Il "caso serio" dell'omelia di mons. Enrico Dal Covolo (imperdibile per i Sacerdoti)

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Caterina63
00martedì 28 agosto 2012 19:27

Il "caso serio" dell'omelia (Prima parte)


Dai Padri della Chiesa al Magistero attuale


di monsignor Enrico Dal Covolo
Magnifico Rettore della Pontificia Università Lateranense

ROMA, martedì 17 luglio 2012 (ZENIT.org).- “Trasmettere la fede” è il titolo della terza parte dell’Instrumentum laboris della prossima Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi (La Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della Fede Cristiana, 27 maggio 2012).

Vi si legge, al n. 91: “Non si può trasmettere ciò che non si crede e non si vive. Non si può trasmettere il Vangelo senza avere come base una vita che da quel Vangelo è modellata, che in quel Vangelo trova il suo senso, la sua verità, il suo futuro”.

Precisamente in questa prospettiva vogliamo affrontare il “caso serio” dell’omelia – un’autentica sfida e un’enorme responsabilità per il ministro ordinato, nell’“oggi” delle comunità cristiane.

Sembra una contraddizione con quello che ho appena detto riguardo all’“oggi”; e tuttavia a me, che studio i Padri della Chiesa, sembra proprio che la via migliore per riflettere sull’omelia sia quella percorsa da alcuni predicatori illustri dei primi secoli cristiani.

Di fatto, anche nel ministero della predicazione, come in molti altri ambiti, i nostri Padri hanno marcato in modo irreversibile la storia del cristianesimo, a tal punto che ogni annuncio e magistero successivo, se vuole essere autentico, deve confrontarsi con il loro annuncio e con il loro magistero. Pertanto un predicatore, che non si confronta con i Padri, non è un autentico predicatore della Chiesa.

Parto da un approccio introduttivo, che contempla due “casi” interessanti: quello dello Pseudo-Clemente e quello di sant’Ambrogio.

* Cominciamo dallo Pseudo-Clemente, o meglio dalla cosiddetta Seconda Lettera di Clemente, nota come la più antica omelia patristica a noi pervenuta. Si tratta in realtà di uno scritto falsamente attribuito a Clemente, vescovo di Roma verso la fine del primo secolo. A tutt'oggi se ne ignora – oltre che la paternità – la data precisa e il luogo di composizione. E' comunque uno scritto venerando, riconducibile forse alla metà del secondo secolo. Fra l'altro, in questa cosiddetta Seconda Lettera di Clemente si incontra, per la prima volta nella letteratura patristica, il termine katechéo, nel significato etimologico di “insegnare a viva voce”, dove però l'insegnamento non è altro che l'“eco” (e il sostantivo “eco” è presente in katechéo) di una Parola che è già stata detta: quella di Dio.

Ecco dunque che cos'è l'omelia per i nostri Padri: è un “riecheggiamento” della Parola di Dio, appena pronunciata nell'assemblea liturgica.

* Sempre a questo riguardo, è eloquente un altro riferimento alla tradizione, questa volta relativo ad Ambrogio, vescovo di Milano fra il 374 e il 397. C'è un episodio della sua vita, narrato dal diacono Paolino, che riveste un grande valore simbolico.

Narra Paolino che c'era a Milano un eretico, un ariano, “fin troppo abile nel discutere, e testardo, tanto che non si poteva convertirlo alla fede cattolica. Un giorno egli si trovava in chiesa mentre il vescovo predicava, e vide (come dopo riferì egli stesso) un angelo che parlava all'orecchio del vescovo, mentre questi predicava. Sembrava proprio che Ambrogio ripetesse al popolo le parole dell'angelo. Convertito da questa visione, quell'uomo cominciò a difendere egli stesso la fede che prima combatteva” (Vita 17).

Lo ripeto: si tratta di un episodio che riveste un grande valore simbolico, mentre dice il metodo di Ambrogio, e dei nostri Padri in genere, nel predicare. Essi non predicavano se stessi, ma le parole ispirate; non vane dottrine, ma la Parola di Dio, la sola capace di convertire il cuore dell'uomo. Così l'omelia era “catechesi” nel senso etimologico del termine: un “riecheggiamento” della Parola di Dio.

1. Dai Padri della Chiesa al Magistero attuale

Certo, dai Padri ad oggi trascorrono quasi duemila anni di predicazione cristiana. E proprio nel solco di questa tradizione si collocano i ministri ordinati, ai quali è affidata la missione “tremenda e meravigliosa” di predicare la Parola di Dio: una missione che troviamo sintetizzata in un celebre passaggio della Dei Verbum, che cita a sua volta un Sermone di sant'Agostino (così, da Agostino al Vaticano II, risaliamo un bel po' di secoli di predicazione).

"E' necessario", ammonisce la Dei Verbum al n. 25, "che tutti i chierici e quanti, come i catechisti, attendono al ministero della Parola, conservino un continuo contatto con le Scritture, mediante una sacra lettura assidua e lo studio accurato, affinché non diventi", ed è qui la citazione agostiniana, "'vano predicatore della Parola all'esterno colui che non l'ascolta di dentro'".

Ritorna quell’importante messaggio dei Padri, di cui si parlava: per l’omileta di ieri e di oggi è indispensabile una profonda e amorevole sintonia con le Scritture, affinché l'omelia "riecheggi" in modo efficace la Parola di Dio proclamata nell'assemblea liturgica.

Queste riflessioni, svolte sul filo della storia, offrono la prospettiva giusta per comprendere le più recenti indicazioni del Magistero sull'omelia.

Valga per tutti il riferimento al n. 59 (“L’importanza dell’omelia”) dell’Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini, firmata dal Papa Benedetto XVI il 30 settembre 2010. Vi si legge fra l’altro: “L’omelia costituisce un’attualizzazione del messaggio scritturistico, in modo tale che i fedeli siano indotti a scoprire la presenza e l’efficacia della Parola di Dio nell’oggi della propria vita. Essa deve condurre alla comprensione del mistero che si celebra, invitare alla missione, disponendo l’assemblea alla professione di fede, alla preghiera universale e alla liturgia eucaristica… Si devono evitare omelie generiche ed astratte, che occultino la semplicità della Parola di Dio, come pure inutili divagazioni che rischiano di attirare l’attenzione sul predicatore piuttosto che al cuore del messaggio evangelico. Deve risultare chiaro ai fedeli che ciò che sta a cuore al predicatore è mostrare Cristo, che deve essere al centro di ogni omelia… L’Assemblea sinodale ha esortato che [nella preparazione dell’omelia] si tengano presenti le seguenti domande: ‘Che cosa dicono le letture proclamate? Che cosa dicono a me personalmente? Che cosa devo dire alla comunità, tenendo conto della sua situazione concreta?’”.



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Caterina63
00martedì 28 agosto 2012 19:28

Il "caso serio" dell'omelia (Seconda parte)


Definizione e metodo dell'omelia, secondo la Bibbia e i Padri della Chiesa


di monsignor Enrico Dal Covolo
Magnifico Rettore della Pontificia Università Lateranense

ROMA, mercoledì 18 luglio 2012 (ZENIT.org).

2. Definizione e metodo dell'omelia, secondo la Bibbia e i Padri della Chiesa

Ma perché tanta sollecitudine per l'omelia?

La risposta è ben nota. Per una larga parte del popolo di Dio essa è rimasta praticamente l'unica occasione di "catechesi" (nel senso che i nostri Padri ci hanno insegnato), e più in generale di "formazione religiosa", a parte la preghiera e la celebrazione dei sacramenti.

Di fatto l'omelia rappresenta il luogo in cui si attua una comunicazione particolare a livello spirituale e a livello umano; una comunicazione che permette di raggiungere ogni domenica un numero così elevato di persone, che nessun'altra "agenzia" riesce ad eguagliare.

Di qui la "sfida" e la "responsabilità" che l'omelia comporta.

* Consideriamo anzitutto il termine impiegato, cioè omelia. Tra i vari sostantivi usati dai Padri della Chiesa per definire questa particolare forma di comunicazione religiosa – quali soprattutto omelia e sermone – la riforma liturgica promossa dal Concilio Vaticano II ha preferito appunto il termine omelia, che implica un diretto riferimento all'episodio narrato da Luca, alla fine del terzo Vangelo, dove si parla dell'incontro di Gesù con i discepoli di Emmaus. Mentre essi conversavano (en to homiléin) e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò a loro, per spiegare in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui (cfr. Luca 24,13ss.: nei vv. 14 e 15 è impiegato due volte il verbo omiléo).

