Il Concistoro (creazione di nuovi cardinali) nel Pontificato di Papa Francesco

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Caterina63
00lunedì 6 gennaio 2014 17:13




  cari amici, rimandandovi al Pontificato precedente sotto Papa Benedetto XVI per la creazione di nuovi cardinali, cliccate QUI, apriamo ora questa nuova pagina... per seguire le nuove nomine....


MA PERCHE' I "CARDINALI"? 

Il "cardinale" funge proprio da CARDINE......ed è strettamente legato ALLA CHIESA ROMANA.....è una sua propria Tradizione, essi rappresentavano dal principio LE PARROCCHIE ROMANE e con tale rappresentanza AIUTAVANO IL PAPA, VESCOVO DI ROMA nella gestione della Chiesa, già sant'Ireneo diceva nel II sec. di quanto fosse INDISPENSABILE "GUARDARE A ROMA" QUALE ESEMPIO DA SEGUIRE,  anche per questo viene concesso ai Cardinali IL TITOLUM ossia, l'assegnazione di una Parrocchia Romana.....
Espandendosi, la Chiesa, ha allargato anche le funzioni e quindi i cardinali hanno cominciato ad essere eletti anche da fuori Roma a seconda appunto, delle necessità della Chiesa di ogni tempo....e a questi si dava così fin dai tempi antichi, in nome del popolo, l'elezione del nuovo Pontefice....

La veste rossa che prima era solo del Pontefice segno del martirio, dal Tredicesimo secolo è stata data anche ai Cardinali i quali, appunto, nel segno della Croce e del Martirio, servivano la Chiesa IN AIUTO AL PONTEFICE, condividendone le sorti.....





COLLEGIO CARDINALIZIO

 

Note storiche

I Cardinali sorti dai presbiteri dei venticinque titoli o chiese quasi parrocchiali di Roma, dai sette (poi 14) diaconi regionali e sei diaconi palatini e dai sette (sec. XII: 6) Vescovi suburbicari, furono consiglieri e cooperatori del Papa. Dal 1150 formarono il Collegio Cardinalizio con un Decano, che è il Vescovo di Ostia, e un Camerlengo quale amministratore dei beni. Dall'anno 1059 sono elettori esclusivi del Papa. Nel secolo XII incominciarono ad essere nominati Cardinali anche prelati residenti fuori di ROma. Precedono dal sec. XII ai Vescovi ed Arcivescovi, dal sec. XV anche ai Patriarchi (Bolla Non mediocri di Eugenio IV, anno 1439); hanno, anche se semplici sacerdoti, voto nei concili. Il numero, nei secoli XIII-XV ordinariamente non superiore ai trenta, fu da Sisto V, anno 1586 (Cost. Postquam verus, 3 dic. 1586), fissato a 70 (6 Cardinali Vescovi, 50 Cardinali Preti, 14 Cardinali Diaconi).

I Cardinali appartengono alle varie Congregazioni romane; sono considerati Principi del sangue, col titolo di Eminenza; quelli residenti in Roma, anche fuori della Città del Vaticano, sono a tutti gli effetti cittadini della medesima (Tratt. Lat., art. 21). Nel Concistoro Segreto del 15 dic. 1958 (A.A.S., anno 1958, vol. XXV, pag. 987), il Beato Giovanni XXIII derogò dal numero dei Cardinali, già stabilito da Sisto V e confermato dal Codice di Diritto Canonico del 1917 (can. 231). Ancora il Beato Giovanni XXIII, col Motu ProprioCum gravissima del 15 apr. 1962, stabilì che tutti i Cardinali fossero insigniti della dignità episcopale. Paolo VI, col Motu Proprio Ad Purpuratorum Patrum dell'11 febb. 1965, determinò il posto dei Patriarchi Orientali nel Collegio Cardinalizio. Lo stesso Sommo Pontefice, con il Motu Proprio Ingravescentem aetatem, del 21 nov. 1970, dispose che con il compimento dell'80° anno di età i Cardinali a) cessano di essere Membri dei Dicasteri della Curia Romana e di tutti gli Organismi Permanenti della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano; b) perdono il diritto di eleggere il Romano Pontefice e, quindi, anche il diritto di entrare in Conclave. Nel Concistoro Segreto del 5 nov. 1973 lo stesso Paolo VI stabilì che il numero massimo dei Cardinali che hanno la facoltà di eleggere il Romano Pontefice fosse fissato in 120 (A.A.S., anno 1973, vol. LXV, pag. 163).

I Cardinali conservano le loro tradizioni e prerogative di essere elettori e consiglieri del Sommo Pontefice nel governo della Chiesa universale (can. 349). Sono divisi nei tre ordini episcopale, presbiterale e diaconale (can. 350), e vengono liberamente eletti dal Papa tra i chierici che abbiano ricevuto almeno il presbiterato (can. 351, § 1). Presiede il Collegio Cardinalizio il Decano o, se egli si trova impedito, il Sottodecano (can. 352). I Cardinali prestano collegialmente la loro collaborazione al Supremo Pastore della Chiesa nei concistori, ordinari e straordinari (can. 353); se presiedono dicasteri o istituti della Curia Romana o dello Stato della Città del Vaticano, sono pregati di presentare la loro rinuncia al compimento dei 75 anni di 3 età (can. 354). In caso di vacanza della Sede Apostolica i Cardinali hanno soltanto le potestà loro attribuite dalle vigenti leggi particolari.

(Annuario Pontificio 2013)




OMELIA DEL SANTO PADRE Benedetto XVI  ai nuovi Cardinali da lui creati il 24.3.2006
 
Venerati Cardinali, Patriarchi e Vescovi,

illustri Signori e Signore,

cari fratelli e sorelle!   

(...) Il Concistoro Ordinario pubblico è un avvenimento che manifesta con grande eloquenza la natura universale della Chiesa, diffusa in ogni angolo del mondo per annunciare a tutti la Buona Novella di Cristo Salvatore. L’amato Giovanni Paolo II ne celebrò ben nove, contribuendo così in maniera determinante a rinnovare il Collegio Cardinalizio, secondo gli orientamenti che il Concilio Vaticano II e il Servo di Dio Paolo VI avevano dato. 

Se è vero che nel corso dei secoli molte cose sono mutate per quanto concerne il Collegio cardinalizio, non sono però cambiate la sostanza e la natura essenziale di questo importante organismo ecclesiale. Le sue antiche radici, il suo sviluppo storico e l’odierna sua composizione ne fanno veramente una sorta di "Senato", chiamato a cooperare strettamente con il Successore di Pietro nell’adempimento dei compiti connessi con l’universale suo ministero apostolico.


La Parola di Dio, che poc’anzi è stata proclamata, ci porta indietro nel tempo. Con l’evangelista Marco siamo risaliti all’origine stessa della Chiesa e, in particolare, all’origine del ministero petrino. Con gli occhi del cuore abbiamo rivisto il Signore Gesù, a lode e gloria del quale l’atto che stiamo compiendo è totalmente orientato e dedicato. Egli ci ha detto parole che ci hanno richiamato alla mente la definizione del Romano Pontefice cara a san Gregorio Magno: "Servus servorum Dei". Infatti, Gesù, spiegando ai dodici Apostoli che la loro autorità avrebbe dovuto essere esercitata in modo ben diverso da quello dei "capi delle nazioni", riassume tale modalità nello stile del servizio: "Chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti " (Mc 10,43-44). La totale e generosa disponibilità nel servire gli altri è il segno distintivo di chi nella Chiesa è posto in autorità, perché così è stato per il Figlio dell’uomo, il quale non venne "per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mc 10, 45). Pur essendo Dio, anzi, spinto proprio dalla sua divinità, Egli assunse la forma di servo – "formam servi" -, come mirabilmente si esprime l’inno a Cristo contenuto nella Lettera ai Filippesi (cfr 2,6-7).


Il primo "Servo dei servi di Dio" è dunque Gesù. Dietro di Lui, e uniti a Lui, gli Apostoli; e tra questi, in modo speciale, Pietro, al quale il Signore ha affidato la responsabilità di guidare il suo gregge. Compito del Papa è di farsi per primo servitore di tutti. La testimonianza di tale atteggiamento emerge chiaramente dalla prima Lettura, che ci ripropone un’esortazione di Pietro ai "presbiteri" e agli anziani della comunità (cfr 1 Pt 5,1). E’ un’esortazione fatta con quell’autorità che all’Apostolo deriva dall’essere stato testimone delle sofferenze di Cristo, Buon Pastore. Si sente che le parole di Pietro provengono dall’esperienza personale del servizio al gregge di Dio, ma prima e più ancora si fondano sull’esperienza diretta del comportamento di Gesù: del suo modo di servire fino al sacrificio di sé, del suo umiliarsi fino alla morte e alla morte di croce, confidando solo nel Padre, che lo ha esaltato al tempo opportuno. Pietro, come Paolo, è stato intimamente "conquistato" da Cristo – "comprehensus sum a Christo Iesu" (cfr Fil 3,12) -, e come Paolo può esortare gli anziani con piena autorevolezza, perché non è più lui che vive, ma Cristo vive in lui – "vivo autem iam non ego, vivit vero in me Christus" (Gal 2,20).

Sì, venerati e cari Fratelli, quanto afferma il Principe degli Apostoli si addice particolarmente a chi è chiamato a vestire la porpora cardinalizia: "Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi" (1 Pt 5,1). Sono parole che, anche nella loro struttura essenziale, richiamano il mistero pasquale, particolarmente presente al nostro cuore in questi giorni di Quaresima. San Pietro le riferisce a se stesso in quanto "anziano come loro", lasciando con ciò intendere che l’anziano nella Chiesa, per l’esperienza accumulata negli anni e per le prove affrontate e superate, deve essere particolarmente "sintonizzato" con l’intimo dinamismo del mistero pasquale. Quante volte, cari Fratelli che tra poco riceverete la dignità cardinalizia, avete trovato in queste parole motivo di meditazione e di spirituale stimolo a seguire le orme del Signore crocifisso e risorto! Esse avranno un’ulteriore e impegnativa conferma in ciò che la nuova responsabilità esigerà da voi. Più strettamente legati al Successore di Pietro, sarete chiamati a collaborare con lui nell’adempimento del suo peculiare servizio ecclesiale, e ciò significherà per voi una più intensa partecipazione al mistero della Croce nella condivisione delle sofferenze di Cristo. Questo vi consentirà di attingere più abbondantemente alle sorgenti della grazia e di diffonderne intorno a voi più efficacemente i frutti benefici.

Venerati e cari Fratelli, vorrei riassumere il senso di questa vostra nuova chiamata nella parola che ho posto al centro della mia prima Enciclica: caritas. Essa ben si associa anche al colore dell’abito cardinalizio. La porpora che indossate sia sempre espressione della caritas Christi, stimolandovi ad un amore appassionato per Cristo, per la sua Chiesa e per l’umanità. Avete ora un ulteriore motivo per cercare di rivivere gli stessi sentimenti che spinsero il Figlio di Dio fatto uomo a versare il suo sangue in espiazione dei peccati dell’intera umanità. Conto su di voi, venerati Fratelli, conto sull’intero Collegio di cui entrate a far parte, per annunciare al mondo che "Deus caritas est", e per farlo anzitutto mediante la testimonianza di sincera comunione tra i cristiani: "Da questo – disse Gesù – tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35).

Conto su di voi, cari Fratelli Cardinali, per far sì che il principio della carità possa irradiarsi e riesca a vivificare la Chiesa in ogni grado della sua gerarchia, in ogni Comunità e Istituto religioso, in ogni iniziativa spirituale, apostolica e di animazione sociale. Conto su di voi affinché il comune sforzo di fissare lo sguardo sul Cuore aperto di Cristo renda più sicuro e spedito il cammino verso la piena unità dei cristiani. Conto su di voi perché, grazie all’attenta valorizzazione dei piccoli e dei poveri, la Chiesa offra al mondo in modo incisivo l’annuncio e la sfida della civiltà dell’amore. Tutto questo mi piace vedere simboleggiato nella porpora di cui siete insigniti. Che essa sia veramente simbolo dell’ardente amore cristiano che traspare dalla vostra esistenza.


Affido questo auspicio alle mani materne della Vergine di Nazaret, dalla quale il Figlio di Dio prese il sangue che avrebbe versato sulla Croce come testimonianza suprema della sua carità. Nel mistero dell’Annunciazione, che ci apprestiamo a celebrare, ci viene rivelato che per opera dello Spirito Santo il Verbo divino si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Per intercessione di Maria, scenda abbondante sui nuovi Cardinali e su tutti noi l’effusione dello Spirito di verità e di carità affinché, sempre più pienamente conformi a Cristo, possiamo dedicarci instancabilmente all’edificazione della Chiesa e alla diffusione del Vangelo nel mondo.





Caterina63
00domenica 12 gennaio 2014 13:56

  Il Papa annuncia la nomina di 19 cardinali, di cui 16 elettori




All’Angelus, nella Festa del Battesimo del Signore, 12 gennaio 2014, Papa Francesco ha annunciato la creazione di 19 nuovi cardinali, di cui 3 arcivescovi emeriti.
Sedici nuovi porporati verranno creati dal Papa nel Concistoro del 22 febbraio prossimo, festa della Cattedra di San Pietro.
Gli arcivescovi residenziali, che saranno nominati cardinali, appartengono a 12 nazioni di ogni parte della terra.
Questi, ha detto il Papa, “rappresentano il profondo rapporto ecclesiale fra la Chiesa di Roma e le altre Chiese sparse per il mondo”. Prima dell’importante annuncio, il Pontefice aveva sottolineato che con la nascita di Gesù “è iniziato il grande tempo della misericordia” sulla Terra. 






Come cambia il Collegio cardinalizio, dopo l’annuncio di Papa Francesco



Il Papa, informa padre Federico Lombardi, si è attenuto alla regola dei 120 elettori sotto gli 80 anni compiuti. Attualmente vi erano 13 posti “vacanti”, altri 3 rimarranno “vacanti” entro il prossimo mese di maggio. Perciò il Papa ha scelto 16 elettori.

Dei 16 elettori, 4 sono membri della Curia e 12 sono arcivescovi o vescovi residenziali di Paesi tutti diversi fra loro. La distribuzione dei Presuli residenziali elettori è ben distribuita fra i diversi continenti: Europa 2, America del Nord e Centrale 3, America Meridionale 3, Africa 2, Asia 2.

La scelta di cardinali del Burkina Faso e di Haiti, prosegue padre Lombardi, indica l’attenzione per i popoli provati dalla povertà. Sono stati scelti presuli residenziali anche da Sedi non tradizionalmente “cardinalizie” (ad esempio Perugia in Italia; Cotabato nell’Isola di Mindanao nelle Filippine). Fra i cardinali non elettori si nota la figura di mons. Capovilla, segretario di Papa Giovanni XXIII, che sarà canonizzato fra breve tempo nel 50.mo del Concilio Vaticano II.
Il più anziano è proprio mons. Capovilla (98 anni), il più giovane mons. Langlois (55 anni).


LETTERA DI PAPA FRANCESCO
AI CARDINALI CHE SARANNO CREATI
NEL CONCISTORO DEL 22 FEBBRAIO

 

Caro Fratello,

nel giorno in cui si rende pubblica la tua designazione a far parte del Collegio Cardinalizio, desidero farti giungere un cordiale saluto insieme all’assicurazione della mia vicinanza e della mia preghiera. Desidero che, in quanto aggregato alla Chiesa di Roma, rivestito delle virtù e dei sentimenti del Signore Gesù (cfr Rm 13,14), tu possa aiutarmi con fraterna efficacia nel mio servizio alla Chiesa universale.

Il Cardinalato non significa una promozione, né un onore, né una decorazione; semplicemente è un servizio che esige di ampliare lo sguardo e allargare il cuore. E, benché sembri un paradosso, questo poter guardare più lontano e amare più universalmente con maggiore intensità si può acquistare solamente seguendo la stessa via del Signore: la via dell’abbassamento e dell’umiltà, prendendo forma di servitore (cfr Fil 2,5-8). Perciò ti chiedo, per favore, di ricevere questa designazione con un cuore semplice e umile. E, sebbene tu debba farlo con gaudio e con gioia, fa’ in modo che questo sentimento sia lontano da qualsiasi espressione di mondanità, da qualsiasi festeggiamento estraneo allo spirito evangelico di austerità, sobrietà e povertà.

Arrivederci, quindi, al prossimo 20 febbraio, in cui cominceremo i due giorni di riflessione sulla famiglia. Resto a tua disposizione e, per favore, ti chiedo di pregare e far pregare per me.

Gesù ti benedica e la Vergine Santa ti protegga.

Fraternamente,

FRANCESCO

Dal Vaticano, 12 gennaio 2014










FESTA DEL BATTESIMO DEL SIGNORE

PAPA FRANCESCO

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 12 gennaio 2014

Video

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi è la festa del Battesimo del Signore. Stamattina ho battezzato trentadue neonati. Ringrazio con voi il Signore per queste creature e per ogni nuova vita. A me piace battezzare bambini. Mi piace tanto! Ogni bambino che nasce è un dono di gioia e di speranza, e ogni bambino che viene battezzato è un prodigio della fede e una festa per la famiglia di Dio.

L’odierna pagina del Vangelo sottolinea che, quando Gesù ebbe ricevuto il battesimo da Giovanni nel fiume Giordano, «si aprirono per lui i cieli» (Mt 3,16). Questo realizza le profezie. Infatti, c’è una invocazione che la liturgia ci fa ripetere nel tempo di Avvento: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!» (Is 63,19). Se i cieli rimangono chiusi, il nostro orizzonte in questa vita terrena è buio, senza speranza. Invece, celebrando il Natale, la fede ancora una volta ci ha dato la certezza che i cieli si sono squarciati con la venuta di Gesù.
E nel giorno del battesimo di Cristo ancora contempliamo i cieli aperti. La manifestazione del Figlio di Dio sulla terra segna l’inizio del grande tempo della misericordia, dopo che il peccato aveva chiuso i cieli, elevando come una barriera tra l’essere umano e il suo Creatore. Con la nascita di Gesù i cieli si aprono! Dio ci dà nel Cristo la garanzia di un amore indistruttibile. Da quando il Verbo si è fatto carne è dunque possibile vedere i cieli aperti. È stato possibile per i pastori di Betlemme, per i Magi d’Oriente, per il Battista, per gli Apostoli di Gesù, per santo Stefano, il primo martire, che esclamò: «Contemplo i cieli aperti!» (At 7,56). Ed è possibile anche per ognuno di noi, se ci lasciamo invadere dall’amore di Dio, che ci viene donato la prima volta nel Battesimo per mezzo dello Spirito Santo. Lasciamoci invadere dall’amore di Dio! Questo è il grande tempo della misericordia! Non dimenticatelo: questo è il grande tempo della misericordia!

Quando Gesù ricevette il battesimo di penitenza da Giovanni il Batti­sta, solidarizzando con il popolo penitente - Lui senza peccato e non bisognoso di con­versione -, Dio Padre fece udire la sua voce dal cielo: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento» (v.17). Gesù riceve l’approvazione del Padre celeste, che l’ha inviato proprio perché accetti di condividere la nostra condizione, la nostra povertà. Condividere è il vero modo di amare. Gesù non si dissocia da noi, ci considera fratelli e condivide con noi. E così ci rende figli, insieme con Lui, di Dio Padre. Questa è la rivelazione e la fonte del vero amore. E questo è il grande tempo della misericordia!

