ESORTAZIONE APOSTOLICA: Evangelii gaudium

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Caterina63
00martedì 19 novembre 2013 21:25

EVANGELII GAUDIUM
Lettera Apostolica di Papa Francesco

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  Così ha spiegato mons. Fisichella a Radio Vaticana per il programma della chiusura dell'Anno della Fede:
“Nel programma originario doveva essere consegnata la Lettera Enciclica di Papa Benedetto XVI. Poi sappiamo cosa è avvenuto a febbraio, ciò che è avvenuto a marzo, e la decisione anche da parte del Santo Padre, Papa Francesco, di pubblicare la sua Enciclica sulla fede Lumen Fidei nel corso dell’anno. Quindi con l’Esortazione apostolica, l’Anno della Fede si conclude ma l’impegno continua con l’evangelizzazione”.



  Il Papa chiude l’Anno della Fede e consegna l'Esortazione apostolica "Evangelii gaudium"



Una “provvidenziale iniziativa” per “riscoprire la bellezza del cammino di fede”: così Francesco nella Messa di chiusura dell’Anno della Fede, celebrata in piazza San Pietro, nella Solennità di Cristo Re dell’Universo. Circa 60 mila i fedeli giunti dai cinque continenti per partecipare all’evento, che è stato coronato dalla consegna da parte del Papa a vari rappresentanti della Chiesa e della società dell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium (La gioia del Vangelo). Il rito eucaristico è stato preceduto da una colletta per le vittime del tifone Haiyan nelle Filippine. Altra novità è stata l’esposizione al pubblico per la prima volta delle reliquie di San Pietro, custodite nella Cappella dell’appartamento pontificio. Il servizio di Roberta Gisotti:RealAudioMP3 

Il primo “pensiero pieno di affetto e riconoscenza” di Francesco è andato a Benedetto XVI, che l’11 ottobre del 2012 ha aperto l’Anno della Fede, a 50 anni dal Concilio Vaticano II:

“Con tale provvidenziale iniziativa, egli ci ha offerto l’opportunità di riscoprire la bellezza di quel cammino di fede che ha avuto inizio nel giorno del nostro Battesimo, che ci ha resi figli di Dio e fratelli nella Chiesa”.

Subito dopo, il Papa ha salutato i patriarchi e gli arcivescovi maggiori delle Chiese orientali cattoliche presenti alla Messa:

“Lo scambio della pace, che compirò con loro, vuole significare anzitutto la riconoscenza del Vescovo di Roma per queste comunità, che hanno confessato il nome di Cristo con una esemplare fedeltà, spesso pagata a caro prezzo”. 

E per loro tramite, il Papa si è rivolto a tutti i fedeli in Oriente:

“…con questo gesto intendo raggiungere tutti i cristiani che vivono nella Terra Santa, in Siria e in tutto l’Oriente, al fine di ottenere per tutti il dono della pace e della concordia”.

Entrando quindi nel vivo delle letture bibliche, Papa Francesco ha messo in evidenza “la centralità di Cristo. Cristo centro della creazione, Cristo centro del popolo, Cristo centro della storia”:

“Quando si perde questo centro, perché lo si sostituisce con qualcosa d’altro, ne derivano soltanto dei danni, per l’ambiente attorno a noi e per l’uomo stesso”. 

A Lui infatti – ha ricordato il Papa – “possiamo riferire le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce, di cui è intessuta la nostra vita”:

“Quando Gesù è al centro, anche i momenti più bui della nostra esistenza si illuminano, e ci dà speranza, come avviene per il buon ladrone nel Vangelo di oggi”. 
Rivolto al buon ladrone, “Gesù pronuncia solo la parola del perdono, non quella della condanna”, “quando l’uomo trova il coraggio di chiedere questo perdono” Gesù “non lascia mai cadere” la richiesta. Così Francesco in chiusura dell’Anno delle Fede:

“Ognuno di noi ha la sua storia; ognuno di noi, anche, ha i suoi sbagli, i suoi peccati, i suoi momenti felici e i suoi momenti bui. Ci farà bene, in questa giornata, pensare alla nostra storia e guardare Gesù e dal cuore ripetergli tante volte, ma con il cuore, in silenzio, ognuno di noi: 'Ricordati di me, Signore, adesso che sei nel tuo Regno! Gesù, ricordati di me, perché io ho voglia diventare buono, io ho voglia di diventare buona, ma non ho forza, non posso: sono peccatore, sono peccatore! Ma ricordati di me, Gesù: tu puoi ricordarti di me, perché tu sei al centro, tu sei proprio nel tuo Regno!'. Che bello!” 

In questa occasione, il Papa prima dell’Angelus ha voluto consegnare copia della sua Esortazione apostolica Evangelii gaudium a 36 rappresentanti della Chiesa e della società di 18 Paesi espressione dei cinque continenti, a voler partecipare a tutti la gioia dell’incontro con Cristo. Tra questi un vescovo, un sacerdote e un diacono - scelti tra i più giovani a essere ordinati - poi alcuni religiosi e religiose, dei cresimati, un seminarista, una novizia, una famiglia, dei catechisti un non vedente - cui Francesco ha consegnato un cd-rom - e poi dei giovani, delegati di confraternite e Movimenti. Infine, per il mondo della cultura, due artisti, uno scultore e una pittrice, a sottolineare il valore della bellezza nella creazione e due giornalisti, per rimarcarne l’importante ruolo a fianco alla Chiesa nell’opera di evangelizzazione.

Prima della Messa, altri due eventi di solidarietà e devozione hanno caratterizzato la celebrazione: la raccolta di offerte in denaro tra tutti i fedeli in piazza San Pietro per le vittime del tifone Haiyan nelle Filippine, di cui il Papa stesso disporrà le modalità di invio nei prossimi giorni. E l’esposizione delle reliquie di San Pietro, per la prima volta mostrate al di fuori della Cappella del Palazzo apostolico dove sono conservate in una speciale urna di bronzo, offerta in dono nel 1971 a Paolo VI e visibile ai fedeli in passato solo nella solennità di Santi Pietro e Paolo.

Nella preghiera dell’Angelus, Francesco ha rivolto un saluto particolare alla comunità ucraina nell’80mo anniversario dell’Holodomor, la "grande fame" provocata dal regime sovietico, che causò milioni di vittime. Poi, un pensiero riconoscente nel terzo centenario della nascita del beato Junipero Serra francescano spagnolo, “ai missionari che, nel corso dei secoli, hanno annunciato il Vangelo e sparso il seme della fede in tante parti del mondo.” 

Quindi, una preghiera speciale alla Madonna: 

“Invochiamo la protezione di Maria specialmente per i nostri fratelli e le nostre sorella che sono perseguitati a motivo della loro fede. ce ne sono tanti!”.





 
Caterina63
00martedì 26 novembre 2013 13:28

ESORTAZIONE APOSTOLICA
EVANGELII GAUDIUM
DEL SANTO PADRE
FRANCESCO
AI VESCOVI 
AI PRESBITERI E AI DIACONI
ALLE PERSONE CONSACRATE 
E AI FEDELI LAICI 
SULL' ANNUNCIO DEL VANGELO
NEL MONDO ATTUALE

 papa francesco

 

INDICE

La Gioia del Vangelo [1]

I.  Gioia che si rinnova e si comunica [2-8]

II. La dolce e confortante gioia di evangelizzare [9-13]

Un’eterna novità [11-13]

III. La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede [14-18]

Proposta e limiti di questa Esortazione [16-18]     

CAPITOLO PRIMO
LA TRASFORMAZIONE MISSIONARIA DELLA CHIESA

I. Una Chiesa in uscita [20-24]                         

Prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare e festeggiare [24]

II. Pastorale in conversione [25-33]                   

Un improrogabile rinnovamento ecclesiale [27-33]

III. Dal cuore del Vangelo [34-39]

IV. La missione che si incarna nei limiti umani [40-45]

V. Una madre dal cuore aperto  [46-49]             

CAPITOLO SECONDO
NELLA CRISI DELL'IMPEGNO COMUNITARIO

I. Alcune sfide del mondo attuale [52-75]        

No a un’economia dell’esclusione [53-54]
No alla nuova idolatria del denaro [55-56]
No a un denaro che governa invece di servire [57-58]
No all’inequità che genera violenza [59-60]
Alcune sfide culturali [61-67]
Sfide dell’inculturazione della fede [68-70]
Sfide delle culture urbane [71-75]                   

II. Tentazioni degli operatori pastorali [76-109]              

Sì alla sfida di una spiritualità missionaria [78-80]
No all’accidia egoista [81-83]
No al pessimismo sterile [84-86]
Sì alle relazioni nuove generate da Gesù Cristo [87-92]
No alla mondanità spirituale [93-97]
No alla guerra tra di noi [98-101]
Altre sfide ecclesiali [102-109]                      

CAPITOLO TERZO
L’ANNUNCIO DEL VANGELO

I. Tutto il Popolo di Dio annuncia il Vangelo [111-134]               

Un popolo per tutti [112-114]
Un popolo dai molti volti [115-118]
Tutti siamo discepoli missionari [119-121]
La forza evangelizzatrice della pietà popolare [122-126] 
Da persona a persona [127-129]
Carismi al servizio della comunione evangelizzatrice [130-131]
Cultura, pensiero ed educazione [132-134]     

II. L’omelia [135-144]                                      

Il contesto liturgico [137-138]
La conversazione di una madre [139-141]
Parole che fanno ardere i cuori [142-144]      

III. La preparazione della predicazione [145-159]    

Il culto della verità [146-148]
La personalizzazione della Parola [149-151]
La lettura spirituale [152-153]
In ascolto del popolo [154-155]
Strumenti pedagogici [156-159]                    

IV. Un’evangelizzazione per l’approfondimento del kerygma [160-175]                   

Una catechesi kerygmatica e mistagogica [163-168]
L’accompagnamento personale dei processi di crescita [169-173]
Circa la Parola di Dio [174-175]                

CAPITOLO QUARTO
LA DIMENSIONE SOCIALE DELL'EVANGELIZZAZIONE

I. Le ripercussioni comunitarie e sociali del kerygma [177-185]                 

Confessione della fede e impegno sociale [178-179]
Il Regno che ci chiama [180-181]
L'insegnamento della Chiesa sulle questioni sociali [182-185]                     

II. L’inclusione sociale dei poveri [186-216]    

Uniti a Dio ascoltiamo un grido [187-192]
Fedeltà al Vangelo per non correre invano [193-196]
Il posto privilegiato dei poveri nel Popolo di Dio [197-201]
Economia e distribuzione delle entrate [202-208]
Avere cura della fragilità [209-216]             

III. Il bene comune e la pace sociale [217-237]        

Il tempo è superiore allo spazio [222-225]
L’unità prevale sul conflitto [226-230]
La realtà è più importante dell’idea [231-233]
Il tutto è superiore alla parte [234-237]         

IV. Il dialogo sociale come contributo per la pace [238-258]                      

Il dialogo tra la fede, la ragione e le scienze [242-243]
Il dialogo ecumenico [244-246]
Le relazioni con l’Ebraismo [247-249]
Il dialogo interreligioso [250-254]
Il dialogo sociale in un contesto di libertà religiosa [255-258]                       

