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| | Il mistero del "pane nostro quotidiano" ANALISI DEL 'PADRE NOSTRO' Conferenza tenuta a Firenze nel 1977, presso la Società Leonardo da Vinci, in occasione della settimana ecumenica
(In MENORAH ~ sito ebraico ~)
L'autore desidera rimanere anonimo In questa sala eminenti dotti cristiani hanno commentato i Salmi o altri scritti di ebrei. Sia lecito dunque a un ebreo commentare un brano del Nuovo Testamento. C'è un'altra ragione più specifica. Gesù fu ebreo, nacque da una famiglia di ebrei, fu circonciso, visse sempre da buon ebreo, osservava il Sabato, mangiava kasher, solennizzava le feste (sebbene i Vangeli parlino della sola Pasqua), recitava lo Scema Israel (Marco XII, 29). La sua vita terrena appartiene alla storia degli ebrei, ma dopo la morte egli diventò l'oggetto delle speculazioni teologiche dei cristiani di varie chiese: cattolici, marcioniti, gnostici, ariani, nestoriani, monofisiti, e poi luterani e calvinisti, seguaci di Bultmann e di Bonhoeffer, ecc. Di tutta questa vita postuma stasera noi non ci occuperemo affatto. Lasciamo stare la teologia. Io vi parlerò come storico, e non come teologo. Ho rispetto e simpatia per quei teologi i quali con le loro interpretazioni omiletiche dei testi sacri talvolta fanno acute osservazioni sulla vita d'oggi e porgono consigli eccellenti. Ma stasera mi occuperò esclusivamente di ricercare il significato originario del Paternostro, secondo la lingua, le situazioni e la mentalità di quei tempi. Lo storico scrupoloso non deve lasciarsi sedurre dalle preoccupazioni apologetiche dei teologi, né dalla tentazione di deformare i fatti a scopo di edificazione. Ho imparato da prima gli episodi della vita di Gesù dalle bellissime pitture dei nostri Musei: le pitture del Beato Angelico, di Gentile da Fabriano, del Perugino, di Raffaello, ecc. - incantevoli, poetiche, idilliache, con verdi giardini, colline come quelle di Firenze, con figure eleganti e sorridenti, con quell'atmosfera di pace. Quando mi diedi a studiare i documenti dell'epoca mi accorsi che la realtà storica era diversa: il paesaggio brullo e stepposo, lacrime e sangue. Uno sfondo tragico paragonabile forse all'Algeria di qualche anno fa. Da una parte un popolo oppresso, i Giudei che sognavano l'indipendenza. Insurrezioni e rivolte frequenti. Dall'altra i Romani, gli sfruttatori, che non esitavano a crocifiggere a migliaia per volta gli uomini validi e a vendere le donne e i bambini ai mercanti di schiavi. Qualche volta crocifiggevano anche le donne e i bambini, come fece il buon Tito "delizia del genere umano". C'erano insurrezioni di partigiani - i Romani li chiamavano banditi - e alcuni erano forse masnadieri, altri erano forse santi martiri. Oggi non ne conosciamo neppure i nomi. C'erano quelli che predicavano la sottomissione - alcuni per interesse, i ricchi che non amano le rivoluzioni, i pubblicani appaltatori d'imposte che s'impegnavano a fornire una somma fissa al fisco romano e s'industriavano di estorcere quanto più potevano dalle sventurate popolazioni - ma altri in buona fede, sapendo che lo stato romano era invincibile e che ogni resistenza avrebbe provocato maggiori sventure. C'erano anche i mistici che s'illudevano che Dio avrebbe liberato con un miracolo il popolo fedele. In quest'atmosfera di oppressione e di sangue viveva Gesù. Questo è lo sfondo del Vangelo. Le varie tendenze alle quali ho accennato si riflettono negli scritti dei vari redattori del Nuovo Testamento. Veniamo dunque al Paternostro. Di questa bellissima preghiera abbiamo quattro versioni: quella di Matteo VI 9-13, quella di Luca XI 2-4, quella della Didaché e quella di Marcione. Ma quella di Marcione è alterata per conformarla alla sua teologia. Quella della Didaché è quasi uguale a quella di Matteo. Tra le due rimanenti, la versione di Matteo mi sembra più primitiva che la versione di Luca, contrariamente a quanto pensano molti critici tedeschi. Ne daremo più avanti qualche prova. Il Paternostro è tutto composto di formule ebraiche. E' esente da ogni accenno ai dogmi e alle formule caratteristiche del cristianesimo. Questo mi pare un buon indizio della sua autenticità. Leggendo i commenti dei Padri della Chiesa cristiana confrontandoli ai moderni teologi protestanti, si nota come spesso questi ultimi sono sconcertati da un linguaggio che non è il loro e che non capiscono. continua........
