Edith Stein: ebrea, filosofa, carmelitana, martire

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(Gino61)
00sabato 19 settembre 2009 11:30

di Emanuela Ghini

Ebrea, filosofa, carmelitana, martire, Edith Stein (1891-1942), "che porta nella sua intensa vita una sintesi drammatica del nostro secolo" (Giovanni Paolo II, 1-5-'85), e che la Chiesa annovera fra i suoi santi, apre cammini di rapporto e di comunione in ambiti e a livelli diversi, ma in punti nodali dell'esperienza umana cristiana, ecclesiale, interreligiosa.

Ebrea

Ebrea, nata a Breslavia nel giorno del Kippur, condotta dall'incontro con Cristo al battesimo e alla Chiesa, ma non a dimenticare la fede dei padri e d'Israele - "all'origine di questo piccolo popolo… c'è il fatto dell'elezione divina. Questo popolo è convocato e condotto da Jahvè, Creatore del cielo e della terra. La sua esistenza non è un mero fatto di natura né di cultura… Essa è un fatto soprannaturale" (Giovanni Paolo II, 31-10-'97) - Edith Stein vive la fede nell'alleanza, di cui vede il compimento nell'alleanza nuova, rilegge alla sua luce la storia del suo popolo e ne sposa il destino, con una consapevolezza lucida e senza pentimenti: "Sotto la croce ho intuito il destino del popolo di Dio, che fin da allora cominciava a preannunziarsi. Ho pensato che chi capisce che tutto questo è la croce di Cristo dovrebbe prenderla su di sé in nome di tutti gli altri" (9-12-'38).
Edith si carica della croce del suo popolo eletto, e ne condivide la sorte fino alla morte. Essa riconduce così i cristiani a "comprendere che un mondo senza Israele sarebbe un mondo senza il Dio di Israele" (A. Heschel), che "finché il giudaismo resterà estraneo alla nostra storia di salvezza, noi saremo in balìa di riflessi antisemitici" (R. Etchegaray), e soprattutto che "la religione ebraica non ci è estrinseca ma, in un certo qual senso, è intrinseca alla nostra religione" (Giovanni Paolo II).


Edith Stein opera nella sua persona e lascia in eredità a ebrei e cristiani una riconciliazione che la tragedia disumana della Shoah aspetta da tutti. Perché Auschwitz non è solo un fatto storico, ma anche una punta estrema della malvagità umana, che riduce tutti al silenzio e al pentimento.
Se "la Chiesa incoraggia i suoi figli e figlie a purificare i loro cuori, attraverso il pentimento per gli errori e le infedeltà del passato" (E. Cassidy), Edith, morta per il suo popolo, "può rifulgere, come santa cristiana, portatrice dell'origine ebraica" (B. Di Porto, Il tempo e l'Idea, n.9, maggio 1997, p.60), anche ai fratelli ebrei. Come riconosce uno di loro: "Io, ebreo, credo fermamente al valore della nostra coesione di popolo, ma non la circondo di cordoni e paletti. Ammetto, nella libera dinamica dello spirito, la possibilità degli scambi e delle folgorazioni... Rispetto la canonizzazione di Edith, martire cristiana, nata mia sorella ebrea, gassata ad Auschwitz da chi fissava indelebile la sua fraternità di carne e di sangue con me" (ivi).

Filosofa

Filosofa, discepola e poi assistente di Husserl (1916-1922), condiscepola dei partecipanti al circolo di Gottinga - Adolf Reinach, Hedwig Conrad-Martius, Roman Ingarden, Hans Lipps... -, Edith Stein segue anche lezioni di Max Scheler. Contatterà più tardi Heidegger, succeduto a Husserl, e Peter Wust, che descriverà il suo itinerario dalla filosofia al Carmelo, quando Edith ne vestirà l'abito, il 15-4-'34.

Non persuasa dal positivismo della psicologia sperimentale di Stern, Edith è attratta verso la fenomenologia dalla valutazione di Husserl della coscienza come emergente sul mondo e donatrice di significati, dall'ammirazione di una realtà che suscita meraviglia, stimola la ricerca, invita a quell'"andare alle cose" senza presupposti che mette tra parentesi l'essere inteso in modo naturalistico, e quindi ogni forma di realismo, che affermi la priorità dell'essere sul pensiero. La fenomenologia, che influenzerà poi tanta parte del pensiero moderno - da Scheler a Hartmann, da Sartre a Merleau-Ponty, Lévinas, Ricoeur... - affascina Edith Stein, che vede in Husserl "il filosofo dei nostri tempi" per la chiarificazione che opera della realtà, mediante un'analisi dei processi conoscitivi nel loro offrirsi originario, come riflessione su ciò che appare nel fluire della coscienza con l'ampiezza di un metodo di indagine non solo gnoseologica e psicologica, ma anche etica, che può essere utilizzato perfino dalla psichiatria, in particolare dalla logoterapia.


Nel 1917 la fede serena della giovane vedova di Adolf Reinach, caduto in guerra, conduce Edith "al suo primo incontro con la croce... e (con) la luce di Cristo", nel 1921 la lettura dell'autobiografia di Teresa d'Avila la pone in modo limpido e vivo davanti a Cristo-verità. Battezzata il 1-1-'22, Edith è orientata da Erich Przywara allo studio della philosophia perennis: prima Tommaso d'Aquino, poi, al Carmelo, Giovanni della Croce e Dionigi l'Areopagita.
Divenuta cristiana al termine di una ricerca appassionata e ansiosa della verità, per volontà di risposta alle grandi domande sull'uomo e sul suo destino che avevano acceso in lei il desiderio di un'indagine che non lasciasse inevaso alcun problema esistenziale, attratta dal mistero della persona e dal bisogno di un incontro con la realtà che non ne rendesse l'uomo succube, ma signore, Edith Stein è figura emblematica di una ricerca che per l'ampiezza degli orizzonti e il rigore del metodo critico interessa credenti e non credenti, sollecitando a un impegno forte, incarnato nella vita, nei confronti dei grandi di interrogativi che la sovrastano.

