I simboli del Natale spiegati ai giovani: l'albero, la stella.....

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Caterina63
00venerdì 13 dicembre 2013 11:18
 Sono due le riflessioni che vi riportiamo sulla Stella di Natalestella1
la prima parla della pianta quale  simbolo di rinascita attraverso la leggenda messicana; la seconda parliamo proprio della Stella Cometa........ quella che guidò i Magi a Betlemme per adorare il Bambino.....




Il dono di Lola

Era la vigilia di Natale ed in fondo alla cappella una bambina messicana di nome Lola pregava piangendo perché non aveva niente da offrire a Gesù, nemmeno un semplice fiore da mettere ai piedi del Presepe.
All'improvviso la bambina vide un forte bagliore, era la luce che emanava il suo angelo custode che, intenerito dalle lacrime e dal dolore della bambina si palesò a lei per rassicurarla e le disse che Gesù conosceva l'amore che era racchiuso nel suo piccolo cuoricino e che sarebbe stato sufficiente portare in Chiesa solo qualche fiore raccolto sul bordo della strada.

Lola rispose che sulla strada c'erano solo erbe cattive e l'angelo le rispose che non si trattava di erbe cattive ma di piante e che l'uomo ancora non conosceva le intenzioni del Signore. 
Lola uscì dalla cappella e qualche minuto più tardi vi rientrò con un mazzo di erbe che depositò con rispetto davanti al presepe in mezzo ai fiori che gli altri abitanti del villaggio avevano portato. Poco dopo avvenne il miracolo che aveva preannunciato l'angelo: le erbacce portate da Lola si trasformarono in bellissimi fiori rossi.
Da quel giorno le stelle di Natale in Messico sono chiamate " Flores de la Noche Buena" cioè 'Fiori della Santa Notte' ed ancora oggi questa pianta viene utilizzata come simbolo del Natale, come buon auspicio per i mesi a venire grazie ai colori accesi e gioiosi che richiamano la primavera, periodo di semine e raccolti.

Oltre a questo, la Stella di Natale ci deve ricordare che non sono necessari doni costosi per dimostrare affetto e amore e che anche un fiore può essere un regalo piacevole per colui che ne ha il pensiero ed un dono gradito per chi lo riceve.

   La stella di Natale simbolo del Sangue Divino 

Quando Dio creò la natura nel mondo invitò le piante a dar forma ai loro fiori più belli e chiese loro di scegliere la stagione dell'anno in cui fiorire.
Un giorno Dio si accorse che una pianta, pur sforzandosi di compiere la missione che lui gli aveva affidato, non veniva apprezzata e scelta da nessuno perché il suo fiore era troppo piccolo e le sue foglie troppo grandi.
Dio si avvicinò quindi alla pianta lodandola per la sua bellezza interiore che nessuno riusciva ad apprezzare e decise di donarle il suo sangue e di depositarlo sulle sue foglie, colorandole del rosso più intenso e trasformandola nel fiore più bello che, simboleggiando l'amore e l'essenza divina dell'Universo sulla terra, sarebbe fiorita e sbocciata in tutto il suo splendore e la sua bellezza nel momento più importante dell'anno: a Natale.
Da quel momento, la pianta dai fiori piccoli e le grandi foglie diventò la Stella di Natale.


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stella1




La Stella di Betlemme, popolarmente detta stella cometa, è quel fenomeno astronomico che, secondo il racconto del Vangelo secondo Matteo (2,1-12.16), guidò i Magi a fare visita a Gesù appena nato:
"Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: "Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo".
Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella (o astér), che avevano visto nel suo sorgere (en têi anatolêi), li precedeva (proêghen autoús), finché (eôs) giunse e si fermò sopra (estáthe epáno) il luogo dove si trovava il bambino.
Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra..."

L'astro viene citato solo da Matteo (2,1-12.16)
Il testo afferma che la stella non condusse gli astrologi direttamente da Gesù, ma da Erode. E proprio grazie a tale circostanza Erode fu informato della nascita di Gesù. Le parole en têi anatolêi sono state spesso tradotte "in Oriente", quasi come un rafforzamento della provenienza dei Magi (a Oriente di Gerusalemme c'era Babilonia e più in là la Persia).