CAPITOLO QUINTO
EVANGELIZZATORI CON SPIRITO

I. Motivazioni per un rinnovato impulso missionario [262-283]               

L’incontro personale con l’amore di Gesù che ci salva [264-267]
Il piacere spirituale di essere popolo [268-274]
L’azione misteriosa del Risorto e del suo Spirito [275-280]
La forza missionaria dell’intercessione [281-283]   

II. Maria, la Madre dell’evangelizzazione [284-288]                       

Il dono di Gesù al suo popolo [285-286]
La Stella della nuova evangelizzazione [287-288]           

 


 





 
Caterina63
00martedì 26 novembre 2013 13:31
 dall'Esortazione, la conclusione guardando e pregando a Maria


La Stella della nuova evangelizzazione

287. Alla Madre del Vangelo vivente chiediamo che interceda affinché questo invito a una nuova tappa dell’evangelizzazione venga accolta da tutta la comunità ecclesiale. Ella è la donna di fede, che cammina nella fede,[214]e « la sua eccezionale peregrinazione della fede rappresenta un costante punto di riferimento per la Chiesa ».[215] Ella si è lasciata condurre dallo Spirito, attraverso un itinerario di fede, verso un destino di servizio e fecondità. Noi oggi fissiamo lo sguardo su di lei, perché ci aiuti ad annunciare a tutti il messaggio di salvezza, e perché i nuovi discepoli diventino operosi evangelizzatori.[216] In questo pellegrinaggio di evangelizzazione non mancano le fasi di aridità, di nascondimento e persino di una certa fatica, come quella che visse Maria negli anni di Nazaret, mentre Gesù cresceva: « È questo l’inizio del Vangelo, ossia della buona, lieta novella. Non è difficile, però, notare in questo inizio una particolare fatica del cuore, unita a una sorta di « notte della fede » – per usare le parole di san Giovanni della Croce – , quasi un « velo » attraverso il quale bisogna accostarsi all’Invisibile e vivere nell’intimità col mistero. È infatti in questo modo che Maria, per molti anni, rimase nell’intimità col mistero del suo Figlio, e avanzava nel suo itinerario di fede ».[217]

288. Vi è uno stile mariano nell’attività evangelizzatrice della Chiesa. Perché ogni volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto. In lei vediamo che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, che non hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti. Guardando a lei scopriamo che colei che lodava Dio perché « ha rovesciato i potenti dai troni » e « ha rimandato i ricchi a mani vuote » (Lc 1,52.53) è la stessa che assicura calore domestico alla nostra ricerca di giustizia. È anche colei che conserva premurosamente « tutte queste cose, meditandole nel suo cuore » (Lc 2,19).
Maria sa riconoscere le orme dello Spirito di Dio nei grandi avvenimenti ed anche in quelli che sembrano impercettibili. È contemplativa del mistero di Dio nel mondo, nella storia e nella vita quotidiana di ciascuno e di tutti. È la donna orante e lavoratrice a Nazaret, ed è anche nostra Signora della premura, colei che parte dal suo villaggio per aiutare gli altri « senza indugio » (Lc 1,39). Questa dinamica di giustizia e di tenerezza, di contemplazione e di cammino verso gli altri, è ciò che fa di lei un modello ecclesiale per l’evangelizzazione. Le chiediamo che con la sua preghiera materna ci aiuti affinché la Chiesa diventi una casa per molti, una madre per tutti i popoli e renda possibile la nascita di un mondo nuovo. È il Risorto che ci dice, con una potenza che ci riempie di immensa fiducia e di fermissima speranza: « Io faccio nuove tutte le cose » (Ap 21,5). Con Maria avanziamo fiduciosi verso questa promessa, e diciamole:

Vergine e Madre Maria,
tu che, mossa dallo Spirito,
hai accolto il Verbo della vita
nella profondità della tua umile fede,
totalmente donata all’Eterno,
aiutaci a dire il nostro “sì”
nell’urgenza, più imperiosa che mai,
di far risuonare la Buona Notizia di Gesù.
 
Tu, ricolma della presenza di Cristo,
hai portato la gioia a Giovanni il Battista,
facendolo esultare nel seno di sua madre.
Tu, trasalendo di giubilo,
hai cantato le meraviglie del Signore.
Tu, che rimanesti ferma davanti alla Croce
con una fede incrollabile,
e ricevesti la gioiosa consolazione della risurrezione,
hai radunato i discepoli nell’attesa dello Spirito
perché nascesse la Chiesa evangelizzatrice.
 
Ottienici ora un nuovo ardore di risorti
per portare a tutti il Vangelo della vita
che vince la morte.
Dacci la santa audacia di cercare nuove strade
perché giunga a tutti
il dono della bellezza che non si spegne.
 
Tu, Vergine dell’ascolto e della contemplazione,
madre dell’amore, sposa delle nozze eterne,
intercedi per la Chiesa, della quale sei l’icona purissima,
perché mai si rinchiuda e mai si fermi
nella sua passione per instaurare il Regno.
 
Stella della nuova evangelizzazione,
aiutaci a risplendere nella testimonianza della comunione,
del servizio, della fede ardente e generosa,
della giustizia e dell’amore verso i poveri,
perché la gioia del Vangelo
giunga sino ai confini della terra
e nessuna periferia sia priva della sua luce.
 
Madre del Vangelo vivente,
sorgente di gioia per i piccoli,
prega per noi.
Amen. Alleluia.

Dato a Roma, presso San Pietro, alla chiusura dell’Anno della fede, il 24 novembre, Solennità di N. S. Gesù Cristo Re dell’Universo, dell’anno 2013, primo del mio Pontificato.

 

FRANCISCUS

 


 




 

 
Caterina63
00martedì 26 novembre 2013 13:41

CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELL’ESORTAZIONE APOSTOLICA EVANGELII GAUDIUM DEL SANTO PADRE FRANCESCO SULL’ANNUNCIO DEL VANGELO NEL MONDO ATTUALE

● INTERVENTO DI S.E. MONS. RINO FISICHELLA

● INTERVENTO DI S.E. MONS. LORENZO BALDISSERI

● INTERVENTO DI S.E. MONS. CLAUDIO MARIA CELLI

Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, si tiene la conferenza stampa di presentazione dell’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium del Santo Padre Francesco sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale.
Intervengono: S.E. Mons. Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova Evangelizzazione; S.E. Mons. Lorenzo Baldisseri, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi e S.E. Mons. Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.
Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:

● INTERVENTO DI S.E. MONS. RINO FISICHELLA

Evangelii gaudium: l’Esortazione Apostolica di Papa Francesco scritta alla luce della gioia per riscoprire la sorgente dell’evangelizzazione nel mondo contemporaneo. Si potrebbe riassumere in questa espressione l’intero contenuto del nuovo documento che Papa Francesco offre alla Chiesa per delineare le vie di impegno pastorale che la riguarderanno da vicino nel prossimo futuro. Un invito a recuperare una visione profetica e positiva della realtà senza distogliere lo sguardo dalle difficoltà. Papa Francesco infonde coraggio e provoca a guardare avanti nonostante il momento di crisi, facendo ancora una volta della croce e risurrezione di Cristo il "vessillo della vittoria" (85).

A più riprese, Papa Francesco fa riferimento alle Propositiones del Sinodo dell’ottobre 2012, mostrando quanto il contributo sinodale sia stato un punto di riferimento importante per la redazione di questa Esortazione. Il testo, comunque, va oltre l’esperienza del Sinodo. Il Papa imprime in queste pagine non solo la sua esperienza pastorale precedente, ma soprattutto il suo richiamo a cogliere il momento di grazia che la Chiesa sta vivendo per intraprendere con fede, convinzione, ed entusiasmo la nuova tappa del cammino di evangelizzazione. Prolungando l’insegnamento di Evangelii nuntiandi, di Paolo VI, egli pone di nuovo al centro la persona di Gesù Cristo, il primo evangelizzatore, che oggi chiama ognuno di noi a partecipare con lui all’opera della salvezza (12). "L’azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa" (15) –afferma il Santo Padre- per questo è necessario cogliere il tempo favorevole per scorgere e vivere la "nuova tappa" dell’evangelizzazione (17). Essa si articola su due tematiche particolari che segnano la trama basilare dell’Esortazione. Da una parte, Papa Francesco si rivolge alle Chiese particolari perché, vivendo in prima persona le sfide e le opportunità proprie di ogni contesto culturale, siano in grado di proporre gli aspetti peculiari della nuova evangelizzazione nei loro Paesi. Dall’altra, il Papa traccia un denominatore comune per permettere a tutta la Chiesa, e ad ogni singolo evangelizzatore, di ritrovare una metodologia comune per convincersi che l’impegno di evangelizzazione è sempre un cammino partecipato, condiviso e mai isolato.

I sette punti, raccolti nei cinque capitoli dell’Esortazione, costituiscono le colonne fondanti della visione di Papa Francesco per la nuova evangelizzazione: la riforma della Chiesa in uscita missionaria, le tentazioni degli agenti pastorali, la Chiesa intesa come totalità del popolo di Dio che evangelizza, l’omelia e la sua preparazione, l’inclusione sociale dei poveri, la pace e il dialogo sociale, le motivazioni spirituali per l’impegno missionario. Il mastice che tiene unite queste tematiche si concentra nell’amore misericordioso di Dio che va incontro ad ogni persona per manifestare il cuore della sua rivelazione: la vita di ogni persona acquista senso nell’incontro con Gesù Cristo e nella gioia di condividere questa esperienza di amore con gli altri (8).


Il primo capitolo, quindi, si sviluppa alla luce della riforma in chiave missionaria della Chiesa, chiamata ad "uscire" da se stessa per incontrare gli altri. È la "dinamica dell’esodo e del dono dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre" (21), ciò che il Papa esprime in queste pagine. La Chiesa che deve fare sua "l’intimità di Gesù che è un’intimità itinerante" (23). Il Papa, come ormai siamo abituati, indugia in espressioni ad effetto e crea neologismi per far cogliere la natura stessa dell’azione evangelizzatrice. Tra tutte, quella di "primerear"; cioè Dio ci precede nell’amore indicando alla Chiesa il cammino da seguire. Essa non si trova in un vicolo cieco, ma ripercorre le orme stesse di Cristo (cfr1 Pt 2,21); pertanto, ha certezza del cammino da compiere. Questo non le fa paura, sa che deve "andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un inesauribile desiderio di offrire misericordia" (24). Perché questo avvenga, Papa Francesco ripropone con forza la richiesta della "conversione pastorale". Ciò significa, passare da una visione burocratica, statica e amministrativa della pastorale a una prospettiva missionaria; anzi, una pastorale in stato permanente di evangelizzazione(25). Come, infatti, ci sono strutture che facilitano e sostengono la pastorale missionaria, purtroppo "ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore" (26). La presenza di prassi pastorali stantie e rancide obbliga, quindi, all’audacia di essere creativi per ripensare l’evangelizzazione. In questo senso afferma il Papa: "Un’individuazione dei fini senza un’adeguata ricerca comunitaria dei mezzi per raggiungerli è condannata a tradursi in mera fantasia" (33).

