E' deceduto l'ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga

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Caterina63
00martedì 17 agosto 2010 17:25
                                                         

La preghiera del Papa per il presidente emerito della Repubblica italiana, Francesco Cossiga, spentosi a Roma all'età di 82 anni

Cordoglio di Benedetto XVI per la morte del presidente emerito della Repubblica italiana, Francesco Cossiga, spentosi stamani all'età di 82 anni. Il Papa è stato immediatamente informato della notizia della morte di Cossiga, avvenuta alle 13.18 di oggi al Policlinico Gemelli. Profondamente addolorato si è raccolto in preghiera. Pochi giorni fa mons. Rino Fisichella era stato incaricato dalla segreteria di Stato, a nome del Papa, di informarsi sullo stato di salute dell’ex presidente e si era recato in visita al policlinico di Roma. Alle 12 di oggi era stato diffuso un bollettino medico che parlava di condizioni di salute di “estrema gravità”. Il servizio di Alessandro Guarasci:


Un uomo politico precocissimo. Nato a Sassari nel 1928, deputato a nemmeno 30 anni, nel ’66 fu il più giovane sottosegretario alla Difesa del terzo governo Moro; nel ’76 il più giovane ministro degli Interni, nell’83 il più giovane presidente del Senato, e a soli 57 anni, nel 1985, il più giovane inquilino del Quirinale. Cossiga viene ricordato per aver perseguito la linea della fermezza con le Br durante il rapimento di Moro. Dopo il ritrovamento del corpo del presidente della Dc, Cossiga dette le dimissioni.
 Poi il periodo alla presidenza del Consiglio dei Ministri, dall’agosto del ’79 all’ottobre dell’80. Il Pci ne propose la messa in stato d’accusa per favoreggiamento personale.
 Divenne l’ottavo presidente della Repubblica nell’85. Dopo i primi anni al Quirinale, si caratterizzò per una forte esposizione mediatica su tanti temi di politica interna, fu detto “il grande picconatore”. Si ricorda inoltre "Gladio": la sezione italiana di Stay Behind, organizzazione segreta della Nato, di cui Cossiga si definì “l’unico referente politico”.
Fervente cattolico, ha incontrato più volte Giovanni Paolo II e nell’agosto del 2008 pranzò con Benedetto XVI nella residenza estiva a Bressanone.

Per un ricordo dell'uomo Francesco Cossiga, ascoltiamo mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni-Narni-Amelia, intervistato da Alessandro Guarasci:

R. – Un uomo di grande fede, una fede magari austera, essenziale, ma che ha segnato l’intera sua vita, fin da ragazzo, anche il suo ingresso in politica. Perdiamo un grande italiano, un grande uomo di Stato. Tutto sgorga da una prospettiva di fede, e nello stesso tempo questa fede gli ha dato un grande amore per il Paese, per la patria, e lo ha reso un lottatore caparbio. La sua straordinaria intelligenza gli ha fatto prevedere molte cose a volte, è stata anche causa di incomprensioni, di dibattiti vivacissimi. Un grande italiano, appassionato di questo Paese, appassionato della libertà.

D. – Un uomo con grandi principi morali, fatto sta che si dimise, in alcune occasioni. Un caso raro in Italia...

R. – E questo perché aveva compreso che era cambiato tutto e bisognava cambiare anche la politica. Purtroppo questo non fu compreso. Gli anni successivi gli hanno dato ragione.

Per un profilo politico di Francesco Cossiga e della sua importanza nella vita istituzionale del Paese, Alessandro Guarasci ha chiesto il commento di Andrea Cangini, giornalista del “Quotidiano Nazionale”, e autore di un saggio scritto con lo stesso Cossiga:

R. – Cossiga è stato a lungo un uomo di Stato più che di partito. Non era un uomo di corrente, non aveva un potere interno tale da minacciare gli assetti correntizi della Democrazia Cristiana. Cossiga, però, era un uomo estremamente raffinato, estremamente intelligente, estremamente colto e dotato di antenne politiche assai sensibili e questo gli ha consentito di vedere il cambio di scenario che nessuno vedeva, perché il paradosso è che molto spesso l’élite politica non ha coscienza dei cambiamenti radicali che la storia gli prospetta.

D. – L’attività di Presidente della Repubblica di Cossiga in qualche modo è stata caratterizzata da due tempi: dapprima un presidente "notaio" poi "esternatore". Perché questa differenza così notevole?

R. – Sostanzialmente il suo repentino e radicale cambio di atteggiamento rispetto al modo di interpretare la presidenza della Repubblica fu dovuto all’istinto di sopravvivenza politica. Dopo i primi due anni di mandato presidenziale, Cossiga si rese conto che la Democrazia Cristiana – in modo particolare Andreotti – stava manovrando per costringerlo alle dimissioni usando la sponda del Partito Comunista e si rese anche conto che il mondo stava cambiando attorno a loro. Il crollo del muro di Berlino avrebbe devastato non il Pci – come ingenuamente ritenevano i dirigenti democristiani di allora – ma la Democrazia Cristiana ed il Psi. Dovette quindi diventare altro da sé, parlare direttamente all’opinione pubblica, nella speranza di avere una sponda contro il sistema dei partiti che gli si stava rivoltando contro.


A quanto si apprende, il presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, aveva ricevuto, nei giorni precedenti al ricovero al Policlinico Gemelli di Roma, una telefonata dal Papa in persona che voleva conoscere le sue condizioni di salute. Le parole del Santo Padre furono motivo di grande emozione per Cossiga.

 Radio Vaticana



 

Caterina63
00martedì 17 agosto 2010 17:27
da Avvenire:


È morto Francesco Cossiga
Il Presidente Emerito della Repubblica, Francesco Cossiga è morto oggi al Policlinico Gemelli alle 13.18. Sarebbe stata una crisi cardiocircolatoria una delle cause del decesso. Una prima crisi, dovuta anche una forte abbassamento della pressione arteriosa, aveva portato Cossiga al ricovero in terapia intensiva 9 giorni fa. Le sue condizioni si erano improvvisamente aggravate la scorsa notte. In base a quanto riportato dal bolelttino medico diffuso nella tarda mattinata di oggi, le condizioni di salute dell'ex-presidente Cossiga, erano peggiorate nelle notte e «il quadro clinico è di estrema gravità».

Poco dopo le 14.30 è giunto al Gemelli il vescovo di Terni, monsignor Vincenzo Paglia, ad accogliere il prelato i familiari del senatore a vita. Monsignor Paglia si era già recato durante gli otto giorni di ricovero al capezzale del presidente emerito per pregare insieme alla famiglia.

La Camera ardente sarà allestita domani, dalle 10 alle 18 nella chiesa Madre del Policlinico Gemelli. I funerali si svolgeranno a Cheremule (Sassari), un piccolo paese del Meilogu. Lo si è appreso da amici di famiglia che hanno spiegato che il presidente era particolarmente affezionato a Cheremule perchè vi erano nati i genitori. All'origine della scelta di Cossiga potrebbe aver anche influito il fatto che le dimensioni della chiesa parrocchiale e del sagrato sono tali da favorire il carattere strettamente privato delle esequie, che sarebbe stato espressamente chiesto dal presidente con le lettere inviate alla massime cariche dello Stato

IL TESTAMENTO
Cossiga ha lasciato un testamento con le sue ultime volontà e quattro lettere personali e riservate ai vertici delle istituzioni. Le lettere dell'ex capo dello Stato sono indirizzate al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ai presidenti di Camera e Senato, Gianfranco Fini e Renato Schifani e al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Fini e Schifani, secondo quanto si apprende hanno già ricevuto le missive.

