Emergenza profughi - l'altra faccia della medaglia e quei conti che non tornano

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Caterina63
00lunedì 7 settembre 2015 21:50

  EDITORIALE
Profughi Siria
 

Giusta ammirazione per l'accoglienza mostrata da austriaci e tedeschi, ai siriani che erano da giorni bloccati in Ungheria.  Ma dietro le emozioni suscitate dalle immagini di questi giorni, stanno problemi che nessuno vuole affrontare, primo fra tutti come fermare questa "fabbrica di profughi" che è la guerra in Siria.

di Riccardo Cascioli


È certamente una bella cosa vedere tanta gente, tanti volontari mobilitati in Germania e Austria per accogliere nel modo migliore i profughi siriani che erano stati per giorni bloccati in Ungheria. Ma devo ammettere che inni di Beethoven, applausi, cortei di auto per andarsi a prendere i profughi, commenti sul ritrovato spirito dell’Europa che vince contro i rigurgiti nazionalisti e xenofobi, mi lasciano anche qualche perplessità, soprattutto perché vengono accompagnati da una narrazione degli eventi che non corrisponde esattamente alla realtà. Ovvero: le buone Austria e soprattutto Germania hanno aperto le porte e i cuori a dei disperati maltrattati dalla cattiva Ungheria, e più in generale dai paesi dell’Est. E giù lodi sperticate ad Angela Merkel e al suo spirito umanitario capace di far cambiare strada alla politica europea, e giù altrettanti insulti e condanne per il presidente ungherese Viktor Orban.

Troppe cose stonano in tutto questo. Partiamo dall’Ungheria: il caos creatosi a Budapest, con blocco della stazione ferroviaria, contrariamente a quanto si è voluto raccontare non dipende dalla cattiva volontà del governo ungherese che, con Italia e Grecia, condivide l’onere di identificare gli immigrati in arrivo e valutarne la posizione. Peraltro nei primi 7 mesi del 2015 l’Ungheria ha accolto oltre 100mila immigrati, che su una popolazione globale di 10 milioni di persone, significa una percentuale molto più alta della maggior parte dei paesi europei che pure si sentono oggi in diritto di censurare Budapest. 

Il caos dei giorni scorsi inoltre era provocato dalla combinazione tra la volontà dei migranti e il rispetto della Convenzione di Dublino che obbliga i paesi di prima accoglienza a esaminare le domande d’asilo. I profughi siriani infatti avevano ben chiaro che volevano andare in Germania e per questo rifiutavano di essere portati nei centri raccolta ungheresi per essere identificati. Essi sapevano infatti che questo sarebbe equivalso, nella migliore delle ipotesi, a restare in Ungheria. Chiedevano perciò di poter proseguire per la Germania senza essere identificati. Ma in base agli accordi europei il governo ungherese non poteva concederlo. E infatti solo la decisione di Germania e Austria di derogare alle regole europee ha sbloccato la situazione con l’apertura delle frontiere. I profughi l’hanno dunque avuta vinta e questo è senz’altro positivo per loro, ma anche per costringere la UE a rivedere questa assurda disposizione della Convenzione di Dublino. 

Eppure anche riguardo ai profughi c’è qualcosa che non quadra completamente con la descrizione della “massa di disperati” che bussa alle nostre porte di ricchi insensibili. Guai a sottovalutare il dramma dei tanti siriani costretti a fuggire dalle proprie case a causa della guerra, e non si metta in discussione il diritto di desiderare un paese piuttosto che un altro. Ma l’assoluta determinazione nella pretesa di infrangere le regole europee fino ad averla vinta, fa nascere qualche domanda. Né si può tacere dello sconcerto che creano quelle immagini del treno di profughi bloccato in una stazione alle porte di Budapest, a cui polizia e volontari cercano di distribuire acqua e cibo. Invano, perché quelli li rifiutano e anche li buttano via. Si potrà anche dire che è una mossa estrema per forzare la via verso la Germania, ma resta il fatto che tali scene poco si conciliano con l’immagine di una folla di disperati bisognosi di tutto.