È necessario, pertanto, "concentrarsi sull’essenziale"(35) e sapere che solo una dimensione sistematica, cioè unitaria, progressiva e proporzionata della fede può essere di vero aiuto. Ciò comporta per la Chiesa la capacità di evidenziare la "gerarchia delle verità" e il suo adeguato riferimento con il cuore del Vangelo (37-39). Ciò evita di cadere nel pericolo di una presentazione della fede fatta solo alla luce di alcune questioni morali come se queste prescindessero dal loro rapporto con la centralità dell’amore. Fuori da questa prospettiva, "l’edificio morale della Chiesa corre il rischio di diventare un castello di carte, e questo è il nostro peggior pericolo" (39). C’è un forte richiamo del Papa, quindi, perché si giunga a un sano equilibrio tra il contenuto della fede e il linguaggio che lo esprime. Può accadere, a volte, che la rigidità con cui si intende conservare la precisione del linguaggio, vada a danno del contenuto, compromettendo la visione genuina della fede(41).

Un passaggio certamente importante, in questo capitolo, è il n. 32 dove Papa Francesco mostra l’urgenza per portare a termine alcune prospettive del Vaticano II. In particolare il compito dell’esercizio del Primato del Successore di Pietro, e delle Conferenze Episcopali. Già Giovanni Paolo II in Ut unum sint, aveva avanzato una richiesta di aiuto per comprendere meglio i compiti del Papa nel dialogo ecumenico. Ora, Papa Francesco prosegue su questa richiesta e vede che una più coerente forma di aiuto potrebbe giungere se si sviluppasse ulteriormente lo Statuto delle Conferenze Episcopali. Un ulteriore passaggio di particolare intensità, per le conseguenze che porterà nella pastorale, sono i nn. 38-45: il cuore del Vangelo "si incarna nei limiti del linguaggio umano". La dottrina, cioè, si inserisce nella "gabbia del linguaggio" –per usare un’espressione cara a Wittgenstein- ciò comporta l’esigenza di un reale discernimento tra la povertà e i limiti del linguaggio con la ricchezza –spesso ancora sconosciuta- del contenuto di fede. Il pericolo che la Chiesa possa a volte non considerare questa dinamica è reale; può succedere, quindi, che su alcune posizioni vi sia un arroccamento ingiustificato con il rischio di sclerotizzare il messaggio evangelico senza percepirne più la dinamica propria dello sviluppo.

Il secondo capitolo è dedicato a recepire le sfide del mondo contemporaneo e a superare le facili tentazioni che minano la nuova evangelizzazione. In primo luogo, afferma il Papa, è necessario recuperare la propria identità senza avere complessi di inferiorità che portano poi ad "occultare la propria identità e le convinzioni… che finiscono per soffocare la gioia della missione in una specie di ossessione per essere come tutti gli altri e per avere quello che gli altri possiedono" (79). Ciò fa cadere i cristiani in un "relativismo ancora più pericoloso di quello dottrinale" (80), perché intacca direttamente lo stile di vita dei credenti. Avviene così, che in molte espressioni della nostra pastorale le iniziative risentano di pesantezza perché al primo posto viene messa l’iniziativa e non la persona. Sostiene il Papa, che la tentazione di una "spersonalizzazione della persona" per favorire l’organizzazione, è reale e comune. Alla stessa stregua, le sfide nell’evangelizzazione dovrebbero essere accolte più come una chance per crescere, che non come un motivo per cadere in depressione. Bando quindi al "senso della sconfitta" (85).
E’ necessario recuperare il rapporto interpersonale perché abbia il primato sulla tecnologia dell’incontro, fatto con il telecomando in mano per stabilire come, dove, quando e per quanto tempo incontrare gli altri a partire dalla proprie preferenze(88). Tra queste sfide, comunque, oltre alle usuali e più diffuse, è necessario cogliere quelle che hanno una valenza più diretta nella vita. Il senso di "quotidiana precarietà, con conseguenze funeste", le varie forme di "disparità sociale", il "feticismo del denaro e la dittatura di un’economia senza volto", la "esasperazione del consumo" e il "consumismo sfrenato"... insomma, si è dinanzi a una "globalizzazione dell’indifferenza" e a un "disprezzo beffardo" nei confronti dell’etica con un permanente tentativo di emarginare ogni richiamo critico nei confronti del predominio del mercato che con la sua teoria della "ricaduta favorevole" illude sulla reale possibilità di andare a favore dei poveri (cfr nn. 52-64). Se la Chiesa oggi appare ancora fortemente credibile in tanti Paesi del mondo, anche là dove è minoranza, questo è dovuto alla sua opera di carità e solidarietà (65).


Nell’evangelizzazione per il nostro tempo, pertanto, soprattutto dinanzi alle sfide delle grandi "culture urbane" (71), i cristiani sono invitati a fuggire da due espressioni che ne minano la natura stessa, e che Papa Francesco definisce "mondanità" (93). In primo luogo, il "fascino dello gnosticismo"; una fede cioè rinchiusa in se stessa, nelle sue certezze dottrinali, e che fa delle proprie esperienze il criterio di verità per il giudizio degli altri. Inoltre, il "neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico" di quanti ritengono che la grazia sia solo un accessorio mentre ciò che crea progresso è solo il proprio impegno e le proprie forze. Tutto questo contraddice l’evangelizzazione. Crea una sorta di "elitarismo narcisista" che deve essere evitato (94). Cosa vogliamo essere, si domanda il Papa, "Generali di eserciti sconfitti" oppure "semplici soldati di uno squadrone che continua a combattere"? Il rischio di una "Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali" (96), non è recondito, ma reale. Occorre, quindi, non soccombere a queste tentazioni, ma offrire la testimonianza della comunione (99). Essa si fa forte della complementarità. A partire da questa considerazione, Papa Francesco espone l’esigenza per la promozione del laicato e della donna; dell’impegno per le vocazioni e dei sacerdoti. Guardare alla Chiesa con il progresso compiuto in questi decenni richiede di evitare la mentalità del potere, ma a far crescere quella del servizio per la costruzione unitaria della Chiesa (102-108).

L’evangelizzazione è un compito di tutto il popolo di Dio, nessuno escluso. Essa, non è riservata né può essere delegata a un gruppo particolare. Tutti i battezzati sono direttamente coinvolti. Papa Francesco spiega, nel terzo capitolo dell’Esortazione, come essa si possa sviluppare e le tappe che ne esprimono il progresso. In primo luogo, si sofferma a evidenziare il "primato della grazia" che opera instancabilmente nella vita ogni evangelizzatore(112). Sviluppa, inoltre, il tema del grande ruolo svolto dalle varie culture nel loro processo di inculturazione del Vangelo, e previene dal cadere nella "vanitosa sacralizzazione della propria cultura" (117). Indica poi il percorso fondamentale della nuova evangelizzazione nell’incontro interpersonale (127-129) e nella testimonianza di vita (121). Insiste, infine, perché si valorizzi la pietà popolare, perché esprime la fede genuina di tante persone che in questo modo danno vera testimonianza dell’incontro semplice con l’amore di Dio (122-126). Da ultimo, un invito del Papa ai teologi perché studino le mediazioni necessarie per giungere alla valorizzazione delle varie forme di evangelizzazione (133), mentre si sofferma più a lungo sul tema dell’omelia come forma privilegiata dell’evangelizzazione che richiede una autentica passione e amore per la Parola di Dio e per il popolo che ci è affidato (135-158).

Il quarto capitolo è dedicato alla riflessione sulla dimensione sociale dell’evangelizzazione. Un tema caro a Papa Francesco perché "se questa dimensione non viene debitamente esplicitata, si corre sempre il rischio di sfigurare il significato autentico e integrale della missione evangelizzatrice" (176). È il grande tema del legame tra l’annuncio del Vangelo e la promozione della vita umana in tutte le sue espressioni. Una promozione integrale di ogni persona che impedisce di rinchiudere la religione come un fatto privato senza alcuna incidenza nella vita sociale e pubblica. Una "fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo" (183). Due grandi tematiche appartengono a questa sezione dell’Esortazione. Il Papa ne parla con particolare passione evangelica, consapevole che segneranno il futuro dell’umanità: anzitutto, "l’inclusione sociale dei poveri"; inoltre,"la pace e il dialogo sociale".

Per quanto concerne il primo punto, con la nuova evangelizzazione la Chiesa sente come propria missione quella di "collaborare per risolvere le cause strumentali della povertà e per promuovere lo sviluppo integrale dei poveri", come pure quella di "gesti semplici e quotidiani di solidarietà di fronte alle miserie molto concrete" che ogni giorno sono dinanzi ai nostri occhi(188). Ciò che giunge da queste dense pagine, è un invito a riconoscere la "forza salvifica" che i poveri possiedono, e che deve essere posta al centro della vita della Chiesa con la nuova evangelizzazione (198). Ciò significa, comunque, riscoprire anzitutto l’attenzione, l’urgenza e la consapevolezza di questa tematica, prima ancora di ogni esperienza concreta. Non solo, l’opzione fondamentale verso i poveri che preme di essere realizzata, sostiene Papa Francesco, è primariamente quella di una "attenzione spirituale" e "religiosa"; essa è prioritaria su ogni altra forma(200).
Su questi temi, la parola di Papa Francesco è franca, detta con parresia e senza circonlocuzioni. Un "Pastore di una Chiesa senza frontiere" (210), non può permettersi di volgere lo sguardo altrove. Ecco perché mentre chiede con forza di considerare il tema dei migranti, denuncia con altrettanta chiarezza le nuove forme di schiavitù: "Dov’è quello che stai uccidendo ogni giorno nella piccola fabbrica clandestina, nella rete di prostituzione, nei bambini che utilizzi per l’accattonaggio, in quello che deve lavorare di nascosto perché non è stato regolarizzato? Non facciamo finta di niente. Ci sono molte complicità" (211). A scanso di equivoci, il Papa difende con altrettanta forza la vita umana nel suo primo inizio e la dignità di ogni essere vivente (213). Per quanto concerne il secondo aspetto, il Papa enuclea quattro principi che sono come il denominatore comune per la crescita nella pace e la sua concreta applicazione sociale. Memore, forse, dei suoi studi su R. Guardini, Papa Francesco sembra creare una nuova opposizione polare; ricorda infatti che "Il tempo è superiore allo spazio", "l’unità prevale sul conflitto", la "realtà è più importante dell’idea" e che il "tutto è superiore alla parte". Questi principi si aprono alla dimensione del dialogo come primo contributo per la pace. Esso si estende nel corso della Esortazione all’ambito della scienza, nei confronti dell’ecumenismo e delle religioni non cristiane.


L’ultimo capitolo intende esprimere lo "spirito della nuova evangelizzazione" (260). Esso si sviluppa sotto il primato dell’azione dello Spirito Santo che infonde sempre e di nuovo l’impulso missionario a partire dalla vita di preghiera, dove la contemplazione occupa il posto centrale(264). La Vergine Maria "stella della nuova evangelizzazione" è presentata, a conclusione, come l’icona della genuina azione di annuncio e trasmissione del Vangelo che la Chiesa è chiamata a compiere nei prossimi decenni con entusiasmo forte e immutato amore per il Signore Gesù.

"Non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione!" (83). È un linguaggio chiaro, immediato, senza retorica né sottointesi, quello con cui ci si incontra in questa Esortazione Apostolica. Papa Francesco va al cuore dei problemi che vive l’uomo di oggi e che, da parte della Chiesa, richiedono molto più di una semplice presenza. A lei è chiesta una fattiva azione programmatica e una rinnovata prassi pastorale che evidenzi il suo impegno per la nuova evangelizzazione. Il Vangelo deve giungere a tutti, senza esclusione di sorta. Alcuni, comunque, sono privilegiati. A scanso di equivoci, Papa Francesco presenta il suo orientamento: "Non tanto gli amici e i vicini ricchi, bensì soprattutto i poveri, gli infermi coloro che spesso sono disprezzati e dimenticati… non devono restare dubbi né sussistono spiegazioni che indeboliscano questo messaggio tanto chiaro" (48).

