Gli errori teologici di Von Balthasar e L'ERESIA di Karl Rahner

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Caterina63
00martedì 8 settembre 2009 13:31
Facendo attenzione a quanto espresso già dal Pontefice:
Benedetto XVI ai Teologi: siate OBBEDIENTI senza rinunciare alla ricerca


Riproponiamo un testo (ripetere giova) che ci aiuta a comprendere da dove nascono certi errori teologici, non soltanto dalla disobbedienza al Magistero, ma anche alla BUONA FEDE NEL PRETENDERE DI AVANZARE CON LE PROPRIE OPINIONI le quali, per quanto esse possano essere buone, NON sono la Verità....




Il Concilio Vaticano II non ha trattato l'escatologia per sè. Poiché però l'escatologia è legata in modo indissolubile alla cristologia, alla soteriologia e all'ecclesiologia, i Padri non hanno potuto non esprimere alcuni insegnamenti escatologici, in particolare discutendo della Chiesa in Lumen gentium (nn. 48-51) e Gaudium et spes (nn 38-39) e nei principi fondamentali di Nostra aetate, Dignitatis humanae Ýe Ad gentes divinitus.

Tradizionalmente, il cattolicesimo romano parlava dei De novissimis, definizione gradualmente sostituita dal termine "escatologia", che significa studio delle "cose estreme" (ta eschata): morte, giudizio, cielo e inferno. Certo, negli anni successivi al Concilio è sorta una pletora di ambiguità e di errori relativi alle cose escatologiche, molti dei quali proseguono nei giorni nostri. Enumerarli uno per uno, andrebbe ben oltre i limiti di questa presentazione.


Nel 1979.....la Congregazione per la Dottrina della Fede, ritornò severamente sulla Dottrina Cattolica ribadendo in modo inequivocabile l'insegnamento della Chiesa specialmente "sulle cose ultime"........

Questo intervento pose uno sbarramento alle forme di teologia moderne devianti dalla Verità rivelata, mettendo in rilievo le speculazioni che erano nate e confermando gli abusi commessi, nel Nuovo Catechismo i novissimi sono ritornati nell'originale catechesi......

- inoltre viene ribadito l'errore di valutazione sull'Inferno "vuoto" secondo Hans Urs von Balthasar....e l'errore di un certo "cristianesimo anonimo" secondo Karl Rahner....
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I cristiani si preoccupano costantemente - e giustamente - delle cose ultime. È attraverso le cose ultime che le promesse di Cristo giungono al loro compimento. Non deve pertanto sorprendere che in questo ambito nascano ambiguità ed errori, anche mentre la Chiesa insegna in modo fermo e convincente le verità rivelate sulla morte, il giudizio, il cielo e gli inferi.
Come ci si potrebbe attendere, l'escatologia ruota intorno a queste quattro realtà e al rapporto tra di esse. Tra queste quattro realtà, ve ne sono due che oggi presentano poche difficoltà, ossia la morte e il cielo.

La morte è una realtà molto chiara: ognuno di noi affronta l'immanenza della propria morte e di quella delle persone care. Sebbene possiamo interrogarci sul come e sul perché, non possiamo metterne in discussione la realtà e l'ineludibilità. Ciò che ci attende attraverso l'orrore e il buio della morte è la promessa della vita eterna, la promessa di una vita successiva. Il cielo è sia una speranza innata, sia una realtà rivelata: ognuno di noi desidera trascendere la minaccia dell'annullamento di se stesso e dei propri cari. Il cielo è la sconfitta della morte. "Passato un breve sonno, veglieremo in eterno. E non vi sarà più morte; morte, morrai". In un certo senso, morte e cielo vanno insieme. La prospettiva del cielo come espressa in Giovanni 14, e la risurrezione illustrata da San Paolo (1 Tessalonicesi 4, 13; 5, 11; e Corinzi, 15) rappresentano una difficoltà relativamente minore nell'escatologia contemporanea.
 

Il giudizio e l'inferno sono invece questioni completamente diverse. Mentre entriamo nel ventunesimo secolo, portiamo con noi un grande bagaglio del diciannovesimo e del ventesimo secolo. Soprattutto, sosteniamo l'attacco dell'indifferenza religiosa, che si è trasformata in pluralismo religioso. Non solo vi è chi afferma che l'affiliazione religiosa, in particolare il battesimo in Cristo, è irrilevante, ma vi è anche chi sostiene che la giustificazione può giungere attraverso persone e strumenti diversi da Gesù Cristo e la Sua Chiesa. Strettamente collegato a tale modo di pensare è il riferimento a teorie deterministiche psicologiche, sociologiche e socio-biologiche che screditano la responsabilità umana.

Secondo tali teorie, gli esseri umani fondamentalmente non sono responsabili delle proprie scelte. Le cattive azioni - o il peccato, se possiamo osare parlare di una cosa simile - sarebbero quindi il risultato di una personalità squilibrata, di relazioni inadeguate o di un'eredità genetica. L'idea di un giudizio che non sia medico o terreno, oggi per molti è un anatema. Ne consegue dunque che non può esistere un inferno, o che, anche se un tale posto dovesse esistere, non vi sarebbe nessuno. Dunque in un certo senso anche il giudizio e l'inferno vanno insieme. Gli errori principali nell'escatologia sono pertanto radicati nella negazione del giudizio o nella negazione di conseguenze di un tale giudizio che siano diverse dal purgatorio o dalla ricompensa, ossia nella negazione dell'inferno. Nei termini dell'escatologia, il primo problema riguarda lo stato dei non battezzati al momento del giudizio.

Nonostante i battesimi di sangue e desiderio, l'insegnamento costante della Chiesa, derivante dalle parole che il Signore ha rivolto a Nicodemo: "In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio" (Giovanni 3, 5), è che non conosciamo il destino dei non battezzati dopo la morte. Sebbene in tali casi facciamo affidamento sulla misericordia di Dio, non possiamo affermare la salvezza per i non battezzati. Il secondo problema riguarda invece lo stato dei colpevoli al momento del giudizio. Anche supponendo che i cristiani e i non cristiani si presentino fianco a fianco dinnanzi al tribunale divino, non possiamo affermare il perdono per il peccatore impenitente. Ancora una volta ci affidiamo alla misericordia di Dio.


Sono tutti cristiani? Questo è importante?

Alcuni pensieri teologici attuali, indubbiamente influenzati dalle teorie politiche dell'uguaglianza e della democrazia, nonché da un'errata interpretazione di Dignitatis humanae, quando si tratta della salvezza desiderano una parità di risultato piuttosto che una parità di opportunità. Ossia: alcuni sono scontenti di trovare tutti gli uomini uguali davanti a Dio nella loro libertà umana; desiderano invece vedere tutti gli uomini uguali davanti a Dio nella giustificazione.

Tuttavia, negando le conseguenze della libertà umana di accettare il Salvatore e della collaborazione dell'uomo alla propria salvezza, essi negano gli effetti del battesimo e affermano che tutti gli uomini, battezzati e non, possono vedere realizzate le promesse fatte da Cristo ai battezzati. In altri termini, anche se qualcuno ha rifiutato Cristo nella propria vita, sarà con Lui nel regno di Dio. Sapendo che questi pensieri sono contrari alle Scritture e alla tradizione, si cerca di risolvere il problema dell'incorporazione in Cristo e nella Sua Chiesa in due modi distinti.

Il primo consiste nell'affermare che tutti gli esseri umani sono cristiani, sia che essi scelgano di esserlo, sia che non lo scelgano, sia che lo sappiano, sia che non lo sappiano. Il secondo modo consiste nel rigettare le esigenze del cristianesimo, ossia nell'affermare che esse valgono per gli uni ma non per gli altri, che vi sono altre vie di salvezza al di fuori di Cristo.

La nozione del "cristiano anonimo" è legata strettamente all'opera di Karl Rahner. In poche parole, Rahner ha esposto la tesi secondo cui alcuni uomini, che non sono stati battezzati e che non hanno vincolo o conoscenza alcuna del cristianesimo, in qualche modo sono cristiani anonimi. Poiché tutti gli uomini per loro natura sono ordinati a Dio e capaci di percepire la Sua grazia santificante che opera in loro, coloro che esistenzialmente accettano tale grazia manifestano il desiderio implicito di essere incorporati in Cristo e nella Sua Chiesa. Giacché vivono giustamente e secondo coscienza, essi sono, in effetti, cristiani e quindi uomini redenti. Sebbene Rahner abbia avuto l'accortezza di precisare che non tutti i non cristiani sono cristiani anonimi e che chiunque venga salvato, viene salvato attraverso il mistero pasquale di Cristo, in molte menti è sorto il concetto che ogni persona che sia fondamentalmente di buona volontà e orientata a Cristo venga salvata: in realtà tutti, nel profondo del proprio cuore, sarebbero cristiani.

Sebbene questo cristianesimo anonimo possa apparire confortante a taluni, altri, le cui riflessioni li hanno portati a considerare il cristianesimo anonimo indebitamente trionfalistico, in quanto presume di porre il cristianesimo al di sopra delle altre religioni , lo considerano un abominio. Fondamentalmente, le teorie del cristianesimo anonimo vogliono mantenere l'aspirazione della Chiesa, includendo nei suoi confini (in)visibili il maggior numero possibile di persone. Tuttavia, tra il cristianesimo implicito come cammino per la salvezza e le religioni non cristiane come cammino per la salvezza il passo è breve.

Perché Cristo dovrebbe essere l'unico mediatore della salvezza? Quando si tratta della salvezza, è importante essere o non essere cristiano? Non sorprende, quindi, scoprire che la breve distanza tra i due concetti viene superata da tutti coloro che vorrebbero rendere il cristianesimo una specie di primus inter pares tra le religioni, come ad esempio Jacques Dupuis .

Il libro di Dupuis ha già ricevuto grande attenzione da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede, e non ci soffermeremo qui su tale testo, soprattutto in considerazione del fatto che la dichiarazione Dominus Iesus della Congregazione ha già risposto alle difficoltà in questione .

In effetti, non tutti gli uomini sono - in modo implicito o esplicito - cristiani. E il cristianesimo, l'incorporazione in Cristo e nella Sua Chiesa attraverso il sacramento del battesimo, in ultimo e alla fine dei tempi, sarà importante. Pensarla diversamente significa sbagliare. Fino a che punto può arrivare un tale errore? Quanto profondamente può influire sullo sforzo missionario della Chiesa? Riflettiamo sulle osservazioni di un sacerdote missionario americano in Bangladesh sulle persone che egli serve: "Non m'interessa che diventino cristiani. Voglio che siano i migliori musulmani possibili".

Questo modo di pensare non può conciliarsi con il comandamento del Signore: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Matteo 28, 19-20)

Tutti vengono salvati?

Pur volendo ammettere, per amor di discussione, che tutti gli uomini, cristiani e non, sono giustificati, resterebbe sempre il problema dei reprobi.
Sebbene i diversi determinismi sembrerebbero escludere ogni colpevolezza, gli Stalin del secolo scorso e i Domiziani del primo secolo fanno esitare. Nondimeno, la teoria della salvezza universale, secondo cui tutti gli uomini alla fine godranno della visione beatifica, è certamente di moda. Tale nozione è radicata nel concetto di una apokatastasis pant*n (restaurazione di tutte le cose) alla fine dei tempi. Esso è stato introdotto come eresia da San Clemente d'Alessandria , e spesso si afferma che sia stato sostenuto da Origene. In breve, la teoria dell'apokatastasis afferma l'eventuale rinnovamento di tutte le persone e di tutte le cose in Cristo; anche gli angeli caduti saranno reintegrati e ovviamente l'inferno finirà. Per ovvie ragioni, l'apokatastasis è stata ampiamente criticata nella Chiesa primordiale .