Infine la Germania, la “terra promessa”. Anche qui il mistero della comunicazione: come è possibile che nel giro di pochi giorni nella descrizione dei media il cancelliere tedesco passi da “vecchia strega” senza cuore, principale responsabile della crisi greca, capace perfino di far piangere una povera bambina immigrata, all’angelo Merkel, la protettrice di tutti gli immigrati, “madre Merkel” e via dicendo? È evidente che grazie ai media l’opinione pubblica è dominata dalle emozioni del momento. 

Nella fattispecie, la Merkel ha sicuramente dato prova di intelligenza politica assumendosi la responsabilità di derogare per motivi umanitari alle regole UE, ma ci si illude se si pensa che questo preluda a un radicale cambiamento di atteggiamento. Austria e Germania hanno già fatto sapere che la deroga alla Convenzione di Dublino è temporanea, il tempo di superare la crisi del fine settimana e si torna al vecchio regime, e anzi da Berlino è arrivato un forte richiamo a Italia, Grecia e Ungheria per velocizzare l’esame delle domande di asilo. Inoltre la Germania ha sì aperto le porte ai profughi siriani senza limite, ma nello stesso tempo ha sospeso l’esame delle domande di 75mila richiedenti asilo provenienti dai Balcani. Una sorta di scambio dunque. A cui vanno aggiunti altri calcoli del governo tedesco che però sarebbe ora lungo analizzare.

Resta il fatto che dietro le emozioni suscitate dalle immagini di questi giorni si nascondono considerazioni e problemi che nessuno sembra abbia voglia di affrontare direttamente. La più importante riguarda l’origine di questa ondata migratoria, ovvero la guerra in Siria e Iraq. È un po’ ipocrita commuoversi per i profughi dopo aver fatto nulla per fermare quella guerra, anzi dandogli un contributo decisivo. Ed è ipocrita ergersi a giudici morali se non ci si interroga seriamente su come farla finire. Anche perché i veri “disperati” sono quelli che sono ancora lì, che non hanno né soldi né mezzi per scappare, e che vivono ogni giorno sotto l’incubo delle bombe e delle bande di tagliagole. Mentre aiutiamo quanti sono riusciti a raggiungere l’Europa, pensiamo in fretta a come far cessare l’inferno per i loro connazionali meno fortunati.





Caterina63
00lunedì 7 settembre 2015 22:05

Le generose politiche di accoglienza e le missioni organizzate per soccorrere i migranti non hanno fermato il massacro, ma attivato un meccanismo perverso in cui le organizzazioni criminali hanno potuto più agevolmente lucrare nel loro traffico di esseri umani

di Clemente Sparaco

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buonisti sono quelli che fanno della bontà un’ideologia. E quando la bontà diventa ideologia perde la sua fragranza personale, concreta, per trasformarsi in un astratto, impersonale. Spesso diventa di facciata o, peggio ancora, di comodo, vessillo da innalzare, magari condito di insulti per chi la pensa diversamente. Essendo di facciata, invece di trovare soluzioni concrete, trova soluzioni di facciata, in linea con il politically correct. Conseguentemente, invece di offrire soluzioni ai problemi, finisce per crearne degli altri.

Quando, in particolare, li si interpella sul tema dell’emergenza immigratoria, i buonisti predicano l’accoglienza come soluzione e si inalberano. Non che l’accoglienza sia un valore di esclusiva loro pertinenza, ma quello che caratterizza i buonisti è che la richiedono in modo indiscriminato, a prescindere dalle differenze fra chi fugge la guerra o la fame, fra i profughi o i migranti economici, a prescindere dalle conseguenze che ne possono seguire.

buonisti hanno sostenuto, e sostengono, che un deciso e convinto pattugliamento del Mediterraneo serve a salvare vite umane; ed è questa la loro priorità! Emblematiche sono le parole del Presidente del Consiglio Renzi, collettore politico di tutte le bontà rimediabili e smerciabili (gli 80 euro, l’esenzione dell’IMU e della TARI sulla prima casa, il funerale delle tasse annunciato per il 16 dicembre): “Prima salviamo le vite, poi penseremo a come dare un futuro a queste persone. Non rinuncio a secoli di civiltà” (meeting di Rimini – 25 agosto).