Gesù si rivela così il primo omileta, come già si era manifestato nella sinagoga di Nazaret (cfr. Luca 4,14-21).

* Ma nei due episodi narrati da Luca Gesù Cristo insegna anche il metodo fondamentale dell'omelia, quello che i nostri Padri hanno ampiamente utilizzato e variamente elaborato. In sostanza, è il metodo che presiede alla lectio divina tradizionale.

Teorizzata e sistematizzata nel XII secolo, in ambiente monastico (valga per tutti il nome di Guigo II, priore della Grande Certosa), la lectio divina in realtà è molto più antica, e non è posteriore alla Bibbia, proprio perché la lectio si trova già all'interno della Bibbia stessa. Sostanzialmente, la lectio prevede un duplice movimento. Il primo movimento è come un "viaggio di andata", nel quale la Parola di Dio viene letta e meditata, perché scenda fino al cuore; e dal cuore parte il secondo movimento, che è come un "viaggio di ritorno", nel quale la Parola viene a convertire la vita dei credenti.

Occorre precisare però che nel caso dell'omelia i due movimenti – quello di andata come quello di ritorno – coinvolgono una Parola contestualizzata nell'anno liturgico. Di fatto, l'omelia si trova vitalmente inserita nella liturgia eucaristica. Dunque i due movimenti non si riferiscono ad una Parola isolata, ma ad una Parola che viene proposta dalla Chiesa in intima relazione con l'evento liturgico celebrato.

Nell'ambito della Chiesa di Rito romano la progettualità dell'annuncio è racchiusa nei vari Lezionari, mentre la descrizione teologica è presentata nell'Introduzione generale al Lezionario (per la Chiesa italiana, l’edizione più recente è quella del 2008, condotta sull’editio typica altera dell’Ordo lectionum Missae, che è del 1981. L’Introduzione vi si trova nel tomo dedicato al Lezionario feriale – Tempi forti, alle pp. 15-58).

Di qui una conseguenza pratica molto importante. Occorre che l'omileta ponga la massima attenzione ai temi offerti dai Lezionari per le singole celebrazioni. L'omelia non è il luogo per parlare di tutto e di nulla, ma il momento per operare una formazione religiosa a partire dai suggerimenti intrinseci al Lezionario. Se la metodologia del Lezionario, con i titoli proposti alle singole letture, non è patrimonio connaturale all'omileta, i fedeli non potranno cogliere il progetto di annuncio che soggiace alla celebrazione liturgica.

(La terza parte verrà pubblicata domani, giovedì 19 luglio. La prima puntata è andata in rete martedì 17 luglio)



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Caterina63
00martedì 28 agosto 2012 19:30

Il "caso serio" dell'omelia (Terza parte)


Ancora sul "metodo patristico"


di monsignor Enrico Dal Covolo
Magnifico Rettore della Pontificia Università Lateranense

ROMA, giovedì 19 luglio 2012 (ZENIT.org).-

3. Ancora sul “metodo patristico” dell’omelia

Rimanendo ancora sul “metodo patristico” dell'omelia, e precisamente sul suo duplice movimento, conviene esplicitare almeno due suggerimenti.

* Il primo suggerimento raccomanda una sorta di equilibrio tra il viaggio di andata e il viaggio di ritorno. Ci imbattiamo spesso in omelie "squilibrate": o troppo ripiegate sull'esegesi dei testi, dove magari si fa sfoggio di erudita informazione biblica e liturgica; oppure, al contrario, omelie troppo sbilanciate sull'attualizzazione, dove il rischio estremo è quello di trasformare l'omelia in un comizio. Nel primo caso il fedele non viene accompagnato nell'interpretazione della Parola pro nobis, hic et nunc; nel secondo caso la Parola rischia di diventare un semplice pretesto, per dire quello che al predicatore sembra bene in quel momento. Conviene ricordare che il viaggio di ritorno, cioè l'attualizzazione, sarà tanto più fecondo, quanto più accuratamente sarà stato preparato dal viaggio di andata.

* Entra qui il secondo suggerimento, anch’esso legato al magistero dei nostri Padri. Nell’esercizio dell’omelia occorre valorizzare il cuore, perché proprio il cuore è il centro dei due movimenti della lectio divina: lì scende la Parola, letta e meditata, e da lì essa riparte per il confronto con la preghiera e con la vita.

Uno dei difetti di molte omelie è quello di un certo intellettualismo. L'omelia invece deve parlare al cuore dei fedeli, nel senso biblico e patristico di questa parola. Per la Bibbia e i Padri, il cuore è l'intimità dell'uomo. E' là dove teniamo in mano il nostro destino, dove si giocano le grandi decisioni, dove in qualche modo sono chiamate a raccolta tutte le nostre facoltà. E' in questo senso che il predicatore deve parlare "da cuore a cuore": cor ad cor loquitur. La tradizione cristiana riconosce nel cuore la via per stabilire incontri autentici e veri. "Non ci ardeva forse il cuore nel petto, mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?", si domandano stupiti i discepoli di Emmaus.

In questo senso, l'icona del predicatore è Maria santissima. Nel Vangelo dell'infanzia Luca ripete due volte che Maria "conservava nel cuore tutte queste cose" (2,19.51). L'evangelista intende dire che nella teca preziosa del suo cuore la vergine madre "custodiva insieme con grande cura" (sunetérei) ogni reliquia del mistero di Gesù. Ma una delle due volte Luca aggiunge: "E le confrontava..." (2,19). Qui viene usato un altro verbo molto significativo: è il verbo greco symbállein, imparentato fra l'altro con il sostantivo italiano simbolo. In questo modo si vuole dire che Maria non soltanto custodiva gelosamente nel suo cuore il Verbo di Dio: di più, essa cercava di confrontare le parole della rivelazione con la propria vita, evidentemente per “metterle in pratica”.

Trascorriamo ora dalla Bibbia ai Padri, sempre riguardo alla centralità del cuore nel metodo dell’omelia.

All’amico Teodoro, medico dell’imperatore, Gregorio Magno raccomandava: “Impara a conoscere il cuore di Dio nelle parole di Dio”.

Ma perché questo avvenga davvero, occorre che la Parola sia “digerita” nel cuore dell’uomo. Forse questa immagine della digestione non è molto attraente (Bernardo esortava addirittura i suoi monaci ad essere animalia munda et ruminantia), ma essa ha il pregio di ricordare in modo icastico che la Parola di Dio è vero cibo del nostro cuore.

A questo riguardo la tradizione dei Padri è ricchissima. Mi limito a un solo esempio.

Del beato Aelredo di Rievaulx, discepolo e biografo di san Bernardo, si legge che parlava ex biblioteca sui cordis. Il cuore di Aelredo (e a maggior ragione quello di Bernardo, il suo maestro) era divenuto come una teca, cioè un prezioso scaffale in cui si allineavano ordinati tà biblía, cioè la Sacra Scrittura, "i libri" per eccellenza.

E' il complimento migliore che si potrebbe fare a un omileta: quando parla, parla dalla biblioteca del suo cuore. Cioè si sente davvero che il suo impegno di "attualizzare" la Parola viene da un cuore plasmato da essa, in profonda sintonia con essa.

Gli omileti che hanno inciso più profondamente nella vita dei fedeli sono precisamente i testimoni di questa intima, cordiale unione con il mistero di Dio.

Si pensi – solo per fare qualche esempio – a Francesco d'Assisi. E' stato detto che del "profumo del Vangelo" sono a tal punto ripieni i suoi scritti (come lo erano, per quanto possiamo saperne, le sue omelie), che se si togliesse il Vangelo non vi rimarrebbe più nulla. Oppure si pensi a san Carlo Borromeo, e alla celebre Omelia 45, nella quale il santo vescovo si rivolge direttamente al Crocifisso: "Perché hai voluto nascere in così bassa condizione, vivere sempre in essa e morire tra le ignominie? Perché hai sofferto tante fatiche, tante offese, tanti oltraggi, tanti dolori e tante piaghe, e alla fine una morte così crudele, versando il tuo sangue fino all'ultima goccia?...". E san Carlo conclude la sua omelia proclamando "veramente felici coloro che hanno impresso nel cuore Cristo crocifisso, e non svanisce mai". Si pensi ancora al santo Curato d'Ars, che sul più bello interrompeva la sua omelia, per rivolgersi con intensità ineffabile al Tabernacolo, dicendo semplicemente: "Ma che importa tutto questo? Egli è là!...". Ma forse l’esempio più impressionante viene da una singolare omelia di san Luigi M. Grignion de Monfort. Salito sul pulpito all’ora stabilita, il predicatore estrae il suo crocifisso, e senza dire parola si ferma a contemplarlo lungamente, dando sfogo al pianto. Il popolo, a sua volta, non riesce a trattenere le lacrime, quando il predicatore scende e presenta a ciascuno il crocifisso per il bacio. “La predica era stata corta”, commenta il biografo, “ma non occorre meno di tutta la vita di un santo per prepararla”.




