger, nell'autunno del 1984, gli ho detto che stavo studiando il suo libro su San Bonaventura con interesse, e ha replicato: "Ah! Lei è l'unico a Roma ad aver letto quel mio libro".

In seguito mi ha detto che la teologia della liberazione del sacerdote francescano brasiliano Leonardo Boff era una "forma moderna" di gioachimismo - un desiderio di vedere nella storia un nuovo ordine della società umana.

Per questo sono convinto che Ratzinger abbia preso piuttosto seriamente la sua ricerca su Bonaventura.

Ratzinger ha conseguito il post dottorato il 21 febbraio 1957, a quasi 30 anni, e non senza controversie. Il comitato accademico che doveva giudicare il suo lavoro respinse la parte "critica" della sua tesi, per cui fu costretto a tagliarla e a rivedere il tutto, presentando solo la parte "storica", centrata sull'analisi del rapporto tra San Bonaventura e Gioacchino da Fiore.

Il professore di Ratzinger, Michael Schmaus, pensò che la sua interpretazione del concetto della rivelazione di Bonaventura mostrasse "un pericoloso modernismo che doveva portare alla soggettivizzazione del concetto di rivelazione", come Ratzinger stesso ricorda nella sua autobiografia, "Pietre Miliari: Memorie 1927-1977" (Ratzinger pensava, e pensa ancora, che le critiche di Schmaus non fossero valide).

Cos'ha trovato Ratzinger in Bonaventura per sollevare questa controversia?

Per Ratzinger, il concetto di rivelazione di Bonaventura non significava ciò che vuol dire per noi oggi, ovvero tutti i contenuti rivelati della fede.

Secondo Ratzinger, per Bonaventura la "rivelazione" ha sempre implicato l'idea dell'azione - la rivelazione è quindi l'atto con cui Dio si rivela, e non semplicemente il risultato di quest'atto.

Perché è così importante?

In "Pietre Miliari" Ratzinger ha scritto: "Visto che è così, il concetto di 'rivelazione' implica sempre un soggetto ricevente: dove non c'è nessuno a percepire la 'rivelazione', non è avvenuta alcuna rivelazione, perché non è stato rimosso alcun velo. Per definizione, la rivelazione richiede qualcuno che la riceva".

Perché questo è importante?

"Queste intuizioni", continua Ratzinger, "acquisite attraverso la mia lettura di Bonaventura, sono state poi molto importanti per me al momento della discussione conciliare sulla rivelazione, la Scrittura e la tradizione, perché se Bonaventura ha ragione, allora la rivelazione precede la Scrittura e diventa depositata nella Scrittura, ma si identifica semplicemente con questa. Ciò significa invece che la rivelazione è sempre qualcosa di più grande di ciò che è semplicemente scritto. E questo vuol dire che non ci può essere qualcosa come la pura sola scriptura, perché un elemento essenziale della Scrittura è la Chiesa come soggetto, e con questo il senso fondamentale della tradizione è già dato".

In sostanza, ciò che Ratzinger ha tratto da Bonaventura ha modificato e completato ciò che aveva tratto da Agostino.

Se il pensiero di Agostino ha sottolineato la continuità del cristianesimo con la filosofia classica, e la "ragionevolezza" della fede cristiana sulla superstizione pagana, il pensiero di Bonaventura ha sottolineato il contrasto tra il cristianesimo e la filosofia classica, ha condannato la futilità della filosofia classica, con il suo abbraccio del concetto dell'eternità del mondo e dell'"eterno ritorno" di tutte le cose, perché mancava della verità rivelata di un "attore" divino.

Ratzinger lo ha suggerito nel suo lavoro su Bonaventura: "L''ellenizzazione' del cristianesimo, che ha tentato di superare lo scandalo del particolare con una miscela di fede e metafisica, non ha portato a uno sviluppo in una direzione errata? Non ha creato uno stile di pensiero statico che non può rendere giustizia al dinamismo dello stile biblico?".

Anche oggi, se andiamo all'ultimo capitolo del recente libro del Papa "Gesù di Nazaret", troviamo la terminologia metafisica che presuppone un'ontologia di "persona come relazione" che credo sia il "fil rouge" di tutta l'opera di Ratzinger, dal suo primo libro su Agostino, iniziato nel 1953, passando per la sua tesi di abilitazione su Bonaventura (1956) per arrivare a "Gesù di Nazaret" (2007).

Ratzinger afferma che la rivelazione cristiana deve sempre trascendere la ragione, anche se non la contraddice e non deve contraddirla.

Quando Benedetto XVI visiterà Bagnoregio, in un certo senso starà tornando alle fonti delle sue più profonde battaglie intellettuali, al luogo in cui ha compreso pienamente la novità della fede cristiana e come quella fede, quella verità rivelata, sia allo stesso tempo in armonia e in totale opposizione alla "ragione" che è stato il massimo bene della filosofia classica.

Ciò fa del viaggio a Bagnoregio molto più di una visita papale; è un viaggio nel passato spirituale e intellettuale di Ratzinger, e nel cuore della sua visione spirituale e intellettuale.

* * *

Robert Moynihan è fondatore ed editore del mensile "Inside the Vatican" e autore del libro "Let God's Light Shine Forth: the Spiritual Vision of Pope Benedict XVI" (2005, Doubleday). Si può consultare il suo blog su www.insidethevatican.com. Il suo indirizzo è: editor@insidethevatican.com

[Traduzione dall'inglese di Roberta Sciamplicotti]


Caterina63
00sabato 29 agosto 2009 23:11
Il programma della visita del Papa a Viterbo e Bagnoregio, domenica 6 settembre, prevede che nel pomeriggio il Santo Padre, dopo aver salutato i membri del comitato organizzatore alla “Domus la Quercia”, scenda nella Basilica della Quercia, dove è custodita e venerata la sacra immagine della Madonna Patrona della diocesi di Viterbo.

In questo luogo il Papa rimarrà per qualche istante in preghiera silenziosa e poi si rivolgerà alla Madonna recitando la bellissima preghiera a Lei dedicata e composta proprio dal nostro vescovo Lorenzo. Sarà un momento intenso dove Benedetto XVI affiderà la Chiesa viterbese alla intercessione e alla protezione della Vergine Santa, stessa immagine che proprio venticinque anni fa Giovanni Paolo II incoronò patrona della nuova diocesi. All’interno della Basilica, oltre a un pool ristretto di giornalisti, seminaristi e ai parroci del Santuario, ci saranno oltre 120 monache di clausura provenienti dai 12 monasteri della Diocesi. Le monache pregheranno insieme al Santo Padre.
 