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| | Pater (padre). E' antica e costante usanza ebraica di considerare Iddio come nostro Padre e gli Israeliti come Suoi figli. Ve n'è una ventina d'esempi nell'Antico Testamento: Esodo IV, 22; Deuteronomio XIV, 1; XXXII,6, 18, 19, 20; Salmo LXXIII, 15; Isaia I, 2; XXX, 1; LXIII, 16; LXIV, 7; Geremia III, 4, 19; IV, 22; XXXI, 9, 20; Osea I, 10; Ezechiele XVI, 20, 21; Malachia I, 6; II, 10. Citiamo il versetto del Deut. XIV, 1: "Voi siete i figli del Signore Iddio vostro", e quello di Geremia III, 19 "Mi chiamerete: Padre mio". Vi sono altri esempi nei libri ebraici non canonici, ma riconosciuti ispirati dalla Chiesa: Ben Sira XXIII 1, 4; LI, 10; Sapienza II, 16; XIV, 3; Tobia XIII, 4; III Maccabei V, 7; VI, 8; Giubilei I, 24, 25, 28; Testamento di Giuda XXIV, 2; Testamento di Levi XVIII, 6; Hodayot IX, 35-36; Nei detti dei Tannaim, Akiba (Abot III, 18; Yoma 85; Taanit 25) e Jehuda ben Tema (Abot V, 23 ). Vediamo che , invocando Dio come Padre, questi testi e Gesù di Nazaret, si conformarono all'esortazione di Geremia. E Dio è invocato come padre nelle preghiere quotidiane: nell'Amidà (benedizioni V e VI) nell'Ahabah, nel Col berue e in molte altre. Nella preghiera mattutina è invocato più volte proprio con le parole Abinu shebashamaim "Padre nostro che sei nei cieli". Hmwn "di noi" "nostro". Chi sono questi "noi"? Nei passi della Bibbia citati di sopra, Dio è chiamato Padre degl'Israeliti. Veramente, secondo la dottrina ebraica, Iddio si potrebbe chiamare Padre universale per due ragioni: I) perché è il Creatore del cielo e della terra e di tutto ciò che v'è (Genesi I-II, Esodo XX, 11; XXXI, 17; II Re XIX, 15; Nehemia IX,6; Salmi CII, 25; CXV, 15; CXXI, 2; CXXIV, 8; CXXXIV, 3; CXLVIII, 6; IsaiaXLII, 5; XLV, 18; Geremia XXXII, ); II) perché veglia amorosamente non solo sugli ebrei, ma su tutti i popoli, sugli egiziani e sugli assiri (Isaia XIX, 25), sugli etiopi, sui filistei e sugli aramei (Amos IX, 7) e anche sugli animali (Giobbe, XXXVIII, 39 -41; Salmo CXLVII, 9) e ama tutte le sue creature (Salmo CXLV, 9, 16; Sapienza di Salomone XI, 24-26). Ma sebbene Iddio si possa considerare come il Padre di tutti gli uomini e di tutte le creature, esplicitamente non è chiamato se non Padre degli Israeliti. Veniamo ai Greci. Per Omero Zeus è padre di uomini e di dei (Iliade V, 426). Certo è padre in senso fisico, ché dai suoi