Attualmente la nozione della salvezza universale è strettamente associata all'opera di Hans Urs von Balthasar, il cui universalismo continua a ispirare dibattiti.
Sebbene abbia prontamente distinto le sue riflessioni dall'apokatastasis, il modo di pensare di Balthasar è abbastanza simile.
Secondo lui, la misericordia di Dio ci obbliga a sperare che tutti siano salvati e che l'inferno sia riservato soltanto agli angeli caduti. Per quanto riguarda gli uomini, che sono diversi nell'ordine creato e incapaci di prendere le decisioni finali degli angeli, Balthasar sostiene la possibilità dell'inferno solo come teoria (che però deve essere conservata in quanto aiuta a motivare l'uomo al bene). Balthasar afferma: "L'amore misericordioso può quindi discendere su tutti. Riteniamo che lo faccia. E ora, possiamo assumere che vi siano anime che rimangono perpetuamente chiuse a tale amore? Si tratta di una possibilità che per principio non può essere respinta. Nella realtà essa può diventare infinitesimale - proprio per ciò che la grazia preparatoria può realizzare nell'anima". In altre parole, la grazia continua ad operare nell'anima, nella vita presente e futura, finché l'anima non si predispone alla redenzione.

Poiché non vi sono limiti alla misericordia e all'amore divini, non possono esservi limiti alla nostra speranza di redenzione per tutte le anime.
Secondo Balthasar, è nostro dovere mantenere la speranza teologica che nessun'anima sarà dannata.

In termini semplici, possiamo nutrire una speranza umana che tutte le anime siano salvate, ma la speranza teologica viene esclusa dalla rivelazione divina. Come ha domandato C. S. Lewis: "Sarei disposto a pagare qualsiasi cifra per poter dire sinceramente 'tutti saranno salvati'. Ma la mia ragione risponde 'per loro volontà o senza di essa?'. Se dico 'senza la loro volontà', scorgo subito una contraddizione: come può l'atto volontario supremo dell'arrendevolezza essere involontario? Se dico 'per loro volontà', la mia ragione risponde: 'in che modo, se non si arrendono?'" .

In sostanza, Balthasar afferma l'esistenza dell'inferno, ma nega che un uomo possa andarvi, affermando che una tale probabilità è infinitesimale
.

Ciò equivale a respingere la dottrina dell'inferno e a negare il libero arbitrio dell'uomo. Balthasar aggira la questione dell'esistenza dell'inferno lasciandovi gli angeli caduti. Per quanto riguarda invece l'arbitrio dell'uomo, egli affronta il problema parlando della contrapposizione della volontà divina che tutti siano salvati e il libero arbitrio dell'uomo, facendolo però in modo inadeguato.

Balthasar afferma: "La libertà dell'uomo non può essere infranta o neutralizzata dalla libertà divina, ma può benissimo essere, per così dire, superata in astuzia". Superata in astuzia? Per quanto tale affermazione possa essere intelligente, essa non è né esplicativa né illuminante. Sembrerebbe che il modo di intendere la misericordia e l'amore divini di Balthasar calpesti la giustizia divina e la libertà umana. Non ha senso parlare di libertà umana se il fine ultimo di ogni uomo è determinato in partenza , ma è quasi un inganno divino che gli uomini vengano manovrati abilmente nelle loro scelte più importanti (anche se attraverso una specie di perpetua purgazione divina).

Inoltre, la tesi di Balthasar ignora un'intuizione espressa in modo molto eloquente da John Henry Newman che, nel commentare la Lettera agli Ebrei 12, 14, ha affermato che "anche supponendo che si accettasse che un uomo che non abbia condotto una vita santa entri in cielo, egli non vi sarebbe felice; non sarebbe quindi un atto di misericordia permettergli di entrarvi".

La misericordia divina, per come ne parla Balthasar, sembra essere o un annullamento della libertà dell'uomo o un'inosservanza della sua volontà. Newman prosegue: "Oserei anche andare oltre - fa paura, ma è giusto dirlo - se volessimo immaginare una punizione per un'anima empia, reproba, forse non potremmo immaginarne una maggiore che chiamarla in cielo".

Di fatti, esiste un inferno - non solo per gli angeli caduti, ma anche per i peccatori impenitenti, cristiani e non, che prendono le loro decisioni in questa vita - e alcuni vi andranno. La parabola di Gesù su Lazzaro ed Epulone (Luca 16, 19-31) mette sufficientemente in guardia dalla possibilità di andare all'inferno e le osservazioni di Gesù sulla porta stretta (Matteo 7, 13-14) non fanno che accrescere tale possibilità.

Sebbene Balthasar e tutti coloro che sostengono la teoria della salvezza universale abbiano ragione quando affermano che la Chiesa non ha mai formalmente parlato di una persona che è all'inferno come invece fa delle singole persone in cielo di fronte al processo di canonizzazione, sostenere che all'inferno non vi sia nessuno è tutt'altra cosa. La "seconda morte" (Apocalisse 2, 11; 20, 6,14; 21, 8), è una possibilità reale. Come afferma il Santo Padre, "le parole di Cristo sono inequivocabili. Nel Vangelo di Matteo Egli parla chiaramente di coloro che andranno al supplizio eterno (cfr. Matteo 25, 46)".

Pensarla diversamente significa sbagliare.

Fino a che punto può arrivare un simile errore? Quanto profondamente può influire sul ministero pastorale della Chiesa? Si pensi alle omelie, ora molto comuni, che spesso vengono pronunciate ai funerali cristiani, secondo cui il defunto è passato direttamente da questo mondo a quello celeste, senza che venga fatta menzione del peccato, del giudizio particolare o dell'inferno, e nemmeno del purgatorio. Tale modo di pensare non può essere conciliato con le parole del Signore relative ai malvagi: "E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna" (Matteo 25, 46).



Conclusione.
 

L'ammonimento di nostro Signore, secondo cui quanti hanno fatto il bene avranno una risurrezione della vita e quanti hanno fatto il male avranno una risurrezione di condanna (Giovanni 5, 29) è un articolo della fede. Ci serve a ricordare che la nostra è una religione di rivelazione divina e non di razionalizzazione umana. Mentre noi potremmo avere difficoltà a conciliare la misericordia e la giustizia di Dio, per Lui non è così. Giacché la Chiesa è il "sacramento della salvezza", essa non può tirarsi indietro nella sua missione di salvare il mondo attraverso la proclamazione della verità su Gesù Cristo come Salvatore e Giudice dell'umanità, unico e universale.
 
Attualmente sono sorte numerose ambiguità circa la fine dei tempi, ma nessuna di queste è più pericolosa ed errata di quelle che negano la necessità del battesimo per la salvezza e affermano la salvezza di tutti. Tale negazione è deleteria per gli sforzi missionari della Chiesa; tale affermazione è deleteria per il ministero pastorale della Chiesa. Dobbiamo sempre ricordare che la fede in Cristo e il comportamento morale in questa vita sono vincolati inesorabilmente alla vita futura e all'eschaton. Dobbiamo sempre ricordare che ciò che crediamo e ciò che facciamo alla fine conterà. In caso contrario, rischiamo di diluire la fede in un pluralismo e una presunzione tali, da doverci far temere la peggior risposta possibile alla domanda del Signore in Luca 18, 8: "Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?".





Tratto da Clerus: Errori nell'escatologia contemporanea
Monsignor Michael F. Hull

In visita alla Parrocchia romana di Santa Felicita e figli, martiri, domenica 25 marzo 2007, V Domenica di Quaresima, il Santo Padre, Benedetto XVI, ha pronunciato una omelia nella quale ha detto:

«E' venuto Gesù per dirci che ci vuole tutti in Paradiso e che l'inferno, del quale poco si parla in questo nostro tempo, esiste ed è eterno per quanti chiudono il cuore al suo amore».

L'inferno dunque esiste ed è eterno.

Ricordiamoci anche che l'inferno:

  • non è affatto vuoto (Gesù ha insegnato che «LARGA è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e MOLTI sono quelli che entrano per essa; QUANTO STRETTA invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e QUANTO POCHI sono quelli che la trovano!», Mt 7,13-14)

  • è un castigo («Serpenti, razza di vipere, come potrete scampare dalla CONDANNA della Geenna?», Mt 23,33; «Il Signore sa... serbare gli empi per il CASTIGO nel giorno del giudizio, soprattutto coloro che nelle loro impure passioni vanno dietro alla carne e disprezzano il Signore», 2Pt 2,9-10)

  • ed è subìto («Molti mi diranno in quel giorno: "Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome?". Io però dichiarerò loro: "Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità"», Mt 7,22-23; «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, CERCHERANNO di entrarvi, ma non ci riusciranno», Luca 13,24)

Dal Catechismo della Dottrina cristiana di san Pio X:

16. I cattivi che non servono Dio e muoiono in peccato mortale, che cosa meritano?

I cattivi che non servono Dio e muoiono in peccato mortale meritano l'inferno.

17. Che cos'è l'inferno?

L'inferno è il patimento eterno della privazione di Dio, nostra felicità, e del fuoco, con ogni altro male senza alcun bene.

18. Perché Dio premia i buoni e castiga i cattivi?

Dio premia i buoni e castiga i cattivi, perché è la giustizia infinita.

99. Dopo il giudizio particolare, che avviene dell'anima?

Dopo il giudizio particolare, l'anima, se è senza peccato e senza debito di pena, va in paradiso; se ha qualche peccato veniale o qualche debito di pena, va in purgatorio finchè abbia soddisfatto; se è in peccato mortale, qual ribelle inconvertibile a Dio va all'inferno.

103. E' certo che esistono il paradiso e l'inferno?

E' certo che esistono il paradiso e l'inferno: lo ha rivelato Dio; spesse volte promettendo ai buoni l'eterna vita, e il suo stesso gaudio, e minacciando ai cattivi la perdizione e il fuoco eterno.

104. Quanto dureranno il paradiso e l'inferno?

Il paradiso e l'inferno dureranno eternamente.

144. Perchè il peccato grave si chiama mortale?

Il peccato grave si chiama mortale, perchè priva l'anima della grazia divina che è la sua vita, le toglie i meriti e la capacità di farsene de' nuovi, e la rende degna di pena o morte eterna nell'inferno.

167. Chi trasgredisce i comandamenti di Dio, pecca gravemente?

Chi deliberatamente trasgredisce anche un solo comandamento di Dio in materia grave, pecca gravemente contro Dio, e perciò merita l'inferno.


Caterina63
00martedì 8 settembre 2009 13:44
Nel clima generale del 1962, che si era impadronito delle tesi di Geiselmann nella forma sopra descritta, mi fu impossibile far comprendere questa mia prospettiva, che avevo acquisito dallo studio delle fonti e rispetto alla quale, del resto, già nel 1956, non ero stato capito. La mia posizione venne semplicemente annoverata nell’opposizione generale allo schema ufficiale e valutata come un’altra voce in direzione di Geiselmann.

