Formula Professione di Fede in sostituzione al Giuramento antimodernista

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Caterina63
00lunedì 2 aprile 2012 22:15
IL GIURAMENTO ANTIMODERNISTA
Acta Apostolicæ Sedis, 1910, pp. 669-672

IO (NOME). fermamente accetto e credo in tutte e in ciascuna delle verità definite, affermate e dichiarate dal magistero infallibile della Chiesa, soprattutto quei principi dottrinali che contraddicono direttamente gli errori del tempo presente.
Primo: credo che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza e può anche essere dimostrato con i lumi della ragione naturale nelle opere da lui compiute (cf Rm 1,20), cioè nelle creature visibili, come causa dai suoi effetti.

Secondo: ammetto e riconosco le prove esteriori della rivelazione, cioè gli interventi divini, e soprattutto i miracoli e le profezie, come segni certissimi dell'origine soprannaturale della religione cristiana, e li ritengo perfettamente adatti a tutti gli uomini di tutti i tempi, compreso quello in cui viviamo.

Terzo: con la stessa fede incrollabile credo che la Chiesa, custode e maestra del verbo rivelato, è stata istituita immediatamente e direttamente da Cristo stesso vero e storico mentre viveva fra noi, e che è stata edificata su Pietro, capo della gerarchia ecclesiastica, e sui suoi successori attraverso i secoli.

Quarto: accolgo sinceramente la dottrina della fede trasmessa a noi dagli apostoli tramite i padri ortodossi, sempre con lo stesso senso e uguale contenuto, e respingo del tutto la fantasiosa eresia dell'evoluzione dei dogmi da un significato all'altro, diverso da quello che prima la Chiesa professava; condanno similmente ogni errore che pretende sostituire il deposito divino, affidato da Cristo alla Chiesa perché lo custodisse fedelmente, con una ipotesi filosofica o una creazione della coscienza che si è andata lentamente formando mediante sforzi umani e continua a perfezionarsi con un progresso indefinito.

Quinto: sono assolutamente convinto e sinceramente dichiaro che la fede non è un cieco sentimento religioso che emerge dall'oscurità del subcosciente per impulso del cuore e inclinazione della volontà moralmente educata, ma un vero assenso dell'intelletto a una verità ricevuta dal di fuori con la predicazione, per il quale, fiduciosi nella sua autorità supremamente verace, noi crediamo tutto quello che il Dio personale, creatore e signore nostro, ha detto, attestato e rivelato.

Mi sottometto anche con il dovuto rispetto e di tutto cuore aderisco a tutte le condanne, dichiarazioni e prescrizioni dell'enciclica Pascendi e del decreto Lamentabili, particolarmente circa la cosiddetta storia dei dogmi.

Riprovo altresì l'errore di chi sostiene che la fede proposta dalla Chiesa può essere contraria alla storia, e che i dogmi cattolici, nel senso che oggi viene loro attribuito, sono inconciliabili con le reali origini della religione cristiana.

Disapprovo pure e respingo l'opinione di chi pensa che l'uomo cristiano più istruito si riveste della doppia personalità del credente e dello storico, come se allo storico fosse lecito difendere tesi che contraddicono alla fede del credente o fissare delle premesse dalle quali si conclude che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non siano positivamente negati.

Condanno parimenti quel sistema di giudicare e di interpretare la sacra Scrittura che, disdegnando la tradizione della Chiesa, l'analogia della fede e le norme della Sede apostolica, ricorre al metodo dei razionalisti e con non minore disinvoltura che audacia applica la critica testuale come regola unica e suprema.

Rifiuto inoltre la sentenza di chi ritiene che l'insegnamento di discipline storico-teologiche o chi ne tratta per iscritto deve inizialmente prescindere da ogni idea preconcetta sia sull'origine soprannaturale della tradizione cattolica sia dell'aiuto promesso da Dio per la perenne salvaguardia delle singole verità rivelate, e poi interpretare i testi patristici solo su basi scientifiche, estromettendo ogni autorità religiosa e con la stessa autonomia critica ammessa per l'esame di qualsiasi altro documento profano.

Mi dichiaro infine del tutto estraneo ad ogni errore dei modernisti, secondo cui nella sacra tradizione non c'è niente di divino o peggio ancora lo ammettono ma in senso panteistico, riducendolo ad un evento puro e semplice analogo a quelli ricorrenti nella storia, per cui gli uomini con il proprio impegno, l'abilità e l'ingegno prolungano nelle età posteriori la scuola inaugurata da Cristo e dagli apostoli.

Mantengo pertanto e fino all'ultimo respiro manterrò la fede dei padri nel carisma certo della verità, che è stato, è e sempre sarà nella successione dell'episcopato agli apostoli (1), non perché si assuma quel che sembra migliore e più consono alla cultura propria e particolare di ogni epoca, ma perché la verità assoluta e immutabile predicata in principio dagli apostoli non sia mai creduta in modo diverso né in altro modo intesa (2).

Mi impegno ad osservare tutto questo fedelmente, integralmente e sinceramente e di custodirlo inviolabilmente senza mai discostarmene né nell'insegnamento né in nessun genere di discorsi o di scritti. Così prometto, così giuro, così mi aiutino Dio e questi santi Vangeli di Dio.



Note:

1 Ireneo, Adversus haereses, 4, 26, 2: PG 7, 1053.
2 Tertulliano, De praescriptione haereticorum, 28: PL 2, 40.



san Pio X


Per quanto non si usi più fare questo giuramento, esso NON potrà mai essere "abolito", entrato nella storia del Magistero della Chiesa nè è diventato parte integrante e, come dice san Paolo, parte di quel DEPOSITO DELLA FEDE che accresce la nostra sana Tradizione...insomma, si va avanti e mai indietro, la Chiesa andando avanti NON abolisce ciò in cui credeva e ciò che riteneva utile
dunque è stata SOSTITUITA la formula, che in termini ecclesiali e magisteriali significa che NON è cambiata la sostanza....

questa la formula:

CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

Formula da adoperarsi d’ora in poi
nei casi in cui è prescritta dal diritto la Professione di Fede,
in sostituzione della formula tridentina e del giuramento antimodernista

  

Professione di fede

Io N. credo e professo con ferma fede tutte e singole le verità che sono contenute nel Simbolo della fede, e cioè:

Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti. Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.

Fermamente accolgo e ritengo anche tutte e singole le verità circa la dottrina sulla fede e i costumi, sia che siano state definite dalla Chiesa con giudizio solenne sia che siano state asserite e dichiarate con magistero ordinario, come dalla stessa sono proposte, soprattutto quelle che riguardano il mistero della santa Chiesa di Cristo, i suoi Sacramenti e il Sacrificio della Messa come pure il Primato del Romano Pontefice.



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Documento originale in latino:

SACRA CONGREGATIO PRO DOCTRINA FIDEI

FORMULA DEINCEPS ADHIBENDA
IN CASIBUS IN QUIBUS IURE PRAESCRIBITUR
PROFESSIO FIDEI, LOCO FORMULAE TRIDENTINAE
ET IURAMENTI ANTIMODERNISTICI
*

PROFESSIO FIDEI

 

Ego N. firma fide credo et profíteor omnia et singula quae continentur in Symbolo fídei, videlicet:

Credo in unum Deum Patrem omnipotentem, factorem cœli et terrae, visibílium omnium et invisibilium et in unum Dominum Iesum Christum, Fílium Dei unigénitum, et ex Patre natum ante omnia saecula, Deum de Deo, lumen de lumine, Deum verum de Deo vero, genitum non factum, consubstantialem Patri per quem omnia facta sunt, qui propter nos hómines et propter nostram salutem descendit de cœlis, et incarnatus est de Spiritu Sancto, ex María Virgine, et homo factus est; crucifíxus etiam pro nobis sub Pontio Pilato, passus et sepultus est; et resurrexit tertia die secundum Scripturas, et ascendit in coelum, sedet ad dexteram Patris, et iterum venturus est cum gloria iudicare vivos et mortuos, cuius regni non erit finis; et in Spíritum Sanctum Dominum et vivificantem, qui ex Patre Filioque procedit; qui cum Patre et Filio simul adoratur et conglorificatur qui locutus est per Prophetas; et unam sanctam catholicam et apostólicam Ecclesiam. Confíteor unum baptisma in remissionem peccatorum, et expecto resurrectiónem mortuórum, et vitam venturi saeculi. Amen.

Firmiter quoque ampléctor et retíneo omnia et singula quae circa doctrinam de fide et moribus ab Ecclesia, sive sollemni iudicio definita sive ordinario magisterio adserta ac declarata sunt, prout ab ipsa proponuntur, praesertim ea quae respiciunt mysterium sanctae Ecclesiae Christi, eiusque Sacramenta et Missae Sacrifícium atque Primatum Romani Pontificis.


* AAS 59 (1967), 1058.


