IL SEGNO DELLA CROCE (segno e simbolo fondamentale per ogni Cattolico)

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Caterina63
00domenica 30 agosto 2009 22:43

IL SEGNO DELLA CROCE





segno della croce

Il SEGNO DELLA CROCE è un sacramentale per tutti i momenti del giorno

Semplice da fare, ci difende dal male, ci protegge contro gli attacchi del demonio e ci fa ottenere preziose grazie di Dio. Nel mentre ci segnamo è tutta la Santissima Trinità che viene a toccarci nella mente e nel cuore.

Sul finire del quarto secol­o, una grande moltitudi­ne riunita intorno ad un pino aspettava con trepidazione l'epilogo di un avvincente episodio. Il vescovo San Martino di Tour aveva fatto saccheggia­re un tempio pagano ed aveva deciso di tagliare il pino che si trovava vicino al locale ed era oggetto di culto idolatrico. A questo si sono opposti nu­merosi pagani che hanno lanciato una sfida: avreb­bero acconsentito all'ab­battimento dell’"albero sacro" se il Santo, come prova della sua fede in Cristo, fosse stato dispo­sto a rimanere legato sot­to di questo, mentre essi stessi lo tagliavano.

Così fu fatto. E vigorosi colpi di accetta in poco tem­po hanno fatto sì che il tron­co cominciasse a pendere ... in direzione della testa dell'uomo di Dio. I pagani si ralle­gravano ferocemente per questo, men­tre i cristiani guardavano con angustia verso il loro santo vescovo. Costui ha fatto il segno della croce e il pino, come spinto dal soffio di una potente raffica di vento, è caduto dall'altra parte sopra alcuni dei più ferrei nemici della Fede. In questa occasione, molti si sono con­vertiti alla Chiesa di Cristo.

Indietro al tempo degli Apostoli

Secondo la tradizione, corrobora­ta dai Padri della Chiesa il segno della croce risale al tempo degli Aposto­li.

Alcuni affermano che lo stesso Cri­sto, durante la sua gloriosa Ascensio­ne, ha benedetto i discepoli con questo simbolo della sua Passione Redentri­ce. Gli Apostoli e oltretutto discepoli avrebbero, di conseguenza, propagato questa devozione nelle loro missioni. Già nel secondo secolo, Tertulliano, il primo scrittore cristiano di lingua la­tina, esortava: "Per tutte le nostre azioni, quando entriamo od usciamo, quando ci vestiamo o facciamo il bagno, seduti a tavola o accendendo una cande­la, quando andiamo a dormire o a sederci, all'inizio del nostro lavoro, facciamoci il segno della croce".

Questo segno benedetto è oc­casione di grazie tanto nei mo­menti più importanti quanto nei più ordinari della vita cri­stiana. Esso ci si presenta, per esempio, in diversi sacramen­ti: nel Battesimo, nel momen­to in cui si segna con la cro­ce di Cristo colui che Gli ap­parterrà, nella Cresima, quan­do riceviamo sulla fronte l'olio santo, o ancora, all'ultima ora della nostra vita, quando siamo graziati con l'Unzione degli In­fermi. Ci facciamo il segno della Croce all'inizio e alla fine delle preghiere, passando davanti ad una chiesa, ricevendo la benedizione sa­cerdotale, all'inizio di un viaggio, ecc.

Una devozione ricca di significato

Il segno della croce ha innumere­voli significati, tra i quali si segnalano in particolare i seguenti: un atto di de­dizione a Gesù Cristo, un rinnovo del Battesimo ed una proclamazione delle principali verità della nostra Fede: la Santissima Trinità e la Redenzione.<O:P> </O:P>

Il modo di farlo anche è ricco di simbolismo ed ha sofferto alcune alte­razioni nel corso del tempo.

La prima di queste sembra essere stata frutto di una controversia con la setta dei monofisiti (sec.V), i quali si facevano il segno della croce usando solo un dito, volendo con questo signi­ficare che nella persona di Cristo il di­vino e l'umano erano riuniti in una so­la natura. In opposizione a questa falsa dottrina, i cristiani sono passati a far­si il segno della croce unendo tre di­ta (pollice, indice e medio), per sot­tolineare il loro culto della Santissi­ma Trinità, ed appoggiando le altre di­ta al palmo della mano, per simboliz­zare la doppia natura (divina ed uma­na) di Gesù. Oltretutto, in tutta quan­ta la Chiesa, i cristiani di quest'epoca si facevano il segno della croce in sen­so contrario a quello in uso oggi, ossia, dalla spalla destra verso quella sinistra.

Innocenzo III (1198-1216), uno dei più grandi papi del periodo medievale, ha dato la seguente spiegazione sim­bolica di questo modo di farsi il segno della croce: "Il segno della croce deve essere fatto con tre dita, poiché si fa con l'invocazione della Santissima Trinità.

Il modo deve essere dall'alto al basso e da destra a sinistra, perché Cristo è sceso dal Cielo sulla terra ed è passato dai giu­dei (destra) ai gentili (sinistra)" Attual­mente questa forma continua ad esse­re usata solo nei riti cattolici orientali.

All'inizio del secolo XIII, alcuni fe­deli, imitando il modo del sacerdote di dare la benedizione, hanno comin­ciato a farsi il segno della croce da si­nistra verso destra, con la mano piat­ta. Lo stesso Papa racconta il motivo di questo cambiamento: "Vi sono alcuni, in questo momento, che fanno il segno della croce da sinistra verso destra, a si­gnificare che dalla miseria (sinistra) pos­siamo giungere alla gloria (destra), così come è successo con Cristo nel salire al Cielo. (Alcuni sacerdoti) fanno in questo modo e le persone cercano di imitarli". Questa forma è finita per diventare co­stume in tutta la Chiesa nell'Occiden­te, e così rimane fino ai nostri giorni.

Benefici effetti

Il segno della croce è il più antico e principale sacramentale, termine che significa, un "segno sacro", mediante il quale, ad imitazione dei sacramen­ti, "sono significati principalmente effet­ti spirituali che si ottengono per suppli­ca della Chiesa" (CIC, can.1166). Esso ci difende dal male, ci protegge contro gli assalti del demonio e ci rende pro­pizia la grazia di Dio. San Gaudenzio (set. IV) afferma che, in tutte le circo­stanze, esso è "una invincibile armatu­ra dei cristiani".

Ai fedeli che si mostravano turba­ti o tentati, i Padri della Chiesa consi­gliavano il segno della croce come ri­medio dall'efficacia garantita.