Ma quello che i buonisti non dicono è che numeri e statistiche li smentiscono.

Si è stabilita, infatti, una proporzionalità diretta fra numero di sbarchi, vittime della traversata del Mediterraneo e missioni navali mirate a limitare i morti (dal 3-10-2013 l’operazione Mare Nostrum, dal 1-11-2014 l’operazione europea Triton, dal 22-6-2015 la missione europea EuNavForMed).

I grafici in basso lo evidenziano.

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Confrontando i dati, si nota che il 2011, l’anno del crollo del regime di Gheddafi e dell’inizio delle cosiddette primavere arabe, è quello cruciale. Nel 2010, anno degli accordi sull’immigrazione clandestina tra il Presidente del Consiglio Berlusconi e il rais di Libia, Muammar Gheddafi, si è registrato il numero più basso di sbarchi (4000) e di morti (20), ma dall’anno seguente gli uni e gli altri hanno ripreso a crescere, fino ad arrivare alle cifre record del 2014 (170000 sbarchi e 3500 morti). Nell’anno in corso si prefigurano nuovi tristi primati: 115500 sbarchi e 2750 morti (dati aggiornati al 28 agosto). Tale escalation coincide con l’inizio dell’operazione Mare Nostrum, voluta dal governo Letta e confermata dal Governo Renzi, che ha difatto innescato “un vertiginoso effetto calamita” (come ha rilevato Gian Micalessin – Il Giornale, 29/08/2015 ), moltiplicando numero degli sbarchi e di vittime delle famigerate carrette del mare.

Le generose politiche di accoglienza e le missioni organizzate per soccorrere i migranti non hanno, quindi, fermato il massacro, ma attivato un meccanismo perverso in cui le organizzazioni criminali hanno potuto più agevolmente lucrare nel loro traffico di esseri umani (l’indotto si aggirerebbe intorno ai 43 miliardi secondo Magdi Cristiano Allam – Il Giornale, 30-8-2015).

L’aver pensato alle missioni di pattugliamento ed intervento navale, senza guardarsi dall’effetto collaterale dell’aumento di traffici e profitti dei mercanti di carne umana, rappresenta senz’altro una sconfitta ed una responsabilità della missione Mare Nostrum e delle missioni europee ad essa seguite.

Ma quello che i buonisti non dicono è che ci sono altri morti ed altre vittime, collegate al fenomeno, di cui non si assumono e si riconoscono la responsabilità. Sono i residenti che hanno subito e subiscono illegalità, violenze e sperequazioni in conseguenza delle politiche buoniste del Governo.

E’ il caso eclatante (ma, purtroppo, non isolato) dei due anziani coniugi di Palagonia, in provincia di Catania. Essi sono stati uccisi nella loro loro abitazione faticosamente tirata su negli anni con il lavoro di una vita da emigranti in Germania. E quello che più colpisce è la brutalità con cui sono stati uccisi (lui sgozzato, lei probabilmente lanciata dalla finestra).

Il sospetto è da subito ricaduto su un giovane profugo ivoriano ospite dall’8 giugno del Cara (Centro richiedenti asilo) di Mineo, un fantasma anagrafico, secondo la definizione di Paolo Graldi sul Messaggero del 2 settembre.

“È anche colpa dello Stato se i miei genitori sono stati uccisi – ha urlato Rosita Solano, figlia della coppia, ai microfoni dei giornalisti – perché permette a questi migranti di venire qui da noi e di fargli fare quello che vogliono, anche rapinare e uccidere”. In effetti, il fatto denuncia un’irresponsabilità di fondo del Governo buonista che, una volta determinate politiche di accoglienza indiscriminate, non si assume la responsabilità delle conseguenze sul piano criminale, prima ancora che sociale. Perché i clandestini sono persone che – come ha scritto Giovanni Sartori (Imola oggi, 31-5-2015) – “sfuggono alle leggi e sono legalmente inesistenti”. A parte coloro che attendono nei Centri di prima accoglienza, come nel caso del sospetto omicida, ci sono quelli che se ne allontanano, prima ancora che la macchina della burocrazia si sia messa in moto per espletare le pratiche richieste dalla legge. Almeno 50/60 mila sarebbero scappati senza lasciar traccia solo per il 2014, secondo fonti del ministero dell’Interno, clandestini senza generalità e, quindi, senza fedina penale.