 

Caterina63
00lunedì 2 aprile 2012 22:39
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SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

 

Formula da usarsi per il giuramento di fedeltà

 

Io..., nominato... vescovo… sarò sempre fedele e obbediente alla Chiesa santa apostolica romana e al Sommo Pontefice, Successore del beato Pietro Apostolo nel primato e Vicario di Cristo, e ai suoi legittimi Successori. E non soltanto li tratterò con sommo onore ma anche, per quanto mi sarà possibile, farò sì che ad essi sia riservato il dovuto rispetto e da essi sia tenuta lontana qualunque offesa.

Sarà mia preoccupazione promuovere e difendere i diritti e l’autorità dei Romani Pontefici; come pure le prerogative dei loro legati e procuratori. Riferirò al romano pontefice con sincerità qualunque cosa che potesse costituire un attentato ai medesimi da parte di chiunque.

Mi sforzerò di adempiere con ogni cura secondo lo spirito e la lettera dei sacri canoni gli incarichi apostolici a me dati di insegnare, santificare e governare, in comunione gerarchica col Vicario di Cristo e con i membri del Collegio episcopale.

Metterò diligente attenzione nel conservare puro e integro il deposito della fede e nel trasmetterlo in modo autentico, accoglierò poi fraternamente quanti errano nella fede e mi adopererò con ogni mezzo affinché essi ritornino alla pienezza della verità cattolica.

Prometto che parteciperò o risponderò, salvo impedimento, se chiamato a Concili e ad altre attività collegiali dei Vescovi.

Amministrerò diligentemente, secondo le norme dei sacri canoni, i beni temporali di proprietà della Chiesa a me affidata, vigilando attentamente perché non vadano in nessun modo perduti o danneggiati.

Farò mie le disposizioni del Concilio Vaticano II e gli altri decreti canonici che riguardano l’istituzione e l’ambito di azione delle Conferenze episcopali, come pure dei consigli presbiterali e pastorali, e promuoverò di buon grado un uso ordinato dei loro compiti.

Infine, nei tempi stabiliti, compirò personalmente o tramite altri, secondo quanto stabilito dal diritto, la visita ad limina apostolorum, renderò conto del mio ufficio pastorale e riferirò fedelmente circa la situazione del clero e del popolo a me affidato; inoltre accoglierò rispettosamente quanto mi verrà ordinato e lo metterò in pratica col massimo impegno.

Così mi aiuti Dio e questi santi Vangeli di Dio.

 






(Formula qua iusiurandum fidelitatis ab iis dandum erit qui episcopi dioecesani nominati sunt), 1972 EV S1, 450-453; REspDCan 32 (1976) 379  dall'originale in latino:

Formula qua iusiurandum fidelitatis ab iis dandum erit qui episcopi dioecesani nominati sunt

 

Ego…, nominatus… episcopus… sanctae apostolicae romanae Ecclesiae et Summo Pontifici, beati Petri apostoli in primatu Successori et Christi Vicario, eiusque legitimis Successoribus semper fidelis ero atque oboediens. Quos non tantum summo prosequar honore, sed faciam etiam, quantum in me erit, ut debitus iisdem tribuatur honor et omnis iniuria ab ipsis arceatur.

Iura et auctoritatem Romanorum Pontificum, mihi curae erit promovere ac defendere; itidem praerogativas eorum legatorum vel procuratorum. Quidquid autem contra eadem a quopiam contigerit attentari, ipsi Summo Pontifici sincero animo aperiam.

Apostolica munera mihi commissa docendi, sanctificandi et regendi, in hierarchica communione cum Christi Vicario et Collegii episcopalis membris, omni cura ad mentem et litteram sacrorum canonum absolvere satagam.

In depositum fidei purum et integrum servandum atque authentica ratione tradendum studiose incumbam, errantibus vero in fide paternum animum pandam iidemque ut ad plenitudinem catholicae veritatis redeant omni ope annitar.

Ad Concilia aliasque actiones collegiales episcopales vocatus, nisi impediar, me promitto esse venturum vel responsurum.

Bona vero temporalia ad Ecclesiam mihi concreditam pertinentia iuxta sacrorum canonum normas diligenter administra bo, sedulo invigilans ne eadem quoquo modo pereant aut detrimentum capiant.

Concilii Vaticani II aliaque canonica decreta quae institutionem et ambitum actionis conferentiarum episcopalium respiciunt, necnon consiliorum presbyteralium et pastoralium, amplectar eorumque munerum ordinatum usum libenter promovebo.

Statis denique temporibus apostolorum limina vel ego ipse vel per alios ad normam iuris invisam, rationem de pastorali meo officio reddam ac de clero etpopulo mihi commissis fideliter referam: mandata simul obsequenter accipiam maximoque studio perficiam.

Sic me Deus adiuvet et haec sancta Dei Evangelia.


Caterina63
00giovedì 17 maggio 2012 15:19
[SM=g1740733] l'ultima revisione al Testo, e testo definitivo


CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

Rescritto emanato dall’Udienza papale
riguardante le formule della professione di fede e del giuramento di fedeltà

 

Sembra opportuno pubblicare il rescritto dall’Udienza riguardante le formule della “Professione di Fede” e del “Giuramento di Fedeltà”, contenute nel fascicolo del 9 gennaio 1989 degli Acta Apostolicae Sedis (cf. AAS 81 [1989], 104 ss.):

RESCRITTO DALL’UDIENZA PAPALE

Nell’Udienza concessa il 1° luglio 1988 al sottoscritto Cardinal Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, il Beatissimo Padre si è degnato di approvare e sancire sia i nuovi testi dei formulari della “Professione di Fede” e del “Giuramento di Fedeltà nell’assunzione di un ufficio da esercitarsi a nome della Chiesa”, sia le norme ad essi pertinenti, che sono contenute nella relativa nota esplicativa e nello stesso tempo ha ordinato che tutti fossero promulgati a norma del diritto negli Acta Apostolicae Sedis. Si potranno usare le versioni in lingua volgare di quei formulari, preparate a cura delle Conferenze episcopali, solo dopo aver ottenuto l’approvazione di questa Congregazione.

Dalla Sede della Congregazione della Dottrina della Fede, 19 settembre 1989.

 

+ Ioseph Card. Ratzinger
Prefetto

   



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PROFESSIONE DI FEDE
E GIURAMENTO DI FEDELTÀ
NELL’ASSUMERE UN UFFICIO
DA ESERCITARE A NOME DELLA CHIESA 

 

NOTA DI PRESENTAZIONE

I fedeli chiamati ad esercitare un ufficio in nome della Chiesa sono tenuti ad emettere la « Professione di fede », secondo la formula approvata dalla sede apostolica (cf. can. 833). Inoltre, l'obbligo di uno speciale « Giuramento di fedeltà » concernente i particolari doveri inerenti all'ufficio da assumere, in precedenza prescritto solo per i vescovi, è stato esteso alle categorie nominate al can. 833, nn. 5-8. Si è reso necessario, pertanto, provvedere a predisporre i testi atti allo scopo, aggiornandoli nello stile e nel contenuto perché siano più conformi all'insegnamento del Concilio Vaticano II e ai documenti successivi.

Come formula della « Professio fidei » viene riproposta integralmente la prima parte del precedente testo in vigore dal 1967 e contenente il Simbolo niceno costantinopolitano (cf. AAS 59 [1967], 1058). La seconda parte è stata modificata, suddividendola in tre commi al fine di meglio distinguere il tipo di verità e il relativo assenso richiesto.

La formula dello « Iusiurandum fidelitatis in suscipiendo officio nomine Ecclesiae exercendo », intesa come complementare alla « Professio fidei », è stabilita per le categorie di fedeli elencate al can. 833, nn. 5-8. È di nuova composizione; in essa sono previste alcune varianti ai commi 4 e 5 per il suo uso da parte dei superiori maggiori degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica (cf. can. 833, n. 8).

I testi delle nuove formule di « Professio fidei » e di « Iusiurandum fidelitatis » entreranno in vigore dal 1o marzo 1989.

 

PROFESSIONE DI FEDE

(Formula da usarsi nei casi in cui è prescritta la professione di fede)

Io N.N. credo e professo con ferma fede tutte e singole le verità che sono contenute nel Simbolo della fede, e cioè:

Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine.

Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti.

Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.

Credo pure con ferma fede tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio scritta o trasmessa e che la Chiesa, sia con giudizio solenne sia con magistero ordinario e universale, propone a credere come divinamente rivelato.

Fermamente accolgo e ritengo anche tutte e singole le verità circa la dottrina che riguarda la fede o i costumi proposte dalla Chiesa in modo definitivo.

Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell’intelletto agli insegnamenti che il Romano Pontefice o il Collegio dei Vescovi propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo.

 

GIURAMENTO DI FEDELTÀ
NELL’ASSUMERE UN UFFICIO
DA ESERCITARE A NOME DELLA CHIESA

(Formula da usarsi da tutti i fedeli indicati nel can. 833 nn. 5-8)

Io N.N. nell’assumere l’ufficio di... prometto di conservare sempre la comunione con la Chiesa cattolica, sia nelle mie parole che nel mio modo di agire.

Adempirò con grande diligenza e fedeltà i doveri ai quali sono tenuto verso la Chiesa, sia universale che particolare, nella quale, secondo le norme del diritto, sono stato chiamato a esercitare il mio servizio.