San Benedetto da Norcia, dopo aver vissuto per tre anni come eremita a Su­biaco, fu cercato da un gruppo di mo­naci che abitavano lì vicino, i quali gli chiesero che accettasse di essere il loro superiore. Tuttavia, alcuni monaci non condividevano questo progetto, e ten­tarono di ammazzarlo, offrendogli pa­ne e vino avvelenati. Quando San Be­nedetto fece il segno della croce sugli alimenti, il bicchiere di vino si ruppe, ed un corvo volò fino al pane, lo pre­se e lo portò via. Questo fatto è ricor­dato ancor oggi nella "Medaglia di San Benedetto".

Ave, o Croce, nostra unica speran­za! Nella Croce di Cristo, e solo in essa, dobbiamo confidare. Se essa ci sostiene, non cadremo, se essa è il nostro rifugio, non ci scoraggeremo, se essa è la nostra forza, che cosa potremo temere?

Seguendo il consiglio dei Padri della Chiesa, mai ci sia da parte nostra senso di vergogna nel farlo di fronte agli altri o negligenza nell'utilizzare questo effica­ce sacramentale, poiché esso sarà sem­pre il nostro rifugio e protezione.


Tratto dalla rivista: “Salvami Regina”; anno VII; numero 17; luglio 2005

Caterina63
00domenica 30 agosto 2009 23:11

Il segno di croce significa ritornare a Cristo

Con la sua morte in croce per amore dei peccatori Cristo ha levato dal mondo la maledizione del pec­catore. L'uomo però continua sempre a peccare e la Chiesa deve sempre aiutare a effettuare la Reden­zione in nome del Signore. E ciò avviene in modo particolare per mezzo della S. Messa e dei Sacra­menti, ma anche per mezzo dei Sacramentali: bene­dizioni dei sacerdoti, acqua santa, ceri benedetti, olio benedetto, ecc.

Ogni segno di croce fatto con fede è già un segno di benedizione. La croce irradia una corrente di benedizione per tutto il mondo, per ogni anima che crede in Dio e nella forza della croce. Ogni uomo unito a Dio può compiere la Redenzione ogni volta che fa un segno di croce.

La benedizione appartiene assolutamente ai cristiani.

                                                                    segno della croce

Il Sacerdote BENEDICENTE APPLICA UN ATTO CHE PROVIENE DAL CRISTO...

Quando il Sacerdote, all'interno del Confessionale, assolve il penitente (Gv. 20, 23), lo assolve "Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" e a sua volta il penitente, si SEGNA con il segno della Croce...riconoscenda in essa IL PREZZO DELLA SALVEZZA....

Prendi ogni mattino un po' d'acqua santa, fa' un segno di croce e di': "In nome di Gesù benedico tutta la mia famiglia, benedico tutti coloro che incontrerò. Benedico tutti coloro che si raccoman­dano alle mie preghiere, benedico la nostra casa e tutti coloro che vi entrano ed escono.”

Ci sono moltissime persone, uomini e donne, che lo fanno ogni giorno. Anche se questo atto non si sente sempre, esso ha sempre un effetto positivo. La cosa principale è questa: fare il segno di croce ada­gio e dire la formula di benedizione con il cuore
...




Il segno della Croce
dall'Oriente (=Ortodossi)
ad Occidente (=Latini)


Il segno della Croce è un gesto che il cristiano ortodosso compie nella sua preghiera e in ogni momento della giornata per ricordare Dio. Il gesto è una confessione e, nello stesso tempo, una petizione. Con il segno della Croce si confessa che la morte è stata sconfitta dalla morte e risurrezione di Cristo. La Croce non è dunque un segno di morte e di finitezza ma di vita perché unisce veramente i credenti con la sorgente della vita stessa. Il segno della Croce è anche una petizione con la quale si chiede la partecipazione a quella vita trasfigurata anticipata dalla Resurrezione di Cristo, vita che non conosce termine.

Questo segno non deve essere un gesto sporadico o superstizioso. Il suo vero senso si coglie quando nasce da una fede profonda e da un cuore contrito. Come gesto coinvolge anche il corpo che prega con l'anima: la redenzione cristiana coinvolge tutto!

I Padri della Chiesa hanno parlato nei loro scritti anche sul segno della Croce. Per essi tale segno non opera la salvezza che contiene se non è accompagnato da un profondo senso di contrizione e dal ricordo della passione e Resurrezione di Cristo. Solo in questo caso il gesto esterno può essere interiorizzato e dissipare le malvagità che s'insinuano nel cuore umano (i demoni). L'azione medicinale del segno della Croce, fatte fuggire le tenebre esistenziali, illumina l'animo d'una vita nuova. Quando a seguito di ciò si infonde un senso d'intima e profonda felicità è segno di una presenza nuova, di qualcosa che la Chiesa denomina con il termine di Grazia. Come il peccato è una realtà che "spacca" l'uomo dal di dentro seminando contraddizione e dolore e si manifesta all'esterno di esso nell'espressione del volto, così la Grazia ricompone l'uomo dilaniato donandogli pace e serenità. Il segno della Croce apre dunque la porta del cuore dell'uomo alla efficace presenza curativa della Grazia di Dio, anticipo del Regno Celeste, dove non vi sarà né lutto, né lamento. Ma lasciamo la parola direttamente a qualche Padre.

«Sia quando arriviamo che quando partiamo, sia quando ci calziamo i sandali che quando siamo in bagno o in tavola, sia quando accendiamo le nostre candele che quando ci riposiamo o ci sediamo, qualunque lavoro intraprendiamo, ci segniamo con il segno della Croce».
Tertulliano  (160- 225),   De cor. Mil., III.

«Questa (la lettera Tau) ha somiglianza con il segno della croce; e questa profezia (Ezech. IX, 4) riguarda il segno fatto dai Cristiani sulla fronte. Il gesto è fatto da tutti i credenti all'inizio d'un lavoro e specialmente all'inizio delle preghiere e delle sante letture».
T. III. Select. in Ezech. c. IX.

«Non vergognamoci, dunque, della croce di Cristo ma, per un'altro mistero, se ci segniamo la fronte apertamente, i demoni verranno scacciati tremando davanti a questo segno regale. Facciamo, dunque, questo segno quando mangiamo e beviamo, quando ci siediamo e riposiamo, quando ci muoviamo, parliamo e camminiamo; in una parola, facciamolo in ogni occasione [per render presente] Egli che fu in terra crocefisso e ora è nei cieli».
San Cirillo di Gerusalemme (315-86), Catech. IV. n. 14.

«Di tutti quelli che sono stati condannati alla croce, nessuno ha avuto la possibilità di render timoroso il demonio ad eccezione di Cristo, crocefisso per noi. Perciò quando i demoni vedono il segno di questa Croce rabbrividiscono».
San Cirillo di Gerusalemme, Catech., XII. n. 22.

«Che altro è il segno (o sigillo) di Cristo, se non il segno della Croce di Cristo?»
Sant'Agostino (354-430) Tract. in Ioan. CXVIII, n. 5, T. III).

