Il cardinale Bertone invita a leggere l'Opera Omnia di Benedetto XVI "Nella Liturgia la chiave di volta"

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Caterina63
00mercoledì 27 ottobre 2010 18:19
Il cardinale segretario di Stato all'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede
per un invito alla lettura dell'Opera omnia di Joseph Ratzinger

Nella liturgia la chiave di volta


Nel pomeriggio di mercoledì 27 ottobre, all'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede, vengono presentati la traduzione in italiano del primo volume dell'Opera omnia di Joseph Ratzinger (La teologia della liturgia, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010, pagine 849, euro 55) e del libro curato da Pierluca Azzaro Joseph Ratzinger. Opera omnia. Invito alla lettura (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010, pagine 103, euro 7). Alla presenza dell'Ambasciatore Antonio Zanardi Landi, intervengono il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, Gianni Letta, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri della Repubblica italiana, Christian Schaller, direttore vicario dell'Istituto Benedetto XVI di Ratisbona, e Lucetta Scaraffia, dell'università di Roma La Sapienza. Anticipiamo il discorso del cardinale segretario di Stato. Pubblichiamo inoltre stralci della prefazione e di due saggi del libro Joseph Ratzinger. Opera omnia. Invito alla lettura.

di Tarcisio Bertone


Il Santo Padre, nella sua prefazione all'edizione tedesca - nel primo dei tre volumi finora usciti a partire dal 2008 - scrive:  "Quando, dopo qualche esitazione, ho deciso di accettare il progetto di un'edizione di tutte le mie opere, avevo ben chiaro che doveva valere l'ordine delle priorità seguito dal concilio e che quindi all'inizio doveva esserci il volume con i miei scritti sulla liturgia". Ecco qui, offertaci dallo stesso Autore, una prima chiave per accostarci, con intelligenza, alla lettura - affascinante e capace di coinvolgere non solo la mente, ma anche il cuore del lettore - di questo primo, corposo tomo che ora abbiamo tra le mani. Penso che questa, che ho appena citato, sia una di quelle confidenze cui il Papa ci ha abituati in questi cinque anni e che noi non dobbiamo assolutamente sottovalutare se vogliamo cogliere la linea di sviluppo non solo del suo pensiero teologico, come autore di innumerevoli scritti, ma dello stesso servizio petrino cui è stato chiamato, così come lo sta attuando.

Tutti, infatti, ricordiamo il primo discorso che Benedetto XVI ha rivolto alla Curia Romana nel 2005, in occasione della presentazione degli auguri natalizi. Un discorso ampio e articolato, nel quale il Pontefice ha voluto fare memoria della conclusione del concilio Vaticano ii, avvenuta quarant'anni prima, l'8 dicembre del 1965. E in quel contesto egli non ha avuto timore di chiedersi con coraggio:  qual è stato il risultato del concilio? È stato recepito nel modo giusto? Che cosa, nella recezione del concilio, è stato buono, che cosa insufficiente o sbagliato? Che cosa resta ancora da fare? Un incalzare di domande - come è nello stile di Benedetto XVI - che hanno dato luogo a una constatazione:  "Nessuno può negare che, in vaste parti della Chiesa, la recezione del concilio si è svolta in modo piuttosto difficile".

Ma quelle domande e la constatazione che ne è seguita non sono sfociate in recriminazioni o lamenti, bensì hanno suscitato ulteriori domande e dato voce al bisogno di offrire una sintesi, forse ancora embrionale, delle molte difficoltà vissute dalla Chiesa in questi ultimi decenni.
Ascoltiamo ancora il Papa:  "Perché la recezione del concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile? Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del concilio o - come diremmo oggi - dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione. I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro".

Ho richiamato quel discorso del dicembre 2005 soprattutto perché in esso il Papa ha rilevato che a proposito del concilio è ancora in atto tale "confronto", e lo ha detto con la consueta trasparenza, semplicità e chiarezza che lo contraddistinguono, così da farsi capir non solo dagli studiosi, ma da tutta l'opinione pubblica.
Ed è riprendendo quelle domande e quelle constatazioni che si capisce meglio anche il valore di questo primo volume dell'Opera omnia e si coglie in pieno la decisione di partire dal concilio Vaticano ii. Riconoscere e affermare che vi è da una parte una "ermeneutica della discontinuità e della rottura" e che, dall'altra parte, c'è una "ermeneutica della riforma" che sceglie e spinge per il "rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato", è decisivo per avere la chiave di lettura di Teologia della Liturgia.

Qui, infatti, vediamo usare quel tipo di approccio che, per dirlo ancora con le parole del Papa, fa sì che il concilio Vaticano ii, "se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa".

Ecco spiegata, a mio parere, la prospettiva di questo primo e fondamentale volume dell'Opera omnia:  è l'intento di aiutare la Chiesa in un grande rinnovamento che si rende possibile solo se si "ama l'Amato", come insegna la liturgia, un amore che porta frutto nella vita di tutti i giorni.
Vorrei aggiungere - ed è il secondo aspetto del mio intervento - che questo aiuto alla Chiesa, il professore e poi cardinale Joseph Ratzinger, ora Papa Benedetto XVI, lo ha dato in tutta una vita di ricerca. Un impegno che ha prodotto oltre un centinaio di volumi e più di 600 articoli. Di tutto questo l'Opera omnia deve dar conto nell'insieme dei sedici volumi previsti. In questo sulla liturgia troviamo raccolti scritti che vanno dal 1964 al 2004.

Questa mole di testi attesta non solo il lavoro dello studioso, ma getta luce anche sulla encomiabile generosità con la quale il professor Joseph Ratzinger ha voluto condividere il frutto delle sue ricerche con un pubblico veramente vasto ed eterogeneo.
La vastità e varietà di interventi, richiesti sia dallo studio teologico, sia dal servizio pastorale, suggerisce un'ulteriore considerazione:  dobbiamo essere maggiormente consapevoli - e anche riconoscenti - della fatica che hanno dovuto, e dovranno compiere i curatori dell'Opera omnia - il vescovo di Ratisbona monsignor Gerhard L. Müller, Rudolf Voderholzer e Christian Schaller. Essi infatti devono lavorare molto per offrirci il pensiero di un autore che è uno dei protagonisti della teologia di questi ultimi cinquant'anni.

Un autore che, tra l'altro, ha sviluppato anche un proprio metodo di ricerca che, mentre scava in profondità nel passato, sa dire una parola significativa e originale all'uomo contemporaneo. Un pensiero, dunque, che si raccorda sempre con la vita e i suoi problemi.
Lo sappiamo, il metodo teologico di Joseph Ratzinger parte sempre da una seria e acuta analisi biblica, per passare poi ai Padri della Chiesa - dei quali possiede una conoscenza molto profonda - per giungere alla riflessione teologica sistematica. Questo modo di procedere rigoroso non diventa mai una "gabbia" per il pensiero, ma una garanzia per offrire una parola originale e illuminante sul presente.

A questo proposito, vorrei portare solo un esempio, ricavandolo dal volume che presentiamo questa sera. Cito testualmente:  "Per il cristianesimo nascente, il confronto con la gnosi significa lo scontro decisivo per la determinazione della propria identità". Ebbene, da questo sintetico squarcio sulla storia della Chiesa delle origini, ecco emergere una stimolante affermazione sull'attualità. Cito ancora:  "Anche oggi lo gnosticismo torna a esercitare il suo fascino in molti modi:  le religioni dell'Estremo Oriente portano in sé la stessa struttura fondamentale". E aggiunge:  "Il Creatore vuole positivamente che il creato esista come qualcosa di buono che gli sta di fronte".
Quindi, non "caduta dall'Infinito", bensì invito rivolto all'uomo a scoprire la propria originalità, perché possa tornare a Dio con "una risposta di libertà e di amore". In questo significativo "campione", si può vedere dischiuso il tratto caratteristico del magistero di Benedetto XVI, che è proprio un continuo appello all'uomo perché riconosca e accolga questa sua vocazione alla pienezza di vita nella verità e nella carità. Libertà e amore hanno il loro fondamento nella capacità stessa dell'uomo di usare bene la ragione.

Ecco allora offrirsi al lettore di questo libro - Teologia della Liturgia - con chiarezza e luminosità sorprendente l'immagine di un uomo che può rivolgersi al suo Creatore e dire:  "Vieni oggi, Signore, vieni in ciascuno di noi, e vieni anche in questo nostro tempo:  visibile, storico, nuovo".



(©L'Osservatore Romano - 28 ottbre 2010)
Caterina63
00mercoledì 27 ottobre 2010 18:20

Un fondamento per le scelte politiche


di Gianni Letta

Un'immagine immediatamente rende il significato e l'importanza che non solo il mondo della cultura e la comunità scientifica riconoscono al pensiero di Benedetto XVI. È questa:  nella Westminster Hall, la prestigiosa sala all'interno del più antico Parlamento del mondo, il Papa teologo si rivolge all'intera classe dirigente del Regno Unito venuta ad ascoltarlo in occasione del suo recente viaggio in Gran Bretagna.