Non vi sembra che nel no­stro tempo ci sia bisogno di un supplemento di condivisione fraterna e di amore? Non vi sembra che ab­biamo tutti bisogno di un supplemento di carità? Non quella che si accontenta dell’aiuto estempo­raneo che non coinvolge, non mette in gioco, ma quella carità che condivide, che si fa carico del disagio e della sofferenza del fratello. Quale sapore acquista la vita, quando ci si lascia inondare dall’amore di Dio!

Chiediamo alla Vergine Santa di sostenerci con la sua intercessione nel nostro impegno di seguire Cristo sulla via della fede e della carità, la via tracciata dal nostro Battesimo.

 


Dopo l'Angelus:

Cari fratelli e sorelle,

rivolgo a tutti voi il mio saluto cordiale, in particolare alle famiglie e ai fedeli venuti da diverse parrocchie dall’Italia e da altri Paesi, come pure alle associazioni e ai vari gruppi.

Oggi un pensiero speciale vorrei rivolgerlo ai genitori che hanno portato i loro figli al Battesimo e a coloro che stanno preparando il Battesimo di un loro figlio. Mi unisco alla gioia di queste famiglie, ringrazio con loro il Signore, e prego perché il Battesimo dei bambini aiuti gli stessi genitori a riscoprire la bellezza della fede e a ritornare in modo nuovo ai Sacramenti e alla comunità.

Come è stato già annunciato il prossimo 22 febbraio, festa della Cattedra di San Pietro, avrò la gioia di tenere un Concistoro, durante il quale nominerò 16 nuovi Cardinali, che - appartenenti a 12 nazioni di ogni parte del mondo - rappresentano il profondo rapporto ecclesiale fra la Chiesa di Roma e le altre Chiese sparse per il mondo.

Il giorno seguente presiederò una solenne concelebrazione con i nuovi Cardinali, mentre il 20 e il 21 febbraio terrò un Concistoro con tutti i cardinali per riflettere sul tema della famiglia.

Ecco i nomi dei nuovi Cardinali:

1 – Mons. Pietro Parolin, Arcivescovo titolare di Acquapendente, Segretario di Stato.

2 – Mons. Lorenzo Baldisseri, Arcivescovo titolare di Diocleziana, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi.

3 - Mons. Gerhard Ludwig Müller, Arcivescovo-Vescovo emerito di Regensburg, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

4 – Mons. Beniamino Stella, Arcivescovo titolare di Midila, Prefetto della Congregazione per il Clero.

5 – Mons. Vincent Gerard Nichols, Arcivescovo di Westminster (Gran Bretagna).

6 – Mons. Leopoldo José Brenes Solórzano, Arcivescovo di Managua (Nicaragua).

7 – Mons. Gérald Cyprien Lacroix, Arcivescovo di Québec (Canada).

8 – Mons. Jean-Pierre Kutwa, Arcivescovo di Abidjan (Costa d’Avorio).

9 – Mons. Orani João Tempesta, O.Cist., Arcivescovo di Rio de Janeiro (Brasile).

10 – Mons. Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve (Italia).

11 – Mons. Mario Aurelio Poli, Arcivescovo di Buenos Aires (Argentina).

12 – Mons. Andrew Yeom Soo jung, Arcivescovo di Seoul (Korea).

13 – Mons. Ricardo Ezzati Andrello, S.D.B., Arcivescovo di Santiago del Cile (Cile).

14 – Mons. Philippe Nakellentuba Ouédraogo, Arcivescovo di Ouagadougou (Burkina Faso).

15 – Mons. Orlando B. Quevedo, O.M.I., Arcivescovo di Cotabato (Filippine).

16 – Mons. Chibly Langlois, Vescovo di Les Cayes (Haïti).

Insieme ad essi, unirò ai membri del Collegio Cardinalizio tre Arcivescovi emeriti che si sono distinti per il loro servizio alla Santa Sede e alla Chiesa:

Mons. Loris Francesco Capovilla, Arcivescovo titolare di Mesembria;

Mons. Fernando Sebastián Aguilar, Arcivescovo emerito di Pamplona;

Mons. Kelvin Edward Felix, Arcivescovo emerito di Castries, nelle Antille.

Preghiamo per i nuovi Cardinali, affinché rivestiti delle virtù e dei sentimenti del Signore Gesù, Buon Pastore, possano aiutare più efficacemente il Vescovo di Roma nel suo servizio alla Chiesa universale.

A tutti auguro una buona domenica




 

Caterina63
00lunedì 13 gennaio 2014 22:25


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  Quanto un due di briscola: Gualtiero Bassetti. Il vescovo che non doveva diventare cardinale

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 Chi è quel vescovo che pur non avendo diritto alla porpora l’ha ottenuta al posto di coloro a cui spettava? Un ritratto lieve, scritto da un suo ex ministrante

 

Ora che la sua nomina è annunciata, l’arcivescovo si definisce con sconcerto «un povero due di briscola», manifesta la propria inadeguatezza a fronte di una chiamata che avverte essere più grande di sé. Mi ricorda la formula del nolo episcopari, l’espressione di umiltà che rivela l’uomo degno. «Non so se si possa vincere una partita con il due di briscola o se questo possa rivelarsi una carta utile», continua Bassetti. Al momento della notizia si è quasi sentito venir meno ma poi…

 

 

di Alessandro Lastra da papalepapale.com

19503_10200457679312494_1202262140_n-150x150Avevo sentito la voce, giorni fa, secondo cui l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, Mons. Gualtiero Bassetti, sarebbe stato creato cardinale nel primo concistoro di Papa Francesco. Pur non prestandovi fede, ammetto di averci sperato. Per più di dieci anni, dopo un primo incarico episcopale a Massa Marittima-Piombino, Bassetti è stato vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, la mia diocesi e, seppur nessuno ci abbia mai presentati, posso affermare di conoscerlo.

Tutt’altro che “un povero due di briscola”

Omelia del vescovo di Perugia durante una messa in rito antico

Omelia del vescovo di Perugia durante una messa in rito antico

«Ringrazio il Santo Padre ma, per pietà, fermiamoci qui» ha detto Bassetti il giorno dell’Epifania, ricordando l’incarico ricevuto nella Congregazione per i vescovi e respingendo con ironia quelle voci che poi si sono concretizzate. Ora che la sua nomina è annunciata, l’arcivescovo si definisce con sconcerto «un povero due di briscola», manifesta la propria inadeguatezza a fronte di una chiamata che avverte essere più grande di sé. Mi ricorda la formula del nolo episcopari, l’espressione di umiltà che rivela l’uomo degno. «Non so se si possa vincere una partita con il due di briscola o se questo possa rivelarsi una carta utile», continua Bassetti. Al momento della notizia si è quasi sentito venir meno ma poi, riferisce commuovendosi, ha avuto davanti agli occhi un’immagine rassicurante, cara alla chiesa aretina che tanto a lungo ha servito: la Madonna del Conforto.

Bassetti durante il Sacrificio della Messa

Bassetti durante il Sacrificio della Messa

Di questa icona mariana e della sua storia ho parlato in un mio precedente articolo su questo sito (vedi QUI). Mi preme sottolineare il profondo valore affettivo della comunità di Arezzo per questa Madonnina di terracotta che, secondo la leggenda, in una notte sul finire del XVIII secolo, per prodigio cambiò colore e scampò Arezzo da un violento terremoto. Mons. Bassetti la rammenta come la figura più familiare, al punto da essersene portato una copia alla sua nuova sede, Perugia.

Un uomo al posto giusto

Fare da leggio al vescovo Bassetti

Fare da leggio al vescovo Bassetti

E proprio in tempo per la festa della Madonna del Conforto (il 15 febbraio), nell’ormai lontano 1999 Mons. Bassetti fece il suo ingresso nella mia diocesi. Allora io ero un bambino di appena otto anni e avevo iniziato da poco a servire messa. Non conservo il ricordo di altri vescovi prima di lui, né avevo idea di cosa significasse di per sé questa figura. Quando servii la prima messa di Bassetti nella concattedrale di Sansepolcro, l’impressione che ebbi di lui mi servì a qualificare chi e cosa dovesse fare un vescovo. Mentre celebrava, appariva distante e serio, quasi corrucciato, per poi accendersi e parlare col cuore in mano all’omelia. Non capivo però cosa lo differenziasse da un comune sacerdote e, prima che potessi chiederlo (da timido che ero e che sono, non lo avrei fatto comunque), fu proprio lui a spiegarmelo, molto semplicemente: «il vescovo è successore degli apostoli, pastore tra i pastori».

Nei dieci anni in cui ha svolto il suo ministero episcopale nella mia diocesi, assieme a molti ho appurato che fosse esattamente quello che Mons. Bassetti era portato a fare. Quando penso a lui, mi viene in mente uno che ha accolto la chiamata del Signore e si trova al proprio posto.

In una diocesi territorialmente estesa com’è la mia, in cui si ritrovano a convivere realtà multiformi e spesso in contrasto fra loro, lui ha saputo penetrare tante barriere, toccando il cuore dei fedeli.

Per quanto mi riguarda, Bassetti è riuscito a farmi comprendere l’importanza e il valore di una Chiesa unita, su ciò che conta. Tanto per fare un esempio, in occasione della Madonna del Conforto ogni anno si teneva ad Arezzo un grande raduno di tutti i giovani della diocesi. All’ultimo a cui assistetti, rammento che il vescovo fece una lunga e appassionata catechesi sulla parabola del granello di senapa. In quel momento vidi in me la piccolezza di quel seme e, in tutti noi che là eravamo riuniti, l’enormità di ciò che siamo chiamati a formare.

E proprio nel rapporto coi giovani che Bassetti investe molte delle sue energie, tanto che, quando stava ad Arezzo, più volte fu chiamato “il vescovo dei giovani”. Ma non nel senso retorico e demagogico con cui l’intendono altri suoi pari, no: nel senso di consapevolezza di avere a che fare con i futuri uomini, da formare come tali. Come uomini cristiani, cattolici per la precisione.

Come pietre

Un marciatore in più: l'allora vescovo di Arezzo, Bassetti

Un marciatore in più: l’allora vescovo di Arezzo, Bassetti

Nel settembre 2005 ricevetti da lui il sacramento della Confermazione. Poco dopo averci segnati con il crisma, donò a ciascuno di noi un mattone di pietra. Consegnandolo nelle mie mani, mi disse sorridente: «Questa è pietra viva. Non tirarla a nessuno!». Sul mattone c’era una targhetta con la scritta: Voi siete le pietre vive di Cristo, un passaggio della Prima lettera di Pietro, rimando alla pienezza dei tempi, quando tutti diverremo realmente pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale […] per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo.

Passato il traguardo della Cresima, continuai un cammino di fede insieme ad altri giovani della mia età. Il nostro gruppo prese il nome da un’ispirata omelia di Mons. Bassetti, il quale ci esortava a diventare «gli Angeli della Speranza» per chi viveva insieme a noi. Quella speranza che non ho mai abbandonato mi ha permesso di volare alto e di non cedere alle allettanti restrizioni che il mondo mi proponeva.

All’età di sedici anni, presi parte ad un pellegrinaggio per le terre della mia diocesi, organizzato dalla Pastorale giovanile. Passando per La Verna vi incontrammo il vescovo, che interruppe il pranzo per venirci a salutare, non perdendo l’occasione di fare battute sulla sua mole importante. Lo ritrovammo giorni dopo ad Arezzo, mèta del nostro cammino, e gli ultimi chilometri volle percorrerli assieme a noi. Tenevamo un diario di viaggio, su cui ciascuno di noi annotava i suoi pensieri. Ricordo che chiedemmo a Mons. Bassetti di scriverci due parole e, poiché non c’era un tavolo, m’ingiunse di voltarmi e usò la mia schiena come leggio.

«Siate la luce di speranza che accende il mondo!» ci esortò, alla fine di quell’esperienza che con tanto affetto porto ancora dentro di me.

Una storia inattesa

All'ombra del grande e ultimo predecessore cardinale di Perugia: Gioacchino Pecci

All’ombra del grande e ultimo predecessore cardinale di Perugia: Gioacchino Pecci

Nel 2009 infine, la notizia. Si vociferava da un po’ che, da Arezzo, Bassetti sarebbe stato promosso e trasferito all’arcidiocesi di Firenze; partirono le consuete quanto inutili raccolte di firme degli affezionati aretini. Ma il verdetto finale giunse imprevisto: non più Firenze, bensì la più piccola diocesi di Perugia-Città della Pieve.

La sua missione in terra aretina, cortonese e biturgense s’era dunque conclusa quando, lo stesso anno, iniziai a frequentare l’università a Firenze.  Mi sorprese piacevolmente il fatto che, dirimpetto all’appartamento che condividevo con due amici, vivesse la cugina di Mons. Bassetti. Una signora anziana, rimasta vedova per ben due volte, che non usciva mai di casa poiché malferma sulle gambe. Le rare volte in cui ci arrischiavamo a suonarle alla porta per chiedere se avesse bisogno di qualcosa, ella ci accoglieva in casa con grande gentilezza. Quando, terminato il primo anno di studi, lasciammo l’appartamento per le vacanze estive, facemmo per salutarla e lei ci fece accomodare, intrattenendoci a lungo con un racconto sull’infanzia del cugino.

Se non ricordo male, la storia era più o meno questa.

Probabilmente a Marradi, sull’Appennino tra Toscana e Romagna, località di nascita di Bassetti, era appena arrivato il nuovo parroco. Questi, celebrata con scarso entusiasmo la sua prima messa in una chiesetta accessibile al termine d’uno sgangherato sentiero di montagna, all’uscita si trovò davanti il giovane Gualtiero.

«Non avete suonato le campane, stamani» gli disse il ragazzo.

Il prete, dapprima scoraggiato poiché alla funzione non era venuto quasi nessuno, a queste parole si rinfrancò e, il giorno dopo, al mattino si sentirono rintoccare le campane della piccola chiesa e molta gente si presentò per la messa.

Ascoltando questa storia, riconobbi nelle parole di quel ragazzo di montagna la mitezza e la semplicità proprie di Bassetti.

E ora la porpora

20140105_bassetttttAll’indomani dalla felice notizia, tra i tanti imprevisti che caratterizzano non tanto il pontificato di Papa Francesco quanto l’epoca in cui ci troviamo a vivere, al nuovo cardinale di Santa Romana Chiesa Mons. Gualtiero Bassetti vanno i miei più vivi rallegramenti, il mio affetto e, per quello che valgono, le mie preghiere.

Avendolo conosciuto all’opera, confido che il Sacro Collegio abbia guadagnato alle sue fila un elemento di valore e, forse, proprio quello di cui aveva bisogno: una carta forte che si crede un due di briscola.

 

Fonti

http://www.youtube.com/watch?v=ujxyJyc_ibQ

http://www.youtube.com/watch?v=_sCRqqWQap0

http://www.tsdtv.it/blog/2014/01/13/bassetti-allannuncio-davanti-agli-occhi-la-madonna-del-conforto/




 

Caterina63
00sabato 22 febbraio 2014 12:52
 Benedetto XVI ospite d'onore al primo Concistoro di Papa Francesco



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Caterina63
00sabato 22 febbraio 2014 16:44



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OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Basilica Vaticana
Sabato, 22 febbraio 2014

 

«Gesù camminava davanti a loro…» (Mc 10,32).

Anche in questo momento Gesù cammina davanti a noi. Lui è sempre davanti a noi. Lui ci precede e ci apre la via… E questa è la nostra fiducia e la nostra gioia: essere suoi discepoli, stare con Lui, camminare dietro a Lui, seguirlo…

Quando con i Cardinali abbiamo concelebrato insieme la prima santa Messa nella Cappella Sistina, “camminare” è stata la prima parola che il Signore ci ha proposto: camminare, e poi costruire e confessare.

Oggi ritorna quella parola, ma come un atto, come l’azione di Gesù che continua: «Gesù camminava…» . Questo ci colpisce nei Vangeli: Gesù cammina molto, e istruisce i suoi lungo il cammino. Questo è importante. Gesù non è venuto ad insegnare una filosofia, un’ideologia… ma una “via”, una strada da percorrere con Lui, e la strada si impara facendola, camminando. Sì, cari Fratelli, questa è la nostra gioia: camminare con Gesù.

E questo non è facile, non è comodo, perché la strada che Gesù sceglie è la via della croce. Mentre sono in cammino, Egli parla ai suoi discepoli di quello che gli accadrà a Gerusalemme: preannuncia la sua passione, morte e risurrezione. E loro sono «stupiti» e «pieni di timore». Stupiti, certo, perché per loro salire a Gerusalemme voleva dire partecipare al trionfo del Messia, alla sua vittoria – lo si vede poi dalla richiesta di Giacomo e Giovanni; e pieni di timore per quello che Gesù avrebbe dovuto subire, e che anche loro rischiavano di subire.

Diversamente dai discepoli di allora, noi sappiamo che Gesù ha vinto, e non dovremmo avere paura della Croce, anzi, nella Croce abbiamo la nostra speranza. Eppure, siamo anche noi pur sempre umani, peccatori, e siamo esposti alla tentazione di pensare alla maniera degli uomini e non di Dio.

E quando si pensa in modo mondano, qual è la conseguenza?  Dice il Vangelo: «Gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni» (v. 41). Si sdegnarono. Se prevale la mentalità del mondo, subentrano le rivalità, le invidie, le fazioni…

Allora questa Parola che oggi il Signore ci rivolge è tanto salutare! Ci purifica interiormente, fa luce nelle nostre coscienze, e ci aiuta a sintonizzarci pienamente con Gesù, e a farlo insieme, nel momento in cui il Collegio dei Cardinali si accresce con l’ingresso di nuovi Membri.

«Allora Gesù, chiamatili a sé…» (Mc 10,42). Ecco l’altro gesto del Signore. Lungo il cammino, si accorge che c’è bisogno di parlare ai Dodici, si ferma, e li chiama a sé. Fratelli, lasciamo che il Signore Gesù ci chiami a Sé! Lasciamoci con-vocare da Lui. E ascoltiamolo, con la gioia di accogliere insieme la sua Parola, di lasciarci istruire da essa e dallo Spirito Santo, per diventare sempre di più un cuore solo e un’anima sola, intorno a Lui.

E mentre siamo così, convocati, “chiamati a Sé” dal nostro unico Maestro, vi dico ciò di cui la Chiesa ha bisogno: ha bisogno di voi, della vostra collaborazione, e prima ancora della vostra comunione, con me e tra di voi. La Chiesa ha bisogno del vostro coraggio, per annunciare il Vangelo in ogni occasione opportuna e non opportuna, e per dare testimonianza alla verità. La Chiesa ha bisogno della vostra preghiera, per il buon cammino del gregge di Cristo, la preghiera  - non dimentichiamolo! - che, con l’annuncio della Parola, è il primo compito del Vescovo. La Chiesa ha bisogno della vostra compassione soprattutto in questo momento di dolore e sofferenza in tanti Paesi del mondo. Esprimiamo insieme la nostra vicinanza spirituale alle comunità ecclesiali, a tutti i cristiani che soffrono discriminazioni e persecuzioni.  Dobbiamo lottare contro ogni discriminazione! La Chiesa ha bisogno della nostra preghiera per loro, perché siano forti nella fede e sappiano reagire al male con il bene. E questa nostra preghiera si estende ad ogni uomo e donna che subisce ingiustizia a causa delle sue convinzioni religiose.

La Chiesa ha bisogno di noi anche affinché siamo uomini di pace e facciamo la pace con le nostre opere, i nostri desideri, le nostre preghiere. Fare la pace! Artigiani della pace! Per questo invochiamo la pace e la riconciliazione per i popoli che in questi tempi sono provati dalla violenza, dall’esclusione e dalla guerra.