Come in altri momenti cruciali della storia, così anche oggi la Chiesa sente l’urgenza di affinare lo sguardo per compiere l’evangelizzazione alla luce dell’adorazione; con uno "sguardo contemplativo" per vedere ancora i segni della presenza di Dio. Segni dei tempi non solo incoraggianti, ma posti come criterio per una efficace testimonianza (71). Primo fra tutti, Papa Francesco ricorda il mistero centrale della nostra fede: "Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada" (3). Quella che Papa Francesco ci indica, alla fine, è la Chiesa che si fa compagna di strada di quanti sono nostri contemporanei nella ricerca di Dio e nel desiderio di vederlo.




Caterina63
00martedì 26 novembre 2013 13:47
INTERVENTO DI S.E. MONS. LORENZO BALDISSERI

Il documento Evangelii Gaudium (EG) del Santo Padre Francesco nasce dalla XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi su "La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana" (2012), come annuncio di gioia ai cristiani discepoli e missionari e a tutta l’umanità. Il Santo Padre ha avuto nelle mani le Propositiones dei Padri sinodali, le ha fatte proprie, rielaborandole in modo personale, ed ha scritto un documento programmatico e esortativo, utilizzando la forma di "Esortazione Apostolica", la cui centralità è la missionarietà, a tutto campo. Ciò che colpisce fin dalle prime pagine è la presentazione gioiosa del Vangelo - perciò Evangelii Gaudium -, che si esprime addirittura con la ripetizione, in tutto il testo, della parola "gioia" per ben 59 volte.

Il Papa ha tenuto conto delle Propositiones citandole 27 volte. Su questa base, proveniente dalla riflessione dei Padri sinodali, egli sviluppa l’Esortazione in un solido quadro dottrinale, fondato sui riferimenti biblici e magisteriali, con una presentazione tematica dei vari aspetti della fede, ove si affermano i principî e le dottrine incarnate nella vita. Tale sviluppo è arricchito da rimandi ai Padri della Chiesa, tra cui Sant’Ireneo, Sant’Ambrogio e Sant’Agostino - per citarne alcuni -; è ulteriormente sostenuto dall’apporto di Maestri medioevali come il Beato Isacco della Stella, San Tommaso d’Aquino e Tommaso da Kempis; tra i teologi moderni compaiono il Beato John Henry Newman, Henri De Lubac e Romano Guardini, e altri scrittori, tra cui Georges Bernanos.

In modo particolare, è da notare la frequentazione, nel testo, di vari riferimenti ad Esortazioni Apostoliche come l’Evangelii nuntiandi di Paolo VI (13 occorrenze), e ad altre Post-sinodali come Christifideles laici; Familiaris consortio; Pastores dabo vobis; Ecclesia in Africa, in Asia, in Oceania, in America, in Medio Oriente, in Europa; Verbum Domini. Inoltre, si registra l’attenzione data ai pronunciamenti degli Episcopati latinoamericani, come ai documenti di Puebla e di Aparecida; a quello dei Patriarchi Cattolici del Medio Oriente nella XVI Assemblea; a quelli delle Conferenze Episcopali di India, Stati Uniti, Francia, Brasile, Filippine e Congo.

Il tema della sinodalità è introdotto già all’interno della parte iniziale che tratta "La trasformazione missionaria della Chiesa". Nella prospettiva della «Chiesa in uscita» (n. 20) «da sé verso il fratello» (n. 179), il Santo Padre propone una «pastorale in conversione» a 360 gradi, partendo dalla parrocchia (cfr. n. 28), dalle comunità di base, movimenti ed altre forme associative (cfr. n. 29), dalle Chiese particolari (cfr. n. 30), fino «a pensare a una conversione del papato» (n. 32). Si percepisce che egli desidera includere in questa «pastorale in conversione» una speciale attenzione all’espressione collegiale dell’esercizio del primato; pertanto afferma: «anche il papato e le strutture centrali della Chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l’appello ad una conversione pastorale» (n. 32).

Riferendosi al Concilio Vaticano II, in analogia con le antiche Chiese patriarcali, il Santo Padre auspica che le Conferenze Episcopali possano «sviluppare un contributo molteplice e fecondo perché l’affetto collegiale trovi concrete applicazioni» (LG n. 22; EG n. 32). Questa espressione di sinodalità aiuterebbe a concrete attribuzioni circa l’autorità dottrinale e di governo (cfr. n. 32). Sotto il profilo ecumenico - grazie anche all’esperienza della presenza al Sinodo del Patriarca di Costantinopoli e dell’Arcivescovo di Canterbury (cfr. n. 245) -, la sinodalità si esprime in modo particolare, poiché, attraverso il dialogo «con i fratelli ortodossi, i cattolici hanno la possibilità di apprendere qualcosa di più circa il significato della collegialità episcopale e sull’esperienza della sinodalità» (n. 246).

Un altro elemento significativo, a questo proposito, è rappresentato dalla ricezione, nella Esortazione Apostolica - che è un documento a carattere universale - degli stimoli pastorali provenienti dalle varie Chiese locali del mondo. Ciò significa mostrare l’esercizio della collegialità in atto. In tale senso, il rilievo dato dal Santo Padre all’uscita missionaria della Chiesa verso le periferie esistenziali, mediante la conversione pastorale, proviene dalla sua personale esperienza di Arcivescovo di Buenos Aires e in quanto direttamente coinvolto nella stesura del documento di Aparecida (cfr. n. 25). A tale esperienza pastorale si deve pure l’ampio spazio dedicato alla pietà popolare, che in America Latina e Caraibi «i vescovi chiamano anche "spiritualità popolare" o "mistica popolare". Si tratta di una "vera spiritualità incarnata nella cultura dei semplici"» (n. 124).

Facendo eco ad una celebre definizione di San Tommaso, secondo cui "la grazia suppone la natura", il Santo Padre, attingendo al documento di Puebla, conia la bella espressione: «La grazia suppone la cultura, e il dono di Dio si incarna nella cultura di chi lo riceve» (n. 115). Questo aperto apprezzamento per le diverse culture che si dispongono all’accoglienza del Vangelo, e lo informano con le loro ricchezze, conduce il Santo Padre a ridimensionare la pretesa assolutezza di qualsiasi cultura, per cui «non è indispensabile imporre una determinata forma culturale, per quanto bella e antica, insieme con la proposta evangelica» (n. 117). Al riguardo, «i Vescovi dell’Oceania hanno chiesto che lì la Chiesa "sviluppi una comprensione e una presentazione della verità di Cristo che parta dalle tradizioni e dalle culture della regione"» (n. 118).

Altri temi sono affrontati con riferimenti precisi, provenienti da diverse regioni del mondo. Il dialogo tra le religioni, posto in termini di apertura nella verità e nell’amore, è presentato dal testo del Papa: «in primo luogo come una conversazione sulla vita umana o semplicemente, come propongono i Vescovi dell’India "un’attitudine di apertura verso di loro, condividendo le loro gioie e le loro pene"» (n. 250). Nei confronti dell’Islam «è indispensabile l’adeguata formazione degli interlocutori, non solo perché siano solidamente e gioiosamente radicati nella loro propria identità, ma perché siano capaci di riconoscere i valori degli altri, di comprendere le preoccupazioni sottostanti ai loro reclami e di portare alla luce le convinzioni comuni. […] Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l’affetto verso gli autentici credenti dell’Islam deve portarci ad evitare odiose generalizzazioni, perché, come hanno insegnato i Patriarchi Cattolici del Medio Oriente, "noi sappiamo che il vero Islam e il Corano sono innocenti di ogni violenza"» (n. 253).

Particolarmente cara al Santo Padre, in ragione della sua urgenza mondiale, è "La dimensione sociale dell’evangelizzazione", alla quale dedica una parte consistente del documento. L’esperienza latinoamericana e caraibica di una Chiesa profondamente immersa nella vita del popolo ha provocato una cura attenta ai poveri, agli esclusi, agli oppressi, ed ha suscitato anche una grande riflessione teologica, le cui ripercussioni hanno varcato i confini, assumendo volti contestuali propri, nelle diverse aree del mondo, partecipi della medesima condizione sociale (cfr. n. 176 segg.). Nella sua esposizione del tema, il Papa parla dell’inclusione sociale dei poveri, che presenta come un grido per la giustizia e la dignità, che la Chiesa deve ascoltare (cfr. n. 186 segg.). Sono in gioco anche le cause strutturali della povertà. Non si tratta solo di solidarietà spicciola, ma di trasformazioni strutturali. «Un cambiamento nelle strutture che non generi nuove convinzioni e atteggiamenti farà sì che quelle stesse strutture presto o tardi diventino corrotte, pesanti e inefficaci» (n. 189). Non si esclude nemmeno il grido di interi popoli che reclamano i loro diritti come nazioni, ai quali deve essere permesso «di giungere con le loro forze ad essere artefici del loro destino» (PP n. 15, EG n. 189).

Infine, trattando del rapporto tra bene comune e pace sociale, il Papa afferma che «l’annuncio di pace non è quello di una pace negoziata, ma la convinzione che l’unità dello Spirito armonizza tutte le diversità» (n. 230), perché lo Spirito Santo ipse armonia est.





Caterina63
00martedì 26 novembre 2013 13:51

  INTERVENTO DI S.E. MONS. CLAUDIO MARIA CELLI

Mi è stato chiesto di presentare questo Documento Pontificio per quanto riguarda la sua dimensione comunicativa e per quanto la comunicazione entra nella tematica della nuova evangelizzazione. Il mio intervento vuole prendere in considerazione due punti fondamentali.

I. Stile del documento

Si tratta di una Esortazione Apostolica e come tale ha un suo stile e un suo linguaggio proprio. Mi piace sottolineare che il tono è quasi colloquiale con la caratteristica propria di un profondo afflato pastorale. Come dice il Papa Francesco: "desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice". Si percepisce, leggendo il testo, che ci troviamo di fronte ad un pastore che è a colloquio meditativo con i fedeli.

Emerge una caratteristica propria: il Papa utilizza un linguaggio sereno, cordiale, diretto in sintonia con lo stile manifestato in questi mesi di pontificato.

II. Come emerge il ruolo della comunicazione in questa nuova tappa evangelizzatrice, anche perché il Papa vuole "indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni".

Emerge, innanzitutto, la consapevolezza del Papa di quanto sta avvenendo nel mondi di oggi, specialmente nel campo della salute, educazione, comunicazione. il Papa è consapevole dei progressi/successi ottenuti dall’uomo in questi tre campi (n. 52) e fa riferimento alle evidenti innovazioni tecnologiche: "Siamo nell’era della conoscenza e dell’informazione, fonte di nuove forme di un potere molto spesso anonimo". (n. 52).

Senza dubbio si tratta di progresso e di successi, ma il Papa, è pienamente consapevole che l’attuale società dell’informazione, è satura indiscriminatamente di dati, tutti allo stesso livello e che finisce per portarci ad una tremenda superficialità al momento di impostare le questioni morali. Per questo motivo, il Papa, sottolinea che è necessaria una vera educazione che insegni a pensare criticamente ed offra un appropriato percorso di maturazione dei valori. (n. 64).

