IL MONDO RURALE Dove nascono il pane e il vino Il valore del Cristianesimo

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Caterina63
00venerdì 24 agosto 2012 22:11

IL MONDO RURALE

Dove nascono il pane e il vino


Un saggio del vescovo emerito di Arezzo da 30giorni novembre 2005. La società contadina conserva ancora una sua originalità e un suo valore rispetto al mondo delle megalopoli e dell’hi tech?


di Giovanni D’Ascenzi

Mondo rurale e sue caratteristiche
Per mondo rurale in senso generale s’intende quella parte della società che vive in campagna. Pertanto comprende sia le famiglie degli addetti ai lavori dei campi e all’allevamento degli animali, che le altre categorie professionali (artigianato, commercio, ecc.) che partecipano dello stesso ambiente. Ordinariamente nella società rurale queste categorie sono economicamente a servizio dell’agricoltura e da essa condizionate.
Dal punto di vista socioculturale le caratteristiche preminenti del mondo rurale sono le seguenti:
Contatto con la natura e con le sue espressioni e manifestazioni: montagne, fiumi, laghi, deserti, boschi, coltivazioni, animali, sono oggetto di esperienza da parte di tutti. La natura appare in tutto il suo splendore e nella sua potenza, e con essa l’ingegno umano è impegnato a cimentarsi. L’ambiente naturale caratterizza notevolmente la società rurale e la civiltà con cui si esprime.
Professione agricola. Una percentuale più o meno elevata della popolazione la esercita, ne sperimenta i rischi e le soddisfazioni, partecipa da vicino, spesso come protagonista o collaboratore, ai fenomeni della produzione dei beni agricoli. Ai rurali non agricoltori la professione agricola è nota in tutte le sue fasi, perché osservata quotidianamente nei volti degli uomini, nei campi coltivati, in connessione con il variare delle stagioni e del clima. Il lavoro agricolo diviene quindi una componente culturale, che dà immagini alle conversazioni e presta i termini anche alle espressioni spirituali e religiose.
Comunità di piccole dimensioni, quindi a misura d’uomo. In genere la gente di campagna è raggruppata in comunità piccole, dove tutti si conoscono e si scambiano servizi; i comportamenti individuali, e ancor più i rapporti reciproci, sono ispirati da valori condivisi, che si trasmettono di padre in figlio e da cui deriva un patrimonio di norme non scritte, che tutti sentono il dovere di rispettare.
La combinazione di queste caratteristiche fa il mondo rurale e si ritrova nelle società rurali di tutti i tempi e di tutti i luoghi, da quando gli esseri umani incominciarono a coltivare le piante e ad allevare gli animali per provvedere il necessario a loro stessi e alle loro famiglie.

Mondo rurale pre-tecnico e religione
L’evoluzione della società rurale è stata assai lenta, al punto da essere definita “statica”, finché non è entrata in contatto con le scienze e le tecniche moderne. Pertanto si può parlare di un “mondo rurale pre-tecnico” e di un “mondo rurale tecnicamente evoluto”, come di due società profondamente diverse, tuttavia sempre caratterizzate dal contatto con la natura, dalla professione agricola, da comunità locali a dimensioni modeste.
Nel mondo rurale pre-tecnico i comportamenti professionali, familiari, sociali sono regolati dalla tradizione: esperienza di generazioni passate, trasmessa con fedeltà e osservata.
La tradizione tende a rimanere stabile e si modifica assai lentamente. La tradizione è pure il fondamento della cultura nelle sue più varie espressioni, da quella orale a quella impressa nei manufatti. La tradizione ha negli anziani i depositari e i tutori a un tempo; per questo il mondo rurale ordinariamente affida agli anziani l’esercizio del potere. Il passato è la legge del futuro.
In questo tipo di società la religione ha un ruolo di primaria importanza, anzi è fondamentale. Anche l’osservatore superficiale nota che la vita individuale, professionale, familiare e sociale del rurale è permeata di riti, feste, segni religiosi. La religione dà la spiegazione ultima della realtà, la religione sostiene la speranza, la religione dà fondamento alle leggi morali, dà stabilità alla vita sociale.
In definitiva la religione si presenta come un complesso di credenze, pratiche, istituzioni, che hanno rapporto con il sacro. “Sacro” per il rurale è tutto ciò che ha relazione con l’“al di là” inteso come ciò che è oltre il mondo sensibile e oltre la morte.