Grazie, Fratelli carissimi! Grazie! Camminiamo insieme dietro il Signore, e lasciamoci sempre più convocare da Lui, in mezzo al Popolo fedele, al santo Popolo fedele di Dio, alla santa madre Chiesa. Grazie!




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Con il suo amico cardinale, ora, Muller suo successore alla 
Congregazione per la Dottrina della Fede

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e qui sotto con il neo cardinale Parolin Segretario di Stato

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Caterina63
00domenica 23 febbraio 2014 14:26
[SM=g1740722] Riportiamo con gioia alcuni passi salienti della giornata emozionante che ci è stata donata per il primo Concistoro pubblico del Santo Padre Francesco.
Oltre ad un clima profondamente ecclesiale, di profonda comunione, c'è stata la sorpresa di vedere e respirare tutto ciò con la presenza discreta del Papa Emerito Benedetto XVI per il quale c'è stato anche un filiale applauso per questa meravigliosa partecipazione.
Bello vedere a chiusura di questi momenti ecclesiali, il bacio di Papa Francesco al piede di San Pietro, un profondo e toccante gesto di filiale devozione.
Un grazie al CTV per lo splendido servizio. Un sincero augurio ai neo Cardinali nelle nostre preghiere.

gloria.tv/?media=573899





[SM=g1740717]

[SM=g1740738]

Caterina63
00domenica 23 febbraio 2014 18:59

SANTA MESSA CON I NUOVI CARDINALI

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Domenica, 23 febbraio 2014

Video

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«Il tuo aiuto, Padre misericordioso, ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito» (Colletta).

Questa preghiera, pronunciata all’inizio della Messa, ci richiama ad un atteggiamento fondamentale: l’ascolto dello Spirito Santo, che vivifica la Chiesa e la anima. Con la sua forza creatrice e rinnovatrice, lo Spirito sempre sostiene la speranza del Popolo di Dio in cammino nella storia, e sempre sostiene, come Paraclito, la testimonianza dei cristiani. In questo momento, tutti noi, insieme con i nuovi Cardinali, vogliamo ascoltare la voce dello Spirito che parla attraverso le Scritture proclamate.

Nella prima Lettura è risuonato l’appello del Signore al suo popolo: «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» (Lv 19,2). E Gesù nel Vangelo riecheggia: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Queste parole interpellano tutti noi, discepoli del Signore; e oggi sono rivolte specialmente a me e a voi, cari Fratelli Cardinali, in modo particolare a voi che ieri siete entrati a far parte del Collegio Cardinalizio. Imitare la santità e la perfezione di Dio può sembrare una meta irraggiungibile. Tuttavia, la prima Lettura e il Vangelo suggeriscono gli esempi concreti affinché il comportamento di Dio diventi regola del nostro agire. Ma ricordiamoci tutti noi, ricordiamoci che senza lo Spirito Santo sarebbe vano il nostro sforzo! La santità cristiana non è prima di tutto opera nostra, ma è frutto della docilità – voluta e coltivata – allo Spirito del Dio tre volte Santo.

Il Levitico dice: «Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello … Non ti vendicherai e non serberai rancore … ma amerai il tuo prossimo…» (19,17-18). Questi atteggiamenti nascono dalla santità di Dio. Noi invece solitamente siamo così diversi, così egoisti e orgogliosi… eppure la bontà e la bellezza di Dio ci attraggono, e lo Spirito  Santo ci può purificare, ci può trasformare, ci può plasmare giorno per giorno. Fare questo lavoro di conversione, conversione nel cuore, conversione che tutti noi – specialmente voi Cardinali ed io – dobbiamo fare. Conversione!

Nel Vangelo, anche Gesù ci parla della santità e ci spiega la nuova legge, la sua. Lo fa mediante alcune antitesi tra la giustizia imperfetta degli scribi e dei farisei e la superiore giustizia del Regno di Dio. La prima antitesi del brano odierno riguarda la vendetta. «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico: …se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra» (Mt 5,38-39). Non soltanto non dobbiamo restituire all’altro il male che ci ha fatto, ma dobbiamo sforzarci di fare il bene con larghezza.

La seconda antitesi fa riferimento ai nemici: «Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (vv. 43-44). A chi vuole seguirlo, Gesù chiede di amare chi non lo merita, senza contraccambio, per colmare i vuoti d’amore che ci sono nei cuori, nelle relazioni umane, nelle famiglie, nelle comunità e nel mondo. Fratelli Cardinali, Gesù non è venuto a insegnarci le buone maniere, maniere da salotto! Per questo non c’era bisogno che scendesse dal Cielo e morisse sulla croce. Cristo è venuto a salvarci, a mostrarci la via, l’unica via d’uscita dalle sabbie mobili del peccato, e questa via di santità è la misericordia, quella che Lui ha fatto e ogni giorno fa con noi. Essere santi non è un lusso, è necessario per la salvezza del mondo. E’ questo che il Signore chiede a noi.

Cari Fratelli Cardinali, il Signore Gesù e la madre Chiesa ci chiedono di testimoniare con maggiore zelo e ardore questi atteggiamenti di santità. Proprio in questo supplemento di oblatività gratuita consiste la santità di un Cardinale. Pertanto, amiamo coloro che ci sono ostili; benediciamo chi sparla di noi; salutiamo con un sorriso chi forse non lo merita; non aspiriamo a farci valere, ma opponiamo la mitezza alla prepotenza; dimentichiamo le umiliazioni subite.

Lasciamoci sempre guidare dallo Spirito di Cristo, che ha sacrificato sé stesso sulla croce, perché possiamo essere “canali” in cui scorre la sua carità. Questo è l’atteggiamento, questa deve essere la condotta di un Cardinale. Il Cardinale – lo dico specialmente a voi - entra nella Chiesa di Roma, Fratelli, non entra in una corte. Evitiamo tutti e aiutiamoci a vicenda ad evitare abitudini e comportamenti di corte: intrighi, chiacchiere, cordate, favoritismi, preferenze. Il nostro linguaggio sia quello del Vangelo: “sì, sì; no, no”; i nostri atteggiamenti quelli delle Beatitudini, e la nostra via quella della santità. Preghiamo nuovamente: “Il tuo aiuto, Padre misericordioso, ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito”.

Lo Spirito Santo ci parla oggi anche attraverso le parole di san Paolo: «Siete tempio di Dio … santo è il tempio di Dio, che siete voi» (1 Cor 3,16-17). In questo tempio, che siamo noi, si celebra una liturgia esistenziale: quella della bontà, del perdono, del servizio, in una parola, la liturgia dell’amore. Questo nostro tempio viene come profanato se trascuriamo i doveri verso il prossimo. Quando nel nostro cuore trova posto il più piccolo dei nostri fratelli, è Dio stesso che vi trova posto. Quando quel fratello viene lasciato fuori, è Dio stesso che non viene accolto. Un cuore vuoto di amore è come una chiesa sconsacrata, sottratta al servizio divino e destinata ad altro.

Cari Fratelli Cardinali, rimaniamo uniti in Cristo e tra di noi! Vi chiedo di starmi vicino, con la preghiera, il consiglio, la collaborazione. E tutti voi, vescovi, presbiteri, diaconi, persone consacrate e laici, unitevi nell’invocazione dello Spirito Santo, affinché il Collegio dei Cardinali sia sempre più ardente di carità pastorale, più pieno di santità, per servire il Vangelo e aiutare la Chiesa a irradiare nel mondo l’amore di Cristo.









ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 23 febbraio 2014

Video

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nella seconda Lettura di questa domenica, san Paolo afferma: «Nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1 Cor 3,23). Perché dice questo l’Apostolo? Perché il problema che si trova di fronte è quello delle divisioni nella comunità di Corinto, dove si erano formati dei gruppi che si riferivano ai vari predicatori considerandoli loro capi; dicevano: «Io sono di Paolo, io sono di Apollo, io sono di Cefa…» (1,12). San Paolo spiega che questo modo di pensare è sbagliato, perché la comunità non appartiene agli apostoli, ma sono loro - gli apostoli - ad appartenere alla comunità; però la comunità, tutta intera, appartiene a Cristo!

Da questa appartenenza deriva che nelle comunità cristiane – diocesi, parrocchie, associazioni, movimenti – le differenze non possono contraddire il fatto che tutti, per il Battesimo, abbiamo la stessa dignità: tutti, in Gesù Cristo, siamo figli di Dio. E questa è la nostra dignità: in Gesù Cristo siamo figli di Dio! Coloro che hanno ricevuto un ministero di guida, di predicazione, di amministrare i Sacramenti, non devono ritenersi proprietari di poteri speciali, padroni, ma porsi al servizio della comunità, aiutandola a percorrere con gioia il cammino della santità.

La Chiesa oggi affida la testimonianza di questo stile di vita pastorale ai nuovi Cardinali, con i quali ho celebrato questa mattina la santa Messa. Possiamo salutare tutti i nuovi Cardinali, con un applauso. Salutiamo tutti! Il Concistoro di ieri e l’odierna Celebrazione eucaristica ci hanno offerto un’occasione preziosa per sperimentare la cattolicità, l’universalità della Chiesa, ben rappresentata dalla variegata provenienza dei membri del Collegio Cardinalizio, raccolti in stretta comunione attorno al Successore di Pietro. E che il Signore ci dia la grazia di lavorare per l’unità della Chiesa, di costruire questa unità, perché l’unità è più importante dei conflitti! L’unità della Chiesa è di Cristo, i conflitti sono problemi che non sempre sono di Cristo.

I momenti liturgici e di festa, che abbiamo avuto l’opportunità di vivere nel corso delle ultime due giornate, rafforzino in tutti noi la fede, l’amore per Cristo e per la sua Chiesa! Vi invito anche a sostenere questi Pastori e ad assisterli con la preghiera, affinché guidino sempre con zelo il popolo che è stato loro affidato, mostrando a tutti la tenerezza e l’amore del Signore. Ma quanto bisogno di preghiera ha un Vescovo, un Cardinale, un Papa, affinché possa aiutare ad andare avanti il Popolo di Dio! Dico “aiutare”, cioè servire il Popolo di Dio, perché la vocazione del Vescovo, del Cardinale e del Papa è proprio questa: essere servitore, servire in nome di Cristo. Pregate per noi, perché siamo buoni servitori: buoni servitori, non buoni padroni! Tutti insieme, Vescovi, presbiteri, persone consacrate e fedeli laici dobbiamo offrire la testimonianza di una Chiesa fedele a Cristo, animata dal desiderio di servire i fratelli e pronta ad andare incontro con coraggio profetico alle attese e alle esigenze spirituali degli uomini e delle donne del nostro tempo. La Madonna ci accompagni e ci protegga in questo cammino.


Dopo l'Angelus:

Saluto tutti i pellegrini presenti, in particolare quelli venuti in occasione del Concistoro, per accompagnare i nuovi Cardinali; e ringrazio molto i Paesi che hanno voluto essere presenti a questo evento con Delegazioni ufficiali.

Saluto gli studenti di Tolosa e la comunità dei venezuelani residenti in Italia.

Saluto i fedeli di Caltanissetta, Reggio Calabria, Sortino, Altamura, Ruvo e Lido degli Estensi; i ragazzi di Reggio Emilia e quelli della diocesi di Lodi; l’Associazione ciclistica di Agrigento e i volontari della Protezione Civile della Bassa Padovana.

A tutti auguro buona domenica








Caterina63
00lunedì 24 febbraio 2014 09:50

  FANTASTICA RIFLESSIONE DI SOCCI SULLA PRESENZA DEI "DUE PAPI" 
ecco un passo imponente ed umile al tempo stesso:

Veniamo ora alle immagini viste ieri in San Pietro. Un vaticanista, ha scritto, in rete, che “Benedetto XVI, vestito di bianco, con il soprabito, era seduto in prima fila, come primo tra i cardinali”.

Solo che egli non è affatto un cardinale e neanche “il primo fra i cardinali”. Quello che è lo ha detto il Segretario di Stato Parolin, dopo aver salutato papa Francesco: “Salutiamo, con uguale affetto e venerazione, il Papa emerito, Sua Santità Benedetto XVI, lieti per la sua presenza in mezzo a noi…”.

Del resto lo stesso Francesco, l’11 febbraio scorso, lo ha chiamato “Sua Santità Benedetto XVI”. Molti sembra che non si accorgano dell’eccezionalità di questa situazione, della sua unicità, in tutta la storia della Chiesa. Evidentemente è dovuta ai tempi che la Chiesa si trova a vivere.

Ieri è stato lo stesso Francesco a renderla evidente al mondo intero. Vedendo quelle immagini infatti tornavano in mente (con tutte le domande del caso) le parole di Benedetto XVI, pronunciate il 27 febbraio 2013, quelle parole che sembra siano state rimosse da molti: “Il ‘sempre’ è anche un ‘per sempre’ - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo”.

Ieri era evidente che “l’esercizio attivo del ministero” petrino è svolto da papa Francesco, ma pure che quel ministero, per quanto riguarda Benedetto XVI, non è “revocato” ed è “per sempre”.

Cosa significhi dal punto di vista ecclesiale non so dirlo. Ma il dovere dei giornalisti è quello di descrivere la realtà dei fatti così come sono, e, nel caso, di fare domande e chiedere spiegazioni e cercare di capire.

Ecco il testo integrale di Socci   

DUE PAPI IN SAN PIETRO. I PERCHE’ DI UN EVENTO MAI VISTO IN DUEMILA ANNI

23 FEBBRAIO 2014 / IN NEWS

Nella storia bimillenaria della Chiesa nessuno prima di ieri aveva mai visto in San Pietro due papi insieme e che si abbracciano come fratelli. E’ accaduto al Concistoro dove Francesco ha invitato a partecipare il papa emerito Benedetto XVI.

Francesco ha deviato la solenne processione d’ingresso per andare a salutarlo (poi, uscendo dalla basilica, ha deviato di nuovo per tornare da lui e scambiare alcune parole).

E’ la terza volta che i media immortalano il loro abbraccio. Nel marzo scorso a Castelgandolfo, poi nei giardini vaticani per la benedizione di una statua di San Michele Arcangelo.

Altre volte si sono incontrati e si incontrano privatamente a colazione, lontano dai giornalisti.

Ma quello di ieri è un caso particolare perché era una cerimonia pubblica solenne nella Basilica di San Pietro. Era un avvenimento ecclesiale molto importante, perché si trattava della creazione di 19 nuovi cardinali.

Per questo la partecipazione di papa Ratzinger ha avuto un rilievo particolare: è stata la prima volta, dal giorno del suo ritiro, che ha partecipato a una cerimonia pubblica. Doppiamente significativa questa sua presenza perché ieri, per la Chiesa, era la festa della Cattedra di San Pietro, quindi la festa del Papato.

 

IL MISTERO DELLA RINUNCIA

 

Prima di chiedersi cosa può significare questo “Concistoro dei due papi” (come è stato subito definito), bisogna constatare che Benedetto XVI è apparso in una buona forma fisica.

Sul suo vigore intellettuale non ci sono dubbi e chi ne avesse avuti li ha visti dissolvere, a settembre scorso, leggendo la formidabile risposta che Ratzinger ha fatto a un libro di Piergiorgio Odifreddi.

Una risposta pubblica in cui – pur con la sua consueta cortesia – gli ha impartito una vera e propria lezione. Scorrendo quelle pagine si può constatare che Ratzinger non è solo l’intelligenza più lucida (e ortodossa) della Chiesa, ma anche una delle menti più illuminate della nostra epoca.

Però la constatazione della sua buona forma fisica e della sua perfetta lucidità intellettuale, ripropone mille domande sui motivi della sua “rinuncia”.

Tutti i papi infatti, nel corso dei secoli, hanno vissuto i loro ultimi anni di pontificato disponendo di forze molto ridotte per l’avanzata età (basti ricordare il grande Giovanni Paolo II che ha fatto dell’ultimo suo periodo di ministero una testimonianza dalla croce).

E’ obiettivamente inspiegabile dunque il “ritiro” di un papa come Benedetto XVI che è tuttora in salute e perfettamente efficiente. Considerata la guerra spietata che gli è stata fatta, anche dentro alla Curia e alla Chiesa, fin dalla sua elezione, nel 2005, è del tutto legittimo sospettare che vi siano state pressioni indebite per indurlo al “ritiro”. O comunque che siano state create le condizioni per spingerlo a quel passo.

 

PAPA PER SEMPRE

 

Veniamo ora alle immagini viste ieri in San Pietro. Un vaticanista, ha scritto, in rete, che “Benedetto XVI, vestito di bianco, con il soprabito, era seduto in prima fila, come primo tra i cardinali”.

Solo che egli non è affatto un cardinale e neanche “il primo fra i cardinali”. Quello che è lo ha detto il Segretario di Stato Parolin, dopo aver salutato papa Francesco: “Salutiamo, con uguale affetto e venerazione, il Papa emerito, Sua Santità Benedetto XVI, lieti per la sua presenza in mezzo a noi…”.

Del resto lo stesso Francesco, l’11 febbraio scorso, lo ha chiamato “Sua Santità Benedetto XVI”. Molti sembra che non si accorgano dell’eccezionalità di questa situazione, della sua unicità, in tutta la storia della Chiesa. Evidentemente è dovuta ai tempi che la Chiesa si trova a vivere.

Ieri è stato lo stesso Francesco a renderla evidente al mondo intero. Vedendo quelle immagini infatti tornavano in mente (con tutte le domande del caso) le parole di Benedetto XVI, pronunciate il 27 febbraio 2013, quelle parole che sembra siano state rimosse da molti: “Il ‘sempre’ è anche un ‘per sempre’ - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo”.

Ieri era evidente che “l’esercizio attivo del ministero” petrino è svolto da papa Francesco, ma pure che quel ministero, per quanto riguarda Benedetto XVI, non è “revocato” ed è “per sempre”.

Cosa significhi dal punto di vista ecclesiale non so dirlo. Ma il dovere dei giornalisti è quello di descrivere la realtà dei fatti così come sono, e, nel caso, di fare domande e chiedere spiegazioni e cercare di capire.

 

PERCHE’ E’ TORNATO

 

Eccoci dunque alla domanda sul significato della scelta di papa Francesco. Perché ha voluto Benedetto ieri in San Pietro al solenne Concistoro?

Forse è stato un gesto di cortesia. E’ la risposta più immediata. Ma forse anche la più banale e, a ben vedere, del tutto insoddisfacente.

Perché questo evento accade dopo un anno dal loro avvicendamento, un anno durante il quale ce ne sono state molte altre di cerimonie a cui Benedetto XVI avrebbe potuto partecipare. A cominciare dalla messa d’insediamento di Francesco.

Se dopo un anno si verifica un fatto del genere, che interrompe – per comune volontà di Bergoglio e di Ratzinger – l’“assenza” di Benedetto XVI dal mondo (che era stata annunciata come totale e definitiva), il motivo probabilmente è diverso. Più profondo e importante.

Nessuno è nella mente dei due papi, quindi è inutile fare illazioni. C’è però una coincidenza che fa riflettere. Proprio l’altroieri il Concistoro era stato aperto dalla relazione del cardinale Kasper sui temi caldissimi del prossimo Sinodo (relativi alle questioni della famiglia e dell’accesso ai sacramenti).

Kasper rappresenta le fazioni progressiste-moderniste della Chiesa, quelle che vogliono andare verso un sostanziale annacquamento della dottrina, ovvero – a mio avviso – verso l’autodemolizione della Chiesa, resa subalterna alle ideologie mondane.

Ratzinger – prima da cardinale, braccio destro di Giovanni Paolo II – e poi da Papa, è sempre stato considerato da queste fazioni come il grande avversario.