Nell’esercitare l’ufficio, che mi è stato affidato a nome della Chiesa, conserverò integro e trasmetterò e illustrerò fedelmente il deposito della fede, respingendo quindi qualsiasi dottrina ad esso contraria.

Seguirò e sosterrò la disciplina comune a tutta la Chiesa e curerò l’osservanza di tutte le leggi ecclesiastiche, in particolare di quelle contenute nel Codice di Diritto Canonico.

Osserverò con cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori dichiarano come autentici dottori e maestri della fede o stabiliscono come capi della Chiesa, e presterò fedelmente aiuto ai Vescovi diocesani, perché l’azione apostolica, da esercitare in nome e per mandato della Chiesa, sia com­piuta in comunione con la Chiesa stessa.

Così Dio mi aiuti e questi santi Vangeli che tocco con le mie mani.

(Variazioni del paragrafo quarto e quinto della formula di giuramento
da usarsi dai fedeli indicati nel can. 833 n. 8)

Sosterrò la disciplina comune a tutta la Chiesa e promuoverò l’osservanza di tutte le leggi ecclesiastiche, in particolare di quelle contenute nel Codice di Diritto Canonico.

Osserverò con cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori dichiarano come autentici dottori e maestri della fede o stabiliscono come capi della Chiesa, e in unione con i Vescovi diocesani, fatti salvi l’indole e il fine del mio Istituto, presterò volentieri la mia opera perché l’azione apostolica, da esercitare in nome e per mandato della Chiesa, sia compiuta in comunione con la Chiesa stessa.




*************

Testo originale in latino:

PROFESSIO FIDEI
ET IUSIURANDUM FIDELITATIS
IN SUSCIPIENDO OFFICIO
NOMINE ECCLESIAE EXERCENDO
*

 

NOTA DI PRESENTAZIONE

I fedeli chiamati ad esercitare un ufficio in nome della Chiesa sono tenuti ad emettere la « Professione di fede », secondo la formula approvata dalla sede apostolica (cf. can. 833). Inoltre, l'obbligo di uno speciale « Giuramento di fedeltà » concernente i particolari doveri inerenti all'ufficio da assumere, in precedenza prescritto solo per i vescovi, è stato esteso alle categorie nominate al can. 833, nn. 5-8. Si è reso necessario, pertanto, provvedere a predisporre i testi atti allo scopo, aggiornandoli nello stile e nel contenuto perché siano più conformi all'insegnamento del Concilio Vaticano II e ai documenti successivi.

Come formula della « Professio fidei » viene riproposta integralmente la prima parte del precedente testo in vigore dal 1967 e contenente il Simbolo niceno costantinopolitano (cf. AAS 59 [1967], 1058). La seconda parte è stata modificata, suddividendola in tre commi al fine di meglio distinguere il tipo di verità e il relativo assenso richiesto.

La formula dello « Iusiurandum fidelitatis in suscipiendo officio nomine Ecclesiae exercendo », intesa come complementare alla « Professio fidei », è stabilita per le categorie di fedeli elencate al can. 833, nn. 5-8. È di nuova composizione; in essa sono previste alcune varianti ai commi 4 e 5 per il suo uso da parte dei superiori maggiori degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica (cf. can. 833, n. 8).

I testi delle nuove formule di « Professio fidei » e di « Iusiurandum fidelitatis » entreranno in vigore dal 1o marzo 1989.

I

PROFESSIO FIDEI

(Formula deinceps adhibenda in casibus
in quibus iure praescribitur Professio fidei
)

 

Ego N. firma fide credo et profiteor omnia et singula quae continentur in Symbolo fidei, videlicet:

Credo in unum Deum, Patrem omnipotentem, factorem cœli et terrae, visibilium omnium et invisibilium et in unum Dominum Iesum Christum, Filium Dei unigenitum, et ex Patre natum ante omnia saecula, Deum de Deo, lumen de lumine, Deum verum de Deo vero, genitum non factum, consubstantialem Patri per quem omnia facta sunt, qui propter nos homines et propter nostram salutem descendit de cœlis, et incarnatus est de Spiritu Sancto, ex Maria Virgine, et homo factus est, crucifixus etiam pro nobis sub Pontio Pilato, passus et sepultus est, et resurrexit tertia die secundum Scripturas, et ascendit in cœlum, sedet ad dexteram Patris, et iterum venturus est cum gloria iudicare vivos et mortuos, cuius regni non erit finis; et in Spiritum Sanctum Dominum et vivificantem, qui ex Patre Filioque procedit; qui cum Patre et Filio simul adoratur et conglorificatur qui locutus est per Prophetas; et unam sanctam catholicam et apostolicam Ecclesiam. Confiteor unum baptisma in remissionem peccatorum, et exspecto resurrectionem mortuorum, et vitam venturi saeculi. Amen.

Firma fide quoque credo ea omnia quae in verbo Dei scripto vel tradito continentur et ab Ecclesia sive sollemni iudicio sive ordinario et universali magisterio tamquam divinitus revelata credenda proponuntur.

Firmiter etiam amplector ac retineo omnia et singula quae circa doctrinam de fide vel moribus ab eadem definitive proponuntur.

Insuper religioso voluntatis et intellectus obsequio doctrinis adhaereo quas sive Romanus Pontifex sive Collegium Episcoporum enuntiant cum Magisterium authenticum exercent etsi non definitivo actu easdem proclamare intendant.

II

IUSIURANDUM FIDELITATIS
IN SUSCIPIENDO OFFICIO
NOMINE ECCLESIAE EXERCENDO

(Formula adhibenda a christifidelibus de quibus in can. 833, n. 5-8)

 

Ego N. in suscipiendo officio... promitto me cum catholica Ecclesia communionem semper servaturum, sive verbis a me prolatis, sive mea agendi ratione.

Magna cum diligentia et fidelitate onera explebo quibus teneor erga Ecclesiam, tum universam, tum particularem, in qua ad meum servitium, secundum iuris praescripta, exercendum vocatus sum.

In munere meo adimplendo, quod Ecclesiae nomine mihi commissum est, fidei depositum integrum servabo, fideliter tradam et illustrabo; quascumque igitur doctrinas iisdem contrarias devitabo.

Disciplinam cunctae Ecclesiae communem sequar et fovebo observantiamque cunctarum legum ecclesiasticarum, earum imprimis quae in Codice iuris canonici continentur, servabo.

Christiana obœdientia prosequar quae sacri Pastores, tamquam authentici fidei doctores et magistri declarant aut tamquam Ecclesiae rectores statuunt, atque Episcopis diœcesanis fideliter auxilium dabo, ut actio apostolica, nomine et mandato Ecclesiae exercenda, in eiusdem Ecclesiae communione peragatur.

Sic me Deus adiuvet et sancta Dei Evangelia, quae manibus meis tango.

(Variationes paragraphi quartae et quintae formulae iurisiurandi,

adhibendae a christifidelibus de quibus in can. 833, n. 8)

Disciplinam cunctae Ecclesiae communem fovebo observantiamque cunctarum legum ecclesiasticarum urgebo, earum imprimis quae in Codice Iuris canonici continentur.

Christiana obœdientia prosequar quae sacri Pastores, tamquam authentici fidei doctores et magistri declarant, aut tamquam Ecclesiae rectores statuunt, atque cum Episcopis diœcesanis libenter operam dabo, ut actio apostolica, nomine et mandato Ecclesiae exercenda, salvis indole et fine mei instituti, in eiusdem Ecclesiae communione peragatur.


* AAS 81 (1989), 104-106.



************************

PROFESSIONE DI FEDE E GIURAMENTO DI FEDELTÀ

Considerazioni dottrinali*

 

 

Le formule di Professione di fede e di Giuramento di fedeltà ora pubblicate, che saranno obbliganti nella Chiesa a partire dal prossimo 1° marzo, si distinguono per due elementi di novità rispetto alla formula di Professione di fede in vigore dal 1967.

Relativa è la novità della formula di Professione di fede. Essa consiste nella descrizione più chiara e completa degli obblighi ed atteggiamenti del credente, in aggiunta a quelli derivanti dalla integrale accettazione del Simbolo così detto niceno-costantinopolitano, inteso cioè come documento liturgico, con l’inserzione postuma del “Filioque”, che appunto dalla plurisecolare tradizione liturgica deriva anch’essa un carattere sacro ed anche intangibile (cfr S. Bulgakov, Il Paraclito, Bologna 1971, p. 251). È invece una novità assoluta quella dell’aggiunta complementare del Giuramento di fedeltà, che mancava nel testo dei 1967.

1. L’una e l’altra formula hanno un’ascendenza piuttosto remota. Rispettivamente: la Professione di fede tridentina del 1564, poi integrata, nel 1877, con la menzione delle definizioni del Concilio Vaticano I (cfr. DS 1862-1870) e, in certo senso, il Giuramento antimodernista del 1910 (cfr. DS 3537-3550).