Carmelitana

Edith Stein

Giunta al Carmelo (14-10-'33), "alto monte sul quale bisogna cominciare a salire dal basso" (27-8-'39), per la sua sete di partecipazione al mistero pasquale, Edith ne vive la condizione di deserto, che rende il Carmelo particolarmente adatto a capire la cultura del nulla di tanta parte del nostro secolo. Se tutta la vita cristiana è esodo verso la terra promessa, il Carmelo vive la dimensione dell'esodo con una radicalità che Edith Stein ha sperimentato, in modi diversi, lungo tutta la vita.

La sua conversione, che rendendola cristiana la lascia comunque figlia di Israele, innamorata della sua santa progenie, la distacca però dolorosamente dalla famiglia e dall'amatissima madre, che ha "lei pure una grande fede" (estate '33). "Mia madre si oppone ancora con tutte le sue forze alla decisione che sto per prendere. È duro dover assistere al dolore e al conflitto di coscienza di una madre, senza poterla aiutare con mezzi umani" (26-1-'34).

Il distacco dalla fede della madre, che resterà "fino all'ultimo", con ammirazione di Edith, "fedele alla sua fede" (4-10-'36), si coniuga in lei con quello dei successivi esili: prima dall'Università di Friburgo (1922), poi dal liceo di Spira (1931), dall'Accademia pedagogica di Münster (1933), infine dallo stesso Carmelo di Colonia (1938), fino al distacco supremo dal Carmelo di Echt (2-8-'42) per il campo di Amersfort, il lager di Wersterbork (3-8-'42) e quello di Auschwitz-Birkenau (7-8-'42), dove Edith e la sorella Rosa saranno subito selezionate per l'eliminazione (9-8-'42).

Edith verifica che "la storia della salvezza è quella di un continuo camminare sulle orme del Signore... Una nuova scoperta, una nuova esperienza di Dio nella storia, una nuova richiesta da parte di lui possono farci camminare in una direzione inattesa. Il cammino terminerà quando vedremo Dio come egli è (1 Gv 3, 2)" (C. Maccise).

Condizione della disponibilità all'esodo è l'abbandono a Dio. Edith, innamorata del Carmelo - "c'era solo il monte Carmelo in cima ai miei pensieri" (27-3 -'34) -, affondata nel ringraziamento per essere carmelitana - "non mi resta che ringraziare continuamente Dio per l'immensa grazia, non meritata, della vocazione" (11-2-'35) -, rimane però spalancata agli imprevisti di Dio: "Ho sempre presente che non abbiamo un posto durevole quaggiù. Non desidero altro che si compia la volontà di Dio in me e attraverso di me. Lui sa quanto tempo mi lascerà ancora qui e che cosa accadrà poi. In manibus tuis sortes meae... Non ho di che preoccuparmi" (16-10-'39).

Dio è dovunque perché abita il cuore umano, più grande di ogni spazio e di ogni luogo anche sacro: "Dio è con noi con tutta la Trinità. Se nell'intimo del cuore abbiamo costruito una cella ben protetta in cui ci ritiriamo il più spesso possibile, non ci mancherà mai niente dovunque ci troveremo" (22-10-'38).

Neppure in un lager. In quello di Westerbork, a tre giorni dalla morte, Edith dirà: "Qualunque cosa avvenga, io sono preparata. Gesù è anche qui con noi" (6-8-'42).

 

Martire

Il martire è il più povero dei poveri e il più credibile degli evangelizzatori. Edith Stein passa dalla "lieta povertà" del Carmelo (26-1-'34) alla miseria amara, annientata, della camera a gas. Non per caso.

Fin dal momento del battesimo si sente evangelizzatrice: "Sono solo uno strumento del Signore. Se uno viene a me, vorrei condurvelo" (14-12-'30). "Dio non chiama nessuno unicamente per se stesso" (15-10-38). "Ogni giorno questa pace mi sembra una grazia immensa che non può esserci data per noi sole" (2-1-'34).

Un'autentica evangelizzazione non sopporta condizionamenti, è forte e libera testimonianza della verità: "Il nostro agire in mezzo agli altri sarà efficace e benedetto da Dio solo se non cederemo nemmeno di un centimetro sul sicuro terreno della fede e seguiremo la nostra coscienza senza lasciarci influenzare dal rispetto umano" (20-3-'34).

Nessuna remora nel testimoniare la verità, ma anche profonda consapevolezza che Dio è in ogni ricerca sincera, oltre la percezione di chi lo cerca: "Non mi è mai piaciuto pensare che la misericordia di Dio si fermi ai confini della Chiesa visibile. Dio è la verità. Chi cerca la verità cerca Dio, che lo sappia o no" (23-3-'38).


Il martire evangelizza perché il suo sacrificio è offerta a Dio per i fratelli. Edith Stein, che condivide coi fratelli ebrei il tragico destino che ne coinvolse sei milioni, che muore cristiana, ma "quale figlia del suo popolo martoriato" (Giovanni Paolo II, 1-5-'87), e, per sua esplicita e ripetuta ammissione, "per" questo popolo, ci ricorda che, se oggi dopo Auschwitz la fede è ancora possibile, è perché "Dio stesso è stato ad Auschwitz soffrendo con i martirizzati e gli assassinati" (G. Dossetti, che richiama J. Moltmann). Il suo sacrificio conduce i cristiani a "rinnovare la consapevolezza delle radici ebraiche della loro fede,... (a) ricordare che Gesù era un discendente di Davide; che dal popolo ebraico nacquero la Vergine Maria e gli Apostoli; che la Chiesa trae sostentamento dalle radici di quel buon ulivo a cui sono stati innestati i rami dell'ulivo selvatico dei gentili (Rm 11,17-24); che gli ebrei sono nostri cari e amati fratelli" (Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah, 16-3-'98).