Egli ha rappresentato e rappresenta infatti non solo l’ortodossia, la fedeltà alla tradizione della Chiesa, ma anche una straordinaria intelligenza cattolica, capace di dialogare col mondo senza sottomettersi ad esso e – anzi – affascinando e attraendo le migliori intelligenze laiche.

 

CHIESA SOTTO ATTACCO

 

Nelle scorse settimane si sono fatte sentire molto le fazioni ecclesiastiche che vorrebbero fare del Sinodo una sorta di Vaticano III.

Del resto dall’esterno sono arrivate pressioni gravissime per un “rovesciamento” della dottrina cattolica: basti ricordare il recente fazioso attacco dell’Onu alla Chiesa.

Ma la presenza ieri in San Pietro, al Concistoro, di “Sua Santità Benedetto XVI”, chiesta da Francesco, è uno di quei fatti che parlano da soli.

Che fanno fare memoria della retta via e della retta dottrina. Dal momento che il dovere principale del Papa è proprio la custodia del “depositum fidei”.

Del resto la stessa omelia di Francesco, ieri, è stata – per così dire – di sapore ratzingeriano. Il Papa ha detto infatti ai nuovi cardinali: “La Chiesa ha bisogno del vostro coraggio, per annunciare il Vangelo in ogni occasione opportuna e non opportuna, e per dare testimonianza alla verità”.

Ha aggiunto che “la strada che Gesù sceglie è la via della croce… Diversamente dai discepoli di allora”, ha osservato il Papa “noi sappiamo che Gesù ha vinto, e non dovremmo avere paura della croce, anzi, nella croce abbiamo la nostra speranza. Eppure, siamo anche noi pur sempre umani, peccatori, e siamo esposti alla tentazione di pensare alla maniera degli uomini e non di Dio”.

Questo modo mondano di pensare produce poi “le rivalità, le invidie, le fazioni”. Il Papa ha chiesto dunque ai cardinali di respingere la mentalità del mondo.

Infine ha ricordato ai pastori che il gregge di Cristo è perseguitato in molte parti del pianeta, invitando a “lottare contro ogni discriminazione”, a pregare per questi fedeli e a confortarli nella prova in tutti i modi. Francesco ha parlato come Benedetto.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 23 febbraio 2014

Facebook: “Antonio Socci pagina ufficiale”








Caterina63
00domenica 4 gennaio 2015 22:45

ANGELUS


Piazza San Pietro
Domenica, 4 gennaio 2015

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Bella domenica ci regala il nuovo anno! Bella giornata!

Dice san Giovanni nel Vangelo che abbiamo letto oggi: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta … Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (1,4-5.9). Gli uomini parlano tanto della luce, ma spesso preferiscono la tranquillità ingannatrice del buio. Noi parliamo tanto della pace, ma spesso ricorriamo alla guerra o scegliamo il silenzio complice, oppure non facciamo nulla di concreto per costruire la pace. Infatti dice san Giovanni che “venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1,11); perché “il giudizio è questo: la luce – Gesù – è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene la luce perché le sue opere non vengano riprovate” (Gv 3,19-20). Così dice nel Vangelo san Giovanni. Il cuore dell’uomo può rifiutare la luce e preferire le tenebre, perché la luce mette a nudo le sue opere malvagie. Chi fa il male, odia la luce. Chi fa il male, odia la pace.

Abbiamo iniziato da pochi giorni il nuovo anno nel nome della Madre di Dio, celebrando la Giornata Mondiale della Pace sul tema “Non più schiavi, ma fratelli”. Il mio auspicio è che si superi lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. Questo sfruttamento è una piaga sociale che mortifica i rapporti interpersonali e impedisce una vita di comunione improntata a rispetto, giustizia e carità. Ogni uomo e ogni popolo hanno fame e sete di pace; pertanto è necessario e urgente costruire la pace!

La pace non è soltanto assenza di guerra, ma una condizione generale nella quale la persona umana è in armonia con sé stessa, in armonia con la natura e in armonia con gli altri. Questa è la pace. Tuttavia, far tacere le armi e spegnere i focolai di guerra rimane la condizione inevitabile per dare inizio ad un cammino che porta al raggiungimento della pace nei suoi differenti aspetti. Penso ai conflitti che insanguinano ancora troppe regioni del Pianeta, alle tensioni nelle famiglie e nelle comunità - ma in quante famiglie, in quante comunità, anche parrocchiali, c’è la guerra! - come pure ai contrasti accesi nelle nostre città e nei nostri paesi tra gruppi di diversa estrazione culturale, etnica e religiosa. Dobbiamo convincerci, nonostante ogni contraria apparenza, che la concordia è sempre possibile, ad ogni livello e in ogni situazione. Non c’è futuro senza propositi e progetti di pace! Non c’è futuro senza pace!

Dio, nell’Antico Testamento, ha fatto una promessa. Il profeta Isaia diceva: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra» (Is2,4). E’ bello! La pace è annunciata, come dono speciale di Dio, nella nascita del Redentore: «Pace in terra agli uomini che Dio ama» (Lc 2,14). Tale dono richiede di essere implorato incessantemente nella preghiera. Ricordiamo, qui in Piazza, quel cartello: “Alla radice della pace c’è la preghiera”. Deve essere implorato questo dono e dev’essere accolto ogni giorno con impegno, nelle situazioni in cui ci troviamo. Agli albori di questo nuovo anno, tutti noi siamo chiamati a riaccendere nel cuore un impulso di speranza, che deve tradursi in concrete opere di pace. “Tu non vai bene con questa persona? Fa’ la pace!”; ”A casa tua? Fa’ la pace!”; “Nella tua comunità? Fa’ la pace!”; ”Nel tuo lavoro? Fa’ la pace!”. Opere di pace, di riconciliazione e di fraternità. Ognuno di noi deve compiere gesti di fraternità nei confronti del prossimo, specialmente di coloro che sono provati da tensioni familiari o da dissidi di vario genere. Questi piccoli gesti hanno tanto valore: possono essere semi che danno speranza, possono aprire strade e prospettive di pace.

Invochiamo ora Maria, Regina della Pace. Lei, durante la sua vita terrena, ha conosciuto non poche difficoltà, legate alla quotidiana fatica dell’esistenza. Ma non hai mai smarrito la pace del cuore, frutto dell’abbandono fiducioso alla misericordia di Dio. A Maria, nostra tenera Madre, chiediamo di indicare al mondo intero la via sicura dell’amore e della pace.


Dopo l'Angelus:

Cari fratelli e sorelle,

rivolgo un cordiale saluto a tutti voi, cari pellegrini venuti dall’Italia e da vari Paesi per prendere parte a questo incontro di preghiera.

In particolare, saluto i fedeli di Casirate d’Adda, Alfianello, Val Brembilla e Verona.

A ciascuno formulo l’augurio di trascorrere nella pace e nella serenità questa seconda domenica dopo Natale, in cui poi si prolunga la gioia della nascita di Gesù.

Come è stato già annunciato, il prossimo 14 febbraio avrò la gioia di tenere un Concistoro, durante il quale nominerò 15 nuovi Cardinali, che, provenienti da 13 nazioni di ogni continente, manifestano l’inscindibile legame fra la Chiesa di Roma e le Chiese particolari presenti nel mondo.

Domenica 15 febbraio presiederò una solenne concelebrazione con i nuovi Cardinali, mentre il 12 e 13 febbraio terrò un Concistoro con tutti i Cardinali per riflettere sugli orientamenti e le proposte per la riforma della Curia Romana.

I nuovi Cardinali sono:

1 – Mons. Dominique Mamberti, Arcivescovo titolare di Sagona, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.
2 – Mons. Manuel José Macário do Nascimento Clemente, Patriarca di Lisboa (Portogallo).
3 – Mons. Berhaneyesus Demerew Souraphiel, C.M., Arcivescovo di Addis Abeba (Etiopia).
4 – Mons. John Atcherley Dew, Arcivescovo di Wellington (Nuova Zelanda).
5 – Mons. Edoardo Menichelli, Arcivescovo di Ancona-Osimo (Italia).
6 – Mons. Pierre Nguyên Văn Nhon, Arcivescovo di Hà Nôi (Viêt Nam).
7 – Mons. Alberto Suárez Inda, Arcivescovo di Morelia (Messico).
8 – Mons. Charles Maung Bo, S.D.B., Arcivescovo di Yangon (Myanmar).
9 – Mons. Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij, Arcivescovo di Bangkok (Thailandia).
10 – Mons. Francesco Montenegro, Arcivescovo di Agrigento (Italia).
11 – Mons. Daniel Fernando Sturla Berhouet, S.D.B., Arcivescovo di Montevideo (Uruguay).
12 – Mons. Ricardo Blázquez Pérez, Arcivescovo di Valladolid (Spagna).
13 – Mons. José Luis Lacunza Maestrojuán, O.A.R., Vescovo di David (Panamá).
14 – Mons. Arlindo Gomes Furtado, Vescovo di Santiago de Cabo Verde (Arcipelago di Capo Verde).
15 – Mons. Soane Patita Paini Mafi, Vescovo di Tonga (Isole di Tonga).

Unirò, inoltre, ai Membri del Collegio Cardinalizio 5 Arcivescovi e Vescovi Emeriti che si sono distinti per la loro carità pastorale nel servizio alla Santa Sede e alla Chiesa. Essi rappresentano tanti Vescovi che, con la stessa sollecitudine di pastori, hanno dato testimonianza di amore a Cristo e al Popolo di Dio sia nelle Chiese particolari, sia nella Curia Romana, sia nel Servizio Diplomatico della Santa Sede. Essi sono:

1 – Mons. José de Jesús Pimiento Rodríguez, Arcivescovo emerito di Manizales.
2 – Mons. Luigi De Magistris, Arcivescovo titolare di Nova, Pro-Penitenziere Maggiore emerito.
3 – Mons. Karl-Joseph Rauber, Arcivescovo titolare di Giubalziana, Nunzio Apostolico.
4 – Mons. Luis Héctor Villalba, Arcivescovo emerito di Tucumán.
5 – Mons. Júlio Duarte Langa, Vescovo emerito di Xai-Xai.

Preghiamo per i nuovi Cardinali, affinché, rinnovando il loro amore a Cristo, siano testimoni del suo Vangelo nella Città di Roma e nel mondo e con la loro esperienza pastorali mi sostengano più intensamente nel mio servizio apostolico.

Buona domenica a tutti! 


 


Caterina63
00venerdì 23 gennaio 2015 20:24
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Papa: porpora è servizio. Mondanità stordisce più della grappa

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2015-01-23 Radio Vaticana

Una vocazione, un servizio e non un premio  a culmine della carriera. Così il Papa in una lettera ai 20 nuovi cardinali che riceveranno la porpora nel prossimo concistoro del 14 febbraio.

Il documento datato 4 gennaio 2015 è stato pubblicato oggi da L’Osservatore Romano.
Francesco mette in guardia dallo spirito di mondanità che – scrive - "stordisce più della grappa a digiuno, disorienta e separa dalla croce di Cristo". Essere cardinale – prosegue -  significa dare testimonianza della Risurrezione del Signore e darla totalmente, fino al sangue se necessario.

 

Di seguito il testo integrale della lettera: 

 

Caro fratello,


oggi è stata resa pubblica la tua designazione come Cardinale della Santa Chiesa Romana. Ti giunga il mio saluto con l’assicurazione della mia preghiera. Chiedo al Signore di accompagnarti in questo nuovo servizio, che è un servizio di aiuto, sostegno e speciale vicinanza alla persona del Papa e per il bene della Chiesa.


E proprio in ordine ad esercitare questa dimensione di servizio, il cardinalato è una vocazione. Il Signore, mediante la Chiesa, ti chiama ancora una volta a servire; e ti farà bene al cuore ripetere nella preghiera l’espressione che Gesù stesso suggerì ai suoi discepoli per mantenersi in umiltà: «Dite: “Siamo servi inutili”», e questo non come formula di buona educazione ma come verità dopo il lavoro, «quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato» (Lc 17, 10).

Mantenersi in umiltà nel servizio non è facile quando si considera il cardinalato come un premio, come culmine di una carriera, una dignità di potere o di superiore distinzione. Di qui il tuo impegno quotidiano per tenere lontane queste considerazioni, e soprattutto per ricordare che essere Cardinale significa incardinarsi nella Diocesi di Roma per darvi testimonianza della Risurrezione del Signore e darla totalmente, fino al sangue se necessario.
Molti si rallegreranno per questa tua nuova vocazione e, come buoni cristiani, faranno festa (perché è proprio del cristiano gioire e saper festeggiare).

Accettalo con umiltà. Solo fai in modo che, in questi festeggiamenti, non si insinui lo spirito di mondanità che stordisce più della grappa a digiuno, disorienta e separa dalla croce di Cristo.


Arrivederci dunque al 14 febbraio. Preparati con la preghiera e un po’ di penitenza. Abbi molta pace e letizia. E, per favore, ti chiedo di non dimenticare di pregare per me.


Gesù ti benedica e la Vergine Santa ti protegga.


Fraternamente,


Dal Vaticano, 4 gennaio 2015  





 

CONCISTORO DEL COLLEGIO CARDINALIZIO [12-13 FEBBRAIO 2015]

SALUTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
AI 
CARDINALI RIUNITI PER IL CONCISTORO

Aula del Sinodo
Giovedì, 12 febbraio 2015

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Cari fratelli,

«com’è bello e come è dolce che i fratelli vivano insieme!» (Sal 133,1).

Con le parole del Salmo rendiamo lode al Signore che ci ha convocati e ci dona la grazia di accogliere in questa assemblea i 20 nuovi Cardinali. A loro e a tutti rivolgo il mio cordiale saluto. Benvenuti in questa comunione, che si esprime nella collegialità.

Grazie a tutti coloro che hanno preparato questo evento, in particolare a Sua Eminenza Cardinale Angelo Sodano, Decano del Collegio Cardinalizio. Ringrazio la Commissione dei nove Cardinali e Sua Eminenza Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, coordinatore. Ringrazio anche Sua Eccellenza Marcello Semeraro, segretario della Commissione dei nove Cardinali: è lui che oggi ci presenta la sintesi del lavoro svolto in questi ultimi mesi per elaborare la nuova Costituzione Apostolica per la riforma della Curia. Come sappiamo, questa sintesi è stata predisposta in base a tanti suggerimenti, anche da parte dei capi e dei responsabili dei Dicasteri, nonché degli esperti in materia.

La meta da raggiungere è sempre quella di favorire maggiore armonia nel lavoro dei vari Dicasteri e Uffici, al fine di realizzare una più efficace collaborazione in quell’assoluta trasparenza che edifica l’autentica sinodalità e la collegialità.

La riforma non è fine a sé stessa, ma un mezzo per dare una forte testimonianza cristiana; per favorire una più efficace evangelizzazione; per promuovere un più fecondo spirito ecumenico; per incoraggiare un dialogo più costruttivo con tutti. La riforma, auspicata vivamente dalla maggioranza dei Cardinali nell’ambito delle Congregazioni generali prima del Conclave, dovrà perfezionare ancora di più l’identità della stessa Curia Romana, ossia quella di coadiuvare il Successore di Pietro nell’esercizio del suo supremo ufficio pastorale per il bene e il servizio della Chiesa universale e delle Chiese particolari. Esercizio col quale si rafforzano l’unità di fede e la comunione del popolo di Dio e si promuove la missione propria della Chiesa nel mondo.

Certamente raggiungere una tale meta non è facile: richiede tempo, determinazione e soprattutto la collaborazione di tutti. Ma per realizzare questo dobbiamo innanzitutto affidarci allo Spirito Santo, che è la vera guida della Chiesa, implorando nella preghiera il dono dell’autentico discernimento.

Con questo spirito di collaborazione inizia il nostro incontro, che sarà fecondo grazie al contributo che ciascuno di noi potrà esprimere con parresía, fedeltà al Magistero e consapevolezza che tutto ciò concorre alla legge suprema, ossia alla salus animarum. Grazie.



Concistoro. Francesco: cardinale è uomo di carità e speranza

Al Concistoro il saluto tra Papa Francesco e Benedetto -

14/02/2015 

 

Quella cardinalizia non è una dignità “decorativa”, perché chi vi è chiamato deve avere una sola “parola-guida”: la carità. È quanto Papa Francesco ha detto ai 20 nuovi cardinali creati durante il Concistoro presieduto nella Basilica di San Pietro. Alla cerimonia ha preso parte anche il Papa emerito, Benedetto XVI. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Una berretta rossa non è il fregio posto sul capo di un uomo di comando, ma il simbolo di un uomo chiamato a un servizio più grande. Grande come la carità cristiana, che trabocca di benevolenza, è orientata alla giustizia, è piena di speranza, è incline al perdono. Un uomo che non ha altro amore che la Chiesa e sostiene il Papa come un fratello.

Non siete decorativi
Papa Francesco pone se stesso e i 20 nuovi cardinali – 19 presenti in Basilica, unica eccezione l’ultranovantenne colombiano Pimiento Rodríguez – di fronte al manifesto dell’eccellenza cristiana, quella descritta da San Paolo nel suo “Inno alla carità”. Lì, afferma, un cardinale soprattutto trova il suo dover essere, poiché dice subito, nelle prime righe della sua allocuzione…

“…quella cardinalizia è certamente una dignità, ma non è onorifica. Lo dice già il nome – ‘cardinale’ – che evoca il ‘cardine’; dunque non qualcosa di accessorio, di decorativo, che faccia pensare a una onorificenza, ma un perno, un punto di appoggio e di movimento essenziale per la vita della comunità”.

Amate senza confini
La cerimonia inizia e si snoda con grande solennità. Banditi gli applausi, a rimarcare non l’assenza di gioia, ma il bisogno di raccoglimento. Davanti all’altare, sulla sinistra, lo spesso emiciclo scarlatto delle porpore culmina nel punto in bianco dove siede il Papa emerito Benedetto. L’ascolto è di un silenzio solido quando Francesco, scomponendo l’Inno paolino, ricorda quali sentimenti debbano battere in un “cardine” della Chiesa:

“Quanto più si allarga la responsabilità nel servizio alla Chiesa, tanto più deve allargarsi il cuore, dilatarsi secondo la misura del cuore di Cristo. Magnanimità è, in un certo senso, sinonimo di cattolicità: è saper amare senza confini, ma nello stesso tempo fedeli alle situazioni particolari e con gesti concreti. Amare ciò che è grande senza trascurare ciò che è piccolo; amare le piccole cose nell’orizzonte delle grandi (...) Saper amare con  gesti benevoli. Benevolenza è l’intenzione ferma e costante di volere il bene sempre e per tutti, anche per quelli che non ci vogliono bene”.

Vostro interesse sia il bene di tutti
La carità inoltre “non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio” – tentazioni, riconosce il Papa, dalle quali “non sono immuni” neanche le “dignità ecclesiastiche” – e poi non “non manca di rispetto” e “non cerca il proprio interesse”. In questo caso, osserva Francesco, il problema nasce in chi è troppo “autocentrato” su di sé da non badare alla dignità degli altri:

“Chi è auto-centrato cerca inevitabilmente il proprio interesse, e gli sembra che questo sia normale, quasi doveroso. Tale ‘interesse’ può anche essere ammantato di nobili rivestimenti, ma sotto sotto sotto è sempre il 'proprio interesse'. Invece la carità ti de-centra e ti pone nel vero centro che è solo Cristo. Allora sì, puoi essere una persona rispettosa e attenta al bene degli altri”.