Loro che ogni giorno elevano al Signore preghiere per la Chiesa e per il Papa, si ritroveranno in questo giorno storico e indimenticabile a pregare proprio con il Papa in persona. A Bagnoregio, invece, nella Concattedrale di San Nicola, il Papa incontrerà oltre ai quattro parroci della cittadina, anche i quattro ministri generali dell’ordine Francescano che sono in Italia. Sarà un momento alto e profondo. Il Papa si fermerà in adorazione davanti al tabernacolo dove è custodita l'Eucaristia e poi rimarrà in preghiera davanti al “Sacro Braccio” di San Bonaventura, unica reliquia al mondo.
 

Saranno oltre 120 i volontari, per lo più giovani provenienti dalle parrocchie della diocesi, che presteranno il loro servizio a favore dei 15 mila fedeli che affolleranno la Valle di Faul e le zone limitrofe alla Celebrazione Eucaristica. I giovani volontari, riconoscibili da una casacca verde, sono stati formati e istruiti dagli organismi della Curia in accordo con le forze di sicurezza della provincia e del 118 e sono pronti per sopperire alle numerose necessità ed emergenze come pure al controllo dei varchi di accesso ai vari settori.

Anche la Prefettura di Viterbo, nella persona della dottoressa Amalfitano, ha richiesto oltre 200 volontari dalle associazioni di volontariato del territorio della provincia che affiancheranno in sinergia e collaborazione i volontari della diocesi e le forze di polizia nell’assistenza dei pellegrini. Fuori porta Faul, luogo dell’arrivo degli autobus e dell’ingresso dei fedeli, saranno allestiti più punti informativi e di assistenza dove tutti potranno ricevere in omaggio una bottiglietta di acqua fornita dalla Coldiretti, un cappello, una bandana e il libretto della celebrazione, strumento molto importante per seguire i canti e le varie fasi della Messa.

Inoltre, in uno stand, sempre nei pressi della rotatoria di Faul, ci sarà uno speciale annullo postale con cartoline particolareggiate appositamente elaborate per Viterbo e per Bagnoregio. L’annullo postale è stato studiato per tutti i collezionisti e i fedeli in accordo fra la diocesi e le Poste italiane. Sarà ripetuto nel pomeriggio anche a Bagnoregio nei pressi dell’Auditorium. Per gli amatori, sono state anche preparate, e sono già in vendita, medaglie commemorative in oro, argento e altri metalli speciali, realizzate dall’associazione “Quadrante” di Viterbo. Le medaglie con impresso in un lato il logo ufficiale della visita e dall’altro gli stemmi del Papa del vescovo e del Comune di Viterbo sono state disegnate da don Angelo Gargiuli.

TusciaWeb


Caterina63
00domenica 6 settembre 2009 12:13
Santa Messa a Viterbo....il Papa non ha distribuito personalmente la comunione, probabilmente per la recente frattura al polso, l'ha distribuita il card. Vallini [SM=g1740717] alla stessa maniera del Pontefice: in ginocchio ed alla bocca...









[SM=g1740738]


OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Davvero inedito e suggestivo è lo scenario nel quale celebriamo la Santa Messa: ci troviamo nella "Valle" prospiciente l’antica Porta denominata FAUL, che con le sue quattro lettere richiama i quattro colli dell’antica Viterbium, e cioè Fanum-Arbanum-Vetulonia-Longula. Da un lato, si erge imponente il Palazzo, un tempo residenza dei Papi, che – come ha ricordato il vostro Vescovo - nel sec. XIII ha visto ben 5 conclavi; intorno ci circondano edifici e spazi, testimoni di molteplici vicende del passato, ed oggi tessuto di vita della vostra Città e Provincia. In questo contesto, che rievoca secoli di storia civile e religiosa, si trova ora idealmente raccolta, con il Successore di Pietro, l’intera vostra Comunità diocesana, per essere da lui confermata nella fedeltà a Cristo e al suo Vangelo.

A voi tutti, cari fratelli e sorelle, rivolgo con affetto il mio grato pensiero per la calorosa accoglienza riservatami. Saluto in primo luogo il vostro amato Pastore, Mons. Lorenzo Chiarinelli, che ringrazio per le parole di benvenuto. Saluto gli altri Vescovi, in particolare quelli del Lazio con il Cardinale Vicario di Roma, i cari sacerdoti diocesani, i diaconi, i seminaristi, i religiosi e le religiose, i giovani e i bambini, ed estendo il mio ricordo a tutte le componenti della Diocesi, che nel recente passato, ha visto unirsi a Viterbo, con l’abbazia di San Martino al Monte Cimino, le diocesi di Acquapendente, Bagnoregio, Montefiascone e Tuscania. Questa nuova configurazione è ora artisticamente scolpita nelle "Porte di bronzo" della Chiesa Cattedrale che, iniziando questa mia visita da Piazza San Lorenzo, ho potuto benedire e ammirare. Con deferenza mi rivolgo alle Autorità civili e militari, ai rappresentanti del Parlamento, del Governo, della Regione e della Provincia, ed in modo speciale al Sindaco della Città, che si è fatto interprete dei cordiali sentimenti della popolazione viterbese. Ringrazio le Forze dell’ordine e saluto i numerosi militari presenti in questa Città, come pure quelli impegnati nelle missioni di pace nel mondo. Saluto e ringrazio i volontari e quanti hanno dato il loro contributo alla realizzazione della mia visita. Riservo un saluto tutto particolare agli anziani e alle persone sole, ai malati, ai carcerati e a quanti non hanno potuto prendere parte a questo nostro incontro di preghiera e di amicizia.