Edith sospinge ebrei e cristiani a nutrirsi alle sorgenti della "santa radice" e a "un rispetto reciproco, condiviso, come conviene a coloro che adorano l'unico Creatore e Signore e hanno un comune padre della fede, Abramo" (ivi).

(Gino61)
00sabato 19 settembre 2009 11:30

Sr. Licinia Faresin

 

1 - Chi è Edith Stein

E' una delle donne più eminenti e ricche di fascino del nostro secolo. Data l'originalità e la complessità delle vicende esistenziali che la caratterizzano, è difficile inquadrarla con fedeltà in un breve profilo biografico.

Edith Stein nacque nel 1891 a Breslavia, città appartenente allora alla Germania, come capoluogo della Slesia prussiana (oggi Wroclaw in Polonia). Era l'ultima di sette figli di una famiglia ebrea profondamente religiosa e attaccata alle tradizioni. Nacque in una festa religiosa ebraica, il 12 ottobre, giorno del Kippur, cioè dell'Espiazione. Già la madre vide questa circostanza come segno di predilezione di Dio e anticipazione di un particolare destino della figlia.

Intelligente, vivace, iniziata in età precoce agli interessi culturali dai fratelli maggiori, nel 1910 Edith è iscritta all'università di Breslavia, unica donna a seguire, in quell'anno, i corsi di filosofia. Disse una volta: "Lo studio della filosofia è un continuo camminare sull'orlo dell'abisso", ma lei, intellettualmente e spiritualmente matura, seppe farne una via privilegiata di incontro con la verità.

Seguendo un particolare seminario di studio, venne a contatto con il pensiero di Edmund Husserl, docente presso l'università di Gottinga. Ne nacque un interesse profondo. Fu presa da entusiasmo per l'autore, iniziatore della fenomenologia, che le parve "il filosofo" del suo tempo. Si trasferì all'università di Gottinga e fu subito presentata al filosofo Husserl.

Dall'entusiasmo per la prima opera del maestro, le Indagini logiche, Edith, con altri studenti ricercatori come lei, passò ad un atteggiamento critico quando Husserl con Idee per una fenomenologia pura passò dal realismo dello studio dei fenomeni all'idealismo trascendentale.

Conobbe un altro fenomenologo, Max Scheler, molto diverso da Husserl, che provocava l'uditorio con intuizioni originali e ne accendeva lo spirito. In lei, che si dichiarava atea, Scheler riuscì a risvegliare il bisogno religioso, piuttosto sopito che spento. Da poco tempo Sheler era tornato alla fede cattolica ed esponeva il suo credo in modo affascinante.

Edith non giunse ancora alla fede, però si vide aprire dinanzi un nuovo ambito di fenomeni, di fronte ai quali non poteva rimanere insensibile. Alla scuola di Husserl infatti aveva imparato a contemplare qualsiasi cosa senza preconcetti. Ascoltando Scheler, cadevano le barriere dei pregiudizi razionalistici tra i quali era cresciuta senza saperlo. Dice lei stessa: ''Il mondo della fede mi si apriva improvvisamente dinanzi".

Allo scoppio della prima guerra mondiale, nel 1914, si sentì attratta nello spirito a dedicarsi a contrastare l'odio con un servizio d'amore. E fu crocerossina volontaria in un ospedale militare per malattie infettive, in una piccola città della Moravia. Tornò poi alla filosofia con un atteggiamento nuovo: "Non la scienza, ma la dedizione della vita ha l'ultima parola!".

Nonostante le sue riserve sul pensiero filosofico di Husserl, Edith gli restò vicina, e nel 1916 lo seguì con l'incarico di assistente all'università di Friburgo, dove si laureò con una tesi dal titolo ll problema dell'empatia (Einfuhlung). L'anno dopo conseguì il dottorato summa cum laude presso la stessa università.

Per necessità di studi prima, per esigenze di amicizia poi, trascorse lunghi periodi estivi a Bergzabern, nel Palatinato, in casa dei coniugi Conrad-Martius. Fu nell'estate del 1921, durante uno di questi soggiorni, che Edith lesse - in una sola notte - la Vita di S.Teresa d'Avila, scritta da lei stessa. Nel chiudere il libro, alle prime luci del mattino, dovette confessare a se stessa: "Questa è la Verità!".

Ricevette il battesimo a Bergzabern qualche mese dopo, il 1° gennaio 1922. Volle e ottenne di avere come madrina l'amica Hedwig Conrad-Martius, la quale era cristiana ma di confessione protestante. Aggiunse a Edith i nomi di Teresa ed Edvige.

Si recò quindi in famiglia, dall'anziana madre Augusta, per rivelarle quanto era avvenuto. Si mise in ginocchio e le disse: "Mamma, sono cattolica!". La madre, forte custode della fede d'lsraele, pianse. E pianse anche Edith. Entrambe sentivano che pur continuando ad amarsi intensamente, le loro vite si separavano per sempre. Ciascuna delle due trovò a modo suo, nella propria fede, il coraggio di offrire a Dio il sacrificio richiesto.

A Friburgo Edith cominciava a sentirsi a disagio. Avvertiva i primi richiami interiori della vocazione alla consacrazione totale al Dio di Gesù Cristo. Lasciò quindi il suo lavoro come assistente di Husserl, e scelse di passare all'insegnamento presso l'lstituto delle Domenicane di Spira (Speyer).