Dio ci scampi dal rancore
Trasparente Papa Francesco nel punto in cui si sofferma a considerare la carità che non si arrabbia, né tiene la contabilità del “male ricevuto”. Certo, ammette, “al pastore che vive a contatto con la gente non mancano le occasioni di arrabbiarsi”. E ancor più non gli difettano nel rapporto “tra confratelli”, perché “in effetti noi siamo meno scusabili”. Ma anche qui, ribadisce, “è la carità, e solo la carità, che ci libera”:

“Ci libera dal pericolo di reagire impulsivamente, di dire e fare cose sbagliate; e soprattutto ci libera dal rischio mortale dell’ira trattenuta, 'covata' dentro, che ti porta a tenere conto dei mali che ricevi. No. Questo non è accettabile nell’uomo di Chiesa. Se pure si può scusare un’arrabbiatura momentanea e subito sbollita, non altrettanto per il rancore. Dio ce ne scampi e liberi!”.

Uomini di perdono e speranza
Un uomo della carità, ancora, “non gode dell’ingiustizia e si rallegra della verità”, quest’ultima un’espressione che Francesco sottolinea con piacere perché chi è di Dio, dice, “è affascinato dalla verità” che ritrova nella carne di Gesù. Il commento finale è sulle ultime quattro virtù della carità, che “tutto” scusa, crede, spera e sopporta:

“L’amore di Cristo, riversato nei nostri cuori dallo Spirito Santo, ci permette di vivere così, di essere così: persone capaci di perdonare sempre; di dare sempre fiducia, perché piene di fede in Dio; capaci di infondere sempre speranza, perché piene di speranza in Dio; persone che sanno sopportare con pazienza ogni situazione e ogni fratello e sorella, in unione con Gesù, che ha sopportato con amore il peso di tutti i nostri peccati”.




CONCISTORO ORDINARIO PUBBLICO PER LA CREAZIONE DI NUOVI CARDINALI 
E PER ALCUNE CAUSE DI CANONIZZAZIONE

CAPPELLA PAPALE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Sabato, 14 febbraio 2015

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Cari Fratelli Cardinali,

quella cardinalizia è certamente una dignità, ma non è onorifica. Lo dice già il nome – “cardinale” – che evoca il “cardine”; dunque non qualcosa di accessorio, di decorativo, che faccia pensare a una onorificenza, ma un perno, un punto di appoggio e di movimento essenziale per la vita della comunità. Voi siete “cardini” e siete incardinati nella Chiesa di Roma, che «presiede alla comunione universale della carità» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Lumen gentium, 13; cfr Ign. Ant., Ad Rom., Prologo).

Nella Chiesa ogni presidenza proviene dalla carità, deve esercitarsi nella carità e ha come fine la carità. Anche in questo la Chiesa che è in Roma svolge un ruolo esemplare: come essa presiede nella carità, così ogni Chiesa particolare è chiamata, nel suo ambito, a presiedere nella carità.

Perciò penso che l’“inno alla carità” della Prima Lettera di san Paolo ai Corinzi possa essere la parola-guida per questa celebrazione e per il vostro ministero, in particolare per quelli tra voi che oggi entrano a far parte del Collegio cardinalizio. E ci farà bene lasciarci guidare, io per primo e voi con me, dalle parole ispirate dell’apostolo Paolo, in particolare là dove egli elenca le caratteristiche della carità. Ci aiuti in questo ascolto la nostra Madre Maria. Lei ha dato al mondo Colui che è “la Via migliore di tutte” (cfr 1 Cor 12,31): Gesù, Carità incarnata; ci aiuti ad accogliere questa Parola e a camminare sempre su questa Via. Ci aiuti col suo atteggiamento umile e tenero di madre, perché la carità, dono di Dio, cresce dove ci sono umiltà e tenerezza.

Anzitutto san Paolo ci dice che la carità è «magnanima» e «benevola». Quanto più si allarga la responsabilità nel servizio alla Chiesa, tanto più deve allargarsi il cuore, dilatarsi secondo la misura del cuore di Cristo. Magnanimità è, in un certo senso, sinonimo di cattolicità: è saper amare senza confini, ma nello stesso tempo fedeli alle situazioni particolari e con gesti concreti. Amare ciò che è grande senza trascurare ciò che è piccolo; amare le piccole cose nell’orizzonte delle grandi, perché “Non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo divinum est”. Saper amare con  gesti benevoli. Benevolenza è l’intenzione ferma e costante di volere il bene sempre e per tutti, anche per quelli che non ci vogliono bene.

L’apostolo dice poi che la carità «non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio». Questo è davvero un miracolo della carità, perché noi esseri umani – tutti, e in ogni età della vita – siamo inclinati all’invidia e all’orgoglio dalla nostra natura ferita dal peccato. E anche le dignità ecclesiastiche non sono immuni da questa tentazione. Ma proprio per questo, cari Fratelli, può risaltare ancora di più in noi la forza divina della carità, che trasforma il cuore, così che non sei più tu che vivi, ma Cristo vive in te. E Gesù è tutto amore.

Inoltre, la carità «non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse». Questi due tratti rivelano che chi vive nella carità è de-centrato da sé. Chi è auto-centrato manca inevitabilmente di rispetto, e spesso non se ne accorge, perché il “rispetto” è proprio la capacità di tenere conto dell’altro, di tenere conto della sua dignità, della sua condizione, dei suoi bisogni. Chi è auto-centrato cerca inevitabilmente il proprio interesse, e gli sembra che questo sia normale, quasi doveroso. Tale “interesse” può anche essere ammantato di nobili rivestimenti, ma sotto sotto è sempre il “proprio interesse”. Invece la carità ti de-centra e ti pone nel vero centro che è solo Cristo. Allora sì, puoi essere una persona rispettosa e attenta al bene degli altri.

La carità, dice Paolo, «non si adira, non tiene conto del male ricevuto». Al pastore che vive a contatto con la gente non mancano le occasioni di arrabbiarsi. E forse ancora di più rischiamo di adirarci nei rapporti tra noi confratelli, perché in effetti noi siamo meno scusabili. Anche in questo è la carità, e solo la carità, che ci libera. Ci libera dal pericolo di reagire impulsivamente, di dire e fare cose sbagliate; e soprattutto ci libera dal rischio mortale dell’ira trattenuta, “covata” dentro, che ti porta a tenere conto dei mali che ricevi. No. Questo non è accettabile nell’uomo di Chiesa. Se pure si può scusare un’arrabbiatura momentanea e subito sbollita, non altrettanto per il rancore. Dio ce ne scampi e liberi!

La carità – aggiunge l’Apostolo – «non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità». Chi è chiamato nella Chiesa al servizio del governo deve avere un forte senso della giustizia, così che qualunque ingiustizia gli risulti inaccettabile, anche quella potesse essere vantaggiosa per lui o per la Chiesa. E nello stesso tempo «si rallegra della verità»: che bella questa espressione! L’uomo di Dio è uno che è affascinato dalla verità e che la trova pienamente nella Parola e nella Carne di Gesù Cristo. Lui è la sorgente inesauribile della nostra gioia. Che il popolo di Dio possa sempre trovare in noi la ferma denuncia dell’ingiustizia e il servizio gioioso della verità.

Infine, la carità «tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta». Qui c’è, in quattro parole, un programma di vita spirituale e pastorale. L’amore di Cristo, riversato nei nostri cuori dallo Spirito Santo, ci permette di vivere così, di essere così: persone capaci di perdonare sempre; di dare sempre fiducia, perché piene di fede in Dio; capaci di infondere sempre speranza, perché piene di speranza in Dio; persone che sanno sopportare con pazienza ogni situazione e ogni fratello e sorella, in unione con Gesù, che ha sopportato con amore il peso di tutti i nostri peccati.

Cari Fratelli, tutto questo non viene da noi, ma da Dio. Dio è amore e compie tutto questo, se siamo docili all’azione del suo Santo Spirito. Ecco allora come dobbiamo essere: incardinati e docili. Più veniamo incardinati nella Chiesa che è in Roma e più dobbiamo diventare docili allo Spirito, perché la carità possa dare forma e senso a tutto ciò che siamo e che facciamo. Incardinati nella Chiesa che presiede nella carità, docili allo Spirito Santo che riversa nei nostri cuori l’amore di Dio (cfr Rm 5,5). Così sia.




  Concistoro per tre nuove Canonizzazioni, il rito il 17 maggio

Concistoro per la canonizzazione di tre Beate - OSS_ROM

14/02/2015 13:17
 

 

Dopo la creazione dei nuovi cardinali, Papa Francesco ha presieduto il Concistoro che dà il via libera alla Canonizzazione di tre religiose Beate. Si tratta di suor Giovanna Emilia de Villeneuve, fondatrice della Congregazione delle Suore dell’Immacolata Concezione di Castres; Maria di Gesù Crocifisso, monaca professa dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi; e Maria Alfonsina Danil Ghattas, fondatrice della Congregazione delle Suore del Rosario di Gerusalemme. Saranno canonizzate il prossimo 17 maggio assieme a Maria Cristina dell’Immacolata Concezione. I ritratti delle tre future Sante nel servizio di Roberta Barbi:

Giovanna Emilia de Villeneuve
“È per Dio che vi lascio, voglio servire i poveri, perché dobbiamo andare là dove la voce dei poveri ci chiama”. Così Emilia nel 1836, a soli 25 anni, si congedò da suo padre, il marchese Louis de Villeneuve, per fondare assieme ad altre due ragazze una nuova Congregazione consacrata all’Immacolata Concezione. Le chiameranno le “suore azzurre”, perché tale era l’abito che vestivano, un segno della protezione del manto di Maria che la fondatrice volle fosse anche visibile, in un’epoca in cui tutte le monache vestivano di nero. L’amore per gli altri e la spinta alle attività sociali le aveva imparate proprio dal padre, che in seno alla sua industria per la lavorazione del cuoio aveva creato una società di mutuo soccorso e promuoveva corsi di alfabetizzazione per i giovani, ma furono la morte prematura della madre e della sorella a farla avvicinare alla Vergine, che presto divenne la sua compagna di viaggio. L’esperienza della morte le insegnò che la vita non è l’unica cosa importante su questa terra, ma “si deve vedere Dio in tutte le cose e tutte le cose in Dio, ascoltarne la Parola, raccogliersi in momenti di preghiera profondi per imparare a guardare il mondo con gli occhi di Gesù”. Con le sue nuove sorelle visse accanto agli ammalati, ai carcerati e alle prostitute per dimostrare loro che Dio li ama, fino alla morte per colera sopraggiunta nel 1853.

Maria di Gesù Crocifisso
Veniva da Nazareth e portava il nome di Mariam come la Vergine e Maria di Gesù Crocifisso si chiamò anche dopo aver pronunciato i voti presso il Carmelo di Pau, in Francia, la seconda Beata che sarà canonizzata, al secolo Mariam Baouardy. “Una piccola araba obbediente fino al miracolo”, la definiva la sua madre superiora che le fu vicino quando i mistici doni di cui era ricca cominciarono a manifestarsi. Umile e illetterata, Maria inizialmente nascose le stimmate che le sanguinavano nel giorno della Passione di Cristo, credendo di aver contratto la lebbra e non raccontò subito le esperienze dell’estasi e della bilocazione che attribuiva alla propria incapacità di restare sveglia mentre pregava. Poi, quando si trovò a comporre di getto salmi che il suo analfabetismo le avrebbe reso impossibili, capì: “A chi somiglio io, Signore? Agli uccelletti implumi nel loro nido. Se il padre e la madre non portano loro il cibo, muoioni di fame. Così è l’anima mia senza di Te: non ha sostegno, non può vivere”. Attraverso di lei il Signore volle che fosse costruito un Carmelo a Betlemme, dove presto si trasferì, e poi uno Nazareth, in Terrasanta. Oltre al continuo dialogo con lo Spirito Santo, Mariam iniziò a ricevere anche le visite del maligno che la percuoteva e la ossessionava, ma più la tormentava, più lei si avvicinava a Dio, a cui alla fine, esausta, chiese: “Chiamami a te!”. Fu esaudita nel 1878 e seppellita nel convento carmelitano di Betlemme, dove tutti già la chiamavano “kedise”, la “Santa”.

Maria Alfonsina Danil Ghattas
Palestinese era anche Sultaneh, la quindicenne figlia di Danil Ghattas che con la vestizione religiosa sul Santo Calvario, entrò a far parte delle Suore di San Giuseppe dell’Apparizione con il nome di Maria Alfonsina. Ma non era questo il suo destino. La Vergine le apparve per la prima volta il giorno dell’Epifania del 1874 e poi di nuovo nel mese a lei consacrato, maggio, ispirandole la fondazione di una nuova congregazione: le Suore del Santissimo Rosario di Gerusalemme, la prima interamente femminile presente in Terrasanta. Era questa la missione della Beata: promuovere il ruolo della donna nella sua amata patria terrena; un compito difficilissimo anche per chi, come lei, aveva una fiducia sconfinata nella divina Provvidenza. Iniziò con nove sorelle, occupandosi dell’insegnamento religioso per vincere l’analfabetismo imperante,ma presto la congregazione si diffuse, tanto che oggi è considerata il braccio destro del Patriarcato latino nei Paesi arabi, in cui si occupa di scuole, parrocchie e altre istituzioni diocesane. Silenziosa e umile fino a sparire dentro la preghiera del Santo Rosario, rimise l’anima al Padre proprio mentre recitava i 15 misteri, nella notte del 25 marzo 1927.




Caterina63
00domenica 15 febbraio 2015 11:38

  Messa del Papa con i nuovi cardinali - Testo integrale dell'omelia




Messa del Papa con i nuovi cardinali - AFP





15/02/2015 



“Signore, se vuoi, tu puoi purificarmi”. Gesù, mosso a compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio, sii purificato!” (cfr Mc 1,40-41). La compassione di Gesù! Quel “patire con” che lo avvicinava ad ogni persona sofferente. Gesù non si risparmia, anzi si lascia coinvolgere nel dolore e nel bisogno della gente, semplicemente perché Egli sa e vuole “patire con”, perché ha un cuore che non si vergogna di avere “compassione”.


«Non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti» (Mc 1,45). Questo significa che, oltre a guarire il lebbroso, Gesù ne ha preso su di sé anche l’emarginazione che la legge di Mosè imponeva (cfr Lv 13,1-2.45-46). Gesù non ha paura del rischio di assumere la sofferenza dell’altro, ma ne paga fino in fondo il prezzo (cfr Is 53,4).


La compassione porta Gesù ad agire in concreto: a reintegrare l’emarginato. E questi sono i tre concetti-chiave che la Chiesa ci propone oggi nella liturgia della Parola: la compassione di Gesù di fronte all’emarginazione e la sua volontà di integrazione.


Emarginazione: Mosè, trattando giuridicamente la questione dei lebbrosi, chiede che vengano allontanati ed emarginati dalla comunità, finché perduri il loro male, e li dichiara “impuri” (cfr Lv 13,1-2.45-46).


Immaginate quanta sofferenza e quanta vergogna doveva provare un lebbroso: fisicamente, socialmente, psicologicamente e spiritualmente! Egli non è solo vittima della malattia, ma sente di esserne anche il colpevole, punito per i suoi peccati! È un morto vivente, “come uno a cui suo padre ha sputato in faccia” (cfr Nm 12,14).


Inoltre, il lebbroso incute paura, disdegno, disgusto e per questo viene abbandonato dai propri familiari, evitato dalle altre persone, emarginato dalla società, anzi la società stessa lo espelle e lo costringe a vivere in luoghi distanti dai sani, lo esclude. E ciò al punto che se un individuo sano si fosse avvicinato a un lebbroso sarebbe stato severamente punito e spesso trattato, a sua volta, da lebbroso.


E’ vero, la finalità di tale normativa era quella di salvare i saniproteggere i giusti e, per salvaguardarli da ogni rischio, emarginare “il pericolo” trattando senza pietà il contagiato. Così, infatti, esclamò il sommo sacerdote Caifa: «È meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera» (Gv 11, 50).


Integrazione: Gesù rivoluziona e scuote con forza quella mentalità chiusa nella paura e autolimitata dai pregiudizi. Egli, tuttavia, non abolisce la Legge di Mosè ma la porta a compimento (cfr Mt 5,17), dichiarando, ad esempio, l’inefficacia controproducente della legge del taglione; dichiarando che Dio non gradisce l’osservanza del Sabato che disprezza l’uomo e lo condanna; o quando, di fronte alla donna peccatrice, non la condanna, anzi la salva dallo zelo cieco di coloro che erano già pronti a lapidarla senza pietà, ritenendo di applicare la Legge di Mosè. Gesù rivoluziona anche le coscienze nel Discorso della montagna (cfr Mt 5), aprendo nuovi orizzonti per l’umanità e rivelando pienamente la logica di Dio. La logica dell’amore che non si basa sulla paura ma sulla libertà, sulla carità, sullo zelo sano e sul desiderio salvifico di Dio: «Dio, nostro salvatore, … vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,3-4). «Misericordia io voglio e non sacrifici» (Mt 12,7; Os 6,6).


Gesù, nuovo Mosè, ha voluto guarire il lebbroso, l’ha voluto toccare, l’ha voluto reintegrare nella comunità, senza “autolimitarsi” nei pregiudizi; senza adeguarsi alla mentalità dominante della gente; senza preoccuparsi affatto del contagio. Gesù risponde alla supplica del lebbroso senza indugio e senza i soliti rimandi per studiare la situazione e tutte le eventuali conseguenze! Per Gesù ciò che conta, soprattutto, è raggiungere e salvare i lontani, curare le ferite dei malati, reintegrare tutti nella famiglia di Dio. E questo scandalizza qualcuno!


E Gesù non ha paura di questo tipo di scandalo! Egli non pensa alle persone chiuse che si scandalizzano addirittura per una guarigione, che si scandalizzano di fronte a qualsiasi apertura, a qualsiasi passo che non entri nei loro schemi mentali e spirituali, a qualsiasi carezza o tenerezza che non corrisponda alle loro abitudini di pensiero e alla loro purità ritualistica. Egli ha voluto integrare gli emarginati, salvare coloro che sono fuori dall’accampamento (cfr Gv 10).


Sono due logiche di pensiero e di fede: la paura di perdere i salvati e il desiderio di salvare i perduti. Anche oggi accade, a volte, di trovarci nell’incrocio di queste due logiche: quella dei dottori della legge, ossia emarginare il pericolo allontanando la persona contagiata, e la logica di Dio che, con la sua misericordia, abbraccia e accoglie reintegrando e trasfigurando il male in bene, la condanna in salvezza e l’esclusione in annuncio.


Queste due logiche percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginare ereintegrare. San Paolo, attuando il comandamento del Signore di portare l’annuncio del Vangelo fino agli estremi confini della terra (cfr Mt 28,19), scandalizzò e incontrò forte resistenza e grande ostilità soprattutto da coloro che esigevano un’incondizionata osservanza della Legge mosaica anche da parte dei pagani convertiti. Anche san Pietro venne criticato duramente dalla comunità quando entrò nella casa del centurione pagano Cornelio (cfr At 10).


La strada della Chiesa, dal Concilio di Gerusalemme in poi, è sempre quella di Gesù: della misericordia e dell’integrazione. Questo non vuol dire sottovalutare i pericoli o fare entrare i lupi nel gregge, ma accogliere il figlio prodigo pentito; sanare con determinazione e coraggio le ferite del peccato; rimboccarsi le maniche e non rimanere a guardare passivamente la sofferenza del mondo.
La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero; la strada della Chiesa è proprio quella di uscire dal proprio recinto per andare a cercare i lontani nelle “periferie” essenziali dell’esistenza; quella di adottare integralmente la logica di Dio; di seguire il Maestro che disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori » (Lc5,31-32).