Per desiderio del cardinale Frings, misi allora per iscritto un piccolo schema, in cui cercavo di esprimere la mia prospettiva; alla sua presenza, potei quindi leggere quel testo a un gran numero di influenti cardinali, che lo trovarono interessante, ma sul momento non vollero, né potevano esprimere alcun giudizio in proposito.

Ora, quel piccolo saggio era stato scritto in gran fretta e non poteva nemmeno lontanamente competere per solidità e precisione con lo schema ufficiale, che aveva avuto origine in un lungo processo di elaborazione ed era passato attraverso molte revisioni di studiosi competenti. Era chiaro che il testo doveva essere ulteriormente elaborato e approfondito.

Un simile lavoro richiedeva l’intervento anche di altre persone. Fu dunque stabilito che io redigessi insieme con Karl Rahner, una seconda redazione, più approfondita.

Questo secondo testo, che va ascritto molto più a Rahner che a me, fu poi fatto circolare tra i Padri e suscitò in parte delle aspre reazioni. Lavorando insieme con lui, mi resi conto che Rahner e io, benché ci trovassimo d’accordo su molti punti e in molte aspirazioni, dal punto di vista teologico vivevamo su due pianeti diversi. Anch’egli, come me, era impegnato a favore di una riforma liturgica, di una nuova collocazione dell’esegesi nella Chiesa e nella teologia e di molte altre cose, ma le sue motivazioni erano parecchio diverse dalle mie. La sua teologia – malgrado le letture patristiche dei suoi primi anni – era totalmente caratterizzata dalla tradizione della scolastica suareziana e dalla sua nuova versione alla luce dell’idealismo tedesco e di Heidegger. Era una teologia speculativa e filosofica in cui, alla fin fine, la Scrittura e i Padri non avevano una parte tanto importante, in cui, soprattutto la dimensione storica era di scarsa importanza.

Io, al contrario, proprio per la mia formazione, ero stato segnato soprattutto dalla Scrittura e dai Padri, da un pensiero essenzialmente storico: in quei giorni ebbi la chiara percezione di quale fosse la differenza tra la scuola di Monaco, da cui io ero passato, e quella di Rahner, anche se dovette passare ancora qualche tempo prima che la distanza che separava le nostre strade fosse pienamente visibile all’esterno.

Ora era chiaro che lo schema di Rahner non poteva essere accolto, ma anche il testo ufficiale andò incontro alla bocciatura con un’esigua differenza di voti. Si dovette quindi procedere al rifacimento del testo. Dopo complesse discussioni, solo nell’ultima fase dei lavori conciliari si potè arrivare all’approvazione della Costituzione sulla parola di Dio, uno dei testi di spicco del Concilio, che peraltro non è stato ancora recepito appieno.

All’inizio si impose in pratica solo quello che era passato come la presunta novità nel modo di pensare questi argomenti da parte dei Padri. Il compito di comunicare le reali affermazioni del Concilio alla coscienza ecclesiale e di plasmarla a partire da queste ultime è ancora da realizzare.

da Joseph Ratzinger "La mia vita: ricordi, 1927-1977", Edizioni San Paolo, 1997.





Leggere anche qui

J.Ratzinger, Benedetto XVI, spiega il Concilio Vaticano II



Caterina63
00martedì 8 settembre 2009 16:07
“La Civiltà Cattolica” corregge.

L’inferno non è vuoto, è solo poco affollato



In un articolo intitolato “L’inferno vuoto”, il gesuita Giandomenico Mucci smonta la tesi secondo la quale “l’inferno c’è ma è vuoto”. E lo fa sull’ultimo numero della “Civiltà Cattolica”, quindi con l’imprimatur della segreteria di stato vaticana che esamina e autorizza prima della stampa ogni articolo della rivista.

La formula “l’inferno c’è ma è vuoto” è un luogo comune il cui moderno rilancio viene generalmente attribuito al teologo svizzero Hans Urs von Balthasar, promosso cardinale alla fine della sua vita. Ma c’è chi sostiene che anche Benedetto XVI velatamente approvi tale formula nella sua enciclica “Spe salvi“.

Mucci spiega che tutto ciò nasce per von Balthasar da un equivoco e per Benedetto XVI da un’imperfetta traduzione.

Quanto al caso von Balthasar, Mucci scrive:

«L’equivoco nacque, o fu fatto nascere, nel 1984 dopo un convegno romano sulla figura e sul pensiero di Adrienne von Speyr, durante il quale il teologo svizzero riprese la sua riflessione escatologica che già nel 1981 aveva suscitato aspre critiche nell’area teologica di lingua tedesca e ancora nel 1987 costringeva il suo autore a difenderla. La tesi di von Balthasar afferma che sperare la salvezza eterna di tutti gli uomini non è contrario alla fede. Essa si avvale dell’autorità di alcuni Padri della Chiesa, tra i quali Origene e Gregorio Nisseno, ed è condivisa da non pochi teologi contemporanei, tra i quali Guardini e Daniélou, de Lubac, Ratzinger e Kasper, e da scrittori cattolici come Claudel, Marcel e Bloy. Ai suoi critici von Balthasar replicava: “La soluzione da me proposta, secondo la quale Dio non condanna alcuno, ma è l’uomo, che si rifiuta in maniera definitiva all’amore, a condannare se stesso, non fu affatto presa in considerazione. Avevo anche rilevato che la Sacra Scrittura, accanto a tante minacce, contiene pure molte parole di speranza per tutti e che, se noi trasformiamo le prime in fatti oggettivi, le seconde perdono ogni senso e ogni forza: ma neppure di questo si è tenuto conto nella polemica. Invece sono state ripetutamente travisate le mie parole nel senso che chi spera la salvezza per tutti i suoi fratelli e tutte le sue sorelle, ’spera l’inferno vuoto’ (che razza di espressione!). Oppure nel senso che chi manifesta una simile speranza insegna la ‘redenzione di tutti’ (apokatastasis) condannata dalla Chiesa, cosa che io ho espressamente respinto. Noi stiamo pienamente sotto il giudizio e non abbiamo alcun diritto e alcuna possibilità di conoscere in anticipo la sentenza del giudice. Com’è possibile identificare speranza e conoscenza? Ad esempio, spero che il mio amico guarirà dalla sua grave malattia, ma per questo forse lo so?”».

Quanto a Benedetto XVI, nel finale dell’articolo padre Mucci riporta le parole della “Spe salvi” che fanno pensare che anche il papa sostenga la tesi dell’inferno vuoto. E addebita il malinteso all’imperfetta traduzione italiana del testo ufficiale latino dell’enciclica.

Il passaggio cruciale della “Spe salvi”, ai paragrafi 45 e 46, è il seguente:

“Possono esserci persone che hanno distrutto totalmente in se stesse il desiderio della verità e la disponibilità all’amore. Persone in cui tutto è diventato menzogna; persone che hanno vissuto per l’odio e hanno calpestato in se stesse l’amore. È questa una prospettiva terribile, ma alcune figure della stessa nostra storia lasciano discernere in modo spaventoso profili di tal genere. In simili individui non ci sarebbe più niente di rimediabile e la distruzione del bene sarebbe irrevocabile: è questo che si indica con la parola ‘inferno’. Dall’altra parte possono esserci persone purissime, che si sono lasciate interamente penetrare da Dio e di conseguenza sono totalmente aperte al prossimo – persone, delle quali la comunione con Dio orienta già fin d’ora l’intero essere e il cui andare verso Dio conduce solo a compimento ciò che ormai sono. Secondo le nostre esperienze, tuttavia, né l’uno né l’altro è il caso normale dell’esistenza umana. Nella gran parte degli uomini – così possiamo supporre – rimane presente nel più profondo della loro essenza un’ultima apertura interiore per la verità, per l’amore, per Dio…”.

Mucci fa notare che, nel testo ufficiale latino, questo passo dell’enciclica comincia con le parole “Sunt quidam…”. Per cui la traduzione corretta non sarebbe l’ipotetico “Possono esserci…”, ma un più assertivo “Vi sono…”.

Ciò non toglie che il pensiero di Benedetto XVI è nella sostanza chiarissimo e pieno di speranza. Il papa pensa a un inferno comunque poco affollato.

E a un paradiso dove “la gran parte degli uomini” alla fine arriveranno, sia pure quasi tutti passando per il fuoco purificatore del purgatorio.

Trovi in questa pagina di
www.chiesa l’articolo integrale di padre Mucci: “L’inferno vuoto“.
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2008/05/04/la-civilta-cattolica-corregge-la-traduzione-della-spe-salvi-linferno-non-e-vuoto-e-solo-poco-affollato/





Caterina63
00martedì 8 settembre 2009 16:16

L'inferno vuoto

Da "La Civiltà Cattolica", n. 3788 del 19 aprile 2008

di Giandomenico Mucci S.I.



L'uomo non può rinunciare a porsi, almeno una volta nella vita, la domanda sul perché dell'esistenza e a tentare una risposta, per chiarire e giustificare a se stesso il valore dell'esistenza. E una esigenza connaturata alla natura pensante dell'uomo. Sulla grande stampa italiana domina la risposta atea o agnostica. Scrittori e giornalisti, toccando o sfiorando i mille problemi di vario genere legati a quella domanda, suonano, un giorno sì un giorno no, la stessa musica. Non sarebbe possibile penetrare o eludere l'imperscrutabile decreto del Fato che ha posto l'uomo sulla terra per vivere, soffrire e morire, senza poter sperare in spazi più alti. L'impotenza paralizzerebbe l'uomo quando pretendesse di squarciare il mistero di quel decreto. Unico conforto è la vita stessa nella sua preziosa fragilità e con le cose belle che produce. Roberto Gervaso consiglia anche la lettura di Zenone, Seneca, Marco Aurelio e Montaigne (1). Figurarsi!

La risposta agnostica, sebbene molto pubblicizzata, è lungi dal convincere tutti. E di moda, da parte laicista, ironizzare sul «ritorno delle religioni», ma non pochi osservatori, anche non credenti, ne accettano il fatto. Più seria è l'obiezione che nasce da quella che Gian Enrico Rusconi chiama la «de-teologizzazione dell'atteggiamento religioso» (2). Essa constata o contesta alla Chiesa il cambiamento che si pretende sia avvenuto nel suo discorso pubblico: non più l'insistenza sui riferimenti dogmatici, ma la rivendicazione del monopolio dell'etica. I dogmi del peccato originale, della redenzione, della salvezza sarebbero oggi taciuti o proposti senza la forza di un tempo e, comunque, non costituirebbero più l'ossatura della dottrina morale della Chiesa. La dottrina millenaria della natura decaduta con il peccato sarebbe ormai divenuta obsoleta e sostituita da una sorta di «bio-teologismo» impegnato a risacralizzare la natura avversando le scienze biologiche e le teorie dell'evoluzione.

Che in taluni settori della Chiesa si ecceda forse con le tematiche sociali ed etico-pragmatiche è un fatto noto anche agli analisti cattolici. Già parecchi anni or sono, un fine letterato, Italo Alighiero Chiusano, metteva in luce la sproporzione tra l'impegno sociale e la predicazione delle verità della fede (3). Ma qui valga soltanto aver accennato a questi problemi. Ci interessa ora quell'altro fenomeno di de-teologizzazione, portato avanti dagli scrittori atei e agnostici, che consiste principalmente nel parlare con disinvolta ignoranza di argomenti capitali della dottrina cristiana, non nel senso con cui li intende la Chiesa, ma nell'ottica dell'immanenza laicista. Il risultato è il ridicolo gettato a piene mani su ciò che o non si conosce nei suoi veri termini o si stravolge per confondere i cattolici. La formuletta dell'«inferno vuoto» è uno di questi casi più frequenti. Usata da quegli scrittori, la formuletta significa che la Chiesa contemporanea ha mutato la sua fede nell'inferno che prima era «pieno», mentre ora è «vuoto». Si risente in questi autori l'eco del sarcasmo di Voltaire che, in una pagina antisemita, giudicava la dottrina cattolica dell'inferno cosa da domestiche e da sarti (4). Perché, si sa, «il più comune rimprovero che si fa oggidì alla religione si è che essa conduca a sentimenti bassi, volgari» (5). Vorremmo mostrare a eventuali cattolici disorientati che le cose non stanno così.