"Fu san Tommaso - scrive - che mi insegnò come si possa congiungere benissimo lo studio con una vita tutta dedita alla preghiera. Solo dopo averlo compreso, osai darmi di nuovo ai miei studi con una seria applicazione. Credo che anzi, quanto più profondamente uno viene attirato da Dio, tanto più deve uscire da se stesso, anche in questo senso. Vale a dire: deve ritornare nel mondo per portarvi la vita divina."

Si dedicò allora a confrontare la corrente filosofica nella quale era stata formata, la fenomenologia, con la filosofia cristiana di S.Tommaso d'Aquino che andava approfondendo. Risultato di questa indagine fu lo studio che dedicò al vecchio maestro Husserl, nel suo settantesimo compleanno: La fenomenologia di Husserl e la filosofia di san Tommaso. Era l'anno 1929. Nello stesso anno iniziava i cicli di Conferenze culturali per la promozione della donna.

Tre anni dopo, nel 1932, lasciò Spira per dedicarsi ancora completamente agli studi filosofici ed entrò come docente all'Accademia pedagogica di Munster. Ma fu per un anno soltanto. Infatti, con l'ascesa al potere di Hitler, fu promulgata la legge della discriminazione razziale e la Stein dovette lasciare l'insegnamento.

Il 30 aprile 1933, durante l'adorazione del SS.Sacramento, sentì con chiarezza quella vocazione alla vita religiosa monastica del Carmelo che aveva cominciato ad avvertire il giorno del battesimo e prese interiormente la sua decisione. Per la madre fu un altro schianto! ''Anche restando ebrei si può essere religiosi", le aveva detto per dissuaderla. ''Certo - aveva risposto Edith - se non si è conosciuto altro".

Dio la chiamava per condurla nel deserto, parlare al suo cuore, farle condividere l'infinita sete di Gesù per la salvezza degli uomini. Liberamente e lietamente lasciava un mondo pieno di amici e di ammiratori, per entrare nel silenzio di una vita spoglia e silenziosa, attratta solo dall'amore di Gesù.. Il 15 ottobre 1933 dello stesso anno, Edith entrava nel Carmelo di Colonia. Aveva 42 anni.

L'anno dopo, la Domenica 15 aprile 1934, si compì il rito della vestizione religiosa, e fu monaca novizia col nome di Suor Teresa Benedetta della Croce. Intanto il provinciale dei carmelitani fece sì che si dedicasse a completare l'opera Essere finito ed Essere eterno, iniziata prima di entrare al Carmelo. Nel 1938 si compì l'iter della sua formazione carmelitana e il l° maggio emise la sua professione religiosa carmelitana per tutta la vita.

Ma il 31 dicembre 1938 si imponeva per Edith il dramma della croce. Per sfuggire alle leggi razziali contro gli ebrei, dovette lasciare il Carmelo di Colonia. Si rifugiò allora in Olanda, nel Carmelo di Echt. Il momento era tragico, per tutta l'Europa e particolarmente per coloro che erano perseguitati dai nazisti perché di stirpe ebraica. Il 23 marzo si offrì a Dio come vittima di espiazione. Il 9 giugno stese il testamento spirituale, nel quale evidenziava l'accettazione della morte per le grandi intenzioni dell'ora, mentre infuriava la seconda guerra mondiale.

Nel 1941, per incarico della Priora del monastero di Echt, incominciò e portò avanti finché potè una nuova opera, questa volta sulla teologia mistica di S.Giovanni della Croce. La intitolò: Scientia Crucis. L'opera rimase incompiuta, perché anche ad Echt fu raggiunta dai nazisti. Le squadre delle SS la deportarono nel campo di concentramento di Amersfort e poi in quello di Auschwitz. "Andiamo! - aveva detto uscendo con il suo povero bagaglio alla sorella Rose, che viveva presso la foresteria del monastero e fu catturata con lei - andiamo a morire per il nostro popolo!".

Era passata dalla cattedra di docente universitaria al Carmelo. Ed ora, dalla pace del chiostro, spazio dell'amore contemplativo, passava agli orrori di un lager nazista.. Edith Stein, Suor Teresa Benedetta della Croce, morì nelle camere a gas di Auschwitz il 9 agosto 1942.

Fu beatificata da Giovanni Paolo II a Colonia, nell'anniversario della sua consacrazione definitiva, il 1° maggio 1987. E' stata proclamata Santa dallo stesso pontefice a Roma, in piazza S.Pietro, il giorno 11 ottobre 1998.

L'accettazione serena e consapevole di una tale fine presuppone una maturazione umana e spirituale completa, il tranquillo possesso, alla maniera possibile ad un essere umano finito, di quella somma Verità e di quel sommo Amore che è l'Essere eterno in se stesso.

A questo traguardo Edith era approdata passando attraverso una maturazione intellettuale e filosofica che si può considerare già compiuta quando lasciava il mondo per immergersi in Dio solo nella contemplazione, che è la vocazione monastica carmelitana.

Ciò che più colpisce in Edith Stein è la chiarezza del suo obiettivo, la continuità instancabile della ricerca con cui lo perseguì per tutta la vita. "La sete della verità - disse a proposito del tempo che precedette la conversione - era la mia sola preghiera". Questa ricerca, aprendosi all'Essere divino, diventerà ricerca di Dio, non del Dio delle astratte filosofie, ma del Dio personale, il Dio di Gesù Cristo.

Non fa meraviglia quindi che dalla fenomenologia la Stein sia approdata alla Scolastica e che in questa panoramica di luce totale sull'essere abbia potuto sentire l'esigenza di immergersi in una esperienza e in una dottrina di carattere mistico.

Negli anni trenta, esistevano vari circoli di pensatori neo-scolastici che trattavano frequentemente del rapporto tra filosofia e mistica, interessandosi soprattutto alle differenze fra le vie proposte da Tommaso d'Aquino e da Giovanni della Croce, per la vita spirituale.