Nel reparto di Rianimazione del Policlinico Gemelli di Roma, ad accompagnare le ultime ore di agonia di Cossiga sono stati i figli Giuseppe e Anna Maria, i parenti, gli amici più intimi e gli uomini della scorta, che il presidente chiamava i suoi "angeli custodi".

La famiglia è adesso stretta nel suo dolore per la morte del proprio caro e sono tante le visite che si sono succedute in questi giorni da istituzioni religiose e politiche. Dal mondo cattolico hanno fatto visita a Cossiga sua eccellenza monsignor Rino Fisichella, nominato dal Papa per portare i suoi saluti, don Claudio Papa, sacerdote di famiglia, e monsignor Vincenzo Paglia vescovo di Terni.

IL MESSAGGIO DI BAGNASCO
Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, a nome dell'intera Conferenza episcopale, esprime «cordoglio e vicinanza ai familiari per la scomparsa del presidente Francesco Cossiga» ed «eleva preghiere di suffragio, ricordandone il profondo senso dello Stato e l'intensa esperienza di fede, testimoniata nei lunghi anni dell'attività accademica e dell'impegno politico». «Egli - si legge in una nota diffusa dalla Cei - ha servito il nostro Paese nei più importanti compiti istituzionali, in momenti assai delicati, sempre consapevole delle proprie responsabilità e attento al perseguimento del bene comune».


Caterina63
00mercoledì 18 agosto 2010 09:20
La morte di Francesco Cossiga

Uno statista cristiano



di Marco Bellizi
Francesco Cossiga, figura di spicco del cattolicesimo politico democratico italiano, è stato essenzialmente un uomo di Stato. Ripercorrendo i grandi eventi che hanno caratterizzato la storia della Repubblica, si può facilmente constatare come il suo nome compaia in molti momenti cruciali della vita del Paese, dalla ricostruzione postbellica ai movimenti studenteschi, dagli anni bui del terrorismo fino all'esaurirsi di un'epoca e di una generazione politica, sotto i colpi delle inchieste giudiziarie e degli sconvolgimenti innescati dalla caduta del muro di Berlino.

Lo statista scomparso è stato a tutti gli effetti anche uomo della cosiddetta Prima Repubblica, della quale potrebbe essere considerato tra i simboli, esponente di una generazione che, dalle ceneri del ventennio fascista e del secondo conflitto mondiale, ha saputo costruire un'Italia nuova, in un contesto pieno di difficoltà e contraddizioni come fu quello della guerra fredda.

Ma Cossiga è stato anche capace di puntuali intuizioni circa gli sviluppi dei processi politici e ha anticipato, oltre che gli esiti di questi, anche un nuovo stile politico. Uomo di Stato, dunque. Di quello Stato che a volte ha saputo trasmettere il senso della fermezza e della certezza del diritto e che a volte ha tremato sotto i colpi del terrorismo e delle trame, vere o presunte, che di tanto in tanto affioravano in un contesto sicuramente particolare come è stato quello italiano, soprattutto dagli anni settanta fino ai novanta del secolo scorso.

Del suo essere uomo di Stato Cossiga - ed è questa forse la sua particolarità più spiccata - è stato sempre consapevole. Spesso insofferente. Soprattutto, è stato consapevole delle difficoltà, a volte drammatiche, che questo ruolo comporta. È stato così non solo nella tragica ed epocale vicenda del sequestro di Aldo Moro ma anche in molte altre pagine della storia repubblicana. Cossiga era consapevole di far parte integrante di un sistema - in quel momento, a suo parere, l'unico possibile - che presentava nette contraddizioni. Le stesse che, una volta diventato presidente della Repubblica, volle additare in quella stagione nella quale, "togliendosi qualche sassolino dalle scarpe", divenne per tutti il "picconatore".

Visione d'insieme e capacità di proiezione sono dunque alcuni dei caratteri della figura di Cossiga uomo politico. La carriera del futuro presidente della Repubblica italiana è stata del resto un percorso dalle tappe consumate sempre in anticipo sui tempi:  nato a Sassari il 26 luglio 1928, a soli 16 anni ottenne la maturità liceale. Quattro anni più tardi la laurea in giurisprudenza:  da qui prese avvio la carriera universitaria che lo porterà al insegnare diritto costituzionale nell'università di Sassari. Ancora più fulminante il percorso politico:  a 17 anni è già iscritto alla Democrazia cristiana, e a 28 ne diventa segretario provinciale.

Due anni dopo, nel 1958, entra a Montecitorio. È il più giovane sottosegretario alla Difesa nel terzo governo guidato da Aldo Moro; nel 1976, a 48 anni, è il più giovane ministro dell'Interno; nel 1979 è il più giovane presidente del Consiglio; poi, il più giovane presidente del Senato nel 1983, a 55 anni, e il più giovane presidente della Repubblica nel 1985, a 57 anni, eletto alla prima votazione da una maggioranza di voti molto estesa (752 su 977).


La formazione politica di Cossiga - cattolico in possesso di una raffinata institutio culturale e ammiratore di pensatori come Rosmini e Newman - è radicata nel solco del cattolicesimo politico. Negli anni universitari fece parte della Federazione universitaria cattolica italiana con ruoli di primo piano nella sezione di Sassari e a livello nazionale. Nella Democrazia cristiana è rimasto fino al suo scioglimento; nel 1998 ha poi fondato l'Unione democratica per la Repubblica (Udr), nel tentativo di costituire un'alternativa di centro ai nuovi poli di sinistra e destra, a suo parere non sufficientemente capaci di fornire al Paese una guida solida come quella che, sia pure nel succedersi di Governi, la Democrazia cristiana aveva saputo assicurare nel corso di un intero cinquantennio.

Il pragmatismo e il realismo sono stati del resto le altre cifre caratterizzanti la figura politica di Cossiga. Nello scenario della divisione fra blocchi e della conventio ad excludendum a danno del Partito comunista italiano, Cossiga si trovò a gestire situazioni drammatiche, dalle contromisure in vista di un'eventuale affermazione del comunismo in Italia, al movimento del 1977, con i tragici incidenti di Bologna e Roma, a seguito dei quali dai contestatori fu introdotta per il suo cognome la grafia Kossiga con la doppia s runica della famigerata organizzazione nazista, con una trovata tanto facile quanto ingiusta.

La vicenda più tragica è però senza dubbio quella del sequestro e dell'assassinio del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, a opera delle Brigate rosse quando Cossiga ricopriva la carica di ministro dell'Interno. Di fronte alle richieste dell'organizzazione terroristica per la liberazione dello statista democristiano, come è noto, le istituzioni scelsero la linea della fermezza. A seguito dell'uccisione di Moro il 9 maggio 1978, Cossiga si dimise. Ma l'anno successivo fu nominato presidente del Consiglio, rimanendo in carica fino al 1980.

Cinque anni più tardi, nel 1985, arrivò l'elezione al Quirinale. Fino al 1990 lo stile di Cossiga fu in linea con quello dei precedenti capi di Stato. Dopo la caduta del muro di Berlino, lo statista divenne invece più incisivo nel denunciare, come si è accennato, alcune delle contraddizioni del sistema di quella che venne poi definita Prima Repubblica. Nel 1991, a seguito delle rivelazioni sull'esistenza dell'organizzazione segreta Gladio, il presidente fu fatto oggetto di una procedura di messa in stato d'accusa, che cadde poi nel 1993. L'anno prima, il 25 aprile, a due mesi dalla scadenza del mandato presidenziale, si era dimesso.