Il termine greco usato nel vangelo è aster, astro, che può indicare un generico corpo o fenomeno celeste.
Mentre la nostra sensibilità moderna tende a sportarsi sull'aspetto astronomico del fenomeno, da parte dell'evangelista l'intenzione è cristologica: il sorgere della Stella è il sorgere del Messia d'Israele, adempimento dell'oracolo di Balaam (Nm 24,17), riconosciuto dai misteriosi personaggi venuti da oriente.
La presenza di una stella alla nascita di Gesù è un simbolo messianico. 
Il riferimento biblico è la profezia di Balaam su una stella, che sarebbe spuntata da Giacobbe Nm 24,17. Benché la stella sia stata spesso identificata col Re Davide, già prima della nascita di Cristo alcuni ebrei l'avevano identificata col Messia. 
Nel secondo secolo Origene ed Ireneo di Lione richiamarono questa profezia proprio in relazione alla Stella di Betlemme. 
L'identificazione messianica è ancora più chiara nella versione dei LXX (quella normalmente utilizzata dagli evangelisti), in cui lo "scettro", che sorge in Israele, è tradotto in greco con "uomo".
In accordo con la profezia di Balaam, il tema della "luce" compare in molte altre profezie tradizionalmente applicate al Messia, fra cui quella a cui questo passo è maggiormente collegata Is 60,1-6
Il carattere "nazionalistico" della profezia di Baalam potrebbe essere il motivo per cui la stella non compare nel vangelo di Luca, diretto ai "gentili" e agli ebrei ellenizzati. L'ipotesi più comune la identifica con una triplice congiunzione di Giove e Saturno verificatasi nel 7 a.C., data compatibile con l'accenno al censimento universale accennato da Luca e comunemente identificato con quello indetto da Augusto nell' 8 a.C. (vedi Censimento di Quirinio).

Nell'iconografia antica della nascita di Gesù la stella non è rappresentata con la coda. Fu Giotto, che probabilmente aveva visto la cometa di Halley nel 1301, a dipingere nella cappella degli Scrovegni a Padova un affresco con una cometa dalla lunga coda sopra il luogo del presepe.
Dal XIV secolo in poi si moltiplicano i quadri ispirati a questo affresco. La coda risponde al desiderio di avere un oggetto celeste che indichi una direzione.

  RIEPILOGANDO

I Vangeli sono una fonte privilegiata per inquadrare con una certa precisione la "stella" che videro i Magi. Dal Vangelo di Matteo ci proviene un'utile informazione: il fenomeno astronomico osservato dai Magi, fu importante tanto da essere usata come guida, e questo è l'aspetto della Tradizione che più ci interessa.. 
Anche Erode ne era stato a conoscenza, ma il suo interesse verso quel Bambino è ben diverso da quello dei Magi. 
E c'è anche l'aspetto meramente umano: perfetti conoscitori della volta celeste quali erano, i Magi sicuramente si resero conto che ciò che videro, nel loro lungo viaggio da Babilonia a Betlemme, era qualcosa di importante per la propria esperienza di studiosi del cielo, anche se poi, a livello popolare, poteva passare del tutto inosservato. Ecco dunque perché furono i Magi a vedere "la stella" e non altri: solo loro erano in grado, come esperti osservatori delle stelle, di apprezzarne la particolarità.

Di grande interesse sono anche i Vangeli apocrifi, che la Chiesa esclude dal novero di quelli canonici per motivi dottrinali. Già dai primi Sinodi e Concili, i Vangeli detti "apocrifi" persero credito nei confronti dei secondi, riconosciuti come canonici, ma continuarono ad essere usati nella cultura popolare, influenzando fortemente l'iconografia cristiana. 
Gli stessi Vangeli apocrifi, nella loro forma orale, sembrano avere un'origine molto remota, perlomeno come i Vangeli canonici, e contengono elementi dogmatici che la Chiesa ritiene validi. Nel Protovangelo di Giacomo (databile tra il 130 e il 140 d.c.) viene più volte ribadito un concetto: la stella è un simbolo di regalità, rappresenta l'annuncio della nascita di un re. Un altro Vangelo apocrifo, quello definito dello Pseudo-Matteo, delinea molti particolari sulla grotta di Gesù e sulla brillante stella che vi splendeva dal tramonto all'alba. Nei Vangeli apocrifi redatti in Siria intorno al VI secolo si leggono molti altri dettagli: i Magi, avvertiti da un angelo, intrapresero un viaggio durato nove mesi guidati da una stella e giunsero a destinazione nel momento in cui la Vergine dava alla luce Gesù. Sono questi stessi scritti che identificano i Magi con i loro nomi, i quali infatti non sono riportati in quelli canonici.

La Stella, dunque, si muoveva precedendoli, fin quando si fermò sopra la grotta. Allora la sua forma cambiò e divenne simile ad una colonna di luce che si levava dalla terra al cielo. L'angelo che aveva assunto la forma di una stella ritornò per far loro da guida [...].
Un fatto importante va sottolineato quando prendiamo spunto dalle letture evangeliche riguardanti la "stella" dei Magi: quest'ultima è una prova molto evidente di quanto nella cristianità degli albori fosse penetrata la cultura laica, ed astrologica in particolare. 
I racconti di Matteo e dei Vangeli Apocrifi dovettero fare i conti per molto tempo con la scarsa considerazione per l'astrologia, frequente nei primi secoli del cristianesimo. Molti la ritenevano addirittura una pratica demoniaca, che avesse avuto comunque una sua liceità fino alla nascita di Cristo. L'adorazione dei Magi attestava proprio la superiorità dei Vangeli sulle convinzioni dei pagani, rappresentava l'inchinarsi della cultura orientale alla dottrina cristiana e la fine della validità dell'astrologia. 
I Padri della Chiesa del IV secolo attribuirono alla "Stella" dei Magi caratteristiche prodigiose, ma furono anche coloro che seppero dialogare con l'astronomia, portando così una netta distinzione con l'astrologia: insomma, incontro con l'astronomia sì, nulla a che vedere con l'astrologia, nel primo caso la cristologia viene confermata dall'astonomia, nel secondo caso, per i Padri, si accedeva alle superstizioni pagane o delle false divinità.
S.Basilio faceva osservare che la stella in se non era né un pianeta, né una cometa o altro: era qualcosa di straordinario, per esempio nel suo movimento diverso da quello degli astri allora conosciuti, e non poteva certo essere identificata con una stella da cui trarre un oroscopo. Essa poteva anche essere un angelo, o un qualsiasi diretto segno del cielo. 

