Il DNA non svela i segreti della vita!

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Caterina63
00martedì 13 aprile 2010 18:38
Il Dna non svela i segreti della vita

Un fantasma nei geni


di Carlo Bellieni

La vita non è semplice e riducibile a nostri schemi. Ne è un esempio lo studio del Dna. Notizia recente è che chi pensava che il Progetto genoma svelasse il segreto della vita deve ricredersi:  appena nata, la decifrazione del genoma umano come spiegazione della vita è già vecchia, tanto che l'agenzia scientifica "Nova" titola:  Un fantasma nei tuoi geni per spiegare come un secondo genoma tutto ancora da scoprire agisca sul Dna.

L'ultimo numero della rivista della American Society for Cell Biology (aprile 2010) si dilunga su come insegnarlo al pubblico e nelle università; Eva Vermuza su "Menome" del 2003 già scriveva:  "Come può una molecola composta di soli quattro elementi generare tanta complessità? La risposta semplice è che il Dna non lavora da solo".

Non è fantascienza, ma epi-genetica:  le informazioni del nostro Dna vengono cioè influenzate dall'ambiente che, attraverso un sistema di molecole interno alla cellula, agisce sopra (epi) il dna (genetica). E questo sistema di regolazione superiore agisce come un vero e proprio lettore per il Dna che risulta simile a un cd:  pieno di musica ma inerte senza l'apparecchio che lo sa leggere. Dunque la sola decifrazione del genoma - certo ottima a fini terapeutici - è un passo ancora primordiale nella comprensione del funzionamento delle strutture biologiche. E Manel Esteller su "Lancet" del gennaio 2006 ha ben ragione di scrivere:  "Noi non siamo i nostri geni. Non possiamo prendercela solo coi geni per il nostro comportamento o per la nostra suscettibilità alle malattie":  la vita non è assimilabile e riducibile alla sequenza delle basi del Dna.

Insomma, chi crede di leggere il genoma e capire la vita si sbaglia di grosso:  il numero di geni dei mammiferi è simile, ma diverso è il sistema superiore incaricato della lettura, legato alla genetica e all'ambiente. Per non parlare delle differenze morali. Scrive ancora Manel Esteller:  "Uno dei risultati più sorprendenti del confronto dei genomi di varie specie animali è quanto simili essi siano. Il genoma del topo non differisce molto da quello dell'uomo. Come possiamo allora spiegare le differenze?". L'epigenetica, ovvero la supervisione dell'ambiente sul Dna, è un'introduzione a questa risposta:  l'espressione della vita non dipende solo dal Dna, ma da come questo viene fatto parlare dall'ambiente, introducendo a un'armonia che supera la mera casualità.

Non stupisce quindi che gli studi sull'ereditarietà dei cambiamenti epigenetici, come quelli dell'americano Michael Skinner, direttore del Centre for Reproductive Biology a Washington, abbiano dei riflessi anche sul concetto di evoluzione, certamente tutti da valutare e soppesare con attenzione, ma che non possono essere sottaciuti, dato che appare che l'ambiente può inibire l'espressione di un gene - e non più solo selezionare mutazioni casuali dei geni stessi - e questa inibizione viene trasmessa alle generazioni successive. I cambiamenti fisici, dunque, non avverrebbero solo per mutazioni casuali del Dna, ma anche in seguito a inibizioni da parte dell'ambiente sull'espressione di alcuni geni. Didier Raoult sempre sulla rivista "Lancet" (gennaio 2010) spiega che addirittura il patrimonio genetico può nei secoli mutare per l'interazione con altre specie viventi.

Si apre così, indubbiamente, un nuovo scenario che lascia intravedere che non solo il caso governa lo sviluppo della vita, ma che esistono una collaborazione e un'interazione tra ambiente e genetica in cui l'ambiente ha la funzione di catalizzatore e organizzatore. "Gli ecosistemi si evolvono per co-evoluzione e auto-organizzazione", spiega il chimico Enzo Tiezzi, premio Prigogine 2005, nel suo Steps Towards an Evolutionary Physics (2006) indicando che l'evoluzione non è cieca, o perlomeno non è una folle corsa:  "L'avventura dell'evoluzione biologica è un'avventura stocastica, dal greco, che significa, "mirare con la freccia al centro del bersaglio"":  come le frecce arrivano in ordine sparso sul bersaglio, ma tutte protese verso il centro da parte dell'arciere, così anche l'evoluzione appare avere un'armonia di base.

"Purtroppo - spiega ancora Vermuza - tra gli evoluzionisti c'è un'aura di deificazione di Darwin, che tende a soffocare il dibattito". Questo anche se, come fa Matt Ridley sul "National Geographic" del febbraio 2009, si può riconoscere che, nonostante delle geniali intuizioni, "le idee di Darwin sul meccanismo dell'ereditarietà erano sbagliate e confuse". L'epigenetica offre una visione nuova dello sviluppo della vita sulla terra, che non suona più come una lotta per la sopravvivenza in base a mutazioni casuali, ma appare la possibilità di un'armonia in cui si nota sorprendentemente, invece di una spietata competizione, una possibile collaborazione.

Ma c'è un ultimo aspetto che l'epigenetica illumina:  l'effetto dell'ambiente sul Dna può essere anche legato a un intervento umano. Dei ricercatori del Maryland su "Fertility and Sterility" del febbraio 2009 scrivono:  "È stato chiaramente dimostrato che stimolazioni ovariche e manipolazioni dell'embrione associate con la Fiv (fecondazione in vitro) sono causa di disordini dell'imprinting genomico nell'animale.