Da senatore a vita, esaurito il tentativo cui si è già fatto cenno, della costruzione di un'alleanza di centro, le sue preferenze hanno oscillato fra i due principali schieramenti politici che si contendono la guida del Paese.

Nel 1998 aveva contribuito alla nascita del primo governo italiano guidato da un politico di formazione comunista, Massimo D'Alema, nel 2006 ha dato il suo appoggio all'esecutivo presieduto da Prodi mentre nel 2008 ha sostenuto quello guidato da Berlusconi, al quale aveva già dato la sua fiducia nel 1994. Sempre nel 2006 aveva presentato le dimissioni dalla carica di senatore a vita, ritenendosi "ormai inidoneo ad espletare i complessi compiti e a esercitare le delicate funzioni che la Costituzione assegna come dovere ai membri del parlamento nazionale". Ma le dimissioni erano state respinte. A conferma dell'autorevolezza di un ruolo riconosciuto allo statista al di là delle divisioni politiche.




Il pensiero di John Henry Newman nell'interpretazione di uno statista cristiano

Un padre assente del concilio vaticano II



Pubblichiamo stralci di un articolo apparso nel 2009 sulla rivista "Vita e Pensiero" a firma del presidente emerito della Repubblica italiana, morto martedì 17 agosto a Roma.
 

di Francesco Cossiga

Il pensiero di John Henry Newman era ben conosciuto a padri e periti conciliari:  e tra questi anche al già ben noto teologo tedesco Joseph Ratzinger. Durante il concilio vaticano II, ci si riferì a Newman - come a un altro originale filosofo e teologo, Antonio Rosmini - come a un ispiratore e "padre assente" del concilio. Dire esaustivamente quanto le decisioni conciliari debbano ai suoi insegnamenti esigerebbe un oratore molto, ma molto più ferrato di me, che non ho coltivato né la filosofia né la teologia, ma ho soltanto "razzolato" in esse!
 
In un articolo scritto su "L'Osservatore Romano" nel 1964, il filosofo cattolico Jean Guitton scriveva:  "I grandi geni sono dei profeti sempre pronti a rischiarare i grandi avvenimenti, i quali, a loro volta, gettano sui grandi geni una luce retrospettiva che dona loro un carattere profetico. È come il rapporto che intercorre tra Isaia e la passione di Cristo, reciprocamente illuminati:  così Newman rischiara con la sua presenza il Concilio e il Concilio giustifica Newman".

Le dichiarazioni del concilio hanno statuito sulla libertà della coscienza e sul primato della coscienza nel campo del pensiero e dell'etica, anche se - come notò in un suo studio il teologo Joseph Ratzinger - non senza qualche ambiguità e indeterminatezza. Il concetto di libertà e di primato della coscienza è al centro del Decreto sulla libertà religiosa.
 
Questo concetto è caratteristico del pensiero di Newman che lo espose in modo brillante nella famosa Lettera al Duca di Norfolk, nella quale confutò le gravi osservazioni sulla libertà dei sudditi cattolici della Corona di osservare le leggi del Regno e di servire lealmente la Corona stessa, dopo la proclamazione, da parte del concilio Vaticano i, del dogma dell'infallibilità; dogma contro la sostanza del quale Newman, a differenza del suo grande amico cattolico napoletano-bavarese-inglese, lo storico della libertà, regius professor dell'università di Cambridge, il cattolico-liberale lord Acton, non aveva scritto, ma solo si era interrogato pubblicamente sull'opportunità di proclamarlo in quel momento storico (ma subito dopo obbedendo silenziosamente).

Lo stesso Papa che lo aveva proclamato, di fronte alla dura reazione del cancelliere germanico von Bismarck, sentì la necessità di scrivere una lettera ai vescovi tedeschi, in risposta a una lettera che essi gli avevano scritto, chiarendo il contenuto e i limiti dell'infallibilità papale. Proprio nella già citata Lettera al Duca di Norfolk Newman conclude il capitolo sulla coscienza con le celebri parole:  "Se fossi obbligato a introdurre la religione nei brindisi dopo un pranzo (il che in verità non mi sembra proprio la cosa migliore), brinderò, se volete, al Papa; tuttavia prima alla coscienza, poi al Papa".

Per spiegare che cosa fosse la coscienza, nel suo saggio appunto a essa dedicato, forse quasi temerariamente e con parole che a suo tempo scandalizzarono molti, specie tra gli ultramontani, affermava:  "Sembra (...) che vi siano casi estremi nei quali la coscienza può entrare in conflitto con la parola del Papa e che, nonostante questa parola, debba essere seguita". E ancora:  la coscienza "non è un egoismo lungimirante, né il desiderio di essere coerenti con se stessi, bensì la messaggera di Colui, il quale, sia nel mondo della natura sia in quello della grazia, ci parla dietro un velo e ci ammaestra e ci governa per mezzo dei suoi rappresentanti".

E addirittura:  "La coscienza è l'originario vicario di Cristo". Ma Newman più oltre aggiunge:  "Per timore di non venire fraintesi, debbo ripetere che, quando io parlo di coscienza, intendo quella coscienza intesa nel suo vero significato. Per avere il diritto di opporsi all'autorità suprema, benché non infallibile, del Papa, essa dev'essere qualcosa ben maggiore di quell'infelice contraffazione che (...) viene ora popolarmente intesa".

Newman ricorda anche quella sentenza, propria oltre che di Tommaso d'Aquino anche dei teologi e canonisti della Scuola Salmaticense e dei gesuiti del XVII secolo, secondo cui la coscienza va sempre seguita anche se erronea, e anche se l'errore sia frutto della propria colpa. La coscienza di cui Newman invoca il primato è la tuta et informata conscientia dei più certi moralisti, una coscienza che anche se erronea - perché l'uomo non è perfetto e poche sono le così dette "rivelazioni personali" - sia frutto di preghiera, di onesta informazione e di meditazione. Questo primato della coscienza invocarono non con dichiarazioni, ma con fatti, coloro che non condivisero la conclusione del concordato tra la Santa Sede e il Terzo Reich e il conseguente ordine impartito attraverso i vescovi ai cattolici tedeschi di sciogliere il partito del Centro Cattolico e il Partito cristiano-sociale bavarese.

Non si tratterebbe di ingiusto appello al primato della coscienza disattendere l'insegnamento del Papa in materia di aborto, eutanasia, così detti patti di solidarietà sociale, se si ritenesse di approvare leggi civili secondo il criterio del "male minore", se a esempio, qualora i deputati e senatori cattolici dichiarassero di volere votare contro siffatti provvedimenti e il governo minacciasse per ritorsione di denunziare il concordato o di abolire l'insegnamento della religione, il giudizio sul "che fare" sarebbe di competenza dei politici per quanto attiene alla credibilità della minaccia, ma del Papa e dei vescovi, per quanto attiene alla ponderazione degli interessi.

Grande influenza ha poi avuto John Henry Newman nell'esaltazione del laicato, e nella definizione della sua posizione e della sua funzione nella Chiesa. Già nel suo famoso saggio sugli ariani o precisamente sull'arianesimo, dottrina cristologica elaborata da Ario e condannata come eresia dal primo concilio di Nicea - saggio nel quale cominciò a esternare i suoi dubbi sull'adesione di tutta la Chiesa d'Inghilterra ai principi stabiliti dagli antichi concili - egli aveva messo in luce come di fronte all'imperatore e alla stessa grande maggioranza dei vescovi che avevano aderito alla dottrina di Ario o che tacevano, furono i laici, i semplici fedeli, che tennero salda la retta fede e rimasero nell'ortodossia e a essa assicurarono la fedeltà della Chiesa.