Cari fratelli e sorelle, ogni assemblea liturgica è spazio della presenza di Dio. Riuniti per la Santa Eucaristia, i discepoli del Signore proclamano che Egli è risorto, è vivo e datore di vita, e testimoniano che la sua presenza è grazia, è compito, è gioia. Apriamo il cuore alla sua parola ed accogliamo il dono della sua presenza! Nella prima lettura, il profeta Isaia (35,4-7) incoraggia gli "smarriti di cuore" e annuncia questa stupenda novità, che l’esperienza conferma: quando il Signore è presente si riaprono gli occhi del cieco, si schiudono gli orecchi del sordo, lo zoppo "salta" come un cervo. Tutto rinasce e tutto rivive perché acque benefiche irrigano il deserto. Il "deserto", nel suo linguaggio simbolico, può evocare gli eventi drammatici, le situazioni difficili e la solitudine che segna non raramente la vita; il deserto più profondo è il cuore umano, quando perde la capacità di ascoltare, di parlare, di comunicare con Dio e con gli altri. Si diventa allora ciechi perché incapaci di vedere la realtà; si chiudono gli orecchi per non ascoltare il grido di chi implora aiuto; si indurisce il cuore nell’indifferenza e nell’egoismo. Ma ora – annuncia il Profeta – tutto è destinato a cambiare; questa "terra arida" di un cuore chiuso sarà irrigata da una nuova linfa divina. E quando il Signore viene, agli smarriti di cuore di ogni epoca dice con autorità: "Coraggio, non temete"! ( v. 4)

Si aggancia qui perfettamente l’episodio evangelico, narrato da san Marco (7,31-37): Gesù guarisce in terra pagana un sordomuto. Prima lo accoglie e si prende cura di lui con il linguaggio dei gesti, più immediati delle parole; e poi con un’espressione in lingua aramaica gli dice: "Effatà", cioè "apriti", ridonando a quell’uomo udito e lingua. Piena di stupore, la folla esclama: "Ha fatto bene ogni cosa!" (v. 37). Possiamo vedere in questo "segno" l’ardente desiderio di Gesù di vincere nell’uomo la solitudine e l’incomunicabilità create dall’egoismo, per dare volto ad una "nuova umanità", l’umanità dell’ascolto e della parola, del dialogo, della comunicazione, della comunione con Dio. Una umanità "buona", come buona è tutta la creazione di Dio; una umanità senza discriminazioni, senza esclusioni – come ammonisce l’apostolo Giacomo nella sua Lettera (2,1-5) – così che il mondo sia veramente e per tutti "campo di genuina fraternità" (Gaudium et spes, 37), nell’apertura dell’amore per il Padre comune che ci ha creato e ci ha fatto suoi figli e sue figlie.

Cara Chiesa di Viterbo, il Cristo, che nel Vangelo vediamo aprire gli orecchi e sciogliere il nodo della lingua al sordomuto, dischiuda il tuo cuore, e ti dia sempre la gioia dell’ascolto della sua Parola, il coraggio dell’annuncio del Suo Vangelo, la capacità di parlare con Dio e di parlare così con i tuoi fratelli e sorelle, e finalmente il coraggio della scoperta del suo Volto e della sua Bellezza! Ma, perché questo possa avvenire – ricorda San Bonaventura da Bagnoregio, dove mi recherò questo pomeriggio – la mente deve "andare al di là di tutto con la contemplazione e andare al di là non solo del mondo sensibile, ma anche al di là di se stessa" (Itinerarium mentis in Deum VII,1). E’ questo l’itinerario di salvezza, illuminato dalla luce della Parola di Dio e nutrito dai sacramenti, che accomuna tutti i cristiani.

Di questo cammino che anche tu, amata Chiesa che vive in questa terra sei chiamata a percorrere, vorrei ora riprendere alcune linee spirituali e pastorali. Una priorità che tanto sta a cuore al tuo Vescovo, è l’educazione alla fede, come ricerca, come iniziazione cristiana, come vita in Cristo. È il "diventare cristiani" che consiste in quell’ "imparare Cristo" che san Paolo esprime con la formula: "Non vivo più io, ma Cristo vive in me" (Gal 2,20). In questa esperienza sono coinvolte le parrocchie, le famiglie e le varie realtà associative. Sono chiamati ad impegnarsi i catechisti e tutti gli educatori; è chiamata ad offrire il proprio apporto la scuola, dalle primarie all’Università della Tuscia, sempre più importante e prestigiosa, ed, in particolare, la scuola cattolica, con l’Istituto filosofico-teologico "San Pietro". Ci sono modelli sempre attuali, autentici pionieri dell’educazione alla fede a cui ispirarsi. Mi piace menzionare, tra gli altri, santa Rosa Venerini (1656-1728) – che ho avuto la gioia di canonizzare tre anni or sono – vera antesignana delle scuole femminili in Italia, proprio "nel secolo dei Lumi"; santa Lucia Filippini (1672-1732) che, con l’aiuto del Venerabile Cardinale Marco Antonio Barbarigo (1640-1706), ha fondato le benemerite "Maestre Pie". Da queste sorgenti spirituali si potrà felicemente attingere ancora per affrontare, con lucidità e coerenza, l’attuale, ineludibile e prioritaria, "emergenza educativa", grande sfida per ogni comunità cristiana e per l’intera società che è proprio un processo di "Effatà", di aprire gli orecchi, il nodo della lingua e anche gli occhi.

Insieme all’educazione, la testimonianza della fede. "La fede – scrive san Paolo – si rende operosa per mezzo della carità" (Gal 5,6). È in questa prospettiva che prende volto l’azione caritativa della Chiesa: le sue iniziative, le sue opere sono segni della fede e dell’amore di Dio, che è Amore – come ho ricordato ampiamente nelle Encicliche Deus caritas est e Caritas in veritate. Qui fiorisce e va sempre più incrementata la presenza del volontariato, sia sul piano personale, sia su quello associativo, che trova nella Caritas il suo organismo propulsore ed educativo. La giovane santa Rosa (1233-1251), co-patrona della Diocesi e la cui festa cade proprio in questi giorni, è fulgido esempio di fede e di generosità verso i poveri. Come non ricordare inoltre che santa Giacinta Marescotti (1585-1640) promosse in città l’adorazione eucaristica dal suo Monastero, e dette vita a istituzioni ed iniziative per i carcerati e gli emarginati? Né possiamo dimenticare la francescana testimonianza di san Crispino, cappuccino (1668-1759), che tuttora ispira benemerite presenze assistenziali. E’ significativo che in questo clima di fervore evangelico siano nate molte case di vita consacrata, maschili e femminili, ed in particolare monasteri di clausura, che costituiscono un visibile richiamo al primato di Dio nella nostra esistenza e ci ricordano che la prima forma di carità è proprio la preghiera. Emblematico al riguardo, l’esempio della beata Gabriella Sagheddu (1914-1939), trappista: nel monastero di Vitorchiano, dove è sepolta, continua ad essere proposto quell’ecumenismo spirituale, alimentato da incessante preghiera, vivamente sollecitato dal Concilio Vaticano II (cfr Unitatis redintegratio, 8). Ricordo anche il viterbese beato Domenico Bàrberi (1792-1849), passionista, che nel 1845 accolse nella Chiesa cattolica John Henry Newman, divenuto poi Cardinale, figura di alto profilo intellettuale e di luminosa spiritualità.