Guarendo il lebbroso, Gesù non reca alcun danno a chi è sano, anzi lo libera dalla paura; non gli apporta un pericolo ma gli dona un fratello; non disprezza la Legge ma apprezza l’uomo, per il quale Dio ha ispirato la Legge. Infatti, Gesù libera i sani dalla tentazione del “fratello maggiore” (cfr Lc15,11-32) e dal peso dell’invidia e della mormorazione degli “operai che hanno sopportato il peso della giornata e il caldo” (cfr Mt 20,1-16).

Di conseguenza: la carità non può essere neutra, asettica, indifferente, tiepida o imparziale! La carità contagia, appassiona, rischia e coinvolge! Perché la carità vera è sempre immeritata, incondizionata e gratuita! (cfr 1 Cor 13). La carità è creativa nel trovare il linguaggio giusto per comunicare con tutti coloro che vengono ritenuti inguaribili e quindi intoccabili. Questo “trovare il linguaggio giusto” … Il contatto è il vero linguaggio comunicativo, lo stesso linguaggio affettivo che ha trasmesso al lebbroso la guarigione. Quante guarigioni possiamo compiere e trasmettere imparando questo linguaggio del contatto! Era un lebbroso ed è diventato annunciatore dell’amore di Dio. Dice il Vangelo: «Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto» (Mc 1,45).

Cari nuovi Cardinali, questa è la logica di Gesù, questa è la strada della Chiesa: non solo accogliere e integrare, con coraggio evangelico, quelli che bussano alla nostra porta, ma uscire, andare a cercare, senza pregiudizi e senza paura, i lontani manifestando loro gratuitamente ciò che noi abbiamo gratuitamente ricevuto. «Chi dice di rimanere in [Cristo], deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato» (1 Gv 2,6). La totale disponibilità nel servire gli altri è il nostro segno distintivo, è l’unico nostro titolo di onore!

E pensate bene, in questi giorni in cui avete ricevuto il titolo cardinalizio, invochiamo l’intercessione di Maria, Madre della Chiesa, che ha sofferto in prima persona l’emarginazione a causa delle calunnie (cfr Gv 8,41) e dell’esilio (cfr Mt 2,13-23), affinché ci ottenga di essere servi fedeli a Dio. Ci insegni Lei - che è la Madre - a non avere paura di accogliere con tenerezza gli emarginati; a non avere paura della tenerezza: ma quante volte abbiamo paura della tenerezza! Ci insegni a non avere paura della tenerezza e della compassione; ci rivesta di pazienza nell’accompagnarli nel loro cammino, senza cercare i risultati di un successo mondano; ci mostri Gesù e ci faccia camminare come Lui.

Cari fratelli nuovi Cardinali, guardando a Gesù e alla nostra Madre, vi esorto a servire la Chiesa in modo tale che i cristiani - edificati dalla nostra testimonianza - non siano tentati di stare con Gesù senza voler stare con gli emarginati, isolandosi in una casta che nulla ha di autenticamente ecclesiale. Vi esorto a servire Gesù crocifisso in ogni persona emarginata, per qualsiasi motivo; a vedere il Signore in ogni persona esclusa che ha fame, che ha sete, che è nuda; il Signore che è presente anche in coloro che hanno perso la fede, o che si sono allontanati dal vivere la propria fede o che si dichiarano atei; il Signore che è in carcere, che è ammalato, che non ha lavoro, che è perseguitato; il Signore che è nel lebbroso - nel corpo o nell’anima -, che è discriminato! Non scopriamo il Signore se non accogliamo in modo autentico l’emarginato! Ricordiamo sempre l’immagine di san Francesco che non ha avuto paura di abbracciare il lebbroso e di accogliere coloro che soffrono qualsiasi genere di emarginazione. In realtà, cari fratelli, sul vangelo degli emarginati, si gioca e si scopre e si rivela la nostra credibilità!




  qualcuno in rete si è scandalizzato da alcune parole del Papa come definire Gesù "il nuovo Mosè"......

Il “nuovo” Mosè

Il Timone, novembre 2007

don Pietro Cantoni

“Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto” (Dt 18,15).

 

Nel libro del Deuteronomio, che è l’ultimo del Pentateuco e chiude quindi la collezione dei cinque libri che costituiscono la Torah – la “Legge” – c’è una promessa diversa da quelle che troviamo negli altri libri della Bibbia. Ad essa invita a guardare Joseph Ratzinger, nel libro Gesù di Nazaret per capire meglio la figura di Gesù così come ci è presentata dai Vangeli.
“Voi chi dite che io sia?” (Mt 16,15). Chi è Gesù di Nazaret? Questa è la domanda a cui vuole rispondere il testo; la stessa domanda a cui intendono rispondere i Vangeli. Per capire un libro, la prima cosa da mettere in chiaro è la ragione per cui è stato scritto. Il Deuteronomio è una raccolta di tre grandi discorsi di Mosè, l’uomo attraverso cui viene data da Dio al popolo di Israele la Legge, cioè l’insegnamento e la norma per cui un insieme di uomini diventa “popolo di Dio” che lo deve onorare e adorare in una terra da lui donata. È alla fine del secondo che Mosè comunica al popolo questa promessa di Dio: “Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto” (Dt 18,15).
Potrebbe sembrare che la promessa riguardi soltanto l’istituzione del profetismo. Molti sono infatti i veri e grandi profeti che sorgeranno a guidare, con la Parola di Dio, il popolo nelle sue vicissitudini: pensiamo soltanto ad Isaia, Geremia, Ezechiele… In realtà proprio alla fine del libro del Deuteronomio, in una sezione che è certamente tardiva rispetto al tempo del grande legislatore (narra infatti la morte di Mosè) troviamo questa “malinconica” considerazione: “Non è più sorto in Israele un profeta come Mosè, lui con il quale il Signore parlava faccia a faccia” (Dt 34,10).

In quel tempo dunque – che è anche quello della definitiva rielaborazione e stesura del testo del Deuteronomio – in cui i profeti ci sono già stati e la terra promessa già conquistata, perduta e ritrovata, “Si era reso ormai evidente che l’occupazione della Palestina non era coincisa con l’ingresso nella salvezza, che Israele attendeva ancora la sua vera liberazione, che era necessario un esodo più radicale e che per questo c’era bisogno di un nuovo Mosè” (Gesù di Nazaret, pp. 23-24). La grandezza di Mosè stava nel suo parlare a tu per tu con Dio. Come se Dio fosse suo amico. Su questo eccezionale rapporto di Mosè con Dio, non solo di sottomissione ma anche di amicizia e straordinaria intimità, si è sviluppata nella patristica cristiana e poi anche nella scolastica una lunga discussione sulla portata e sui limiti di un rapporto mistico con Dio in questa vita.
Un rapporto fatto cioè non solo di concetti elaborati a partire dall’esperienza terrena, ma consistente in un contatto diretto o quasi diretto frutto di una esperienza non riconducibile a quella della vita comune.

Questa straordinaria relazione con Dio, pur essendo tale che “Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla con un altro” (Es 33,11) aveva però dei limiti ben precisi: “(…) tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo. (…) Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia Gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere” (Es 33,20-22).
La promessa che Mosè comunica al popolo di un profeta simile a lui non si è dunque realizzata nel profetismo di Israele. L’esodo che lui ha guidato non è stato definitivo, ma richiedeva un compimento. Ci voleva un “nuovo Mosè”. Simile a Mosè, ma che superava al tempo stesso radicalmente la sua limitata figura, come è nella logica di tutte le profezie dell’Antico Testamento.
Questo nuovo Mosè è Gesù: “Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1,17-18).
Il Vangelo di Giovanni e non soltanto, tutto il “Vangelo quadriforme” annuncia questo compimento. Un compimento che va oltre quanto ci si poteva aspettare. Gesù infatti non è solo un profeta che annuncia la parola di Dio, ma è la stessa Parola fatta carne.

In lui c’è in pienezza quella visione diretta di Dio che in Mosè avveniva solo “di spalle”. Lui parla non in dipendenza da una scuola, ma con una autorità che scaturisce da un suo sapere personale: “Anche se io rendo testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove vengo e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado” (Gv 8,14). Il suo esodo non è più soltanto terreno, ma è l’ingresso in una nuova creazione (cfr. Eb 9, 11-24): “Dove vado io, voi non potete venire” (Gv 8,21). Nessuno può entrarvi per forza propria, ma solo in quanto – nella fede in Lui – si lascia coinvolgere in questo santo viaggio che da Dio a Dio ritorna.
Qualunque interpretazione dei Vangeli che trascuri questo centro diventa fatalmente contraddittoria e a nulla vale quella “plausibilità”, per quanto dotta ed erudita, che le può venire attraverso una lettura limitata e circoscritta dei dati. Tra i dati bisogna allora operare una scelta e l’interpretazione sfocia inevitabilmente nella confusione delle lingue. Come la costruzione della torre di Babele.

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interessante anche questo studio: 

Mosè e Gesù nel Vangelo di Matteo



NON PARAGONI FRA MOSE' E GESU', MA MOSE' PREFIGURAZIONE DEL MESSIA....   









Caterina63
00domenica 15 febbraio 2015 16:07

CONCISTORO ORDINARIO PUBBLICO PER LA CREAZIONE DI NUOVI CARDINALI


INDIRIZZO DI OMAGGIO AL SANTO PADRE FRANCESCO
DEL CARDINALE 
DOMINIQUE MAMBERTI

Basilica Vaticana
Sabato, 14 febbraio 2015

 

Padre Santo,

insieme con i confratelli vescovi che oggi entreranno a far parte del Collegio cardinalizio, desidero porgerle un deferente saluto, insieme ai nostri sentimenti di sincera gratitudine e di filiale devozione. Si unisce a noi nella preghiera sua Eccellenza monsignor José de Jesús Pimiento Rodríguez, il quale ha chiesto di poter ricevere la berretta in Colombia, non riuscendo a venire a Roma per l’avanzata età.

Con particolare affetto salutiamo sua Santità Benedetto XVI che anche quest’anno, accogliendo il suo invito, Padre Santo, ha voluto essere presente in questa significativa circostanza per la vita della Chiesa.

Nella lettera che vostra Santità ci ha indirizzato il giorno in cui ha reso pubblica la decisione di aggregarci al Collegio cardinalizio, ella ci ha anzitutto ricordato che siamo chiamati a un nuovo servizio, che è a un tempo «di aiuto, di sostegno e di speciale vicinanza alla persona del Papa e per il bene della Chiesa». Le siamo grati per averci scelti, da ogni parte del mondo, per condividere in modo particolare il suo ministero, ricordandoci che ogni vocazione ecclesiale è anzitutto un servizio ai fratelli e alla Chiesa stessa.

Attraverso di lei, Padre Santo, il Signore ha voluto rinnovare quell’elezione che un tempo fece di ciascuno di noi, invitandoci a seguirlo e a donargli la nostra vita nel sacerdozio ministeriale. La porpora stessa ci ricorda anzitutto che il Signore ci chiede di condividere il suo amore per tutti gli uomini: un amore che, nell’obbedienza al Padre, è offerta di sé usque ad mortem, mortem autem crucis (Filippesi, 2, 8). Se c’è, dunque, un onore di cui siamo insigniti è quello di essere sollecitati a una più intima unione con Gesù, a una partecipazione più viva e profonda alla sua oblazione, a essere con lui sulla Croce, che è salvezza, vita e risurrezione nostra, attraverso la quale siamo salvati e liberati (cfr.Galati, 6, 14). In questa immedesimazione profonda con Cristo sta l’origine della responsabilità cui siamo chiamati e del servizio che con umiltà, generosità, et usque ad effusionem sanguinis desideriamo compiere per la salvezza delle anime e il bene del popolo di Dio.

L’entrare a far parte del Collegio cardinalizio ci inserisce in modo particolare nella storia e nella vita della Chiesa di Roma, che — secondo la bella espressione di sant’Ignazio di Antiochia — presiede nella carità. Siamo perciò invitati a uscire da noi stessi, dalle nostre abitudini e comodità, per servire la missione di questa Chiesa, consapevoli che ciò implica avere un orizzonte più ampio. E qui è davvero presente tutto il mondo, essendo i nuovi cardinali espressivi di tutti i continenti. Appartenere alla Chiesa di Roma significa, dunque, servire la comunione della Chiesa universale. Una comunione che è continuamente nutrita e alimentata dalla carità stessa di Cristo — che ci spinge a vivere non più per noi stessi, ma per lui che è morto e risorto per noi (cfr. 2 Corinzi, 5, 14-15) — ed è fecondata dal sangue dei molti martiri che qui hanno dato la vita. Il loro esempio e la loro intercessione ci diano la forza e il coraggio necessari per essere testimoni del Signore risorto fino ai confini della terra (cfr. Atti degli Apostoli, 1, 6) e per chinarci sulle ferite e sulle piaghe dell’uomo di oggi a portare la Sua misericordia (cfr. Francesco, Omelia per la canonizzazione dei beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, 27 aprile 2014).

«Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà» (Salmo, 39 [40]). Il servizio alla comunione della Chiesa esige che rinnoviamo il proposito di compiere la volontà del Signore, ovvero che ci disponiamo a seguirlo con fiducia e in umiltà, come vostra Santità ci ha chiaramente indicato. Beato sarà, infatti, quel servo che si sarà mostrato fedele nel poco (cfr. Matteo, 25, 21), che non si è inorgoglito, né è andato in cerca di cose troppo grandi e superiori alle sue forze (cfr. Salmo, 130 [131]).

Padre Santo,

nel rinnovarle ancora il nostro grazie, desideriamo assicurarle la nostra collaborazione leale e sincera e la certezza che ella ci troverà vicini e pronti a sostenerla nella missione che nostro Signore le ha affidato, di guidare la Chiesa, confermando i fratelli nella fede (cfr. Luca, 22, 32). Soprattutto, le promettiamo la nostra costante preghiera, affidando la sua persona e il suo ministero alla materna protezione della Vergine Maria, all’aiuto discreto di san Giuseppe, patrono della Chiesa universale, e all’intercessione dei santi apostoli Pietro e Paolo, celesti protettori di questa nostra Chiesa di Roma.

 

L'Osservatore Romano n. 037 del 15 febbraio 2015




Caterina63
00domenica 9 ottobre 2016 22:30

Annuncio di Concistoro il 19 novembre per la creazione di nuovi Cardinali, 09.10.2016


Parole del Santo Padre

Brevi cenni biografici dei Cardinali che saranno creati

Nel corso dell’Angelus di oggi, il Santo Padre Francesco ha annunciato un Concistoro per la creazione di nuovi cardinali. Queste le parole del Papa:

Parole del Santo Padre

Cari fratelli e sorelle,

Sono lieto di annunciare che sabato 19 novembre, alla vigilia della chiusura della Porta Santa della Misericordia, terrò un Concistoro per la nomina di 13 nuovi Cardinali dei cinque Continenti. La loro provenienza da 11 Nazioni esprime l’universalità della Chiesa che annuncia e testimonia la Buona Novella della Misericordia di Dio in ogni angolo della terra. L’inserimento dei nuovi Cardinali nella diocesi di Roma, inoltre, manifesta l’inscindibile legame tra la sede di Pietro e le Chiese particolari diffuse nel mondo.

Domenica 20 novembre, Solennità di Cristo Re, a conclusione dell’Anno Santo Straordinario della Misericordia, concelebrerò la S. Messa con i nuovi Cardinali, con il Collegio Cardinalizio, con gli Arcivescovi, con i Vescovi e con i Presbiteri.

Ecco i nomi dei nuovi Cardinali:

1- Mons. Mario Zenari, che rimane Nunzio Apostolico nell’amata e martoriata Siria (Italia)

2- Mons. Dieudonné Nzapalainga, C.S.Sp., Arcivescovo di Bangui (Repubblica Centrafricana)

3- Mons. Carlos Osoro Sierra, Arcivescovo di Madrid (Spagna)

4- Mons. Sérgio da Rocha, Arcivescovo di Brasilia (Brasile)

5- Mons. Blase J. Cupich, Arcivescovo di Chicago (U.S.A.)

6- Mons. Patrick D’Rozario, C.S.C., Arcivescovo di Dhaka (Bangladesh)

7- Mons. Baltazar Enrique Porras Cardozo, Arcivescovo di Mérida (Venezuela)

8- Mons. Jozef De Kesel, Arcivescovo di Malines-Bruxelles (Belgio)

9- Mons. Maurice Piat, Arcivescovo di Port-Louis (Isola Maurizio)

10- Mons. Kevin Joseph Farrell, Prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita (U.S.A.)

11- Mons. Carlos Aguiar Retes, Arcivescovo di Tlalnepantla (Messico)

12- Mons. John Ribat, M.S.C., Arcivescovo di Port Moresby (Papua Nuova Guinea)

13- Mons. Joseph William Tobin, C.SS.R., Arcivescovo di Indianapolis (U.S.A.).

Ai Membri del Collegio Cardinalizio unirò anche un Arcivescovo e due Vescovi Emeriti che si sono distinti nel loro servizio pastorale ed un Presbitero che ha reso una chiara testimonianza cristiana. Essi rappresentano tanti Vescovi e sacerdoti che in tutta la Chiesa edificano il Popolo di Dio, annunciando l’amore misericordioso di Dio nella cura quotidiana del gregge del Signore e nella confessione della fede.

Essi sono:

1- Mons. Anthony Soter Fernandez, Arcivescovo Emerito di Kuala Lumpur (Malaysia)

2- Mons. Renato Corti, Vescovo Emerito di Novara (Italia)

3- Mons. Sebastian Koto Khoarai, O.M.I, Vescovo Emerito di Mohale’s Hoek (Lesotho)

4- Reverendo Ernest Simoni, Presbitero dell’Arcidiocesi di Shkodrë-Pult (Scutari – Albania).

Preghiamo per i nuovi Cardinali, affinché, confermando la loro adesione a Cristo, Sommo Sacerdote misericordioso e fedele (cfEb 2,17), mi aiutino nel mio ministero di Vescovo di Roma e di “principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione” (cf LG, 18).

[01609-IT.02] [Testo originale: Italiano]

 

Brevi cenni biografici dei Cardinali che saranno creati

Mons. Mario Zenari (Italia), Arcivescovo titolare di Zuglio, Nunzio Apostolico in Siria

E’ nato a Villafranca (Verona) il 5 gennaio 1946. E’ stato ordinato sacerdote il 5 luglio 1970, e incardinato nella diocesi di Verona. E’ laureato in Diritto Canonico.

Entrato nel Servizio diplomatico della Santa Sede nel 1980, ha prestato successivamente la propria opera presso le Rappresentanze Pontificie in Senegal, Liberia, Colombia, Germania, Romania. Il 25 marzo 1993 è stato nominato Consigliere di Nunziatura.

Il 7 febbraio 1994 è stato nominato Rappresentante Permanente della Santa Sede presso l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (A.I.E.A.) e presso l’Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa (O.S.C.E.), e Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale (O.N.U.D.I.) e presso l’Ufficio delle Nazioni Unite a Vienna.

Il 12 luglio 1999 il Santo Padre Giovanni Paolo II lo ha nominato Nunzio Apostolico in Costa d’Avorio ed in Niger, elevandolo in pari tempo alla sede titolare di Zuglio, con dignità di Arcivescovo. Pochi giorni dopo, il 24 luglio, è stato nominato Nunzio anche in Burkina Faso. Ha ricevuto la consacrazione episcopale il 25 settembre dello stesso anno.