Questa dottrina della funzione del laicato John Henry Newman sviluppò, poi, da cattolico, nel saggio pubblicato nell'ultimo numero del periodico cattolico inglese "The Rambler", fondato da lord Acton e di cui questi gli aveva ceduto la direzione nella speranza di evitare che i vescovi inglesi ne ordinassero la chiusura. Di fronte a monsignor Talbot, che affermava che i laici cattolici dovevano limitarsi ad andare a caccia e a pesca, giocare a cricket, sostentare la Chiesa, organizzare banchetti e fare figli, nel saggio intitolato Sulla consultazione dei fedeli laici in materia di fede, egli spiegò come il popolo di Dio, tutto il popolo di Dio e quindi anche i laici, sia soggetto di infallibilità e come quindi sia non soltanto lecito ma doveroso "sentire i laici in materia di fede".

A conferma della sua tesi, egli ricordò come Pio IX, prima di proclamare il dogma dell'Immacolata Concezione, avesse chiesto ai vescovi non solo cosa essi pensassero, ma cosa pensasse il popolo di Dio. Questo saggio fece precipitare la situazione, perché da alcuni fu considerato eretico o almeno apud haeresim. Già, perché fino a quando - nonostante l'opposizione di un altro convertito, il cardinale Manning, il vescovo ultramontano - Leone xiii lo fece cardinale, John Henry Newman fu spesso sospettato di eterodossia e molto soffrì non solo pro Ecclesia, ma anche propter Ecclesiam!

Il terzo per così dire "spazio conciliare" nel quale fu grande l'influenza del pensiero di John Henry Newman - giustamente definito, dopo la sua morte, "un profeta e un genio" - fu quello del ritorno dello studio teologico e della stessa catechesi alla Bibbia e ai Padri della Chiesa, cui ampiamente si riferirono i padri conciliari:  sul ritorno alla Bibbia si sono fatti molti passi avanti (pensiamo all'ultimo Sinodo dei vescovi).

L'originale dottrina di Newman sullo sviluppo del dogma, dottrina che non vuole certo contraddire quanto sempre affermato dalla Chiesa (essersi la Rivelazione chiusa e conclusa con la predicazione degli apostoli), ha posto in luce, cosa ormai pacificamente accettata, che la storia, la storia dell'uomo, nella quale si è manifestata la Rivelazione e si svolge la storia della sua salvezza, questa storia con le ricerche e l'esperienza umana dilata e precisa il significato del dogma, ne amplia gli orizzonti, lo sviluppa, insomma. E questo vale anche per l'insegnamento ordinario del Papa e dei vescovi.

Così, la storia, la storia della libertà, la storia della libertà dei popoli, ha dato un diverso significato a quanto nell'insegnamento di Pio IX, particolarmente nel Sillabo, sembrava - e forse nell'intenzione privata del Papa era davvero - la condanna del concetto di sovranità popolare, la "inaudita pretesa dei governati a scegliersi i propri governanti" - principio della sovranità popolare invero già affermato e teorizzato dai teologi e dai giuristi gesuiti del XVII secolo, tra i quali il sommo padre Francisco Suarez -, dovendo essere interpretato invece nel senso che "la maggioranza dei voti non fa del falso il vero né dell'ingiusto il giusto".

Così la vittoria dell'Unione antischiavista contro la Confederazione schiavista nella Guerra Civile americana servì a illuminare quei vescovi cattolici del Sud che difendevano la schiavitù dei neri, argomentando che la loro cattura in Africa, il loro trasporto nelle Americhe, nazioni cristiane, in quanto utile al loro indottrinamento cristiano e alla loro salvezza eterna, poteva se non giustificare, controbilanciare la loro riduzione in schiavitù al servizio di bianchi.

E così la persecuzione degli ebrei culminata con la Shoah modificò radicalmente non solo l'atteggiamento, ma lo stesso pensiero non dico teologico, ma per così dire pratico, di gran parte della Chiesa nei confronti degli ebrei, in particolare per la testimonianza di fede culminata nel martirio di sante come Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, o la testimonianza di vescovi come quello di Münster, il beato Graf von Galen, o di Berlino, Konrad von Preysing.

Svolta epocale nel rapporto con l'ebraismo, inoltre, è quella costituita dall'insegnamento e dalla prassi di Giovanni Paolo II che, per primo, visitò una sinagoga in Roma, sua sede episcopale e capitale della cristianità, là ove un tempo i giudei erano stati rinchiusi nel ghetto da Papi precedenti, di cui uno, Pio IX, è stato peraltro da lui stesso proclamato beato, e chiamò coloro che per secoli erano stati definiti nella stessa liturgia del Venerdì Santo come i "deicidi", addirittura "nostri fratelli maggiori".

Per questo sbaglia chi, abbagliato da sole parvenze, considera il concilio vaticano II come un "concilio di rottura" rispetto agli altri concili, in particolare il concilio di Trento e il concilio Vaticano i, e non invece il "concilio del rinnovamento nella continuità", un concilio che ha annunziato verità, come la collegialità episcopale, che erano già comprese nella Rivelazione, Nuovo Testamento e Tradizione, che si sono venute disvelando nella storia e che sono state per così dire "illuminate" nella storia della Chiesa che è parte, o meglio, comprende la storia per così dire "profana", la storia della Città dell'uomo, attraverso la ricerca, lo studio, la meditazione, la preghiera e la testimonianza non solo di vescovi e teologi, ma anche dell'intero popolo di Dio. Può certo considerarsi un miracolo intellettuale che John Henry Newman avesse compreso e formulato questa legge di sviluppo della Chiesa nella, attraverso e grazie alla storia, che è sempre, in un Suo misterioso disegno, la storia di Dio.

Per quanto attiene all'ecumenismo, fu sempre John Henry Newman che pose in evidenza, da anglicano e da cattolico, ciò che univa le Chiese cristiane, pur non sottacendo cosa le divideva. Nel suo Tract 90, l'ultimo dei famosi Tracts for The Times - la collezione di saggi anonimi pubblicata dai grandi autori del Movimento di Oxford per combattere l'ispirazione liberaleggiante e protestante di parte della Chiesa d'Inghilterra, della quale essi volevano esaltare invece i tratti di cattolicità e di apostolicità -, Newman, per avvicinare le Chiese di Canterbury e di York alla Chiesa di Roma, tentò di dare un'interpretazione dei famosi Trentanove Articoli di Fede della Chiesa d'Inghilterra che fosse conforme all'insegnamento del Concilio di Trento:  venne subito la condanna prima da parte del vescovo anglicano di Oxford e poi di tutti i vescovi della Chiesa d'Inghilterra, e fu la fine sia dei Tracts sia del Movimento di Oxford, e l'inizio di quel cammino che doveva portare nella Chiesa cattolica romana l'allievo del Trinity College, il fellow e tutor dell'Oriel College e parroco della Chiesa universitaria anglicana di Saint Mary the Virgin e della Chiesa di Littlemore - piccolo centro nel quale egli poi si ritirò per tre anni con alcuni suoi amici per studiare, meditare e pregare -; e tra poco, infine, alla sua proclamazione come beato.