Vorrei infine accennare ad una terza linea del vostro piano pastorale: l’attenzione ai segni di Dio. Come ha fatto Gesù con il sordomuto, allo stesso modo Dio continua a rivelarci il suo progetto mediante "eventi e parole". Ascoltare la sua parola e discernere i suoi segni deve essere pertanto l’impegno di ogni cristiano e di ciascuna comunità. Il più immediato dei segni di Dio è certamente l’attenzione al prossimo, secondo quanto Gesù ha detto: "Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me" (Mt 25,40). Inoltre, come afferma il Concilio Vaticano II, il cristiano è chiamato ad essere "davanti al mondo un testimone della risurrezione e della vita del Signore Gesù e un segno del Dio vivo" (Lumen gentium, 38). Deve esserlo in primo luogo il sacerdote che Cristo ha scelto tutto per sé. Durante questo Anno Sacerdotale, pregate con maggiore intensità per i sacerdoti, per i seminaristi e per le vocazioni, perché siano fedeli a questa loro vocazione! Segno del Dio vivo deve esserlo, altresì, ogni persona consacrata e ogni battezzato.

Fedeli laici, giovani e famiglie, non abbiate paura di vivere e testimoniare la fede nei vari ambiti della società, nelle molteplici situazioni dell’esistenza umana! Viterbo ha espresso anche al riguardo figure prestigiose. In questa occasione è dovere e gioia far memoria del giovane Mario Fani di Viterbo, iniziatore del "Circolo Santa Rosa", che accese, insieme a Giovanni Acquaderni, di Bologna, quella prima luce che sarebbe poi diventata l’esperienza storica del laicato in Italia: l’Azione Cattolica. Si succedono le stagioni della storia, cambiano i contesti sociali, ma non muta e non passa di moda la vocazione dei cristiani a vivere il Vangelo in solidarietà con la famiglia umana, al passo con i tempi. Ecco l’impegno sociale, ecco il servizio proprio dell’azione politica, ecco lo sviluppo umano integrale.

Cari fratelli e sorelle! Quando il cuore si smarrisce nel deserto della vita, non abbiate paura, affidatevi a Cristo, il primogenito dell’umanità nuova: una famiglia di fratelli costruita nella libertà e nella giustizia, nella verità e nella carità dei figli di Dio. Di questa grande famiglia fanno parte Santi a voi cari: Lorenzo, Valentino, Ilario, Rosa, Lucia, Bonaventura e molti altri. Nostra comune Madre è Maria che venerate, col titolo di Madonna della Quercia, quale Patrona dell’intera Diocesi nella sua nuova configurazione. Siano essi a custodirvi sempre uniti e ad alimentare in ciascuno il desiderio di proclamare, con le parole e con le opere, la presenza e l’amore di Cristo!

Amen.


[SM=g1740733]


Al termine della Santa Messa celebrata sulla spianata di Valle Faul a Viterbo, il Papa guida la recita dell’Angelus. Queste le parole del Santo Padre nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Al termine di questa solenne Celebrazione eucaristica, ringrazio ancora una volta il Signore per avermi dato la gioia di compiere questa visita pastorale alla vostra comunità diocesana. Sono venuto tra voi per incoraggiarvi e per confermarvi nella fedeltà a Cristo, come ben indica anche il tema che avete scelto: "Conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,31). Queste parole Gesù le ha rivolte all’apostolo Pietro durante l’Ultima Cena, affidandogli il compito di essere qui in terra Pastore di tutta la sua Chiesa.

Da molti secoli la vostra Diocesi si contraddistingue per un singolare vincolo di affetto e di comunione con il Successore di Pietro. Ho potuto rendermene conto visitando il Palazzo dei Papi e, in particolare, la sala del "Conclave". Nel vasto territorio dell’antica Tuscia nacque san Leone Magno, che rese un grande servizio alla verità nella carità, attraverso un assiduo esercizio della parola, testimoniato dai suoi Sermoni e dalle sue Lettere. A Blera ebbe i natali il Papa Sabiniano, successore di san Gregorio Magno; a Canino nacque Paolo III. Viterbo fu scelta per tutta la seconda parte del XIII secolo quale residenza dei Pontefici Romani; qui furono eletti cinque miei predecessori, e quattro di essi vi sono sepolti; ben cinquanta l’hanno visitata – ultimo il Servo di Dio Giovanni Paolo II, 25 anni or sono. Queste cifre rivestono un significato storico, ma di esse, in questo momento, vorrei accentuare soprattutto il valore spirituale. Viterbo viene giustamente chiamata "Città dei Papi", e questo costituisce per voi uno stimolo ulteriore a vivere e testimoniare la fede cristiana, la stessa fede per la quale hanno dato la vita i santi martiri Valentino e Ilario, custoditi nella Chiesa Cattedrale, primi di una lunga scia di Santi, Martiri e Beati della vostra terra.

"Conferma i tuoi fratelli": quest’invito del Signore l’avverto oggi indirizzato a me con una intensità singolare. Pregate, cari fratelli e sorelle, perché possa svolgere sempre con fedeltà e amore la missione di Pastore di tutto il gregge di Cristo (cfr Gv 21,15 ss). Da parte mia, assicuro un costante ricordo al Signore per la vostra comunità diocesana, perché le diverse sue articolazioni – di cui ho potuto ammirare una simbolica rappresentazione nelle nuove porte del Duomo - tendano ad una sempre più piena unità e fraterna comunione, condizioni indispensabili per offrire al mondo un’efficace testimonianza evangelica. Affiderò queste intenzioni nel pomeriggio alla Vergine Maria, visitando il Santuario della Madonna della Quercia. Ora, con la preghiera che ricorda il suo "sì" all’annuncio dell’Angelo, Le chiediamo di mantenere la nostra fede sempre forte e gioiosa.

Angelus Domini…


Conclusa la Celebrazione Eucaristica, il Santo Padre si trasferisce in auto al Santuario della Madonna della Quercia a Viterbo, per il pranzo e una sosta di riposo nella "Domus La Quercia".