La distanza di tempo dalla loro composizione e la peculiarità delle circostanze storiche nelle quali questa era avvenuta, come pure la notevole ampiezza dei due testi abbinati, concorrevano insieme a fare avvertire l’opportunità di un’accurata revisione e riduzione.

Un tentativo in tal senso fu fatto, in vista della celebrazione del Concilio Vaticano II, dalla Commissione teologica preparatoria; che però si risolse in un nulla di fatto. La nuova formula di Professione di fede da essa proposta, pur integrando in un unico testo la Professione di fede e il Giuramento antimodernista, copriva oltre due pagine fitte (cfr. Acta et Documenta Concilio Vaticano II apparando, Ser. II, II 1, pp. 495-497). Il richiamo, poi, agli «errori di questo tempo» e l’assunzione in blocco delle Encicliche Pascendi e Humani generis, alato dei Concili ecumenici, conferivano alla Professione un carattere di provvisorietà e non la premunivano da una certa eccedenza nell’assenso richiesto. Non sorprende quindi che, in sede di Commissione preparatoria centrale, essa apparisse non rispondente alle giuste attese (cfr. Acta et Documenta, pp. 502-523). Fatto sta che nella prima sessione pubblica del Vaticano II, l’11 ottobre 1962, la Professione di fede emessa dal Sommo Pontefice e dagli altri Padri conciliari rimase ancora quella tridentina (cfr. Acta synodalia, I, 1, p. 157s).

Subito dopo il Concilio un nuovo tentativo fu avviato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, ed arrivò in porto con la produzione del testo ricordato del 1967. In tale testo, della tradizionale Professione di fede tridentina è conservato soltanto il Simbolo. Tutto il resto è stato condensato nell’affermazione di fermamente accettare e ritenere tutto ciò che circa la dottrina sulla fede e i costumi è stato con solenne giudizio definito dalla Chiesa oppure è stato affermato e dichiarato dal suo magistero ordinario, con particolare riguardo al mistero della Chiesa, ai sacramenti, al sacrificio della Messa, e al primato del Romano Pontefice (cfr. AAS 1967, p. 1058).

Questa affermazione onnicomprensiva, se si raccomandava per la sua brevità, non era immune da un doppio svantaggio: quello di non ben distinguere le verità proposte a credere come divinamente rivelate da quelle proposte in modo definitivo sebbene non divinamente rivelate; e quello di passare sotto silenzio gli insegnamenti del supremo magistero senza la connotazione del divinamente rivelato o della proposizione definitiva.

D’altra parte, sé doveva restare abolito il Giuramento antimodernista come tale, non era tuttavia escluso di sostituirlo con una nuova modalità di impegno di fedeltà, che fosse di norma e criterio per l’assolvimento di determinati uffici nella Chiesa. Effettivamente una nuova modalità di tale impegno venne intanto adottata per i Vescovi all’inizio del proprio ministero, espressa nella formula di Giuramento di fedeltà entrata in vigore il 1° luglio 1987. Era dunque naturale che una modalità analoga venisse estesa ad altre persone deputate ad altri uffici, che ugualmente richiedono la previa Professione di fede a norma del CIC can. 833, nn. 5°-8°.

In questo contesto si collocano il significato e la finalità delle nuove formule di Professione di fede e di Giuramento di fedeltà, elaborate, a partire dal 1984, a più riprese e a vari livelli dalla Congregazione per la dottrina della Fede, e approvate dal Papa il 1° luglio 1988.

2. La parte nuova della formula Professione di fede si compone di tre distinti paragrafi o commi, ciascuno dei quali enunzia una particolare categoria di verità o dottrine e il rispettivo assenso che esse richiedono.

1) Nel primo comma sono ricordate le verità appartenenti alla fede, perché contenute nell’unico deposito della Parola di Dio, costituito dalla sacra Tradizione e dalla sacra Scrittura, affidato alla Chiesa (cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione domm. Dei verbum, n. 10), e perché dalla Chiesa sono proposte a credere come divinamente rivelate, sia con una definizione congiunta dell’intero Collegio episcopale oppure con una definizione singolare del Romano Pontefice, sia dal magistero ordinario e universale (cfr. Concilio Vaticano I, Costituzione domm. Dei Filius, cap. 3: DS 3011). Esse pertanto richiedono l’assenso di fede.

Tutte le verità così proposte sono uguali tra loro, anche se diverso è il loro nesso con la fede, poiché alcune si fondano su altre come principali e sono da queste illuminate. Tutte quindi, appunto perché divinamente rivelate, devono essere semplicemente «credute» nel senso immutabile inteso dalla Chiesa (cfr. Concilio Vaticano I, Costituzione domm. Dei Filius, cap. 4 can. 3: DS 3020 e 3043). Le parole che indicano l’assenso ad esse dovuto, «credo con ferma fede», indicano insieme l’intensità e l’immutabilità dell’assenso stesso.

Con le medesime parole è inoltre precisato che soltanto le verità divinamente rivelate fanno parte in senso pieno della Professione di fede. Quelle invece delle altre due categorie che seguono appartengono ad essa in modo più ò meno distanziato, e tuttavia sono anche esse, a loro modo, riflesso e proiezione della Chiesa quale «comunità di fede, di speranza e di carità» (Concilio Vaticano II, Costituzione domm. Lumen gentium, n. 8).

2) Nel secondo comma sono ricordate le verità circa la dottrina sulla fede o i costumi proposte dalla Chiesa in modo definitivo, ma non come divinamente rivelate.

Perché proposte in modo definitivo, esse devono essere fermamente accettate e ritenute. Ma perché non proposte come divinamente rivelate, l’ossequio ad esse dovuto non è un ossequio di fede nell’accezione rigorosa del termine.

Il Concilio Vaticano I, nella formula di definizione dommatica dell’infallibilità pontificia, ha deliberatamente inclusa la possibilità che la Chiesa definisca dottrine, senza peraltro proporle come divinamente rivelate. Ad una precedente espressione, infatti, con la quale si diceva che oggetto dell’infallibilità, sia del Romano Pontefice che di tutta la Chiesa docente, è tutto ciò che, in materia di fede e di costumi, è definito «come da ritenersi di fede o da rigettare come contrario alla fede» (cfr. Mansi 52, 7 B), il Concilio volle poi preferire l’espressione possibilista con la quale è definito che oggetto di detta infallibilità è la dottrina circa la fede o i costumi proposta come «da ritenersi dalla Chiesa universale», senza specificazione di come debba essere ritenuta (cfr. Costituzione domm. Pastor aeternus, cap. 4: DS 3074). Anche il Concilio Vaticano II, a proposito dell’infallibilità dei vescovi dispersi nel mondo, ma in comunione tra di loro e con il successore di Pietro, oppure adunati in Concilio ecumenico, parla di sentenze definitive e di definizioni in modo generico, senza specificare che debbano essere esclusivamente proposizioni o definizioni di fede (cfr. Costituzione domm. Lumen gentium, n. 25).

Può rientrare nell’oggetto di definizioni irreformabili, anche se non di fede, tutto ciò che si riferisce alla legge naturale, essa pure espressione della volontà di Dio. A tale titolo appartiene anch’essa alla competenza interpretativa e propositiva della Chiesa, in ragione del suo ministero di salvezza.

3) Il terzo comma è dedicato agli insegnamenti, ancora più remotamente connessi con la Professione di fede propriamente detta, riguardanti le dottrine proposte dal magistero autentico del Romano Pontefice o dal Collegio dei Vescovi senza l’intenzione di proporle in modo definitivo. La mancanza di tale intenzione è qualificante dell’atto di insegnamento e, quindi, della non definitività delle dottrine insegnate.

Ad esse dunque non è dovuto né l’assenso di fède né un assenso irrevocabile. È dovuto tuttavia l’ossequio religioso della volontà e dell’intelletto. In quanto «religioso», esso non si fonda su motivazioni puramente razionali, ma sulla riconosciuta specificità della funzione ecclesiale del Romano Pontefice e dei Vescovi, che gli Apostoli lasciarono come loro successori, affidando ad essi il proprio ufficio di magistero (cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione domm. Dei verbum, n. 7). In quanto ossequio «dell’intelletto», oltre che della volontà, esso non è un semplice atto di insegnamento. È sincera adesione alle stesse dottrine insegnate, sulle quali l’ultima parola spetta comunque al Magistero autentico della Chiesa.

3. Mentre l’emissione della Professione di fede è la condizione abilitante ad assumere un ufficio nella Chiesa, il Giuramento di fedeltà è l’impegnò pubblico a bène esercitarlo di fronte alla Chiesa stessa e di fronte alle istituzioni e persone per le quali è stato assunto.

L’osservanza dei cinque commi che lo compongono costituisce, dunque, il parametro dell’adempimento dei singoli uffici e insieme la verifica della fedeltà dei rispettivi titolari.

Il Giuramento di fedeltà insomma, qualunque sia la categoria di persone tenute a farlo, ha l’unico intento che ciascuna contribuisca, con le parole e i fatti, a mantenere ed accrescere la comunione all’interno della Chiesa, di modo che nel ritenere, praticare e professare la fede trasmessa si abbia pieno accordo dei pastori e dei fedeli (cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione domm. Dei verbum, n. 10).