John Henry Newman è stato il grande ispiratore dell'ecumenismo. Da teologo anglicano egli fu un sostenitore della cosiddetta Via Media, una terza via tra protestantesimo luterano e calvinista e cattolicesimo romano; ma in questa sua visione egli pensava di creare un ponte di dialogo tra le varie confessioni cristiane. E anche quando scrisse il Tract 90 pensava di gettare un ponte tra la "sua Chiesa", la Chiesa d'Inghilterra, e quella che cominciava a sentire parimenti "sua", la Chiesa cattolica di Roma:  Chiese che riteneva già unite dai caratteri dell'universalità e dell'apostolicità.






(©L'Osservatore Romano - 17-18 agosto 2010)

Caterina63
00mercoledì 18 agosto 2010 12:53

Francesco Cossiga: R.I.P.

Dedichiamo questo post (dal Blog Messainlatino) alla memoria di Francesco Cossiga, ex Presidente della Repubblica, ieri deceduto. Non ci interessa, ovviamente, valutare il profilo politico dell'uomo di governo. Lo ricordiamo invece per due elementi particolari che ci stanno particolarmente a cuore. Il primo: il fatto che fosse lettore di Messainlatino.it, come ci risulta dal fatto di essersi iscritto alla nostra newsletter comunicandoci la sua mail privata (a proposito: il servizio di newsletter al momento è inattivo, specie per la difficoltà di gestire il gran numero di indirizzi; ma chi non l'avesse già fatto si iscriva - nella colonna a destra - poiché contiamo di riattivarlo presto). Il secondo punto che desideriamo sottolineare è la sostanziale conformità di vedute con l'ex Presidente sulla Chiesa e sui suoi uomini, come risulta, tra l'altro, dall'intervista rilasciata a suo tempo al sito Petrus che riportiamo:

di Bruno Volpe

CITTA’ DEL VATICANO - Il ‘picconatore’ per eccellenza ne ha per tutti. Questa volta è il turno del Cardinale Carlo Maria Martini, del suo successore sulla Cattedra di Sant’Ambrogio, Dionigi Tettamanzi, dei Gesuiti e dei progressisti. Come dire, gli anni passeranno pure, ma il Senatore a Vita Francesco Cossiga, già Presidente della Repubblica, continua a non guardare - orgogliosamente - in faccia a nessuno.

- Presidente, il Cardinale Martini non sembra piacerLe affatto…
“Per carità, è indubbiamente un fior di galantuomo e un insigne biblista, ma - e lo dico con amarezza - di teologia capisce ben poco, eppure non perde occasione per mettere in discussione ciò che fa o dice il Papa teologo”.

- Continui, prego…
“Guardi, Martini e la teologia vivono su pianeti diversi. Lo dimostra la prefazione scritta dal Cardinale all’ultimo libro del cosiddetto teologo laico Vito Mancuso”.

- Scommettiamo che non Le piace neanche il libro di Mancuso…
“E’ un libro che può piacere solo ai cattolici adulti, ma essendo io infante e in comunione con la Chiesa, non lo condivido”.

- Non vorrà mica dire che Martini non è in comunione con la Chiesa?
“Mi limiterò a dire che Martini ha giurato fedeltà al Papa eppure, sino ad oggi, ha quasi sempre preso posizioni contrastanti con la Chiesa. Liberissimo di farlo: se Santa Romana Chiesa e la Congregazione per la Dottrina della Fede non hanno preso posizione, significa che lui ha ragione ed io torto. Naturalmente, la mia è una provocazione…“.

- Presidente, quale consiglio darebbe a Martini?
“Alla sua età dica basta, taccia e si ritiri a vita privata: ha già dato, ormai non è più la sua epoca. Ma purtroppo, veda, è in buona compagnia: prenda il Cardinale Lehmann della Conferenza episcopale tedesca o l’attuale Arcivescovo ‘buonista’ di Milano, il Cardinale Tettamanzi. Tra poco farà ballare nel Duomo anche le donne nude! Non c’è che dire, Tettamanzi è degno erede del suo predecessore!”.

- Vuole dare un consiglio anche a Tettamanzi?
“Certo. Rispetti il Motu Proprio del Papa sul rito tridentino invece di far il ‘bastian contrario’. E le danze tribali le organizzi in Africa, non nel Duomo di Milano”.

- Senatore Cossiga, torniamo a Martini. Sappiamo di un curioso retroscena…
“Faccio mea culpa: purtroppo, all’epoca, in quanto Presidente della Repubblica [rectius: del Consiglio dei Ministri], contribuii anch’io a farlo nominare Arcivescovo di Milano”.

- Come sarebbe a dire?
“Con il vecchio Concordato ci voleva la mia controfirma per rendere valida la sua nomina ed io ho dovuto firmare. Avrei dovuto diffidare di lui, è un gesuita”.

- Essere Gesuita è un peccato grave?
“Martini ha la mentalità tipica del progressista, che fa tanto snob. Eppure i Gesuiti sono il braccio armato della Chiesa. Curiosamente prima erano reazionari, poi hanno cavalcato la tigre del progressismo sfrenato, si sono persino rifatti alla teologia della liberazione. La cosa più grave è che non vengono mai richiamati all’ordine dalla Santa Sede. Un mistero…”.

- Veniamo al Concilio Vaticano II…
“Caro Volpe, io non sono contro il Concilio, ma censuro l’ermeneutica rivoluzionaria e progressista che ne è seguita e che sembra di moda sbandierare ancora oggi sotto le insegne del cosiddetto ‘cattobuonismo’. Lo stesso ‘cattobuonismo’ di Martini, tanto per intenderci. Ma poi, cosa vuole, io sono fedele sia al teologo Joseph Ratzinger che al Papa Benedetto XVI: siamo sicuri che lo siano anche i vari Martini e Tettamanzi?”.








Caterina63
00mercoledì 18 agosto 2010 16:04
LA VISITA

Cossiga da Ratzinger Pastasciutta e barzellette


BOLZANO — Cossiga è stato ricevuto dal Papa. Un incontro tra amici all'insegna dell'allegria. L'ex presidente: «Gli porto fortuna».

di DAMIANO VEZZOSI

Le vacanze di Ratzinger Pastasciutta nel menu. «Il Pontefice ama schernirsi dicendo che capisce un po' di teologia»

Cossiga dal Papa: «Io gli porto fortuna»

L'ex capo dello Stato: pranzammo a Bressanone anche prima della sua elezione
«Non si è parlato di politica. Abbiamo ricordato che l'ultima volta poteva ancora camminare per le strade»


BOLZANO — «Il Papa sta benissimo, è allegrissimo, rideva di gusto quando gli raccontavo le barzellette». Il presidente emerito Francesco Cossiga ieri ha pranzato con Benedetto XVI a Bressanone, descrivendo dopo un pontefice in gran forma. Circa due ore trascorse al Seminario maggiore in compagnia del Santo padre, del rettore del seminario Ivo Musner e della sua «famiglia» come anche Cossiga l'ha chiamata.

Il presidente emerito è in vacanza in val Gardena e «ha più volte espresso il desiderio di incontrare il Santo Padre, manifestando per lui stima e apprezzamento — come ha spiegato padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana — Il Papa ha deciso di invitarlo, cogliendo l'occasione anche del suo recente compleanno». Il piccolo corteo blindato del presidente emerito ha varcato il cancello intorno alle 12,30. Ad attenderlo una piccola folla di curiosi in attesa, a dire il vero, dell'uscita del Papa più che dell'ingresso di qualcuno.

Cossiga è uscito intorno alle 14,30 recandosi a visitare il comando della stazione compagnia carabinieri di Bressanone. Poco dopo ha incontrato i giornalisti. «Abbiamo parlato di ricordi comuni», ha detto l'ex presidente della Repubblica, subito dopo la visita.
«Ho scherzato sul fatto che gli ho portato fortuna. L'ultima volta che ci siamo visti, qui a Bressanone, era il 2004 e, dopo otto mesi, lui è stato eletto Papa». Il menu è stato semplice: pastasciutta.