Pertanto anche la tradizione è sacra, in quanto trasmessa dagli antenati che in essa continuano a vivere; di conseguenza il dovere di rispettare la tradizione, trasmetterla fedelmente, difenderne l’integrità, è considerato come dovere religioso; i valori etnici, culturali e religiosi formano un tutt’uno inscindibile e distaccarsi dalla religione è distaccarsi a un tempo dal popolo cui si appartiene.

Origine della religiosità del rurale
Donde trae origine la religiosità del rurale? Di fatto il ricorso all’“al di là” nel mondo rurale pre-tecnico è sistematico, sia che si tratti di spiegare fenomeni di cui la causa è ignota, sia che si tratti di superare un ostacolo, o evitare felicemente un rischio. Ignoranza e paura frequentemente alimentano la religiosità del rurale, stimolano il ricorso al rito propiziatorio, provocano il gesto religioso. Tuttavia attribuire all’ignoranza e alla paura la causa della credenza religiosa è quanto meno superficiale.
Forse è più esatto riconoscere la sorgente del sentimento, o credenza religiosa, del rurale nell’intuizione dell’“al di là” o del divino, derivante dall’esperienza vitale e continua della natura, esperienza che assume significato singolare per chi esercita la professione agricola.
Per il rurale pre-tecnico la natura a contatto della quale vive è una realtà immensa, complessa, misteriosa; da essa dipende la possibilità di sopravvivere, spesse volte da essa proviene il rischio di soccombere. Il rurale che cerca di unire alle energie della natura la sua “arte” nel coltivare i campi comprende ancor meglio il valore della natura e il suo legame vitale con essa.
La constatazione della grandezza e della potenza della natura e delle sue forze vitali è però sempre associata all’esperienza della morte che segna il destino di tutte le cose, sicché la natura gli appare come un alternarsi, quasi una danza, di morte e vita. Di qui l’intuizione del “limite” in cui tutto è avvolto e al tempo stesso la “certezza” dell’esistenza di un essere “al di là” del mondo sensibile, padrone di tutto e non soggetto alla morte.

Donde il moltiplicarsi dei riti di propiziazione per ingraziarsi i favori di questo “essere” o di questi “esseri” che hanno potere sulla natura. Per comprendere la legittimità e il significato profondo di questa esigenza religiosa e delle sue espressioni, occorre comprendere l’assillo tormentoso del rurale pre-tecnico impegnato fino allo spasimo per sopravvivere. Per questo motivo il fiume, ora fecondo e talvolta minaccioso, poteva diventare sacro; per lo stesso motivo, sacri gli alberi, gli animali utili, le montagne; tutta la natura era per lui sacra ed era la manifestazione della divinità. Chi afferma che la religiosità del rurale ha caratteristiche cosmologiche e biologiche dice il vero; queste caratteristiche tuttavia non ne sminuiscono il valore di testimonianza singolarmente valida: la religione come conquista di un’esperienza vissuta a contatto con la natura, frutto di una intuizione, cui spetterà al filosofo dare la veste di un rigoroso sillogismo.
Se il mondo della natura all’uomo moderno appare enigmatico, in quanto non ha in sé la ragione sufficiente del suo esistere, ed ambiguo, in quanto può indurre al panteismo, il rurale primitivo ha risolto l’enigma e ha superato l’ambiguità con la fede religiosa, anche se espressa con molte scorie e con antropomorfismi.
Il concetto di sacralità della natura largamente diffuso tra i rurali deriva dalla convinzione che la natura appartiene a Dio, ha origine da Dio e manifesta la potenza divina. Pertanto la natura va rispettata come un dono di Dio di cui si deve rendere conto. Del pari, dono di Dio sono i prodotti della terra. Ogni sfruttamento irrazionale della natura assume il significato di un’offesa all’ordine voluto da Dio; ogni abuso sconsiderato è giudicato un disordine morale; la concentrazione della terra in mano di pochi urta contro l’intima coscienza del rurale che Dio ha creato la terra per tutti gli uomini ed è ritenuta come una grave ingiustizia. La professione agricola, operando a contatto con la natura “sacra”, diviene pur essa una cosa sacra, cara alla stessa divinità; una missione divina, secondo la Bibbia.