Nella  prefazione  del  curatore dell'edizione  tedesca   dell'Opera   omnia, il vescovo  di  Ratisbona,  monsignor Gerhard Müller, nota autorevolmente come al centro del pensiero del Papa stia la questione del rapporto tra fede e ragione. Ma l'affermazione dell'interdipendenza necessaria tra ratio e religione in Joseph Ratzinger irriga e dà vita non solo al campo degli studi teologici ma anche agli altri del pensare e dell'agire umano, e non ultimo a quell'agire politico che aspira alla realizzazione del bene comune. Ed infatti quando il Papa ci invita a non prescindere dalla cooperazione tra fede e ragione nella sfera pubblica, egli ci parla di una religione che rinuncia al tentativo di imporre un proprio predominio ma che, allo stesso tempo, non vuole colpevolmente sottrarsi dal contribuire al bene dell'intera nazione.

Illuminante, in questo senso, un passo del discorso nella Westminster Hall. Dice il Papa:  "La questione centrale in gioco, dunque, è la seguente:  dove può essere trovato il fondamento etico per le scelte politiche? La tradizione cattolica sostiene che le norme obbiettive che governano il retto agire sono accessibili alla ragione, prescindendo dal contenuto della rivelazione. Secondo questa comprensione, il ruolo della religione nel dibattito politico non è tanto quello di fornire tali norme, come se esse non potessero esser conosciute dai non credenti - ancor meno è quello di proporre soluzioni politiche concrete, cosa che è del tutto al di fuori della competenza della religione - bensì piuttosto di aiutare nel purificare e gettare luce sull'applicazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi".

Il collegamento tra mondo della fede e mondo della ragione è uno dei fili rossi che attraversa il volume xi dell'Opera omnia di Joseph Ratzinger, Teologia della Liturgia. Ma proprio per quella tensione alla totalità e insieme per quella passione per l'uomo, per ogni uomo, che caratterizza il pensare e l'agire di Joseph Ratzinger, anche in questo volume il grande teologo non rifugge mai, quando il tema gliene dà occasione, di riflettere sulla questione della corretta trasposizione della fede nella vita pubblica.

Mi limito a un esempio. Nel 2001 l'allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede è chiamato a presenziare alla celebrazione del Congresso eucaristico diocesano di Benevento e a riflettere sulle tre parole-guida che quell'assise ha posto a tema:  Eucaristia, Comunione e Solidarietà. A Joseph Ratzinger sta a cuore mostrare quanto sia errata l'idea, maturata in alcuni ambienti del primo socialismo, per la quale la parola solidarietà diveniva la nuova, razionale e realmente efficace risposta al problema sociale proprio perché in contrapposizione alla caritas, all'idea cristiana di amore.

All'origine della solidarietà, scrive invece Ratzinger, "all'origine di quel farsi garanti gli uni per gli altri, i sani per i malati, i ricchi per i poveri, i continenti del nord e del sud, nella consapevolezza della reciproca responsabilità" sta il riconoscimento della pari, assoluta dignità di ognuno, la cui base incrollabile tuttavia è il riconoscimento che Dio stesso, amorevolmente, ha creato ogni uomo a sua immagine e somiglianza. Oscurato il legame che unisce la creatura al Creatore, dice Joseph Ratzinger, svanisce anche ciò che in ultimo legittima l'idea di dignità umana; e col venir meno di essa, è tolta alla retta convivenza civile la fonte alla quale si abbevera, al sistema democratico la pietra angolare sul quale si regge:  "Se la globalizzazione nell'ambito della tecnica e dell'economia - conclude - non sarà accompagnata da una nuova apertura della coscienza verso quel Dio davanti al quale tutti siamo responsabili, allora finirà nella catastrofe".

Quella del 2001 è una affermazione davvero profetica, se si pensa alla gigantesca crisi finanziaria che quasi dieci anni più tardi avrà conseguenze drammatiche sulla vita quotidiana di centinaia di milioni di persone nell'intero pianeta. Siamo giunti così all'analisi delle questioni della più stringente attualità e, insieme, ancora una volta, al tema dell'indispensabile armonia tra fede e ragione, ovvero dei pericoli che scaturiscono da una teoria e da una prassi sociale che non tengono conto di Dio. Da qui il profondo convincimento del grande teologo che "non basta trasmettere capacità tecnica, conoscenza razionale e teoria o anche prassi di determinate strutture politiche.
Tutto ciò non serve, anzi è perfino dannoso, se non vengono suscitate anche le forze spirituali che danno senso a queste tecniche e strutture e rendono possibile un loro uso responsabile".

Quest'appello di Joseph Ratzinger del 2001 risuona nelle parole pronunziate da Benedetto XVI alla Westminster Hall, in quell'invito rivolto a tutti gli uomini di buona volontà ad accettare il ruolo "correttivo" che la religione può svolgere nei confronti della ragione per affrontare le grandi sfide che il nostro tempo ci pone.


(©L'Osservatore Romano - 28 ottbre 2010)

Caterina63
00mercoledì 27 ottobre 2010 18:21

Quel teologo che parla a tutti


di Lucetta Scaraffia

Ha senso che una persona priva di una preparazione teologica quale sono io si occupi dell'Opera omnia di uno dei più importanti teologi del nostro tempo, Joseph Ratzinger? Pur con qualche timore, rispondo:  sì, senza alcun dubbio.
 
Tutta la sua opera, infatti, è rivolta non solo alla ristretta comunità degli specialisti ma a tutti i suoi contemporanei - siano essi credenti o non credenti - e nasce dalle domande che l'epoca attuale sollecita. Sono saggi e libri pensati per tutti noi, che siamo contemporanei di questo grande teologo capace di pensare il nostro tempo e di cercare le risposte che la cultura cristiana può e deve trovare. Si tratta di testi scritti, infatti, con un linguaggio limpido e chiaro, e quindi comprensibile anche ai non addetti ai lavori, i quali vengono trascinati nella lettura perché scoprono risposte a domande inevase da sempre, o che avvertivano confusamente, senza trovare la lucidità per porsele.

Le parole di Ratzinger sono come una luce chiara e paziente, e viene da pensare a quella che John Henry Newman chiamava "luce gentile" (kindly light). Una luce che porta i lettori a fare chiarezza sulle domande fondamentali della vita ripresentate nel modo in cui si pongono oggi. In questo conta certamente il fatto che egli sia stato per anni un professore, abituato quindi a farsi ascoltare da menti giovani, e che a detta di molti testimoni sia stato un professore ottimo.

La pubblicazione dell'opera omnia di Benedetto XVI costituisce quindi un'operazione di grande importanza sul piano culturale, e non solo su quello religioso; anche perché mette in evidenza un carattere particolare del Papa attuale, quello cioè di essere un intellettuale di grande profondità, un uomo che, sul piano teologico, ha profondamente riflettuto sulla funzione della Chiesa e della fede nel suo tempo, un sapiente che cerca di capire sino in fondo il mondo in cui si trova a vivere.

Certamente, un Papa così era necessario in questo momento storico, ed è difficile non riconoscerlo:  la modernità, infatti, è soprattutto una crisi di senso, cioè una frattura culturale che comincia dal modo stesso di concepire l'essere umano. Non bastava che la Chiesa cattolica mantenesse il suo ruolo di custode fedele della tradizione; ci voleva un passo in più, un salto di lucidità per trovare il modo di spiegare al mondo contemporaneo il patrimonio della tradizione, e per farlo ci voleva un intellettuale che questo mondo lo comprendesse sino in fondo.

Le opere di Ratzinger sono innanzi tutto la storia di questo processo di comprensione e, soprattutto, la ricerca di una risposta cristiana adeguata alla modernità e alla secolarizzazione. E sono anche la prova che in un momento di crisi religiosa così forte come quello che stiamo vivendo è importante, anzi necessario, che colui che è divenuto la guida visibile della Chiesa riunisca in sé le qualità di pastore con quelle di intellettuale, di teologo, di sapiente.

Attraverso l'Opera omnia abbiamo quindi modo di capire il suo pensiero, comprendendo il quale diventano più chiare le sue scelte e le sue azioni come Pontefice, ma al tempo stesso possiamo in questo modo capire meglio noi stessi, esseri umani travolti dalla modernità, abituati a vivere in una atmosfera culturale che procede ignorando la verità e quindi anche la sua ricerca.

Amore e quindi difesa della Chiesa costituiscono una caratteristica di fondo, nella seconda parte della sua vita, a partire dal 1977:  prima come arcivescovo di Monaco e Frisinga, e poi dal 1982 a Roma come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Amore e difesa della Chiesa che non lo inducono mai, però, a un atteggiamento di chiusura difensiva, come invece amano pensare molti, soprattutto i giornalisti. Lo rivela la sua apertura alle domande e ai dubbi, considerati sempre come un momento positivo di crescita.