Tracciamo allora un identikit della "stella" dei Magi. Innanzi tutto essa non apparì eccezionale alla gente comune, mentre la sua osservazione fu particolarmente significativa durante l'opposizione al Sole. Inoltre la stella si mostrò una prima volta, scomparve, poi ricomparve. 
Quale fenomeno astronomico, dunque, può aver attirato l'attenzione dei Magi tra il 7 e il 4 a.C.?
                                               


  Per concludere due leggende

La leggenda della Stella cometa

Tanto tempo fa, la notte prima della vigilia di Natale, nel cielo tutte le stelle erano felici, tranne una.
Dopo un’ora Dio le chiese perché non fosse felice e la stella rispose singhiozzando che tutte le sue amiche erano dorate e lucenti, invece lei non faceva granché di luce.
Dio esclamò: “Visto che tu sei molto leale e cortese, ecco una luce splendente!”, e la stella: “Oh, buon Dio, cosa posso fare per te?”. Dio disse: “Ecco cosa devi fare: indossa questa coda e segna la strada per arrivare alla Mangiatoia, laggiù agli abitanti del villaggio e a tutti coloro che vogliono adorare il divino mio Figlio nato dalla Vergine Maria”.
E così fece, tant’ è che Gesù Bambino ebbe molte visite. Per ricordare questo evento, da allora orniamo il presepe con la stella cometa.


***
                                    


Giuseppe e Maria cercavano una stanza per la notte. Era buio : nè torce , nè lampioni illuminavano le strade. Nel cielo, però, brillavano una moltitudine di stelle . Una di loro vide quell'uomo e quella donna in cerca di un riparo e si avvicinò un pò di più alla terra. La radura prese forma, si illuminò il sentiero e, grazie alla sua luce , Giuseppe e Maria videro una capanna abbandonata e lì si fermarono. La stella non li abbandonò mai : si fermò anch'essa quand'Essi si furono sistemati e la sua luce riscaldava i loro cuori. Quando nacque Gesù Bambino diventò ancora più luminosa . Ella stessa si stupì e pensò:"Che mi succede?!"

Poi si guardò intorno e vide... una lunga scia luminos .
Gesù Bambino aveva voluto premiarla così, donandole "la coda" per aver illuminato il cammino alla sua Mamma e al suo Papà.
La Stella per ringraziare si offrì così di continuare la sua scia luminosa per guidare i Magi dal lontano Oriente che i erano messi in cammino, per andare ad adorare il Divino Bambino, e riconoscere in Lui il Messia che tutti attendevano. Da allora e nella tradizione popolare iniziata poi da San Francesco d'Assisi col suo Presepio, mai mancò la Stella sullo sfondo del cielo stellato.


                      


 







Caterina63
00venerdì 13 dicembre 2013 11:19




  L'ALBERO DI NATALE NON E' UN SIMBOLO PAGANO

L’albero di Natale, con le sue luci e i suoi addobbi colorati, riesce ad immergere la gente nell’atmosfera magica del Natale, mentre il presepe viene sempre più snobbato per il suo essere “troppo cristiano”.
E se invece si scoprisse che l’“inventore” dell’albero di Natale fu proprio un cattolico? E che proprio l’albero di Natale, l’Abete, è parte importante della simbologia cristiana, contrariamente alla comune credenza che vuole l’albero di Natale "simbolo pagano"? 

Il primo albero di Natale fu allestito presso le popolazioni germaniche nel 724 da San Bonifacio, che addobbò un abete appoggiando delle candele accese sui rami. San Bonifacio, vescovo e martire, inglese di nascita, fu l’iniziatore dell’evangelizzazione delle popolazioni pagane in Germania. 
Nel 722 il Papa consacrò S. Bonifacio vescovo di tutta la Germania. Egli sapeva che l' impresa più grande era sradicare le superstizioni pagane che impedivano l'accettazione del Vangelo e la conversione dei popoli. Conosciuto come "L'apostolo della Germania", avrebbe continuato a predicare il Vangelo fino al martirio avvenuto nel 754.