L'equivoco

È diventato un luogo comune in Italia citare Hans Urs von Balthasar come il teologo che ha detto che l'inferno esiste, ma è vuoto. L'equivoco nacque, o fu fatto nascere, nel 1984 dopo il Convegno romano sulla figura e sul pensiero di Adrienne von Speyr, durante il quale il teologo svizzero riprese la sua riflessione escatologica che già nel 1981 aveva suscitato aspre critiche nell'area teologica di lingua tedesca e ancora nel 1987 costringeva il suo autore a difenderla (6). La tesi di von Balthasar afferma che sperare la salvezza eterna di tutti gli uomini non è contrario alla fede. Essa si avvale dell'autorità di alcuni Padri della Chiesa, tra i quali Origene e Gregorio Nisseno, ed è condivisa da non pochi teologi contemporanei, tra i quali Guardini e Daniélou, de Lubac, Ratzinger e Kasper, e da scrittori cattolici come Claudel, Marcel e Bloy.

Ai suoi critici von Balthasar replicava: «La soluzione da me proposta, secondo la quale Dio non condanna alcuno, ma è l'uomo, che si rifiuta in maniera definitiva all'amore, a condannare se stesso, non fu affatto presa in considerazione. Avevo anche rilevato che la Sacra Scrittura, accanto a tante minacce, contiene pure molte parole di speranza per tutti e che, se noi trasformiamo le prime in fatti oggettivi, le seconde perdono ogni senso e ogni forza: ma neppure di questo si è tenuto conto nella polemica. Invece sono state ripetutamente travisate le mie parole nel senso che, chi spera la salvezza per tutti i suoi fratelli e tutte le sue sorelle, "spera l'inferno vuoto" (che razza di espressione!). Oppure nel senso che chi manifesta una simile speranza, insegna la "redenzione di tutti" (apokatastasis) condannata dalla Chiesa, cosa che io ho espressamente respinto: noi stiamo pienamente sotto il giudizio e non abbiamo alcun diritto e alcuna possibilità di conoscere in anticipo la sentenza del giudice. Com'è possibile identificare speranza e conoscenza? Spero che il mio amico guarirà dalla sua grave malattia - ma per questo forse lo so?» (7). Basti questo testo a quanti ripetono per abitudine la formuletta dell'«inferno vuoto» della quale sono responsabili le «fin troppo grossolane deformazioni sui giornali» (8).

Chiesa e teologi

Chi conosce la dottrina della Chiesa sa bene che essa si distingue dalle interpretazioni dei teologi. Soltanto la dottrina fa parte, a vario titolo, del Magistero della Chiesa. La Commediaè Dante. Altra cosa sono i commenti dei dantisti. «Il popolo cristiano crede per buone ragioni, ma lascia ai teologi la cura di dimostrare che quelle ragioni sono buone», disse il card. Dechamps, arcivescovo di Malines, durante la celebrazione del Concilio Vaticano I. Gli scrittori laici e i giornalisti non sono abituati a queste distinzioni e fors'anche le giudicano furbeschi cavilli ecclesiastici. Questo può spiegare la disavventura capitata al pensiero di von Balthasar, l'invenzione giornalistica della formuletta a lui attribuita, il nessun valore di ciò che significa. Quegli scrittori poi mostrano un interesse morboso per l'inferno, o sia per paure inconsce non del tutto sopite o sia perché considerano l'inferno (peraltro banalizzato dal linguaggio corrente) come argomento fertile per deridere la fede della Chiesa. Essi ignorano che questa fede guarda escatologicamente al fine ultimo salvifico della vita cristiana, alla realtà positiva che è il Signore, e medita l'inferno soltanto come «il retro della medaglia», la sorte di chi in terra manca il fine ultimo (9).

Il Magistero della Chiesa sull'inferno insegna tre cose. La prima: esiste dopo la morte terrena uno stato, non un luogo, che spetta a chi è morto nel peccato grave e ha perduto la grazia santificante con un atto personale. E la cosiddetta retribuzione dell'empio. La seconda: questo stato comporta la privazione dolorosa della visione di Dio (pena dal danno). La terza: in questo stato c'è un elemento che, con espressione neotest amentaria, è descritto come «fuoco» (pena del senso). Le due pene, e quindi anche l'inferno, sono eterne. Il lettore che vorrà conoscere la secolare documentazione dogmatica potrà consultare un qualsiasi trattato teologico di escatologia (10).

Esistono i dannati?

Per comprendere in qualche modo l'inferno bisognerebbe penetrare il senso e la gravità del peccato mortale. E il peccato è un mistero come la sua sanzione. E il mistero di una creatura che rigetta la fonte e il fine del suo essere. L'agonia spirituale dell'inferno è il termine orribile delle tendenze peccatrici maturate dall'anima lungo la vita terrena, volontariamente sviluppate e non approdate a una sincera conversione. Ciò significa che il peccatore si è egoisticamente preferito a Dio, e Dio ha ratificato la libera volontà del dannato. Sotto un certo aspetto, l'inferno è il peccatore riuscito, il peccatore che è riuscito a fare perfettamente ciò che ha voluto e iniziato a fare sulla terra. Perciò l'inferno è opera dell'uomo del quale Dio rispetta la volontà. L'uomo ottiene nell'inferno ciò che ha voluto ottenere (11).

Tutto questo si oppone alla bontà divina? «La concreta possibilità della dannazione è necessaria, se si vuol continuare ad ammettere la libertà creata nella sua vera essenza. La libertà dell'uomo non può ridursi alla possibilità di scegliere tra un luogo e l'altro di villeggiatura o tra una cravatta a righe e una cravatta a pois; e neppure di scegliere la moglie o il partito politico: la nostra libertà, nel suo significato più profondo, è la spaventosa e stupenda prerogativa di poter costruire il nostro destino eterno. Per non essere puramente nominale, questa prerogativa deve necessariamente includere la reale e concreta possibilità di decidere per la perdizione. Come si vede, il mistero della dannazione è essenzialmente connesso col mistero della libertà, che è forse l'unico vero mistero dell'universo creato» (12).

Sono due, dunque, i punti fermi. Esiste la possibilità di un fallimento eterno se l'uomo rifiuta la salvezza offertagli da Dio. E un pericolo contro il quale la Scrittura e la Tradizione della Chiesa, fino ai nostri tempi, ci mettono in guardia affinché non alimentiamo certezze assolute. Si deve alimentare la speranza nella salvezza di tutti gli uomini per la misericordia di Dio e il sacrificio di Cristo. Ma «la speranza è ben diversa dalla sicurezza» (13).

Esistono i dannati? Si è mai dannato qualcuno?

Per quanto riguarda gli uomini, non ci sono argomenti incontrovertibili per affermarlo. Il dogma cristiano ci impegna a credere che l'inferno è lo stato eterno di chi lascia questa vita in peccato mortale, ma non ci impegna a credere che qualcuno sia morto, o muoia, in peccato mortale. Perciò, educata dalla Scrittura (1 Tim 2,4; 2 Pt 3,9), la Chiesa non cessa di pregare affinché tutti gli uomini si salvino. Né sono pochi i cristiani che sanno bene che la salvezza è condizionata alla libera cooperazione dell'uomo con la grazia e tuttavia sperano nella potenza del sacrificio della Croce. Ma neppure esistono argomenti per affermare o presumere che nessuno mai si dannerà (14). Chiunque può vedere, alla luce di quanto siamo venuti dicendo, come sia perfettamente ortodosso il pensiero di von Balthasar su questa materia e quanto fuorviante, e sostanzialmente erronea, la formuletta dell'«inferno vuoto».

Un teologo speciale

Nel 1977, l'anno stesso nel quale fu elevato all'episcopato, l'allora card. J. Ratzinger pubblicava un compendio di escatologia che «è, assieme all'ecclesiologia, il trattato che ho esposto più frequentemente nelle mie lezioni» (15). Le quattro pagine dedicate all'inferno formano una bella sintesi dei due temi principali che esauriscono, per così dire, la comprensione della materia: l'inferno nella sua relazione con la libertà umana e con la speranza cristiana.

«Che cosa rimane dunque? In primo luogo la costatazione dell'assoluto rispetto che Dio mostra di avere per la libertà della sua creatura. L'amore è un dono che l'uomo riceve; è la conseguente trasformazione di ogni sua miseria, di ogni sua insufficienza; neppure il "sì" a tale amore scaturisce dall'uomo stesso, ma è provocato dalla forza di questo amore. Ma la libertà di rifiutarsi alla maturazione di questo "sì", di non accettarlo come qualcosa di proprio, questa libertà rimane. [...]. [Dio] non tratta gli uomini come esseri minorenni, i quali, in fondo, non possano essere ritenuti responsabili del proprio destino, bensì il suo cielo si fonda sulla libertà che lascia anche al perduto il diritto di volere lui stesso la propria perdizione. La particolarità del cristianesimo emerge qui nella affermazione della grandezza dell'uomo: la sua vita è un caso di estrema serietà [...]» (16). Contro la «terrificante realtà dell'inferno» c'è solamente «la speranza che può nascere soltanto nel condividere la sofferenza di quella notte con Colui che è venuto a trasformare con la sua sofferenza la notte di tutti noi» (17).

Trent'anni dopo, l'Autore di queste pagine, divenuto Benedetto XVI, ha ripreso il grave problema con accorata sensibilità pastorale nella enciclica Spe salvi. Sensibilità pastorale e disincantato realismo. «Possono esserci [ma il testo latino recita: Sunt quidam] persone che hanno distrutto totalmente in se stesse il desiderio della verità e la disponibilità all'amore. Persone in cui tutto è divenuto menzogna; persone che hanno vissuto per l'odio e hanno calpestato in se stesse l'amore. E questa una prospettiva terribile, ma alcune figure della stessa nostra storia lasciano discernere in modo spaventoso profili di tal genere. In simili individui non ci sarebbe più niente di rimediabile [ma il testo latino recita: nihil sanabile invenias]e la distruzione del bene sarebbe irrevocabile: è questo che si indica con la parola inferno» (18).

Ma forse non è questo «il caso normale dell'esistenza umana. Nella gran parte degli uomini - così possiamo supporre rimane presente nel più profondo della loro essenza un'ultima apertura interiore per la verità, per l'amore, per Dio. Nelle concrete scelte di vita, però, essa è ricoperta da sempre nuovi compromessi col male - molta sporcizia copre la purezza, di cui, tuttavia, è rimasta la sete e che, ciononostante, riemerge sempre di nuovo da tutta la bassezza e rimane presente nell'anima» (19). «Il nostro modo di vivere non è irrilevante, ma la nostra sporcizia non ci macchia eternamente, se almeno siamo rimasti protesi verso Cristo, verso la verità e verso l'amore» (20). Riecheggia in questi testi l'avvertimento della Chiesa a non dimenticare la possibilità dell'esito fallimentare di una vita centrata sul peccato. E vi riecheggia, con la fede nella misericordia salvatrice, la speranza che ad essa tutti possano un giorno accedere. Quia pius es.