Lungo il tragitto, compie una sosta al Santuario di Santa Rosa, Patrona di Viterbo, per la venerazione delle reliquie. Nella Piazza antistante il Santuario sono presenti i "Facchini di Santa Rosa", che mostrano al Papa l’artistica "Macchina di Santa Rosa", trasportata per le vie della città ogni anno nella sera del 3 settembre.





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Caterina63
00lunedì 7 settembre 2009 07:56
Visita pastorale a Viterbo e Bagnoregio...























 





















 





Caterina63
00lunedì 7 settembre 2009 18:11
INCONTRO CON LA CITTADINANZA IN PIAZZA SANT’AGOSTINO A BAGNOREGIO

Alle 17.45, nella Piazza Sant’Agostino, ha luogo l’incontro con la Cittadinanza di Bagnoregio. Introdotto dai saluti di S.E. Mons. Lorenzo Chiarinelli, Vescovo di Viterbo e del Dott. Francesco Bigiotti, Sindaco di Bagnoregio, il Papa rivolge ai presenti il seguente discorso:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

La solenne celebrazione eucaristica di questa mattina a Viterbo ha aperto la mia visita pastorale alla vostra Comunità diocesana, e questo nostro incontro qui a Bagnoregio, praticamente la chiude. Vi saluto tutti con affetto: Autorità religiose, civili e militari, sacerdoti, religiosi e religiose, operatori pastorali, giovani e famiglie, e vi ringrazio per la cordialità con cui mi avete accolto. Rinnovo il mio ringraziamento in primo luogo al vostro Vescovo per le sue affettuose parole che hanno richiamato il mio legame con san Bonaventura. E saluto con deferenza il Sindaco di Bagnoregio, grato per il cortese benvenuto che mi ha indirizzato a nome di tutta la Città.

Giovanni Fidanza, che divenne poi fra’ Bonaventura, unisce il suo nome a quello di Bagnoregio nella nota presentazione che di se stesso fa nella Divina Commedia. Dicendo: "Io son la vita di Bonaventura da Bagnoregio, che nei grandi offici sempre posposi la sinistra cura" (Dante, Paradiso XII,127-129), sottolinea come negli importanti compiti che ebbe a svolgere nella Chiesa, pospose sempre la cura delle realtà temporali ("la sinistra cura") al bene spirituale delle anime. Qui, a Bagnoregio, egli trascorse la sua infanzia e l’adolescenza; seguì poi san Francesco, verso il quale nutriva speciale gratitudine perché, come ebbe a scrivere, quando era bambino lo aveva "strappato dalle fauci della morte" (Legenda Maior, Prologus, 3,3) e gli aveva predetto "Buona ventura", come ha ricordato poc’anzi il vostro Sindaco. Con il Poverello di Assisi seppe stabilire un legame profondo e duraturo, traendo da lui ispirazione ascetica e genio ecclesiale. Di questo vostro illustre concittadino voi custodite gelosamente l’insigne reliquia del "Santo Braccio", mantenete viva la memoria e approfondite la dottrina, specialmente mediante il Centro di Studi Bonaventuriani fondato da Bonaventura Tecchi, che con cadenza annuale promuove qualificati convegni di studio a lui dedicati.

Non è facile sintetizzare l’ampia dottrina filosofica, teologica e mistica lasciataci da san Bonaventura. In questo Anno Sacerdotale vorrei invitare specialmente i sacerdoti a mettersi alla scuola di questo grande Dottore della Chiesa per approfondirne l’insegnamento di sapienza radicata in Cristo. Alla sapienza, che fiorisce in santità, egli orienta ogni passo della sua speculazione e tensione mistica, passando per i gradi che vanno da quella che chiama "sapienza uniforme" concernente i principi fondamentali della conoscenza, alla "sapienza multiforme", che consiste nel misterioso linguaggio della Bibbia, e poi alla "sapienza onniforme", che riconosce in ogni realtà creata il riflesso del Creatore, sino alla "sapienza informe", l’esperienza cioè dell’intimo contatto mistico con Dio, allorché l’intelletto dell’uomo sfiora in silenzio il Mistero infinito (cfr J. Ratzinger, San Bonaventura e la teologia della storia, Ed. Porziuncola, 2006, pp. 92ss). Nel ricordo di questo profondo ricercatore ed amante della sapienza, vorrei inoltre esprimere incoraggiamento e stima per il servizio che, nella Comunità ecclesiale, i teologi sono chiamati a rendere a quella fede che cerca l’intelletto, quella fede che è "amica dell’intelligenza" e che diventa vita nuova secondo il progetto di Dio.

Dal ricco patrimonio dottrinale e mistico di san Bonaventura mi limito questa sera a trarre qualche "pista" di riflessione, che potrebbe risultare utile per il cammino pastorale della vostra Comunità diocesana. Egli fu, in primo luogo, un instancabile cercatore di Dio sin da quando frequentava gli studi a Parigi, e continuò ad esserlo sino alla morte. Nei suoi scritti indica l’itinerario da percorrere. "Poiché Dio è in alto – egli scrive - è necessario che la mente si innalzi a Lui con tutte le forze" (De reductione artium ad theologiam, n. 25). Traccia così un percorso di fede impegnativo, nel quale non basta "la lettura senza l’unzione, la speculazione senza la devozione, la ricerca senza l’ammirazione, la considerazione senza l’esultanza, l’industria senza la pietà, la scienza senza la carità, l’intelligenza senza l’umiltà, lo studio senza la grazia divina, lo specchio senza la sapienza divinamente ispirata" (Itinerarium mentis in Deum, prol. 4). Questo cammino di purificazione coinvolge tutta la persona per arrivare, attraverso Cristo, all’amore trasformante della Trinità. E dato che Cristo, da sempre Dio e per sempre uomo, opera nei fedeli una creazione nuova con la sua grazia, l’esplorazione della presenza divina diventa contemplazione di Lui nell’anima "dove Egli abita con i doni del suo incontenibile amore" (ibid. IV,4), per essere alla fine trasportati in Lui. La fede è pertanto perfezionamento delle nostre capacità conoscitive e partecipazione alla conoscenza che Dio ha di se stesso e del mondo; la speranza l’avvertiamo come preparazione all’incontro con il Signore, che segnerà il pieno compimento di quell’amicizia che fin d’ora ci lega a Lui. E la carità ci introduce nella vita divina, facendoci considerare fratelli tutti gli uomini, secondo la volontà del comune Padre celeste.