Il documento riconosce altresì che le attuali maggiori possibilità di comunicazione possono tradursi in più ampie possibilità di incontro tra tutti. Di qui l’esigenza di scoprire e trasmettere la mistica del vivere insieme, di mescolarsi, di incontrarsi. (n. 87).

Emerge altresì la consapevolezza che "Nuove culture continuano a generarsi in queste enormi geografie umane dove il cristiano non suole più essere promotore o generatore di senso, ma che riceve da esse altri linguaggi, simboli, messaggi e paradigmi che offrono nuovi orientamenti di vita, spesso in contrasto con il Vangelo di Gesù." Il Papa sottolinea addirittura che una "cultura inedita palpita e si progetta nella città". (n. 73)

Non manca anche un rilievo circa l’atteggiamento della cultura mediatica nei confronti del messaggio della Chiesa. Al numero 79 il Papa sottolinea che "La cultura mediatica e qualche ambiente intellettuale a volte trasmettono una marcata sfiducia nei confronti del messaggio della Chiesa, e un certo disincanto".

Un ampio settore, come era prevedibile, è dedicato ad analizzare come il messaggio è comunicato. Non mancano alcuni rilievi su questo fatto. Il Papa è consapevole della velocità della comunicazione odierna e di come a volte i media operano una selezione interessata dei vari contenuti. Ecco perché c’è il rischio che il messaggio possa apparire mutilato e ridotto ad aspetti secondari. C’è il rischio che alcune questioni dell’insegnamento morale della Chiesa rimangano fuori del contesto che dà loro senso o che a volte il messaggio sembri identificarsi con quegli aspetti secondari che non manifestano il cuore autentico del messaggio di Gesù Cristo.

Di fronte a questi rischi il Papa ritiene che si debba essere realisti, vale a dire non dare per scontato che gli interlocutori conoscano lo sfondo completo di ciò che diciamo o che possano collegare il nostro discorso con il nucleo essenziale del Vangelo che gli conferisce senso, bellezza e attrattiva. (n. 34)

Per questo motivo, il Papa sottolinea che "Una pastorale in chiave missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere". (n. 35)

L’annuncio deve concentrarsi sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario. La proposta quindi deve semplificarsi senza perdere per questo profondità e verità e diventare così più convincente e radiosa. (n. 35)

Ampi spazi sono poi destinati a riflettere su un tema che mi è particolarmente caro, vale a dire il tema del linguaggio. Il Papa, facendo riferimento agli attuali e rapidi enormi cambiamenti culturali, ricorda che si deve prestare "una costante attenzione per cercare di esprimere le verità di sempre in un linguaggio che consenta di riconoscere la sua permanente novità". (n. 41)

A questo proposito il Papa ricorda che "A volte, ascoltando un linguaggio completamente ortodosso, quello che i fedeli ricevono, a causa del linguaggio che essi utilizzano e comprendono, è qualcosa che non corrisponde al vero Vangelo di Gesù Cristo" e in questa linea il Papa insiste sottolineando come "Con la santa intenzione di comunicare loro la verità su Dio e sull’essere umano, in alcune occasioni diamo loro un falso dio o un ideale umano che non è veramente cristiano. In tal modo, siamo fedeli ad una formulazione ma non trasmettiamo la sostanza". (n. 41)

Il tema del linguaggio è certamente una grande sfida per la Chiesa oggi. Una sfida che deve essere accolta consapevolmente e con decisione, con audacia e saggezza come ricordava Paolo VI in Evangelii Nuntiandi.

Papa Francesco fa rilevare nel contempo: "non potremo mai rendere gli insegnamenti della Chiesa qualcosa di facilmente comprensibile e felicemente apprezzato da tutti. La fede conserva sempre un aspetto di croce, qualche oscurità che non toglie fermezza alla sua adesione" (n. 42) e ricorda a tutti noi che "vi sono cose che si comprendono e si apprezzano solo a partire da questa adesione che è sorella dell’amore, al di là della chiarezza con cui se ne possono cogliere le ragioni e gli argomenti". (n. 42)

Alla luce di quanto sopra emerge che l’impegno evangelizzatore "si muove tra i limiti del linguaggio e delle circostanze" (n. 45). Si dovrà annunciare al "meglio la verità del Vangelo in un contesto determinato, senza rinunciare alla verità, al bene e alla luce che può apportare quando la perfezione non è possibile". (n. 45)

E il Papa continua: un cuore missionario "Mai si chiude, mai si ripiega sulle proprie sicurezze, mai opta per la rigidità autodifensiva". (n. 45) A lui spetta crescere nella comprensione del Vangelo, nel discernimento dei sentieri dello spirito, non rinunciare al bene possibile "benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada". (45)

In questo contesto il Papa pone – era da prevedersi – una particolare attenzione alla omelia e, alla luce di quanto sopra, riconosce che il problema non è solamente sapere ciò che si deve dire, ma non trascurare il "come", il modo concreto di sviluppare una predicazione. (n. 157)

Conoscendo lo stile comunicativo di Papa Francesco non sorprende che, in questo contesto, sottolinei il fatto che uno degli sforzi più necessari è quello di imparare ad usare immagini nella predicazione, "vale a dire a parlare con immagini" (n. 157) e qui proprio in questa esortazione scopriamo che all’origine del Suo stile comunicativo c’è l’ insegnamento che un Suo vecchio maestro aveva dato al giovane Bergoglio: "una buona omelia deve contenere un’idea, un sentimento, un’immagine".

Sempre affrontando il tema del linguaggio il Papa ricorda che la semplicità ha a che vedere con il linguaggio utilizzato. Deve essere il linguaggio che i destinatari comprendono, per non correre il rischio di parlare a vuoto. (n. 158)

A questo proposito il Papa sottolinea pastoralmente che "Il rischio maggiore per un predicatore è abituarsi al proprio linguaggio e pensare che tutti gli altri lo usino e lo comprendano spontaneamente". (n.158)

Pertanto, potremmo dire che il cammino è quello di una semplicità, di una chiarezza e di una dimensione positiva. (n. 159) Infatti "una predicazione positiva offre sempre speranza, orienta verso il futuro, non ci lascia prigionieri della negatività".

Vorrei dedicare l’ultima sottolineatura di questo mio intervento al tema della via della bellezza, "via pulchritudinis" (propositio 20, n. 167) "Annunciare Cristo significa mostrare che credere in Lui e seguirlo non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una gioia profonda". (n. 167)

Tutte le espressioni, dice il Papa, di autentica bellezza possono essere riconosciute come un sentiero che aiuta ad incontrarsi con il Signore Gesù e ricorda a tutti noi che la stima della bellezza è necessaria per poter giungere al cuore umano e fare risplendere in esso la verità e la bontà del Risorto. Si ricorda pertanto l’uso dell’arte nell’opera evangelizzatrice della Chiesa e il Papa non esita a parlare di un nuovo "linguaggio parabolico" .

Termino questo mio intervento con una ulteriore citazione prospettica di Papa Francesco che dà senso alla nostra attività comunicativa nella Chiesa "Bisogna avere il coraggio di trovare i nuovi segni, i nuovi simboli, una nuova carne per la trasmissione della Parola, le diverse forme di bellezza che si manifestano in vari ambiti culturali". (n. 167)

Questa è la sfida che Papa Francesco pone a tutti noi e, per quanto mi concerne, sfida che il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali vuole assumere in pienezza e rispondervi positivamente.



   





 
Caterina63
00martedì 26 novembre 2013 14:04

  Sintesi ampia dell'Evangelii Gaudium



Pubblichiamo di seguito un’ampia sintesi dell’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco:

Nuova tappa evangelizzatrice caratterizzata dalla gioia
“La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. In questa Esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni” (1). Così inizia l’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco. Si tratta di un accorato appello a tutti i battezzati perché con nuovo fervore e dinamismo portino agli altri l’amore di Gesù in uno “stato permanente di missione” (25), vincendo “il grande rischio del mondo attuale”: quello di cadere in “una tristezza individualista” (2). “Anche i credenti corrono questo rischio” (2), perché “ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua” (6): un evangelizzatore non dovrebbe avere “una faccia da funerale” (10). E' necessario passare "da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria" (15).

Riforma delle strutture ecclesiali
Il Papa invita a “recuperare la freschezza originale del Vangelo”, trovando “nuove strade” e “metodi creativi” (11). L’appello rivolto a tutti i cristiani è quello di “uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo”: “tutti siamo chiamati a questa nuova ‘uscita’ missionaria” (20). Si tratta “di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno” e che spinge a porsi in un “permanente stato di missione” (25). E’ necessaria una “riforma delle strutture” ecclesiali perché “diventino tutte più missionarie” (27). Partendo dalle parrocchie, il Papa nota che l’appello al loro rinnovamento “non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente” (28). Le altre realtà ecclesiali “sono una ricchezza della Chiesa”, ma devono integrarsi “con piacere nella pastorale organica della Chiesa particolare” (29). 

Conversione del papato
Quindi aggiunge: “Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato” perché sia “più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione”. Giovanni Paolo II “chiese di essere aiutato a trovare «una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova». Siamo avanzati poco in questo senso”. “Il Concilio Vaticano II ha affermato che, in modo analogo alle antiche Chiese patriarcali, le Conferenze episcopali possono «portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente». Ma questo auspicio non si è pienamente realizzato, perché ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle Conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale. Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria” (32).

Concentrarsi sull’essenziale
Riguardo all’annuncio, afferma che è necessario concentrarsi sull’essenziale, evitando una pastorale “ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere” (35): “in questo nucleo fondamentale ciò che risplende è la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto” (36). Succede che si parli “più della legge che della grazia, più della Chiesa che di Gesù Cristo, più del Papa che della Parola di Dio” (38). “A quanti sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature” dice: “in seno alla Chiesa ... le diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale, se si lasciano armonizzare dallo Spirito nel rispetto e nell’amore, possono far crescere la Chiesa, in quanto aiutano ad esplicitare meglio il ricchissimo tesoro della Parola” (40). Circa il rinnovamento, afferma che occorre riconoscere consuetudini della Chiesa “non direttamente legate al nucleo del Vangelo, alcune molto radicate nel corso della storia”: “non abbiamo paura di rivederle”. (43). 

Una Chiesa con le porte aperte
“La Chiesa – scrive il Papa – è chiamata ad essere sempre la casa aperta del padre. Uno dei segni concreti di questa apertura è avere dappertutto chiese con le porte aperte”. “Nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi”. Così “l’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa” (47). Quindi ribadisce quanto diceva a Buenos Aires: “preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli” senza l’amicizia di Gesù (49).

Sistema economico attuale ingiusto alla radice
Parlando di alcune sfide del mondo attuale, denuncia l’attuale sistema economico: “è ingiusto alla radice” (59). “Questa economia uccide”, fa prevalere la “legge del più forte, dove il potente mangia il più debole”. L’attuale cultura dello “scarto” ha creato “qualcosa di nuovo”: “gli esclusi non sono ‘sfruttati’ ma rifiuti, ‘avanzi’” (53). C’è la “nuova tirannia invisibile, a volte virtuale”, di un “mercato divinizzato” dove regnano “speculazione finanziaria”, “corruzione ramificata”, “evasione fiscale egoista” (56). Il documento affronta poi gli “attacchi alla libertà religiosa” e le “nuove situazioni di persecuzione dei cristiani, le quali, in alcuni Paesi, hanno raggiunto livelli allarmanti di odio e di violenza. In molti luoghi si tratta piuttosto di una diffusa indifferenza relativista” (61). 