Scrive Dubois: "Era l'epoca dei Congressi Tomisti, degli Studi Carmelitani, delle riunioni di Meudon, attorno a Jacques e Raissa Maritain. Testimoniano che in questo periodo del pensiero cristiano la vita di orazione e la ricerca della santità apparivano come forme dell'impegno del filosofo, nella realtà dell'esistenza".

A quell'epoca Edith aveva già maturato il superamento della posizione del suo maestro Husserl. I suoi interessi, quanto agli studi, gravitavano su San Tommaso e il suo spirito era orientato all'esperienza mistica carmelitana, eppure restava profondamente segnata dalla sua nascita alla filosofia nella scuola di Husserl.

Tutto l'orientamento del pensiero di Husserl attirava i discepoli. "Ogni coscienza è coscienza di qualche cosa. La parola d'ordine è ritornare alle cose e domandare loro ciò che dicono di se stesse, ottenendo così delle certezze che non risultano da teorie preconcette, da opinioni ricevute e non verificate. Erano prospettive attraenti. Formule come 'La verità è un assoluto', che Husserl aveva dato nella sua prima opera indagini logiche erano una rottura con il relativismo" (Dumareau).

Edith era entrata così in una cerchia di persone legate dalla passione per la verità e da autentici rapporti umani. Notevole la testimonianza di Hedwig Conrad Martius: "Nati dallo Spirito! Io voglio esprimere con queste parole che non si trattava soltanto di un comune metodo di pensiero e di ricerca. Questo metodo ha costituito e costituisce fra i discepoli di Husserl un legame per il quale io non trovo paragone migliore di quello di una nascita naturale in uno spirito comune. Fin da principio dovette esserci un grande segreto, nascosto nell'intenzione di questo nuovo orientamento filosofico, una nostalgia di ritorno all'oggettivo, alla santità dell'essere, alla purezza e castità delle cose".

Benché il soggettivismo non sia stato completamente superato neppure da Husserl, in realtà l'apertura all'oggetto, propria dell'intenzione originaria di questa scuola nella quale la Stein ha avuto la sua formazione filosofica, spingeva molti discepoli più avanti, sulla via dell'oggettività, verso l'essere stesso.

Ciò che attirò fortemente la Stein fu l'apertura diretta della coscienza all'essere del mondo. "E' attraverso questa realtà dell'essere del mondo che Dio ci parla. Egli è là, dietro, è lui solo Colui che è. Aprirsi alla voce del mondo che parla alla coscienza è aprirsi a Dio, è ascoltare Dio. Il cammino della contemplazione è molto vicino" (J. De Fabrègues).

L'atteggiamento critico di Edith nei riguardi dello sviluppo della dottrina di Husserl in quella linea che fu definita "idealismo trascendentale'', favorì il suo ingresso nella prospettiva della Scolastica. E l'incontro con l'Essere infinito fece crescere nel suo spirito il germe della contem-plazione.

Procedendo con il metodo fenomenologico, nella prospettiva iniziale dell'aderenza all'oggettività delle cose, Edith trattò, nella sua prima produzione scientifica, alcuni temi di carattere psicologico, comunitario, sociale. Secondo uno dei più robusti studiosi della Stein, Reuben Guilead, "c'è un problema sul quale è concentrato tutto il suo interesse filosofico: quello della persona umana. Non è per caso che i suoi primi scritti gravitano attorno a questioni di natura psichica, comunitaria e sociale. Ora la ricerca dell'essenza della persona umana è indissolubilmente legata a quella della dimensione spirituale. Così non ci sorprende che, fin dai primi scritti, Edith Stein ponga la questione di una ontologia dello spirito".

 

 

(Gino61)
00sabato 19 settembre 2009 11:31

Sr Licinia Faresin

 

 

 

Edith lavorò alla sua tesi di laurea sul "Problema dell'Empatia", concentrandosi sul soggetto. Col termine "Empatia" si traduce il tedesco "Einfulung", e viene così spiegato dalla stessa Edith: "E' una esperienza sui generis, l'esperienza dello stato di coscienza altrui in generale... l'esperienza che un io in generale ha di un altro io a questo simile".

Rispetto ad un altro studioso dello stesso problema, Theodor Lipps, il quale sostiene che può darsi una perfetta coincidenza fra l'io originano e l'io afferrato nell'Empatia, Edith si trova in una posizione discordante. Sostiene infatti che un'empatia perfetta in questo senso non è possibile. Se si può dare una certa partecipazione allo stato d'animo dell'altro, questo non significa che si possa coglierne perfettamente la situazione, gli impulsi e le motivazioni.

Se l'altro, con il quale il soggetto realizza un contatto, è persona spirituale, comprenderlo significa per Edith penetrare in quel mondo dei valori che costituisce il più intimo fondamento del suo essere. Per questo può bastare un solo gesto, un solo movimento, una sola parola, perché tutto è caratterizzato dalla personalità.

Nel saggio "Causalità psichica" la Stein, che ha appreso dal suo maestro Husserl la fenomenologia come scienza della coscienza, sostiene l'autonomia, e quindi il carattere personale della forza vitale spirituale di ciascuno. Infatti non tutti si aprono a determinati valori con il medesimo slancio e con la medesima capacità recettiva.

Esistono perfino dei fenomeni "unici", come sono quelli del santo e del mistico. Questo saggio risale all'epoca della conversione, ed è qui che Edith, attingendo alla propria esperienza, scrive una celebre pagina sullo "stato di riposo in Dio" che rigenera profondamente la persona.