Il 10 maggio 2004 è stato nominato Nunzio Apostolico in Sri Lanka.

Il 30 dicembre 2008 Papa Benedetto XVI lo ha nominato Nunzio Apostolico in Siria.

 

Mons. Dieudonné Nzapalainga, C.S.Sp., Arcivescovo di Bangui (Repubblica Centrafricana)

È nato il 14 marzo 1967 a Mbomou, nella diocesi di Bangassou (Repubblica Centrafricana). Dopo la scuola primaria, è entrato nel Seminario Minore Saint Louis di Bangassou e poi in quello Maggiore di Filosofia Saints Apôtres di Otélé, in Camerun, prima di continuare gli studi presso il Seminario Maggiore Spiritano Daniel Brottier, a Libreville, in Gabon.

Ha emesso i primi voti nella Congregazione dei Padri Spiritani l’8 settembre 1993 e i voti perpetui il 6 settembre 1997. È stato ordinato sacerdote il 9 agosto 1998. Negli anni successivi ha conseguito la licenza in Teologia al Centre Sèvres dei PP. Gesuiti, in Francia, ma è stato poi richiamato nella Repubblica Centrafricana dal suo Istituto per svolgere le funzioni di Superiore Regionale.

Mentre era in Francia, dal 1998 al 2005, è stato Cappellano degli orfani della Fondation d’Auteuil e Vicario parrocchiale a St Jerôme (Marseille); rientrato in Centroafrica è stato Superiore Regionale dei Padri Spiritani e Parroco a Bangui dal 2005 al 2009; negli anni 2008-2009 è stato Presidente della Conferenza dei Superiori Maggiori del Centroafrica.

Dal 2009 è stato Amministratore Apostolico di Bangui, e il 14 maggio 2012 Papa Benedetto XVI lo ha nominato Arcivescovo Metropolita di Bangui. Ha ricevuto la consacrazione episcopale il 22 luglio dello stesso anno.

Dal luglio 2013 è Presidente della Conferenza Episcopale della Repubblica Centrafricana e in tale veste ha partecipato alla III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia ottobre 2014.

Nel novembre del 2015 ha accolto nella sua diocesi Papa Francesco che proprio a Bangui ha aperto la prima Porta Santa dell’Anno della Misericordia.

Impegnato in prima persona per il processo di pace nel Paese, nel 2013 ha partecipato, con il Presidente del Consiglio islamico e il Presidente dell’Alleanza Evangelica a Bangui, alla fondazione della Piattaforma interreligiosa per la pace del Centrafrica.

- Primo Cardinale del Centrafrica.

 

Mons. Carlos Osoro Sierra, Arcivescovo di Madrid (Spagna)

S.E. Mons. Carlos Osoro Sierra è nato a Castañeda, provincia e diocesi di Santander, il 16 maggio 1945. Dopo aver studiato Magistero presso la Escuela Normal ed aver esercitato la docenza per un anno a Santander, è entrato nel seminario per le vocazioni adulte Colegio Mayor El Salvador di Salamanca, ove ha frequentato i corsi di Filosofia e Teologia presso la Pontificia Università di quella città, ottenendo la Licenza nelle due discipline. Ha, inoltre, ottenuto, sempre presso l’Università Complutense, il Diploma in Enseñanza de Adultos.
È stato ordinato presbitero il 29 luglio 1973 in Santander, rimanendo incardinato in tale diocesi.
Dopo l’ordinazione presbiterale è stato membro dell’équipe sacerdotale nella parrocchia dell’Assunzione a Torrelavega per la pastorale giovanile, Direttore della Casa de los muchachos e Professore della Escuela Universitaria de Formación del Profesorado ‘Sagrados Corazones’ (1973-1975); Segretario Generale per la Pastorale della diocesi, Delegato Episcopale per le vocazioni e Seminari e per l’apostolato dei laici e Vicario per la Pastorale (1975-1996); Vicario Generale della diocesi (1976-1994); Rettore del Seminario diocesano (1977-1996); Presidente del Capitolo della Cattedrale (1994-1996), Direttore del Centro Asociado del Instituto Internacional de Teología a Distancia e Direttore dell’Instituto Superior de Ciencias Religiosas San Agustín(1996).
Il 27 dicembre 1996 Papa Giovanni Paolo II lo ha nominato Vescovo di Orense. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 22 febbraio successivo.
Il 7 gennaio 2002 è stato promosso alla sede Metropolitana di Oviedo. Dal settembre 2006 al settembre 2007 è stato anche Amministratore Apostolico della diocesi di Santander.
L’8 gennaio 2009 è stato trasferito da Benedetto XVI alla sede Metropolitana di Valencia.
Il 28 agosto 2014 Papa Francesco lo ha nominato Arcivescovo Metropolita di Madrid.
Dal marzo 2014 è Vicepresidente della Conferenza Episcopale Spagnola, in seno alla quale in precedenza è stato Presidente della Commissione per il Clero (1999-2005) e Presidente della Commissione episcopale per l’Apostolato e Membro del Comitato Esecutivo (2005-2011).
Ha preso parte alla XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo (ottobre 2015).

 

Mons. Sérgio da Rocha, Arcivescovo di Brasília (Brasile)

S.E. Mons. Sérgio da Rocha è nato a Dobrada, diocesi di Jaboticabal, nello Stato di São Paulo, il 21 ottobre 1959. Ha frequentato i corsi di Filosofia presso il Seminario diocesano di São Carlos e quelli di Teologia all'Istituto Teologico di Campinas. Ha ottenuto la Licenza in Teologia Morale presso la Facoltà Teologica "Nossa Senhora da Assunção", a São Paulo, e il Dottorato nella medesima disciplina presso l'Accademia Alfonsiana di Roma.

È stato ordinato sacerdote il 14 dicembre 1984 a Matão, diocesi di São Carlos.

Come sacerdote ha esercitato i seguenti ministeri: Parroco a Água Vermelha e Coordinatore della Pastorale della Gioventù di São Carlos (1985-1986); Professore di Filosofia nel Seminario diocesano e Direttore spirituale della Casa di Teologia a Campinas (1986-1987 e 1991); Rettore del Seminario di Filosofia di São Carlos (1987-1988 e 1990); Coordinatore diocesano della Pastorale Vocazionale (1987 e 1989); Vicario parrocchiale della Cattedrale di São Carlos (1988-1989); Vicario parrocchiale della parrocchia Nossa Senhora de Fátima a São Carlos (1990); Coordinatore diocesano della Pastorale e Rettore della CappellaSão Judas Tadeu a São Carlos (1991); Professore di Teologia Morale alla PUC di Campinas e Rettore del Seminario diocesano di Teologia (1997-2001); Membro dell'équipe di formazione dei Diaconi permanenti; Membro del Consiglio presbiterale e del Collegio dei Consultori.

Il 13 giugno 2001 è stato eletto Vescovo titolare di Alba e nominato Ausiliare di Fortaleza. Ha ricevuto la consacrazione episcopale l'11 agosto successivo.

Nominato Vescovo Coadiutore di Teresina il 31 gennaio 2007, ne è diventato Arcivescovo il 3 settembre 2008.

Il 15 giugno 2011 Papa Benedetto XVI lo ha nominato Arcivescovo Metropolita di Brasília.

Dall’aprile 2015 è Presidente della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile, nella quale in precedenza aveva ricoperto numerosi incarichi, tra i quali Membro della Commissione Episcopale di Dottrina; Membro della Commissione Episcopale del "Mutirão de Superação da Miséria e da Fome"; Segretario del Regionale ed incaricato della Gioventù e della Pastorale Vocazionale del Regionale Nordeste 1; Membro del Consiglio Permanente e della Commissione di Dottrina; Presidente del Regionale Nordeste 1.

È stato anche Presidente del Dipartimento Vocazioni e Ministeri del CELAM – Consiglio Episcopale Latinoamericano.

Ha preso parte al Sinodo dei Vescovi dell’ottobre 2015 sulla famiglia.

 

Mons. Blase J. Cupich, Arcivescovo di Chicago (U.S.A.)

S.E. Mons. Blase J. Cupich è nato a Omaha (Nebraska) il 19 marzo 1949. Dopo aver frequentato le consuete scuole primaria e secondaria, ha frequentato il "College of Saint Thomas" a Saint Paul (Minnesota), dove ha ottenuto il Baccalaureato in filosofia nel 1971. Dal 1971 al 1975 è stato alunno del Pontificio Collegio Americano del Nord a Roma ed ha studiato teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Più tardi ha ottenuto la Licenza (1979) e il Dottorato (1987) in Teologia Sacramentale presso l’Università Cattolica d’America a Washington, D.C.

È stato ordinato sacerdote il 16 agosto 1975 per l’arcidiocesi di Omaha.

Dopo l’ordinazione presbiterale ha svolto i seguenti incarichi: Vice-parroco della "Saint Margaret Mary Parish" ed Insegnante presso la "Paul VI High School" a Omaha (1975-1978); Direttore dell’Ufficio Liturgico arcidiocesano (1978-1981); Collaboratore locale presso la Nunziatura Apostolica a Washington, D.C. (1981-1987); Parroco della "Saint Mary Parish" a Bellevue (1987-1989); Presidente/Rettore del "Pontifical College Josephinum" a Columbus (Ohio) (1989-1997); Parroco della "Saint Robert Bellarmine Parish" a Omaha (1997-1998).

Nominato Vescovo di Rapid City (South Dakota) il 7 luglio 1998, ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 21 settembre successivo.

Il 30 giugno 2010 è stato nominato da Benedetto XVI Vescovo di Spokane (Washington) ed ha preso possesso canonico della diocesi il 3 settembre successivo.

Il 20 settembre 2014 Papa Francesco lo ha nominato Arcivescovo Metropolita di Chicago, dove ha fatto il suo ingresso il 18 novembre dello stesso anno.

Nell’ottobre 2015 ha partecipato, per nomina pontificia, alla XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia.

È stato Presidente del USCCB Committee for the Protection of Children and Young People (2008-2011) e del National Catholic Educational Association Board (from 2006-2008), ed è Membro di numerosi Comitati della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli USA.

È membro della Congregazione per i Vescovi.

 

Mons. Patrick D’Rozario, C.S.C., Arcivescovo di Dhaka (Bangladesh)

S.E. Mons. Patrick D’Rozario, C.S.C., è nato il 1° ottobre 1943 a Padrishibpur, in diocesi di Chittagong. Appartiene alla Congregazione della Santa Croce. È stato ordinato sacerdote l’8 ottobre 1972.

Eletto primo Vescovo di Rajshahi il 21 maggio 1990, ha provveduto ad organizzare la nuova diocesi.

Il 3 febbraio 1995 è stato trasferito alla sede di Chittagong, la seconda più importante del Paese.

Il 25 novembre 2010 è stato nominato da Papa Benedetto XVI Vescovo Coadiutore di Dhaka, succedendo per coadiutoria nella Sede Metropolitana il 22 ottobre 2011.

Dal dicembre 2011 è Presidente della Conferenza Episcopale del Bangladesh, e in tale veste ha partecipato alla III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia nel mese di ottobre 2014.

- Primo Cardinale del Bangladesh.

 

Mons. Baltazar Enrique Porras Cardozo, Arcivescovo di Mérida (Venezuela)

S.E. Mons. Baltazar Enrique Porras Cardozo è nato il 10 ottobre 1944 a Caracas. Dopo gli studi di Filosofia nel Seminario Interdiocesano di Caracas, è stato inviato alla Pontificia Università di Salamanca, in Spagna, dove ha conseguito la licenza in Teologia, nel 1966. In seguito (1977), nell’Istituto Superiore di Pastorale della medesima Università ha conseguito il dottorato in Teologia Pastorale.

Ordinato sacerdote il 30 luglio 1967, è stato Vicario Cooperatore, Parroco, Assistente diocesano dei Cursillos, professore nel Seminario e in altri Istituti pubblici e privati; Direttore del Colegio Ntra. Sra. del Rosario e professor del IUT de los Llanos. A Caracas è stato Vicerettore del Seminario Interdiocesano e Direttore degli Studi (1978-1979); ha ricoperto anche l’incarico di Rettore del Seminario San José del Hatillo, dal 1979 al 1983.

Eletto Vescovo titolare di Lamdia e Ausiliare di Mérida il 30 luglio del 1983, ha ricevuto la consacrazione episcopale il 17 settembre dello stesso anno.

Il 30 ottobre del 1991 Papa Giovanni Paolo II lo ha nominato Arcivescovo Metropolita di Mérida. Ha preso possesso della diocesi il 5 dicembre successivo.

Dal marzo 1998 al giugno 1999 è stato anche Amministratore Apostolico sede vacante della diocesi di San Cristóbal.

Ha ricoperto numerosi incarichi nella Conferenza Episcopale Venezuelana, della quale è stato Presidente per due mandati consecutivi dal 1999 al 2006, dopo esserne stato a lungo Vice-Presidente.

Primo Vice-Presidente del CELAM dal 2007 al 2011, è tuttora Membro del Consiglio Speciale per l’America del Sinodo dei Vescovi (dal 1997).

 

Mons. Jozef De Kesel, Arcivescovo di Malines-Bruxelles (Belgio)

S.E. Mons. Jozef De Kesel è nato il 17 giugno 1947 a Gent (Fiandre Orientali), nella diocesi omonima.

È stato ordinato sacerdote il 26 agosto 1972 per la diocesi di Gent.

Ha ottenuto il grado di dottore in teologia alla Pontificia Università Gregoriana con la tesi: “Le refus décidé de l’objectivation. Une interprétation du Jésus historique dans la théologie chez Rudolf Bultmann». È autore di numerosi articoli e di qualche libro sulla Chiesa e sui vari aspetti della vita cristiana. E’ stato docente al Seminario di Gent, nel centro di formazione per i futuri professori di religione e all’Università di Leuven. Parla il francese, il neerlandese, l’inglese e l’italiano.

Eletto alla sede titolare di Bulna e nominato Ausiliare di Malines-Bruxelles il 20 marzo 2002, è stato consacrato il 26 maggio successivo. Dal 2002 al 2010 è stato incaricato come Vicario generale per il Vicariato di Bruxelles. Dal 2010 ha ricevuto l’incarico di Vicario Generale per il Vicariato del Brabante fiammingo e della zona di Malines.

Il 25 giugno 2010 è stato nominato Vescovo di Brugge.

Il 6 novembre del 2015 Papa Francesco lo ha nominato Arcivescovo Metropolita di Mechelen-Brussel, Malines-Bruxelles (Belgio) e Ordinario Militare per il Belgio.

Dal gennaio 2016 è Presidente della Conferenza Episcopale di Belgio.

 

Mons. Maurice Piat, Arcivescovo di Port-Louis (Isola Maurizio)

S.E. Mons. Maurice Piat è nato a Moka, diocesi di Port-Luis, il 19 luglio 1941. Dopo gli studi secondari al Collège du Saint-Esprit, Quatre-Bornes, Ile Maurice, è entrato nel noviziato della Congregazione dello Spirito Santo in Irlanda, dove ha fatto la professione religiosa l’8 settembre 1962. Ottenuto il diploma di B.A. dell’University College, Dublin, è stato ammesso al Pontificio Seminario Francese a Roma ed ha proseguito gli studi in teologia alla Pontificia Università Gregoriana, conclusi con la licenza in teologia nel 1972.

È stato ordinato sacerdote il 2 agosto 1970.

A conclusione degli studi di teologia, nel 1972 ha trascorso tre mesi di ministero a Bangalore in India. Rientrato in Patria, è stato nominato professore e catechista al Collège du Saint-Esprit, Quatre-Bornes. Fino al 1982 è stato anche responsabile degli aspiranti seminaristi al Foyer Monseigneur-Murphy, Vacoas. Dal 1977 al 1979 ha soggiornato a Parigi per un corso all’Institut pour la Formation des Educateurs du Clerg . Fatto ritorno in Maurizio, è stato anche vicario domenicale nella parrocchia Saint-François-d’Assise a Pamplemousses, (1979-1985), quindi parroco della parrocchia Cœur-Immaculé-de-Marie a Rivière-du-Rempart (1986).

Dal 1981 è stato inoltre responsabile del progetto pastorale diocesano per le comunità ecclesiali di base, e successivamente Vicario episcopale per la formazione e il coordinamento della pastorale diocesana. In quegli anni ha contribuito alla creazione di un Centro di formazione a Thabor, Beau-Bassin.

Il 21 gennaio 1991 è stato nominato Coadiutore dell’allora Vescovo di Port-Louis, il Cardinal Jean Margéot, ed ha ricevuto la consacrazione episcopale il 19 maggio dello stesso anno.

Il 15 marzo del 1993 è succeduto per coadiutoria nel governo della diocesi di Port-Louis.

È stato Presidente della Conferenza Episcopale dell’Oceano Indiano (C.E.D.O.I.) dal 1996 al 2002 e ancora dal 2013 al settembre di quest’anno (2016).

Dal 2000 è stato membro del Comitato Permanente del Simposio delle Conferenze Episcopali d’Africa e Madagascar (S.C.E.A.M.).

Nell’ottobre del 2015 ha partecipato al Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia.

 

Mons. Kevin Joseph Farrell, Prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita (U.S.A.)

S.E. Mons. Kevin Joseph Farrell è nato il 2 settembre 1947 a Dublino (Irlanda). Dopo aver completato le scuole primaria e secondaria, ha frequentato l'Università di Salamanca in Spagna, e poi la Pontificia Università Gregoriana a Roma. Ha ottenuto la licenza in filosofia ed in teologia all'Università di San Tommaso a Roma. In seguito ha compiuto un Master's Degreein Business administration all'Università di Notre Dame (U.S.A.). Entrato nella Congregazione dei Legionari di Cristo nel 1966, è stato ordinato sacerdote il 24 dicembre 1978.
Dopo l'ordinazione sacerdotale è stato Cappellano all’Università di Monterrey in Messico, Professore degli studi Economici, Amministratore Generale con la responsabilità per seminari e scuole dei Legionari di Cristo in Italia, Spagna ed Irlanda. Dal 1983 ha esercitato il ministero pastorale nella parrocchia diSaint Bartholomewa Bethesda in Washington .
Nel 1984 si è incardinato nell’arcidiocesi di Washington, dove ha ricoperto i seguenti incarichi: vice-parroco nella parrocchia diSaint Thomas the Apostle(1984-1985); Direttore del Centro Cattolico Spagnolo (1986); Direttore Esecutivo Reggente delle Organizzazioni Caritative Cattoliche (1987-1988); Segretario per gli Affari Finanziari (1989-2001); Parroco dellaAnnunciation Parish(2000-2002).
Nominato Vescovo titolare di Rusuccuru e Ausiliare di Washington il 28 dicembre 2001, ha ricevuto la consacrazione episcopale l’11 febbraio successivo. Dal 2001 ha svolto gli uffici di Vicario Generale per l'Amministrazione e Moderatore della Curia.
Il 6 marzo 2007 è stato promosso Vescovo di Dallas.

Il 15 agosto 2016 Papa Francesco lo ha chiamato a collaborare nella Curia Romana, nominandolo Prefetto del nuovoDicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita.

 

Mons. Carlos Aguiar Retes, Arcivescovo di Tlalnepantla (Messico)

S.E. Mons. Carlos Aguiar Retes è nato il 9 gennaio 1950 a Tepic. È stato alunno del Seminario di Tepic, e ha proseguito gli studi nel Seminario di Montezuma (USA) e di Tula. Successivamente ha conseguito la Licenza in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma e il Dottorato in Teologia Biblica presso la Pontificia Università Gregoriana.

È stato ordinato sacerdote il 22 aprile 1973.