«Dopo il segno della Croce, la grazia opera immediatamente e ricompone armonicamente tutte le membra e il cuore, cosicché l'anima abbonda di contentezza e sembra un giovane che non conosce malignità»
San Macario l'Egiziano ( 300- 390 AD) Rom. IX.



Nella prassi della Chiesa Ortodossa il segno della Croce si fà tenendo tre dita della mano destra unite e le altre due libere. Questo gesto è la confessione dell'unità e trinità di Dio e delle due nature (umana e divina) unite in Cristo senza essere confuse tra loro (Dogma del Concilio di Calcedonia). La mano così disposta tocca la fronte (Nel nome del Padre), l'ombelico (del Figlio), la spalla destra (e del Santo) e la spalla sinistra (Spirito).

 

 

Anche in Occidente c'era la consuetudine di segnarsi seguendo l'uso conservato nell'Ortodossia. Di ciò esponiamo due testimonianze.

La prima è tratta da un bassorilievo della cattedrale di Modena (XII sec.) nella quale si vedono dei fedeli che si segnano con tre dita mentre il sacerdote in piviale li asperge con acqua recitando una preghiera.

La seconda è fornita da papa Innocenzo III ( + 1216) che nell'opera De sacro altaris mysterio, lib. II, c. 45, riferisce:

Signum crucis tribus digitis exprimendum est, ita ut a superiori descendat in inferius et a dextra transeat ad sinistram.

(Il segno della croce viene espresso con tre dita cosicché, dalla parte superiore del corpo discenda a quella inferiore, dalla destra passi alla sinistra)

Tale uso decadde poco per volta. Alla fine del XIII secolo gli ortodossi facevano notare ai latini d'aver perso questo uso e di benedire con la mano aperta anziché con tre dita. Così alle tre dita dei secoli medievali venne a poco a poco sostituendosi la mano distesa e a invertirsi il movimento da sinistra a destra. Tale pratica iniziò dal popolo per poi entrare definitivamente nella liturgia con la riforma piana (Pio V) del XVI secolo. Il papa di Roma è stato l'ultimo a mantenere il segno di croce tradizionale (almeno nella disposizione delle dita della mano)  nelle sue benedizioni pontificali.
 
                                                       



Un gesto legato alla Tradizione cristiana è quello di SEGNARE CON LA CROCE la forma di pane prima di essere cotta....non si tratta solo di un espediente per far lievitare bene la pasta come si dice oggi, piuttosto fu proprio un atto di FIDUCIA NELLA BENEDIZIONE, benedire quel pane che con tanta fatica si era riusciti a lavorare....

Caterina63
00giovedì 19 novembre 2009 23:47

La croce nella documentazione epigrafica

Il segno del vincitore


di Carlo Carletti

La pratica di tracciare, graffiare, dipingere, incidere una croce affonda le radici in un passato lontano, ormai bimillenario. Già in antico e, soprattutto a partire dal IV secolo, il signum crucis è documentato in molteplici forme e funzionalità, in un ambito sconfinato di contesti:  da quello più propriamente liturgico e devozionale, a quello funerario, a quello giuridico e autoritativo - la croce che precede il nome dei sottoscrittori negli atti pubblici e privati o quello del pellegrino che lascia scritto il proprio nome in un santuario - sino a quello della quotidianità nelle attività domestiche, commerciali, artigianali, come si può osservare, nella miriade di segni cruciformi impressi sugli oggetti di uso comune, il cosiddetto instrumentum.INSTRUMENTUM
 
Si può ben dire che questo segno - prima lugubre immagine di infamante supplizio e poi rappresentazione di gratuito amore universale - abbia avuto una straordinaria capacità invasiva, sia nella dimensione verticale della pluralità di significati, sia in quella orizzontale della "lunga durata". Questo impiego ad amplissimo spettro condusse anche - come era inevitabile - verso la deriva apotropaica, profilattica, talvolta sincretisticamente magica:  è il prezzo che paga il simbolo religioso quando dalla sfera dello specifico misterico-religioso passa e si sedimenta in una determinata cultura, soprattutto se carica di molteplici e sovrapposte tradizioni secolari come quella greco-romana.

Nell'attuale profluvio di interventi che si è abbattuto nelle ultime settimane nei media si è parlato praticamente di tutto, ma - così parrebbe - si è trascurata la immediata concretezza della storia, quella veicolata dalla cultura materiale, che per sua natura meglio può consentire di rispondere agli interrogativi basilari del dove, del quando, del come, del perché. Entro questi parametri si può dunque tentare di affrontare il problema nevralgico delle origini, certo di non facile decifrazione anche perché non sempre compiutamente documentato, talvolta nascosto dalle sovrapposizioni successive, spesso alterato dai modelli storiografici pregiudiziali.

Il terreno di indagine privilegiato, come per altre manifestazioni devozionali e cultuali del cristianesimo antico, è quello della documentazione epigrafica. In questa direzione, nel passato, ma talvolta anche oggi, non di rado si è dato libero sfogo alla ricerca a oltranza di testimonianze il più possibile antiche del signum crucis. Ma queste indagini - perseguite anche da studiosi non sprovveduti - si sono rivelate per lo più deludenti e talvolta totalmente anacronistiche, soprattutto perché non guidate da due fondamentali dati incontrovertibili. In primo luogo, che sul piano formale la figura derivata dall'incrocio di due segmenti rettilinei, e cioè il segno cruciforme, è, come suol dirsi, antica quanto il mondo e già in età precristiana culture di diversa origine e storia l'avevano assunta per indicare simbolicamente una somma di molteplici valori - asse del mondo, vita, sole, singole divinità - così nell'area occidentale come in quelle orientali.

In secondo luogo, che nell'antichità cristiana è soltanto nel corso della età costantiniana che inizia a svilupparsi una vera e propria pratica diffusa e largamente condivisa di segni cruciformi grafico-figurali, immediatamente riconducibili alla sfera cristologica. Il motivo di questo "ritardo" va ricercato nella istintiva ripulsa delle prime comunità ad accogliere tra i suoi segni identitari, quello che ancora nei primi tre secoli rappresentava il più infamante e ignominioso dei supplizi, riservato agli schiavi e agli stranieri, e non a caso definito da Cicerone e Tacito rispettivamente crudelissimum teterrimum supplicium (In Verrem, 2, 5, 165) e supplicium servile (Historiae, 2, 72).
In questa direzione la critica più avvertita ha così espunto dal virtuale dossier di precoci e precocissime croci cristiane, la cosiddetta croce di Ercolano - l'incasso cruciforme sulla parete di una casa è quello che doveva sostenere un supporto ligneo per appendere oggetti o indumenti - le croci equilatere e decussate incise su iscrizioni di Palmira; tra le quali (a dimostrazione che il pregiudizio talvolta porta alla cecità) una con data dell'anno 9 prima dell'era cristiana e l'altra dedicata alla divinità Baal Shamin; i segni cruciformi equilateri tracciati sul collo di anfore di Dura Europos (puri segni di identificazione commerciale), su alcuni ossuari di Gerusalemme peraltro di non definita committenza, su alcune iscrizioni di Medula, assegnate per pura congettura tra la fine del II e l'inizio del III secolo.