Inevitabile la domanda sul contenuto del colloquio, prevedibile la risposta. «Non abbiamo parlato di politica — ha assicurato l'ex presidente — Con il Papa non si parla di politica, certi temi si affrontano col segretario di Stato vaticano ».
Un breve commento alle voci di un incontro con il cancelliere tedesco Angela Merkel. «Per far incontrare due Capi di Stato le cancellerie si mettono al lavoro mesi prima — ha spiegato Cossiga — Non è che perché entrambi sono tedeschi allora è più facile ».

Cossiga ha anche ricordato di conoscere Ratzinger sin dal 1982, quando era teologo, e di averne coltivato l'amicizia quando divenne arcivescovo di Monaco e successivamente quando assunse l'incarico di prefetto per la dottrina della Fede. «È uno degli uomini più intelligenti e colti che io abbia mai conosciuto — ha affermato —. È anche una persona che si schernisce. Di sè stesso dice: "Sono uno che capisce qualcosa di teologia".
C'è anche un'altra cosa che non capisco: molti non credono che sia una persona estremamente allegra».

L'ex presidente della Repubblica ha anche raccontato un aneddoto per testimoniare la cultura del pontefice. «Quando Napolitano è diventato presidente della Repubblica — ha raccontato —, come da tradizione ha offerto un concerto al Papa nella sala Paolo VI. Il programma prevedeva musiche di Brahms. Bene, il Papa ha iniziato a parlare dimostrandosi uno storico musicale di Brahms di grande spessore».

Quando si erano visti l'ultima volta a Bressanone, nel 2004, Ratzinger — ha rievocato Cossiga — poteva ancora passeggiare liberamente per le strade della cittadina. «Adesso non più. Del resto— ha commentato — nemmeno io posso passeggiare liberamente — e, per fortuna della Chiesa e mia, non sono Papa ».

 Corriere dell'Alto Adige, 8 agosto 2008


Interessante anche questo passo scritto da Barile dal sito Petrus per ricordare Cossiga:  
 
 Indimenticabile la dichiarazione che ci rilasciò, all’epoca del Governo Prodi, sulla decisione di rivedere i benefici concessi alla Chiesa (in particolare l’esenzione dell’Ici).  
 ‘Presidente, è d’accordo con il premier?’, gli chiedemmo. E lui, sornione, esclamò:  
 “Come no… Anzi, di più: consiglio al cattolico adulto Prodi, sentiti i suoi fedelissimi, di mandare i marines sull’altra sponda del Tevere, di far occupare militarmente il Vaticano, di imprigionare il Papa, abolire i Trattati Lateranensi e ripristinare la Legge delle guarantige...". Laughing  
 
Quando fu pubblicata l’Enciclica ‘Spe Salvi’, fu lo stesso Cossiga a contattarci:  
“Scrivete pure che mi è piaciuta addirittura più di quella precedente dedicata alla Carità. Se qualcuno avesse mai avuto dei dubbi, adesso è accontentato: Benedetto XVI è, nei fatti, già Dottore della Chiesa ed uno dei più grandi Pontefici della storia della Chiesa. Io lo definirei così: il cervello di Dio”.  
 
 Tanti, tantissimi i dialoghi con il Presidente. L’ultimo, solo poche settimane fa.  
 “L’ora è giunta e le valigie sono pronte”, disse.  
E aggiunse:  
 “Sono prossimo agli 82 anni e non mi posso lamentare. E poi, come amava ripetere Giovanni XXIII, ‘siamo fatti di Cielo’, quindi dobbiamo essere lieti di tornare lassù”.  
Siccome queste frasi ci sembrarono di cattivo presagio, provammo a sdrammatizzare:  
‘Presidente, non si abbatta, è ancora giovane e forte’.  
Replicò ironicamente: “Qui l’unico che viaggia ancora giovane e forte è Andreotti. Sta a vedere che ha fatto davvero il patto col diavolo...”.  
 
‘Presidente, ma chi vorrebbe incontrare subito in Paradiso?’. La domanda arrivò spontanea per la facilità con cui Cossiga stava parlando della morte. Asserì: “I familiari che mi hanno preceduto. E un amico morto da innocente...”. ‘Chi?’. “Aldo Moro”. La voce del Presidente si ruppe dall’emozione e ci congedammo. Il ‘picconatore’ aveva appena ceduto il posto all’uomo.  
 

                        




Caterina63
00mercoledì 18 agosto 2010 16:15

Il 18 settembre 2007 il Senatore Cossiga consegnò al Segretario Generale del Senato 4 lettere indirizzate alle massime cariche dello Stato - Presidente della Repubblica, Presidente del Senato, Presidente della Camera, Presidente del Consiglio dei Ministri - con la richiesta di consegnarle ai destinatari al momento del suo decesso.

Di seguito il testo della lettera del Senatore Cossiga al Presidente del Senato.
si invita a leggerla e a meditare le poche ma interessantissime righe di un Testamento che ha valore davanti a Dio...


Onorevole Presidente del Senato della Repubblica,

nel momento in cui il giudizio sulla mia vita è misurato da Dio Onnipotente sulle verità in cui ho creduto e che ho testimoniato e sulla giustizia e carità che ho praticato, professo la mia Fede Religiosa nella Santa Chiesa Cattolica e confermo la mia fede civile nella Repubblica, comunità di liberi ed uguali e nella Nazione italiana che in essa ha realizzato la sua libertà e la sua unità.

Fu per me un onore grande servire la Repubblica, a cui sempre sono stato fedele; e sempre tenni per fermo onorare la Nazione ed amare la Patria. Fu per me un privilegio altissimo: rappresentare il Popolo Sovrano nella Camera dei Deputati prima, del Senato della Repubblica quale Senatore elettivo, Senatore di diritto e vita e Presidente di esso; e privilegio altissimo fu altresì servire lo Stato nel Governo della Repubblica quale membro di esso e poi Presidente del Consiglio dei Ministri ed infine nell'ufficio di Presidente della Repubblica.

Nel mio testamento, ho disposto che le mie esequie abbiano carattere del tutto privato, con esclusione di ogni pubblica onoranza e senza la partecipazione di alcuna autorità. Per quanto attiene le onoranze che i costumi e gli usi riservano di solito ai membri ed ex-Presidenti del Senato, agli ex-Presidenti del Consiglio dei Ministried agli ex-Presidenti della Repubblica, qualora Ella ed il Governo della Repubblica decidessero di darne luogo, è mia preghiera che ciò avvenga dopo le mie esequie, con le modalità, nei luoghi e nei tempi ritenuti opportuni.

Voglia porgere ai valorosi ed illustri Senatori il mio ultimo saluto ed il mio augurio più fervido di ben servire la Nazione e di ben governare la Repubblica al servizio del Popolo, unico sovrano del nostro Stato democratico.

Che Iddio protegga l'Italia!

Francesco Cossiga

Roma, 18 settembre 2007 A.D.

dal recente libro intervista di Cossiga con Andrea Cangini dal titolo "Fotti il potere. Gli arcana della politica e dell'umana natura", pag. 217, così rispondeva Cossiga:
 
 
"E' possibile che il popolo italiano torni a credere in un dio; e' certo che, se questo accadra', il dio in questione si chiamera' Allah."  
 