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Caterina63
00venerdì 24 agosto 2012 22:13

 

Valori etico-religiosi del mondo rurale
Da questa concezione religiosa deriva tutta una serie di valori etici, che sono al tempo stesso religiosi, in quanto l’ordine etico è attribuito a Dio, la sua trasgressione richiama la punizione divina, il suo rispetto merita il premio da Dio in questa vita e/o in quella futura.
Il lavoro-dovere morale. Il lavoro dei campi è duro, rischioso. Spesso, nonostante il lavoro assiduo, la terra non dà prodotti a sufficienza. D’altra parte proprio dal lavoro dei campi proviene la maggior parte degli alimenti; pertanto il lavoro, per chi è in buona salute, assume il carattere di un dovere morale: tutti debbono lavorare, nessuno ha il diritto di vivere sul lavoro degli altri. Chi lavora è stimato; chi non lavora è disprezzato e sarà punito da Dio, perché il lavoro è un comando divino. Il lavoro per vivere, non per guadagnare. Nell’antica concezione rurale del lavoro non entra il concetto di profitto: il lavoro è al servizio dell’uomo e della sua sussistenza. Il profitto era perseguito dall’arte della mercatura, verso la quale la mentalità rurale aveva molte riserve.

In questo tipo di società la religione ha un ruolo di primaria importanza, anzi è fondamentale. Anche l’osservatore superficiale nota che la vita individuale, professionale, familiare e sociale del rurale è permeata di riti, feste, segni religiosi. La religione dà la spiegazione ultima della realtà, la religione sostiene la speranza, la religione dà fondamento alle leggi morali, dà stabilità alla vita sociale
La concezione sacrale si estende al matrimonio e alla famiglia. Dio è l’autore della vita, pertanto il matrimonio, istituzione per la trasmissione della vita, fa parte dell’ordine voluto da Dio ed è sacro. Le leggi morali che lo regolano, e che regolano i rapporti tra genitori e figli, sono sacre e hanno la sanzione divina.

Per questo motivo la famiglia del rurale si nutre di religione e la trasmette; quando questa funzione non è più svolta dalla famiglia, la religione entra in profonda crisi; parimenti quando la concezione del matrimonio e della famiglia è dissociata dalla religione, la stabilità familiare ne soffre.

L’ordine etico-religioso è pure a fondamento della vita sociale, cioè dei rapporti e dei valori all’interno della società nonché delle istituzioni con cui la società si esprime. Pertanto le leggi, orali o scritte, oltre a una sanzione umana, hanno una sanzione divina; l’autorità è sacra; la protezione della comunità è affidata a un santo (o divinità); molte istituzioni, soprattutto quelle assistenziali, assumono un carattere religioso; le stesse attività economiche (fiere, mercati) coincidono con festività religiose; le attività culturali e artistiche pur esse sono per lo più a contenuto religioso.
Nelle società rurali pre-tecniche la religione costituisce un elemento singolare di coesione, una costante culturale, una consolazione nelle calamità pubbliche, una speranza, una forza di ripresa. L’attenuarsi del senso religioso in queste società rompe gli equilibri e pone problemi di non facile soluzione.

Mondo rurale e progresso scientifico-tecnico
Si è detto che caratteristica fondamentale della civiltà rurale pre-tecnica è la tradizione: la trasmissione, cioè, fedele dei valori, delle certezze, dei costumi, dei comportamenti, senza la preoccupazione di cercare e spiegare il perché. Questo atteggiamento acritico appare accentuato quando la tradizione ha per oggetto il “sacro” e ciò che lo riguarda, verso il quale il rurale ha avuto sempre rispetto misto a timore; entra in crisi con il diffondersi del progresso scientifico-tecnico.
La formulazione delle prime leggi scientifiche nel campo della natura e l’invenzione dei più elementari mezzi tecnici hanno richiesto millenni alla storia umana. In questi ultimi secoli, e ancor più nei decenni del nostro, scienza e tecnica hanno fatto progressi rapidi e prodigiosi.
Alla staticità è subentrato il dinamismo; alla preoccupazione di conservare il patrimonio tradizionale, quella di superarlo, andando alla ricerca del nuovo. Scienza e tecnica si sono impossessati, o si stanno impossessando, anche dell’agricoltura (chimica, biologia, meccanica, ecc.), demolendo opinioni, metodi di lavoro, certezze rimaste per secoli indiscusse. I processi vitali sono per lo più noti nelle loro circostanze, seguiti o modificati mediante mezzi tecnici; le malattie, gli insetti nocivi si può dire che sono sotto controllo; le conoscenze nel campo della genetica consentono interventi da produrre miracoli. L’agricoltore sa di più e può di più; incomincia ad aver più fiducia nelle sue capacità e nei progressi tecnici, che nei riti religiosi.