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Caterina63
00martedì 28 agosto 2012 19:33

Il "caso serio" dell'omelia (Quarta parte)


La preparazione dell'omelia


di monsignor Enrico Dal Covolo
Magnifico Rettore della Pontificia Università Lateranense

ROMA, venerdì, 20 luglio 2012 (ZENIT.org).-

4. La preparazione dell’omelia

Abbiamo alluso così – oltre al metodo dell'omelia – anche al “retroterra spirituale” del predicatore: egli deve essere profondamente nutrito di scienza e di fede, perché non gli capiti di essere – secondo l'ammonimento di sant'Agostino – “vano predicatore della Parola”: un “parolaio”, diremmo noi oggi.

Ma l’esempio dei nostri Padri ci insegna pure che, oltre al “retroterra spirituale” e alla “preparazione remota”, occorre curare anche la “preparazione prossima” dell’omelia.

* E' stato detto – e giustamente – che le omelie migliori sono quelle più a lungo preparate, e molti zelanti pastori concordano nell'affermare che essi cominciano il lunedì a preparare l'omelia della domenica. Ed è normale, se si pensa al metodo proprio dell'omelia, come l'abbiamo illustrato fondandoci sull’esempio dei nostri Padri: se l'omelia deve parlare al cuore dei fedeli, deve partire da un cuore che sia già plasmato – in qualche misura – dalla Parola di Dio; e questo non si raggiunge certo raccogliendo quattro idee, all'ultimo momento, in sagrestia...

* Qualcuno chiede talvolta: conviene leggere, o no? conviene avere davanti un testo scritto, interamente scritto, oppure soltanto uno schema con i passaggi fondamentali, o niente del tutto?

Qui si tocca molto da vicino l'irripetibile personalità di ciascuno, e nella storia dell'omiletica, dai Padri in poi, vediamo esempi molto diversi: predicatori che apparentemente improvvisavano, e che in realtà avevano scritto tutto, e imparato a memoria, ciò che intendevano dire; e predicatori che apparentemente leggevano, e che in realtà dettavano le loro prediche, e spesso poi ne rivedevano il testo dagli appunti dei tachigrafi o dei fedeli, per sistemarlo definitivamente e conservarlo. Sant’Agostino, per esempio, curava personalmente la raccolta delle sue omelie negli archivi di Ippona.

Mi è capitato di avere tra mano qualche appunto della predicazione di san Carlo Borromeo. San Carlo disegnava le sue omelie come un albero: il tronco era l'idea centrale, che egli intendeva comunicare ai fedeli, i rami erano invece i vari sviluppi del pensiero, a partire da quell'unica idea centrale. Senonaltro, questo ci ricorda che le nostre omelie non devono essere sovraccariche di concetti e di messaggi. Se la gente dalle nostre omelie porterà a casa un'idea centrale, valida e operativa per l'intera settimana, sarà già molto...

Dunque, credo che non ci sia una risposta univoca di fronte alla domanda se l'omelia vada scritta o no, se vada letta o no. Certo, il semplice leggere non aiuta l'attenzione dei fedeli. Tuttavia, almeno per chi comincia a predicare, raccomanderei di stendere per intero il testo dell'omelia, e di tenerlo sott'occhio, in modo da vincere più facilmente il timore degli inizi. Direi invece che tutti i predicatori devono avere ben chiaro, scolpito nel cuore, l'itinerario completo della loro omelia, nei suoi punti fondamentali dell'"andata" e del "ritorno".

Da questo punto di vista i nostri Padri, che avevano studiato l’eloquenza classica, tenevano ben presente la “regola” dell'oratore latino: Rem tene, verba sequentur! In particolare, sono molto importanti per l'incisività della comunicazione l'introduzione e la conclusione: esse devono aiutare l'assemblea a percepire l'omelia quale deve essere, cioè nel contesto vivo della celebrazione liturgica.

* Anche sulla lunghezza dell'omelia non si possono dare delle regole ferree. E' certo che l'omelia ben preparata va all'essenziale, e risulta più concisa. Lo sapeva bene – ancora una volta – sant'Agostino, quando si lamentava perché all'ultimo momento gli cambiavano le letture... Già Origene (che poi però in molti casi contraddiceva ampiamente questa norma) affermava: Brevitatem auditores ecclesiae diligunt. E Pietro Crisologo parla della brevitas amica sermonis.

In realtà nella predicazione patristica abbondano i segnali di stanchezza da parte del pubblico. In ogni caso mi pare che il contesto storico, culturale, ambientale... sia talmente mutato, che sul punto specifico della brevità o della lunghezza dell’omelia non sia molto illuminante il riferimento alla predicazione patristica. Per quanto ci riguarda, ordinariamente alla domenica converrebbe attestarsi intorno ai dieci minuti di omelia, per poterla opportunamente valorizzare senza fretta, attraverso tutti gli altri elementi della celebrazione eucaristica.



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Caterina63
00martedì 28 agosto 2012 19:34

Il "caso serio" dell'omelia (Quinta ed ultima parte)


"Relativizzazione" dell'omelia


di monsignor Enrico Dal Covolo
Magnifico Rettore della Pontificia Università Lateranense

ROMA, sabato, 21 luglio 2012 (ZENIT.org).

5. “Relativizzazione” dell'omelia

Le considerazioni svolte fin qui aiutano anche a "relativizzare", in senso positivo, l'omelia. E’ proprio vero che la migliore catechesi sull’Eucaristia, e anche la migliore omelia, è la stessa Eucaristia ben celebrata.

Vale a dire che l'omelia non va considerata da sola, in assoluto. Essa è situata in un contesto liturgico, che ne determina la validità.

* Anzitutto, ciò che relativizza positivamente l'impegno dell'omileta è il fatto che in ultima istanza chi parla veramente al cuore dell'uomo è solo Dio. Ancora di più: secondo i nostri Padri, Dio stesso apre il suo cuore a coloro che ascoltano la Parola: “Disce cor Dei in verbis Dei”, non si stancava di ripetere Gregorio Magno.

Da parte sua, il predicatore cercherà di assicurare le condizioni migliori perché questo incontro tra il cuore di Dio e il cuore dell’uomo si realizzi efficacemente.

* Un altro contesto che condiziona e relativizza l'omelia è la vita stessa del predicatore. Di questo abbiamo già fatto qualche cenno, ma conviene sottolinearlo ancora, a partire dalla definizione stessa di Padre della Chiesa: “Padre”, secondo la Tradizione della Chiesa, non è semplicemente uno che parla e che scrive bene. Il Padre è un santo. Se non è santo, non è un Padre. L’efficacia della parola è intimamente legata alla testimonianza della vita.

E' ben noto che il magistero di Paolo VI e di Giovanni Paolo II ha elaborato, si può dire, una vera e propria "teologia della testimonianza", a partire dalla celeberrima affermazione dell’Evangelii Nuntiandi, secondo cui il mondo d'oggi ha più bisogno di "testimoni" che di "dottori".

In qualche misura, dunque, è la vita stessa del ministro che dà validità alla sua predica. Questa affermazione non va esagerata, perché altrimenti dovremmo rimanere tutti zitti. In ogni caso, la figura dell'omileta deve essere una figura compatta e forte nella testimonianza: una persona in cui le parole sono intercambiabili con i fatti.

Viene alla mente la testimonianza di Gandhi. Sir Stanley Jones gli si accostò, chiedendogli di rilasciare un messaggio per il mondo. Il Mahatma lo guardò, e gli rispose turbato: "Io non ho una parola da dire; la mia vita è il mio messaggio...".

Ebbene, per noi le cose vanno ben diversamente.

Noi l'abbiamo la Parola: noi abbiamo il lieto messaggio di Cristo, noi abbiamo il Credo degli apostoli e della Chiesa, noi abbiamo la fede da trasmettere. Ma questo Vangelo non può passare senza la testimonianza della vita: eritis mihi testes.