 

Umberto Betti, o.f.m.

 

 

* Notitiae 25 (1989) 321-325.

[SM=g1740733]

Caterina63
00venerdì 27 luglio 2012 21:12

CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

 

PREFAZIONE

 

La presente raccolta comprende tre documenti concernenti la Nuova formula della «Professione di Fede»:

- Il testo della « Professione di Fede e del Giuramento di fedeltà nell'assumere un ufficio da esercitare a nome della Chiesa », pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, il 9 gennaio 1989 (AAS 81 [1989] 104-106).

- Il testo della Lettera Apostolica in forma di Motu proprio di Giovanni Paolo II «Ad tuendam fidem», pubblicata su «L'Osservatore Romano» del 30 giugno - 1 luglio 1998, con la quale vengono inserite alcune norme nel Codice di Diritto Canonico e nel Codice dei Canoni delle Chiese orientali, al fine di adeguare la normativa e le sanzioni canoniche a quanto stabilito e prescritto dalla suddetta Formula della «Professione di Fede», specialmente in relazione al dovere di aderire alle verità proposte dal magistero della Chiesa in modo definitivo.

- Il testo della «Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della Professione di Fede», resa pubblica dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e comparsa su « L'Osservatore Romano» del 30 giugno -1 luglio 1998, allo scopo di spiegare il significato e il valore dottrinale dei tre commi conclusivi, che si riferiscono alla qualificazione teologica delle dottrine e al tipo di assenso richiesto ai fedeli.

 

PROFESSIONE DI FEDE

(Formula da usarsi nei casi in cui è prescritta la professione di fede)

Io N.N. credo e professo con ferma fede tutte e singole le verità che sono contenute nel Simbolo della fede, e cioè:

Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine.

Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti.

Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.

Credo pure con ferma fede tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio scritta o trasmessa e che la Chiesa, sia con giudizio solenne sia con magistero ordinario e universale, propone a credere come divinamente rivelato.

Fermamente accolgo e ritengo anche tutte e singole le verità circa la dottrina che riguarda la fede o i costumi proposte dalla Chiesa in modo definitivo.

Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell’intelletto agli insegnamenti che il Romano Pontefice o il Collegio dei Vescovi propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo.

 

GIURAMENTO DI FEDELTÀ
NELL’ASSUMERE UN UFFICIO
DA ESERCITARE A NOME DELLA CHIESA

(Formula da usarsi da tutti i fedeli indicati nel can. 833 nn. 5-8)

Io N.N. nell’assumere l’ufficio di... prometto di conservare sempre la comunione con la Chiesa cattolica, sia nelle mie parole che nel mio modo di agire.

Adempirò con grande diligenza e fedeltà i doveri ai quali sono tenuto verso la Chiesa, sia universale che particolare, nella quale, secondo le norme del diritto, sono stato chiamato a esercitare il mio servizio.

Nell’esercitare l’ufficio, che mi è stato affidato a nome della Chiesa, conserverò integro e trasmetterò e illustrerò fedelmente il deposito della fede, respingendo quindi qualsiasi dottrina ad esso contraria.

Seguirò e sosterrò la disciplina comune a tutta la Chiesa e curerò l’osservanza di tutte le leggi ecclesiastiche, in particolare di quelle contenute nel Codice di Diritto Canonico.

Osserverò con cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori dichiarano come autentici dottori e maestri della fede o stabiliscono come capi della Chiesa, e presterò fedelmente aiuto ai Vescovi diocesani, perché l’azione apostolica, da esercitare in nome e per mandato della Chiesa, sia com­piuta in comunione con la Chiesa stessa.

Così Dio mi aiuti e questi santi Vangeli che tocco con le mie mani.

(Variazioni del paragrafo quarto e quinto della formula di giuramento
da usarsi dai fedeli indicati nel can. 833 n. 8)

Sosterrò la disciplina comune a tutta la Chiesa e promuoverò l’osservanza di tutte le leggi ecclesiastiche, in particolare di quelle contenute nel Codice di Diritto Canonico.

Osserverò con cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori dichiarano come autentici dottori e maestri della fede o stabiliscono come capi della Chiesa, e in unione con i Vescovi diocesani, fatti salvi l’indole e il fine del mio Istituto, presterò volentieri la mia opera perché l’azione apostolica, da esercitare in nome e per mandato della Chiesa, sia compiuta in comunione con la Chiesa stessa.

***

GIOVANNI PAOLO II

Lettera Apostolica data Motu Proprio
AD TUENDAM FIDEM,
con la quale vengono inserite alcune norme nel
Codice di Diritto Canonico
e nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali

 

PER DIFENDERE LA FEDE della Chiesa Cattolica contro gli errori che insorgono da parte di alcuni fedeli, soprattutto di quelli che si dedicano di proposito alle discipline della sacra teologia, è sembrato assolutamente necessario a Noi, il cui compito precipuo è confermare i fratelli nella fede (cf Lc 22, 32), che nei testi vigenti del Codice di Diritto Canonico e del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali vengano aggiunte norme con le quali espressamente sia imposto il dovere di osservare le verità proposte in modo definitivo dal Magistero della Chiesa, facendo anche menzione delle sanzioni canoniche riguardanti la stessa materia.

1. Fin dai primi secoli sino al giorno d'oggi la Chiesa professa le verità sulla fede di Cristo e sul mistero della Sua redenzione, che successivamente sono state raccolte nei Simboli della fede; oggi infatti esse vengono comunemente conosciute e proclamate dai fedeli nella celebrazione solenne e festiva delle Messe come Simbolo degli Apostoli oppure Simbolo Niceno-Costantinopolitano.

Lo stesso Simbolo Niceno-Costantinopolitano è contenuto nella Professione di fede, ultimamente elaborata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede(1), che in modo speciale viene imposta a determinati fedeli da emettere quando questi assumono un ufficio relativo direttamente o indirettamente alla più profonda ricerca nell’ambito delle verità circa la fede e i costumi oppure legato a una potestà peculiare nel governo della Chiesa(2).

2. La Professione di fede, preceduta debitamente dal Simbolo Niceno-Costantinopolitano, ha inoltre tre proposizioni o commi che intendono esplicare le verità della fede cattolica che la Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo che Le «insegnerà tutta la verità» (Gv 16, 13), nel corso dei secoli ha scrutato o dovrà scrutare più profondamente(3).

Il primo comma che enuncia: «Credo pure con ferma fede tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o trasmessa e che la Chiesa, sia con giudizio solenne sia con magistero ordinario e universale, propone a credere come divinamente rivelato»(4), convenientemente afferma e ha il suo disposto nella legislazione universale della Chiesa nei cann. 750 del Codice di Diritto Canonico(5) e 598 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali(6).

Il terzo comma che dice: «Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell'intelletto alle dottrine che il Romano Pontefice o il Collegio dei Vescovi propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarle con atto definitivo»(7), trova il suo posto nei cann. 752 del Codice di Diritto Canonico(8) e 599 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali(9).

3. Tuttavia, il secondo comma in cui si afferma: «Fermamente accolgo e ritengo anche tutte e singole le verità circa la dottrina che riguarda la fede o i costumi proposte dalla Chiesa in modo definitivo»(10), non ha alcun canone corrispondente nei Codici della Chiesa Cattolica. È di massima importanza questo comma della Professione di fede, dal momento che indica le verità necessariamente connesse con la divina rivelazione. Queste verità, che nell’esplorazione della dottrina cattolica esprimono una particolare ispirazione dello Spirito di Dio per la comprensione più profonda della Chiesa di una qualche verità che riguarda la fede o i costumi, sono connesse sia per ragioni storiche sia come logica conseguenza.

4. Spinti perciò da detta necessità abbiamo opportunamente deliberato di colmare questa lacuna della legge universale nel modo seguente:

A) Il can. 750 del Codice di Diritto Canonico d’ora in poi avrà due paragrafi, il primo dei quali consisterà del testo del canone vigente e il secondo presenterà un testo nuovo, cosicché nell’insieme il can. 750 suonerà:

Can. 750 - § 1. Per fede divina e cattolica sono da credere tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata, vale a dire nell'unico deposito della fede affidato alla Chiesa, e che insieme sono proposte come divinamente rivelate, sia dal magistero solenne della Chiesa, sia dal suo magistero ordinario e universale, ossia quello che è manifestato dalla comune adesione dei fedeli sotto la guida del sacro magistero; di conseguenza tutti sono tenuti a evitare qualsiasi dottrina ad esse contraria.

§ 2. Si devono pure fermamente accogliere e ritenere anche tutte e singole le cose che vengono proposte definitivamente dal magistero della Chiesa circa la fede e i costumi, quelle cioè che sono richieste per custodire santamente ed esporre fedelmente lo stesso deposito della fede; si oppone dunque alla dottrina della Chiesa cattolica chi rifiuta le medesime proposizioni da tenersi definitivamente.