Tra le molte disavventure del Santo, si narra che proprio nel periodo dell’Avvento ebbe modo di fermare un sacrificio umano, consuetudine adottata dalle popolazioni pagane dell’epoca per propiziarsi gli dei.Si narra che Bonifacio affrontò i pagani riuniti presso la "Sacra Quercia del Tuono di Geismar".
Tradizione voleva che i sacrifici avvenissero sotto una gigantesca quercia, che la popolazione venerava in quanto credeva possedesse lo spirito della loro divinità,il dio Thor. Mentre si stava per compiere un rito sacrificale umano, San Bonifacio gridò: «questa è la vostra Quercia del Tuono e questa è la croce di Cristo che spezzerà il martello del falso dio Thor». Presa una scure cominciò a colpire la quercia. Un forte vento si levò all'improvviso, l'albero cadde e si spezzò in quattro parti.
Dietro l'imponente quercia stava un giovane abete verde. 

San Bonifacio si rivolse nuovamente ai pagani: «Questo piccolo albero, un giovane figlio della foresta, sarà il vostro sacro albero questa notte. È il legno della pace, poiché le vostre case sono costruite di abete. È il segno di una vita senza fine, poiché le sue foglie sono sempre verdi. Osservate come punta diritto verso il cielo. Che questo sia chiamato l'albero di Cristo bambino; riunitevi intorno ad esso, non nella selva, ma nelle vostre case; là non si compiranno riti di sangue, ma doni d'amore e riti di bontà».
Dopodiché catechizzò la popolazione riassumendo la vita e le opere di Gesù di Nazareth, dalla nascita alla resurrezione, e annunciando la venuta di Cristo. Dietro la grande quercia abbattuta c'era un Abete e San Bonifacio, finita la sua catechesi, fece disporre sui rami dello stesso, durante tutto il periodo di Natale, delle candele accese a simboleggiare la discesa dello Spirito Santo sulla terra con la venuta del “Bambin Gesù”. 

Da quel giorno in poi, molto lentamente, la tradizione dell’albero di Natale cominciò a varcare i confini della Germania fino a diventare una consuetudine natalizia globale; con il tempo però è andato perdendosi il vero significato di tale “gesto”. Non è un caso, infatti, che l’albero sia proprio un abete. L’abete, infatti, è un albero sempreverde. Quando le altre piante nel periodo invernale muoiono, perdono le foglie, si seccano i rami, l’abete rimane vivo, forte e bello. Il sempreverde nella simbologia cristiana rappresenta l’albero della vita, l’albero della salvezza. L’albero che dà riparo, protezione e speranza, ovvero, Cristo.
Con il tempo, poi, ai piedi dell’albero cominciò ad instaurarsi la tradizione di posare alcuni doni, che inizialmente erano dolci fatti con latte e miele (un richiamo alla terra promessa?).

Le prime testimonianze storiche sull’albero di Natale risalgono al XVI secolo e che, d’altro canto, non vi è prova storica della derivazione di quest’usanza natalizia dagli antichi culti germanici. La testimonianza più antica è costituita da una targa scritta in otto lingue, presente nella piazza della città di Riga, capitale della Lettonia, secondo cui il “primo albero di capodanno” fu addobbato nella città nel 1510. Inoltre, l’etnologo Ingeborg Weber-Keller, ha identificato una cronaca di Brema del 1570, che racconta di un albero decorato con mele, noci, datteri e fiori di carta. L’usanza di avere un albero decorato durante il periodo natalizio si diffuse poi nel corso del XVII-XVIII secolo in tutte le principali città della Renania.

In mancanza della prova di una diretta derivazione della tradizione dell’albero di Natale da antichi culti pagani, non rimane che cogliere il significato di questa usanza nell’ambito della stessa religione cristiana e della tradizione biblica sottostante, in cui si trova sviluppata una ricchissima simbologia dell’albero. Già nel secondo capitolo della Genesi troviamo, infatti, il riferimento a due alberi: l’albero della conoscenza del bene e del male (simbolo della tentazione dell’uomo di tutti i tempi di sostituirsi a Dio, ricercando in sé stesso, invece che nella legge di Dio, il fondamento di ciò che è bene e di ciò che è male) e l’albero della vita (simbolo della possibilità di vita immortale che Dio offre all’uomo disposto a compiere la Sua volontà), cui l’albero di Natale più verosimilmente si richiama. In numerosi passi dell’Antico Testamento, inoltre, l’albero è il simbolo del giusto, più volte identificato con il robusto cedro del Libano (per Prov 11, 30: “Il frutto del giusto è un albero di vita”), o della sapienza di Dio che sorregge il giusto (v. ad es. Prov 3,18: “E’ un albero di vita per chi ad essa [cioè alla sapienza] si attiene”). Nelle visioni degli antichi profeti biblici, l’albero indica, a seconda dei casi, il Messia nascente, che verrà a liberare il popolo di Israele (cfr. Isaia 11,1): “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici” – passo che la tradizione cristiana e la stessa liturgia della Chiesa applicano a Gesù Cristo-, o lo stesso Israele riscattato da Dio (cfr. Os 14,6: “Israele fiorirà come un giglio e metterà radici come un albero del Libano”). In Osea 14, 9 l’albero è addirittura indicato come l’emblema di Dio: “… io [il soggetto sottinteso è Dio] sono come un cipresso sempre verde; grazie a me tu porti frutto”.