molteplici amori con dee, con ninfe e con donne mortali, Zeus ebbe numerosa prole. La formula di Omero è ripetuta da altri poeti. Ma Platone (Timeo) più filosoficamente chiama Dio "Fattore e Padre dell'universo". Filone, il filosofo ebreo un poco piò anziano di Gesù, adotta la formula di Platone (De opificio mundi 13, Legatio ad Gaium XVI, II9). Dunque Filone, prima di Gesù, rende esplicita la dottrina che nella Bibbia era implicita. Pare probabile che Gesù usasse la parola "padre" nel senso nazionale dell'Antico Testamento. Il Vangelo di Matteo non dice neppure hmetere "nostro", ma dice proprio hmvn "di noi", "di noialtri", dunque "padre di noialtri ebrei". L'autore del Terzo Vangelo e degli Atti, letterato elegante, spirito irenico, novellatore piacevole, ma non sempre storico scrupoloso, come negli Atti cerca di conciliare Pietro con Paolo, nascondendo le dispute che conosciamo dalle epistole, così nel suo Vangelo cerca di conciliarsi i Gentili, tanto più che era un Gentile egli stesso. Perciò cancella l'hmvn e scrive il semplice pater. Dio non è più padre dei soli Israeliti, è padre di tutti gli uomini. Il pensiero di Luca è chiarito dalla genealogia. Mentre Matteo I, 1-16 risale fino ad Abramo per dimostrare che è un vero Israelita; Luca III, 23-38 risale fino ad Adamo, per dimostrare che Gesù, in quanto figlio d'Adamo, è figlio di Dio. Neanche Luca, però, assurge all'universalismo di Platone e di Filone. Il Quarto Evangelista (Giovanni), che per noi naturalmente, storicamente parlando è definito un antisemita che probabilmente subì l'influenza degli gnostici o di Marcione, spesso tenta di confutare i Sinottici. Per lui gli Ebrei non sono i figli di Dio né d'Abramo. Sono i figli del Diavolo (Giovanni VIII, 39-44). Gesù non ha più genealogia. E' l'unigenito figlio di Dio (Giovanni I, 14, 18; III, 16-18). E il Paternostro è omesso da questo Vangelo. Alcuni commentatori (G. Luzzi, J. Jeremias) pensano che nel Giudaismo Dio fosse Padre del popolo, ma non dei singoli individui. Ma non è così. Un profeta che non apparteneva al popolo ebraico per nascita , poiché era un proselita, scriveva: "Tu sei il Padre nostro, benché Abramo ci ignori e Israele non ci riconosca. Tu, o Eterno, sei il Padre nostro" (Isaia LXIII, 16). Geremia e Ben Sira adoperano l'espressione "Padre mio" col pronome di prima persona singolare. E il Salmo LXVIII, 5 dice che Dio è il Padre degli orfani.