Ma qualche esemplare "precoce" e storicamente affidabile fu realmente prodotto ed è tuttora ineccepibilmente documentato. È a Roma, in prima istanza, che si può individuare una delle più antiche rappresentazioni di una croce, nel caso specifico tanto più significativa perché inserita in un contesto "letterale" di carattere indubbiamente cristologico. Si tratta di un graffito, in ottimo stato di conservazione - e tuttora visibile - tracciato da un anonimo scrivente, tra la fine del II e l'inizio del III secolo, su una delle pareti interne di un mausoleo pagano, quello cosiddetto degli Innocentiores, situato al di sotto della memoria apostolorum sulla via Appia, che nella metà del III secolo - una tradizione inveterata parla dell'anno 258, Tusco et Basso consulibus - si sovrappose al sottostante impianto funerario (quello appunto che conserva il graffito) sigillandolo definitivamente nel tempo (Inscriptiones Christianae Urbis Romae, v 12889). La tipologia qui rappresentata è quella archetipica della crux commissa o patibulata, lo strumento di morte cui fu appeso Gesù di Nazareth, diverso dall'altro tipo - la crux immissa (o latina) - vulgato dalla tradizione patristica e dalle successive formulazioni iconografiche affermatesi nel tempo, forse per spiegare la pubblica esposizione e visibilità di un titulus, in cui si esponeva in tre lingue il capo d'accusa che giustificava la condanna e il supplizio di Gesù, come raccontato in dettaglio nel vangelo di Giovanni (19, 19-20):  "Pilato scrisse (fece scrivere) un'iscrizione e la pose sopra la croce. Vi era scritto:  Gesù il Nazareno, re dei Giudei. Molti giudei lessero questa iscrizione, poiché il luogo dove fu crocefisso Gesù era prossimo alla città. Era scritto in ebraico, in latino, in greco".
 
L'anonimo autore di questo graffito, in sintonia con il testo evangelico e con la prassi romana del tempo, non si limitò a tracciare una croce commissa, ma, non casualmente, volle inserirla tra le lettere iota e chi della parola greca ichthys ("pesce"), che in ambiente cristiano già dal II secolo circolava come ingegnoso acrostico - le singole lettere di una parola costituivano l'inizio di altre parole - per sviluppare la sequenza I(esùs) ch(ristòs) th(eù) y(iòs) s(otèr), "Gesù Cristo Figlio di Dio, Salvatore". Dietro questa estemporanea e minimale testimonianza epigrafica si può intravedere la eco prossima di un inno contenuto nel libro ottavo degli Oracula Sybillina, un'opera composita di testi ebraici e cristiani redatta intorno all'ultimo trentennio del II secolo (VIII, 217-250:  "Die Griechischen Christlichen Schriftsteller" 8, pp. 153-157).

La composizione - in greco - si articola in 34 versi esametri e le lettere iniziali di ciascun verso, lette in sequenza verticale, riportano per esteso l'espressione I(esùs) ch(ristòs) th(eù) y(iòs) s(otèr), S(tauròs), "Gesù Cristo, figlio di Dio, Salvatore, Croce". La parola che conclude questo acrostico (stauròs "croce") come sintesi pregante di ciò che precede, trova nel graffito coerente "traduzione" nel segno figurale della crux commissa. Gli Oracula Sybillina - allo stato attuale la più antica testimonianza dell'uso di ichthys in chiave di acrostico cristologico - tra il II e il IV secolo ebbero larghissima diffusione:  risultano infatti noti ad Erma, attivo a Roma nel II secolo, e furono a più riprese citati da Giustino, Atenagora, Tertulliano, Clemente d'Alessandria, Commodiano, Lattanzio, Eusebio. 


pedagogium Di tutt'altro tenore, committenza e funzione è un testimonianza sostanzialmente coeva (fine II - inizio III secolo) che rappresenta un crocefisso accompagnato da una iscrizione didascalica in greco. È il celebre graffito blasfemo proveniente dal Paedagogium, la scuola del Palatino dove venivano formati gli schiavi destinata alla domus imperiale. Una rozza immagine propone un crocefisso con la testa d'asino in abito servile e ai suoi piedi la figura di un giovane in atteggiamento di preghiera:  la sottostante iscrizione "spiega":  Alexamenòs sèbete theòn "Alessameno adora il (suo) dio" (Inscriptiones Graecae Christianae Veteres Occidentis, 402). Un'immagine e un testo con un forte impatto provocatorio espressamente indirizzati al giovane schiavo Alessameno, evidentemente per deriderne la fede cristiana. Al di là del significato e della sua funzione contingente, questa singolare performance epigrafica documenta che tra II e III secolo la conoscenza dell'indissolubile legame Gesù Cristo - Croce aveva superato i confini della comunità cristiana e, almeno a livello di pura informazione, aveva anche raggiunto un luogo istituzionale in apparenza insospettabile, quale quello frequentato dagli apprendisti servitori della casa imperiale.
Ma la documentazione romana non si esaurisce ai graffiti ora ricordati.

Anche le catacombe hanno restituito qualche testimonianza epigrafica dell'uso della croce, certamente anteriore all'età costantiniana. Si tratta di iscrizioni funerarie nelle quali il nome del defunto è accompagnato da una crux quadrata, come si osserva nei nuclei originari - e dunque risalenti al III secolo - delle catacombe di Domitilla, Callisto, Priscilla, Panfilo, (Inscriptiones Christianae Urbis Romae iii, 7619; iv 9499; vii 20579; ix 26022, 26070; x 26501). In questo ambito particolare attenzione meritano peraltro due iscrizioni crocesignate conservate nella catacomba dei Santi Marcellino e Pietro, che ripropongono sul piano formale la struttura arcaizzante del graffito della via Appia:  ritorna la crux commissa, inserita nel nome stesso dei defunti, che rispondono al nome di Dionisios e Kyrillos (Inscriptiones Christianae Urbis Romae v 16.822, 16.854).