Oltre che cercatore di Dio, san Bonaventura fu serafico cantore del creato, che, alla sequela di san Francesco, apprese a "lodare Dio in tutte e per mezzo di tutte le creature", nelle quali "risplendono l’onnipotenza, la sapienza e la bontà del Creatore" (ibid. I,10). San Bonaventura presenta del mondo, dono d’amore di Dio agli uomini, una visione positiva: riconosce nel mondo il riflesso della somma Bontà e Bellezza che, sulla scia di sant’Agostino e san Francesco, afferma essere Dio stesso. Tutto ci è stato dato da Dio. Da Lui, come da fonte originaria, scaturisce il vero, il bene e il bello. Verso Dio, come attraverso i gradini di una scala, si sale sino a raggiungere e quasi afferrare il Sommo Bene e in Lui trovare la nostra felicità e la nostra pace. Quanto sarebbe utile che anche oggi si riscoprisse la bellezza e il valore del creato alla luce della bontà e della bellezza divine! In Cristo, l’universo stesso, nota san Bonaventura, può tornare ad essere voce che parla di Dio e ci spinge ad esplorarne la presenza; ci esorta ad onorarlo e glorificarlo in tutte le cose (cfr ibid. I,15). Si avverte qui l’animo di san Francesco, di cui il nostro Santo condivise l’amore per tutte le creature.

San Bonaventura fu messaggero di speranza. Una bella immagine della speranza la troviamo in una delle sue prediche di Avvento, dove paragona il movimento della speranza al volo dell’uccello, che dispiega le ali nel modo più ampio possibile, e per muoverle impiega tutte le sue forze. Rende, in un certo senso, tutto se stesso movimento per andare in alto e volare. Sperare è volare, dice san Bonaventura. Ma la speranza esige che tutte le nostre membra si facciano movimento e si proiettino verso la vera altezza del nostro essere, verso le promesse di Dio. Chi spera - egli afferma - "deve alzare il capo, rivolgendo verso l’alto i suoi pensieri, verso l’altezza della nostra esistenza, cioè verso Dio" (Sermo XVI, Dominica I Adv., Opera omnia, IX, 40a).

Il Signor Sindaco nel suo discorso ha posto la domanda: "Che cosa sarà Bagnoregio domani?". In verità tutti ci interroghiamo circa l’avvenire nostro e del mondo e quest’interrogativo ha molto a vedere con la speranza, di cui ogni cuore umano ha sete. Nell’Enciclica Spe salvi ho notato che non basta però una qualsiasi speranza per affrontare e superare le difficoltà del presente; è indispensabile una "speranza affidabile", che, dandoci la certezza di giungere ad una meta "grande", giustifichi "la fatica del cammino" (cfr n.1). Solo questa "grande speranza-certezza" ci assicura che nonostante i fallimenti della vita personale e le contraddizioni della storia nel suo insieme, ci custodisce sempre il "potere indistruttibile dell’Amore". Quando allora a sorreggerci è tale speranza non rischiamo mai di perdere il coraggio di contribuire, come hanno fatto i santi, alla salvezza dell’umanità, aprendo noi stessi e il mondo all’ingresso di Dio: della verità, dell’amore, della luce (cfr n. 35). Ci aiuti san Bonaventura a "dispiegare le ali" della speranza che ci spinge ad essere, come lui, incessanti cercatori di Dio, cantori delle bellezze del creato e testimoni di quell’Amore e di quella Bellezza che "tutto muove".

Grazie, cari amici, ancora una volta per la vostra accoglienza. Mentre vi assicuro un ricordo nella preghiera imparto, per intercessione di san Bonaventura e specialmente di Maria, Vergine fedele e Stella della speranza, una speciale Benedizione Apostolica, che volentieri estendo a tutti gli abitanti di questa Terra bella e ricca di santi.

Grazie per la vostra attenzione!
Caterina63
00lunedì 7 settembre 2009 18:22

I saluti
del sindaco Marini
e del vescovo Chiarinelli




"Le indicazioni della recente enciclica Caritas in veritate e la sintonia ideale nel promuovere il bene sociale con le esperienze ecclesiali viterbesi sono per noi risorse spirituali di fiducioso cammino": con queste parole il sindaco di Viterbo, Giulio Marini, ha dato il benvenuto a Benedetto XVI domenica mattina, 6 settembre, accogliendolo in piazza San Lorenzo. "La città - ha aggiunto - vive oggi un momento esaltante della sua storia, con la attesa presenza" del Papa. Viterbo, del resto "nutre un legame antico e forte con la Chiesa: è qui che maturò il termine "conclave" come spazio impegnativo teso alla elezione del pontefice. È qui che furono eletti cinque Papi e qui molti altri lasciarono la loro impronta indelebile, come testimoniano chiese, monumenti e palazzi cittadini". Dopo aver ricordato che anche la terra viterbese "non sfugge ai segni dell'inquietudine contemporanea, alla domanda di certezze e stabilità per il futuro che vuole vedere protagonisti soprattutto i giovani", il primo cittadino ha evidenziato come sia proprio alle nuove generazioni che viene rivolta "particolare attenzione, poiché loro è il futuro. Dobbiamo e vogliamo - ha assicurato - lavorare e profondere tutto il nostro impegno in un servizio esigente alla collettività, rafforzando la nostra azione per aiutare le giovani generazioni a rendere reali quei sogni e progetti, a maturare quelle scelte affinché Viterbo e la Tuscia continuino a crescere, forti delle preziose energie e delle capacità umane e professionali dei giovani, in nome del raggiungimento di quel bene collettivo che è nostra volontà vedere realizzato pienamente".

Successivamente è stato il vescovo Lorenzo Chiarinelli a salutare il Papa a nome della comunità cristiana di tutto il territorio. "Il luogo in cui siamo - ha detto - ci racconta quella che è stata in Viterbo la Chiesa di ieri. Questa loggia ha ospitato circa cinquanta Pontefici Romani. E nell'attigua sala del Conclave nel secolo xiii ne furono eletti cinque. Qui ebbe luogo anche quel lungo e travagliato Conclave che, con la partecipazione di 17 cardinali, si protrasse per 33 mesi. Incomprensioni, rivalità, dissidi, interessi di fazioni, di regni, calcoli meramente umani sembravano dovessero sommergere la barca di Pietro e spegnere il fuoco della Pentecoste. Eppure da quel Conclave fu chiamato a essere Papa Gregorio x, Pontefice dall'alto profilo umano, spirituale, pastorale che la Chiesa venera come beato". "Queste pietre - ha proseguito il vescovo - gridano alla storia che "Dio scrive dritto anche su righe storte". E noi impariamo la incrollabile fedeltà di Dio, nella verità e nell'amore, così come è sancito nella croce di Cristo".