Come sacerdote è stato Vicario parrocchiale, Rettore del Seminario di Tepic e contemporaneamente Presidente dell’Organizzazione dei Seminari Messicani (OSMEX) e Membro del Consiglio Direttivo dei Seminari Latinoamericani. È stato poi Rettore della Residenza Juan XXIII per sacerdoti della Pontificia Università di Messico e Professore di Sacra Scrittura nella medesima Università.

Il 28 maggio 1997 è stato nominato Vescovo di Texcoco e ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 29 giugno successivo.

Il 5 febbraio 2009 Papa Benedetto XVI lo ha nominato Arcivescovo Metropolita di Tlalnepantla.

Dal 2006 al 2012 è stato Presidente della Conferenza Episcopale del Messico, dopo esserne stato Segretario generale dal 2004 al 2006.

Ha ricoperto diversi incarichi nel CELAM (Consiglio Episcopale LatinoAmericano): Segretario Generale dal 2000 al 2003; Primo Vice-Presidente dal 2003 al 2007 e infine Presidente dal 2011 al 2015.

Nell’ottobre 2014 e poi anche nell’ottobre 2015 Papa Francesco lo ha chiamato a partecipare alle due rispettive Assemblee del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia.

 

Mons. John Ribat, M.S.C., Arcivescovo di Port Moresby (Papua Nuova Guinea)

S.E. Mons. John Ribat, M.S.C., è nato il 9 febbraio 1957 in Volavolo, arcidiocesi di Rabaul. Dopo aver frequentato la scuola elementare di Naveo e Volavolo, è passato alla "Malabunga Government High School" di Rabaul. Completata la scuola superiore al Seminario Minore "St Peter Chanel" di Ulapia, è entrato nei Missionari del Sacro Cuore, dove ha emesso la prima professione il 2 febbraio 1979. Ha studiato Filosofia e Teologia al "Holy Spirit Seminary" di Bomana, ed è stato ordinato sacerdote il 1° dicembre 1985.

Dopo l'ordinazione sacerdotale e fino al 1991 ha prestato servizio pastorale in diverse parrocchie della diocesi di Bereina; ha seguito quindi un corso di formazione al Centro SAIDI di Manila e dal 1992 al 1996 è stato Maestro dei Novizi. Nel 1997 è stato Parroco e dal 1998 al 2000 Maestro dei Novizi a Suva, nelle Isole Figi.

Il 30 ottobre 2000 è stato eletto alla sede titolare vescovile di Macriana minore e nominato Ausiliare della diocesi di Bereina (Papua Nuova Guinea). Ha ricevuto l’ordinazione episcopale l’11 febbraio del 2001.

Un anno dopo, il 12 febbraio 2002, è stato nominato Vescovo di Bereina.

Il 16 aprile 2007 Benedetto XVI lo ha nominato Arcivescovo Coadiutore di Port Moresby e il 26 marzo 2008 è diventato Arcivescovo della Sede Metropolitana.

È stato Presidente della Conferenza Episcopale di Papua Nuova Guinea e Isole Salomone dal 2011 al 2014.

Dal 2014 è Presidente della Federazione delle Conferenze dei Vescovi Cattolici di Oceania (FCBCO).

- Primo Cardinale di Papua Nuova Guinea.

 

Mons. Joseph William Tobin, C.SS.R., Arcivescovo di Indianapolis (U.S.A.)

S.E. Mons. Joseph William Tobin, C.SS.R., è nato a Detroit (Michigan), nell’omonima arcidiocesi, il 3 maggio 1952. Entrato nella Congregazione del Santissimo Redentore, ha emesso la Professione temporanea il 5 agosto 1972 e quella solenne il 21 agosto 1976. Nel 1975 ha ottenuto il Baccalaureato in Filosofia presso l’Holy Redeemer Collegea Waterford (Wisconsin); nel 1977 ilMaster of Religious Educatione nel 1979 ilMasterof Divinity(Teologia Pastorale) presso ilMount Saint Alphonsus Major Seminaryad Esopus (New York).

Ordinato sacerdote il 1° giugno 1978, è stato Vicario parrocchiale (1979-1984) e, poi, Parroco (1984-1990) dellaHoly Redeemer Parisha Detroit; Vicario Episcopale nell’arcidiocesi di Detroit (1980-1986); Parroco dellaSaint Alphonsus Parisha Chicago (1990-1991).

Nel 1991 è stato eletto Consultore Generale dei Padri Redentoristi ed il 9 settembre 1997 Superiore Generale. È stato riconfermato in tale incarico il 26 settembre 2003. Nello stesso anno è diventato Vice-Presidente dell’Unione dei Superiori Generali.

Inoltre, è stato Membro del Consiglio per i Rapporti tra la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica e le Unioni Internazionali dei Superiori e delle Superiore Generali (2001-2009).

Nominato Segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica il 2 agosto 2010 ed elevato in pari tempo alla sede titolare di Obba con dignità di Arcivescovo, ha ricevuto la consacrazione episcopale il 9 ottobre successivo.

Il 18 ottobre 2012 il Santo Padre Benedetto XVI lo ha nominato Arcivescovo di Indianapolis.

 

Mons. Anthony Soter Fernandez, Arcivescovo Emerito di Kuala Lumpur (Malaysia)

S.E. Mons Anthony Soter Fernandez è nato il 22 aprile 1932 a Sungai Patani, in diocesi di Penang, da una famiglia di origine indiana. È stato ordinato sacerdote il 10 dicembre 1966.

Il 29 settembre 1977 è stato nominato Vescovo di Penang ed ha ricevuto la consacrazione episcopale il 17 febbraio del 1978.

Il 2 luglio 1993 è stato promosso Arcivescovo Metropolita di Kuala Lumpur e il 10 novembre dello stesso anno ha preso possesso della diocesi, che ha guidato fino al 15 aprile 2003. Da tale data risiede nel seminario maggiore di Penand, dove si dedica alla formazione dei sacerdoti come Direttore spirituale.

È stato Presidente della Conferenza Episcopale di Malaysia-Singapore-Brunei per due mandati, dal 1987 al 1990 e ancora dal 2000 al 2003.

- Primo Cardinale in Malaysia.

 

Mons. Renato Corti, Vescovo Emerito di Novara (Italia)

S.E. Mons Renato Corti è nato a Galbiate, provincia di Como e diocesi di Milano, il 1° marzo 1936. Dopo la scuola elementare è passato ai seminari milanesi, completando progressivamente la sua formazione.

Ordinato sacerdote il 28 giugno 1959 da Mons. Montini (futuro Paolo VI), è stato cooperatore parrocchiale all’oratorio di Caronno Pertusella, dal 1959 al 1967.

È passato quindi al collegio arcivescovile di Gorla come direttore spirituale. Nel 1969 si è trasferito a Saronno con lo stesso incarico e poi come rettore del biennio del corso teologico, dal 1977 al novembre del 1980, quando fu scelto dall’arcivescovo Martini come Vicario Generale.

Eletto alla Sede titolare vescovile di Zallata e nominato Ausiliare di Milano il 30 aprile 1981, ha ricevuto l’ordinazione il 6 giugno dello stesso anno. Accanto alle incombenze diocesane ha ricoperto l’incarico di presidente della commissione CEI per il clero.

Nominato vescovo di Novara il 19 dicembre 1990, ha fatto l’ingresso solenne il 3 marzo 1991. È stato Pastore della diocesi di Novara fino al 24 novembre 2011, quando il Papa ne ha accettato le dimissioni per raggiunti limiti di età.

Per un decennio e fino al 2005 è stato vice Presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

Nel febbraio 2005 ha predicato gli esercizi spirituali alla Curia vaticana, gli ultimi ai quali ha partecipato Papa Giovanni Paolo II.

Nel 2015 Papa Francesco gli ha affidato il compito di scrivere le meditazioni per la tradizionale Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo.

 

Mons. Sebastian Koto Khoarai, O.M.I, Vescovo Emerito di Mohale’s Hoek (Lesotho)

S.E. Mons. Sebastian Koto Khoarai, O.M.I, è nato a Koaling, in diocesi di Leribe, l’11 settembre 1929.

Entrato negli Oblati di Maria Immacolata, è stato ordinato sacerdote il 21 dicembre 1956.

Elevato all’episcopato il 10 novembre 1977 come ordinario di Mohale’s Hoek, è stato consacrato il 2 aprile 1978.

Nel maggio 2006 ha presentato le dimissioni per raggiuti limiti di età, ma è rimasto Amministratore Apostolico della diocesi fino al febbraio 2014.

Dal 1982 al 1987 è stato Presidente della Conferenza Episcopale del Lesotho.

- Primo Cardinale del Lesotho.

 

Reverendo Ernest Simoni, Presbitero dell’Arcidiocesi di Shkodrë-Pult (Scutari – Albania)

Il Reverendo Ernest Simoni è nato il 18 ottobre 1928 a Troshani, un villaggio a pochi chilometri da Scutari, in una famiglia profondamente religiosa. All’età di dieci anni entrò nel collegio dei francescani a Troshani, iniziando il percorso di studi per la formazione al sacerdozio. Nel 1948, nel pieno delle persecuzioni messe in atto dal regime comunista di Enver Hoxha, anche il convento dei francescani venne saccheggiato e trasformato in luogo di tortura per i prigionieri. I frati vennero tutti fucilati, e i novizi espulsi. Aveva vent’anni e fu quindi inviato dal regime a insegnare in uno sperduto villaggio sulle montagne, e qui il suo lavoro di maestro divenne anche e soprattutto un’opera missionaria ed evangelizzatrice. Dopo due anni di durissimo servizio militare (1953-55), concluse clandestinamente gli studi in teologia e il 7 aprile 1956 fu ordinato sacerdote a Scutari. In obbedienza al Vescovo, si incardinò in diocesi, anche se nel cuore rimase profondamente francescano. Il 24 dicembre 1963, dopo la Messa di Natale, fu arrestato e portato nel carcere di Scutari, in cella d’isolamento. Condannato a morte, la pena fu commutata in 25 anni di lavori forzati. In prigione divenne padre spirituale dei carcerati e loro punto di riferimento. Il 22 maggio 1973 venne nuovamente condannato a morte come presunto istigatore di una rivolta, ma per la testimonianza a suo favore dei carcerieri la condanna non fu eseguita. La sua permanenza in carcere e ai lavori forzati durò in tutto 18 anni, dodici dei quali in miniera. Dopo la liberazione nel 1981, fu comunque considerato “nemico del popolo” e obbligato a lavorare nelle fogne di Scutari. Esercitò il ministero del sacerdozio clandestinamente, fino alla caduta del regime nel 1990. Da allora ha continuato a servire come umile sacerdote, in tanti villaggi, prodigandosi a riconciliare molte persone in vendetta e a portare la sua testimonianza. Testimonianza che commosse profondamente anche Papa Francesco in visita a Tirana il 21 settembre 2014.




Caterina63
00sabato 19 novembre 2016 21:51

CONCISTORO ORDINARIO PUBBLICO PER LA CREAZIONE DI NUOVI CARDINALI

CAPPELLA PAPALE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Sabato, 19 novembre 2016

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Il brano del Vangelo che abbiamo appena ascoltato (cfr Lc 6,27-36), molti lo hanno chiamato “il discorso della pianura”. Dopo l’istituzione dei Dodici, Gesù discese con i suoi discepoli dove una moltitudine lo aspettava per ascoltarlo e per farsi guarire. La chiamata degli Apostoli è accompagnata da questo “mettersi in cammino” verso la pianura, verso l’incontro con una moltitudine che, come dice il testo del Vangelo, era “tormentata” (cfr v. 18). L’elezione, invece di mantenerli in alto sulla montagna, sulla cima, li conduce al cuore della folla, li pone in mezzo ai suoi tormenti, sul piano della loro vita. In questo modo il Signore rivela a loro e a noi che la vera vetta si raggiunge nella pianura, e la pianura ci ricorda che la vetta si trova in uno sguardo e specialmente in una chiamata: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (v. 36).

Un invito accompagnato da quattro imperativi, potremmo dire da quattro esortazioni che il Signore rivolge loro per plasmare la loro vocazione nella concretezza, nella quotidianità dell’esistenza. Sono quattro azioni che daranno forma, daranno carne e renderanno tangibile il cammino del discepolo. Potremmo dire che sono quattro tappe della mistagogia della misericordia: amate, fate il bene, benedite e pregate. Penso che su questi aspetti tutti possiamo concordare e che ci risultino anche ragionevoli. Sono quattro azioni che facilmente realizziamo con i nostri amici, con le persone più o meno vicine, vicine nell’affetto, nei gusti, nelle abitudini.

Il problema sorge quando Gesù ci presenta i destinatari di queste azioni, e in questo è molto chiaro, non usa giri di parole né eufemismi. Amate i vostri nemici, fate il bene a quelli che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi trattano male (cfr vv. 27-28).

E queste non sono azioni che vengono spontanee con chi sta davanti a noi come un avversario, come un nemico. Di fronte ad essi, il nostro atteggiamento primario e istintivo è quello di squalificarli, screditarli, maledirli; in molti casi cerchiamo di “demonizzarli”, allo scopo di avere una “santa” giustificazione per toglierceli di torno. Al contrario, riguardo al nemico, a chi ti odia, ti maledice o ti diffama, Gesù ci dice: amalo, fagli del bene, benedicilo e prega per lui.

Ci troviamo di fronte a una delle caratteristiche più proprie del messaggio di Gesù, lì dove si nasconde la sua forza e il suo segreto; da lì proviene la sorgente della nostra gioia, la potenza della nostra missione e l’annuncio della Buona Notizia. Il nemico è qualcuno che devo amare. Nel cuore di Dio non ci sono nemici, Dio ha solo figli. Noi innalziamo muri, costruiamo barriere e classifichiamo le persone. Dio ha figli e non precisamente per toglierseli di torno. L’amore di Dio ha il sapore della fedeltà verso le persone, perché è un amore viscerale, un amore materno/paterno che non le lascia nell’abbandono, anche quando hanno sbagliato. Il Nostro Padre non aspetta ad amare il mondo quando saremo buoni, non aspetta ad amarci quando saremo meno ingiusti o perfetti; ci ama perché ha scelto di amarci, ci ama perché ci ha dato lo statuto di figli. Ci ha amato anche quando eravamo suoi nemici (cfr Rm5,10). L’amore incondizionato del Padre verso tutti è stato, ed è, vera esigenza di conversione per il nostro povero cuore che tende a giudicare, dividere, opporre e condannare. Sapere che Dio continua ad amare anche chi lo rifiuta è una fonte illimitata di fiducia e stimolo per la missione. Nessuna mano sporca può impedire che Dio ponga in quella mano la Vita che desidera regalarci.

La nostra è un’epoca caratterizzata da forti problematiche e interrogativi su scala mondiale. Ci capita di attraversare un tempo in cui risorgono epidemicamente, nelle nostre società, la polarizzazione e l’esclusione come unico modo possibile per risolvere i conflitti. Vediamo, ad esempio, come rapidamente chi sta accanto a noi non solo possiede lo status di sconosciuto o di immigrante o di rifugiato, ma diventa una minaccia, acquista lo status di nemico. Nemico perché viene da una terra lontana o perché ha altre usanze. Nemico per il colore della sua pelle, per la sua lingua o la sua condizione sociale, nemico perché pensa in maniera diversa e anche perché ha un’altra fede.
Nemico per… E, senza che ce ne rendiamo conto, questa logica si installa nel nostro modo di vivere, di agire e di procedere. Quindi, tutto e tutti cominciano ad avere sapore di inimicizia. Poco a poco le differenze si trasformano in sintomi di ostilità, minaccia e violenza. Quante ferite si allargano a causa di questa epidemia di inimicizia e di violenza, che si imprime nella carne di molti che non hanno voce perché il loro grido si è indebolito e ridotto al silenzio a causa di questa patologia dell’indifferenza! Quante situazioni di precarietà e di sofferenza si seminano attraverso questa crescita di inimicizia tra i popoli, tra di noi! Sì, tra di noi, dentro le nostre comunità, i nostri presbiteri, le nostre riunioni. Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia permea i nostri modi di pensare, di sentire e di agire.
Non siamo immuni da questo e dobbiamo stare attenti perché tale atteggiamento non occupi il nostro cuore, perché andrebbe contro la ricchezza e l’universalità della Chiesa che possiamo toccare con mano in questo Collegio Cardinalizio. Proveniamo da terre lontane, abbiamo usanze, colore della pelle, lingue e condizioni sociali diversi; pensiamo in modo diverso e celebriamo anche la fede con riti diversi. E niente di tutto questo ci rende nemici, al contrario, è una delle nostre più grandi ricchezze.

Cari fratelli, Gesù non cessa di “scendere dal monte”, non cessa di voler inserirci nel crocevia della nostra storia per annunciare il Vangelo della Misericordia. Gesù continua a chiamarci e ad inviarci nella “pianura” dei nostri popoli, continua a invitarci a spendere la nostra vita sostenendo la speranza della nostra gente, come segni di riconciliazione. Come Chiesa, continuiamo ad essere invitati ad aprire i nostri occhi per guardare le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della loro dignità, privati nella loro dignità.

Caro fratello neo Cardinale, il cammino verso il cielo inizia nella pianura, nella quotidianità della vita spezzata e condivisa, di una vita spesa e donata. Nel dono quotidiano e silenzioso di ciò che siamo. La nostra vetta è questa qualità dell’amore; la nostra meta e aspirazione è cercare nella pianura della vita, insieme al Popolo di Dio, di trasformarci in persone capaci di perdono e di riconciliazione.

Caro fratello, oggi ti si chiede di custodire nel tuo cuore e in quello della Chiesa questo invito ad essere misericordioso come il Padre, sapendo che «se c’è qualcosa che deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 49).



 
 

Pubblichiamo di seguito l’elenco del Titolo o della Diaconia assegnati da Papa Francesco a ciascuno dei nuovi 17 cardinali nel momento della creazione nel Concistoro di questa mattina:

Card. Mario ZENARI Diaconia Santa Maria delle Grazie alle Fornaci fuori Porta Cavalleggeri
Card. Dieudonné NZAPALAINGA, C.S.Sp. Titolo Sant’Andrea della Valle
Card. Carlos OSORO SIERRA Titolo Santa Maria in Trastevere
Card. Sérgio DA ROCHA Titolo Santa Croce in via Flaminia
Card. Blase Joseph CUPICH Titolo San Bartolomeo all’Isola
Card. Patrick D’ROZARIO, C.S.C. Titolo Nostra Signora del SS. Sacramento e Santi Martiri Canadesi
Card. Baltazar Enrique PORRAS CARDOZO Titolo Santi Giovanni Evangelista e Petronio
Card. Jozef DE KESEL Titolo Santi Giovanni e Paolo
Card. Maurice PIAT, C.S.Sp. Titolo Santa Teresa al Corso d’Italia
Card. Kevin Joseph FARRELL Diaconia San Giuliano Martire
Card. Carlos AGUIAR RETES Titolo Santi Fabiano e Venanzio a Villa Fiorelli
Card. John RIBAT, M.S.C. Titolo San Giovanni Battista de’ Rossi
Card. Joseph William TOBIN, C.SS.R. Titolo Santa Maria delle Grazie a Via Trionfale
Card. Anthony Soter FERNANDEZ Titolo Sant’Alberto Magno
Card. Renato CORTI Titolo San Giovanni a Porta Latina
Card. Sebastian Koto KHOARAI, O.M.I. Titolo San Leonardo da Porto Maurizio ad Acilia
Card. Ernest SIMONI Diaconia Santa Maria della Scala














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