Caterina63
00mercoledì 18 agosto 2010 19:46
l cordoglio del Papa per la morte di Cossiga

Uomo cattolico di Stato
e insigne studioso


Benedetto XVI ha espresso il suo cordoglio per la morte del senatore Francesco Cossiga, presidente emerito della Repubblica Italiana - avvenuta a Roma nel primo pomeriggio di martedì 17 agosto - in un telegramma inviato ai due figli Giuseppe e Annamaria.

Spiritualmente vicino in questo momento di dolore per la morte del loro genitore Senatore Francesco Cossiga già Presidente della Repubblica Italiana desidero porgere le mie più sentite condoglianze con l'assicurazione della mia sincera partecipazione al grave lutto che colpisce anche l'intera Nazione italiana. Nel ricordare con affetto e gratitudine questo illustre uomo cattolico di Stato insigne studioso del diritto e della spiritualità cristiana che nelle pubbliche responsabilità ricoperte seppe adoperarsi con generoso impegno per la promozione del bene comune elevo fervide preghiere di suffragio invocando per la sua anima dalla Divina Bontà la pace eterna e di cuore imparto ai familiari tutti la confortatrice Benedizione Apostolica.

BENEDICTUS PP XVI

Analogo messaggio è stato inviato ai figli di Cossiga dal cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, il quale ha poi indirizzato il seguente telegramma al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Informato scomparsa Senatore Francesco Cossiga già Presidente della Repubblica Italiana et per lungo tempo protagonista della vita pubblica et generoso servitore delle Istituzioni di codesto Paese Sommo Pontefice desidera far pervenire at Vostra Eccellenza et intera Nazione italiana espressione suo profondo cordoglio mentre eleva fervide preghiere di suffragio per illustre et caro defunto.

Cardinale TARCISIO BERTONE
Segretario di Stato di Sua Santità



(©L'Osservatore Romano - 19 agosto 2010)

CANTICO di SIMEONE   Lc 2,29-32

Cristo, luce delle genti e gloria di Israele


Ora lascia, o Signore, che il tuo servo *
vada in pace secondo la tua parola;

perché i miei occhi han visto la tua salvezza *
preparata da te davanti a tutti i popoli,

luce per illuminare le genti *
e gloria del tuo popolo Israele.

Gloria al Padre e al Figlio
e allo Spirito Santo. *
Come era nel principio, e ora e sempre,
nei secoli dei secoli. Amen.

29 “ Nunc dimittis servum tuum, Domine,
secundum verbum tuum in pace,
30 quia viderunt oculi mei
salutare tuum,
31 quod parasti
ante faciem omnium populorum,
32 lumen ad revelationem gentium
et gloriam plebis tuae Israel ”.


Ant
. Nella veglia salvaci, Signore,
         nel sonno non ci abbandonare:
         il cuore vegli con Cristo 
         e il corpo riposi nella pace.


L'ETERNO RIPOSO

L'eterno riposo dona a lui, o Signore, e splenda per lui la luce perpetua. Riposi in pace.
 Amen.




Caterina63
00venerdì 3 settembre 2010 09:55


Nota di Massimo Introvigne
:
Nel 2007 Francesco Cossiga, con cui per molti anni ho mantenuto un rapporto prevalentemente telefonico (mi telefonava, di solito, al mattino presto per scambiare opinioni mai banali), lesse con grande interesse un mio commento a un documento del 2004 della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Lo ritenne d'importanza essenziale per l'atteggiamento di un cattolico parlamentare e per l'identificazione dei "principi non negoziabili" in tema di vita e di famiglia troppe volte sacrificati in nome di altri valori. Ne fece stampare a sua cura e spese un tascabile, che regalò a tutti i parlamentari.

Trascrivo la Sua introduzione, un mio brano da quel tascabile e il documento vaticano del 2004, unendomi con commozione al ricordo e alla preghiera per l'illustre defunto. Certamente io e Francesco Cossiga, la cui storia era tanto diversa da quella di un cattolico contro-rivoluzionario, eravamo in dissenso su molte cose. Ma questo testo mostra punti di convergenza significativi su un tema essenziale.

1. Il testo di Francesco Cossiga

Ritengo opportuno pubblicare un articolo dello studioso cattolico delle religioni Massimo Introvigne su Le priorità di Ratzinger, quali risultano dagli indirizzi da lui impartiti, con l'approvazione di Papa Giovanni Paolo II, quando egli era ancora solo cardinale e vescovo Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede e dai suoi successivi insegnamenti quale Papa, Vescovo di Roma e immediatamete e pienamente della Chiesa Universale.

In questo opuscolo viene pubblicata una Nota sulla dignità a ricevere la Santa Comunione trasmessa dal Card. Ratzinger, nella sua qualità di Prefetto, al Cardinale Theodore E. McCarrick, arcivescovo di Washington e all'arcivescovo Wilton D. Gregory, presidente della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti d'America, nel giugno del 1994.

La Nota era stata fino ad ora ritenuta riservata e solo alcuni passi ne erano conosciuti perché citati in note e discorsi dai vescovi americani, soprattutto in relazione al divieto di essere ammessi all'Eucarestia per chi appoggi la legislazione sull'aborto o anche solo il criterio della free choice.

La Nota affronta il problema della gerarchia o delle priorità dei valori che i politici cattolici devono osservare e quali di essi debbano essere puramente e semplicemente accettati come dichiarati dal Papa o dai vescovi (ad esempio tutela della vita dal concepimento alla morte naturale, e quindi lotta all'aborto, all'eutanasia e al testamento biologico, via certa ad essa), mentre altri possano essere oggetto di discussione nei casi concreti (guerra, operazioni militari in generee previsione e erogazione della pena di morte).

L'argomento penso sia di attualità per quei cattolici laici, e anche presbiteri e vescovi, che ritengono che ai valori della pace, che spesso riflettono un acritico pacifismo, della promozione ed equità sociale e della "lotta al capitalismo e al consumismo" possano e debbano essere sacrificate, in nome del "bene maggiore", la tutela del matrimonio e della famiglia tradizionale e quindi la ferma opposizione al riconoscimento delle unioni di fatto anche tra non eterosessuali.

Ringrazio di cuore Massimo Introvigne e il quotidiano il Giornale per avermene autorizzato la pubblicazione.

2. Dall'opuscolo fatto stampare e distribuire ai parlamentari da Francesco Cossiga Le priorità della Chiesa, a cura di Massimo Introvigne, Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo, Roma 2007 - Un testo di Massimo Introvigne, relativo al viaggio del Papa in Brasile nel 2007

Mentre in Italia la cronaca era dominata dal Family day - ma traendo ulteriore forza proprio da quell'evento - Benedetto XVI, con uno stile tranquillo e sorridente, ha lanciato in Brasile il programma di una vera e propria rivoluzione teologica, pensata anzitutto per l'immensa ma inquieta Chiesa dell'America Latina e tuttavia destinata a ripercussioni inevitabili anche da noi.

Già Giovanni Paolo II aveva invitato i cattolici latinoamericani ad abbandonare il marxismo come strumento per analizzare i problemi sociali, e a sostituire alla teologia della liberazione la dottrina sociale della Chiesa.
Ci sono ancora teologi ribelli ma la Chiesa di Roma, nei lunghi anni in cui la Congregazione per la Dottrina della Fede è stata guidata dal cardinale Ratzinger, questa battaglia l'ha vinta. Resta vivo però un dibattito sulla concreta applicazione della dottrina sociale cattolica alla politica. Dal momento che i politici la cui visione del mondo corrisponde integralmente a quella della Chiesa sono pochi, quali temi usare come cartina di tornasole al momento delle scelte?