NOTE


1) Cfr R. GERVASO, «Per chi suona la campana?», in Il Messaggero, 19 gennaio 2007, 8.

2) G. E. RUSCONI, «Se tra cattolici e laici il dialogo è una finzione», in la Repubblica, 7 dicembre 2007, 46.

3) Cfr I. A. CHIUSANO, «Un incontro con i "Novissimi"», in Oss. Rom., 15 luglio 1993, 3.

4) Cfr VOLTAIRE, «Inferno», in Id., Dizionario filosofico, vol. I, Milano, Bur, 19913, 281.

5) A. MANZONI, «Osservazioni sulla morale cattolica», II, 2, in ID., Tutte le Opere, vol. II, Firenze, Sansoni, 1973, 1.481.

6) Nel 1981 e nel 1987, l'autore pubblicò due volumetti sulla sua opinione e la disputa che ne seguì. Ultima edizione italiana: H. U. VON BALITIASAR, Sperare per tutti. Breve discorso sull'inferno, Milano, Jaca Book, 1997. Cfr M. PARADISO, «Von Balthasar e l'inferno», in Avvenire, 22 novembre 1995, 24.

7) H. U. VON BALTHASAR, Sperare per tutti. Breve discorso sull'inferno, cit., 123.

8) Ivi, 14.

9) Cfr A. RUDONI, Escatologia, Torino, Marietti, 1972, 9, nota 1.

10) Cfr C. POZO, Teologia dell'aldilà, Roma, Ed. Paoline, 19722, 255-260.

11) Cfr R. W. GLEASON, Le monde à venir. Théologie des fins dernières, Paris, Lethielleux, 1960, 130-144.

12) G. BIFFI, Linee di escatologia cristiana, Milano, Jaca Book, 1984, 67 s.

13) E-J. NOCKE, Escatologia, Brescia, Queriniana, 1984, 143.

14) Cfr A. RUDONI, Escatologia, cit., 170 s; G. BIFFI, Linee di escatologia cristiana, cit., 68.

15) J. RATZINGER, Escatologia. Morte e vita eterna, Assisi (Pg), Cittadella, 20054, 21.

16) Ivi, 225 s.

17) Ivi, 227.

18) BENEDETTO XVI, «Lettera enciclica Spe salvi», n. 45, in Civ. Catt. 2007 IV 588 s.

19) Ivi, n. 46, p. 589.

20) Ivi, n. 47, p. 590.

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> La Civiltà Cattolica



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P.S.

1Giovanni 5,16-17
16 Se uno vede il proprio fratello commettere un peccato che non conduce alla morte, preghi, e Dio gli darà la vita; s'intende a coloro che commettono un peccato che non conduce alla morte: c'è infatti un peccato che conduce alla morte; per questo dico di non pregare. 17 Ogni iniquità è peccato, ma c'è il peccato che non conduce alla morte.



e ancora il famoso peccato contro lo Spirito Santo....

Marco 3,29
ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna».

Luca 12,10
Chiunque parlerà contro il Figlio dell'uomo gli sarà perdonato, ma chi bestemmierà lo Spirito Santo non gli sarà perdonato.




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4.5.2008
 
Caterina63
00giovedì 1 ottobre 2009 12:00
Karl Rahner, un cristianesimo senza radici
 
di Fr Giovanni Cavalcoli, op

Un noto teologo odierno ci chiarisce gli errori fondamentali di uno dei maggiori esponenti di quella teologia eversiva che nel XX secolo ha afflitto la Chiesa al suo interno, e le cui nefaste influenze sono dinanzi agli occhi di tutti noi cattolici.


[Da «Radici Cristiane n. 47, Agosto-Settembre 2009]

Sappiamo come di recente il Papa, parlando dell'interpretazione degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, ha rilevato l'esistenza di un' “ermeneutica della rottura", da lui giudicata fuorviante, e l'ha contrapposta all'ermeneutica giusta che ha chiamato "della continuità".

Il teologo gesuita Karl Rahner (1904-1984), secondo quanto sta apparendo con sempre maggiore chiarezza da uno studio critico di molte delle sue opere condotto ormai da decenni, è forse l'esponente maggiore di tale ermeneutica della rottura, che da quarantenni ha attirato e continua ad attrarre schiere di teologi e pastori in tutto il mondo.

L'ermeneutica della rottura è una caratteristica di gran parte della teologia di Rahner, una teologia che enfatizza il nuovo, il moderno assolutizzato, fine a se stesso e senza discernimento, in modo tale da portarlo a una rottura con quel passato nel quale si trovano quelle radici cristiane, dalle quali soltanto può sorgere una sana modernità, che non può essere sana se non in continuità con quelle radici, che contengono valori divini, perenni e immortali.

La modernità secondo Rahner

Rahner ha avuto la buona idea di cercare di ammodernare il cristianesimo, di creare un dialogo del cristianesimo con la modernità. Ma ha sbagliato nel concepire il moderno. È rimasto vittima del mito idealista tedesco della "filosofia moderna". Non è sbagliato di per se aspirare a una filosofia moderna, apprezzare una filosofia moderna, perché si suppone che sia meglio informata, più sapiente, più solida e più intelligente dell'antica. Esiste un tomismo moderno certo migliore di quello del Sei o Settecento.

L'errore di Rahner è stato quello di optare per una filosofia "moderna", la quale è stata sì moderna nel senso temporale, ma non nel senso qualitativo. Che cosa conta che una filosofia sia temporalmente moderna se poi di fatto ricade in antichi errori pagani, che già erano stati corretti dalla filosofia cristiana medievale, autrice delle radici cristiane dell'Europa? Che "moderno" è quel moderno che distrugge un passato, quale quello delle radici cristiane dell'Europa, legato all'immutabilità della parola di Dio, quella parola della quale Cristo ha detto: «Cielo e terra passeranno, ma le mie parole non passeranno?».

Rahner ha concepito il progresso come rottura, come contraddizione col passalo di una tradizione cristiana sacra e perenne, quella che appunto si chiama sacra Tradizione, sorgente della divina rivelazione insieme con la Sacra Scrittura, come da sempre insegna la Chiesa Cattolica. Questa rottura è nata dal fatto che Rahner non si è accorto della perenne validità di tale Tradizione, come condizione di vero progresso.

Da che cosa sorge, da quali radici sorge la modernità rahneriana? Da un idealismo come quello che - per sua espressa dichiarazione - trae origine da Cartesio, passa per Kant. Fichte. Schelling ed Hegel e giunge ad Heidegger. Ma la tanto declamata novità cartesiana, come dimostrano gli storici del pensiero, in realtà riprende le fila dell'antico pensiero greco presocratico dei parmenidei, degli eraclitei, dei sofisti e degli scettici. Anche la continuità non è un valore, se è la continuità di un vizio perenne della ragione, come quello che si trascina da Protagora ad Heidegger.

Continuità ed evoluzione

Rahner non ha capito qual è la legge dell'evoluzione dogmatica. La vera evoluzione non è rottura, ma esplicitazione nella continuità. Non suppone l'equivocità, ma la continuità analogica. Il dogma di Calcedonia contiene la stessa verità della cristologia del Vaticano II, solo che nel corso di quattordici secoli la Chiesa ha conosciuto meglio (e come diversamente avrebbe dovuto accadere?) quel medesimo mistero di Cristo che già è immutabilmente e definitivamente enunciato dal dogma calcedonese.

Rahner ha inteso gli insegnamenti del Concilio come rottura con la Tradizione. Egli distrugge la Tradizione e quindi non opera in nome di una sana modernità, ma di un rinnovato modernismo peggiore di quello dei tempi di san Pio X.

Per Rahner la verità cristiana comincia col Vaticano II da lui interpretato peraltro in modo modernistico. Prima c'è la barbarie, il vuoto, il nulla. Nessuna radice. Nessuna sorgente, nessuna base o nessun principio. Ma tutto comincia con Cartesio per finire con Heidegger. L'idealismo tedesco poi si sposa in Rahner con l'influsso luterano.

Tuttavia uno potrebbe obbiettare: ma in fin dei conti, anche Rahner ha rispetto per il passato e per la Tradizione, giacché anch'egli, almeno a quanto pare, basa la tua teologia sulla Sacra Scrittura e sulla storia del Cristianesimo e della teologia cattolica.

Sì, ma con quale impostazione? Non con l'impostazione del vero cattolico, il quale accoglie docilmente e fiduciosamente tutti i pronunciamenti dottrinali o dogmatici del Magistero della Chiesa e dei concili ecumenici, quali pepite d'oro che appaiono via via nel fiume della storia, ma con l'atteggiamento tipicamente luterano del "libero esame" (con la scusa dell' "esegesi storico-critica''), che di volta in volta, con diversi pretesti, si permette di stabilire in questo preziosissimo e ricchissimo patrimonio della Tradizione, quello che gli garba o non gli garba alla luce di quella che egli chiama "filosofia moderna".

Qual è il risultato? Un puro e semplice gnosticismo (come rivelano chiaramente gli studi di don Ennio Innocenti), come è stato quello dell'idealismo tedesco fino ad Heidegger.

Dove va finire la fede? Non e più virtù teologale soprannaturale con la quale si accoglie per vero quanto Dio ha rivelato e la Chiesa ci propone a credere, ma la famosa «esperienza trascendentale aprioristica ed atematica», ispirata all'ermetismo, alla teosofia, a Schleiermacher e ad Heidegger. Insomma, un rinnovato gnosticismo, col quale Rahner crede di conoscere Dio e Cristo meglio di quanto gli insegna la Chiesa Cattolica.

Rahner non è capace di unire l'immutabile col mutevole sul piano dei concetti. Immutabile e universale è soltanto l’ “esperienza trascendentale", ma essa è ineffabile ("Mistero assoluto") e non concettualizzabile; viceversa il concetto (il "categoriale"), anche quello dogmatico, è privo di universalità e immutabilità. Ne viene la conseguenza incresciosa che la verità teologica esiste, ma è inesprimibile; mentre ciò che può essere espresso appartiene solo al campo del particolare, del mutevole e dell'incerto.

Divinizzazione dell’uomo

L'etica rahneriana. come sempre avviene, è conseguenza logica dei suoi princìpi metafisici, gnoseologici e antropologici. La base fondamentale di tutto, come fu acutamente denunciato a suo tempo da Cornelio Fabro. è l'identificazione dell'essere col pensiero, identificazione che perla verità, è propria solo dell'essenza divina, ma che invece Rahner pone come principio di tutto il reale. Da qui il panteismo in metafisica e l'idealismo in gnoseologia.

Da qui viene anche l'identificazione dell'essere con l'agire e col divenire e la tendenza monistica che non distingue più adeguatamente il vero dal falso, il bene dal male, l'eterno dal temporale, il finito dall'infinito. Dio dal mondo. Ciò non gli impedisce peraltro di cadere in dualismi irresolubili, che qui non è il caso di esaminare. Per distinguere egli separa, e per unire, confonde.