La pubblica diffusione dei signa Christi è legata per inveterata tradizione al nome di Costantino. È per iniziativa dell'imperatore che si avvia la consuetudine di rappresentare il nome di Cristo attraverso forme monogrammatiche, precedentemente ignote, che esplicitano il nomen Chr(istòs) e nel contempo alludono, sul piano figurale, a una croce decussata, espressa nella lettera "x". Sono i cosiddetti "monogrammi costantiniani", costruiti dalla fusione in un unico segno delle due lettere iniziali (chi e rho) di Christòs. Furono impiegati nella duplice funzionalità di simbolo (ideogramma) e di vero e proprio compendium scripturae, cioè di abbreviazione, come ad esempio nelle forme vivas in Chr(isto). Sul piano formale si distinguono due tipi fondamentali:  quello decussato - probabilmente il più antico e dunque da considerare come proto tipico - documentato per la prima volta in una moneta del 315 di Ticinum dove appare come emblema sull'elmo di Costantino e successivamente tra il 318 e il 327 su emissioni di Aquileia, Siscia e Tessalonica dove l'imperatore sostiene un labaro recante un cristogramma.

Non è senza significato la sostanziale sincronia tra questi prototipi monetali e i cristogrammi tracciati in funzione di compendium scripturae sul celeberrimo muro G - cioè dei graffiti - dell'area petrina sotto la confessio vaticana. Nell'ambito delle testimonianze epigrafiche propriamente dette i graffiti vaticani sono allo stato attuale le testimonianze più antiche dell'uso privato devozionale di un monogramma cristologico. L'altra forma compendiata del nome di Cristo in cui si coglie una maggiore evidenziazione della croce, è la cosiddetta "monogrammatica", derivata o ispirata da quella originaria costantiniana, e realizzata come una crux latina (tecnicamente immissa o capitata) con l'asta verticale costituita dal tratto verticale della lettera rho.

Le due tipologie monogrammatiche, a partire dalla metà del IV secolo, potenziano e allargano la loro carica evocativa arricchendosi di ulteriori elementi, come le lettere apocalittiche alpha e omega, cerchi e corone teniate, ovvero inserendosi in composizioni a schema simmetrico nelle quali il signum Christi diviene elemento focale verso il quale convergono due colombe, due agnelli, i busti di Pietro e Paolo.

A questi segni che, espressamente o metaforicamente, riconducevano a Gesù Cristo, gli antichi cristiani, laici ed ecclesiastici che fossero, riservarono sempre scrupoloso rispetto e protezione anche attraverso provvedimenti legislativi. Risale all'anno 427 una costituzione imperiale, che imponeva un preciso limite all'uso indiscriminato dei signa Christi:  il dispositivo faceva espresso divieto di incidere o dipingere in terra, sia sulla pietra sia sul marmo il "segno di Cristo Salvatore". Il fine era quello di evitare che nelle iscrizioni pavimentali i segni cristologici fossero di fatto calpestati dal passaggio dei visitatori dei cimiteri e delle basiliche cimiteriali:  nemini licere signum Salvatoris Christi humi vel in silice vel in marmore aut insculpere aut pingere (Codex Iustiniani i, viii, ed. P. Krueger, p. 61).

È dunque per effetto di questo provvedimento che alcune iscrizioni funerarie pavimentali presentano croci e cristogrammi accuratamente scalpellati, come si può tuttora osservare in alcuni esemplari che coprivano tombe scavate sul pavimento dei cimiteri (Inscriptiones Christianae Urbis Romae v 14223, 14332, 14333, 15182c, 15182d, 15182e, 15182n, 15185; vii 18585):  una di queste iscrizioni significativamente è datata all'anno 433 (vii 19985).

La forme più direttamente rievocative della passione e morte di Gesù, cioè la croce latina come reinterpretazione della prototipica forma commissa e, insieme, la crux quadrata, dopo le sporadiche manifestazioni delle origini, rientrano in uso intorno al V secolo e progressivamente marginalizzano le forme cristologiche monogrammatiche precedentemente predominanti. Ancora una volta la documentazione che consente di seguire in dettaglio questo nuovo percorso è quella epigrafica, nel cui ambito si osserva dapprima l'inserimento della croce greca come segno introduttivo degli epitaffi connesso alle forme obituarie incipitarie (per esempio + hic requiescit); successivamente - a partire all'incirca dal vi - con la stessa funzione subentra la crux latina (per esempio + hic requiescit in somno pacis). In questi contesti, come già nelle iconografie del gruppo di sarcofagi cosiddetti dell'Anàstasis (cioè simbolicamente rievocativi della Resurrezione), le croci sono sempre e dovunque aniconiche:  prevale nettamente in esse il valore di signum salutis, dunque di vittoria, come già nella intenctio che sottostava ai segni monogrammatrici nei labari costantiniani, che indubbiamente si erano andati proponendo non solo come strumento di propaganda, ma anche come elemento-vettore costitutivo di una mentalità collettiva.

Non è così per puro caso che nel corso di tutta l'antichità cristiana mai fu concepita né dunque realizzata una rappresentazione che si proponesse nella sua originaria funzione di strumento di morte:  in altri termini è del tutto assente una iconografia della crocifissione. È un tema questo che si affaccia con due soli esemplari "precoci" nel corso del V secolo:  in una della formelle della porta della chiesa romana di Santa Sabina e in una capsella eburnea del 420-430 conservata nel British Museum di Londra.

La crocifissione come scena drammatica appartiene alla mentalità e alla cultura religiosa dell'altomedievo che, come si può già osservare in un prototipo importante quale quello rappresentato nell'Evangelario di Rabbula (fine del secolo VI), inserisce e sottolinea nelle figure della crocifissione la sofferenza della carne e dunque, il sangue, la corona di spine, la lancia che penetra nel costato, la testa di Cristo ripiegata senza vita:  tutte iconografie che nel corso dei secoli ebbero straordinaria fortuna e che indubbiamente incentivarono forme devozionali, talvolta deteriori e non sempre edificanti. Forme, modi, concezioni, cultuali e devozionali, ormai lontane dalla visione dei primi secoli, nei quali la croce, nelle sue molteplici manifestazioni, veniva in definitiva proposta e recepita nella dimensione di quanto si era voluto significare nell'antico acrostico cristologico:  "Gesù Cristo figlio di Dio, Salvatore". A Ravenna, in età giustinianea, si progetta la decorazione del catino absidale del Sant'Apollinare in Classe:  l'esito figurativo è una grande croce gemmata che campeggia isolata, accompagnata da due piccole iscrizioni esegetiche in cui si legge:  Ichthys - salus mundi.