Individualismo postmoderno snatura vincoli familiari
La famiglia, “cellula fondamentale della società” – prosegue il Papa – “attraversa una crisi culturale profonda”. Ribadendo, quindi, “il contributo indispensabile del matrimonio alla società” (66), il Papa sottolinea che “l’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile di vita … che snatura i vincoli familiari”(67). 

Tentazioni degli operatori pastorali
Il testo affronta poi le “tentazioni degli operatori pastorali”. Il Papa, afferma, “come dovere di giustizia, che l’apporto della Chiesa nel mondo attuale è enorme. Il nostro dolore e la nostra vergogna per i peccati di alcuni membri della Chiesa, e per i propri, non devono far dimenticare quanti cristiani danno la vita per amore” ((76). Ma “si possono riscontrare in molti operatori di evangelizzazione, sebbene preghino, un’accentuazione dell’individualismo, una crisi d’identità e un calo del fervore” (78); in altri si nota “una sorta di complesso di inferiorità, che li conduce a relativizzare o ad occultare la loro identità cristiana” (79). “La più grande minaccia” è “il grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando e degenerando nella meschinità” . Si sviluppa “la psicologia della tomba, che poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo” (83). Tuttavia, il Papa invita con forza a non lasciarsi prendere da un “pessimismo sterile” (84). Nei deserti della società sono molti i segni della “sete di Dio”: c’è dunque bisogno di persone di speranza, “persone-anfore per dare da bere agli altri” (86). “Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza” (88).

Dio ci liberi da una Chiesa mondana
Denuncia quindi “la mondanità spirituale, che si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa”: consiste “nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana ed il benessere personale” (93). Questa mondanità si esprime in due modi: “il fascino dello gnosticismo, una fede rinchiusa nel soggettivismo” e “il neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che … fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché … sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato. E’ una presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare” (94). In altri “si nota una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel Popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia”. In altri ancora, la mondanità “si esplica in un funzionalismo manageriale … dove il principale beneficiario non è il Popolo di Dio ma piuttosto la Chiesa come organizzazione” (95). “E’ una tremenda corruzione con apparenza di bene … Dio ci liberi da una Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali!” (97).

Più spazio nella Chiesa a laici, donne e giovani
Altra denuncia: “all’interno del Popolo di Dio e nelle diverse comunità, quante guerre!” per “invidie e gelosie”. “Alcuni … più che appartenere alla Chiesa intera, con la sua ricca varietà, appartengono a questo o quel gruppo che si sente differente o speciale” (98). Il Papa sottolinea quindi la necessità di far crescere “la coscienza dell’identità e della missione del laico nella Chiesa”. Talora, “un eccessivo clericalismo” mantiene i laici “al margine delle decisioni” (102). “La Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società”, ma “c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa”. Occorre garantire la presenza delle donne “nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti, tanto nella Chiesa come nelle strutture sociali” (103). “Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne …non si possono superficialmente eludere. Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione, ma può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere”. “Nella Chiesa le funzioni «non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri». Di fatto, una donna, Maria, è più importante dei vescovi” (104). Poi, il Papa rileva che i giovani devono avere “un maggiore protagonismo” (106). Riguardo alla scarsità di vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata che si riscontra in molti luoghi, afferma che “spesso questo è dovuto all’assenza nelle comunità di un fervore apostolico contagioso”. Nello stesso tempo, “non si possono riempire i seminari sulla base di qualunque tipo di motivazione, tanto meno se queste sono legate ad insicurezza affettiva, a ricerca di forme di potere, gloria umana o benessere economico” (107).

La Chiesa ha un volto pluriforme
Affrontando il tema dell’inculturazione, il Papa ricorda che “il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale” e che “la Chiesa esprime la sua autentica cattolicità” mostrando la bellezza di un “volto pluriforme”. (116) “Non farebbe giustizia alla logica dell’incarnazione pensare ad un cristianesimo monoculturale e monocorde” (117). Il testo ribadisce “la forza evangelizzatrice della pietà popolare” (122). “Non coartiamo né pretendiamo di controllare questa forza missionaria!” (124). Il Papa incoraggia “il carisma dei teologi e il loro sforzo nell’investigazione teologica” ma li invita ad avere “a cuore la finalità evangelizzatrice della Chiesa e della stessa teologia” e a non accontentarsi “di una teologia da tavolino” (133).


Omelia: saper dire parole che fanno ardere i cuori
A questo punto, il Papa si sofferma “con una certa meticolosità, sull’omelia e la sua preparazione, perché molti sono i reclami in relazione a questo importante ministero e non possiamo chiudere le orecchie” (135). Innanzitutto, “chi predica deve riconoscere il cuore della sua comunità per cercare dov’è vivo e ardente il desiderio di Dio” (137). “L’omelia non può essere uno spettacolo di intrattenimento”, “deve essere breve ed evitare di sembrare una conferenza o una lezione” (138). Bisogna saper dire "parole che fanno ardere i cuori", rifuggendo da una "predicazione puramente moralista e indottrinante" (142). “La preparazione della predicazione è un compito così importante che conviene dedicarle un tempo prolungato di studio, preghiera, riflessione”, rinunciando anche “ad altri impegni, pur importanti”. “Un predicatore che non si prepara non è ‘spirituale’, è disonesto ed irresponsabile verso i doni che ha ricevuto” (145). “Una buona omelia … deve contenere ‘un’idea, un sentimento, un’immagine’” (157). “Altra caratteristica è il linguaggio positivo. Non dice tanto quello che non si deve fare ma piuttosto propone quello che possiamo fare meglio”. “Una predicazione positiva offre sempre speranza, orienta verso il futuro, non ci lascia prigionieri della negatività” (159). 

Ruolo fondamentale del “kerygma”
“Nella catechesi ha un ruolo fondamentale il primo annuncio o ‘kerygma’”. Sulla bocca del catechista risuoni sempre il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti”(164). Ci sono “alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna” (165). Il Papa indica l’arte dell’accompagnamento, “perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro” che bisogna vedere “con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana” (169). 

Una Chiesa povera per i poveri
Ricorda, quindi, “l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana” (178). Ribadisce il diritto dei Pastori “di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone, dal momento che il compito dell’evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano. Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo” (182). “Nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza nella vita sociale e nazionale”. “Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo”. E cita Giovanni Paolo II laddove dice che la Chiesa “non può né deve rimanere al margine della lotta per la giustizia” (183). “Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri” (187). “A volte si tratta di ascoltare il grido … dei popoli più poveri della terra, perché ‘la pace si fonda non solo sul rispetto dei diritti dell'uomo, ma anche su quello dei diritti dei popoli’. Deplorevolmente persino i diritti umani possono essere utilizzati come giustificazione di una difesa esacerbata dei diritti individuali o dei diritti dei popoli più ricchi” (190). Il Papa denuncia la “cattiva distribuzione dei beni e del reddito” (191). Quindi lancia un monito: “Non preoccupiamoci unicamente di cadere in errori dottrinali, ma anche di essere fedeli a questo cammino luminoso di vita e di sapienza. Perché ‘ai difensori «dell'ortodossia» si rivolge a volte il rimprovero di passività, d'indulgenza o di colpevoli complicità rispetto a situazioni di ingiustizia intollerabili e verso i regimi politici che le mantengono’” (194). In questo contesto “c'è un segno che non deve mai mancare: l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via” (195). “Per la Chiesa l'opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica”. “Per questo chiedo una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci” (198). Il Papa poi afferma che “la peggior discriminazione che soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale” (200). “Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri … non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema” (202). 

I politici abbiano cura dei deboli
“La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose di carità, perché cerca il bene comune” – scrive il Papa - “Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri!” (205). Invita ad avere cura dei più deboli: “i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni, gli anziani sempre più soli e abbandonati”. Riguardo ai migranti esorta “i Paesi ad una generosa apertura, che, al posto di temere la distruzione dell'identità locale, sia capace di creare nuove sintesi culturali” (210). Il Papa parla “di coloro che sono oggetto delle diverse forme di tratta delle persone” e delle nuove forme di schiavismo: “Nelle nostre città è impiantato questo crimine mafioso e aberrante, e molti hanno le mani che grondano sangue a causa di una complicità comoda e muta” (211). “Doppiamente povere sono le donne che soffrono situazioni di esclusione, maltrattamento e violenza” (212).

Riconoscere dignità umana dei nascituri: aborto non è progressista
“Tra questi deboli di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo” (213). “Non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione. Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a ‘modernizzazioni’. Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana. Però è anche vero che abbiamo fatto poco per accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni molto dure, dove l'aborto si presenta loro come una rapida soluzione alle loro profonde angustie” (214). Poi, l’appello a rispettare tutto il creato: “Piccoli, però forti nell’amore di Dio, come San Francesco d’Assisi, tutti i cristiani siamo chiamati a prenderci cura della fragilità del popolo e del mondo in cui viviamo” (216). 

Voce profetica per la pace
Riguardo al tema della pace, il Papa afferma che è “necessaria una voce profetica” quando si vuole attuare una falsa riconciliazione che “metta a tacere” i poveri, mentre alcuni “non vogliono rinunciare ai loro privilegi” (218). Per la costruzione di una società “in pace, giustizia e fraternità” indica quattro principi (221): “il tempo è superiore allo spazio” (222) significa “lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati” (223). “L’unità prevale sul conflitto” (226) vuol dire operare perché gli opposti raggiungano “una pluriforme unità che genera nuova vita” (228). “La realtà è più importante dell’idea” (231) significa evitare che la politica e la fede siano ridotte alla retorica (232). “Il tutto è superiore alla parte” significa mettere insieme globalizzazione e localizzazione (234).

Una Chiesa che dialoga
“L’evangelizzazione – prosegue il Papa – implica anche un cammino di dialogo” che apre la Chiesa a collaborare con tutte le realtà politiche, sociali, religiose e culturali (238). L’ecumenismo è “una via imprescindibile dell’evangelizzazione”. Importante l’arricchimento reciproco: “quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri!”, per esempio “nel dialogo con i fratelli ortodossi, noi cattolici abbiamo la possibilità di imparare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro esperienza della sinodalità” (246); “il dialogo e l’amicizia con i figli d’Israele sono parte della vita dei discepoli di Gesù” (248); “il dialogo interreligioso”, che va condotto “con un’identità chiara e gioiosa”, è “una condizione necessaria per la pace nel mondo” e non oscura l’evangelizzazione (250-251); “in quest’epoca acquista notevole importanza la relazione con i credenti dell’Islam (252): il Papa implora “umilmente” affinché i Paesi di tradizione islamica assicurino la libertà religiosa ai cristiani, anche “tenendo conto della libertà che i credenti dell’Islam godono nei paesi occidentali!”. “Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento” invita a “evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza” (253). E contro il tentativo di privatizzare le religioni in alcuni contesti, afferma che “il rispetto dovuto alle minoranze di agnostici o di non credenti non deve imporsi in modo arbitrario che metta a tacere le convinzioni di maggioranze credenti o ignori la ricchezza delle tradizioni religiose” (255). Ribadisce quindi l’importanza del dialogo e dell’alleanza tra credenti e non credenti (257).