Sulla fertilità del dubbio come momento necessario per muoversi alla ricerca della verità, Ratzinger ha scritto parole intense e bellissime proprio in quest'opera:  "Sul credente pesa la minaccia dell'incertezza, che nei momenti della tentazione gli fa duramente e d'improvviso balenare dinnanzi agli occhi la fragilità del tutto, il quale ordinariamente gli appare invece tanto ovvio". Ma, "come sinora abbiamo riconosciuto che il credente non vive senza problemi, ma è costantemente minacciato dal rischio di precipitare nel nulla, così riconosceremo adesso il mutuo intrecciarsi dei destini umani, giungendo a dover ammettere che nemmeno il non credente conduce un'esistenza perfettamente chiusa in se stessa". Una scoperta della fertilità del dubbio che può portare addirittura a un incontro:  "E chissà mai che proprio il dubbio, il quale preserva tanto l'uno quanto l'altro dalla chiusura nel proprio isolazionismo, non divenga il luogo della comunicazione".

Sarebbe questo il rigido difensore della Chiesa e dell'ortodossia pronto a condannare ogni dubbio, come tanto spesso Joseph Ratzinger, prima e dopo l'elezione papale, è stato dipinto? La lettura delle opere permette di dissipare molti luoghi comuni, e di fare interessanti scoperte.
"Niente può diventare retto, se noi non stiamo nel retto ordine con Dio" ci ricorda Ratzinger nel magistrale e toccante commento al Padre Nostro, Solo tornando ad ascoltare e a capire Gesù si possono trovare le risposte vere ai problemi che pone il mondo di oggi.

Proprio per questo motivo, come spiega chiaramente nell'introduzione, il primo volume pubblicato dell'Opera omnia è l'undicesimo, e cioè la raccolta di scritti dedicati alla liturgia:  "Prima di tutto Dio:  questo ci dice l'iniziare con la liturgia", affermazione che mette in chiaro come tutta l'opera di Ratzinger si deve considerare come un servizio a Dio e alla Chiesa, piuttosto che un esercizio di cultura e di intelligenza individuali. Una fatica intellettuale donata a Dio, come spiega lui stesso con limpida chiarezza:  "Non ho mai cercato di creare un mio sistema, una mia particolare teologia. Se proprio si vuole parlare di specificità. Si tratta semplicemente del fatto che mi propongo di pensare insieme con la fede della Chiesa, e ciò significa pensare soprattutto con i grandi pensatori della fede".

La sua opera principale sul tema liturgico, Lo spirito della liturgia, si ricollega fin dal titolo all'opera analoga di Romano Guardini che - scrive Ratzinger nella prefazione - "ha contribuito in modo essenziale a far riscoprire la liturgia nella sua bellezza, nella sua nascosta ricchezza e nella sua importanza lungo i secoli come centro vivificante della Chiesa e come centro della vita cristiana". E continua:  "Come per Guardini, così anche per me non si tratta d'indugiare su discussioni o indagini di natura scientifica, ma di offrire un aiuto per la comprensione della fede e per il giusto compimento della sua fondamentale forma espressiva nella liturgia". Sono dichiarazioni che rivelano il senso del lavoro teologico di Ratzinger, il suo porsi in continuità con la tradizione, a servizio della Chiesa, piuttosto che mirare alla fama scientifica e accademica. Dichiarazioni che sottolineano anche il suo legame con Guardini, rivendicato qui apertamente, in modo unico e particolare all'interno della sua opera.

Questo legame, che si traduce in uno slancio a continuarne l'opera, è evidente in tutti gli scritti di Ratzinger, in tutto il suo lavoro intellettuale. A cominciare dalla tensione verso le domande del presente, come scriveva lo stesso Guardini:  "Il nostro tempo è dato a ciascuno di noi come terreno sul quale dobbiamo stare e ci è proposto come compito che dobbiamo eseguire". Poi nella scelta di un linguaggio moderno, molto netto, che arriva immediatamente al cuore delle cose. Un linguaggio che, come ho già sottolineato, non è mai difficile, ma cerca sempre di comunicare nel modo più facile possibile quello che vuole dire. 

Un linguaggio che non è mai autoreferenziale, non indulge mai a quel gergo che invece è purtroppo così diffuso nella cultura cattolica contemporanea, separandola completamente da quella laica, e che soprattutto non suscita riflessione e quindi vero coinvolgimento personale.

Nelle parole di Ratzinger e di Benedetto XVI non ci sono mai cadute in questo senso, non ci sono banalità, concetti scontati e privi ormai di valore per essere stati ripetuti troppe volte. E la questione del linguaggio è un problema fondamentale per toccare il cuore dei credenti e soprattutto per farsi ascoltare dal resto del mondo, un problema che la Chiesa di oggi può risolvere seguendo l'esempio del Papa.

Ratzinger non si limita solo alla ricerca della comunicazione più comprensibile, ma, continuando il lavoro di Guardini, vuole restituire ai cattolici quella dignità intellettuale che sembrano avere perso, tanto che molti cattolici colti si vergognano addirittura un po' di essere cattolici, fino ad arrivare a pensare che la loro vita intellettuale è una cosa e il loro essere credenti un'altra. Romano Guardini ha rovesciato completamente questo punto di vista scrivendo che, al contrario, essere cattolico permette di avere un punto di vista più ricco nei confronti della realtà, della storia, del pensiero, perché "ogni  vero  e  reale  credente  è un vivo  giudizio  sul  mondo"  in  quanto  possiede, in parte, anche un punto di vista fuori del mondo:  la Weltanschauung cattolica è così "lo sguardo che la Chiesa volge sul mondo, nella fede, dal punto di vista del Cristo vivente e nella pienezza della sua totalità trascendente ogni tipo".

Ne abbiamo una prova anche dal modo in cui Ratzinger affronta i problemi che le biotecnologie pongono al mondo attuale, e di cui egli coglie il senso profondo, quello di rimediare alla debolezza umana, di riscattare l'essere umano dalla sua finitezza. Non è una novità di oggi:  in tutte le religioni e sistemi filosofici l'essere umano viene percepito come un essere caduto, condannato alla sua finitezza, per cui redenzione significa "liberazione dalla finitezza, che come tale è il vero peso che grava sul nostro essere".

A un mondo che cerca di liberarsi dalla finitezza con gli strumenti della tecnoscienza, che fa della dipendenza la peggiore umiliazione e nega quindi in questo modo, in nome della totale autonomia individuale, la fede religiosa, il culto divino risponde mostrando quale è la vera via della redenzione, l'unica attraverso la quale l'essere umano può salvarsi. Proprio per questo la liturgia è al centro dell'opera di Ratzinger, il suo cuore, perché "l'adorazione, la giusta modalità del culto, del rapporto con Dio, è costitutiva per la giusta esistenza umana nel mondo".



(©L'Osservatore Romano - 28 ottbre 2010)
Caterina63
00venerdì 29 ottobre 2010 18:48
L'udienza alla Fondazione berlinese Romano Guardini

Un pensiero attuale
e impegnativo per il futuro


Quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Joseph Ratzinger fu il primo firmatario dell'appello della Fondazione Romano Guardini per istituire di nuovo la cattedra berlinese intitolata al grande teologo.

Lo ha rievocato stamane, venerdì 29 ottobre, il presidente Ludwig von Pufendorf nel saluto rivolto a Benedetto XVI all'inizio dell'udienza svoltasi nella Sala Clementina.

A Roma per partecipare al congresso organizzato alla Pontificia Università Gregoriana per i 125 anni della nascita di Romano Guardini, i membri della Fondazione di Berlino sono stati ricevuti dal Papa, che "nel corso della sua vita - ha ricordato von Pufendorf - fin da quando era studente a Monaco", ha avuto in Guardini una grande fonte di ispirazione. "Quanto è influente, attuale e impegnativo per il futuro - ha commentato il presidente della Fondazione - il pensiero di Romano Guardini nei dibattiti teologici e filosofici di oggi.

Quale importanza hanno la cattedra di filosofia della religione e visione cattolica del mondo, ecumenica in modo esemplare, del professor Guardini e il Corso Guardini, a essa indissolubilmente legato, alla Humboldt Universität. Non da ultimo, quale valore ha l'operato della nostra Fondazione, basato sui tre temi fondamentali del pensiero di Guardini:  fede, scienza e arte".

Lo sa bene Benedetto XVI, che nel 1985 da cardinale, insieme all'Accademia cattolica di Baviera, si fece promotore di un incontro su Romano Guardini al fine di instaurare un dialogo "con una voce vivace che oggi, dopo un temporaneo silenzio, ci commuove tutti di nuovo".

Come emerso dai lavori alla Gregoriana del giorno precedente, sui quali il presidente ha riferito al Pontefice, "molto del pensiero di Guardini non è stato ancora riconosciuto. È un pensiero che contribuisce in grande misura a un arricchimento delle impostazioni attuali del pensiero filosofico". Una dimostrazione si era avuta anche pochi giorni prima alla Conferenza internazionale di tre giorni svoltasi nella capitale tedesca sul tema "Pensare per opposti:  vita come fenomeno e come problema", del professor Jean Greisch, alla Humboldt Universität.