Nel can. 1371, n. 1 del Codice di Diritto Canonico sia congruentemente aggiunta la citazione del can. 750 § 2, cosicché lo stesso can. 1371 d’ora in poi nell’insieme suonerà:

Can. 1371 - Sia punito con una giusta pena:

1) chi oltre al caso di cui nel can. 1364 § 1, insegna una dottrina condannata dal Romano Pontefice o dal Concilio Ecumenico oppure respinge pertinacemente la dottrina di cui nel can. 750 § 2 o nel can. 752, ed ammonito dalla Sede Apostolica o dall'Ordinario non ritratta;

2) chi in altro modo non obbedisce alla Sede Apostolica, all'Ordinario o al Superiore che legittimamente gli comanda o gli proibisce, e dopo l'ammonizione persiste nella sua disobbedienza.

B) Il can. 598 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali d’ora in poi avrà due paragrafi, dei quali il primo consisterà del testo del canone vigente e il secondo presenterà un testo nuovo, cosicché nell’insieme il can. 598 suonerà:

Can. 598 - § 1. Per fede divina e cattolica sono da credere tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata cioè nell'unico deposito della fede affidato alla Chiesa, e che insieme sono proposte come divinamente rivelate sia dal magistero solenne della Chiesa, sia dal suo magistero ordinario e universale, ossia quello che è manifestato dalla comune adesione dei fedeli sotto la guida del sacro magistero; di conseguenza tutti i fedeli curino di evitare qualsiasi dottrina che ad esse non corrisponda.

§ 2. Si devono pure fermamente accogliere e ritenere anche tutte e singole le cose che vengono proposte definitivamente dal magistero della Chiesa circa la fede e i costumi, quelle cioè che sono richieste per custodire santamente ed esporre fedelmente lo stesso deposito della fede; si oppone dunque alla dottrina della Chiesa cattolica chi rifiuta le medesime proposizioni da tenersi definitivamente.

Nel can. 1436 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali si aggiungano convenientemente le parole che si riferiscono al can. 598 § 2, cosicché nell’insieme il can. 1436 suonerà:

Can. 1436 - § 1. Colui che nega una verità da credere per fede divina e cattolica o la mette in dubbio oppure ripudia totalmente la fede cristiana e legittimamente ammonito non si ravvede, sia punito come eretico o come apostata con la scomunica maggiore; il chierico può essere punito inoltre con altre pene, non esclusa la deposizione.

§ 2. All'infuori di questi casi, colui che respinge pertinacemente una dottrina proposta da tenersi definitivamente o sostiene una dottrina condannata come erronea dal Romano Pontefice o dal Collegio dei Vescovi nell'esercizio del magistero autentico e legittimamente ammonito non si ravvede, sia punito con una pena adeguata.

5. Ordiniamo che sia valido e ratificato tutto ciò che Noi con la presente Lettera Apostolica data Motu Proprio abbiamo decretato e prescriviamo che sia inserito nella legislazione universale della Chiesa Cattolica, rispettivamente nel Codice di Diritto Canonico e nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali così come è stato sopra dimostrato, nonostante qualunque cosa in contrario.

Roma, presso san Pietro, 18 maggio 1998, anno ventesimo del Nostro Pontificato.

GIOVANNI PAOLO II


(1) Congregatio pro Doctrina Fidei, Professio Fidei et Iusiurandum fidelitatis in suscipiendo officio nomine Ecclesiae exercendo, 9 Ianuarii 1989, in AAS 81 (1989) 105.

(2) Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 833.

(3) Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 747 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 595 § 1.

(4) Cf. Sacrosanctum Concilium Oecumenicum Vaticanum II, Constitutio dogmatica Lumen Gentium, De Ecclesia, n. 25, 21 Novembris 1964, in AAS 57 (1965) 29-31; Constitutio dogmatica Dei Verbum, De divina Revelatione, 18 Novembris 1965, n. 5, in AAS 58 (1966) 819; Congregatio pro Doctrina Fidei, Instructio Donum veritatis, De ecclesiali theologi vocatione, 24 Maii 1990, n. 15, in AAS 82 (1990) 1556.

(5) Codice di Diritto Canonico, can. 750 - Per fede divina e cattolica sono da credere tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata, vale a dire nell'unico deposito della fede affidato alla Chiesa, e che insieme sono proposte come divinamente rivelate, sia dal magistero solenne della Chiesa, sia dal suo magistero ordinario e universale, ossia quello che è manifestato dalla comune adesione dei fedeli sotto la guida del sacro magistero; di conseguenza tutti sono tenuti a evitare qualsiasi dottrina ad esse contraria.

(6) Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 598 - Per fede divina e cattolica sono da credere tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata cioè nell'unico deposito della fede affidato alla Chiesa, e che insieme sono proposte come divinamente rivelate sia dal magistero solenne della Chiesa, sia dal suo magistero ordinario e universale, ossia quello che è manifestato dalla comune adesione dei fedeli sotto la guida del sacro magistero; di conseguenza tutti i fedeli curino di evitare qualsiasi dottrina che ad esse non corrisponda.

(7) Cf. Congregatio pro Doctrina Fidei, Instructio Donum veritatis, De ecclesiali theologi vocatione, 24 Maii 1990, n. 15, in AAS 82 (1990) 1557.

(8) Codice di Diritto Canonico, can. 752 - Non proprio un assenso di fede, ma un religioso ossequio dell'intelletto e della volontà deve essere prestato alla dottrina, che sia il Sommo Pontefice sia il Collegio dei Vescovi enunciano circa la fede e i costumi, esercitando il magistero autentico, anche se non intendono proclamarla con atto definitivo; i fedeli perciò procurino di evitare quello che con essa non concorda.

(9) Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 599 - Non proprio un assenso di fede, ma un religioso ossequio di intelletto e di volontà deve essere prestato alla dottrina circa la fede e i costumi che, sia il Romano Pontefice, sia il Collegio dei Vescovi enunciano, esercitando il magistero autentico, anche se non intendono proclamarla con atto definitivo; di conseguenza i fedeli curino di evitare qualsiasi dottrina che ad essa non corrisponda.

(10) Cf. Congregatio pro Doctrina Fidei, Instructio Donum veritatis, De ecclesiali theologi vocatione, 24 Maii 1990, n. 15, in AAS 82 (1990) 1557.

***

CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

Nota dottrinale illustrativa
della formula conclusiva della Professio fidei

 

1. Fin dai suoi inizi la Chiesa ha professato la fede nel Signore crocifisso e risorto, raccogliendo in alcune formule i contenuti fondamentali del suo credere. L'evento centrale della morte e risurrezione del Signore Gesù, espresso prima con formule semplici e in seguito con formule più compiute,1 ha permesso di dare vita a quella ininterrotta proclamazione di fede, in cui la Chiesa ha trasmesso sia quanto aveva ricevuto dalle labbra e dalle opere di Cristo, sia quanto aveva imparato « per suggerimento dello Spirito Santo ».2

Lo stesso Nuovo Testamento è testimone privilegiato della prima professione proclamata dai discepoli, immediatamente dopo gli avvenimenti di Pasqua: « Vi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici ».3

2. Nel corso dei secoli, da questo nucleo immutabile che attesta Gesù Figlio di Dio e Signore, si sono sviluppati simboli a testimonianza dell'unità della fede e della comunione delle Chiese. In essi si raccolgono le verità fondamentali che ogni credente è tenuto a conoscere e professare. E per questo che prima di ricevere il Battesimo, il catecumeno deve emettere la sua professione di fede. Anche i Padri radunati nei concili, venendo incontro alle diverse esigenze storiche che richiedevano di presentare più compiutamente le verità di fede o di difenderne l'ortodossia, hanno formulato nuovi simboli che occupano fino ai nostri giorni « un posto specialissimo nella vita della Chiesa ».4 La diversità di questi simboli esprime la ricchezza dell'unica fede e nessuno di essi viene superato o vanificato dalla formulazione di una ulteriore professione di fede in corrispondenza a nuove situazioni storiche.

3. La promessa di Cristo Signore di donare lo Spirito Santo, il quale « guiderà alla verità tutta intera »,5 sostiene perennemente il cammino della Chiesa. E per questo che nel corso della sua storia alcune verità sono state definite come ormai acquisite per l'assistenza dello Spirito Santo e sono pertanto tappe visibili del compimento della promessa originaria. Altre verità, comunque, devono essere ancora più profondamente comprese, prima di poter giungere al pieno possesso di quanto Dio, nel suo mistero di amore, ha voluto rivelare agli uomini per la loro salvezza.6

Nella sua cura pastorale, anche di recente la Chiesa ha creduto opportuno esprimere in maniera più esplicita la fede di sempre. Ad alcuni fedeli, inoltre, chiamati ad assumere particolari uffici nella comunità a nome della Chiesa, è stato fatto obbligo di emettere pubblicamente la professione di fede secondo la formula approvata dalla Sede Apostolica.7

4. Questa nuova formula della Professio fidei, che ripropone il simbolo niceno-costantinopolitano, si conclude con l'aggiunta di tre proposizioni o commi, che hanno lo scopo di meglio distinguere l'ordine delle verità a cui il credente aderisce. Merita di essere esplicitata la coerente spiegazione di questi commi, perché il loro significato originario dato dal magistero della Chiesa sia ben capito, recepito e conservato in modo integro.