Progresso scientifico-tecnico e religione dei rurali
La diffusione del progresso scientifico-tecnico è di pregiudizio per la religiosità del rurale?
Parlando di scienze, qui si fa riferimento alle scienze empiriche. Tra conoscenze empiriche, proprie della cultura tradizionale, e scienze empiriche c’è differenza notevole. Le prime si acquisiscono osservando il ripetersi dei fenomeni senza capirne le cause immediate che li producono e le leggi che li regolano; le seconde danno dei fenomeni, delle cause che li producono, delle circostanze in cui si verificano, cognizioni sistematiche, sì da fare previsioni e consentire interventi i cui risultati sono già noti in partenza. Tuttavia le scienze empiriche rimangono nell’ambito dell’“empiria”, sono cioè scienze del “fenomeno”, non esauriscono le conoscenze, lasciano insoluti numerosi perché, non sono capaci di dirci l’essere intimo delle cose, la loro origine, il loro fine.

La risposta agli altri perché viene da altre scienze, in particolare dalla scienza dell’“essere”. Tuttavia le scienze empiriche, consentendo all’essere umano di conoscere le leggi immanenti e razionali che regolano i fenomeni del mondo sensibile e il loro divenire, ne confermano la contingenza e aprono la strada verso la certezza motivata dall’esistenza di un Essere invisibile, intelligente, creatore dell’ordine naturale.


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Caterina63
00venerdì 24 agosto 2012 22:15

Questo in teoria; in pratica il cammino è più difficoltoso. Scienza e tecnica sviluppano, con il senso critico, l’esigenza della verifica: da questa esigenza non va esente la tradizione religiosa, la quale, quando è sostenuta quasi esclusivamente dal controllo sociale e trasmette credenze superstiziose, riti magici, norme opprimenti, rischia seriamente il ripudio o viene accettata solo come folklore.

Se poi durante questa fase di revisione critica il rurale si trova aggredito dalla proposta di un modello di vita ispirato all’edonismo e al materialismo pratico, quale è quello reclamizzato oggi sistematicamente dai mezzi di comunicazione sociale e vissuto anche da larghi ceti popolari, la religione, che ha visto connessa con la secolare vita di privazioni e di sacrifici cui erano condannati i ceti contadini, gli appare anacronistica, anzi un fardello di cui liberarsi quanto prima.

La crisi interiore del rurale di fronte a queste suggestioni e sollecitazioni è aggravata dal senso d’inferiorità che questi prova, particolarmente quando si trova fuori del suo ambiente, nei confronti della società urbana, la quale per di più custodisce e fa pesare un atteggiamento di superiorità verso il mondo rurale.

Quando però l’uomo dei campi supera la crisi interiore e trasforma la fede tradizionale in fede personale, purificata da eventuali scorie e interiorizzata, forse ricorrerà meno al rito di propiziazione e più ai mezzi chimici quando si trova nella necessità di combattere le malattie del bestiame o di disinfestare il campo dagli insetti, ma conoscerà i momenti intensi della preghiera di contemplazione e di lode, sì da rendere testimonianza singolare, lui che ha il privilegio di entrare in comunione con Dio, lavorando la terra, della validità perenne della religione e del suo fondamento razionale.
In sintesi: il processo di revisione critica viene avviato dal progresso scientifico-tecnico; la spinta verso il ripudio della religione proviene piuttosto dal modello di vita urbano-industriale.