Si sente qui vibrare l'accento di chi, avendo percepito interiormente una presenza misteriosa, l'azione proveniente dalla forza superiore di Dio, si abbandona liberamente ad un sentimento di intima sicurezza e sperimenta un nuovo senso di libertà, una forza, una rinascita. Edith ha raggiunto così l'unità di vita tra il cammino intellettuale e il cammino religioso: "Esiste uno stato di riposo in Dio, di totale sospensione di ogni attività della mente, nel quale non si possono più tracciare piani, né prendere decisioni, e nemmeno far nulla, ma in cui, consegnato tutto il proprio avvenire alla volontà divina, ci si abbandona al proprio destino. Questo stato un poco io l'ho provato, in seguito a un'esperienza che, oltrepassando le mie forze, consumò totalmente le mie energie spirituali e mi tolse ogni possibilità di azione. Paragonato all'arresto di attività per mancanza di slancio vitale, il riposo in Dio è qualcosa di completamente nuovo e irriducibile. Prima, era il silenzio della morte. Al suo posto subentra un senso di intima sicurezza, di liberazione da tutto ciò che è preoccupazione, obbligo, responsabilità riguardo all'agire. E mentre mi abbandono a questo sentimento, a poco a poco una vita nuova comincia a colmarmi e - senza alcuna tensione della mia volontà - a spingermi verso nuove realizzazioni. Questo afflusso vitale sembra sgorgare da un'attività e da una forza che non è la mia e che, senza fare alla mia alcuna violenza, diventa attiva in me. Il solo presupposto necessario a una tale rinascita spirituale sembra essere quella capacità passiva di accoglienza che si trova al fondo della struttura della persona".

4 - Dalla centralità dell'io-coscienza alla centralità di Dio

Studiando la filosofia di San Tommaso d'Aquino, Edith Stein tracciava il confronto con la teoria fenomenologica di Husserl, e questo studio la portò a sviluppare il suo pensiero sempre più secondo prospettive e implicazioni di carattere religioso.

Scoprirà poco a poco che anche per San Tommaso il vero fondamento della conoscenza è l'incontro con la realtà creata, quindi con il mondo delle cose. Da tale fondamento l'intelligenza umana si eleva a comprendere la necessità di Dio creatore, e il cuore si apre all'accoglienza del suo mistero, che è l'amore infinito.

Nel suo cammino appassionato di ricerca della Verità, non le bastava più la teoria dell'essenza delle cose, per cui Husserl metteva l'essere delle cose stesse come "tra parentesi". Infatti secondo la Stein, l'essere è anteriore allo spirito che gli si pone dinanzi. Non accettava da Husserl una dottrina che pone una trascendenza senza Dio. Né andava d'accordo con Heidegger che puntava tutto sull'esistenza, come se quella potesse "spiegare se stessa" e costruire un sistema di certezze, annullando di fatto la trascendenza.

Cercò allora e trovò la chiarezza per una sua costruzione filosofica: mettere al punto di partenza l'essere che contiene in sé l'essenza, ma anche l'esistere concreto.

5 - "Essere finito ed Essere eterno"

Questo progetto di sintesi è stato attuato da Edith nella sua opera massima che, iniziata prima di entrare al Carmelo di Colonia, fu completata dopo la sua prima professione religiosa, per obbedienza ai suoi superiori. Si intitola: "Essere finito ed Essere eterno". E' un'opera nella quale i problemi della filosofia e i problemi della teologia si accordano.

Nella pace contemplativa della sua cella di carmelitana, Edith sperimenta personalmente cosa significa afferrare Dio nella fede, senza vederlo né possederlo, in quanto già ne siamo stati afferrati per grazia. Questa profonda "oscurità della fede" le fa intuire, al di là dei sensi e della ragione, la chiarezza di Dio verso il quale è incamminata.

E' l'esperienza della "notte", di cui tratta il dottore mistico San Giovanni della Croce. "Ma poiché il cammino nelle tenebre ci diventa difficile, ogni raggio di luce che scende nella notte, come un primo messaggero della chiarezza futura, costituisce un aiuto inestimabile per non smarrirsi. E anche la piccola luce della ragione naturale può rendere dei servizi apprezzabili".

Chiarita la funzione della filosofia, Edith Stein si interroga sull'essere dell'io, cioè l'essere finito, in relazione all'Essere eterno.

"Donde viene questo essere che la persona sperimenta come ricevuto? Il mio essere, per quanto riguarda il modo in cui lo trovo dato e per come vi ritrovo me stesso, è un essere inconsistente. Io non sono da me! Da me sono nulla, in ogni attimo mi trovo di fronte al nulla e devo ricevere in dono, attimo per attimo, nuovamente l'essere. Eppure questo essere inconsistente è essere, e io in ogni istante sono in contatto con la pienezza dell'essere.

Il divenire e il passare rivelano l'idea dell'essere vero, eternamente immutabile [...] In questo mio essere fugace colgo alcunché di duraturo. [...] E' la dolce beata sicurezza del bambino sorretto da un braccio robusto, sicurezza oggettivamente considerata, non meno ragionevole. O sarebbe ragionevole il bambino che vivesse con il timore continuo che la madre lo lasciasse cadere?...

Dio, per bocca dei profeti, mi dice che mi è più fedele del padre e della madre, che egli è lo stesso amore, allora riconosco quanto sia ragionevole la mia fiducia nel braccio che mi sostiene e quanto sia stolto ogni timore di cadere nel nulla, a meno che non mi stacchi io stesso dal braccio che mi sorregge".

Nel trattare dell'immagine della Trinità nella creazione, verso la fine dell'opera, Edith, già carmelitana professa, parla dell'anima nella quale l'io personale è di casa, come di uno spazio al centro di quella totalità che è composta dal corpo, dalla psiche e dallo spirito.