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| | O en toiV ouranoiV "che sei nei cieli". Nel greco ordinario ouranos "cielo" è singolare. In ebraico shamaim e in aramaico shemaya sono plurali. Si tratta di una peculiarità linguistica senza riferimento a dottrine astronomiche. La sua presenza nel nostro testo greco dimostra che questo è tradotto da un originale semitico. Secondo la dottrina ebraica, Iddio è in ogni luogo: "Egli riempie il cielo e la terra "(Geremia XXIII, 24). "Se io salgo in cielo, Tu vi sei, se scendo nello Sheol, eccoti là! Se prendo le ali dell'alba e dimoro nell'estremità del mare, anche colà mi condurrà la tua mano e la tua destra mi sosterrà." (Salmo CXXXIX, 8_10) E così anche Deut. IV, 39; Giosué II, 11; II Re VIII, 27; Isaia LXVI, 1. Ma in altri versetti biblici si dice che Dio sta nei cieli (Deut. XXXIII, 26; I Re VIII, 30, 32, 49; Giobbe XXII, 12; Salmi II, 4; CIII, 19; CXIII, 5; CXV, 2-3, 16; CXXIII, 1; Eccles. V, 2; Daniele II, 28). Abbiamo già osservato che la frase "Padre nostro che sei nei cieli" è usata dai dottori della Mishnà e più volte nelle preghiere ebraiche. Agiasqhtw to onoma sou "sia santificato il tuo nome". Il verbo agiazw non esiste nel greco classico né nei papiri pagani. Fu inventato dai Settanta per tradurre l'ebraico "qadash". Questa è una novella prova che ci troviamo di fronte a una traduzione, da spiegare con la fraseologia ebraica, incomprensibile a chi è stato educato in ambiente diverso. Infatti anche nel nostro Kaddish si dice "Itgaddal weitqaddash shemey rabba" (sia magnificato e santificato il suo gran nome). E nella preghiera mattutina del Sabato: "Shimchà Adonai Elohenu itqaddash" (il tuo nome, o Eterno Dio nostro, sia santificato). Che significa "santificare il nome"? Per il Pichenot significherebbe astenersi dalla bestemmia, dai giuramenti falsi, ecc.. Ma così si restringerebbe troppo la portata della frase. Più giusto mi pare Sant'Agostino: "Quando diciamo: Sia santificato il tuo nome, facciamo sapere che desideriamo che il suo nome, il quale è sempre santo, sia considerato santo anche fra gli uomini, cioè non sia spregiato". Nel linguaggio biblico "qadash" (santificare) è il contrario di "halal" (profanare). Dunque "santificare il nome" significa preservarlo dalle profanazioni. Il santo nome è profanato quando gli Ebrei commettono atti d'idolatria o altri gravi peccati (Levitico XVIII, 21; XIX? 12; XX, 3; XXI, 6; XXII, 32; Ezechiele XLIII, 7, 8; Amos II, 7) e quando il popolo il popolo ebraico è esiliato e la sua religione è insultata (Isaia LII, 5; Ezechiele XXXVI, 20-24; XXXIX, 7, 25; Malachia I, 11-12; Salmo CXI, 9). Si può congetturare che Gesù pensasse a un fatto recente. Ponzio Pilato aveva offeso i sentimenti dei pii ebrei introducendo le insegne delle legioni nella Città Santa (Flavio Giuseppe, Antichità XVIII, iii, 1; Guerra II, ix, 3); Le insegne erano gli dèi delle legioni e i soldati offrivano loro sacrifizi (Flavio G., Guerra VI, vi, 1; Svetonio, Caligola XIV, Tacito, Annali I, 39; Tertulliano, Apologetico XVI, 162). Perciò la presenza delle insegne nella Città Santa era una profanazione del nome. I giudei supplicarono Pilato di farle togliere di lì, ma questi fece circondare i supplici dai soldati, minacciandoli di morte immediata. Allora essi si gettarono in terra, scoprendo il collo, pronti a lasciarsi tagliare la testa piuttosto che consentire all'atto profano. E Pilato allontanò le insegne. Nell'uso ebraico più tardo la "santificazione del nome" era il martirio sofferto per restare fedeli alla Torà. Il Sifra (Emor XIII) dice: "Io vi ho tratti fuori dall'Egitto a patto che siate pronti a sacrificare la vita, qualora lo esiga l'onore del mio nome".