Ruolo profetico della religiosità dei rurali nella società moderna
Ha una funzione etico-religiosa il mondo rurale nella civiltà moderna? A prima vista il quesito può apparire ingenuo, se non pretenzioso. Nelle società industrializzate gli addetti agricoli tendono a diminuire di numero fino a ridursi a poche unità ogni cento occupati; le campagne si spopolano; il modello di vita urbano si generalizza (o almeno così sembra); chi parla di città e campagna, ne parla in termini di integrazione o di assimilazione, naturalmente con quella in posizione dominante: ha dunque un futuro il mondo rurale?
Il rischio che il mondo rurale sia ridotto al margine, o quasi sommerso, fu più volte denunciato con singolare intuizione da Pio XII venticinque o trent’anni fa. Quel Papa non cessava di affermare la necessità di «conservare alla vita spirituale, sociale, economica del mondo rurale la sua fisionomia, e assicurarle sull’intera società umana un’azione, se non preponderante, almeno uguale» (ai partecipanti al Congresso internazionale sulla vita rurale, 2 luglio 1951).

Pio XII vide in modo profetico che sia il capitalismo industriale che il marxismo trascuravano il mondo rurale, anzi lo aggredivano mettendo in pericolo la sopravvivenza della sua civiltà. Non fa meraviglia, perché in fondo capitalismo e marxismo hanno puntato le loro carte sullo sviluppo dell’industria a scapito dell’agricoltura e sulle concentrazioni urbane, che offrono all’uno masse di consumatori, all’altro masse di manovra.
Il rischio che il mondo rurale sia ridotto al margine, o quasi sommerso, fu più volte denunciato con singolare intuizione da Pio XII. Quel Papa non cessava di affermare la necessità di «conservare alla vita spirituale, sociale, economica del mondo rurale la sua fisionomia, e assicurarle sull’intera società umana un’azione, se non preponderante, almeno uguale»

In comune perseguono il mito della produzione e concepiscono il lavoro umano a servizio della produzione, non molto preoccupati del ruolo di responsabilità e di iniziativa che viene assicurato al lavoratore. Donde l’ambiente alienante delle fabbriche a grandi dimensioni (capitaliste o socialiste), dove il lavoro è parcellato e spersonalizzato; donde lo sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali; l’inquinamento dell’ambiente; infine, dal punto di vista socio-economico, gli squilibri regionali, settoriali e sociali e il fenomeno della concentrazione urbana.

L’assillo dell’economicità e della concorrenza ordina di fatto le scelte e i processi produttivi escludendo le considerazioni etiche; il lavoro-dovere, valore tradizionale del mondo rurale, cede il posto al lavoro-guadagno; la collaborazione interpersonale viene sostituita da una conflittualità permanente tra le classi. In questo ambiente, modesto rimane lo spazio per l’affermazione della persona e per i valori dello spirito; vi allignano invece e prosperano il materialismo pratico, l’edonismo e l’ateismo di massa.
Il mondo rurale moderno, per quanto ridotto a un “resto” di piccole proporzioni e aggredito dalle sollecitazioni e dalle suggestioni della civiltà industriale, presenta ancora condizioni socio-ambientali profondamente diverse e sperimenta un diverso modo di vivere e di convivere. Prevale ancora, nel mondo rurale, il lavoro personale, responsabile, dove chi lo esercita si sente protagonista; i rapporti sociali sono interpersonali, fondati sulla conoscenza reciproca, aperti al rispetto, all’amicizia, alla solidarietà. Sa, il rurale, che nella natura v’è un ordine immanente, di cui lui stesso fa parte; questo ordine è complesso, delicato e l’essere umano deve comprenderlo e conservarlo con religioso rispetto. In fondo la concezione della vita e del cosmo propria del rurale fu una concezione “sacrale”, o meglio etico-religiosa: questa, in ultima analisi, è tutt’ora la caratteristica di fondo della sua civiltà, l’annuncio profetico che proclama al mondo urbano-industriale.