La Crux Vaticana Crux Vaticana

restaurata in mostra alla Cappella dei Beneficiati in San Pietro

Il dono di Giustino


 Si è aperta il 19 novembre presso la Cappella dei Beneficiati, in San Pietro, la mostra "Vexillum Regis. La Crux Vaticana o Croce di Giustino". Fino al 12 aprile del 2010 si potrà ammirare la solenne croce gemmata, recentemente oggetto di un restauro a opera di Sante Guido che ha ricostruito le sovrapposizioni degli interventi subiti dall'originario manufatto nel corso dei secoli e le vicissitudini che ne hanno segnato la storia.
Caratterizzata da un prezioso corredo di gemme e perle, la crux invicta, o croce gemmata, reca inoltre il testo:  Ligno quo Christus humanum subdidit hostem dat Romae Iustinus opem et socia decorem ("Con questo legno, attraverso il quale Cristo soggiogò il nemico degli uomini, dona Giustino a Roma l'opera e la sua compagna gli ornamenti") che presenta i tipici caratteri della scrittura latina utilizzata alla fine della tarda antichità nella pars orientis dell'impero. Dal testo si evince l'intento votivo dell'imperatore Giustino:  donare un prezioso manufatto come esemplare testimonianza di fede alla città di Roma, e della sua socia, l'imperatrice Sofia, che invece ha donato allo stesso scopo perle e gemme.
Nell'attuale restauro è stata ricollocata la corona di dodici perle attorno alla sacra reliquia, assieme alle diciotto perle nei castoni lungo il profilo del fronte. La precedente sostituzione degli elementi preziosi con altrettanti semipreziosi, rendeva evidenti le manomissioni subite dalla Crux Vaticana nell'Ottocento e connotava con chiarezza l'improprio rifacimento del manufatto, tale da rendere l'opera svilita rispetto all'originaria tessitura, così come concepita nelle imperiali officine orafe di Costantinopoli.
A conclusione del restauro è stato deciso di realizzare una nuova teca reliquiario, simile a quella documentata nel trattato del 1779 De Cruce Vaticana del cardinale Stefano Borgia che riproduce l'aspetto sia del recto che del verso della croce.



(©L'Osservatore Romano - 20 novembre 2009)



RICORDIAMOCI CHE DIFENDERE IL CROCEFISSO NON E' PER NOI UN SEMPLICE SIMBOLO, MA E' IL NOSTRO SEGNO, IL SEGNO DEL NOSTRO VERO UMANESIMO, IL SEGNO DELLA NOSTRA AUTENTICA UMANITA' CHE NON TERMINA SULLA CROCE, MA SI TRASFORMA NELLA RISURREZIONE...

Difendere INSIEME LA CROCE, il Crocefisso nostro SEGNO di Vittoria

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Caterina63
00lunedì 31 maggio 2010 19:00
All'Angelus il Papa ricorda che nel segno della croce è contenuto l'annuncio della fede

Cristiani più impegnati
nell'amore a Dio e al prossimo


I cristiani sono "chiamati quotidianamente ad essere aperti all'azione della Grazia, per progredire nell'amore verso Dio e il prossimo". Lo ha detto il Papa all'Angelus recitato domenica 30 maggio, solennità della Santissima Trinità, con i fedeli radunati in piazza San Pietro.

Cari fratelli e sorelle!
Dopo il tempo pasquale, concluso domenica scorsa con la Pentecoste, la Liturgia è ritornata al "tempo ordinario".
 
Ciò non vuol dire però che l'impegno dei cristiani debba diminuire, anzi, entrati nella vita divina mediante i Sacramenti, siamo chiamati quotidianamente ad essere aperti all'azione della Grazia divina, per progredire nell'amore verso Dio e il prossimo. L'odierna domenica della Santissima Trinità, in un certo senso, ricapitola la rivelazione di Dio avvenuta nei misteri pasquali:  morte e risurrezione di Cristo, sua ascensione alla destra del Padre ed effusione dello Spirito Santo. La mente e il linguaggio umani sono inadeguati a spiegare la relazione esistente tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e tuttavia i Padri della Chiesa hanno cercato di illustrare il mistero di Dio Uno e Trino vivendolo nella propria esistenza con profonda fede.

La Trinità divina, infatti, prende dimora in noi nel giorno del Battesimo:  "Io ti battezzo - dice il ministro - nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo". Il nome di Dio, nel quale siamo stati battezzati, noi lo ricordiamo ogni volta che tracciamo su noi stessi il segno della croce. Il teologo Romano Guardini, a proposito del segno della croce, osserva:  "lo facciamo prima della preghiera, affinché... ci metta spiritualmente in ordine; concentri in Dio pensieri, cuore e volere; dopo la preghiera, affinché rimanga in noi quello che Dio ci ha donato... Esso abbraccia tutto l'essere, corpo e anima,... e tutto diviene consacrato nel nome del Dio uno e trino" (Lo spirito della liturgia. I santi segni, Brescia 2000, 125-126).

Nel segno della croce e nel nome del Dio vivente è, perciò, contenuto l'annuncio che genera la fede e ispira la preghiera. E, come nel vangelo Gesù promette agli Apostoli che "quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità" (Gv 16, 13), così avviene nella liturgia domenicale, quando i sacerdoti dispensano, di settimana in settimana, il pane della Parola e dell'Eucaristia. Anche il santo Curato d'Ars lo ricordava ai suoi fedeli:  "Chi ha accolto la vostra anima - diceva - al primo entrare nella vita? Il sacerdote. Chi la nutre per darle la forza di compiere il suo pellegrinaggio? Il sacerdote. Chi la preparerà a comparire innanzi a Dio, lavandola per l'ultima volta nel sangue di Gesù Cristo?... sempre il sacerdote" (Lettera di indizione dell'Anno Sacerdotale).

Cari amici, facciamo nostra la preghiera di sant'Ilario di Poitiers:  "Conserva incontaminata questa fede retta che è in me e, fino al mio ultimo respiro, dammi ugualmente questa voce della mia coscienza, affinché io resti sempre fedele a ciò che ho professato nella mia rigenerazione, quando sono stato battezzato nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo" (De Trinitate, xii, 57, CCL 62/A, 627). Invocando la Beata Vergine Maria, prima creatura pienamente inabitata dalla Santissima Trinità, domandiamo la sua protezione per proseguire bene il nostro pellegrinaggio terreno.
 



(©L'Osservatore Romano - 31 maggio 1 giugno 2010)
Caterina63
00venerdì 27 agosto 2010 12:13

BENEDETTO XVI

ANGELUS

Castel Gandolfo
Domenica, 11 settembre 2005


Cari fratelli e sorelle!

Mercoledì prossimo, 14 settembre, celebreremo la festa liturgica dell’Esaltazione della santa Croce. Nell’Anno dedicato all’Eucaristia, questa ricorrenza acquista un significato particolare: ci invita a meditare sul profondo e indissolubile legame che unisce la celebrazione eucaristica e il mistero della Croce.