Da questi principi fondamentali discende la sua concezione del rapporto dell'uomo con Dio: la ragione umana non dimostra l'esistenza di Dio partendo dagli effetti creati, come insegna san Paolo (Rm. 1,20) e il libro biblico della Sapienza (Sap. 13,5), ma possiede originariamente ed atematicamente un'«esperienza preconcettuale dell'essere» (“Vorgriff”). nella quale legge immediatamente la propria autocoscienza e l'esistenza di Dio. Come nella conoscenza divina, non si passa dalle cose a Dio, ma da Dio alle cose. Rahner confonde il sapere umano col sapere divino.

L'uomo dunque è già di per sé originariamente, benché "atematicamente". potenzialmente Dio; Dio non è che la piena attuazione dell'uomo (Dio è l' «orizzonte trascendentale dell’autotrascendenza umana»). Dunque nessuna reale distinzione tra natura umana e grazia. L'uomo è per essenza in grazia, la natura umana è definita dalla grazia, senza la grazia è nulla, è pura "astrazione", pura "possibilità" (polemica contro la "natura pura").

La quale grazia poi non è un dono di Dio, o un accidente (qualità) dell'anima, ma è Dio stesso, che così diventa il costitutivo sostanziale dell'uomo ("causa formale" dell'uomo), confondendo così Dio con l'anima umana. La grazia dunque è inammissibile, così come l'uomo non può perdere la sua essenza. Da qui l'estrema difficoltà con la quale Rahner cerca di spiegare l'esistenza del peccato.

La distruzione del cristianesimo

Da qui la tesi secondo la quale tutti per essenza tendono a Dio, tutti sono sempre in grazia, tutti si salvano ("buonismo"), il peccato diventa impossibile oppure è un costituivo irrilevante della natura perché sempre perdonato da Dio (Lutero), da qui la negazione della redenzione di Cristo come sacrificio espiativo e riparatore del peccato (e quindi la crisi del sacerdozio, della Messa e della Liturgia).

Da qui la negazione dì una natura umana oggettiva. universale e immutabile (difetto dell'esistenzialismo), dell'immortalità dell'anima (col rischio del materialismo), della legge naturale (con conseguente relativismo morale), dell'oggettività della conoscenza concettuale-razionale (con la conseguenza del relativismo dogmatico) e del libero arbitrio (con la conseguenza di un'etica spontaneistica, antiascetica e schiava delle passioni: Freud), la negazione della Parusia futura di Cristo (Parusia adesso), dei privilegi mariani (niente verginità), dell'esistenza degli angeli (sono solo "possibili"), di dannati nell'inferno (non c'è nessuno) e la tesi secondo la quale anche l'ateo è credente ("cristianesimo anonimo").

La cristologia è concepita hegelianamente in modo evolutivo-dialettico come passaggio dall'umano al divino e viceversa (riappare l'eresia di Eutiche), sicché Rahner giunge alla conclusione che antropologia, teologia e cristologia sono la stessa cosa (effetto del panteismo). Le tre Persone divine non sono tre relazioni sussistenti ovvero tre sussistenze, ma tre "modi di sussistenza" di un'unica persona-natura-sussistente (modalismo), mentre l'essenza della Trinità si risolve nel suo manifestarsi al mondo («la Trinità immanente è la Trinità economica»). Allora Dio è obbligato a creare? È obbligato a incarnarsi? A manifestarsi all'uomo? Qui si vede l'influsso della fenomenologia di Husserl e viene anche in mente Hegel: «Senza il mondo. Dio non è Dio».

In particolare, in morale, la persona appare come soggetto meramente spirituale (cf. la res cogitans di Cartesio), che liberamente (come in Fichte, Gentile e Sartre) pone o progetta la propria essenza e quindi la legge morale, la quale quindi non è posta da Dio nella natura umana, ma il soggetto liberamente la pone da sé onde porre la propria essenza e la propria natura. Salvo poi a porre la persona come emergente dalla materia, per il fatto che viene negata la distinzione fra anima e corpo.

La persona non appare come «individua substantia rationalis naturae», ma alla maniera idealistica, come autocoscienza e libertà, come una specie di relazione sussistente in atto, sicché c'è poi da chiedersi come potranno essere persone quei soggetti i quali per vari motivi non possono o non vogliano relazionarsi a Dio ed agli altri.

Figlio dell'orgoglio moderno

I princìpi di fondo possono riassumersi in una divinizzazione gnostica dell'uomo e in una secolarizzazione del soprannaturale, si fanno sentire in vari modi: nel suo stesso metodo di pensare e di argomentare, dettato spesso da presunzione nei confronti delle massime autorità nel campo della filosofia come della religione, nell'aver sempre ignorato le osservazioni e le critiche che gli sono state fatte per decenni da eccellenti studiosi e teologi, nel sollecitare o suggerire una condotta morale improntata a un esagerato amore per la libertà personale, nel disprezzo dei valori oggettivi, eterni e universali, insomma un'esaltazione dell'io che ben poco ha a che vedere con un sano amore di sé riconosciuto dal cristianesimo, ma assomiglia molto di più al soggettivismo e alla presunzione tipici della religiosità luterana e al limite alla spropositata esaltazione dell'io propria dell’etica fichtiana.

Appare l'ombra sinistra di Nietzsche. Siamo ancora nel Cristianesimo? È questa l'interpretazione del Concilio?

© Radici Cristiane
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http://www.kattoliko.it/leggendanera/modules.php?name=News&file=article&sid=2016




Caterina63
00martedì 22 giugno 2010 08:29

Karl Rahner e la distruzione del concetto di "riparazione".

Siamo nel mese di giugno, e, siccome ogni ladrone ha la sua devozione, ed essendo io devoto di tutte le devozioni che i modernisti chiamerebbero con disprezzo preconciliari, non posso certo lasciar passare questo mese senza qualche pio ossequio, coroncina, triduo, novena, etc. al Sacratissimo Cuore di Gesù.

E così qualche giorno fa, mentre cercavo, nel reparto della mia biblioteca dedicato all’adorabile Cuore del Salvatore, una devozione che mi ispirasse - con tanti deh, Voi, orsù dunque, con citazioni bibliche non più di tanto, con qualche esempio di vita di santo sconosciuto ai più e rigorosamente NON passato al vaglio della cosiddetta moderna critica storica -, mi capita tra le mani la Teologia del Cuore di Cristo di Karl Rahner (Roma 1995).

- Cosa ci fa un libro di Rahner nella mia biblioteca? - ho pensato tra me e me - Come mai non l’ho ancora bruciato? -; e mi son ricordato che quel libro era lì perché donatomi da una comunità di suore, alle quali avevo predicato anni addietro un ritiro.

- Almeno era devoto del Sacro Cuore – mi son detto; e pensavo che, forse, almeno da novizio gesuita, Karl Rahner potrebbe aver fatto i primi nove venerdì del mese, e di conseguenza, aver salvato l’anima. E ho cominciato allora a recitare qualche Requiem per lui, sperando nella sua riconoscente intercessione e nel suo desiderio di riparare i danni fatti da teologo, di cui ora stiamo pagando tutti le conseguenze: infatti il suo fiume di scritti è, in theologicis, ciò che la recente fuoriuscita di greggio nel Golfo del Messico è in naturalibus.

Dopo di che, apro a caso il succitato libro e mi imbatto nel capitolo VI, intitolato «Conforto» del Signore (p. 81).

Comincio a leggere con interesse, perché, fin dai tempi delle mie letture proibite di seminarista, mi erano sempre rimaste scolpite nel cuore alcune frasi dell’enciclica Miserentissimus Redemptor (8-5-1928), sulla riparazione.

Nessun buon cristiano può ignorare le parole di Pio XI, quando afferma che:

“... se a causa anche dei nostri peccati futuri, ma previsti, l’anima di Gesù divenne triste sino alla morte, non è a dubitare che qualche conforto non abbia anche fin da allora provato per la previsione della nostra riparazione, quando a «lui apparve l’Angelo dal cielo» per consolare il suo cuore oppresso dalla tristezza e dalle angosce. E così anche ora in modo mirabile ma vero, noi possiamo e dobbiamo consolare quel Cuore Sacratissimo che viene continuamente ferito dai peccati degli uomini ingrati, giacché — come si legge anche nella sacra liturgia — Cristo stesso si duole, per bocca del salmista, di essere abbandonato dai suoi amici: «Smacco e dolore mi spezzano il cuore; mi aspettavo compassione, ma non ce ne fu, qualche consolatore, e non l’ho trovato»”

Purtroppo, una volta cominciata la lettura, non mi ci è voluto molto per capire che, in base ai principi rahneriani, salta per aria tutta la teologia della riparazione.

Riassumo le argomentazioni del gesuita tedesco:

1) “La nostra preghiera a Cristo … nella sua struttura teologica oggettiva, è indirizzata al Signore glorificato. Una «preghiera al Redentore sofferente» è dal punto di vista teologico, una preghiera al Cristo che ha sofferto. La rappresentazione contemplativa della passione di Cristo non può quindi essere il fondamento di una consolazione attiva del Signore sofferente” (pp. 82-83).

Eccoti sistemato Pio XI, ed ecco perché, mentre S. Alfonso dipingeva il crocifisso tutto insanguinato, adesso si vedono i crocifissi moderni dove Gesù non soffre più, e più che come crocifisso, viene presentato come un super-eroe dei fumetti.

Il discorso potrebbe sembrare logico; ormai Cristo ha sofferto ed ora è risorto: chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto: come dunque è possibile una contemporaneità reale dell’uomo con il Christus passus? Notate bene che con questi principi, con questa solo apparentemente ferrea logica, ne va di mezzo anche la rinnovazione del Sacrificio della Croce nella S. Messa

2) E l’angelo che avrebbe consolato Gesù? Poco più di una pieuserie.

“Si deve per lo meno provare ... che il Signore fu di fatto consolato nella sua passione da questa conoscenza... il riferimento all’angelo consolatore non lo prova da un punto di vista esegetico” (pp. 83-84).

Prendiamo atto, ahimè, che Bultmann è proprio l' omnium modernistarum condimentarium.

*

* *

Adesso andiamo a leggere la verità, come diceva un tale quando, dopo aver letto i vari articoli di un quotidiano, passava a dare una scorsa ai necrologi.

Ma è proprio vero che non possiamo porre degli atti contemporanei alla passione di Cristo; è ormai proprio vero che, visto che ora Cristo è risorto, la sua gloriosa passione non può più irrompere realmente nella storia?

Ci facciamo dare la risposta a questa domanda da S. Gemma Galgani e da Padre Pio.

1) Santa Gemma Galgani: leggiamo solo alcune tra una infinità di espressioni simili [1]:

«In questo stesso anno 1896 cominciò anche in me un altro desiderio: in me sentivo crescere una brama di amare tanto Gesù Crocifisso, e insieme a questo una brama di patire e aiutare Gesù nei suoi dolori»

«non gli ho domandato nulla, ma continua sempre a piangere»
«Figlia mia – mi disse – vedi queste piaghe le avevi aperte per i tuoi peccati, ma ora consolati, che le hai tutte chiuse con il tuo dolore: Non mi offendere più. Amami, come io ti ho sempre amato.»

«Guarda tutte le piaghe che avevi aperto a Gesù coi tuoi peccati, le hai tutte risanate con il tuo dolore»

Queste poche citazioni – ma se ne potrebbero trovare molte altre – esprimono “il senso del nostro problema: Gesù soffre sempre, soffre ancora, soffre ora per i peccati degli uomini; quindi soffre e soffrirà ogni volta che gli uomini peccano, che ciascuno di noi pecca, fino alla fine del mondo”[2].