La simbologia dell’albero è altresì presente nel Nuovo Testamento con riferimento innanzitutto a Cristo e alla sua Croce. San Giovanni, nel libro dell’Apocalisse, con sottile allusione al costato trafitto di Cristo, da cui sgorgò “sangue e acqua” (Gv 19, 34), riporta in visione: “In mezzo alla piazza della città [santa] e da una parte e dall’altra del fiume si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni” (Ap 22, 2). L’albero della vita qui è allegoria della Croce e le sue foglie simbolo della universalità della salvezza, recata da Cristo a tutti i popoli. Infine, nei Vangeli, l’albero è spesso presentato come il simbolo del regno dei cieli (così nella parabola del granello di senapa in Mt 13, 31-32: “Il regno dei cieli si può paragonare ad un granellino di senape, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi, ma una volta cresciuto diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo si annidano tra i suoi rami”) nonché della stessa Chiesa, popolo eletto della nuova alleanza (cfr., ad es., la parabola dei vignaiuoli omicidi in Mt 33, 45 ss.).

A fronte di una simbologia biblica così ricca, può seriamente sostenersi che l’albero è un simbolo pagano? A buon diritto l’albero può considerarsi un simbolo cristiano e la sua forza evocativa vale a spiegare la genesi della tradizione dell’albero di Natale, senza necessità di ricorrere a spiegazioni “paganeggianti” (peraltro mai suffragate storicamente). Un cristiano può dunque festeggiare il Natale anche facendo l’albero, senza timore alcuno di ripetere riti o di riprendere tradizioni pagane. 

Non a caso Beato Giovanni Paolo II a partire dal 1982 volle che in occasione delle festività natalizie in piazza San Pietro, accanto al presepe, fosse collocato un alto e robusto abete, finemente decorato con palline color oro e argento e con luci bianche e gialle. “L’abete sempre verde – ricordava Giovanni Paolo II – esalta il valore della vita, perché nella stagione invernale diviene segno della vita che non muore”. Facilmente l’albero natalizio si presta ad essere associato a Gesù Cristo, fonte, per noi cristiani, della vita che non muore. Le luci e le palline colorate, a loro volta, richiamano Cristo, luce del mondo, venuto a diradare le tenebre del peccato e della morte in cui è avvinta l’umanità. L’albero ben si presta allora ad una lettura “cristiana” e così viene da sempre inteso nei Paesi in cui questa tradizione è nata. Consapevole di questo, l’attuale Papa, Benedetto XVI, ha inteso dare continuità all’iniziativa del suo predecessore, spiegando che “l’abete posto accanto al presepe mostra a suo modo la presenza del grande mistero nel luogo semplice e povero di Betlemme”.

Perché allora da parte di qualcuno si sostiene che l’albero di Natale sia una tradizione pagana, assimilata nei secoli dal Cristianesimo, o che l’albero sia in sé un simbolo pagano la cui presenza nel Vaticano, cuore del cattolicesimo mondiale, è a dir poco inopportuna?

In realtà, quanti pervengono a sì frettolose e categoriche conclusioni sembrano cadere in un equivoco di fondo, confondendo la tradizione, tipicamente cristiana, dell’Albero di Natale con il simbolo dell’albero, che in sé e per sé considerato è presente in tutte le culture, anche precristiane, pur con significati profondamente differenti; e per di più ignorano che l’albero, come simbolo, non è appannaggio esclusivo delle culture “pagane”, trovando molteplicità di riscontri anche all’interno della Bibbia, tanto nel Nuovo quanto nell’Antico Testamento.

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Solo per fare un pò la pignola  e senza nulla togliere a san Bonifacio.....  molte tribù barbare, soprattutto i Goti, prima di penetrare da conquistatori nel cuore dell’impero, in oriente avevano avuto contatti con il cristianesimo.... ma lo avevano accolto nella versione ariana allora in auge, anche per l’opera svolta presso di loro dal vescovo Ulfila (311-383), traduttore della Bibbia in gotico. 
Una volta insediatisi nei territori occidentali, avevano portato con sé questa versione eretica del cristianesimo..... possiamo dire che san Bonifacio fu il ri-evangelizzatore dei popoli germanici 
 tanto è vero che si sospetta la facilità della Germania a vantaggio di Lutero e del suo protestantesimo, a causa di questa radice ariana che essendo penetrata fin dalla prima ora, di fatto rimase un pò alla sorgente di questi popoli   
 





Il Papa Benedetto XVI - Natale 2011 - accende l'albero di Natale di Gubbio: Ciascuno sia una luce per chi gli sta accanto; esca dall’egoismo che spesso chiude il cuore e spinge a pensare solo a se stessi; doni un po’ di attenzione all’altro, un po’ di amore. Ogni piccolo gesto di bontà è come una luce di questo grande Albero: insieme alle altre luci è capace di illuminare l’oscurità della notte, anche quella più buia




DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari abitanti di Gubbio!
Cari amici!