Nell'accezione odierna si sono venuti a condensare intorno al termine « Chiesa » diversi contenuti che, pur veri e coerenti, hanno bisogno tuttavia di essere precisati nel momento in cui si fa riferimento a funzioni specifiche e proprie dei soggetti che in essa operano. A tal proposito, è chiaro che sulle questioni di fede o di morale il soggetto unico abilitato a svolgere l'ufficio di insegnare con autorità vincolante per i fedeli è il Sommo Pontefice e il Collegio dei Vescovi in comunione con lui.8 I Vescovi infatti sono « dottori autentici » della fede, « cioè rivestiti dell'autorità di Cristo »,9 poiché per divina istituzione sono succeduti agli Apostoli « nel magistero e nel governo pastorale »: essi esercitano insieme con il Romano Pontefice la suprema e piena potestà su tutta la Chiesa, sebbene questa potestà non possa essere esercitata se non consenziente il Romano Pontefice.10

5. Con la formula del primo comma: « Credo pure con ferma fede tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio scritta o trasmessa e che la Chiesa, sia con giudizio solenne sia con magistero ordinario e universale, propone a credere come divinamente rivelato », si vuole affermare che l'oggetto insegnato è costituito da tutte quelle dottrine di fede divina e cattolica che la Chiesa propone come divinamente e formalmente rivelate e, come tali, irreformabili.11

Tali dottrine sono contenute nella Parola di Dio scritta o trasmessa e vengono definite con un giudizio solenne come verità divinamente rivelate o dal Romano Pontefice quando parla « ex cathedra » o dal Collegio dei Vescovi radunato in concilio, oppure vengono infallibilmente proposte a credere dal magistero ordinario e universale.

Queste dottrine comportano da parte di tutti i fedeli l’assenso di fede teologale. Per tale ragione chi ostinatamente le mettesse in dubbio o le dovesse negare, cadrebbe nella censura di eresia, come indicato dai rispettivi canoni dei Codici canonici.12

6. La seconda proposizione della Professio fidei afferma: « Fermamente accolgo e ritengo anche tutte e singole le verità circa la dottrina che riguarda la fede o i costumi proposte dalla Chiesa in modo definitivo ».

L'oggetto che viene insegnato con questa formula comprende tutte quelle dottrine attinenti al campo dogmatico o morale,13 che sono necessarie per custodire ed esporre fedelmente il deposito della fede, sebbene non siano state proposte dal magistero della Chiesa come formalmente rivelate.

Tali dottrine possono essere definite in forma solenne dal Romano Pontefice quando parla « ex cathedra » o dal Collegio dei Vescovi radunato in concilio, oppure possono essere infallibilmente insegnate dal magistero ordinario e universale della Chiesa come “sententia definitive tenenda”.14 Ogni credente, pertanto, è tenuto a prestare a queste verità il suo assenso fermo e definitivo, fondato sulla fede nell'assistenza dello Spirito Santo al magistero della Chiesa, e sulla dottrina cattolica dell'infallibilità del magistero in queste materie.15 Chi le negasse, assumerebbe una posizione di rifiuto di verità della dottrina cattolica 16e pertanto non sarebbe pia in piena comunione con la Chiesa cattolica.

7. Le verità relative a questo secondo comma possono essere di natura diversa e rivestono quindi un carattere differente per il loro rapportarsi alla rivelazione. Esistono, infatti, verità che sono necessariamente connesse con la rivelazione in forza di un rapporto storico; mentre altre verità evidenziano una connessione logica, la quale esprime una tappa nella maturazione della conoscenza, che la Chiesa è chiamata a compiere, della stessa rivelazione. Il fatto che queste dottrine non siano proposte come formalmente rivelate, in quanto aggiungono al dato di fede elementi non rivelati o non ancora riconosciuti espressamente come tali, nulla toglie al loro carattere definitivo, che è richiesto almeno dal legame intrinseco con la verità rivelata. Inoltre non si può escludere che ad un certo punto dello sviluppo dogmatico, l'intelligenza tanto delle realtà quanto delle parole del deposito della fede possa progredire nella vita della Chiesa e il magistero giunga a proclamare alcune di queste dottrine anche come dogmi di fede divina e cattolica.

8. Per quanto riguarda la natura dell'assenso dovuto alle verità proposte dalla Chiesa come divinamente rivelate (1° comma) o da ritenersi in modo definitivo (2° comma), è importante sottolineare che non vi è differenza circa il carattere pieno e irrevocabile dell'assenso, dovuto ai rispettivi insegnamenti. La differenza si riferisce alla virtù soprannaturale della fede: nel caso delle verità del 1° comma l'assenso è fondato direttamente sulla fede nell'autorità della Parola di Dio (dottrine de fide credenda);nel caso delle verità del 2° comma, esso è fondato sulla fede nell'assistenza dello Spirito Santo al magistero e sulla dottrina cattolica dell'infallibilità del magistero (dottrine de fide tenendo).

9. Il magistero della Chiesa, comunque, insegna una dottrina da credere come divinamente rivelata (1° comma) o da ritenere in maniera definitiva (2° comma), con un atto definitorio oppure non definitorio. Nel caso di un atto definitorio, viene definita solennemente una verità con un pronunciamento « ex cathedra » da parte del Romano Pontefice o con l'intervento di un concilio ecumenico. Nel caso di un atto non definitorio, viene insegnata infallibilmente una dottrina dal magistero ordinario e universale dei Vescovi sparsi per il mondo in comunione con il Successore di Pietro. Tale dottrina può essere confermata o riaffermata dal Romano Pontefice, anche senza ricorrere ad una definizione solenne, dichiarando esplicitamente che essa appartiene all'insegnamento del magistero ordinario e universale come verità divinamente rivelata (1° comma) o come verità della dottrina cattolica (2° comma). Di conseguenza, quando su una dottrina non esiste un giudizio nella forma solenne di una definizione, ma questa dottrina, appartenente al patrimonio del depositum fidei, è insegnata dal magistero ordinario e universale – che include necessaria-mente quello del Papa – , essa allora è da intendersi come proposta infallibilmente.17 La dichiarazione di conferma o riaffermazione da parte del Romano Pontefice in questo caso non è un nuovo atto di dogmatizzazione, ma l'attestazione formale di una verità già posseduta e infallibilmente trasmessa dalla Chiesa.

10. La terza proposizione della Professio fidei afferma: « Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell'intelletto agli insegnamenti che il Romano Pontefice o il Collegio episcopale propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo ».

A questo comma appartengono tutti quegli insegnamenti in materia di fede o morale presentati come veri o almeno come sicuri, anche se non sono stati definiti con giudizio solenne né proposti come definitivi dal magistero ordinario e universale. Tali insegnamenti sono comunque espressione autentica del magistero ordinario del Romano Pontefice o del Collegio dei Vescovi e richiedono, pertanto, l'ossequio religioso della volontà e dell'intelletto.18Sono proposti per raggiungere un'intelligenza più profonda della rivelazione, ovvero per richiamare la conformità di un insegnamento con le verità di fede, oppure infine per mettere in guardia contro concezioni incompatibili con queste stesse verità o contro opinioni pericolose che possono portare all'errore.19

La proposizione contraria a tali dottrine può essere qualificata rispettivamente come erronea oppure, nel caso degli insegnamenti di ordine prudenziale, come temeraria o pericolosa e quindi « tuto doceri non potest ».20

11. Esemplificazioni. Senza alcuna intenzione di esaustività o completezza, si possono ricordare, a scopo meramente indicativo, alcuni esempi di dottrine relative ai tre commi sopra esposti.

Alle verità del primo comma appartengono gli articoli di fede del Credo, i diversi dogmi cristologici21e mariani;22la dottrina dell'istituzione dei sacramenti da parte di Cristo e la loro efficacia quanto alla grazia;23la dottrina della presenza reale e sostanziale di Cristo nell'Eucaristia24e la natura sacrificale della celebrazione eucaristica;25la fondazione della Chiesa per volontà di Cristo;26la dottrina sul primato e sull'infallibilità del Romano Pontefice;27la dottrina sull'esistenza del peccato originale;28 la dottrina sull'immortalità dell'anima spirituale e sulla retribuzione immediata dopo la morte;29l'assenza di errore nei testi sacri ispirati;30la dottrina circa la grave immoralità dell'uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente.31

Per quanto riguarda le verità del secondo comma, con riferimento a quelle connesse con la rivelazione per necessità logica, si può considerare, ad esempio, lo sviluppo della conoscenza della dottrina legata alla definizione dell'infallibilità del Romano Pontefice, prima della definizione dogmatica del Concilio Vaticano I. Il primato del Successore di Pietro è stato sempre creduto come un dato rivelato, sebbene fino al Vaticano I fosse rimasta aperta la discussione se l'elaborazione concettuale sottesa ai termini di « giurisdizione » e « infallibilità » fosse da considerarsi parte intrinseca della rivelazione o soltanto conseguenza razionale. Comunque, anche se il suo carattere di verità divinamente rivelata fu definito nel Concilio Vaticano I, la dottrina sull'infallibilità e sul primato di giurisdizione del Romano Pontefice era riconosciuta come definitiva già nella fase precedente al concilio. La storia mostra pertanto con chiarezza che quanto fu assunto nella coscienza della Chiesa era considerato fin dagli inizi una dottrina vera e, successivamente, ritenuta come definitiva, ma solo nel passo finale della definizione del Vaticano I fu accolta anche come verità divinamente rivelata.