Il presule ha poi mostrato a Benedetto XVI due volti della Chiesa viterbese di oggi: il primo, artistico, scolpito nelle tre nuove porte di bronzo della cattedrale, opera del maestro Roberto Ioppolo, che esprime la nuova configurazione della Chiesa di Viterbo, alla quale nel 1986 sono state unite le antiche diocesi di Acquapendente, Bagnoregio, Montefiascone, Tuscania e l'Abbazia di San Martino al Cimino; il secondo, quello vivo del popolo di Dio che cammina nella storia tra tentazioni e speranze. Per quest'ultimo, il vescovo ha chiesto al Papa ciò che Cristo chiese a Pietro: "La conferma nella fede".

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La gente di Viterbo è scesa in massa lungo le vie della città per stringersi attorno a Benedetto XVI

La compostezza di una concreta manifestazione d'affetto




dal nostro inviato Mario Ponzi

Tra passato e futuro. Dalla citazione dei versi dedicati da Dante, nella Divina Commedia, a san Bonaventura "che ne' grandi offici sempre pospuose la sinistra cura" - le realtà temporali rispetto a quelle spirituali -, dall'esortazione rivolta ai cristiani alla testimonianza "senza paura" all'impegno sociale nell'azione politica per lo sviluppo integrale dell'uomo e per ridare "ali alla speranza".
Forse mai come nel caso della visita di Benedetto XVI a Viterbo prende valore questo raffronto tra la storia di ieri e quella ancora da scrivere, per esprimerne la sintesi. Eppure ieri, domenica 6 settembre, mentre la Vetus urbs, secondo una diffusa etimologia, ha aperto per il Papa, pellegrino tra le sue antiche contrade, il suo cospicuo passato - che è anche e soprattutto pontificio - la Viterbo nuova, quella che cerca un posto nella società dell'era della tecnologia digitale, ha mostrato il volto timoroso delle nuove generazioni di fronte al futuro.

Ha anche mostrato i segni di un cammino affrettato, che non consente ancora un reciproco riconoscimento tra la città vecchia e quella nuova. Due anime di una città che si sono ritrovate unite per consegnare a Benedetto XVI il ricordo di una giornata trascorsa tra gente festosa e composta. E festa è stata sin dal primo istante della visita.

A ricevere il Papa, giunto alle 9.30 in elicottero, al campo sportivo Rocchi, erano il vescovo monsignor Lorenzo Chiarinelli, il nunzio apostolico in Italia, arcivescovo Giuseppe Bertello, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri Gianni Letta, in rappresentanza del Governo italiano; l'ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede Antonio Zanardi Landi, Piero Marrazzo, presidente della regione Lazio, Alessandro Mazzoli, presidente della Provincia, e Giulio Marini, sindaco di Viterbo. Un benvenuto informale e poi tragitto veloce sino a piazza San Lorenzo. La prima accoglienza nella città vecchia. Il corteo è passato attraverso i vicoli stretti del centro storico, rasentando palazzi medievali pavesati a festa che sembravano poggiare sulla marea di gente scesa in massa per le strade. Ha raggiunto così, tra due ali di folla, il Palazzo dei Papi, la prima meta della visita.

E si è rivisto così un Papa affacciarsi alla loggia del duecentesco Palazzo, e salutare la folla. I discorsi del sindaco e del vescovo, lo scambio di doni, poi la benedizione, da lontano, delle nuove porte della cattedrale di San Lorenzo che resteranno a futura memoria della giornata di fede trascorsa con lui. E non poteva non entrare nell'antico possedimento pontificio. Erano venticinque anni che un Pontefice non posava piede su quelle pietre. L'ultimo a farlo era stato Giovanni Paolo II, nel 1984.

Benedetto XVI è entrato nella famosa Sala dove, nel xiii secolo, nacque la consuetudine del conclave, così come è stata tramandata ai nostri giorni. Il Papa ha compiuto con evidente soddisfazione quel percorso costellato di ricordi, legati al passaggio di grandi santi: Rosa, Crispino, Giacinta. Ma anche di altre eminenti figure di Papi, di cardinali, di laici come Mario Fani, precursore dell'apostolato modernamente inteso, che proprio nella città e nel santuario di santa Rosa venne spesso a ispirarsi.

Ancora un giro tra la folla e poi, dall'altare eretto al centro di Valle Faul, ha presieduto la celebrazione della messa.
Circa trentamila le persone che avevano trovato posto nell'ampio piazzale. Qui Viterbo ha mostrato al Papa il suo volto nuovo. C'erano tanti giovani davanti all'altare, così come tanti erano saliti sulle collinette tutt'intorno alla valle. Non c'erano striscioni; né ci s0no stati sventolii di bandiere. Lo stesso famoso corteo storico viterbese, nell'antico costume è rimasto ai bordi della Valle, per le vie della città. Un applauso composto ha salutato il giro in papamobile tra la folla. Si è voluto che la partecipazione all'eucaristia fosse vissuta in modo che "le realtà materiali" fossero posposte "alle realtà spirituali".

Il Papa ha concelebrato con il cardinale Agostino Vallini, vicario per la diocesi di Roma con i vescovi del Lazio, il vescovo diocesano Chiarinelli; gli arcivescovi Fernando Filoni, sostituto della Segreteria di Stato, conoscitore tra l'altro della realtà viterbese avendo trascorso un periodo di studi alla Quercia; James Michael Harvey, prefetto della Casa Pontificia, il vescovo Paolo De Nicolò, reggente della Prefettura, monsignor Georg Gänswein, segretario particolare del Pontefice, monsignor Fortunato Frezza, sotto-segretario del Sinodo dei vescovi. E poi tanti, tantissimi sacerdoti, tra i quali alcuni officiali della curia romana, di orgini viterbesi, come monsignor Fabio Fabene, della Congregazione per i Vescovi.
All'offertorio i doni sono stati recati all'altare dai rappresentanti delle antiche diocesi di Tuscania, Montefiascone, Bagnoregio e Acquapendente. Tra gli offerenti spiccavano le bianche figure, con fascia rossa, di una coppia di "facchini di santa Rosa", due cosiddetti "ciuffi" che nello schieramento dei cento trasportatori occupano una posizione chiave per l'equilibrio dell'alta torre.
La comunione è stata distribuita dal cardinale Vallini "poiché - come ha spiegato il medico personale del Papa, Patrizio Polisca - il pieno recupero funzionale del braccio infortunato per l'incidente a Les Combes, richiede tempi variabili.