Ben volentieri ho accolto l’invito di accendere il grande Albero di Natale che ogni anno sovrasta la città di Gubbio. 
Ringrazio il Comitato organizzatore e, in particolare, il Vescovo Monsignor Ceccobelli per le parole che mi ha rivolto a nome della città e della diocesi eugubina. 
Un saluto a voi tutti, che siete nella Piazza di Gubbio o collegati attraverso la televisione!

Prima di accendere le luci dell’Albero, vorrei fare un triplice, semplice augurio.

Questo grande Albero di Natale è collocato sulle pendici del Monte Ingino sulla cui sommità, come ricordava il Vescovo, è situata anche la Basilica del Patrono di Gubbio, sant’Ubaldo. Guardandolo, il nostro sguardo è spinto in modo naturale verso l’alto, verso il Cielo, verso il mondo di Dio.

Il primo augurio, allora, è che il nostro sguardo, quello della mente e del cuore, non si fermi solamente all’orizzonte di questo nostro mondo, alle cose materiali, ma sia un po’ come questo albero, sappia tendere verso l’alto, sappia rivolgersi a Dio. Lui mai ci dimentica, ma chiede che anche noi non ci dimentichiamo di Lui!
Il Vangelo ci dice che nella notte del santo Natale una luce avvolse i pastori (cfr Lc 2,9-11) annunciando loro una grande gioia: la nascita di Gesù, di Colui che viene a portare luce, anzi di Colui che è la luce vera che illumina ogni uomo (cfr Gv 1,9). 
Il grande albero che tra poco accenderò domina la città di Gubbio e illuminerà con la sua luce il buio della notte.

Il secondo augurio è che esso ricordi come anche noi abbiamo bisogno di una luce che illumini il cammino della nostra vita e ci dia speranza, specialmente in questo nostro tempo in cui sentiamo in modo particolare il peso delle difficoltà, dei problemi, delle sofferenze, e un velo di tenebra sembra avvolgerci. 
Ma quale luce è capace di illuminare veramente il nostro cuore e donarci una speranza ferma, sicura? E’ proprio il Bambino che contempliamo nel santo Natale, in una semplice e povera grotta, perché è il Signore che si fa vicino a ciascuno di noi e chiede che lo accogliamo nuovamente nella nostra vita, chiede di volergli bene, di avere fiducia in Lui, di sentire che è presente, ci accompagna, ci sostiene, ci aiuta.
Ma questo grande Albero è formato da tante luci. 

L’ultimo augurio che vorrei rivolgere è che ciascuno di noi sappia portare un po’ di luce negli ambienti in cui vive: in famiglia, al lavoro, nel quartiere, nei Paesi, nelle Città. 
Ciascuno sia una luce per chi gli sta accanto; esca dall’egoismo che spesso chiude il cuore e spinge a pensare solo a se stessi; doni un po’ di attenzione all’altro, un po’ di amore. Ogni piccolo gesto di bontà è come una luce di questo grande Albero: insieme alle altre luci è capace di illuminare l’oscurità della notte, anche quella più buia.

Grazie allora, e scenda su tutti la luce e la benedizione del Signore.

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IL PAPA: L'ALBERO NATALIZIO SEGNO E RICHIAMO DELLA LUCE DIVINA

Città del Vaticano, 13 dicembre 2013 (VIS). Un abete "internazionale", è stato definito questa mattina dal Santo Padre l'albero di Natale, cresciuto vicino al confine tra la Germania e la Repubblica Ceca, che adorna Piazza San Pietro nelle festività natalizie e le cui luci saranno accese questa sera.

Ricevendo la comunità della città bavarese di Waldmünchen (Germania) - che dista 18 chilometri dl confine con la Repubblica Ceca e che quest'anno ha donato al Papa l'albero di Natale che decora Piazza San Pietro ed altri alberi più piccoli destinati a vari ambienti della Città del Vaticano - il Santo Padre ha ricordato la "vicinanza spirituale e l'amicizia che legano la Germania tutta, e in particolare la Baviera, alla Santa Sede, nel solco della tradizione cristiana che ha fecondato la cultura, la letteratura e l'arte della vostra Nazione e dell'Europa intera".

L'albero sarà ammirato dai romani e da pellegrini e turisti di ogni parte del mondo che si recano in Piazza San Pietro a Natale quando "riecheggia in ogni luogo il lieto annuncio dell'angelo ai pastori di Betlemme" che "furono avvolti da una grande luce". "Anche oggi Gesù - ha detto Papa Francesco - continua a dissipare le tenebre dell'errore e del peccato, per recare all'umanità la gioia della sfolgorante luce divina, di cui l'albero natalizio è segno e richiamo. Lasciamoci avvolgere dalla luce della sua verità perché 'la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù'".

Il Santo Padre ha preso congedo dalla comunità di Waldmünchen rinnovando il più fervido augurio di Buon Natale "a ciascuno di voi e vi chiedo di portarlo anche alle vostre famiglie e a tutti i vostri connazionali. Vi domando per favore di pregare per me".