* Infine, l'omelia è situata nella vita della comunità cristiana – normalmente della parrocchia – in cui si celebra. L'efficacia dell'omelia dipende anche dalla testimonianza di questa comunità cristiana, dal suo impegno nella vita ecclesiale, dalla sua partecipazione nella fede, nella speranza e nella carità.

Da questo punto di vista è significativa una testimonianza delle Confessioni di sant'Agostino. Ciò che cominciò a muovere il cuore del giovane retore africano, scettico e disperato, e che lo spinse alla conversione prima, e poi al battesimo, non furono le belle omelie (pure da lui assai apprezzate) del vescovo Ambrogio, ma fu piuttosto la testimonianza della Chiesa milanese che pregava e cantava, compatta come un solo corpo; una Chiesa capace di resistere alla prepotenza dell'imperatore Valentiniano e di sua madre Giustina, che nei primi giorni del 386 erano tornati a pretendere la requisizione di una chiesa per le cerimonie degli ariani. Nella chiesa che doveva essere requisita, racconta Agostino, “il popolo devoto vegliava, pronto a morire con il proprio vescovo. Anche noi”, e questa testimonianza delle Confessioni è preziosa, perché segnala che qualcosa andava muovendosi nell'intimo di Agostino, "pur ancora spiritualmente tiepidi, eravamo partecipi dell'eccitazione di tutto il popolo" (Confessioni 9,7).

Di qui si comprende anche quanto possano incidere negativamente su ciò che diciamo le "controtestimonianze" personali e comunitarie; di qui l'importanza che Giovanni Paolo II attribuiva al saper chiedere perdono come comunità, come Chiesa; l'importanza di educare le nostre assemblee alle liturgie della penitenza e della riconciliazione.

6. Per non concludere...

L'omelia è veramente una sfida e una responsabilità, forse oggi più di ieri.

Ho tentato di condividere alcune riflessioni e qualche suggerimento, dettati dal riferimento ai Padri, dall'esperienza personale e da vari studi e letture.

A quest'ultimo riguardo, degli studi e delle letture, raccomando uno strumento prezioso e facilmente accessibile. Si tratta del Dizionario di Omiletica curato da Manlio Sodi e da Achille M. Triacca per le Editrici Elle Di Ci e Velar, Leumann - Gorle 2002, con bibliografia praticamente esaustiva a corredo dei singoli lemmi. A parte la voce complessiva Predicazione (nella Chiesa antica), scritta dal benedettino dom Alexandre Olivar, vi compare una vera e propria “galleria” di Padri, autentici modelli di predicazione nell’“oggi” della Chiesa.

Stando al loro magistero, il “caso serio” dell’omelia si colloca più sul versante della testimonianza di vita (ecco l’impegno penitenziale, di conversione) che non su quello della metodologia e delle tecniche (senza ovviamente sottovalutare questo secondo versante).

Può servire anche per il predicatore ciò che l'allora don Joseph Ratzinger scriveva in Introduzione al cristianesimo a proposito del teologo. Il predicatore non può rischiare di apparire una specie di clown, che recita una parte "per mestiere". Piuttosto – per usare un’immagine cara a Origene – egli deve essere come il discepolo innamorato, che ha poggiato il suo capo sul cuore del Maestro, e da lì ricava il suo modo di pensare, di parlare e di agire.

Alla fine di tutto, il discepolo innamorato è colui che annuncia il Vangelo nel modo più credibile ed efficace.



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Caterina63
00giovedì 29 novembre 2012 12:58
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 Editoriale di "Radicati nella fede" di Novembre
NON PREDICANO I NOVISSIMI, NON ASCOLTATELI!

 Per la salvezza eterna dell'uomo, di ogni uomo, e non per renderlo cosciente di una salvezza già avvenuta: per questo c'è la Chiesa.

 La differenza sta tutta qui. Ormai il Cattolicesimo in mezzo a noi ha preso un'altra forma, questo fatto è sotto gli occhi di tutti. La preoccupazione non è più la salvezza delle anime. Chi frequenta ancora le chiese, difficilmente sentirà predicare questo che è il cuore del cristianesimo: Nostro Signore Gesù Cristo è l'unico Redentore, occorre pentirsi e cambiare vita, essere battezzati e accostarsi ai sacramenti, occorre vivere in grazia di Dio per la salvezza dell'anima nostra. No, di tutto questo non si parla più. E lo vedremo in questo “Anno della fede”, nel quale, ahimè, si sarà preoccupati di celebrare le date della Chiesa, ma non si affermerà la preoccupazione della salvezza delle anime.

  Perché tutto questo? Semplicemente perché dopo il Concilio si è di fatto prodotta una mutazione della fede cattolica, i cui tragici frutti cogliamo pienamente in questi tempi.

  Hanno in testa molti, troppi, quasi tutti, che la salvezza delle anime è già avvenuta, e che ora bisogna solo rendere coscienti gli uomini di questo dono dall'alto. È una Chiesa, questa, che ha spostato tutto sull'umano, sull'antropologia, sul benessere della persona, sulla ricerca della felicità.

 Ma questo è ancora Cristianesimo? Gesù non è venuto perché senza di Lui non possiamo salvarci? Non è morto in Croce per liberarci dal potere del Demonio e per riaprirci il Paradiso? Non ha comandato ai suoi discepoli di predicare il Vangelo sino agli estremi confini della terra e di battezzare?: “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, chi non crederà sarà condannato” ...non è scritto così?

  Invano attenderete, nei dibattiti televisivi sul Concilio, che l'ecclesiastico di turno vi parli della questione della salvezza eterna. Ma se non è in gioco questo, che ci sta a fare l'ecclesiastico di turno e la Chiesa stessa? Capita di vedere un Cardinale, quello di Milano, su “LA7”, sfoderare un irenismo ridicolo e cieco sulla situazione della Chiesa (“Quando visito le chiese, sono sempre piene”... “Non è vero che c'è crisi”), sentirlo parlare di un fumoso cristianesimo in un discorso che assomiglia più ad una lezione di antropologia, reagire infastidito alle chiare affermazioni del Prof. De Mattei sulla spaventosa crisi seguita al Vaticano II, mentre il laico di turno, nel caso Giuliano Ferrara, ricorda che occorre parlare anche dell'Inferno, oltre che della “pienezza umana” portata da Cristo. Siamo a questo punto: quelli fuori della Chiesa ricordano alla Chiesa l'essenziale, che essa non predica più.

  Ma attenti tutto questo è più che drammatico, perché cambiare la prospettiva vuol dire cambiare tutto.

 Se lo scopo è rendere migliore, più cosciente la vita di quaggiù, e non la salvezza eterna, siamo di fronte ad una modificazione profonda del Cristianesimo, siamo di fronte ad una nuova religione, che non è più quella di Nostro Signore Gesù Cristo. Siamo di fronte alla religione dell'uomo, e non alla religione di Dio.

 Un grande sacerdote santo, il Père Emmanuel Andrè, chiamava tutto questo “Naturalismo”: tutto è ridotto alla natura, all'uomo. È il più grande e devastante cancro del Cattolicesimo. E lo stesso Pére Emmanuel diceva che occorre, di fronte a questo male, essere “uomini di Dio, uomini di reazione”: entrambe le cose... di Dio e di reazione. Sì: occorre PREGARE E REAGIRE, dire basta!, non avere più a che fare con coloro che stanno affossando la Chiesa e la fede Cattolica.

 Sono nostri pastori coloro che custodiscono il cattolicesimo, non coloro che lo svendono trasformandolo in antropologia religiosa per entrare nei salotti culturali di questa stanca società occidentale. Come fare per sapere se i pastori sono degni di essere ascoltati e seguiti? È semplice: se parlano ancora della salvezza eterna, se parlano dei Novissimi: Morte, Giudizio, Inferno, Paradiso. Se nel loro parlare tutto questo non compare mai, diffidate, hanno già cambiato la fede.


Cari Sacerdoti, dite la Verità ai fedeli!!!


Avendo appena terminato l'Anno Liturgico ricordando la Festa solenne di Cristo Re, approfondiamo per mezzo di sant'Alfonso Maria de Liguori, in cosa consisterà questo Giudizio!