La legalità viene, difatto, derogata e così il dovere di proteggere i propri cittadini.

E’ questo un effetto collaterale del buonismo, così come una microcriminalità diffusa, legata al fenomeno immigratorio (prostituzione, commercio abusivo, evasione fiscale etc.), largamente tollerata e consentita. La stessa logica spiega il prosperare di un sottobosco affaristico-politico pronto a trasformare l’emergenza immigratoria in business dell’assistenza (“mafia-capitale”, per intenderci!).

buonisti, l’Europa e l’emergenza immigratoria

buonisti hanno sempre proclamato di avere una strategia: “l’invasione dei clandestini si sarebbe risolta coinvolgendo l’Europa, ripartendo gli oneri e impegnando più mezzi e risorse di tutti gli Stati membri” (Magdi Allam, Il Giornale, 30-8-2015). Ma la solidarietà europea è venuta meno da subito con il defilarsi dalle quote di redistribuzione dei richiedenti asilo da parte di Gran Bretagna, Francia, Spagna, Polonia, Ungheria, Slovenia, Slovacchia, Paesi Baltici etc…

L’Europa, che ha condannato l’Italia per la politica dei respingimenti (Sentenza della Corte Europea di Strasburgo del 23-2-2012), che l’ha sanzionata per la detenzione “illegale” di tre migranti tunisini nel Centro di prima accoglienza di Lampedusa (sentenza Corte europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo del 31 agosto 2015) e di cui ha bocciato la legge che impone a cittadini extracomunitari richiedenti il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno di pagare un contributo tra 80 e 200 euro (sentenza Corte di Giustizia Europea del 2 settembre 2015), attua ai suoi confini (Ventimiglia e Brennero) respingimenti, più o meno al limite degli accordi Schengen.

Contrastando unitariamente i trafficanti di carne umana, ci sarebbero stati meno clandestini e meno morti. Ma questo non si è mai verificato e non si verifica nemmeno oggi, quando anche la Germania scopre la pressione dei migranti ai suoi confini. E’ una valanga umana che (come ha scritto Gian Mario Chiocci su Il Tempo del 30 agosto) “si presenta senza bussare, calpesta confini e muri spinati, non chiede per favore, pretende, perché disperazione e fame non si saziano con le chiacchiere di Bruxelles”. E, mentre le frontiere di Grecia, Macedonia, Serbia, Ungheria, Italia, si spalancano arrendendosi all’imponenza e all’evidenza, la Gran Bretagna dice di voler ridiscutere quello che sembrava un tabù, gli accordi di Schengen.

Ma “l’Europa è un potere già sconfitto” (Giampaolo Pansa  su Liberoquotidiano.it 31 agosto). Soffia su di essa un brutto vento, qualcosa di simile a quello che spirava nel 1938, dopo gli accordi di Monaco. Più che apparire paralizzata dagli egoismi nazionali e dalle velleità di egemonia locale, essa non è capace di avere né una singola voce né una singola strategia né una singola solidarietà verso i veri richiedenti asilo e verso i Paesi investiti dal problema, europei e no.




Caterina63
00martedì 8 settembre 2015 17:15
PADRE MIRANDA

Distruzioni e rovine ad Aleppo

 

«Migliaia di persone sono state assassinate in Siria. La convivenza tra esseri umani infestata con odio, sfiducia e violenza. Ho visto con i miei occhi azioni spaventose Ma davanti a questa tragedia, ho visto anche il carattere del popolo siriano e particolarmente dei cristiani. Una fede infrangibile, una testimonianza chiara e diretta di Gesù Cristo». Padre Rodrigo Miranda, sacerdote cattolico dell'Istituto del Verbo Incarnato, dal 2011 è stato parroco ad Aleppo.

di Lorenzo Bertocchi


Padre Rodrigo Miranda, sacerdote cattolico dell'Istituto del Verbo Incarnato, dal 2011 è stato parroco ad Aleppo. Per 4 anni. Lo contattiamo per sapere di questa esperienza, a suo modo unica; per capire cosa succede là, dove tanti scappano per arrivare in Europa. Lui è arrivato ad Aleppo poco prima che la tragedia esplodesse e l'ha vissuta in prima persona, sulla sua pelle.