 


Caterina63
00domenica 15 dicembre 2013 12:35
  Babbo Natale si chiamava San Nicola

di Guido Villa15-12-2013 
da la bussola quotidiana


Mese di dicembre, gli spot pubblicitari ci propongono fino alla noia uno strano personaggio vestito di rosso, con barba e baffi bianchi chiaramente posticci, che distribuisce regali. È il cosiddetto “Babbo Natale”, una fra le tante americanate che hanno invaso la nostra vita, certo più innocua di Halloween, ma sempre frutto di una mentalità mondano-protestante che cerca di svuotare e sbiadire i contenuti della nostra fede e che nulla ha a che fare con la nostra cultura cattolica.

Forse pochi lo sanno, ma Babbo Natale, che gli americani chiamano Santa Claus, o più semplicemente Santa, rappresenta l’impoverimento di un personaggio della cultura cristiana dell’Europa centrale germanica e slava. Se esaminiamo con più attenzione questo nome americano, comprendiamo subito che esso deriva da Sankt Nikolaus, San Nicola di Mira, che noi italiani chiamiamo anche San Nicola di Bari, dalla città dove riposano e vengono venerati i suoi resti mortali, e che festeggiamo ogni anno il 6 dicembre.

Cosa c’entra San Nicola con i doni? La tradizione racconta che quando era vescovo di Mira in Licia (nell’odierna Turchia) tra la fine del Terzo e l’inizio del Quarto secolo dopo Cristo, egli era solito aiutare i poveri, e dopo avere saputo di un uomo povero che aveva tre figlie da maritare, di nascosto gettò nella casa per tre notti consecutive un sacchetto pieno di denaro, ciascuno dei quali destinato ad acquistare la dote per una delle figlie di quell’uomo.

Ricordando questo e altri episodi di bontà verso i poveri, la moderna tradizione mitteleuropea fa di San Nicola un distributore di doni, che nella notte tra il 5 e il 6 dicembre entra nelle case, e negli stivaletti lasciati sotto una finestra, lascia ai bambini buoni un regalo, mentre ai bambini cattivi lascia, a titolo di avvertimento, una frusta.

Nelle rappresentazioni di San Nicola, prima del suo arrivo giungono sulla scena i cosiddetti Krampus, diavoletti che cercano di disturbare i bambini buoni e li tentano a diventare discoli. Subito tuttavia giunge il nostro santo, e la sua presenza è sufficiente per spingere i diavoli a una fuga disperata. Il contenuto edificante è piuttosto chiaro: solamente i bambini buoni ricevono da San Nicola un premio, mentre quelli cattivi sono ammoniti a cambiare strada per non subire una punizione. La sola presenza di San Nicola allontana i diavoli, poiché l’inferno non può resistere a Dio e ai Suoi eletti, a chi vive nella santità.

Il Sankt Nikolaus che porta i doni ai bambini è sempre rappresentato come vescovo (cattolico, naturalmente) in vesti liturgiche. Toglietegli l’anello vescovile, la mitria, il pastorale, la stola e la casula e avrete… Babbo Natale, il quale quindi è San Nicola cui è stata tolta la dimensione spirituale. Il messaggero del Signore che allontana il male e premia la bontà si è trasformato in apostolo del consumismo e dello sfrenato acquisto di beni, spesso non necessari alla nostra vita.

Purtroppo neppure la figura del vero San Nicola ha resistito all’ondata di buonismo che ha preso il posto della fede, divenuta sempre più fredda e come sale senza sapore. Egli è quindi diventato un portatore di buoni sentimenti, che si presenta dinanzi ai bambini raccomandando loro di essere buoni, di amare la mamma e il papà, di fare i compiti, di non dire parolacce … tutte cose senz’altro positive, tuttavia insufficienti quando si trascura di insegnare ai bambini di curare la dimensione spirituale della vita: amare Gesù e la Madonna, dire le preghiere la mattina e la sera, andare a Messa la domenica e seguirla con attenzione senza chiacchierare … tutte che cose che, se fatte, porteranno di per sé i bambini a essere buoni.

La figura di Babbo Natale ha ormai quasi soppiantato anche Gesù Bambino quale datore dei doni della Notte Santa. Anche in moltissime parrocchie, quando svolgono opere di carità nel tempo di Natale, si utilizza questa gelida figura senza comprendere che in questo modo si contribuisce allo svuotamento dei contenuti spirituali presso i fedeli.

A questo proposito bisogna quindi essere chiari e netti, anche con i bambini: Gesù Bambino porta i regali (dopo tutto, è il Suo Natale) e non Babbo Natale, poiché semplicemente questo buffo personaggio non esiste. È inoltre necessario essere coerenti e testimoniare anche nelle piccole cose la nostra fede cristiana: ad esempio, non augurando Buone Feste, bensì Buon Natale e Felice Anno Nuovo; inviando cartoline o e-mail di auguri raffiguranti temi religiosi, preferibilmente la Sacra Famiglia con Gesù appena nato, anziché pini, paesaggi innevati, palline colorate e animaletti di vario genere che non hanno nulla a che fare con la nascita del Signore Gesù.

Dopo tutto, è proprio quello di Gesù il Natale che noi cristiani festeggiamo.