Evangelizzatori con Spirito
L’ultimo capitolo è dedicato agli “evangelizzatori con Spirito”, che sono quanti “si aprono senza paura all’azione dello Spirito Santo” che “infonde la forza per annunciare la novità del Vangelo con audacia (parresia), a voce alta e in ogni tempo e luogo, anche controcorrente” (259). Si tratta di “evangelizzatori che pregano e lavorano” (262), nella consapevolezza che “la missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo” (268): “Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri” (270). “Nel nostro rapporto col mondo – precisa – siamo invitati a dare ragione della nostra speranza, ma non come nemici che puntano il dito e condannano” (271). “Può essere missionario – aggiunge – solo chi si sente bene nel cercare il bene del prossimo, chi desidera la felicità degli altri” (272): “se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita” (274). Il Papa invita a non scoraggiarsi di fronte ai fallimenti o agli scarsi risultati perché la “fecondità molte volte è invisibile, inafferrabile, non può essere contabilizzata”; dobbiamo sapere “soltanto che il dono di noi stessi è necessario” (279). L’Esortazione si conclude con una preghiera a Maria “Madre dell’Evangelizzazione”. “Vi è uno stile mariano nell’attività evangelizzatrice della Chiesa. Perché ogni volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto” (288). 

(Sintesi a cura di Sergio Centofanti)




Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/11/26/sintesi_ampia_dellevangelii_gaudium/it1-749987 
del sito Radio Vaticana 





Caterina63
00domenica 15 dicembre 2013 12:10

  Papa Francesco e gli economisti
di Alejandro A. Chafuen*

15-12-2013 da LaBussolaQuotidiana


L'esortazione apostolica Evangelii Gaudium, in particolar modo le sue parti che riguardano l'economia, ha sollevato un ampio dibattito, anche molto critico, fra gli economisti statunitensi. Alejandro A. Chafuen, della Atlas Economic Research Foundation fa il punto della situazione.



Le recenti dichiarazione di Papa Francesco nella sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium, suonano come un appello per la “Terza Via” economica, un sistema governato da esperti e persone di buona volontà. Papa Francesco scrive, «La giusta crescita richiede più che la mera crescita economica, anche se la presuppone: richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi attrezzati specificamente a una miglior distribuzione del reddito, creazione di risorse per l’impiego e una promozione integrale dei poveri che va oltre a una semplice mentalità da welfare».

Papa Francesco non chiede la socializzazione del sistema economico e non cita alcun regime totalitario quale modello. Dichiara che questo non è un “documento sociale” e rimanda al Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa quale guida più sostanziale per lo studio e una riflessione. Ciò nonostante, dal momento che non ha citato il punto 42 dell’enciclica Centesimus Annus di Giovanni Paolo II, che legittima il sistema di libera impresa basato sul governo della legge e sulla dignità umana, e siccome il linguaggio usato da Papa Francesco talvolta suoni ostile al libero mercato, molti economisti cristiani e commentatori politici si sono allarmati. Molti si sono chiesti se il Papa sia stato influenzato negativamente dalla cultura peronista dell’Argentina. Il peronismo annovera, fra i suoi pilastri, un sistema economico misto, a metà strada fra socialismo e capitalismo. Juan Domingo Peron era uno dei primi difensori della Terza Via.

Nell’Evangelii Gaudium, il Papa ha ribadito che la Chiesa non ha il “monopolio dell’interpretazione delle realtà sociali o della proposta di soluzioni ai problemi contemporanei”. Entro la gerarchia della Chiesa, diversi economisti sono stati consultati. Uno di questi, che ha una grande influenza sul Vaticano, è il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, che ha qualche merito nell’aver rivestito il sistema della Terza Via di una veste accademica

Non c’è dubbio, comunque, che gli scritti di Stiglitz abbiano avuto un impatto sul secondo argentino più importante del Vaticano: Monsignor Marcelo Sànchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze. Stiglitz venne assunto alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali nel 2003 e fu a capo del Consiglio Economico sotto il presidente Bill Clinton. John Allen, un autorevole osservatore del Vaticano, scrisse, nel 2003, che Stiglitz, «dalla posizione che occupa, aiuterà a orientare il Vaticano sulle questioni di economia globale». Allen aggiunse anche che Stiglitz era un favorito di Sànchez Sorondo. Durante un programma sponsorizzato dall’Acton Institute, ebbi il privilegio di sedere al fianco di Sànchez Sorondo e mi disse che Stiglitz era, effettivamente, il suo economista preferito. John Allen aggiunse, inoltre: «Stiglitz ritiene che la squadra di Clinton abbia commesso un errore accettando che il governo rimanesse fuori dalla politica economica, lasciando alla finanza il compito di dettare le regole del gioco. Stiglitz è dunque incline a rafforzare ulteriormente quella che era già una linea ferma di Giovanni Paolo II, cioè la convinzione che le autorità pubbliche debbano intervenire negli affari economici per far sì che i benefici della globalizzazione siano destinati al bene comune».

Buona parte delle dichiarazioni economiche del Vaticano che hanno infastidito i difensori del libero mercato, sono state precedute da dichiarazioni simili di noti economisti. Lo stesso è avvenuto nel caso dell’esortazione apostolica di Papa Francesco. Il paragrafo che ha attirato i commenti più critici degli economisti sostenitori del libero mercato è quello in cui rinnega la nozione delle ricadute positive della crescita e del suo “inevitabile successo nel promuovere una maggior giustizia e comprensività nel mondo”. È però difficile trovare un economista che escluda eccezioni a questa teoria. Possiamo facilmente trovare alti tassi di crescita che coesistono con grandi ingiustizie e grandi emarginazioni. Cina e India sono due validi esempi.

L’uso del termine “ricaduta”, difficile da tradurre e solitamente usato per denigrare l’economia di libero mercato, ha spalancato la porta a molti dibattiti. È probabile che Evangelii Gaudium sia stato scritto inizialmente in spagnolo. Il Papa ha usato il termine “derrame”. Il filosofo ed economista scozzese Adam Smith scrisse della “universale opulenza che si espande fino a includere i più bassi ceti popolari” in una “società ben governata”. Quando traduciamo “derrame”, lo intendiamo anche come la parola che Smith intese come “espandere”. Smith non difese mai la “autonomia assoluta del mercato e della speculazione finanziaria”. Non ebbe mai una assoluta “fiducia della forza cieca della mano invisibile del mercato” e comprese l’importanza di una società ben governata.

Un elenco incompleto delle altre contestazioni e moniti economici del Papa, comprende anche: “l’ingenua fiducia nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nel funzionamento sacralizzato del sistema economico prevalente”, accettando “il dominio del denaro su noi stessi e sulla nostra società”, la “dittatura di una economia impersonale che manca di un vero fine umano”, la “corruzione diffusa e l’egoismo dell’evasione fiscale” e “l’invasione dei modi di pensare e di agire tipiche di culture che sono economicamente avanzate ma eticamente debilitate”.

Fin dalla pubblicazione di Evangelii Gaudium, gli economisti cattolici stanno sfornando risposte e critiche su ciascuno di questi punti. Possiamo constatare che gli studi empirici dimostrino come la libertà economica sia il miglior antidoto alla corruzione. Inoltre è notevole il lavoro di alcuni prestigiosi studiosi del libero mercato, come l’ultimo Wilhelm Roepke, che creò le basi per una “economia umana” nel suo Humane Economy.

Il miglior contributo che i paladini del libero mercato possano dare è quello di diventare straordinari e convincenti economisti, abbastanza da far sì che i leader più influenti includano tutte le verità dell’economia nei loro moniti morali. Un buon esempio da seguire è quello di Gary Becker, premio Nobel per l’economia, esponente della Scuola di Chicago, che fu membro della Pontificia Accademia delle Scienze dal 1997. La valida ricerca di Becker in economia e la sua rispettabile condotta durante gli incontri in Vaticano gli permisero di conquistare quella posizione. Gli scritti dei premi Nobel di altre scuole di pensiero favorevoli al libero mercato, come quelli di Friedrich August von Hayek e James Buchanan, rispettivamente della Scuola Austriaca e della Scuola della Public Choice, meritano una maggiore attenzione da parte del Vaticano.

Juan Carlos de Pablo, uno dei migliori professori della Pontificia Università Cattolica di Buenos Aires, dove studiai e insegnai, diceva ai suoi studenti che, «se gli stessi economisti non capiscono l’economia, perché accusate i vescovi di non conoscerla?». Papa Francesco ha riconosciuto il ruolo dei laici in molti settori, non solo nell’economia. Coloro che sono cattolici e sono convinti della superiorità morale ed economica del libero mercato, hanno il dovere di iniziare un dibattito rispettoso e costruttivo con il Vaticano.

*Presidente della Atlas Economic Research Foundation. Questo articolo è stato pubblicato in lingua inglese sul numero del 4 dicembre 2013 di Forbes. Alejandro Chafuen è noto al pubblico italiano anche con il volume Cristiani per la Libertà (Liberilibri, Macerata 1999)




VATICAN INSIDER
15/12/2013
"Mai avere paura della tenerezza"
Anticipazione dell'intervista con papa Francesco su Natale, fame nel mondo, sofferenza dei bambini, riforma della Curia, donne cardinale, Ior e prossimo viaggio in Terra Santa

ANDREA TORNIELLI (VATICAN INSIDER)
«Il Natale per me è speranza e tenerezza...». Francesco racconta il suo primo Natale da vescovo di Roma in un'intervista con il quotidiano «La Stampa», pubblicata nel numero oggi in edicola. 

Francesco parla della sofferenza innocente dei bambini e della tragedia della fame nel mondo, dei rapporti con le altre confessioni cristiane e dell'«ecumenismo del sangue» che le unisce nella persecuzione, accenna alle questioni sulla famiglia che saranno trattate dal prossimo Sinodo, risponde a chi lo ha criticato dagli Usa definendolo «un marxista». 

«Il Natale è l'incontro di Dio con il suo popolo. Ed è anche una consolazione, un mistero di consolazione - spiega - Tante volte, dopo la messa di mezzanotte, ho passato qualche ora solo, in cappella, prima di celebrare la messa dell'aurora. Con questo sentimento di profonda consolazione e pace. «Nella notte di Natale - aggiunge riferendosi alla Terra Santa - penso soprattutto ai cristiani che vivono lì, a quelli che hanno difficoltà, ai tanti di loro che hanno dovuto lasciare quella terra per vari problemi». 

A proposito della sofferenza dei bambini, Francesco afferma: «Davanti a un bambino sofferente, l'unica preghiera che a me viene è la preghiera del perché. Signore perché?». E per quanto riguarda l'accusa di essere «marxista» che gli è stata rivolta dagli ultra-conservatori americani dopo la pubblicazione dell'esortazione «Evangelii Gaudium», il Papa risponde: «L'ideologia marxista è sbagliata. Ma nella mia vita ho conosciuto tanti marxisti buoni come persone, e per questo non mi sento offeso». In ogni caso, precisa, «Nell'esortazione non c'è nulla che non si ritrovi nella Dottrina sociale della Chiesa». 

Rispondendo a una domanda sull'unità dei cristiani, Bergoglio parla dell'«ecumenismo del sangue»: «In alcuni paesi ammazzano i cristiani perché portano una croce o hanno una Bibbia, e prima di ammazzarli non gli domandano se sono anglicani, luterani, cattolici o ortodossi. Il sangue è mischiato. Per coloro che uccidono, siamo cristiani». Sui sacramenti ai divorziati risposati, Francesco ricorda che l'esclusione dalla comunione «non è una sanzione». 