Padre Rodrigo, cosa ha visto in questi quattro anni di missione in Siria?

«Quando sono arrivato in Siria ho visto un bellissimo Paese, prospero, indipendente e pacifico. E ora è distrutto, in molti modi. Migliaia di persone sono state assassinate. La convivenza tra esseri umani infestata con odio, sfiducia e violenza. Ho visto con i miei occhi azioni spaventose, fino allo spargimento di molto sangue, perfino tra persone di una stessa famiglia, o tra amici. Vite sconquassate fisicamente e spiritualmente. Sequestri e assassini in massa. Assedio: non c'è acqua, elettricità, combustibile, alimenti basilari. E poi il silenzio colpevole da parte dell’Occidente che ferisce la popolazione e fa crescere il rancore e la disperazione. Bugie dall'esterno che ostacolano intenzionalmente una possibile soluzione e di fatto cooperano con i crimini più terribili. Interessi politico-economici che creano sistematicamente più conflitti nella regione».

È guerra di religione? 

«Ho visto un uso immorale della religione e del nome di Dio. E d'altra parte un continuo inganno per tentare di creare una visione moderata, in opposizione a un casuale fanatismo. Ma davanti a questa tragedia, ho visto anche il carattere del popolo siriano e particolarmente dei cristiani. Una fede infrangibile, una testimonianza chiara e diretta di Gesù Cristo: la solidarietà in tempi di grave pericolo, la carità reciproca, pure esponendo le loro vite per concretarla. Testimonianze innumerevoli fino allo spargimento di sangue».

C'è, nel ricordo, un momento particolarmente duro, il punto che ha segnato il non ritorno?

«Senza dubbio. Il momento più duro che ho vissuto è stato il bombardamento alla città universitaria di Aleppo. Molti morti. Circa 450, in un lasso di tempo di appena 15 minuti. A mezzogiorno, nel posto più transitato di quella zona della città. Ho ancora negli occhi le tante vittime innocenti, giovani, bambine, e poi le famiglie che chiedevano ospitalità per fuggire dalla morte. Ma oltre alla tragedia in sé, quell'orrenda mattina ha prodotto un terribile danno alle anime. Da quel momento abbiamo sperimentato cosa significa vivere costantemente in pericolo di morte. Gli attacchi potevano essere in qualunque zona e in qualunque momento. E così è stato. Ad esempio, (tra molte storie attestate) i ribelli attaccarono un sabato a mezzogiorno una fermata di autobus, dove stavano i ragazzini del nostro oratorio infantile nell'attesa di andare a giocare alla parrocchia dei preti salesiani. Li assassinarono tutti». 

Se possibile, c'è stato, invece, un momento particolarmente bello?

«Fu quando i miei parrocchiani si alzarono con più forza, dando testimonianza al mondo delle cose più importanti. Cominciarono ad esprimere un'allegria che il mondo non comprende. L'allegria, in quella realtà, dipende solo da Dio. Perfino quando hanno sperimentato la debolezza nelle situazioni più avverse di morte, perdita dei cari, mancanze d’ogni tipo, c'è sempre stato qualcuno di loro che ha preso forza e coraggio per esortare gli altri. Le nostre Chiese cominciarono a riempirsi. Pregavano, cantavano, si riunivano. Per partecipare alla Santa Messa alcuni camminavano circa 45 minuti correndo il rischio concreto di essere uccisi. I giovani e i bambini continuavano gli studi, desiderosi di fare qualcosa per il loro Paese».

Si dice che la Siria è divisa in quattro: Isis, curdi, Assad e Al-Qaeda. Lei, in altre sue interviste, ha parlato di conflitto “artificiale”. Perché?