Si può vedere che Gesù soffre sempre, per dei peccati particolari fatti nel presente (i tuoi peccati), e che ora viene consolato dalla partecipazione alla sua passione. Cornelio Fabro spiega la natura di questo presente:
“Quando i mistici e S. Gemma affermano di vedere Gesù sofferente, che porta la croce, che ha le piaghe aperte, che è grondante di sangue ecc. intendono riferirsi a un presente reale e non a una semplice immagine o a un ricordo del passato: sarà un presente mistico, ma deve pur essere sempre reale com’è reale su di un altro piano, quello sacramentale – la rinnovazione del sacrificio della croce nella consacrazione del pane e del vino nella S. Messa: rinnovazione mistica”[3].
2) Vediamo ora come concetti analoghi sono espressi da San Pio da Pietrelcina. Così leggiamo in una sua lettera:

"Mio carissimo Padre, venerdì mattina ero ancora a letto, quando mi apparve Gesù. Era tutto malconcio e sfigurato. Egli mi mostrò una grande moltitudine di sacerdoti regolari e secolari, fra i quali diversi dignitari ecclesiastici, di questi chi stava celebrando, chi si stava parando e chi si stava svestendo dalle sacre vesti. La vista di Gesù in angustie mi dava molta pena, perciò volli domandargli perché soffrisse tanto. Nessuna risposta n'ebbi. Però il suo sguardo mi portò verso quei sacerdoti; ma poco dopo, quasi inorridito e come se fosse stanco di guardare, ritirò lo sguardo ed allorché lo rialzò verso di me, con grande mio orrore, osservai due lagrime che gli solcavano le gote. Si allontanò da quella turba di sacerdoti con una grande espressione di disgusto sul volto, gridando: "Macellai! E rivolto a me disse": "Figlio mio, non credere che la mia agonia sia stata di tre ore, no; io sarò per cagione delle anime da me più beneficiate, in agonia sino alla fine del mondo. Durante il tempo dell'agonia, figlio mio, non bisogna dormire. L'anima mia va in cerca di qualche goccia di pietà umana, ma ahimè mi lasciano solo sotto il peso della indifferenza. L'ingratitudine ed il sonno dei miei ministri mi rendono più gravosa l'agonia. Ahimè come corrispondono male al mio amore! Ciò che più mi affligge e che costoro al loro indifferentismo, aggiungono il loro disprezzo, l'incredulità. Quante volte ero lì per lì per fulminarli, se non fossi stato trattenuto dagli angioli e dalle anime di me innamorate... "[4].

Sintetizzando l’esperienza di due tra i tanti mistici cha hanno partecipato in modo speciale alla Passione del Signore, Cornelio Fabro afferma:

“Per Cristo l’evolversi della storia umana, ed in particolar della storia della Chiesa, non è uno spettacolo indifferente quasi come il proiettarsi di una pellicola già bell’e montata, ma rimane e si presenta ad ogni momento come il conto della libertà dell’uomo che la grazia divina continua stimolare e a rispettare”[5].
Abbiamo, di conseguenza, una sorta di doppia contemporaneità tra la Passione di Cristo e la storia umana:

1) dalla parte di Cristo c’è una contemporaneità di solidarietà e di misericordia. Gesù vive in tutte le membra sofferenti della Chiesa e a ciascuno in particolare offre la sua divina misericordia e tutti i frutti della sua Passione.

2) Dalla parte dei credenti c’è una contemporaneità di pentimento e di espiazione, che arriva fino ad interagire con le sofferenze del Salvatore (accrescendole o diminuendole).

Questa duplice contemporaneità si realizza mirabilmente al massimo grado ogni qualvolta viene offerto il Santo Sacrificio della Messa.
La riparazione è dunque - lungi da essere soltanto un ricordo che oggi non si può indirizzare che al Cristo glorioso - una reale partecipazione alla passione di Cristo, l’Amen dopo il per Ipsum della S. Messa, la S. Messa che continua nella vita, ciò a cui siamo invitati da ogni Ite missa est.
Questa è la vera partecipazione attiva alla Messa; se pensiamo che la actuosa participatio - così cara al Magistero, dai tempi di San Pio X fino ad oggi - viene spesso recepita come “finalmente i laici leggono e così partecipano”, “abbiamo abolito il latino così tutti partecipano”, ”facciamo battere le mani ai bambini così partecipano” e a tante altre stupidaggini, viene proprio da piangere .

La storia del mondo, la nostra storia di oggi, la storia concreta di ciascuno di noi, è come se si svolgesse attorno a un tavolo di una sala operatoria. Sul tavolo c’è un paziente, Gesù Cristo, che sta subendo quasi un’operazione a Cuore aperto: da questo Cuore zampillano Sangue ed Acqua, che danno la vita a tutti quelli che stanno intono; ma, a differenza di una normale sala operatoria, non ci sono solo dei medici che cercano di far vivere il paziente; ci sono anche tanti sabotatori: c’è chi tenta di staccare la spina, c’è chi vuole chiudere il tubo dell’ossigeno; insomma, attorno a questo Cuore aperto si svolge nel presente, nell’oggi, nel qui ed ora, la lotta tra le due città, tra le due stirpi (quella della donna e quella del serpente).

E quando sembra che non ci siano più sacche per le trasfusioni, c’è qualcuno tra i medici buoni, che offre il suo sangue, piangendo e commuovendosi di poterlo quasi restituire al Paziente.

Questa - e adesso l’ha capito anche Rahner - è l’opera della riparazione, del «Conforto del Signore».


Don Alfredo Morselli, Stiatico di San Giorgio di Piano, 17 giugno 2010.



[1] Cit. in Cornelio Fabro, Gemma Galgani testimone del soprannaturale, Roma: CIPI, 1989, pp. 53 e ssgg. passim. Il grassetto è mio.

[2] Ibidem, p. 53.

[3] Ibidem, p. 61.

[4] Lettera a Padre Agostino del 7 aprile 1913.

[5] Gemma Galgani, p. 65


Caterina63
00mercoledì 23 novembre 2011 23:43

Abbiamo il piacere di proporvi un’intervista rilasciata ad Antonio Gaspari da Padre Giovanni Cavalcoli, autore del libroKarl Rahner – Il Concilio tradito” edito da Fede & Cultura.
Questo testo di Cavalcoli è di grande attualità e importanza, perché affronta, confutandole con argomentazioni chiare e profonde, alcune tesi postconciliari che contengono gravi errori dottrinali.
Mentre ringraziamo l’amico Antonio Gaspari per l’intervista, Vi consigliamo anche di leggere la recensione di Piero Vassallo sull’inserto “libri”, selezionabile andando in home page di LA RISCOSSA CRISTIANA


Di Antonio Gaspari


E’ appena uscito in libreria il libro del professor Giovanni Cavalcoli o.p. “Karl Rahner – Il Concilio tradito” edito da Fede & Cultura.
Si tratta di un libro straordinario, dove il domenicano Padre Cavalcoli affronta con coraggio e competenza i tanti problemi che sono emersi nella Chiesa nel periodo post conciliare.
Il professore di Teologia Dogmatica e Morale presso lo Studio Teologico Accademico Bolognese analizza in maniera puntuale e accurata la teologia del professore gesuita Karl Rahner, indicata da molti come quella che ha creato più problemi.

Il libro di Cavalcoli analizza una delle questioni più importanti, della Chiesa di oggi e cioè la retta interpretazione e quindi la giusta applicazione del Concilio Vaticano II.
Il docente domenicano ricorda che gli ultimi Pontefici, sino a Benedetto XVI, sono intervenuti più volte e in vari modi su questo argomento lamentando cattive interpretazioni ed esortando ad interpretare il Concilio in conformità a quel medesimo Magistero della Chiesa che è alla base delle sue dottrine.
Cavalcoli ricorda anche come il ruolo della teologia di Rahner nella confusione del post concilio è stato più volte sottolineato.
Già negli anni sessanta il Cardinale Pietro Parente, già Segretario del Sant‟Uffizio, scrisse un saggio dal titolo “ La crisi della verità e il Concilio Vaticano II” (Istituto Padano di Arti Grafiche, Rovigo, 1983), in cui si evidenziava la crisi dottrinale che è seguita al Concilio, causata non certo da esso, ma da un ritorno alle utopie eretiche del ‘modernismo’. E a questo proposito, veniva criticata la teologia di Karl Rahner.
Più di recente si è svolto un congresso teologico internazionale organizzato dai dell’Immacolata dal titolo “Da Karl Rahner, un’analisi critica. La figura, l‟opera e la recezione teologica di Karl Rahner (1904-1984)”. Gli atti sono stati raccolti in un libro a cura di Padre Serafino M. Lanzetta, (Editrice Cantagalli, Siena, 2009)

Il prof. Giovanni Cavalcoli o.p. è autore di un numero impressionante di saggi e libri. Dal 1978 al 1982 docente di Filosofia presso lo Studio Teologico Accademico Bolognese. Dal 1980 al 1982 docente di Psicologia e Metafisica presso il Seminario Arcivescovile di Ravenna. Dal 1982 al 1990 Officiale della Segreteria di Stato del Vaticano. Dal 1988 al 1990 docente di Teologia presso la Facoltà di Magistero “Maria Assunta” di Roma. Dal 1990 docente di Filosofia presso lo Studio Filosofico Domenicano di Bologna.
Dal 1992 al 2004 docente stabile straordinario di Teologia Dogmatica e Morale presso lo Studio Teologico Accademico Bolognese – Sezione San Domenico. Dal 1992 Socio ordinario della Pontificia Accademia Teologica Romana, oggi Pontificia Academia Theologica.
Per quanto riguarda la teologia di Karl Rahner, il prof. Cavalcoli è uno dei maggiori studiosi.
Nel libro Karl Rahner – Il Concilio tradito” ogni singola questione viene confrontata con il Magistero e le tesi scritte da Rahner.
La critica è profonda, chiara, documentata e argomentata.
Per comprendere il contesto e le implicazioni di una tale riflessione teologica Antonio Gaspari, per La Riscossa Cristiana ha intervistato il prof. Giovanni Cavalcoli o.p.

Sul Concilio e sui suoi insegnamenti ci sono tesi diverse e contrapposte. Lei parla di Concilio Tradito. Che vuole dire?

Cavalcoli: Intendo rifarmi all’interpretazione autentica del Concilio, che proviene dai documenti del Magistero della Chiesa, della Santa Sede e del Papa dalla fine del Concilio ad oggi. È in riferimento a tale interpretazione che parlo di “Concilio tradito”, in quanto intendo respingere le interpretazioni che divergono da quelle fatte dalla Chiesa.


Secondo alcuni Karl Rahner è il “grande architetto della teologia del secolo XX”, un Capo indiscusso della teologia “moderna”. Mentre nel suo libro lei sostiene che molte tesi della teologia di Rahner sono così erronei da essere prossimi all’eresia. Ci fa qualche esempio?