Non si vuole terrorizzare nessuno, ma attenzione, dovremmo davvero essere spaventati all'idea di una eternità lontano da Dio, non possiamo tacere su ciò che ci aspetta, ci attende, quando Nostro Signore ne ha parlato lungamente nei Vangeli proprio per metterci in guardia....
Invitiamo tutti i Sacerdoti a riflettere seriamente sulle loro Omelie blande, ciarlatane e private della verità per paura di offendere, o di spaventare: quando le anime, perchè da voi ingannate, si troveranno davanti alla Verità e al Giudice supremo, e dannate a causa delle vostre prediche stolte, anche voi subirete la medesima sorte.... come ci rammenta il Signore per mezzo del Profeta Ezechiele 13,...

 [8]Pertanto dice il Signore Dio: Poiché voi avete detto il falso e avuto visioni bugiarde, eccomi dunque contro di voi, dice il Signore Dio. [9]La mia mano sarà sopra i profeti dalle false visioni e dai vaticini bugiardi; non avranno parte nell'assemblea del mio popolo, non saranno scritti nel libro d'Israele e non entreranno nel paese d'Israele: saprete che io sono il Signore Dio, [10]poiché ingannano il mio popolo dicendo: Pace! e la pace non c'è; mentre egli costruisce un muro, ecco essi lo intonacano di mota. [11]Dì a quegli intonacatori di mota: Cadrà! Scenderà una pioggia torrenziale, una grandine grossa, si scatenerà un uragano [12]ed ecco, il muro è abbattuto. Allora non vi sarà forse domandato: Dov'è la calcina con cui lo avevate intonacato? [13]Perciò dice il Signore Dio: Con ira scatenerò un uragano, per la mia collera cadrà una pioggia torrenziale, nel mio furore per la distruzione cadrà grandine come pietre; [14]demolirò il muro che avete intonacato di mota, lo atterrerò e le sue fondamenta rimarranno scoperte; esso crollerà e voi perirete insieme con esso e saprete che io sono il Signore.
[15]Quando avrò sfogato l'ira contro il muro e contro coloro che lo intonacarono di mota, io vi dirò: Il muro non c'è più e neppure gli intonacatori

E ancora più esplicitamente in Ezechiele cap.3....

[16]Al termine di questi sette giorni mi fu rivolta questa parola del Signore: «Figlio dell'uomo, ti ho posto per sentinella alla casa d'Israele. [17]Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia. [18]Se io dico al malvagio: Tu morirai! e tu non lo avverti e non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta perversa e viva, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te. [19]Ma se tu ammonisci il malvagio ed egli non si allontana dalla sua malvagità e dalla sua perversa condotta, egli morirà per il suo peccato, ma tu ti sarai salvato.
[20]Così, se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette l'iniquità, io porrò un ostacolo davanti a lui ed egli morirà; poiché tu non l'avrai avvertito, morirà per il suo peccato e le opere giuste da lui compiute non saranno più ricordate; ma della morte di lui domanderò conto a te. [21]Se tu invece avrai avvertito il giusto di non peccare ed egli non peccherà, egli vivrà, perché è stato avvertito e tu ti sarai salvato».

Il Tempo della Misericordia del Signore, cominciato nella "pienezza del tempo" in cui Dio mandò il Suo Figlio, cesserà giunta la fine dei tempi quando Egli ritornerà in gloria e potenza, e allora inizierà il Giudizio Divino. Occultare queste verità agli uomini del nostro tempo, è un gravissimo peccato mortale. Molte anime rischiano di dannarsi, e si dannano, perchè si è nascosta la verità sulla sorte delle Anime.....
Non è dunque la Parola di Dio che può metterci paura o terrore, ma scoprire dopo, quando non non avremmo più il tempo per convertirci, che ciò che Egli ha detto è la verità e noi l'abbiamo calpestata.....

Perciò, cari Sacerdoti.... riscopriamo i NOVISSIMI e non abbiate timore a dire la verità ai fedeli..... soccorreteci col vostro Sacro Ministero, ammoniteci, è meglio un rimprovero oggi che una dannazione eterna....

Cliccando qui troverete gli scritti di sant'Alfonso Maria de Liguori sul Giudizio Universale e Particolare e sui riferimenti AL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA.....

VI SUPPLICHIAMO!!! SALVATECI L'ANIMA DICENDOCI LA VERITA'.... le vostre opinioni personali non ci interessano.....

[SM=g1740733]


Caterina63
00martedì 22 luglio 2014 12:17
 Dopo aver esaurito la prima serie: Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità


apriamo questa seconda parte per aiutare i Vescovi-Cardinalei, il Clero, ma anche noi laici, al santo e sano discernimento.... La Chiesa NON è un giocattolo in mano all'autoritarismo delle nomine... nè è in mano alle voglie di un Papa che dir si voglia, che si alza un mattino e decide magari di fare una Chiesa  A SUA IMMAGINE ...   

Il Vescovo è colui che VIGILA affinchè la dottrina venga impartita senza deformazioni e menzogne.... Preghiamo e agiamo!




"A tale riguardo scrivevo nella Lettera Enciclica Dominum et vivificantem [LE 5192]: «La coscienza non è una fonte autonoma ed esclusiva per decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo; invece, in essa è inscritto profondamente un principio di obbedienza nei riguardi della norma oggettiva, che fonda e condiziona la corrispondenza delle sue decisioni con i comandi e i divieti che sono alla base del comportamento umano».

E nell’enciclica Veritatis splendor [LE 5521] ho aggiunto: «L’autorità della Chiesa, che si pronuncia sulle questioni morali, non intacca in nessun modo la libertà di coscienza dei cristiani.. . anche perché il Magistero non porta alla coscienza cristiana verità ad essa estranee, bensì manifesta le verità che dovrebbe già possedere sviluppandole a partire dall’atto originario della fede.

La Chiesa si pone solo e sempre al servizio della coscienza, aiutandola a non essere portata qua e là da qualsiasi vento di dottrina secondo l’inganno degli uomini, a non sviarsi dalla verità circa il bene dell’uomo, ma, specialmente nelle questioni più difficili, a raggiungere con sicurezza la verità e a rimanere in essa». 

Un atto aberrante dalla norma o dalla legge oggettiva è, dunque, moralmente riprovevole e come tale deve essere considerato: se è vero che l’uomo deve agire in conformità con il giudizio della propria coscienza, è altrettanto vero che il giudizio della coscienza non può pretendere di stabilire la legge; può soltanto riconoscerla e farla propria".

(Giovanni Paolo II Discorso al Tribunale della Sacra Rota 10 febbraio 1995

 

Da Il Timone 22 luglio 2014

 

Dicevamo giorni fa che aumentano le voci autorevoli o autorevolissime che denunciano l’inaccettabilità del “teorema Kasper”, ossia la possibilità per i divorziati risposati di accedere al sacramento dell’Eucaristia, proposta illustrata dal cardinale Walter Kasper all’ultimo concistoro e che sarà uno dei punti chiave del prossimo Sinodo sulla famiglia. Finora la lista (sommaria) comprendeva:

il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller; l’ex presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, il cardinale Walter Brandmüller; uno dei teologi più impegnati e apprezzati da Giovanni Paolo II negli studi su matrimonio e famiglia, il cardinale Carlo Caffarra; uno dei più stimati canonisti della Curia romana, il cardinale Velasio De Paolis; un astro nascente del collegio cardinalizio, come l’ha definito Sandro Magister, ossia il cardinale Thomas Collins; una delle voci più significative dell’attuale teologia australiana, Adam G. Cooper, membro dell’Associazione internazionale di studi patristici.

A questi nomi va aggiunto un gruppo di otto teologi statunitensi di punta: sette domenicani, di cui sei docenti in quello che oggi è il migliore centro teologico dell’Ordine dei Predicatori negli Usa, la Pontificia Facoltà dell’Immacolata Concezione di Washington (si tratta dei padri John Corbett,  Andrew Hofer,Dominic LangevinDominic LeggeThomas PetriThomas Joseph White) uno, il padre Paul J. Keller, docente all’Ateneo Cattolico dell’Ohio (promosso dalla diocesi di Cincinnati); oltre a loro un laico,Kurt Martens, docente di diritto canonico alla Catholic University of America, sempre di Washington.

Insieme hanno steso un importante testo che verrà pubblicato in agosto su Nova et Vetera, storica rivista teologica fondata nel 1926 e vicina al mondo domenicano. Il documento sarà diffuso in più lingue, versioni che sono però già filtrate su internet. Qui si può scaricare quella in italiano. Una confutazione sintetica e magistrale, dal punto di vista dottrinale e storico, della tesi kasperiana.