Di questo carattere naturaliter religioso si faceva interprete Paolo VI parlando ai coltivatori italiani il 16 novembre 1969: «L’agricoltura ha un significato di devozione e un significato di comunione: di devozione, anzitutto, perché essa facilita il contatto con Dio attraverso il contatto con la natura viva, che più profonda porta in sé l’orma dell’onnipotenza creatrice di Dio, e la manifesta nelle varie sue forme animate, in cui pulsa la vita, sia quella degli esseri viventi del mondo animale, sia quella segreta di cui pullula nascostamente la madre terra, prorompendo nelle sue stupende produzioni che si rinnovano ogni anno.
Il vostro non è perciò un contatto con la natura inerte e inanimata, con la materia bruta e renitente e sorda, che l’uomo deve piegare a sé con violenza, con meccanicità ripetuta e monotona, come avviene nel mondo dell’industria, peraltro degno del più grande rispetto. L’agricoltura ha poi anche il significato di comunione con i fratelli, perché è al servizio e al vantaggio diretto della vita corporale dell’uomo, offre alla comunità umana gli elementi primordiali della sua sussistenza fisica, le cose buone che hanno il profumo antico del pane e del vino, e che pure costano il sudore della fronte e una assidua e solerte cura, che pur voi sapete dare gioiosamente e saggiamente.
Questi valori hanno sempre avuto la loro efficacia, ma oggi più che mai se ne avverte il bisogno, perché il mondo in cui viviamo è desacralizzato, è arido, è egoistico, in un collettivismo che è la risultante come di tante monadi isolate e talora l’una all’altra nemica; questo perché oggi l’uomo – come ha scritto con penetrante analisi un degnissimo Pastore, il cardinal Frings – “non incontra più l’opera di Dio, ma quella degli uomini che vi si è sovrapposta. È chiaro che ciò ha ripercussioni decisive sul suo intero atteggiamento spirituale.

Nella storia dell’umanità l’incontro con la natura fu sempre uno dei più vitali sbocchi della esperienza religiosa... Se dunque l’accesso alla natura è profondamente modificato o cambiato del tutto, viene inaridita una delle primordiali sorgenti della realtà spirituale. Che l’ateismo dell’evo contemporaneo si sia potuto diffondere anzitutto nell’ambiente tecnico dei lavoratori dell’industria, e vi si sia affermato nel modo più vigoroso, questo ha certamente varie spiegazioni, a cominciare dalle ingiustizie compiute dal primo capitalismo, ma una delle più importanti sta proprio qui”».

Può influire il mondo rurale, anche dal punto di vista religioso, nella civiltà moderna? Non mancano condizioni favorevoli: la diffusa consapevolezza che il modello di sviluppo economico fin qui seguito non sia quello giusto.
Le riserve delle materie prime si assottigliano e verrebbero esaurite in pochi decenni se tutti i popoli raggiunsero livelli medi di consumo simili a quelli dei Paesi industrializzati d’Occidente. Del pari l’inquinamento dell’ambiente e le concentrazioni urbane creano preoccupazioni gravissime e situazioni difficilmente governabili; vengono gradualmente riscoperti la campagna, la serenità dell’ambiente rurale, il valore umano del lavoro agricolo, attraverso i moltiplicati contatti tra città e ambiente rurale: il che può favorire un dialogo promettente; si avverte l’esigenza di ricondurre il processo produttivo a servizio dell’uomo e che l’uomo ne sia protagonista; si avverte pure l’esigenza di ricomporre i rapporti tra le classi in rapporti umani, in cui la giustizia, la collaborazione, la solidarietà all’interno delle imprese, tra i settori produttivi e tra i popoli non siano solo belle parole.


Proposte conclusive
Sembra quindi che sia giunto il momento favorevole per una rivalutazione del mondo rurale, sì da riconoscergli il ruolo che gli spetta in campo economico, sociale e religioso nella vita moderna e che ora sembra posto nell’ombra.
Il primo presupposto perché questa funzione non rimanga solo un’utopia sterile è la presa di coscienza di questo ruolo da parte dei rurali stessi, il che comporta una vasta azione educativa.

Alla presa di coscienza deve far seguito l’impegno di vivere in maniera conforme alla propria identità: il che esige la mobilitazione di forze tradizionali e nuove del mondo rurale: la famiglia, la Chiesa, la scuola, le organizzazioni professionali, economiche, politiche.
Terzo momento: il mondo rurale deve aprirsi al dialogo con le altre componenti sociali e alla partecipazione attiva per la costruzione di una società diversa, cogliendo tutte le occasioni favorevoli e servendosi di tutti gli strumenti possibili. Ciò è indispensabile, non solo per salvare i valori di civiltà di cui il mondo rurale è portatore, ma anche per evitare l’appiattimento di una società-civiltà, caratterizzata e dominata dai processi produttivi e dalle leggi economiche dell’industria.

Sono proposte che esigono approfondimento e specificazione: vengono affidate al dibattito illuminato e appassionato tra coloro che del mondo rurale hanno esperienza viva e al mondo rurale dedicano mente e cuore.

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