Per quanto concerne il più recente insegnamento circa la dottrina sulla ordinazione sacerdotale da riservarsi soltanto agli uomini, si deve osservare un processo similare. Il Sommo Pontefice, pur non volendo procedere fino a una definizione dogmatica, ha inteso riaffermare, comunque, che tale dottrina è da ritenersi in modo definitivo,32 in quanto, fondata sulla Parola di Dio scritta, costantemente conservata e applicata nella Tradizione della Chiesa, è stata proposta infallibilmente dal magistero ordinario e universale.33 Nulla toglie che, come l'esempio precedente può dimostrare, nel futuro la coscienza della Chiesa possa progredire fino a definire tale dottrina da credersi come divinamente rivelata.

Si può anche richiamare la dottrina circa l'illiceità della eutanasia, insegnata nell'Enciclica Evangelium Vitae. Confermando che l'eutanasia è « una grave violazione della legge di Dio », il Papa dichiara che « tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa ed insegnata dal magistero ordinario e universale ».34 Potrebbe sembrare che nella dottrina sull'eutanasia vi sia un elemento puramente razionale, dato che la Scrittura non sembra conoscerne il concetto. D'altra parte emerge in questo caso la mutua interrelazione tra l'ordine della fede e quello della ragione: la Scrittura infatti esclude con chiarezza ogni forma di autodisposizione dell'esistenza umana che è invece supposta nella prassi e nella teoria dell'eutanasia.

Altri esempi di dottrine morali insegnate come definitive dal magistero ordinario e universale della Chiesa sono: l'insegnamento sulla illiceità della prostituzione 35e sulla illiceità della fornicazione.36

Con riferimento alle verità connesse con la rivelazione per necessità storica, che sono da tenersi in modo definitivo, ma che non potranno essere dichiarate come divinamente rivelate, si possono indicare come esempi la legittimità dell'elezione del Sommo Pontefice o della celebrazione di un concilio ecumenico, le canonizzazioni dei santi (fatti dogmatici);la dichiarazione di Leone XIII nella Lettera Apostolica Apostolicae Curae sulla invalidità delle ordinazioni anglicane.37...

Come esempi di dottrine appartenenti al terzo comma si possono indicare in generale gli insegnamenti proposti dal magistero autentico ordinario in modo non definitivo, che richiedono un grado di adesione differenziato, secondo la mente e la volontà manifestata, la quale si palesa specialmente sia dalla natura dei documenti, sia dal frequente riproporre la stessa dottrina, sia dal tenore della espressione verbale.38

12. Con i diversi simboli di fede, il credente riconosce e attesta di professare la fede di tutta la Chiesa. È per questo motivo che, soprattutto nei simboli più antichi, si esprime questa coscienza ecclesiale con la formula « Noi crediamo ». Come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica: « Io credo » è la fede della Chiesa professata personalmente da ogni credente, soprattutto al momento del battesimo. « Noi crediamo » è la fede della Chiesa confessata dai Vescovi riuniti in concilio o, più generalmente, dall'assemblea liturgica dei credenti. « Io credo »: è anche la Chiesa, nostra Madre, che risponde a Dio con la sua stessa fede e che ci insegna a dire: « Io credo », « Noi crediamo ».39

In ogni professione di fede, la Chiesa verifica le diverse tappe cui è giunta nel suo cammino verso l'incontro definitivo con il Signore. Nessun contenuto viene superato dal trascorrere del tempo; tutto, invece, diventa patrimonio insostituibile attraverso il quale la fede di sempre, di tutti e vissuta in ogni luogo, contempla l'azione perenne dello Spirito di Cristo Risorto che accompagna e vivifica la sua Chiesa fino a condurla nella pienezza della verità.

Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 29 giugno 1998, solennità dei Ss. Pietro e Paolo, Apostoli.

 

+ Ioseph Card. Ratzinger
Prefetto

+ Tarcisio Bertone, S.D.B
Arcivescovo emerito di Vercelli
Segretario

 

 

1 Le formule semplici professano, normalmente, il compimento messianico in Gesù di Nazaret; cf., ad es., Mc 8, 29; Mt 16, 16; Lc 9, 20; Gv 20, 31; At 9, 22. Le formule complesse, oltre alla risurrezione, confessano gli eventi principali della vita di Gesù e il loro significato salvifico; cf., ad es., Mc 12, 35-36; At 2,23-24; 1 Cor 15, 3-5; 1 Cor 16, 22; Fil 2, 7. 10-11; Col 1, 15-20; 1 Pt 3, 19-22; Ap 22, 20. Oltre alle formule di confessione di fede relative alla storia della salvezza e alla vicenda storica di Gesù di Nazaret culminata con la Pasqua, esistono nel Nuovo Testamento professioni di fede che riguardano l'essere stesso di Gesù; cf. 1 Cor 12, 3: « Gesù è il Signore ». In Rm 10, 9 le due forme di confessione si trovano riunite insieme.

2 Conc. Ecum. Vatic. II, Cost. Dogm. Dei Verbum, n. 7.

3 1 Cor 15, 3-5.

4 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 193.

5 Gv 16, 13.

6 Cf. Conc. Ecum. Vatic. II, Cost. Dogm. Dei Verbum, n. 11.

7 Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Professione di fede e Giuramento di fedeltà: AAS 81 (1989) 104-106; CIC, can. 833.

8 Cf. Conc. Ecum. Vatic. II, Cost. Dogm. Lumen Gentium, n. 25.

9 Ibidem, n. 25.

10 Cf. ibidem, n. 22.

11Cf. DS 3074.

12Cf. CIC cann. 750 e 751; 1364 § 1; CCEO cann. 598; 1436 § 1.

13Cf. Paolo VI, Lett. Enc. Humanae Vitae, n. 4: AAS 60 (1968) 483; Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Veritatis Splendor, nn. 36-37: AAS 85 (1993) 1162-1163.

14Cf. Conc. Ecum. Vatic. II, Cost. Dogm. Lumen Gentium, n. 25.

15 Cf. Conc. Ecum. Vatic. II, Cost. Dogm. Dei Verbum, nn. 8 e 10; Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Mysterium Ecclesiae, n. 3: AAS 65 (1973) 400-401.

16 Cf. Giovanni Paolo II, Motu proprio Ad tuendam fidem, del 18 maggio 1998; cf. ibid., 9-13.

17Si consideri che l'insegnamento infallibile del magistero ordinario e universale non viene proposto soltanto con una dichiarazione esplicita di una dottrina da credersi o da tenersi definitivamente, ma anche è espresso mediante una dottrina implicitamente contenuta in una prassi di fede della Chiesa, derivata dalla rivelazione o comunque necessaria per la salvezza eterna, e testimoniata dalla Tradizione ininterrotta: tale insegnamento infallibile risulta oggettivamente proposto dall'intero corpo episcopale, inteso in senso diacronico, e non solo necessariamente sincronico. Inoltre l'intenzione del magistero ordinario e universale di proporre una dottrina come definitiva non è generalmente legata a formulazioni tecniche di particolare solennità; è sufficiente che ciò sia chiaro dal tenore delle parole adoperate e dai loro contesti.

18 Cf. Conc. Ecum. Vatic. II, Cost. Dogm. Lumen Gentium, n. 25; Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruz. Donum Veritatis, n. 23: cf. p. 10, n. 7.

19 Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruz. Donum Veritatis, nn. 23 e 24.

20 Cf. CIC cann. 752; 1371; CCEO, cann. 599; 1436 § 2.

21 Cf. DS 301-302.

22 Cf. DS 2803; 3903.

21Cf. DS 1601; 1606.

24 Cf. DS 1636.

25 Cf. DS 1740; 1743.

26 Cf. DS 3050.

27 Cf. DS 3059-3075.

28 Cf. DS 1510-1515.

29 Cf. DS 1000-1002.

30 Cf. DS 3293; Conc. Ecum. Vatic. II, Cost. Dogm. Dei Verbum, n. 11.

31 Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Evangelium Vitae, n. 57: AAS 87 (1995) 465.

32 Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Ordinatio Sacerdotalis, n. 4: AAS 86 (1994) 548.

33 Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Risposta al dubbio circa la dottrina della Lettera Apostolica «Ordinatio Sacerdotalis»: AAS 87 (1995) 1114.

34 Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Evangelium Vitae, n. 65.

35 Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2355.

36 Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2353.

37 Cf. DS 3315-3319.

38 Cf. Conc. Ecum. Vatic. II, Cost. Dogm. Lumen Gentium, n. 25; Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruz. Donum Veritatis, nn. 17, 23 e 24.

39 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 167.

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