"Senza voler essere presuntuosi - ha commentato von Pufendorf - desideriamo contribuire, riallacciandoci alla presenza spirituale di Romano Guardini a Berlino, che ha lasciato delle tracce, a sviluppare ulteriormente uno dei suoi grandi temi e precisamente la riflessione su "fede e mondo", a rafforzare la conoscenza della fede e a conferire particolare forza espressiva a una teologia del cuore".

Secondo il presidente della Fondazione "il contributo eccezionale di Guardini, la sua autentica intuizione creativa, è stata la metodologia per mezzo della quale il mondo, nonché la condizione del reale, anche nelle loro dimensioni spirituali e culturali, devono essere visti dalla prospettiva della fede cristiana".

Infatti, come lo stesso Joseph Ratzinger aveva affermato in un suo intervento in occasione della festa accademica per il centenario della nascita di Guardini, quest'ultimo auspicava un'università che si ponesse, al di là di ogni strumentalizzazione e scopo politico o economico, totalmente al servizio dell'istanza di verità. "Accogliendo quest'istanza - ha affermato von Pufendorf - se riusciremo a garantire in modo duraturo la cattedra berlinese nel suo collegamento con il corso Guardini, unico nel panorama universitario tedesco, potranno scaturire impulsi ulteriori e sempre più essenziali, che contribuiranno a conferire all'università europea un proprio profilo inconfondibile nel mondo e impegnato negli ideali europei di formazione". Proprio a questo scopo è stata creata la Fondazione Guardini - sostenuta dalla Fondazione Propter homines - il cui progetto è stato elaborato insieme con 15 atenei europei, volto a sviluppare un nucleo formativo e vincolante per i corsi europei di studi superiori.

"Ritengo - ha continuato il presidente - che grazie al nostro operato che illustra Berlino, la Fondazione può essere d'esempio in un mondo che in circa sessant'anni è stato plasmato da due sistemi ingiusti, che disprezzavano Dio e l'uomo, scaturiti dalla rottura profonda della tradizione cristiano-occidentale".


(©L'Osservatore Romano - 30 ottobre 2010)







Caterina63
00sabato 30 ottobre 2010 19:39
Il discorso del Papa ai partecipanti alla conferenza su Romano Guardini ricevuti in udienza venerdì 29 ottobre

Uomo del dialogo alla ricerca della verità



Pubblichiamo qui di seguito il testo del discorso rivolto, venerdì mattina, 29 ottobre, da Benedetto XVI ai partecipanti a un convegno su Romano Guardini, ricevuti in udienza nella Sala Clementina. Il Papa sintetizzandone il percorso umano, spirituale e teologico aveva descritto Guardini come un uomo di dialogo che ha osservato il mondo con uno sguardo comprensivo alla ricerca della verità di Dio e dell'uomo.

Exzellenzen,
verehrter Herr Präsident Professor von Pufendorf,
sehr geehrte Damen und Herren,
liebe Freunde!
Es ist mir eine Freude, Sie alle hier im Apostolischen Palast begrüßen zu dürfen, die Sie anläßlich der Konferenz der Guardini-Stiftung zum Thema "Das geistige und intellektuelle Erbe Romano Guardinis" nach Rom gekommen sind. Besonders danke ich Ihnen, lieber Herr Professor von Pufendorf, für die guten Worte, die Sie zum Auftakt dieser Begegnung an mich gerichtet haben, in denen das ganze Ringen, um das es geht, das uns an Guardini bindet und uns zugleich auffordert, sein Lebenswerk weiterzuführen, zum Ausdruck kam.
In seiner Dankesrede anläßlich der Feier seines 80. Geburtstags im Februar 1965 an der Ludwig-Maximilians-Universität München beschrieb Guardini seine Lebensaufgabe, wie er sie verstand, als eine Weise "in beständiger geistiger Begegnung zu fragen, was christliche Weltanschauung bedeutet" (Stationen und Rückblicke, S. 41). Das Anschauen, dieser umfassende Blick auf die Welt, war dabei für Guardini nicht eine Ansicht von außen wie auf ein bloßes Forschungsobjekt. Er meinte auch nicht die geistesgeschichtliche Perspektive, die prüft und abwägt, was andere über die religiöse Prägung einer Epoche gesagt oder geschrieben haben. All diese Sichtweisen waren für Guardini ungenügend. In dem Bericht über sein Leben sagt er:  "Was mich aber spontan interessierte, war nicht die Frage, was einer über die christliche Wahrheit gesagt hat, sondern was wahr ist" (Berichte über mein Leben, S. 24). Und diese Orientierung seiner Lehre war es, die uns als junge Menschen getroffen hat, denn wir wollten nicht ein Feuerwerk von Meinungen, die es in der Christenheit oder außerhalb ihrer gibt, kennenlernen; wir wollten kennen, was ist. Und da war einer, der sich furchtlos und zugleich mit dem ganzen Ernst kritischen Denkens dieser Frage stellte und uns half mitzudenken. Guardini wollte nicht irgend etwas oder viel wissen, er verlangte nach der Wahrheit Gottes und der Wahrheit über den Menschen. Das Instrument, um sich dieser Wahrheit anzunähern, war für ihn die - wie man es damals nannte - Weltanschauung, die sich in einem lebendigen Austausch mit der Welt und mit den Menschen vollzieht. Das spezifisch Christliche besteht dabei darin, daß der Mensch sich in einer Beziehung zu Gott weiß, die ihm vorausgeht und der er sich nicht entziehen kann. Nicht unser Denken ist der Anfang, der die Maßstäbe setzt, sondern Gott, der unsere Maßstäbe übertrifft und in keine von uns zu formende Einheit eingezwängt werden kann. Gott offenbart sich selbst als die Wahrheit, aber die ist nicht abstrakt, sondern findet sich im Lebendig-Konkreten, letztlich in der Gestalt Jesu Christi. Wer aber Jesus, die Wahrheit, sehen will, muß "umkehren", muß aus der Autonomie des eigenmächtigen Denkens heraustreten in die hörende Bereitschaft, die entgegennimmt, was ist. Und diese Umkehrbewegung, die er in seiner Bekehrung vollzogen hat, prägt sein ganzes Denken und Leben; bedeutet, immer wieder herauskehren aus der Autonomie ins Hören, ins Empfangen. Doch auch bei einer echten Gottesbeziehung versteht der Mensch nicht immer, was Gott spricht. Er bedarf eines Korrektivs, und dieses besteht im Austausch mit dem anderen, der in der lebendigen Kirche aller Zeiten seine verläßliche und alle miteinander verbindende Gestalt gefunden hat.
Guardini war ein Mann des Dialogs. Seine Werke sind fast ausnahmslos aus einem, zumindest inneren, Gespräch entstanden. Die Vorlesungen des Professors für Religionsphilosophie und christliche Weltanschauung an der Universität Berlin in den 20er Jahren stellten meist Begegnungen mit Persönlichkeiten der Geistesgeschichte dar. Er las die Werke dieser Denker, hörte ihnen zu, lernte von ihnen, wie sie Welt sehen, und kam mit ihnen ins Gespräch, um im Gespräch mit ihnen zu entwickeln, was er als katholischer Denker zu ihrem Denken zu sagen hatte. Diese Gewohnheit setzte er in München fort, und es war auch das Eigentümliche seines Vorlesungsstils, daß er im Gespräch mit den Denkern war, daß er zum Sehen führen wollte - weil immer wieder Kernwort war:  "Sehen Sie" - und daß er in einem inneren gemeinsamen Dialog mit den Hörern stand. Das war das Neue gegenüber der Rhetorik alter Zeiten, daß er überhaupt keine Rhetorik suchte, sondern ganz einfach mit uns redete und dabei mit der Wahrheit redete und uns ins Gespräch mit der Wahrheit brachte. Und so ist ein weites Spektrum von "Gesprächen" entstanden mit Autoren wie Sokrates, Augustinus oder Pascal, mit Dante, Hölderlin, Mörike, Rilke und Dostojewskij. Er sah in ihnen lebendige Vermittler, die in einem vergangenen Wort das Gegenwärtige entdecken, es neu zu sehen und neu zu leben vermögen. Sie schenken uns eine Kraft, die uns neu zu uns selber bringen kann.
Aus der Offenheit des Menschen für das Wahre folgt für Guardini ein Ethos, eine Grundlage für unser sittliches Verhalten zu unseren Mitmenschen, als Forderung unserer Existenz. Weil der Mensch Gott begegnen kann, deshalb kann er auch gut handeln. Für ihn gilt dieser Primat der Ontologie vor dem Ethos. Aus dem Sein, dem rechtverstandenen, gehörten Sein Gottes selbst folgt dann das rechte Tun. Er sagt:  "Echte Praxis, das heißt richtiges Handeln, geht aus der Wahrheit hervor, und um die muß gerungen werden" (ebd., S. 111).
Eine solche Sehnsucht nach dem Wahren und das Sich-Ausstrecken auf das Eigentliche, das Wesentliche verspürte Guardini vor allem auch bei der Jugend. In seinen Gesprächen mit Jugendlichen, besonders auf Burg Rothenfels, die durch ihn zum Zentrum der katholischen Jugendbewegung geworden war, führte der Priester und Pädagoge Ideale der Jugendbewegung wie Selbstbestimmung, Eigenverantwortung und innere Wahrhaftigkeit weiter, reinigte und vertiefte sie. Freiheit - ja, aber frei ist nur - sagt er uns -, wer "ganz das ist, was er seinem Wesen nach sein soll. [...] Freiheit ist Wahrheit" (Auf dem Wege, S. 20). Die Wahrheit des Menschen ist für Guardini Wesentlichkeit und Seinsgemäßheit. Der Weg in die Wahrheit gelingt, wenn der Mensch den "Gehorsam unseres Seins gegen das Sein Gottes" (ebd. S. 21) übt. Dies geschieht letztlich in der Anbetung, die für Guardini zum Denken dazugehört.
In Begleitung der Jugend suchte Guardini auch nach einem neuen Zugang zur Liturgie. Wiederentdeckung der Liturgie war für ihn Wiederentdeckung der Einheit von Geist und Leib in der Ganzheit des einen Menschen. Denn liturgisches Verhalten ist immer zugleich leibliches und geistiges Verhalten. Das Beten wird geweitet durch das leibliche und gemeindliche Tun, und so öffnet sich die Einheit aller Wirklichkeit. Liturgie ist symbolisches Tun. Das Symbol als Inbegriff der Einheit von Geistigem und Materiellem geht verloren, wo beides auseinanderfällt, wo die Welt in Geist und Körper, in Subjekt und Objekt dualistisch zerspalten wird. Guardini war tief davon überzeugt, daß der Mensch Geist in Leib, Leib in Geist ist und daß daher Liturgie und Symbol ihn zum Wesentlichen seiner selbst bringen, letztlich in der Anbetung in die Wahrheit bringen.
Unter den großen Lebensthemen Guardinis ist die Beziehung von Glaube und Welt von bleibender Aktualität. Er sah gerade in der Universität den Ort der Wahrheitssuche. Das kann sie aber nur sein, wenn sie von aller Instrumentalisierung und Vereinnahmung für politische und sonstige Zwecke frei ist. Wir haben es heute, in einer Welt der Globalisierung und Fragmentarisierung, mehr denn je nötig, daß dieses Anliegen weitergeführt wird, ein Anliegen, das der Guardini-Stiftung so sehr am Herzen liegt und für dessen Verwirklichung der Guardini-Lehrstuhl geschaffen worden ist.
Nochmals sage ich allen Anwesenden herzlichen Dank für ihr Kommen. Möge die Beschäftigung mit dem Werk Guardinis das Bewußtsein für die christlichen Fundamente unserer Kultur und Gesellschaft schärfen. Gerne erteile ich Ihnen allen den Apostolischen Segen.