«La Siria non è divisa. Si mantiene come un blocco e quello è ciò che dà loro forza. Quello fa anche arrabbiare chi la vuole distruggere. Il popolo non ha mai chiesto questa catastrofe in nome di chissà quale libertà. Chi vuole la distruzione della Siria? Gruppi terroristici finanziati e, spesso, composti da stranieri, appoggiati dalle potenze dell’Occidente, con un gruppo manipolato e minimo di siriani. In quelli che vengono chiamati “ribelli” ci sono circa 33 diversi gruppi, composti da quasi 83 Paesi diversi. Dall'altra parte si trova il governo e il popolo siriano. Il conflitto in Siria è stato conformato in questo modo fin dall'inizio e non con l'arrivo di Isis. Per questo dico che è un conflitto “artificiale”, perché è stato creato ad hoc da vari anni, premeditato da amministrazioni di Paesi che oggi tentano di apparire come i salvatori del Medio Oriente, ma che sono i colpevoli (identificati da tutti laggiù) della sofferenza». 

Il cardinale di Milano, Angelo Scola, ha definito Aleppo la Sarajevo del XXI secolo. Ogni giorno ci sono bombe. Come vivono oggi i suoi parrocchiani ?

«Qualche tempo fa è stato fatto un dvd dove suor Guadalupe, missionaria della nostra famiglia religiosa del Verbo Incarnato, racconta la situazione in Siria. Il dvd è stato intitolato: "Appesi alla speranza". Ecco come si vive oggi ad Aleppo, appesi alla speranza. I cristiani hanno lo sguardo rivolto “alle cose di lassù”, e in Lui confidano per tutto. Se qualcuno deve tragicamente partire per la patria celeste, quelli che rimangono sanno che va all'incontro con Dio come "vittima" di soave aroma. Martiri. Ma le loro vite non sono il riflesso di una “spiritualità disincarnata”, perché questa speranza, insieme alle altre virtù teologali, fede e carità, si manifesta nel concreto, giorno per giorno. Porta frutto nella vita quotidiana, quando condividono le mancanze e i dolori. Pensano costantemente a Gesù Cristo che soffrì per loro e con loro. Pensate che nei peggiori momenti, mi sono arrivati a dire che sanno che questa guerra è una purificazione per i peccati personali, e di tutta la società siriana. Come ha detto un giovane a sua madre, poco tempo prima di essere assassinato dai ribelli: "Mamma, non abbiate paura di chi ammazza il corpo, perché non può ammazzare l'anima." È una visione molto soprannaturale».

Cosa chiedono alla comunità internazionale?

«Loro chiedono alla comunità internazionale che comunichino con verità quello che realmente succede. Che li aiutino senza creare un patto con gli estremisti. Che non forniscano più armi, né creino conflitti. Che ascoltino la coscienza e non ammettano il male. Che aiutino i cristiani perché essi non ricevono niente da nessuno. Che preghino per loro, ma che preghino molto, affinché Dio abbia pietà di loro e dei loro assassini».

 

   


Caterina63
00mercoledì 9 settembre 2015 14:15
[SM=g1740717] [SM=g1740720] Cari Amici, non possiamo far finta di nulla per quanto sta avvenendo a tanti nostri fratelli e sorelle in Cristo. Anche Papa Francesco nell'omelia del mattino, 7 settembre 2015, ha fatto una sorta di appello a stare pronti perchè non sappiamo cosa accadrà a noi domani e a pregare affinchè il Signore ci dia la grazia e il coraggio che hanno dimostrato e stanno dimostrando, questi nostri Martiri di oggi.

In questo video vogliamo proprio fare nostre queste parole del Pontefice e il dolore di questa gente, un Karaoke per cantare un Inno di fede, di speranza e di carità. Non un cantare "perchè ti passa" come si suol dire per sdrammatizzare quanto piuttosto cantare per unire le nostre voci, cantare pregando, pregare cantando, e avere il coraggio di testimoniare la nostra fede in Cristo nei nostri rispettivi ambiti di vita quotidiana.
Cominciamo bene questo Anno del Giubileo straordinario il quale è per noi rafforzato e benedetto dal Giubileo dell'Ordine Domenicano per i suoi 800 anni di vita.

gloria.tv/media/6zz9c1qBGBA

Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
info@sulrosario.org




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