"L'anima in quanto 'castello interiore', come l'ha chiarito la nostra S. Teresa d'Avila, non è puntiforme come l'io puro, ma è uno spazio, un castello con molte abitazioni, dove l'io si può muovere liberamente, andando ora verso l'esterno, ora ritirandosi sempre più verso l'interno. [...] L'anima non può vivere senza ricevere. Essa si nutre infatti dei contenuti che accoglie spiritualmente, vivendoli".

(Gino61)
00sabato 19 settembre 2009 11:31

6 - La vocazione della donna

Nel panorama degli scritti di Edith Stein, il tema della donna si colloca in relazione all'Essere eterno, perché l'Essere finito ha in se stesso un'orma luminosa e indistruttibile di Dio stesso. E' questo il fondamento della vocazione divina dell'uomo e della donna.

La Stein tratta della differenza dei sessi, problema dell'essere in sé e insieme problema psicologico e culturale. Uomo e donna sono chiamati a conservare la propria somiglianza con Dio, a dominare insieme la terra e a propagare il genere umano. Ma ciascuno deve farlo alla propria maniera! Deve rispettare e sviluppare cioè le caratteristiche proprie dell'essere uomo e dell'essere donna, pur nell'ambito di una vocazione fondamentale comune.

Il rapporto uomo-donna assunto da Paolo come simbolo per indicare l'unione di Cristo con la Chiesa, viene illuminato da quella stessa realtà di cui è segno. Così per la coppia umana diventa esemplare la perfezione del rapporto di Cristo con la Chiesa. Quando l'equilibrio fra l'uomo e la donna è compromesso, vengono a degenerare sia il ruolo paterno che il ruolo materno.

Nell'ambito del rapporto uomo-donna, Edith pone anche la questione del sacerdozio ministeriale nella Chiesa: merita considerazione la proposta del sacerdozio femminile o si tratta di un ministero riservato all'uomo?

La Chiesa delle origini aveva ammesso le vergini consacrate e le vedove a qualche forma partecipativa nell'ambito del servizio liturgico e aveva riconosciuto il diaconato femminile con una particolare "consacrazione". Ma lo sviluppo storico successivo ha portato ad una limitazione dei ministeri affidati alla donna, per influsso dell'antico testamento e del Diritto Romano.

I tempi attuali invece segnano un'ascesa della donna, dovuta al suo giusto desiderio di occupare nella Chiesa un posto corrispondente alle proprie attitudini. Anche perché -dice Edith Stein - la donna avverte la necessità di edificare la realtà ecclesiale con un contributo attivo, specificamente femminile.

Tali aspirazioni potranno un giorno essere raccolte e realizzate con l'ufficiale riconoscimento di determinati ministeri. Quanto al sacerdozio però, Edith non avrebbe difficoltà a riconoscerlo più adatto all'uomo, in considerazione del fatto che Dio si è incarnato sulla terra nella persona di Gesù di Nazareth, uomo Dio. Ma la diversa funzione ecclesiale non implica una differenziazione ontologica dei due generi, il maschile e il femminile.

Essere uomo o donna comporta un identico appello a seguire Cristo che "personifica l'ideale della perfezione umana, libera da ogni difetto, ricca dei tratti sia maschili che femminili". La vocazione divina della donna si innesta sul nucleo unitario della specie umana, sul suo essere in modo singolare persona. in ciò uguale all'uomo.

Questa vocazione della donna è naturale e religiosa insieme, nel senso che la vita, vissuta secondo l'articolarsi dell'umano che è proprio della femminilità, passando attraverso l'intesa profonda con l'uomo e interagendo con la sua vocazione, conduce alla comunione con Dio e può contribuire all'attuazione del suo piano nella storia.

Esiste nella donna una vocazione naturale, chiaramente detta nel suo stesso corpo. Infatti non si può negare "la realtà evidentissima che il corpo e 1'anima della donna sono strutturati per uno scopo particolare." E la parola chiara della Scrittura esprime ciò che, fin dall'inizio del mondo, l'esperienza quotidiana ci insegna: la donna è confermata per essere compagna dell'uomo e madre. Per questo scopo il suo corpo è particolarmente dotato e a questo scopo corrispondono anche le particolari caratteristiche della sua anima.

Il principio tomistico dell'anima forma corporis trova conferma nella particolare qualità delle facoltà psichiche e spirituali della donna e nei suoi atteggiamenti. "Il modo di pensare della donna, i suoi interessi, sono orientati verso ciò che è vivo, personale, verso l'oggetto considerato come un tutto. Proteggere, custodire, tutelare, nutrire, far crescere: questi sono gli intimi bisogni di una donna che sia veramente adulta. Sono bisogni materni! Ciò che non ha vita, la cosa, la interessa solo in quanto serve alla persona, non in se stessa".

Questo atteggiamento pratico della donna conduce a costatare qualche cosa di simile sul piano teoretico: "Il modo naturale di conoscere della donna non è tanto concettuale, quanto piuttosto contemplativo e sperimentale, orientato verso il concreto".

Se esiste una vocazione naturale della donna, la quale è umana e insieme religiosa, esiste pure, secondo la Stein, una molteplicità di vie aperte - al di là della famiglia - all'esplicazione delle doti naturali della donna.

"Che la donna sia in grado di esercitare altre professioni oltre a quella di sposa e di madre, lo ha potuto negare solo chi era 'cieco' di fronte alla realtà! Nessuna donna è solo donna: ciascuna ha le proprie inclinazioni e i propri talenti naturali, come gli uomini. E questi talenti la rendono atta alle varie professioni di carattere artistico, scientifico, tecnico.

In linea di massima, la disposizione individuale può orientare di preferenza verso qualsiasi campo, anche verso quelli che sono per sé lontani dalle caratteristiche femminili. [...] Ma se di queste cose si vuol parlare nel senso pieno del termine, è necessario che siano professioni i cui compiti oggettivi siano confacenti alle particolari caratteristiche della femminilità".