Pubblichiamo qui di seguito una traduzione in italiano del discorso pronunciato dal Papa.

Eccellenze,
Illustrissimo Signor Presidente
Prof. von Pufendorf,
Illustri Signore e Signori,
Cari amici!

È per me una gioia poter dare il benvenuto qui, nel Palazzo Apostolico, a voi tutti venuti a Roma in occasione del Convegno della Fondazione Guardini sul tema "Eredità spirituale e intellettuale di Romano Guardini". In particolare, ringrazio Lei, caro Professore von Pufendorf, per le cordiali parole che mi ha rivolto all'inizio di questo nostro incontro, nelle quali ha espresso l'intera "lotta" attuale, che ci lega a Guardini e, al tempo stesso, ci richiede di portare avanti l'opera della sua vita.

Nel discorso di ringraziamento in occasione della celebrazione del suo 80° genetliaco, nel febbraio 1965 all'Università "Ludwig-Maximilian" di Monaco, Guardini descrive il compito della sua vita, quale egli lo intende, come un modo "di interrogarsi, in un continuo scambio spirituale, cosa significhi una Weltanschauung cristiana" (Stationen und Rückblicke, S. 41). La visione, questo sguardo complessivo sul mondo, è stato per Guardini non uno sguardo dall'esterno come di un mero oggetto di ricerca. Egli non intendeva nemmeno la prospettiva della storia dello spirito, che esamina e pondera quanto altri hanno detto o scritto sulla forma religiosa di un'epoca. Tutti questi punti di vista erano insufficienti secondo Guardini. Negli appunti sulla sua vita, egli affermava "Ciò che immediatamente mi interessava, non era la questione di cosa qualcuno avesse detto sulla verità cristiana, ma di cosa sia vero" (Berichte über mein Leben, S. 24).
 
Ed era questa impostazione del suo insegnamento che colpì noi giovani, perché noi non volevamo conoscere uno "spettacolo pirotecnico" delle opinioni esistenti dentro o fuori della Cristianità:  noi volevamo conoscere ciò che è. E lì c'era uno che senza timore e, al tempo stesso, con tutta la serietà del pensiero critico, poneva questa questione e ci aiutava a pensare insieme. Guardini non voleva conoscere qualcosa o molte cose, egli aspirava alla verità di Dio e alla verità sull'uomo. Lo strumento per avvicinarsi a questa verità, era per lui la Weltanschauung - come la si chiamava a quel tempo - che si realizza in uno scambio vivo con il mondo e con gli uomini. Lo specifico cristiano consiste nel fatto che l'uomo si sa in una relazione con Dio che lo precede e alla quale non può sottrarsi. Non è il nostro pensare il principio che stabilisce il metro di misura, ma Dio che supera il nostro metro di misura e non può essere ridotto ad alcuna entità creata da noi. Dio rivela sé stesso come la verità, ma essa non è astratta, bensí si trova nel concreto-vivente, infine, nella forma di Gesù Cristo.

Chi, però, vuole vedere Gesù, la verità, deve "invertire la rotta", deve uscire dall'autonomia del pensiero arbitrario verso la disposizione all'ascolto, che accoglie ciò che è. E questo cammino a ritroso, che egli ha compiuto nella sua conversione, ha plasmato l'intero suo pensiero e l'intera sua vita come un continuo uscire dall'autonomia verso l'ascolto, verso il ricevere. Tuttavia perfino in un autentico rapporto con Dio l'uomo non sempre comprende ciò che Dio dice. Egli ha bisogno di un correttivo, e questo consiste nello scambio con gli altri, che nella Chiesa vivente di ogni tempo ha trovato la sua forma attendibile, che congiunge tutti gli uni con gli altri.

Guardini era un uomo del dialogo. Le sue opere sono quasi senza eccezione sorte da un colloquio, perlomeno interiore. Le lezioni del Professore di filosofia della religione e di Weltanschauung cristiana all'Università di Berlino negli anni 20 rappresentavano soprattutto incontri con personalità della storia del pensiero. Guardini leggeva le opere di questi autori, li ascoltava, imparava da loro come vedevano il mondo ed entrava in dialogo con loro, per sviluppare in dialogo con essi ciò che egli, in quanto pensatore cattolico, aveva da dire al loro pensiero. Questa abitudine egli la continuò a Monaco, ed era anche la peculiarità dello stile delle sue lezioni, il fatto che egli fosse in dialogo con i Pensatori. La sua parola chiave era:  "Vedete..." perché voleva guidarci a "vedere" ed egli stesso stava in un comune dialogo interiore con gli uditori.

Questa era la novità rispetto alla retorica dei vecchi tempi:  che egli non cercasse affatto alcuna retorica, bensì parlasse in modo del tutto semplice con noi e, insieme a ciò, parlasse con la verità e ci inducesse al dialogo con la verità. E questo è un ampio spettro di "dialoghi" con autori come Socrate, Sant'Agostino o Pascal, con Dante, Hölderlin, Mörike, Rilke e Dostojevskij. Egli vedeva in loro dei mediatori viventi, che scoprono in una parola del passato il presente, permettendo di vederlo e viverlo in modo nuovo. Essi ci donano una forza, che può condurci di nuovo a noi stessi.

Dall'apertura dell'uomo per il vero segue, per Guardini, un ethos, una base per il nostro comportamento morale verso il nostro prossimo, come esigenza della nostra esistenza. Poiché l'uomo può incontrare Dio, può anche agire bene. Per lui vale questo primato dell'ontologia sull'ethos, dall'essere, dall'essere stesso di Dio rettamente compreso e ascoltato segue dunque il retto agire. Egli diceva:  "Una prassi autentica, cioè un agire corretto, sorge dalla verità, e per questa si deve lottare" (ibid., S. 111).