Nonostante il programma fisioterapico abbia già raggiunto risultati molto soddisfacenti sul piano del recupero funzionale - ha precisato Polisca - non si è però ancora concluso nella sua interezza. E l'atto di prelevare l'ostia consacrata e porgerla a chi si comunica, è un atto complesso e fine che richiede invece una perfetta funzionalità motoria, altrimenti esporrebbe al rischio di far cadere l'ostia consacrata".

Dopo la preghiera dell'Angelus il Papa ha lasciato Viterbo e si è recato presso il santuario della Quercia dove, dopo un breve periodo di riposo, ha pregato con le suore di clausura, dinnanzi all'immagine mariana.

Cosa sia rimasto delle poche ore vissute accanto al Papa lo diranno i giorni a venire. Quello che è parso di cogliere dalla prime impressioni scambiate frettolosamente con quanti sciamavano dalla piazza, al termine della messa si è avuta l'impressione di una Chiesa diocesana che ha voluto mostrare al Papa un saldo ancoraggio alle radici umane di un popolo che, seppure geloso custode delle proprie tradizioni, si sente proiettato verso il futuro. Il cammino è veloce ma si avverte urgente bisogno di un bilancio per capire dove si sta andando. Il Papa è venuto dunque in un momento particolare del percorso pastorale della diocesi. È venuto - come il vescovo aveva chiesto - per confermare tutti nella fede, ma è venuto anche per invitare ciascuno a fermarsi per un momento di riflessione e di confronto con le grandi crisi del nostro tempo e capire quali valori seguire.



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Il pomeriggio trascorso nei luoghi di san Bonaventura

Una popolazione che vive di storia




dal nostro inviato Mario Ponzi

Una fede amica dell'intelligenza per restituire ali alla speranza. È il messaggio che Benedetto XVI ha lasciato ai fedeli di Bagnoregio, al termine di una giornata vissuta tra le genti dell'Alto Lazio, per trovare un nuovo slancio verso il futuro.
Il Papa ne ha parlato nella terra natale di san Bonaventura. A una comunità che si specchia in quello scrigno di storia, di arte, di cultura e di tradizioni, rappresentato da quel ciuffo di abitazioni sulla rocca che domina un territorio in cui il tempo sembra quasi essersi fermato. Civita di Bagnoregio, patrimonio dell'umanità, esempio di una meraviglia unica nel suo genere, oggi è nota come "la città che muore". Si sta lentamente, ma inesorabilmente, sgretolando lo sperone tufaceo che poggia sul sottostante terreno argilloso; dunque un terreno, instabile e per sua natura esposto all'azione erosiva degli agenti atmosferici che lo modellano nelle tipiche forme dei calanchi.

Gli abitanti si sono via via trasferiti nel più recente insediamento di Bagnoregio, dove hanno portato con sé tutte le loro più care memorie.

Quasi superfluo soffermarsi sull'entusiasmo con il quale i cittadini di questo antico borgo medioevale hanno accolto il Papa. Un evento eccezionale e vissuto con comprensibile soddisfazione. Nonostante, infatti, i suoi illustri trascorsi di territorio dello Stato pontificio, Bagnoregio come ha ricordato il sindaco Bigiotti salutando il Papa, fu solo sfiorata da Papa Pio ix durante una visita nelle province settentrionali dello Stato
Festa grande dunque per la visita di Benedetto XVI. Emozionante il passaggio del corteo papale attraverso i vicoli stretti del paese, tra centinaia di bandiere con i colori vaticani, appese ai balconi e alle finestre di tutti i palazzi affacciati sul percorso. Numerosi anche i manifesti affissi un po' dovunque per dare il benvenuto al Papa. Alcuni addirittura erano scritti in latino.

Dopo una breve sosta in cattedrale, per venerare la reliquia del braccio di san Bonaventura e ammirare la Bibbia detta di san Bonaventura, un manoscritto risalente alla metà del Duecento, il Papa è giunto in piazza Sant'Agostino dove, davanti alla grande statua marmorea di san Bonaventura, era stato allestito il palco per l'incontro con la popolazione. Una "comunità viva - come l'ha descritta il sindaco salutando il Papa - che sa di essere immersa in una corrente di vita che viene da tempi remoti, portando con sé caratteri propri di storia, di cultura, di operosità, di qualità spirituali, morali e civili che la distinguono" e ne disegnano l'identità mite "come i calanchi che la stringono a oriente e cedono al trascorrere del tempo mostrando tutto intero il loro arrendevole lacerato chiarore", ma allo stesso tempo tenace "come il basalto che porta in sé la durezza di quanti come noi, sentono da secoli la sua rasserenante solidità". "Cosa sarà - si è chiesto il sindaco - Bagnoregio domani?" e qui è tornato a riecheggiare l'insegnamento del patrono: "Se la vita è un itinerario vuol dire che è necessario sollecitare i nostri passi verso un domani da costruire oggi".

E Benedetto XVI prima di lasciarli si è inserito proprio su questo cammino verso il futuro. "In verità - ha detto - tutti ci interroghiamo circa l'avvenire nostro e del mondo e questo interrogativo ha molto a che vedere con la speranza". Ma quello che serve è una speranza che sia necessariamente "affidabile", capace di dare "la certezza di giungere ad una meta grande" tale da giustificare "la fatica del cammino". Dunque, come aveva scritto nella Spe salvi, ha ripetuto che "solo questa grande speranza-certezza ci assicura che, nonostante i fallimenti della vita personale e le contraddizioni della storia nel suo insieme, ci custodisce sempre il potere indistruttibile della speranza". L'esemplarità di san Bonaventura deve servire proprio per aiutarci oggi a "dispiegare le ali della speranza" e a essere come lui "incessanti cercatori di Dio, cantori delle bellezze del creato e testimoni di quell'amore e di quella bellezza "che tutto muove"". Un saluto alle autorità, un abbraccio ad alcuni malati e poi in macchina verso l'improvvisato eliporto.

Da qui il Papa è rientrato direttamente a Castel Gandolfo.



(©L'Osservatore Romano - 7-8 settembre 2009)



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