7 - Dottrina ed esperienza mistica

Col crescere delle violenze della persecuzione nazista, come abbiamo visto, Edith Stein aveva lasciato il Carmelo di Colonia in Germania e si era rifugiata in Olanda, nel Carmelo di Echt. Lo aveva fatto con sofferenza raccolta, profondamente tranquilla perché unificata in se stessa e abbandonata a Dio. Era cosciente che anche quello era un passo del suo cammino verso l'Essere eterno.

Come all'epoca di Speyer si era messa alla scuola di san Tommaso, attingendo alla luce solare della Scolastica, ora la filosofa Edith, per obbedienza alla sua priora, si dedicava allo studio della dottrina mistica di san Giovanni della Croce, il dottore della "notte oscura" e del "nulla".

Ne nacque in primo luogo lo studio: "Vie alla conoscenza di Dio", e poi l'opera "Scientia Crucis". Allo studio di metafisica aveva dato come sottotitolo: "Salita verso il senso dell'essere". Ora giungeva, con "Scientia Crucis", sulla vetta del Carmelo, a gustare l'esperienza di Dio nell'oscurità della fede.

Ed era proprio la croce l'esperienza che stava vivendo sotto l'incalzare della minaccia nazista. Stese quindi la sua opera in fretta, presaga ormai della fine. E non potè porre la parola fine al volume, perché le SS naziste la strapparono dal Carmelo prima che fosse compiuta. Ma ciò che importa è che Edith continuò il suo cammino verso Dio.

Il commento alla dottrina di Giovanni della Croce, tracciato in "Scientia Crucis", lascia intravedere che Edith visse per esperienza quanto andava scrivendo. "Nelle angosce mortali della notte dello spirito, le imperfezioni dell'anima sono passate alla prova del fuoco, come il legno che nella fiamma viene essiccato da ogni traccia di umidità, per poi accendersi anch'esso dello splendore del fuoco. La fiamma che dapprima ha avvolto l'anima e poi l'ha incendiata è l'amore".

Essendo la "morte mistica" sulla propria croce il passaggio necessario verso la risurrezione, questo evento dello spirito si compirà partecipando alla crocifissione di Gesù, con una vita di rinuncia e di abbandono al dolore: "Quanto più perfetta sarà tale crocifissione, attiva o passiva, tanto più intensa ne risulterà la partecipazione alla vita divina".

In questo possono dirsi sintetizzati i motivi conduttori della "Scienza della Croce". Sono motivi che Edith visse con tutta la forza della sua personalità, in una apertura a Dio che al Carmelo, con l'oblazione della vita, crebbe di giorno in giorno.

"Quando potei rivederla da sola - lasciò scritto in una testimonianza dom Raphael Walzer, abate di Beuron, che era stato suo direttore spirituale - affermò che si sentiva a suo agio nel cuore e nello spirito, come a casa sua. Mi dette questa risposta con tutto lo slancio della sua natura infuocata. Devo dire che di fronte a lei non ero nemmeno tentato di invocare un prodigio della grazia. No, tutto sembrava perfettamente semplice e naturale, come la fioritura visibile della sua maturità spirituale. E' così che io penso anche al suo amore per la Croce e al suo desiderio di martirio: non come un atteggiamento cosciente del suo spirito, concretato da certe preghiere o da alcune aspirazioni ben definite, ma piuttosto come una disposizione profondamente radicata nel suo cuore di seguire il Signore ovunque. [...] La sua testimonianza dispensa forza e luce".

La stessa impressione ne ebbe il suo amico Dom Feuling, il quale testimoniò che "Edith nell'ambito religioso si era sviluppata. Lei che un tempo aveva lottato per la difesa dei valori spirituali in mezzo alla brillante cerchia dei suoi contemporanei, si trovava come nascosta, radicata profondamente in una vita che era conoscenza sperimentale della Verità. Aveva superato il piano delle dispute. Era passata al di là delle cose. Ormai guardava a partire dalla fede divina. Al di sopra del mondo umano della scienza filosofica e del sapere della teologia, ella era arrivata a quel grado di conoscenza sperimentale che si prova confusamente, collegata da S.Tommaso ai doni dello Spirito Santo".

8 - Un messaggio di libertà e risurrezione

Se 1'esperienza di vita, in quanto 'sapere la realtà' è "il modo più completo, adeguato, totalizzante con cui il soggetto giunge al sapere e quindi raggiunge nel reale la Verità", veniamo a trovarci di fronte ad una prospettiva religiosa e ad uno stile di vita cristiana che in Edith Stein furono profondamente contrassegnati da una concezione personalistica e storica di alta tensione spirituale.

In questo quadro fondamentale, germogliò e crebbe l'esperienza cristiana, religiosa e mistica di Edith Stein, certamente una delle donne più significative del nostro secolo. Esperienza vicina a quella di due altre donne di stirpe ebraica: Simone Weil, per l'itinerario culturale e spirituale, Anna Frank, per il destino finale che fu l'olocausto.

Tutte e tre hanno rischiarato con il loro sacrificio, con i loro scritti, con le testimonianza della loro vita, uno dei periodi più foschi della storia europea. Edith Stein, ebrea di nascita e quindi sorella per stirpe di Gesù di Nazareth, anche lui rinnegato, cacciato dalla città santa e ucciso con una morte umiliante, si sentì chiamata ad offrirsi con lui per il suo popolo.

Ebbe così la sorte, ma si può dire anche il privilegio raro, di sigillare nel sangue i principi sui quali aveva fondato la sua esperienza cristiana. E' per questo che il suo messaggio resta un grido di libertà e di risurrezione consegnato alla storia, alle donne e agli uomini di ogni tempo. Un messaggio consegnato però a titolo speciale a tutte le donne che riconoscono in Cristo la propria ragione di vita.

 

 

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