Ogni santa Messa, infatti, rende attuale il sacrificio redentore di Cristo. Al Golgota e all’"ora" della morte in croce - scrive l’amato Giovanni Paolo II nell’Enciclica Ecclesia de Eucharistia - "si riporta spiritualmente ogni presbitero che celebra la santa Messa, insieme con la comunità cristiana che vi partecipa" (n. 4). L’Eucaristia è dunque il memoriale dell’intero mistero pasquale: passione, morte, discesa agli inferi, risurrezione e ascensione al cielo, e la Croce è la manifestazione toccante dell’atto d’amore infinito con il quale il Figlio di Dio ha salvato l’uomo e il mondo dal peccato e dalla morte.

Per questo il segno della Croce è il gesto fondamentale della preghiera del cristiano. Segnare se stessi con il segno della Croce è pronunciare un sì visibile e pubblico a Colui che è morto per noi e che è risorto, al Dio che nell’umiltà e debolezza del suo amore è l’Onnipotente, più forte di tutta la potenza e l’intelligenza del mondo.

Dopo la consacrazione, l’assemblea dei fedeli, consapevole di essere alla reale presenza di Cristo crocifisso e risorto, così acclama: "Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta". Con gli occhi della fede la Comunità riconosce Gesù vivo con i segni della sua passione e, insieme a Tommaso, piena di stupore, può ripetere: "Mio Signore e mio Dio!" (Gv 20,28). L’Eucaristia è mistero di morte e di gloria come la Croce, che non è un incidente di percorso, ma il passaggio attraverso cui Cristo è entrato nella sua gloria (cfr Lc 24,26) e ha riconciliato l’umanità intera, sconfiggendo ogni inimicizia. Per questo la liturgia ci invita a pregare con fiduciosa speranza: Mane nobiscum Domine! Resta con noi, Signore, che con la tua santa Croce hai redento il mondo!

Maria, presente sul Calvario presso la Croce, è ugualmente presente, con la Chiesa e come Madre della Chiesa, in ciascuna delle nostre Celebrazioni eucaristiche (cfr Enc. Ecclesia de Eucharistia, 57). Per questo, nessuno meglio di lei può insegnarci a comprendere e vivere con fede e amore la santa Messa, unendoci al sacrificio redentore di Cristo. Quando riceviamo la santa Comunione anche noi, come Maria e a lei uniti, ci stringiamo al legno, che Gesù col suo amore ha trasformato in strumento di salvezza, e pronunciamo il nostro "Amen", il nostro "sì" all’Amore crocifisso e risorto.










                                                          Pope Benedict XVI addresses pilgrims gathered in the courtyard of his summer residence of Castel Gandolfo, 40 kms southeast of Rome, during his weekly general audience on August 25, 2010. The pontiff appealed to the international community to work to protect human life and rights in Somalia after some 65 civilians were killed since August 23 in the latest wave of violence.
(il Papa fa il segno della croce all'inizio dell'Udienza generale in Caste Gandolfo )


VIAGGIO APOSTOLICO
DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
IN AUSTRIA
IN OCCASIONE DELL’850° ANNIVERSARIO
DELLA FONDAZIONE DEL SANTUARIO DI MARIAZELL


BENEDETTO XVI

ANGELUS

Piazza del Duomo di Santo Stefano, Vienna
Domenica, 9 settembre 2007

Cari fratelli e sorelle! 

È stata per me, questa mattina, un’esperienza particolarmente bella poter celebrare con tutti voi il Giorno del Signore in modo così degno nel magnifico Duomo di Santo Stefano. Il Rito eucaristico realizzato col dovuto decoro ci aiuta a prendere coscienza dell’immensa grandezza del dono che Dio ci fa nella Santa Messa. Proprio così ci avviciniamo anche a vicenda e sperimentiamo la gioia di Dio. Sono grato pertanto a quanti, mediante il loro contributo attivo alla preparazione ed allo svolgimento della Liturgia o anche mediante la loro partecipazione raccolta ai santi Misteri, hanno creato un’atmosfera in cui la presenza di Dio era veramente percepibile. Grazie di cuore e un “Vergelt’s Gott” a tutti! 

Nell’omelia ho cercato di dire qualcosa sul senso della Domenica e sul brano evangelico di oggi, e penso che questo ci abbia portati a scoprire che l’amore di Dio, che ha “perso se stesso” per noi consegnandosi a noi, ci dona la libertà interiore di “perdere” la nostra vita, per trovare in questo modo la vita vera. La partecipazione a questo amore ha dato a Maria la forza per il suo “sì” senza riserva.
 
Di fronte all’amore rispettoso e delicato di Dio, che per la realizzazione del suo progetto di salvezza attende la libera collaborazione della sua creatura, la Vergine ha potuto lasciar cadere ogni esitazione e, in vista di questo progetto grande ed inaudito, consegnare fiduciosamente se stessa nelle sue mani. Pienamente disponibile, totalmente aperta nel suo intimo e libera da sé, ha dato a Dio la possibilità di colmarla con il suo Amore, con lo Spirito Santo. E così Maria, la donna semplice, ha potuto ricevere in se stessa il Figlio di Dio e donare al mondo il Salvatore che si era donato a Lei. 

Anche a noi, nella Celebrazione eucaristica, è stato donato oggi il Figlio di Dio. Chi ha fatto la Comunione porta adesso in sé in modo particolare il Signore risorto. Come Maria lo portò nel suo grembo – un inerme piccolo essere umano, totalmente dipendente dall’amore della madre – così Gesù Cristo, sotto la specie del pane, si è affidato a noi, cari fratelli e sorelle. Amiamo questo Gesù che si dona così totalmente nelle nostre mani! AmiamoLo come Lo ha amato Maria! E portiamoLo agli uomini come Maria Lo ha portato ad Elisabetta, suscitando giubilo e gioia! La Vergine ha donato al Verbo di Dio un corpo umano, perché potesse entrare nel mondo. Doniamo anche noi il nostro corpo al Signore, rendiamo il nostro corpo sempre di più uno strumento dell’amore di Dio, un tempio dello Spirito Santo! Portiamo la Domenica col suo Dono immenso nel mondo!

Chiediamo a Maria di insegnarci a diventare, come Lei, liberi da noi stessi, per trovare nella disponibilità per Dio la nostra vera libertà, la vera vita, la gioia autentica e duratura.
 