Risposta: Certamente. Elenco qualcuna di queste tesi:

1) l’identità dell’essere col pensiero estesa a tutto il reale, mentre quest’identità appartiene solo a Dio. Questo è panteismo;

2) la confusione dell’essere con l’essere pensato (“esperienza trascendentale”). Questo è idealismo;

3) l’idea che Dio muti con la conseguente negazione delle due nature di Cristo. Questa è negazione del dogma dell’incarnazione;

4) la conoscenza di Dio senza la mediazione del mondo. Questo è ontologismo;

5) la persona divina come modo di sussistenza. Questo è modalismo;

6) la negazione dell’universalità e immutabilità del concetto (“piano categoriale”). Questo è relativismo;

7) la mutabilità e relatività dei concetti dogmatici. Questo è modernismo;

8) l’idea di Dio come “orizzonte della trascendenza dell’uomo”. Questo è ancora panteismo;

9) l’assorbimento della natura nella grazia (“esistenziale soprannaturale”). Questo è soprannaturalismo;

10) la riduzione della grazia a natura: secolarismo (“svolta antropologica”);

11) la persona umana come coscienza e libertà. Questo è idealismo;

12) l’idea che tutti sono in grazia. Questa è la negazione del dogma del peccato (“cristiani anonimi”);

13) la negazione dell’oggettività ed universalità della natura umana. Questo è relativismo antropologico;

14) la negazione dell’immortalità dell’anima;

15) negazione della legge morale universale ed immutabile (“etica esistenziale formale”). Questo è relativismo morale;

16) la negazione del sacrificio espiatorio di Cristo, con la conseguente negazione del sacerdozio e della Messa. Questa è la negazione del dogma della redenzione.

Indubbiamente occorrerebbe spiegare per ognuna di queste tesi perché e come o sono eresie o prossime all’eresia. A titolo di esempio, mi limito ad illustrarne qualcuna, tra le più gravi, sempre con la possibilità di un errore di interpretazione da parte mia. Ma se sbaglio, chiedo che mi venga mostrato. Per le altre, rimando al mio libro e alla letteratura critica che vi ho citato. Osservo inoltre che è possibile che Rahner stesso non si sia reso conto di questi errori, così come pure coloro che lo seguono. Porrò prima la dichiarazione di Rahner e sotto la dottrina della Chiesa.

Tesi 3: “La realtà assoluta, o più esattamente colui che è assoluto, nella pura libertà della sua infinita arelazione, che sempre conserva, ha la possibilità di divenire egli stesso l’altro, il finito, la possibilità di Dio; proprio nel fatto e per il fatto di alienarsi, di concedersi. Pone l’altro come sua propria realtà”(Cit. da H.Küng, Incarnazione di Dio, Ed.Queriniana, Brescia 1972, pp.646-647.

“Sancta catholica apostolica Romana Ecclesia credit et confitetur unum esse Deum, … una singularis simplex omnino et incommutabilis substantia spiritualis”, Concilio Vaticano I, Costituzione dogmatica “Dei Filius”, c.I, Denzinger 3001.

“Sequentes sanctos Patres, unum eundemque confiteri Filium Dominum nostrum Iesum Christum consonanter omnes docemus … in duabus naturis inconfuse, immutabiliter, indivise, inseparabiliter agnoscendum …”. Definizione del dogma cristologico del Concilio di Calcedonia del 451 (Denzinger 302).

Tesi 5: “L’unica autocomunicazione dell’unico Dio si attua intre diversi modi di presenza nei quali l’unico e medesimo Dio ci è dato concretamente in se stesso. … . … L’unico Dio sussiste in tre distinti modi di sussistenza. … La concreta realtà di Dio ci viene incontro in modi diversi” La Trinità, Ed.Queriniana, Brescia 1998, p.105.


“Il modalismo è un’eresia trinitaria fiorita nei secc.II-III e consistente essenzialmente nell’asserire che nella SS.Trinità il Padre, il Figlio e lo Spirito santo non sono persone tra loro realmente distinte, ma solo modi diversi di manifestarsi e di agire di un’unica persona divina. E’ detto anche ‘sabellianismo’”, Enciclopedia cattolica, vol.VIII, coll.1162-1163, voce “Modalismo”. Il modalismo fu condannato dal Concilio Costantinopolitano I, can.1 nel 381(Denzinger 151) in questi termini: “Fidem non esse violandam Patrum qui apud Nicaeam convenerunt”(Concilio di Nicea), “sed manere eam firmam et stabilem, et anathematizandam omnem haeresim, et specialiter … Sabellianorum …”. La persona divina non è un modo di sussistenza, ma è un sussistente e precisamente unarelazione sussistente: “In Deo omnia sunt unum, ubi non obviat relationis oppositio” (Concilio di Firenze del 1442, Denzinger 1330).

Tesi 6 “Il concetto è un’asserzione storicamente condizionata”, Nuovi saggi, vol.I, Ed.Paoline 1968, pp.105-106. “L’idoneità di un concetto per comprendere un contenuto può mutare, senza che la Chiesa … possa impedirlo”, La Trinità, p.104. “Anche la convinzione più vera, oggettivata in proposizioni e dottrine, non costituisce ancora una garanzia di ‘essere’ nella ‘verità’ dell’esistenza”, Nuovi saggi, vol.I, Ed.Paoline 1968, p.92. “un uomo, nella suastoricità, non è affatto in grado di distinguere in maniera riflessamente adeguata la propria veste storica della verità da quest’ultima come tale, nella sua permanente validità”, Nuovi saggi, vol.V, p.332; “Sempre e dappertutto l’uomo, nelle sue decisioni assolute ed irrivedibili della sua vita, si basa su realtà storiche sulla cui esistenza e natura egli non possiede teoreticamente alcuna assoluta sicurezza”, Corso fondamentale sulla fede, Ed.Paoline 1978, p.305.

“Veritas non est immutabilis plus quam ipse homo, quippe quae cum ipso, in ipso et per ipsum evolvitur”. Proposizione condannata tra gli errori dei modernisti dal Decreto del S.Uffizio del 1907 “Lamentabili”, prop.n.58 (Denzinger 3458).

Tesi 12: “La grazia non ha bisogno di essere pensata comeevento intermittente di Dio in un mondo in sé profano, ma è un esistenziale della creatura spirituale permanentementedato, che finalizza la creatura al contatto immediato con Dio. … E’ sempre insita nella natura e nella storia dell’uomo, quale sua dinamica e sua finalizzazione. E’ un oggetto spirituale a priori”, Nuovi saggi, vol.V, Ed.Paoline 1975, p.689.

“Si quis dixerit, amissa per peccatum gratiam simul et fidem semper amitti, … , anathema sit”. Concilio di Trento, Canoni sulla Giustificazione, n.28, (Denzinger 1578).

Tesi 16. “Con tutta prudenza si può dire che i concetti paolini di ‘sacrificio’, di ‘riscatto’, ‘sangue di riconciliazione’, ecc. non rispecchiano la comprensione originaria della portata salvifica universale della croce di Gesù”, Teologia dell’esperienza dello Spirito, Ed.Paoline 1978, p.326; “Se diciamo che questo sacrificio va inteso come libero atto di obbedienza al Padre da parte di Gesù; … che Dio … dà al mondo la possibilità di soddisfare alla giusta santità divina, … abbiamo non solo chiarito, bensì anche criticato l’idea divittima espiatrice”, Corso fondamentale sulla fede, pp.364-365.

“La morte di Cristo è il sacrificio pasquale che compie laredenzione definitiva degli uomini; … di nuovo mette l’uomo in comunione con Dio riconciliandolo con lui mediante ilsangue ‘versato per la remissione dei peccati’ (Mt 26,28)”,Catechismo della Chiesa cattolica, n. 613. “Nel medesimo tempo è offerta del Figlio di Dio fatto uomo che, liberamente e per amore, offre la propria vita al Padre nello Spirito Santo per riparare la nostra disobbedienza”, n.614. “E’ l’amore ‘sino alla fine’(Gv 13,1), che conferisce valore di redenzione e di riparazione, di espiazione e di soddisfazione al sacrificio di Cristo”, n.615. Con la negazione del sacrificio di Cristo crolla evidentemente anche la dottrina del sacerdozio e della S.Messa, in quanto, come insegna il Concilio di Trento (Dottrina sul Sacrificio della Messa, Denzinger 1743), “in hoc divino sacrificio idem ille Christus continetur et incruenterimmolatur, qui in ara crucis semel seipsum cruenter obtulit”. Ed il compito del sacerdote è appunto quello di offrire il sacrificio, che, nel caso del cristianesimo, è lo stesso sacrificio di Cristo attualizzato incruentemente (Eb 5,1).


Sempre nel suo libro lei accomuna le tesi di Rahner a una corrente di pensiero che ha prodotto “disaffezione per la verità, saccenteria, superbia, sete di potere ed empietà, ribellione al Magistero e al Papa, cedimento agli errori della modernità, assenza di confutazione degli errori, profanazione della liturgia”. Accuse gravissime, quali le prove?

Cavalcoli: le prove si ricavano dalla considerazione degli stessi errori di Rahner, perché ne sono le cause. Essi non possono che portare a quei risultati. I vizi e i difetti che elenco vanno soggetti però a molti gradi. Sono gravissimi solo nel loro grado massimo. Non intendo riferirmi necessariamente al tale grado massimo e non intendo dire che tale grado sia frequente. Solo così le mie accuse sarebbero gravissime. Ciò che invece constato di solito è la loro presenza in un grado modesto o a volte anche minimo. Ma ciò non significa che anche in questo grado queste cose non siano pericolose per la vita morale.
Secondo quanto lei ha scritto il Rahnerismo, col pretesto dell’apertura al mondo moderno, del dialogo, del pluralismo, della democrazia, della libertà religiosa e di ricerca, dell’ecumenismo, dell’ispirazione dello Spirito Santo, ha eliminato nel Corpo di Cristo le difese immunitarie, rendendo insipida o discutibile la Parola di Dio, e ha tolto il muro di cinta della Vigna del Signore”.

Come ha fatto Rahner a compiere queste azioni e perché?

Cavalcoli: Perché ha frainteso il vero spirito del Concilio, quasi che esso fosse un ritorno di modernismo e rinunciasse alla tradizionale condanna degli errori. Inoltre egli ha affrontato la trattazione di tutti quei temi e quei valori senza quel discernimento e quello spirito critico che gli sarebbero stati forniti da una sana preparazione filosofica e teologica fondata sulla fedeltà al Magistero della Chiesa e in special modo a S.Tommaso d’Aquino, raccomandato dal ConcilioVaticano II e da secoli dai Papi come guida negli studi filosofici e teologici.

È vero che lei ha avuto difficoltà nella pubblicazione di questo libro?

Cavalcoli: I miei Superiori in un primo tempo non volevano concedermi la licenza di pubblicazione, prevista dalle leggi del mio Ordine, elencando una serie di punti che, a loro giudizio, impedivano ad essi di darmi tale licenza. Tuttavia mi hanno esortato a proseguire le mie ricerche e a migliorare la mia esposizione. Ho tenuto conto delle loro critiche e alla fine mi hanno concesso il permesso.

E come se ne esce dal Rahnerismo per una corretta interpretazione del Concilio?

Cavalcoli: Si devono riconoscere gli aspetti positivi del pensiero rahneriano, presenti soprattutto nel Rahner giovane, che giustamente meritò l’onore di fungere da perito del Concilio. In secondo luogo occorre correggere i suoi errori alla luce della dottrina della Chiesa e della sana filosofia. In terzo luogo occorre un intervento prudente, mirato, sistematico ed organizzato dell’episcopato sotto la guida della Santa Sede per quest’opera di correzione, che richiederà molto tempo, ma che, con l’assistenza dello Spirito Santo, giungerà certamente a buon fine. Solo allora si potrà dire che il Concilio sarà veramente realizzato.

 


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