Per molti vescovi, non solo sudamericani, i temi centrali sono quelli della pace (spesso, ahimè, scambiata con il pacifismo) e di politiche socio-economiche presentate come più favorevoli ai poveri. Sulla base di questi criteri molti vescovi brasiliani hanno sostenuto Lula, nonostante le sue aperture all'aborto. Né il problema è solo latino-americano: per le stesse ragioni da noi tanti preti e qualche vescovo continuano a sostenere Prodi, anche dopo il Family day e nonostante i Dico.

Benedetto XVI in Brasile ha rovesciato il quadro. Riprendendo i temi del documento sulla «Dignità a ricevere la santa comunione» che come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede aveva trasmesso ai vescovi degli Stati Uniti nel 2004, quando si trattava di scegliere fra Bush e Kerry, ha sistematicamente distinto nella dottrina sociale fra questioni «essenziali» e questioni, che pure importanti, «non hanno lo stesso peso». Così mentre per i politici (cui su questi temi può perfino essere negata la comunione) e gli elettori c'è un «grave e preciso obbligo» di opporsi all'aborto, all'eutanasia e al matrimonio omosessuale, su complesse questioni che attengono alla pace, all'economia e alla giustizia «ci può essere una legittima diversità di opinione anche tra i cattolici»: per esempio, «sul fare la guerra e sull'applicare la pena di morte».

Questo non significa che la pace, l'aiuto ai poveri e anche la tutela dell'ambiente in Amazzonia - tutti temi evocati da Benedetto XVI in Brasile - non stiano a cuore alla Chiesa. Non è così: ma la rivoluzione di Papa Ratzinger riguarda la scelta delle priorità, e di quali valori siano effettivamente non negoziabili. Il messaggio che arriva dal Brasile è chiaro. L'unità dei cattolici e il giudizio sui politici che pretendono di rappresentarli si giocano sul terreno della vita e della famiglia, dove le posizioni sono anche più semplici e chiare. La questione del riconoscimento delle unioni omosessuali si risolve con un sì o un no, mentre valutare posizioni politiche su temi come «la pace» o «la legalità» richiede analisi complesse. Non vale quindi fare sconti a Lula o a Prodi perché si apprezza qualche loro convinzione personale o programma sociale, o qualche punto della loro politica estera. Se Lula è per l'aborto, e Prodi per i Dico, il cittadino cattolico ha non solo il diritto, ma il dovere, di negare ai rispettivi governi il suo sostegno e il suo voto.

3. Il documento del 2004 della Congregazione per la Dottrina della Fede

Dignità a ricevere la Santa Comunione. Principi generali

Nota trasmessa dal cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, al cardinale Theodore E. McCarrick, arcivescovo di Washington, e all'arcivescovo Wilton Gregory, presidente della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, giugno 2004

1. Presentarsi a ricevere la Santa Comunione dovrebbe essere una decisione consapevole, fondata su un giudizio ragionato riguardante la propria dignità a farlo, secondo i criteri oggettivi della Chiesa, ponendo domande del tipo: "Sono in piena comunione con la Chiesa cattolica? Sono colpevole di peccato grave? Sono incorso in pene (ad esempio scomunica, interdetto) che mi proibiscono di ricevere la Santa Comunione? Mi sono preparato digiunando almeno da un ora?". La pratica di presentarsi indiscriminatamente a ricevere la Santa Comunione, semplicemente come conseguenza dell'essere presente alla Messa, è un abuso che deve essere corretto (cfr. l'istruzione "Redemptionis Sacramentum", nn. 81, 83).

2. La Chiesa insegna che l'aborto o l'eutanasia è un peccato grave. La lettera enciclica "Evangelium Vitae", con riferimento a decisioni giudiziarie o a leggi civili che autorizzano o promuovono l'aborto o l'eutanasia, stabilisce che c'è un "grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di coscienza. [...] Nel caso di una legge intrinsecamente ingiusta, come è quella che ammette l'aborto o l'eutanasia, non è mai lecito conformarsi ad essa, 'né partecipare ad una campagna di opinione in favore di una legge siffatta, né dare ad essa il suffragio del proprio voto'" (n. 73). I cristiani "sono chiamati, per un grave dovere di coscienza, a non prestare la loro collaborazione formale a quelle pratiche che, pur ammesse dalla legislazione civile, sono in contrasto con la legge di Dio. Infatti, dal punto di vista morale, non è mai lecito cooperare formalmente al male. [...]
Questa cooperazione non può mai essere giustificata né invocando il rispetto della libertà altrui, né facendo leva sul fatto che la legge civile la prevede e la richiede" (n. 74).

3. Non tutte le questioni morali hanno lo stesso peso morale dell'aborto e dell'eutanasia. Per esempio, se un cattolico fosse in disaccordo col Santo Padre sull'applicazione della pena capitale o sulla decisione di fare una guerra, egli non sarebbe da considerarsi per questa ragione indegno di presentarsi a ricevere la Santa Comunione. Mentre la Chiesa esorta le autorità civili a perseguire la pace, non la guerra, e ad esercitare discrezione e misericordia nell'applicare una pena a criminali, può tuttavia essere consentito prendere le armi per respingere un aggressore, o fare ricorso alla pena capitale. Ci può essere una legittima diversità di opinione anche tra i cattolici sul fare la guerra e sull'applicare la pena di morte, non però in alcun modo riguardo all'aborto e all'eutanasia.

4. A parte il giudizio di ciascuno sulla propria dignità a presentarsi a ricevere la Santa Eucaristia, il ministro della Santa Comunione può trovarsi nella situazione in cui deve rifiutare di distribuire la Santa Comunione a qualcuno, come nei casi di scomunica dichiarata, di interdetto dichiarato, o di persistenza ostinata in un peccato grave manifesto (cfr. can. 915).

5. Riguardo al peccato grave dell'aborto o dell'eutanasia, quando la formale cooperazione di una persona diventa manifesta (da intendersi, nel caso di un politico cattolico, il suo far sistematica campagna e il votare per leggi permissive sull'aborto e l'eutanasia), il suo pastore dovrebbe incontrarlo, istruirlo sull'insegnamento della Chiesa, informarlo che non si deve presentare per la Santa Comunione fino a che non avrà posto termine all'oggettiva situazione di peccato, e avvertirlo che altrimenti gli sarà negata l'Eucaristia.

6. Qualora "queste misure preventive non avessero avuto il loro effetto o non fossero state possibili", e la persona in questione, con persistenza ostinata, si presentasse comunque a ricevere la Santa Eucaristia, "il ministro della Santa Comunione deve rifiutare di distribuirla" (cfr. la dichiarazione del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, "Santa comunione e cattolici divorziati e risposati civilmente", 2000, nn. 3-4). Questa decisione, propriamente parlando, non è una sanzione o una pena. Né il ministro della Santa Comunione formula un giudizio sulla colpa soggettiva della persona; piuttosto egli reagisce alla pubblica indegnità di quella persona a ricevere la Santa Comunione, dovuta a un'oggettiva situazione di peccato.

[N.B. Un cattolico sarebbe colpevole di formale cooperazione al male, e quindi indegno di presentarsi per la Santa Comunione, se egli deliberatamente votasse per un candidato precisamente a motivo delle posizioni permissive del candidato sull'aborto e/o sull'eutanasia. Quando un cattolico non condivide la posizione di un candidato a favore dell'aborto e/o dell'eutanasia, ma vota per quel candidato per altre ragioni, questa è considerata una cooperazione materiale remota, che può essere permessa in presenza di ragioni proporzionate.]


                                                                                  

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