E la percentuale di malattia di Angelman o Beckwith-Wideman causate da difetti dell'imprinting genomico in bimbi nati da Fiv è molto maggiore che negli altri, rafforzando la nozione che la Fiv causi disordini dell'imprinting". Il Dna è fragile e in certi casi porta memoria di ciò che lo influenza, come è ben spiegato anche sulla rivista "Reproductive Health" (ottobre 2004):  "Una potenziale alterazione dell'imprinting genomico potrebbe risultare dalla manipolazione dell'embrione nelle prime fasi".

Questo non significa un'equazione tra manipolazione e malattia, anche perché queste malattie sono rarissime e gli studi vanno approfonditi, ma mostra una necessità di cautela:  tanta delicatezza merita davvero un surplus di rispetto.


(©L'Osservatore Romano - 14 aprile 2010)
Caterina63
00mercoledì 18 agosto 2010 09:24
È morto Nicola Cabibbo

Il fisico noncurante



di Maria Maggi

Nicola Cabibbo è morto la sera del 16 agosto nell'ospedale Fatebenefratelli di Roma, dopo una lunga malattia. Era professore di Fisica delle particelle alla Sapienza e dal 1993 presidente della Pontificia Accademia delle Scienze. È stato anche presidente dell'Infn (Istituto nazionale di Fisica nucleare) e dell'Enea (Ente nazionale energie alternative).
Ha lavorato più volte al Cern ed è stato l'ispiratore dell'esperimento di Alice (A Large Ion Collider Experiment), uno dei quattro grandi esperimenti che si svolgono con l'Lhc, il superacceleratore di particelle di Ginevra.
Cabibbo ha ottenuto importanti risultati scientifici nel campo della fisica delle particelle studiando l'interazione debole e formulando, nel 1963, la teoria valida per i processi con cambiamento di stranezza, che contiene i cosiddetti "angoli di Cabibbo"; ha fornito così alcuni fondamentali elementi del Modello Standard delle particelle elementari.

La gran parte delle particelle conosciute all'inizio degli anni Sessanta si comportava in maniera coerente con il formalismo sviluppato fino a quel tempo. Si trattava di quelle particelle costituite, ora diremmo, solo da quark up e down; il comportamento di altre particelle era, però, anomalo in rapporto alle leggi allora formulate. Oggi sappiamo che sono costituite anche da uno o più quark strange e possiedono perciò una proprietà fisica chiamata stranezza. Cabibbo ipotizzò che la forza nucleare debole agisse in maniera diversa su ciascuna particella solo in funzione della sua carica di stranezza, e introdusse una costante ora nota come angolo di Cabibbo.

Sfruttando anche la spiegazione proposta da Cabibbo, Gell-Mann ipotizzò l'esistenza dei quark, particelle subatomiche che costituiscono mesoni e adroni e previde che potessero presentarsi in tre differenti colori - e tre anticolori - e in differenti sapori. Il modello a quark fu immediatamente sfruttato per proporre l'esistenza di un quarto quark (il charm).

Nel 1974 il modello inizialmente proposto da Cabibbo fu ampliato da Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa, che mostrarono come nelle interazioni  deboli occorrano tre famiglie di quark. Questa  proposta, basata sulla cosiddetta matrice di Ckm (acronimo con le iniziali di Cabibbo, Kobayashi, Maskawa) ha portato a prevedere l'esistenza di sei quark rispetto ai quattro allora noti, con l'aggiunta dei quark top e bottom, che poi furono effettivamente scoperti con gli esperimenti. Nel 2008 Kobayashi e Maskawa hanno ricevuto il premio Nobel per la fisica, proprio per questa teoria.

Di recente gli interessi scientifici di Cabibbo si erano estesi all'applicazione dei supercomputer a problemi di fisica teorica. Come presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, Nicola Cabibbo, profondamente cattolico, ha affrontato con grande equilibrio la relazione tra scienza e fede. Durante la sua permanenza all'Accademia, e sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, è avvenuta sia la completa riabilitazione di Galileo Galilei, sia la sostanziale ammissione che la teoria dell'evoluzione non è in contrasto con la dottrina cattolica.

In aprile ci aveva concesso l'ultima intervista in occasione dell'avvio in pieno del superacceleratore Lhc del Cern, e ci aveva parlato con slancio degli esperimenti che si svolgevano.

"La prima preda che ci si aspetta è il bosone di Higgs - aveva spiegato a "L'Osservatore Romano" - se esiste, si sa che ha una massa superiore a 114 Gev, impossibile da osservare con il Lep, la macchina acceleratrice del Cern precedente l'Lhc. All'interno del cosiddetto modello standard il bosone di Higgs ha un ruolo centrale, quello di dare massa alle particelle elementari. Il modello standard non è completo e presenta delle crepe.

I fisici si aspettano di scoprire una regione di nuove particelle, anche con molte sorprese. Uno dei campi più interessanti è quello riguardante la struttura dell'Universo. Negli ultimi anni si è trovato che la materia ordinaria, di cui sono fatte le stelle e i pianeti, è solo il quattro per cento. Poi esiste un ventisei per cento di materia oscura, mai osservata, e un settanta per cento di energia oscura".
Cabibbo è stato uno dei fisici italiani più noti in campo internazionale; avrebbe, senza dubbio, meritato il Nobel, sfuggitogli per anni, e andato piuttosto a chi ha sviluppato una teoria ideata da lui. Non ha mai fatto polemica per questa ingiustizia e ha sempre continuato a lavorare con serenità e umiltà. Il suo premio migliore era la conoscenza.

Le esequie del grande fisico si celebrano mercoledì 18 agosto a Roma, nella basilica di San Lorenzo fuori le Mura alle ore 11.



(©L'Osservatore Romano - 17-18 agosto 2010)

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