Elqetw h basileia sou "venga il tuo regno". Questa frase allude al nucleo centrale della predicazione di Gesù. 2 Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino" (Marco I, 15). E' questo l'euangelion, la buona novella. La parola italiana "regno" (come l'ebraico "malkut", il greco "basileia", il latino "regnum") può significare tanto un territorio governato da un re come il periodo durante il quale egli regna. Invece l'inglese e il francese distinguono "kingdom", "royaume" (il territorio) e "reign", "règne" (il periodo). Ma i traduttori inglesi e francesi della Bibbia dimostrano incoerenza e confusione nel rendere questa parola. Il "regno di Dio" nella Bibbia è sempre un periodo, mai un territorio. Gesù e altri Giudei del suo tempo aspettavano che Dio cominciasse a regnare, non già che continenti ed isole mutassero posto. Il primo regno di Dio era stato al tempo dei Giudici. Gedeone rifiutò l'invito a farsi re, per non togliere il regno a DIo (Giudici VIII, 22-23). Quando gli anziani volevano ungere re Saul, Iddio li rimproverò, per mezzo del profeta Samuele, perché l'avvento di un re mortale avrebbe segnato il ripudio del Sovrano celeste (I Samuele VIII, 4-7; X,18-19; XII, 12). Da questi passi si ricava: 1) che nell'opinione dei sacri autori la monarchia umana e la monarchia divina erano incompatibili; 2) che era tradizione che Iddio fosse il re d'Israele al tempo dei Giudici; 3) che il regno di Dio cessò con l'incoronazione di Saul. Dopo Saul ci furono i re della dinastia davidica. Poi la Giudea fu soggetta ai re Babilonesi, ai re Persiani, ad Alessandro Magno, ai Lagidi, ai Seleucidi. Finalmente nel 167 i Giudei si ribellarono ai re stranieri. Ma non richiamarono al trono la famiglia davidica. Invece instaurarono il secondo regno di Dio. A questo periodo assegno i Salmi che proclamano "Adonai malakh" (l'Eterno ha cominciato a regnare) (Salmi XLVII, XCIII, XCVI, XCVII,IC). Il secondo regno di Dio durò un paio d'anni (dal 164 al 162). Seguì un ventennio sotto i re greci (162- 140). Poi un terzo regno di Dio dal 140 al 104. Poi i re Asmonei, il dominio romano, Erode, Archelao. Nel 7 dell'Era Volgare i Romani ridussero la Giudea a provincia, imposero tasse e mandarono Quirino a fare il censimento dei patrimonii. Agli Ebrei parve di esser ridotti in schiavitù. Tuttavia il Sommo Sacerdote Joazar li persuase a rassegnarsi e a dichiarare i loro patrimonii, a inchinarsi ai voleri di Cesare. Ma qualcuno non si rassegnò e insorse. Giuda gaulonite, della città di Gamala, detto anche Giuda di Galilea istigò il popolo alla ribellione. Diceva che questa tassa non era altro che imposizione di schiavitù ed esortò i Giudei a proclamarsi indipendenti e a non riconoscere altro padrone che Dio. Chiamare padrone un uomo, fosse pure Augusto, era tradire Iddio. I suoi seguaci, piuttosto che accettare Augusto come sovrano, subirono in gran numero la tortura e il martirio. E condussero una lunga e sanguinosa guerriglia di partigiani (Flavio G., Ant. XVIII, 1, 6; Guerra II viii, 1). Ma accanto a coloro che volevano instaurare il quarto regno di Dio con la violenza (Matteo XI viii,1) c'erano altri che l'aspettavano con tranquilla fiducia, come Giuseppe d'Arimatea, consigliere onorato, il quale aspettava il regno di Dio (Marco XV, 43). Non mi pare probabile che un consigliere, forse membro del Sinedrio, partecipasse attivamente alla guerriglia. Anche per Gesù il regno di Dio era nel futuro. Lo dimostrò Johannes Weiss, rivoluzionando la teologia tedesca. Ma del resto risulta evidente dai Vangeli (Marco IX,1 = Luca IX, 27; Marco XIV, 25 = Matteo XXVI, 29 = Luca XXII, 16-18; Matteo VIII, 11; Matteo XXII, 41) e dallo stesso Paternostro. Il Reimarus, il