Un tale anelito verso il vero e il protendersi verso ciò che è originario ed essenziale, Guardini lo notava anzitutto anche presso i giovani. Nei suoi dialoghi con la gioventù, particolarmente al Castello di Rothenfels, che allora grazie a Guardini era diventato il centro del movimento giovanile cattolico, il sacerdote ed educatore portò avanti gli ideali del movimento giovanile quali l'autodeterminazione, la responsabilità propria e l'interiore disposizione alla verità; egli li purificò e li approfondì. Libertà. Sì, ma libero è solo - ci diceva - colui che "è completamente ciò che deve essere secondo la sua natura. [...] Libertà è verità" (Auf dem Wege, S. 20). La verità dell'uomo è per Guardini essenzialità e conformità all'essere. Il cammino porta alla verità quando l'uomo esercita "l'obbedienza del nostro essere nei confronti dell'essere di Dio" (ibid., S. 21). Ciò avviene ultimamente nell'adorazione, che per Guardini appartiene all'ambito del pensiero.

Nell'accompagnare la gioventù, Guardini cercò anche un nuovo accesso alla liturgia. La riscoperta della liturgia era per lui una riscoperta dell'unità fra spirito e corpo nella totalità dell'unico essere umano, poiché l'atto liturgico è sempre allo stesso tempo un atto corporale e spirituale. Il pregare viene dilatato attraverso l'agire corporale e comunitario, e così si rivela l'unità di tutta la realtà. La liturgia è un agire simbolico. Il simbolo come quintessenza dell'unità tra lo spirituale e il materiale va perso dove ambedue si separano, dove il mondo viene spaccato in modo dualistico in spirito e corpo, in soggetto e oggetto. Guardini era profondamente convinto che l'uomo è spirito in corpo e corpo in spirito e che, pertanto, la liturgia e il simbolo lo conducono all'essenza di se stesso, in definitiva lo portano, tramite l'adorazione, alla verità.

Tra i grandi temi di vita di Guardini il rapporto tra fede e mondo è di permanente attualità. Guardini vedeva soprattutto nell'Università il luogo della ricerca della verità. L'Università può esserlo, però, solo quando è libera da ogni strumentalizzazione e tornaconto per fini politici e di altro tipo. Oggi, in un mondo di globalizzazione e frammentazione, è ancora più necessario che venga portato avanti questo proposito, un proposito che sta molto a cuore alla Fondazione Guardini e per la cui realizzazione è stata creata la cattedra Guardini.

Di nuovo esprimo il mio cordiale ringraziamento a tutti i presenti per essere venuti. Possa la frequentazione dell'opera di Guardini affinare la sensibilità per i fondamenti cristiani della nostra cultura e società. Volentieri imparto a tutti voi la Benedizione Apostolica.


(©L'Osservatore Romano - 31 ottobre 2010)
Caterina63
00mercoledì 3 novembre 2010 16:02

CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELL’ASSEMBLEA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA E DEL XII VOLUME DELL’OPERA OMNIA DI JOSEPH RATZINGER

CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELL’ASSEMBLEA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA E DEL XII VOLUME DELL’OPERA OMNIA DI JOSEPH RATZINGER, 03.11.2010

Alle ore 12.30 di oggi, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione dell’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura (10-13 novembre 2010) sul tema: "Cultura della comunicazione e nuovi linguaggi".
In concomitanza verrà presentato anche il XII volume, in lingua tedesca, dell’Opera omnia di Joseph Ratzinger dal titolo "Künder des Wortes und Diener eurer Freude - Theologie und Spiritualität des Weihesakramentes".
Intervengono: S.E. Mons. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura; S.E. Mons. Gerhard Ludwig Müller, Vescovo di Regensburg, Membro del Pontificio Consiglio della Cultura e Curatore dell’Opera omnia di J. Ratzinger; Mons. Pasquale Iacobone, Responsabile del Dipartimento "Arte e Fede" del Pontificio Consiglio della Cultura; il Dott. Richard Rouse, Responsabile del Dipartimento "Comunicazione e linguaggi" del Pontificio Consiglio della Cultura.
Pubblichiamo di seguito gli interventi di S.E. Mons. Gerhard Ludwig Müller, di Mons. Pasquale Iacobone e del Dott. Richard Rouse:


INTERVENTO DI S.E. MONS. GERHARD LUDWIG MÜLLER

Presentazione del XII volume dell’Opera omnia di Joseph Ratzinger

"
L’Anno Sacerdotale che abbiamo celebrato, 150 anni dopo la morte del santo Curato d’Ars, modello del ministero sacerdotale nel nostro mondo, volge al termine. Dal Curato d’Ars ci siamo lasciati guidare, per comprendere nuovamente la grandezza e la bellezza del ministero sacerdotale.
Il sacerdote non è semplicemente il detentore di un ufficio, come quelli di cui ogni società ha bisogno affinché in essa possano essere adempiute certe funzioni. Egli invece fa qualcosa che nessun essere umano può fare da sé: pronuncia in nome di Cristo la parola dell’assoluzione dai nostri peccati e cambia così, a partire da Dio, la situazione della nostra vita. Pronuncia sulle offerte del pane e del vino le parole di ringraziamento di Cristo che sono parole di transustanziazione – parole che rendono presente Lui stesso, il Risorto, il suo Corpo e suo Sangue, e trasformano così gli elementi del mondo: parole che spalancano il mondo a Dio e lo congiungono a Lui. Il sacerdozio è quindi non semplicemente «ufficio», ma sacramento: Dio si serve di un povero uomo al fine di essere, attraverso lui, presente per gli uomini e di agire in loro favore. Questa audacia di Dio, che ad esseri umani affida se stesso; che, pur conoscendo le nostre debolezze, ritiene degli uomini capaci di agire e di essere presenti in vece sua – questa audacia di Dio è la cosa veramente grande che si nasconde nella parola «sacerdozio»."

Queste parole dell'omelia che Papa Benedetto XVI, a conclusione dell’Anno Sacerdotale, ha indirizzato alle migliaia di sacerdoti riunitisi in piazza San Pietro a Roma per la festività del Sacro Cuore [venerdì 11 giugno 2010], ben riassumono la teologia e la spiritualità del sacramento dell’Ordine, che con il titolo "Annunciatori della Parola e Servitori della vostra Gioia" costituiscono il tema del presente volume XII dell’Opera Omnia di Joseph Ratzinger.

Gli studi scientifici, le meditazioni e le prediche concernenti il ministero del vescovo, del presbitero/sacerdote e del diacono ricoprono un arco di quasi mezzo secolo, a partire dai primi testi che precedettero di alcuni anni l'apertura del Concilio Vaticano Secondo. A questo evento fondamentale della storia ecclesiastica più recente si è soliti associare, a seconda dei punti di vista, l’inizio di una trasformazione, consona allo spirito del tempo, oppure di una profonda crisi della Chiesa, e in particolare del sacerdozio. Il Concilio ha inserito la costituzione gerarchica della Chiesa, che si esplica nelle differenti mansioni del vescovo, del sacerdote e del diacono, in un’esauriente ecclesiologia innovata dalle fonti bibliche e patristiche (LG 18!29). Gli enunciati riguardanti il grado episcopale e presbiteriale della gerarchia sacerdotale tripartita furono approfonditi nei decreti Christus Dominus e Presbyterorum ordinis. Per quali ragioni allora, dopo il Concilio, potè verificarsi una crisi d'identità del sacerdozio cattolico storicamente paragonabile solo con le conseguenze della riforma protestante del XVI secolo?

Nella sezione A del volume, intitolata "Teologia del sacramento dell’Ordine", Joseph Ratzinger analizza le cause di tali dubbi e illustra positivamente il fondamento biblico ed il coerente sviluppo storico-dogmatico del sacramento dell’Ordine. Nella sezione B, intitolata "Servitori della vostra Gioia", il lettore troverà una raccolta di meditazioni sulla spiritualità sacerdotale, già pubblicata in precedenza come opera singola con il medesimo titolo. Un titolo che riprende il motto primiziale del novello sacerdote Joseph Ratzinger. La sezione C raccoglie infine diverse prediche tenute in occasione di consacrazioni sacerdotali e di diaconi, prime messe e giubilei. Qui non si tratta tanto di lirica religiosa, quanto della riscoperta delle sorgenti spirituali alle quali ogni sacerdote quotidianamente attinge per essere un buon operaio del Signore e un entusiastico servitore della Buona Novella di Cristo ) un pastore che non pasce se stesso, ma che come Cristo, il sommo Pastore, sacrifica la propria vita per il gregge di Dio. Dove crolla il fondamento dogmatico del sacerdozio cattolico, non si estingue soltanto la fonte da cui si alimenta un’esistenza al seguito di Gesù, ma vien meno anche la motivazione a rinunciare al matrimonio per amore del Regno dei Cieli (Mt 19,12), e con la forza dello Spirito Santo accettare con gioia e convinzione il celibato come un rimando escatologico al futuro mondo di Dio.

Se si trascura la relazione simbolica inerente al sacramento, il celibato sacerdotale scade a mero relitto di un passato ostile al corpo, ed è individuato ed osteggiato come unica causa della carenza di sacerdoti. Non da ultimo, scompare infine anche l'evidenza per la dottrina e la prassi della Chiesa di conferire il sacramento dell’Ordine soltanto agli uomini. Un ministero ecclesiale inteso in senso funzionale dà adito al sospetto di legittimare un potere che andrebbe peraltro motivato e limitato democraticamente.