 

Divorziati-risposati una valutazione teologica
I Domenicani scendono in campo e rispondono alle stravaganti affermazioni di Kasper
Recenti-proposte-Una-valutazione-teologica (1).pdf [101.45 KB]
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Alcuni passi del testo:

 

"La proibizione del divorzio e di un nuovo matrimonio è chiara già nei più antichi pronunciamenti ufficiali della Chiesa cattolica . Dalla Riforma, inoltre, i papi l’hanno ripetutamente riaffermata. 
Per esempio, nel 1595 papa Clemente VIII emanò un’istruzione sui cattolici di rito orientale in Italia, sottolineando che i vescovi non dovevano in alcun modo tollerare il divorzio. 
Altri insegnamenti come questo, sull’impossibilità del divorzio per i cattolici di rito orientale, furono ribaditi da Urbano VIII (1623-1644) e Benedetto XIV (1740- 1758) . 
Nella Polonia del XVIII secolo, l’abuso di sentenze di nullità era particolarmente diffuso, il che spinse Benedetto XIV ad inviare ai vescovi polacchi tre lettere apostoliche dai toni piuttosto forti per porvi rimedio. 
Nella seconda di queste, nel 1741, il Pontefice emanò la costituzione Dei miseratione, in cui si richiede un difensore canonico del vincolo per ciascun caso matrimoniale . 
Nel 1803, Pio VII ricordò ai vescovi tedeschi che i sacerdoti non potevano in alcun modo celebrare seconde nozze, anche se era loro richiesto dalla legge civile, poiché con ciò “tradiranno il loro sacro ministero”. Quindi decretò: “Finché perdura l’impedimento [derivante da un precedente vincolo matrimoniale], se un uomo si unisce ad una donna è adulterio” . Pratiche permissive poste in essere dai vescovi di rito orientale in Transilvania diedero origine ad un decreto del 1858 della Congregazione de Propaganda Fide, in cui si sottolinea l’indissolubilità del matrimonio sacramentale . 
Infine, l’insegnamento di Leone XIII contro il divorzio nel 1880, in Arcanum, la sua enciclica sul matrimonio, non potrebbe essere più incisivo.
Come questo excursus storico dimostra, l’affermazione dell’insegnamento di Cristo sull’adulterio e sul divorzio è sempre stata complicata e richiama ogni epoca alla conversione. Che sia così anche nel nostro tempo non deve sorprendere. Una ragione di più, per la Chiesa, per testimoniare tale verità ancora oggi".

 

La castità e' un dogma della dottrina proclamata ed insegnata da Gesù Cristo

 

"L’indissolubilità di questa unione non solo è fondamentale per il progetto divino di Dio per l’uomo e per la donna (Mt 19, 3-10), bensì consente all’amore perpetuo e fedele tra loro di servire come segno sacramentale dell’amore di Cristo e della Sua fedeltà per la Sua sposa, la Chiesa (Ef 5, 32).
La Chiesa rappresenta ormai una delle poche voci rimaste, nella cultura occidentale, a proclamare fedelmente la verità a proposito del matrimonio. La sua teologia, il suo diritto e la sua pratica liturgica sottolineano l’importanza del matrimonio e della famiglia nella società e nella Chiesa medesima. Le coppie sposate collaborano con Dio nella creazione di nuove vite, sono le prime maestre della fede e dunque generano nuovi figli e figlie adottivi a Dio, destinati a condividerne l’eredità eterna. Nella loro fedeltà, i coniugi sono testimoni pubblici dell’incrollabile fedeltà di Cristo al Suo popolo".

 

"Il cuore delle recenti proposte è una sfiducia sulla castità. In effetti, l’eliminazione dell’obbligo della castità per i divorziati costituisce la principale innovazione delle proposte medesime, dato che la Chiesa permette già ai divorziati risposati, che per un motivo grave (come la crescita dei figli) continuano a vivere insieme, di ricevere la Comunione qualora accettino di vivere come fratello e sorella e se non vi è pericolo di scandalo. Sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI si sono espressi chiaramente su tale aspetto.


L’assunto delle attuali proposte, ad ogni modo, è che tale castità sia impossibile per i divorziati. Forse che ciò non evidenzia una velata disperazione nei confronti della castità e del potere della grazia di sconfiggere il peccato ed il vizio? Cristo chiama ognuno alla castità secondo la propria condizione di vita, sia essa quella di persona non sposata, celibe, sposata o separata. Egli promette la grazia di vivere castamente. Nei Vangeli, Gesù ribadisce questa chiamata e questa promessa, insieme con un fermo avvertimento: ciò che causa il peccato dovrebbe essere “tagliato” e “gettato via” perché “conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna” (Mt 5:27-32). Infatti, nel Discorso della Montagna, la castità è il cuore e l’anima dell’insegnamento di Gesù sul matrimonio, sul divorzio e sull’amore coniugale.


Tale castità è frutto della grazia e non una mortificazione o una privazione. Essa si riferisce non alla repressione della propria sessualità, bensì al suo corretto utilizzo. La castità è la virtù attraverso cui si sottomettono i desideri sessuali alla ragione, cosicché la propria sessualità sia al servizio della propria reale finalità anziché della lussuria. Da ciò consegue che la persona casta domina le proprie passioni più che esserne asservita e diviene, quindi, capace di un dono di sé totale e continuo. In breve, la castità è indispensabile per seguire la via di Cristo, la quale è l’unica strada per la gioia, la libertà e la felicità".

"La cultura contemporanea sostiene che la castità non sia solamente impossibile, ma addirittura dannosa. Questo dogma secolare si oppone direttamente all’insegnamento del Signore. Se lo accettassimo, sarebbe arduo non domandarsi perché esso dovrebbe applicarsi solamente ai divorziati. Non sarebbe ugualmente irrealistico chiedere alle persone celibi di rimanere caste fino al matrimonio? Non dovrebbero essere ammesse anch’esse alla Santa Comunione? Gli esempi potrebbero essere molteplici.
Alcune coppie risposate civilmente provano davvero a vivere in castità come fratello e sorella. Esse possono anche trovarlo difficile, magari cadere di tanto in tanto, e tuttavia, mosse dalla grazia, si rialzano, si confessano e ricominciano. Se le proposte in oggetto venissero accettate, quante di queste coppie si arrenderebbero nella lotta per rimanere caste?


D’altro canto, molti divorziati risposati non vivono castamente. Ciò che li distingue da coloro che tentano di farlo (e non sempre vi riescono) è che i primi non riconoscono ancora l’incontinenza come un problema serio, o almeno non hanno ancora intenzione di vivere in castità. Se si permette loro di ricevere l’Eucaristia, anche se prima si sono recate in confessionale, pur con l’intenzione di continuare a vivere in modo non casto (una palese contraddizione), vi è il serio pericolo che essi siano confermati nel proprio vizio presente. E’ improbabile, infatti, che essi crescano nella consapevolezza dell’obiettiva immoralità e gravità della loro comportamento non casto. E’ lecito domandarsi, piuttosto, se la condotta morale di costoro, anziché migliorare, non verrebbe più verosimilmente perturbata o addirittura deformata.


Cristo insegna che la castità è possibile, persino nei casi più difficili, poiché la grazia di Dio è più potente del peccato. La pastorale dei divorziati dovrebbe essere basata su tale promessa. Se i divorziati stessi non udranno la Chiesa proclamare le parole di speranza di Cristo, e cioè che essi possono realmente essere casti, non tenteranno mai di esserlo".

 

Chiarimenti sulla prassi ortodossa mai accettata dalla Chiesa

 

"Inoltre, la Chiesa cattolica ha più volte ribadito di non poter ammettere la prassi ortodossa.

Il Secondo Concilio di Lione (1274), che si indirizzava nello specifico alla consuetudine della Chiesa ortodossa d’oriente, proclamò che “non è permesso a un uomo di avere contemporaneamente più mogli, né a una donna di avere più mariti. Sciolto invece il matrimonio per la morte dell’uno o dell’altro dei coniugi, essa [la Chiesa romana] dice che sono lecite successivamente le seconde e quindi le terze nozze” .


In più, le proposte più recenti invocano ciò che neanche gli ortodossi d’oriente accetterebbero: la Comunione per coloro che contraggono unioni civili non consacrate (adulterine). Nella Chiesa ortodossa si ammettono alla Comunione i divorziati risposati solo se, per questi ultimi, le nozze successive alla prima sono state benedette nel rito della medesima Chiesa.