più antico e uno dei più intelligenti fra i critici del Nuovo Testamento, osserva che il succo della predicazione di Gesù è "Pentitevi, ché il regno di Dio è vicino". Poiché Gesù non spiega mai questa espressione, bisogna supporre che l'adoperasse nel significato usuale degli Ebrei del suo Tempo. Possiamo noi sapere come si figuravano gli Ebrei di quella generazione il regno di Dio? Cent'anni dopo il Reimarus, cent'anni fa, uno studioso italiano, Monsignor Ceriani, scopriva nella Biblioteca Ambrosiana di Milano uno scritto (l'Ascensione di Mosé) il quale fu composto proprio al tempo di Gesù. Questo scritto contiene una descrizione del regno di Dio. Eccola: E allora comparirà il Suo regno per tutto il Creato. E allora l'Accusatore avrà fine, e la tribolazione sarà tolta via con lui. E saranno empite le mani dell'Angelo che è stabilito nel sommo dei Cieli, il quale subito li vendicherà dei loro nemici. Ché il Celeste sorgerà dal trono del Suo regno e uscirà dalla Sua santa dimora con indignazione e ira pei Suoi figlioli. E la terra tremerà: sarà scossa fino ai suoi confini, e le montagne saranno abbassate e squassate e le valli saranno alzate. E il sole non farà luce e le corna della luna saranno oscurate e rotte, e tutta la luna si muterà in sangue, e l'orbita delle stelle sarà sconvolta, e il mare cadrà nell'abisso. Le sorgenti dell'acque si seccheranno e i fiumi inaridiranno. Perché il Dio Altissimo, l'Eterno, il Dio unico si leverà e si manifesterà per punire le nazioni e per distruggere i loro idoli. Allora sarai felice tu, o Israele, salirai sul collo e sull'ali dell'aquila e i giorni del tuo dolore termineranno. E Dio ti esalterà, e ti solleverà fino al Cielo delle stelle al luogo della Sua dimora. Allora tu guarderai dall'alto e vedrai i tuoi avversari sulla terra e li riconoscerai e ti rallegrerai, e renderai grazie e riconoscenza al Creatore.
Dunque per questo antico poeta il regno di Dio consisteva nella liberazione d'Israele, accompagnata da terremoto, oscuramento del sole, sanguinare della luna, ecc.. Naturalmente non è detto che tutti i Giudei se lo figurassero nell'identico modo, ma è degno di nota che anche nel Nuovo Testamento non manchino accenni alla sperata liberazione di Israele (Marco X, 42-43 = Luca XXII, 25-26; Luca I, 74; Atti I, 6) e a fenomeni simili a quelli suddescritti (Marco XIII, 24-27 e paralleli; Atti II, 18-21; Apocalisse VI, 12-17). Anche la frase "Venga il tuo regno" ha analogie nelle preghiere ebraiche. Il Kaddish: "Veiamlikh malkhuté" (e regni il suo regno - e seguita: "durante la nostra vita, nei giorni nostri, durante la vita di tutta la famiglia d'Israele.") E l'Amidà (benedizione II): "Fa tornare i nostri Giudici come in antico e i nostri consiglieri come una volta e regna sopra di noi tosto, Tu solo con fedeltà, con misericordia, con rettitudine e con giustizia". Nell' Antico Testamento il regno di Dio era limitato alla Palestina o esteso a tutta la terra? I versetti Giosuè III, 11; Salmo XCVII, 5 e Zaccaria XIV, 9 forse non sono chiarissimi, perché ha-arez potrebbe significare così "la terra" come "il paese". Ma nel Salmo XLVII, 8 (Dio regna sulle nazioni), nel LXXXII, 8 (tutti i popoli), nel XCVI, 13, nel XCVII, 1 (le grandi isole), nel XVIII, 9 (il mondo, i popoli), il regno è universale. Ed è universale nell'Assunzione di Mosé e nell'Alenu . Marcione e probabilmente anche l'autore del terzo Vangelo, essendo fedeli sudditi dell'Impero romano, non potevano pregare per la venuta d'un regno diverso. Perciò alla frase sovversiva ne sostituirono una innocua: "Venga il tuo spirito santo su di noi e ci purifichi".
continua........
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