La crisi del sacerdozio che ha colpito l’Occidente negli ultimi decenni, è anche il risultato di un fondamentale disorientamento del Cristiano di fronte a una filosofia che trasferisce l'intimo significato e l’obiettivo ultimo della storia e di ogni esistenza umana in una dimensione mondana, sbarrandogli in tal modo l’orizzonte trascendente e recidendone la prospettiva escatologica. Riporre ogni aspettativa in Dio e fondare l'intera esistenza su Colui che in Cristo ci ha dato tutto: solo questa può essere la logica di una scelta di vita che si pone con assoluta dedizione al seguito di Gesù e partecipa alla sua missione di Redentore del mondo, da lui adempiuta con la passione e crocifissione ed inequivocabilmente rivelata con la sua risurrezione dai morti.

Non vanno tuttavia trascurati anche altri fattori di natura interna alla Chiesa. Joseph Ratzinger, come mostrano i suoi primi interventi, aveva acutamente presagito le scosse che con impeto sempre crescente preannunciavano il terremoto: in primo luogo l’apertura all’esegesi protestante negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. Spesso da parte cattolica non ci si rese affatto conto delle sistematiche premesse poste dalla Riforma alla base dell’esegesi. Fu così che la pesante critica del sacerdozio consacrato, apparentemente non motivabile biblicamente, investì la Chiesa cattolica (e ortodossa).

Il sacerdozio sacramentale strettamente riferito al sacrificio eucaristico, come era stato affermato dal Concilio Tridentino, sembrava a prima vista non aver alcun riscontro nella Bibbia, né sotto il profilo terminologico, né per quanto concerne le particolari prerogative del sacerdote nei confronti dei laici, specialmente il mandato della consacrazione. La critica radicale del culto ! e quindi il vagheggiato superamento di un sacerdozio che limitava a se stesso la rivendicata funzione di intermediario – sembrava togliere terreno ad un mediatorato sacerdotale nella Chiesa.

Con la critica protestante nei confronti di un sacerdozio sacramentale che metterebbe in questione l’unicità del sommo sacerdozio di Cristo (secondo la lettera agli Ebrei) e relegherebbe ai margini il generale sacerdozio dei credenti secondo 1 Pt 2,5, si alleava infine il moderno concetto di autonomia, che guardava con sospetto ad ogni esercizio di autorità.

L’osservazione che, dal punto di vista della sociologia della religione, Cristo non era un ministro di culto e quindi ! in termini anacronistici ! era un laico, e il fatto che definendo i servizi e gli uffici nel Nuovo Testamento non si fosse impiegata una terminologia sacrale, ma si facesse invece ricorso a titoli ufficiali apparentemente profani, sembrarono comprovare l’ "impropria" trasformazione – prodottasi nella Chiesa primitiva a partire dal terzo secolo – dei funzionari comunali ricorrenti nella Bibbia in una nuova classe di ministri di culto.

Joseph Ratzinger analizza a sua volta criticamente la critica storica improntata alla teologia protestante, operando una distinzione tra le premesse filosofiche e teologiche e le metodiche storiche. In questo modo è in grado di dimostrare come, con le cognizioni dell’esegesi biblica moderna ed una puntuale analisi dello sviluppo storico dei dogmi, si possa fondatamente giungere agli enunciati dogmatici esposti soprattutto nel Concilio di Firenze, di Trento e nel Vaticano Secondo.

Il significato di Gesù nel rapporto dell’umanità e di tutto il creato con Dio, e dunque il riconoscimento di Cristo come redentore e mediatore di salvezza universale, che la lettera agli Ebrei qualifica nella categoria del Sommo Sacerdote, non ha mai posto come pregiudiziale la sua appartenenza alla classe sacerdotale levita. Il fondamento dell’essere e della missione di Gesù risiede piuttosto nel suo provenire dal Padre, nella cui casa e tempio egli deve essere (Lc 2,49). È la divinità della PAROLA ciò che fa di Gesù, nella natura umana da lui assunta, l’unico e vero Maestro, Pastore, Sacerdote, Mediatore e Redentore.

Di questa sua consacrazione e missione egli ci rende partecipi designando i Dodici. Da questi si costituisce il cerchio degli Apostoli, che come entità determinante instaurano la missione della Chiesa nella storia. Essi trasferiscono il proprio mandato ai capi e pastori locali e sovralocali della Chiesa universale e delle Chiese particolari. In un’ottica comparativa delle religioni, le antiche denominazioni d’ufficio di "episcopi", "presbiteri" e "diaconi" in comunità di gentili convertiti al Cristianesimo appaiono come termini profani. Nel contesto della Chiesa delle origini il loro riferimento cristologico ed il loro nesso con il ministero apostolico è vistosamente palese. Gli Apostoli e i loro discepoli e successori istituiscono i vescovi, presbiteri e diaconi mediante l'imposizione delle mani e la preghiera di consacrazione (At 6,6; 14,23; 15,4; 1 Tm 4,14). Agendo in suo nome, essi sono i pastori che lo rappresentano visibilmente come il Pastore supremo e mediante i quali egli stesso diviene presente in qualità di Pastore. Da ciò consegue anche la spiritualità del presbitero e dell'episcopo, consacrati mediante l'imposizione delle mani dallo Spirito Santo stesso (At 20,28). Essa non è un atto aggiuntivo di religiosità privata, bensì la forma interiore della disponibilità di votarsi con tutto il proprio essere e la propria vita al servizio di Cristo e di indicarlo come perenne riferimento. La vera essenza del sacerdozio sacramentale consiste nel fatto che il vescovo e il presbitero sono servitori della Parola, che espletano il servizio della riconciliazione e la cura pastorale del gregge di Dio loro affidato. Nella misura in cui essi assolvono al mandato di Cristo, attraverso i loro atti e parole Cristo stesso diviene presente, come unico Sommo Sacerdote nella Chiesa di Dio radunata per la celebrazione del servizio divino.

La teologia cattolica può recepire la confutazione di una concezione di sacerdote, se questo sacerdote fosse inteso come mediatore in senso autonomo o anche solo complementare accanto o oltre il Cristo. Per questa ragione anche l'obiezione di Martin Lutero non tange tuttavia la dottrina, vincolante sotto il profilo dogmatico, del sacerdozio sacramentale. Il Concilio Tridentino, nel suo decreto sul sacramento dell'Ordine, si limitò a respingere le contestazioni del primo riformatore, rinunciando peraltro all'esposizione di un approccio teologico complessivo. Nei sovente trascurati decreti di riforma, tuttavia, come mette in rilievo Joseph Ratzinger, acquista risalto la concezione biblica del sacerdote come servitore della Parola e dei Sacramenti, nonché pastore e padre spirituale dei fedeli.

Nel dialogo ecumenico, naturalmente, al di là delle differenze di contenuto vanno tematizzati anche i principi formali della teologia: Scrittura, Tradizione e Magistero, che sono tra di loro differenti ma concorrono peraltro alla salvaguardia complessiva della rivelazione, che deve essere protetta da interpretazioni soggettive ed arbitrarie per conservare la propria pienezza e globalità. Qui diventano palesi anche le dimensioni del sacramento dell'Ordine, che trascendono gli uffici, per lo più a livello parrocchiale, del presbitero e dei diaconi. Si tratta della responsabilità che i vescovi, in quanto successori degli Apostoli, hanno nei confronti del proprio magistero e mandato pastorale per la Chiesa universale. In proposito, nell'ottica cattolica, anche il ministero del vescovo di Roma quale successore di Pietro è di fondamentale importanza. Joseph Ratzinger si richiama incessantemente a Ireneo di Lione, che con il suo inquadramento sistematico di Scrittura apostolica, Tradizione apostolica e Successione apostolica dei vescovi ha stabilito il parametro permanente. A ben vedere, prendendo le distanze dallo gnosticismo, esso contiene in sostanza anche la dottrina del primato papale, di modo che, partendo da Ireneo, anche lo sviluppo dottrinale successivo può essere analizzato nella sua vera intenzione.

Per recuperare l'identità sacerdotale nella relazione con Cristo, è indispensabile la disponibilità a considerare se stessi servitori della Parola e testimoni di Dio nella successione di Cristo, e a vivere in comunione con lui. A tal fine il sacerdote deve disporre di una buona formazione teologica e del permanente riferimento alla teologia scientifica. Joseph Ratzinger, con gli scritti raccolti nel presente volume, ha indicato una via d'uscita dalla crisi in cui il sacerdozio cattolico era caduto a causa di impostazioni teologiche e sociologiche carenti e di dichiarazioni atte a suscitare, in molti sacerdoti che avevano intrapreso con amore e zelo il loro cammino, una personale insicurezza e sconcerto a proposito del proprio ruolo in seno alla Chiesa.

Con il presente volume il curatore esaudisce il desiderio dell'autore di dedicare un intero tomo della Raccolta alla teologia del sacramento dell'Ordine. Papa Benedetto XVI vede nell'annuncio della Parola divina che precede ogni azione dell'uomo, il compito particolare del servizio episcopale e sacerdotale.