Vorrei ora pronunciare la preghiera alla Madre di Dio, che, in realtà, avevo voluto pronunciare alla Mariensäule. Lì si è avuto poi, come sappiamo, il black-out così da rendere ciò impossibile. Per questo vorrei ora ricuperare tale preghiera alla Madonna: 

Santa Maria, Madre Immacolata del nostro Signore Gesù Cristo, in te Dio ci ha donato il prototipo della Chiesa e del retto modo di attuare la nostra umanità. A te affido il Paese dell’Austria e i suoi abitanti: aiuta tutti noi a seguire il tuo esempio e ad orientare la nostra vita totalmente verso Dio! Fa che, guardando a Cristo, diventiamo sempre più simili a Lui: veri figli di Dio! Allora anche noi, pieni di ogni benedizione spirituale, potremo corrispondere sempre meglio alla sua volontà e diventare così strumenti di pace per l’Austria, per l’Europa e per il mondo. Amen

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BENEDETTO XVI

ANGELUS

Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo
Domenica, 13 settembre 2009

 [Video]

Cari amici, domani celebreremo la festa dell’Esaltazione della Santa Croce, e il giorno seguente la Madonna Addolorata. La Vergine Maria, che credette alla Parola del Signore, non perse la sua fede in Dio quando vide il suo Figlio respinto, oltraggiato e messo in croce. Rimase piuttosto accanto a Gesù, soffrendo e pregando, fino alla fine. E vide l’alba radiosa della sua Risurrezione. Impariamo da Lei a testimoniare la nostra fede con una vita di umile servizio, pronti a pagare di persona per rimanere fedeli al Vangelo della carità e della verità, certi che nulla va perso di quanto facciamo.



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Caterina63
00mercoledì 12 giugno 2013 13:35
[SM=g1740717] [SM=g1740720] Il Segno della Croce
dal libro ABC di
Joseph Ratzinger - Benedetto XVI
edito dalla Libreria Editrice Vaticana

Cari Amici, la prima parte del video riporta una catechesi dell'allora cardinale Ratzinger sul segno della Croce, al termine di questa, vi offriamo in video ed audio originale un Angelus di Benedetto XVI nel quale riesprime gli stessi concetti su questo Segno distintivo ed identificativo del nostro più profondo cristianesimo e dell'essere veramente Cristiani.

www.gloria.tv/?media=458103


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il testo:

Il gesto fondamentale della preghiera cristiana è e rimane il segno della croce.
Si tratta di una professione di fede in Cristo Crocifisso espressa corporalmente, in conformità con le parole programmatiche di San Paolo: "Noi predichiamo Cristo Crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio" (1Cor.1,23 ss).

Ed ancora: "Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questo crocifisso" (1Cor.2,2).

Segnarsi con il segno della croce è un assenso visibile e pubblico a Colui che ha sofferto per noi, a Colui che nel corpo ha reso visibile l'amore di Dio fino all'estremo, al Dio che governa non attraverso l'annichilimento, ma con l'umiltà della sofferenza e dell'amore, che è più forte di qualsiasi potere terreno ed è più sapiente di qualsiasi intelligenza calcolatrice degli uomini.

Il segno della croce è una professione di fede: io credo in chi ha sofferto per me ed è Risorto; in chi ha trasformato il segno della vergogna in un segno di speranza e dell'amore di Dio, a noi contemporaneo. La professione di fede è una professione di speranza.

Io credo in Colui che nella sua debolezza è onnipotente; in Colui che proprio nella sua apparente assenza e nell'apparente impotenza mi può salvare e mi salverà. Mentre ci facciamo il segno di croce ci mettiamo sotto la protezione della Croce, poniamo per così dire uno scudo davanti a noi, uno scudo che ci protegge dalle difficoltà delle nostre giornate e ci dona il coraggio per andare avanti.

Lo accogliamo come un segnavia di cui seguiamo l'indicazione: "Chi vuole essere mio discepolo rinneghi se stesso, prenda la propria croce su di sé e mi segua" (Mc.8,34).
La Croce ci mostra la strada della vita, la sequela di Cristo.

Noi leghiamo il segno della croce alla professione di fede nel Dio trinitario: Padre, Figlio e Spirito Santo. Così esso diventa un ricordo del Battesimo, che si chiarisce in particolare quando, per fare il segno della croce, usiamo l'acqua benedetta.

La croce è un segno della Passione, ed è contemporaneamente un segno della Risurrezione; è per così dire il bastone salvifico che Dio ci porge, il ponte attraversando il quale superiamo l'abisso della morte e tutte le minacce del male e infine possiamo approdare a Lui.

Viene reso presente nel Battesimo, nel quale noi diventiamo contemporanei della Croce e della Risurrezione di Cristo (Rom.6,1-14). Ogni volta che facciamo il segno della croce accogliamo nuovamente il nostro Battesimo; Cristo ci attira per così dire a Sé dalla Croce (Gv.12,32) e così facendo alla comunione con il Dio vivo.
Perchè il Battesimo è il segno della croce che in un certo senso lo ricapitola e lo rievoca, è soprattutto un avvenimento di Dio: lo Spirito Santo ci conduce a Cristo e Cristo apre la porta al Padre.

Dio non è più il "Dio ignoto"; Egli ha un nome. Noi possiamo chiamarlo e Lui chiama noi. Così possiamo dire che nel segno di croce, con l'invocazione trinitaria, è ricapitolata l'intera essenza del Cristianesimo, è rappresentato il cristianesimo che distingue.

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... (dall'Angelus dell'11.9.2005)
L’Eucaristia è dunque il memoriale dell’intero mistero pasquale: passione, morte, discesa agli inferi, risurrezione e ascensione al cielo, e la Croce è la manifestazione toccante dell’atto d’amore infinito con il quale il Figlio di Dio ha salvato l’uomo e il mondo dal peccato e dalla morte.

Per questo il segno della Croce è il gesto fondamentale della preghiera del cristiano. Segnare se stessi con il segno della Croce è pronunciare un sì visibile e pubblico a Colui che è morto per noi e che è risorto, al Dio che nell’umiltà e debolezza del suo amore è l’Onnipotente, più forte di tutta la potenza e l’intelligenza del mondo.

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Ascoltiamo ora alcuni passi dall'Angelus del 30 maggio 2010 di Benedetto XVI nel quale ha parlato del segno della croce.

L'odierna domenica della Santissima Trinità, in un certo senso, ricapitola la rivelazione di Dio avvenuta nei misteri pasquali: morte e risurrezione di Cristo, sua ascensione alla destra del Padre ed effusione dello Spirito Santo. La mente e il linguaggio umani sono inadeguati a spiegare la relazione esistente tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e tuttavia i Padri della Chiesa hanno cercato di illustrare il mistero di Dio Uno e Trino vivendolo nella propria esistenza con profonda fede.

La Trinità divina, infatti, prende dimora in noi nel giorno del Battesimo: "Io ti battezzo - dice il ministro - nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo". Il nome di Dio, nel quale siamo stati battezzati, noi lo ricordiamo ogni volta che tracciamo su noi stessi il segno della croce.

Nel segno della croce e nel nome del Dio vivente è, perciò, contenuto l'annuncio che genera la fede e ispira la preghiera.



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