 
Caterina63
00sabato 4 gennaio 2014 21:46




 





 



Nel nome di Gesù, "Dio Salva"
Il nome nella Bibbia e nel trigramma inventato da San Bernardino da Siena

Roma, 04 Gennaio 2014 (Zenit.org) Laura Guadalupi 

Gesù significa in ebraico “Dio salva” e, come si legge nel Catechismo della Chiesa Cattolica, esprime al tempo stesso la sua identità e missione: “Poiché Dio solo può rimettere i peccati, è Lui che, in Gesù, il suo Figlio eterno fatto uomo, ‘salverà il suo popolo dai suoi peccati’ (Mt 1, 21). Così, in Gesù, Dio ricapitola tutta la sua storia di salvezza a vantaggio degli uomini” (art.2, I. 430). Inoltre, prosegue il Catechismo,questo nome è al centro della preghiera cristiana e anche la preghiera del cuore, tanto diffusa tra gli orientali, è detta “Preghiera di Gesù”.

Scrive San Paolo, nella Lettera ai Filippesi (2, 8 – 11), che il Messia “si umiliò facendosi obbediente fino alla morte e alla morte in croce. Per questo Dio lo ha sopraesaltato ed insignito di quel nome che è superiore a ogni nome, affinché, nel nome di Gesù, si pieghi ogni ginocchio, degli esseri celesti, dei terrestri e dei sotterranei e ogni lingua proclami, che Gesù Cristo è Signore, a gloria di Dio Padre”. Ancora, nel Vangelo di Giovanni, Cristo dice agli apostoli: “Se mi chiederete qualcosa nel mio nome, io lo farò” (Gv, 14, 14).

Sono numerosi, insomma, i riferimenti biblici al Santissimo Nome di Gesù, che fu onorato nella Chiesa sin dai primi tempi, benché il culto liturgico sia iniziato solo nel XIV secolo per impulso del santo francescano Bernardino da Siena, che nei suoi “Discorsi” (Serm. 49 de nom. Iesu:; Opera omnia 4, 505-506) lo definisce “splendore degli evangelizzanti”, ossia dei predicatori. Il francescano tanto si prodigò che ne diffuse la devozione. Il 3 gennaio ricorre la memoria facoltativa del Santissimo Nome, ripristinata nel Calendario Romano dal Beato Giovanni Paolo II 

(dopo che fu addirittura rimosso con la recente Riforma liturgica del Concilio. In effetti, da quando Papa Innocenzo XIII estese la Festa del "Santissimo Nome di Gesù" a tutta la Chiesa nel 1721, tale è rimasta nel rito detto oggi Straordinario ripristinato da Benedetto XVI nel 2007 con il Summorum Pontificum, e si celebra fra il 2 e il 5 gennaio, oppure il 2 gennaio, quando non ricorre la domenica. Nota mia)



Ma torniamo a San Bernardino e ai confratelli che ne continuarono la predicazione, animati dal medesimo zelo apostolico. A Bernardino è legato il trigramma del nome di Gesù. Fu lui a inventarlo e a disegnarlo, tanto che è considerato il patrono dei pubblicitari. Ben presto divenne un emblema esibito sulle facciate di edifici pubblici e privati, finanche sul Palazzo Pubblico di Siena e sugli stendardi che precedevano il suo arrivo in qualche nuova città. Il trigramma ebbe un gran successo anche nel resto d’Europa, tanto che S. Giovanna d’Arco volle ricamarlo sul suo stendardo e, più tardi, venne adottato pure dai Gesuiti come emblema della Compagnia. Divennero sostenitori del culto e al Santissimo Nome dedicarono alcune delle chiese più belle in tutto il mondo come, ad esempio, la Chiesa del Gesù a Roma.

Ma vediamo più nel dettaglio il simbolo. È un sole raggiante su sfondo azzurro, con sopra le lettere IHS, ovvero le prime tre lettere del nome Gesù in greco ΙΗΣΟΥΣ (Iesûs). C’è da dire che sono state date anche altre spiegazioni alle lettere IHS, come l’abbreviazione del motto costantiniano “In Hoc Signo (vinces)”, oppure di “Iesus Hominum Salvator”. Gli altri elementi sono anch’essi significativi: con il sole centrale Bernardino volle alludere a Cristo, che al pari del sole, dà la vita, mentre suggerisce l’idea dell’irradiarsi della Carità.

Il sole emana calore attraverso i raggi: dodici sono serpeggianti, otto diretti, chiaro riferimento ai dodici Apostoli e alle otto Beatitudini. Una fascia circonda il sole: è la felicità senza fine dei beati. Anche i colori sono portatori di una ricca simbologia. Il celeste dello sfondo rappresenta la fede, l’oro sta per l’amore. L’asta sinistra dell’H venne allungata e tagliata in alto, così da formare una croce, croce che a volte è poggiata sulla linea mediana dell’H. Vennero poi riprese le parole in latino tratte dalla Lettera ai Filippesi a cui prima abbiamo fatto cenno: tutto il simbolo è circondato dalla frase “nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, sia degli esseri celesti, che dei terrestri e degli inferi”.

   




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