E afferma che questi temi saranno approfonditi e chiariti nel prossimo Sinodo. La riforma della Curia: il Papa spiega che a febbraio gli otto cardinali suoi «consiglieri» gli consegneranno «i loro primi suggerimenti» concreti. E sull'intenzione di nominare delle donne cardinale, che qualcuno gli ha attribuito, taglia corto: «È una battuta uscita non so da dove. Le donne nella Chiesa devono essere valorizzate, non "clericalizzate"».......









Caterina63
00venerdì 10 gennaio 2014 09:33
[SM=g1740758] Perle tratte dalla Evangelii gaudium di Papa Francesco

Lo sappiamo, leggere 80 pagine di un Documento Pontificio non piace quasi a nessuno. Tuttavia ci lasciamo spesso attrarre di più dai titoli dei giornali che ne descrivono spesso un contenuto misero, privato dal contesto, strumentalizzato in ciò che più piace sentirsi dire; trasposizioni a volte che non rendono giustizia al contenuto e alle stesse intenzioni del Pontefice.
In questo breve video abbiamo provato a tracciare delle linee guida di questa Esortazione, sia a riguardo di un discorso continuativo, sia a riguardo ad un invito ad approfondirla e a risvegliare in noi, mediante la Preghiera, la grazia del Battesimo e degli altri Sacramenti che ci rendono discepoli di Cristo.
Buona meditazione a tutti.
it.gloria.tv/?media=553283


Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
info@sulrosario.org


[SM=g1740738]


[SM=g1740750] [SM=g1740752]

Caterina63
00domenica 2 febbraio 2014 13:39

   È vero, papa Francesco non giudica le persone omosessuali. Ma l’omosessualità sì. Ecco come

Le parole di papa Francesco sono apparentemente semplici, nel senso che il loro significato letterale è perfettamente comprensibile anche alle persone con una modesta preparazione religiosa e dottrinale. Vanno dritte al cuore, entrano nell’anima e la fecondano con l’immediatezza del loro valore. Ma sono anche parole molto profonde e nessun termine è utilizzato casualmente o impropriamente. E se questo vale per i discorsi di papa Francesco, a maggior ragione vale per quanto egli scrive.

Non è per caso, dunque, che alla propositio numero 64 dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, papa Francesco citi un documento della Conferenza episcopale degli Stati Uniti relativo alla pastorale delle persone che vivono un’inclinazione omosessuale. È importante leggere le parole nel loro contesto. Capitolo II: “Nella crisi dell’impegno comunitario”; Parte I: “Alcune sfide del mondo attuale”; Propositio: “Alcune sfide culturali”. Una collocazione molto precisa e molto significativa. Esplicito anche il riferimento alla Propositio 13: «Neppure dovremmo intendere la novità di questa missione come uno sradicamento», dice. Parla di una memoria “Deuteronomica” (il Libro della Legge, dei precetti). Conclude: «Il credente è fondamentalmente uno “che fa memoria”». C’è bisogno di altro per affermare che, seppure adattato al tempo attuale, il Messaggio è Rivelazione e, quindi, non può cambiare?

L’esortazione ha per tema l’“Annuncio del Vangelo nel mondo attuale”, quindi risponde alla precisa esigenza di riaffermare, qui ed oggi, la Verità rivelata e immutabile. Il documento è rivolto «ai Vescovi, ai Presbiteri e ai Diaconi, alle Persone Consacrate e ai Fedeli Laici». Colui che si è presentato al mondo, nella sua umiltà, come Vescovo di Roma parla qui da Pastore della Chiesa Universale, e investe della Missione dell’Annuncio, in perfetta sintonia con il Concilio Vaticano II e col costante magistero, tutti coloro che sono rivestiti del sacerdozio battesimale, ciascuno nel proprio ordine e stato di vita. Il pastore che ha l’odore delle pecore è, molto semplicemente, il pastore di tutti.

Sa di parlare da Papa, e infatti sceglie e soppesa ogni singola parola delle 224 pagine della sua prima esortazione apostolica. Chissà come mai i media che stanno appollaiati da mesi in piazza San Pietro per cogliere una “rivoluzione” in ogni parola e in ogni gesto del Papa, a questo documento hanno prestato una così superficiale attenzione… Forse perché cita per ben 21 volte il suo predecessore come maestro, proprio mentre essi si affannano ad osannarne la presunta diversità? O perché cita 46 volte papa Giovanni Paolo II, 16 volte papa Paolo VI, 9 volte san Tommaso d’Aquino?

Meglio non parlarne, meglio concentrarsi sull’immagine del Papa che si porta da solo una borsa salendo in aereo. Meglio sbandierare il battesimo del bimbo di una coppia non sposata (come se questo non accadesse ogni giorno, da sempre, in ogni luogo della terra). Meglio. Altrimenti, dopo aver venduto copie e fatto audience su una presunta diversità dell’uomo vestito di bianco venuto dalla fine del mondo, bisognerebbe dire che anche questo Papa, per l’ennesima volta, ci ripeterà, certo in modo più simpatico, che Dio è si Amore, ma che ci chiede delle cose ben precise, e per giunta sempre le stesse. Che nemmeno questo Papa dirà che si può abortire, che quello che va bene a me va bene anche a Dio, che in fondo non c’è niente di male nelle unioni omosessuali, nell’eutanasia, nel divorzio.

Ricordiamo bene i titoli delle prime pagine dei giornali, no? “Il Papa apre alle unioni omosessuali”. Poi, leggendo, scoprivamo che aveva detto: «Chi sono io per giudicare?». Parole non molto nuove, le aveva dette un Tizio duemila anni fa a una prostituta. Ma aveva anche aggiunto: «Va’ e non peccare più». E poi “omosessuale”, per la Chiesa e per un gesuita semplice e profondo, vuol dire alcune cose precise. Anzitutto vuol dire “persona”, nella sua interezza di essere creato e sessuato, maschio o femmina. Poi vuol dire che questo uomo prova attrazione verso persone dello stesso sesso, non che “è” omosessuale. Poi vuol dire che vive in castità, perché questa attrazione non è un peccato in sé se non viene agita. Poi vuol dire che si sforza per comprendere e superare questa deviazione dall’ordine naturale del Creato, per tendere alla santità. E, soprattutto, vuol dire che la Chiesa e il suo pastore sono qui per accogliere, per amare, per guidare quella persona, condannando il peccato che la allontana dalla Verità e dalla Salvezza.

Nel caso qualcuno nutrisse ancora dubbi su questi significati, tanto profondi quanto sicuramente voluti, può andare a pagina 54 della Evangelii Gaudium. Meglio lasciare a lui la parola:

«Il processo di secolarizzazione tende a ridurre la fede e la Chiesa all’ambito privato e intimo. Inoltre, con la negazione di ogni trascendenza, ha prodotto una crescente deformazione etica, un indebolimento del senso del peccato personale e sociale e un progressivo aumento del relativismo, che danno luogo ad un disorientamento generalizzato, specialmente nella fase dell’adolescenza e della giovinezza, tanto vulnerabile dai cambiamenti. Come bene osservano i Vescovi degli Stati Uniti d’America, mentre la Chiesa insiste sull’esistenza di norme morali oggettive, valide per tutti, “ci sono coloro che presentano questo insegnamento, come ingiusto, ossia opposto ai diritti umani basilari. Tali argomentazioni scaturiscono solitamente da una forma di relativismo morale, che si unisce, non senza inconsistenza, a una fiducia nei diritti assoluti degli individui. In quest’ottica, si percepisce la Chiesa come se promuovesse un pregiudizio particolare e come se interferisse con la libertà individuale” (59).Viviamo in una società dell’informazione che ci satura indiscriminatamente di dati, tutti allo stesso livello, e finisce per portarci ad una tremenda superficialità al momento di impostare le questioni morali. Di conseguenza, si rende necessaria un’educazione che insegni a pensare criticamente e che offra un percorso di maturazione nei valori».

E se qualcuno nutrisse ancora dubbi sul fatto che il Papa si riferisca proprio all’”ideologia del genere”, potrà leggere la nota (59): United States Conference of Catholic Bishops, Ministry to persons with a Homosexual Inclination: Guidelines for Pastoral Care (2006). Anche a molti fedeli, destinatari dell’esortazione apostolica ciascuno nel proprio ordine e stato di vita, sarà utile approfondire questo documento, sintesi magistrale tra amore, sollecitudine pastorale e chiarezza dottrinale.

Ministero alle persone con inclinazioni omosessuali – Linee guida di cura pastorale: 25 pagine di amorevole chiarezza.

«Ci sono molte forze nella nostra società che promuovono una visione della sessualità in generale, e dell’omosessualità in particolare, non in accordo con gli scopi ed i piani di Dio sulla sessualità umana. Per offrire una guida, di fronte alla pervasiva confusione…». Vi si parla di dignità umana innata, di accettazione rispettosa, compassionevole e delicata, di condanna per ogni mancanza di rispetto verso le persone interessate, di necessità di purificazione, di crescita nella santità, di chiamata alla Verità di Cristo.

Vivendo in tempi nei quali siamo chiamati a riscoprire e a dover dimostrare l’ovvio, il discorso prende le mosse dal ruolo complementare della sessualità umana creata nella dualità, della differenza nella pari dignità tra maschio e femmina e dell’apertura alla vita. Si afferma chiaro e tondo che gli atti omosessuali non possono rispondere al fine naturale della sessualità umana in quanto atti errati, disordinati e moralmente sbagliati. Al pari, certo, di altri atti della sessualità vissuta come mera ricerca del piacere individuale (adulterio, fornicazione, masturbazione, contraccezione); in più però, rispetto a questi, l’omosessualità contraddice la finalità stessa della sessualità umana. Il testo in lingua originale è chiaro perfino per coloro che masticano poco l’inglese: «Consequently, the Catholic Church has consistently taught that homosexual acts “are contrary to the natural law… Under no circumstances can they be approved”».

Si cita anche la Dichiarazione circa alcune questioni di etica sessuale – Persona humana, del 29 dicembre 1975, emessa dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Questo testo, in effetti, non sembra del 1975 ma di oggi. Mette in guardia, profeticamente, dalla lusinga del cedimento morale alle unioni omosessuali come analoghe al matrimonio. Parla di accoglienza e sostegno ma non ammette giustificazione morale. Ordina ai vescovi e al clero di insegnare la verità e di vigilare che gli insegnamenti nei seminari e da parte dei teologi non devino dalla retta via. Invita genitori ed educatori a far crescere il senso morale dei ragazzi fino al pieno sviluppo integrale della persona. Ammonisce scrittori, artisti e operatori della comunicazione sociale sulla delicatezza della loro enorme influenza. Chiede con insistenza che sia sempre rispettata la libertà e la doverosità dell’istruzione morale e religiosa dei bambini e dei ragazzi.

1975: aveva visto lungo, la Chiesa. Quarant’anni fa aveva già intuito come si sarebbe svolto l’attacco alla base ontologica dell’uomo. Papa Francesco non richiama per mero caso questa sapienza profetica, lo fa per aprirci gli occhi, per spingerci ad essere testimoni della Parola che ci rende e ci mantiene liberi. Francesco non ci dice nulla di nuovo, ci insegna solo una lingua nuova con la quale vivere e proclamare la Verità.



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