 

In altre parole, ammettere alla Comunione richiederebbe inevitabilmente che la Chiesa cattolica riconoscesse e benedicesse i secondi matrimoni dopo il divorzio, il che è evidentemente contrario alla dottrina cattolica già stabilita e a quanto espressamente insegnato da Cristo".

 

"E’ semplicemente impossibile ammettere alla Santa Comunione coloro che perseverano nell’adulterio e allo stesso tempo affermare queste dottrine conciliari. Le definizioni tridentine di adulterio, giustificazione (il che implica la carità così come la fede) oppure il significato e l’importanza dell’Eucaristia sarebbero altrimenti modificate.

La Chiesa, inoltre, non può trattare il matrimonio come un affare privato, né permettere che esso ricada sotto la giurisdizione dello Stato e neppure che esso sia qualcosa di risolvibile in base ad arbitrari giudizi di coscienza. Dopo un lungo dibattito, tali questioni sono state chiaramente risolte all’interno di un concilio ecumenico e nel modo più solenne. Queste dichiarazioni sono state poi più volte ribadite dal Magistero contemporaneo, anche nel Concilio Vaticano II e nel Catechismo della Chiesa Cattolica" .

 

Conclusione

 

"La Chiesa è sostenuta in ogni epoca dallo Spirito Santo, che le è stato promesso da Cristo stesso (Gv 15, 26). Perciò, ogniqualvolta si trova ad affrontare grandi sfide nell’evangelizzazione, essa sa anche che Dio le concederà certamente le grazie necessarie per la sua missione. Molti uomini e donne della nostra epoca si trovano a dover subire grandi sofferenze.

La rivoluzione sessuale ha provocato milioni di vittime. Tanti hanno profonde ferite, difficili da guarire. Per quanto problematica sia tale situazione, essa rappresenta altresì un importante opportunità apostolica per la Chiesa. L’essere umano è spesso consapevole dei propri fallimenti e pure delle proprie colpe, ma non del rimedio offerto dalla grazia e dalla misericordia di Cristo. Soltanto il Vangelo può realmente soddisfare i desideri del cuore umano e guarire le gravissime ferrite presenti oggi nella nostra cultura.


L’insegnamento della Chiesa sul matrimonio, sul divorzio, sulla sessualità umana e sulla castità è certamente difficile da accogliere. Cristo stesso ne era consapevole quando l’ha proclamato. Tuttavia, questa verità porta con sé un autentico messaggio di libertà e speranza: esiste una via d’uscita dal vizio e dal peccato. Esiste una via che conduce verso la felicità e l’amore. Richiamando queste verità, la Chiesa può accettare il compito dell’evangelizzazione nel nostro tempo con gioia e speranza".

 

Caterina63
00domenica 15 marzo 2015 14:43

 17.2.2015



Omelie di Quaresima. Un'antologia d'autore


Esercizi di predicazione liturgica per il mercoledì delle ceneri e per le cinque domeniche di preparazione alla Pasqua. Dall'archivio di Benedetto XVI.




 – Papa Francesco ha promulgato otto giorni fa un "Direttorio omiletico" per rieducare il clero di tutto il mondo alla predicazione:

> Direttorio omiletico


> Homiletic Directory

E dopodomani, giovedì 19 febbraio, dedicherà  proprio all'arte del predicare il tradizionale incontro d'inizio Quaresima con i preti della sua diocesi di Roma.

Alle omelie papa Francesco tiene moltissimo. In quello che è il documento programmatico del suo pontificato, l'esortazione apostolica "Evangelii gaudium", dedica ad esse una sezione di molte pagine. E con le sue quotidiane omelie di Casa Santa Marta propone lui stesso un concreto modello di predicazione. Molto efficace sotto il profilo comunicativo, a giudicare dall'attenzione che riscuote.

Con ciò Francesco si pone in perfetta continuità con la Chiesa di sempre. La letteratura dei Padri della Chiesa è fatta in grande misura di omelie liturgiche. E il ritorno alla fonti bibliche e patristiche che è sfociato nel Concilio Vaticano II ha fortemente aiutato a restituire all'omelia il suo carattere proprio, come parte dell'azione liturgica, anzi, come essa stessa liturgia, parola di Dio che si fa carne, "et Verbum caro factum est".

Quelli che seguono sono i rimandi alle omelie quaresimali di un papa grande omileta e liturgo, sotto questo aspetto forse il più grande dell'ultimo secolo: Benedetto XVI.

La serie comincia con un'omelia del mercoledì delle ceneri, giorno d'inizio della Quaresima nel rito romano, scelta qui tra le otto pronunciate anno dopo anno dallo stesso papa nella stessa occasione, l'ultima due giorni dopo l'annuncio delle sue dimissioni, delle quali omelie si danno comunque tutti i rimandi.

Seguono tre omelie e due "Angelus" per ciascuna delle cinque domeniche di Quaresima del ciclo B del lezionario liturgico, quello in uso quest'anno in tutte le messe di rito romano del mondo.

Gli "Angelus" sono quelle piccole omelie – talvolta dei veri gioielli – che sia Benedetto XVI sia il suo successore Francesco rivolgono ai fedeli e ai pellegrini la domenica mezzogiorno in piazza San Pietro commentando le letture della messa del giorno, ogni volta che non celebrano in pubblico.

Per la IV Domenica di Quaresima del ciclo B, oltre al relativo "Angelus" del 2012, si dà anche il rimando all'omelia pronunciata da Benedetto XVI nella messa delle stessa domenica durante il suo viaggio in Angola del 2009, segnata da numerosi riferimenti al contesto locale.

Le omelie di Quaresima del ciclo B non rappresentano la vetta dell'omiletica di Benedetto XVI, come lo sono invece quelle dei periodi natalizio e pasquale.

Ma le otto suggestive omelie del mercoledì delle ceneri valgono da sole d'essere rilette, per penetrare il senso profondo della Quaresima, che ognuna di esse spiega da un'angolatura diversa e talora insospettata. 

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> OMELIA DEL MERCOLEDÌ DELLE CENERI
22 febbraio 2012

Gioele 2, 12-18
2 Corinzi 5,20 - 6, 2
Matteo 6, 1-6.16-18

… Il segno della cenere ci riporta al grande affresco della creazione, in cui si dice che l’essere umano è una singolare unità di materia e di soffio divino, attraverso l’immagine della polvere del suolo plasmata da Dio e animata dal suo respiro insufflato nelle narici della nuova creatura… Quando Egli dice all’uomo: "Polvere tu sei e in polvere ritornerai", insieme con la giusta punizione intende anche annunciare una via di salvezza, che passerà proprio attraverso la terra, attraverso quella "polvere", quella "carne" che sarà assunta dal Verbo…

Ma vedi anche:

> 1 marzo 2006

> 21 febbraio 2007

> 6 febbraio 2008

> 25 febbraio 2009

> 17 febbraio 2010

> 5 febbraio 2011

> 13 febbraio 2013

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> "ANGELUS" DELLA I DOMENICA DI QUARESIMA - ANNO B
1 marzo 2009

Genesi 9, 8-15
1 Pietro 3, 18-22
Marco 1, 12-15

… Nel deserto appare con viva drammaticità la realtà della "kenosis", dello svuotamento di Cristo, che si è spogliato della forma di Dio. Lui, che non ha peccato e non può peccare, si sottomette alla prova e perciò può compatire la nostra infermità. Si lascia tentare da Satana, l’avversario, che fin dal principio si è opposto al disegno salvifico di Dio in favore degli uomini. Quasi di sfuggita, nella brevità del racconto, di fronte a questa figura oscura e tenebrosa che osa tentare il Signore, appaiono gli angeli, figure luminose e misteriose… Gli angeli servono Gesù, che è certamente superiore ad essi, e questa sua dignità viene qui, nel Vangelo, proclamata in modo chiaro, seppure discreto. Infatti anche nella situazione di estrema povertà e umiltà, quando è tentato da Satana, Egli rimane il Figlio di Dio, il Messia, il Signore… 

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> OMELIA DELLA II DOMENICA DI QUARESIMA - ANNO B
4 marzo 2012

Genesi 22, 1-18
Romani 8, 31-34
Marco 9, 2-10

… Gesù prende con sé i tre discepoli per aiutarli a comprendere che la strada per giungere alla gloria, la strada dell’amore luminoso che vince le tenebre, passa attraverso il dono totale di sé, passa attraverso lo scandalo della Croce. E il Signore sempre di nuovo deve prendere con sé anche noi, almeno per cominciare a capire che questo è il cammino necessario. La trasfigurazione è un momento anticipato di luce che aiuta anche noi a guardare alla passione di Gesù con lo sguardo della fede. Essa, sì, è un mistero di sofferenza, ma è anche la "beata passione" perché è – nel nucleo – un mistero di amore straordinario di Dio; è l’esodo definitivo che ci apre la porta verso la libertà e la novità della risurrezione, della salvezza dal male…