Così quest'opera potrà essere consultata con profitto non solo come analisi del fondamento teologico-scientifico del sacramento dell'Ordine, ma servirà parimenti all'interiorizzazione della vocazione sacerdotale e come stimolo per esercizi spirituali, e quale annuncio di questo glorioso ministero nella Nuova Alleanza, che conduce allo Spirito e alla vita (cf. 2 Cor 3,6–9).

INTERVENTO DI MONS. PASQUALE IACOBONE

L’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura intende rivolgere l’attenzione a un aspetto essenziale delle culture contemporanee: l’uso del linguaggio e della comunicazione, per studiare l’attuale situazione e proporre delle linee di azione per la missione evangelizzatrice della Chiesa.

Nel pomeriggio del 10 novembre, alle ore 16.30, presso la Sala della Protomoteca in Campidoglio si terrà, eccezionalmente, la Sessione Inaugurale della Plenaria. Sarà un momento di incontro e di apertura alla società civile in forma di Tavola Rotonda sul tema « Nella città in ascolto dei linguaggi dell’anima ». Vi parteciperanno S.E.R. Monsignor Gianfranco Ravasi, il Sindaco Gianni Alemanno, Patrick De Carolis, Aldo Grasso, Lloyd Baugh e Marta Nin.

Le sedute di lavoro continueranno nell’ambito del Dicastero a partire da una relazione di S.E.R. Mons. Gerhard Ludwig Müller su un tema antropologico. Quindi uno sguardo ai nuovi linguaggi, in particolare il cinema, la musica, l’arte figurativa e plastica, internet e le possibilità multimediali per rintracciare le parole, i colori, i suoni e le immagini capaci di presentare la vita cristiana come esperienza valida oggi e per tutti. Proprio per favorire la comunicazione interpersonale, non ci saranno testi scritti da leggere o da seguire, ma conversazioni con esperti quali Ennio Morricone, Dario Viganò, Robert Barron e l’Amministratore Delegato della Microsoft Italia.

La Chiesa ha una lunga tradizione nell’usare diverse forme linguistiche nelle sue comunicazioni rivolte sia al proprio interno che all’esterno. La Plenaria passerà in rassegna questi e altri linguaggi usati oggi per coinvolgere la persona. In particolare le caratteristiche dell’interattività e della partecipazione, della chiarezza e della semplicità – evitando però la semplificazione – e i linguaggi figurativi e narrativi per poter meglio trasmettere ai nostri contemporanei in maniera comprensibile ciò che abbiamo ricevuto. Come insegna San Matteo: «Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5, 15-16).

INTERVENTO DEL DOTT. RICHARD ROUSE

Il Dipartimento del Dicastero, "Comunicazione e Linguaggi", ha l’impegno di dare seguito e continuità alle riflessioni dell’Assemblea Plenaria. In queste poche parole illustriamo, procedendo con ampie pennellate, gli ambiti interconnessi in cui il lavoro verrà concentrato. Il presente testo è stato elaborato con i contributi inviati al Dicastero sia in risposta alla prima richiesta di riflessione sul tema sia come riscontro alla sintesi dei summenzionati interventi. Questa traccia sarà completata alla luce dei suggerimenti proposti dai Membri e Consultori durante e dopo l’Assemblea. Quello che segue è necessariamente sintetico, ma sarà materia di uno studio più approfondito e di una elaborazione da parte del Dipartimento con l’aiuto della rete di contatti di cui dispone.

Aree tematiche

1. Teologia - Antropologia Culturale
Radicata nella comunione intratrinitaria, la comunicazione pone l’accento sulla possibilità di arrivare al Padre attraverso il Figlio nello Spirito Santo. L’Incarnazione come sorgente per la nostra comunicazione, per l’evangelizzazione delle culture e per l’inculturazione del messaggio della fede. La sfera della comunicazione costituisce una parte essenziale dell’antropologia ed è una dimensione fondamentale della persona, così come lo è la cultura. La persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio, è all’origine dei rapporti interpersonali, della comunità sociale e della cultura e ha vari ambiti di appartenenza e di identità. Quindi, l’attenzione viene rivolta ai diversi contesti culturali in cui ogni persona è situata, ai "luoghi" di inculturazione e alle diverse sfide culturali poste dalla globalizzazione e dalla secolarizzazione.

2. Linguaggi - Comunicazione
Noi siamo quello che leggiamo (o ciò che guardiamo?). La grammatica delle nostre culture struttura il modo in cui impariamo ed elaboriamo quanto appreso, plasma il nostro interagire a livello sociale e la nostra predisposizione ad accogliere la fede. I sistemi dei linguaggi e della comunicazione evolvono: tradizioni orali – parola scritta – mezzi digitali. Evangelizzare in questo "ambiente" richiede un aggiornamento continuo della nostra capacità di comprensione e di interpretazione dei linguaggi, specialmente dei valori culturali che essi rappresentano. Oggi, i linguaggi visivi sono predominanti e viene data molta importanza all’espressività e alla visibilità, mentre le "fratture" nella comunicazione sono frequenti nel momento in cui i meccanismi che trasmettono significato si trasformano. Come può essere sostenuta l’attenzione spirituale quando nei linguaggi post-moderni la grammatica comune è interattiva, immediata, frammentata, distratta e istantanea, dove la velocità, l’anonimato, l’irresponsabilità e la banalizzazione sono degli pseudo valori? Che ne sarà dei diversi modi complementari di accogliere la Buona Novella: seduto alla scrivania, in ginocchio sui banchi, sdraiato sul divano, vivendo in comunità? Che cosa avverrà di un uomo allorché trascorre il tempo davanti a un computer con il suo isolamento in rete?

3. Immaginazione
Senza immaginazione non si può raggiungere il cuore. In questa prospettiva, si rivela necessario promuovere un’attenzione pastorale alle emozioni e alle passioni intellettive e cognitive della persona umana, attraverso le arti e la musica, il teatro e la letteratura, la poesia e la capacità di narrare storie, la scultura, la pittura e la retorica, etc. Inoltre, è importante riabilitare i simboli e la semiotica insieme all’uso appropriato della fantasia (nel senso specifico di mito, non in opposizione alla realtà), la creatività, la narrativa e la metafora – la pre-catechesi per risvegliare il desiderio, la predisposizione alla fede in un tempo di saturazione dell’informazione – particolarmente in quelle culture omologate dove gli individui sono sempre più isolati, senza radici e senza dimora, separati dal loro patrimonio spirituale.

4. Dialogo
"Quello che io sto dicendo non è quello che tu stai sentendo". Gli ambiti di interesse includono l’applicazione della migliore procedura e la conoscenza delle questioni che sorgono dallo studio della comunicazione interpersonale, della ricerca di mercato, delle pubbliche relazioni, della conoscenza delle differenze tra contenuto e forma, del recupero e dell’applicazione completa dei diversi tipi di linguaggio, inclusi il suono, la vista, il tatto, il gusto e i mezzi non verbali per superare le nuove frontiere; seguire le tendenze della comunicazione dopo McLuhan, la cui famosa affermazione che il medium diviene il messaggio spesso dà origine alla formula: il mezzo (non) è il messaggio; questioni che sorgono con la velocità di cambiamento e con modelli di dialogo tramite e-mail, sms, siti internet interattivi, per un pubblico abituato a un mondo di convergenza tra suono, immagine, testo e multimediale, in cui l’interattività, l’efficienza, la trasparenza e la partecipazione sono i nuovi valori; problemi inerenti alle tecniche dei media, che sono incentrati sulla personalità e gratificano l’ego, e una prassi di monologo informativo, per esempio mettere in rete omelie e discorsi, e i limiti del parlare ecclesiastico autoreferenziale; l’annuncio ad intra e ad extra per quanto riguarda la comunicazione religiosa ha bisogno di sapere come attrezzarsi per esprimersi con modi nuovi, senza perdere la sua identità nell’atto di cambiare il contenuto o lo stile, e senza chiudersi nei riferimenti personali che sarebbero incomprensibili per coloro che vivono "fuori del Tempio" con l’obiettivo di proclamare il messaggio tra semplicità, chiarità, e semplificazione.

5. Una visione positiva dell’evangelizzazione attraverso l’uso dei Mass Media e delle nuove tecniche di comunicazione.
Dal fascino all’uso effettivo. Emerge la necessità di suscitare stimoli culturali per mettersi a servizio dei "nativi digitali" nel loro mondo interattivo, senza dimenticare gli altri mezzi più tradizionali – riviste, libri, giornali, televisione, radio, telefono, cinema. Non è nostra preoccupazione promuovere l’uso delle tecniche più moderne ma analizzare e mettere in risalto l’humanum dentro di essi. Strumenti e dispositivi non sono soltanto mezzi, ma plasmano anche la cultura, influiscono sulla comprensione e condizionano la recezione: non solo tecnologia, ma anche comunicazione, così recita lo slogan. Cioè, lo spostamento dalla distribuzione dell’informazione alla relazione comunicativa.

Bollettino Ufficiale Santa Sede

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