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> OMELIA DELLA III DOMENICA DI QUARESIMA - ANNO B
19 marzo 2006

Esodo 20, 1-17
I Corinzi 1, 22-25
Giovanni 2, 13-25

… Davanti alla richiesta dei responsabili religiosi, che pretendono un segno della sua autorità, tra lo stupore dei presenti Gesù afferma: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere". Parola misteriosa, incomprensibile in quel momento, ma che Giovanni riformula per i suoi lettori cristiani, osservando: "Egli parlava del tempio del suo Corpo". Quel "tempio" i suoi avversari l'avrebbero distrutto, ma Lui dopo tre giorni l'avrebbe ricostruito mediante la risurrezione. La dolorosa e "scandalosa" morte di Cristo sarebbe stata coronata dal trionfo della sua gloriosa risurrezione. Mentre in questo tempo quaresimale ci prepariamo a rivivere nel triduo pasquale questo evento centrale della nostra salvezza, noi già guardiamo al Crocifisso intravedendo in Lui il fulgore del Risorto…

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> "ANGELUS" DELLA IV DOMENICA DI QUARESIMA - ANNO B
18 marzo 2012

2 Cronache 36, 14-23
Efesini 2, 4-10
Giovanni 3, 14-21

… Se infinito è l’amore misericordioso di Dio, che è arrivato al punto di dare il suo unico Figlio in riscatto della nostra vita, grande è anche la nostra responsabilità. Ciascuno, infatti, deve riconoscere di essere malato, per poter essere guarito; ciascuno deve confessare il proprio peccato, perché il perdono di Dio, già donato sulla Croce, possa avere effetto nel suo cuore e nella sua vita. Scrive sant’Agostino: "Dio condanna i tuoi peccati; e se anche tu li condanni, ti unisci a Dio. Quando comincia a dispiacerti ciò che hai fatto, allora cominciano le tue opere buone, perché condanni le tue opere cattive. Le opere buone cominciano con il riconoscimento delle opere cattive"…

Ma vedi anche:

> 22 marzo 2009, Luanda, Angola

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> OMELIA DELLA V DOMENICA DI QUARESIMA - ANNO B
29 marzo 2009

Geremia 31. 31-34
Ebrei 5, 7-9
Giovanni 12, 20-33

… Questo è il grande evento del Monte degli Ulivi, il percorso che dovrebbe realizzarsi fondamentalmente in ogni nostra preghiera: trasformare, lasciare che la grazia trasformi la nostra volontà egoistica e la apra ad uniformarsi alla volontà divina. Gli stessi sentimenti affiorano nel brano della Lettera agli Ebrei, proclamato nella seconda lettura. Prostrato da un’angoscia estrema a causa della morte che incombe, Gesù offre a Dio preghiere e suppliche “con forti grida e lacrime”. Invoca aiuto da Colui che può liberarlo, sempre però restando abbandonato nelle mani del Padre. E proprio per questa sua filiale fiducia verso Dio – nota l’autore – è stato esaudito, nel senso che è risorto, ha ricevuto la vita nuova e definitiva. La Lettera agli Ebrei ci fa capire che queste preghiere insistenti di Gesù, con lacrime e grida, erano il vero atto del sommo sacerdote, col quale offriva se stesso e l’umanità al Padre, trasformando così il mondo…

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Caterina63
00domenica 17 maggio 2015 19:35


  La preparazione di una omelia moderna

 invitiamo i sacerdoti a riflettere....

L’OMELIA DI DON TENTENNA

Atto unico (*)

Personaggi:
don TENTENNA, curato in una parrocchia;
il diavolo FISCHIONE, invisibile, che si manifesta con una voce cavernosa e un’ombra indistinta gesticolante sul muro.

Lo studio di una canonica. Don Tentenna siede al tavolo, coperto di libri e di carte, intento a scrivere l’omelia per la domenica successiva.

Alle sue spalle, Fischione, a lui invisibile, sibila ogni tanto al suo orecchio. Non c’è un vero dialogo, perché don Tentenna, oltre a non vedere il diavolo, non lo sente. Tuttavia, senza rendersene conto, ne capta i suggerimenti e li mette in pratica, come fanno del resto tutti gli esseri umani, specialmente quando non credono all’esistenza del demonio, o anche semplicemente ne dubitano, perché è proprio allora che ne diventano lo zimbello. Nel soliloquio del valoroso ecclesiastico i suggerimenti diabolici si insinuano in modo del tutto inavvertito, conducendolo a pasticciare una miserabile omelia invertebrata, di quelle che fin troppo spesso siamo costretti ad ascoltare.

TENTENNA — Dunque, vediamo: il testo di domani è... oh, santo cielo... (leggendo) “Abramo gli si avvicinò e gli disse: ‘Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? Lungi da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lungi da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?’ Rispose il Signore: ‘Se a Sodoma troverò cinquanta giusti, per riguardo a loro perdonerò a tutta la città.’ — Abramo riprese e disse: ‘Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere... Forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque: per questi cinque distruggerai tutta la città?’
Rispose: ‘Non la distruggerò se ve ne trovo quarantacinque.’ Abramo riprese ancora a parlargli e disse: ‘Forse là se ne troveranno quaranta.’ Rispose: ‘Non lo farò, per riguardo a quei quaranta.’ Riprese: ‘Non si adiri il mio Signore se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta.’ Rispose: ‘Non lo farò, se ve ne troverò trenta.’ Riprese: ‘Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti.’ Rispose: ‘Non la distruggerò per riguardo a quei venti.’ Riprese: ‘Non si adiri il mio Signore se parlo ancora una volta sola; forse là se ne troveranno dieci.’ Rispose: ‘Non la distruggerò per riguardo a quei dieci’”...

FISCHIONE — Pfii, pfiii, pfiiii! Questo sì che si chiama contrattare. Pfii, pfiii, pfiiii!
TENTENNA — Ma la fine della storia... “Il Signore fece piovere dal cielo sopra Sodoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore. Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo.”
FISCHIONE — Pfii, pfiii, pfiiii! Brutta storia. Pfii, pfiii, pfiiii!
TENTENNA — (dandosi dei colpi alla testa con la mano) Non capisco perché oggi mi fischiano tanto le orecchie.
FISCHIONE — Pfii, pfiii, pfiiii! Non vedi che vai a cacciarti nella cacca a tirar fuori queste cose? I tempi sono cambiati. Pfii, pfiii, pfiiii!
TENTENNA — Certo sono argomenti spinosi. E poi le Scienze Umane Blaterontiche stanno ancora cercando una risposta a questi problemi...
FISCHIONE — Pfii, pfiiii, pfiiiiii! Forza scienza! Forza blateronti! Pfii, pfiii, pfiiii! Pfii, pfiii, pfiiii!
TENTENNA — Bisogna rispettare la Scienza.
FISCHIONE — Pfii, pfiii, pfiiii! Rispettare tutto, tutto. Tutto, meno “Quello là” che abbiamo fatto crocifiggere. Pfii, pfiii, pfiiii!
TENTENNA — E poi chi sono io per giudicare?
FISCHIONE — Pfii, pfiii, pfiiii! Nessuno sei, ecco quello che sei. Non giudicare il peccatore e nemmeno il peccato. Tutti diranno bene di te. Barcamenati, barcamenati: la tua barca non subirà scosse... fino all’abisso... Macché Niagara, macché Cascate Vittoria, macché Iguazù... Nessuno l’ha mai misurata la nostra cascata.. E io sarò lì ad aspettarti... Ma per il momento sorvolare, sorvolare... Pfii, pfiii, pfiiii!
TENTENNA — Già... al giorno d’oggi meglio sorvolare...
FISCHIONE — Ah, ah, ah! Cercare quello che unisce... Pfii, pfiiii, pfiiiii!
TENTENNA — E dai con questo fischio. Dunque, cerchiamo ciò che unisce...
FISCHIONE — Pfii, pfiii, pfiiii! Il perdono, il perdono... Pfii, pfiii, pfiiii!
TENTENNA — Ma il perdono, naturalmente. Tutti perdonati, tutti contenti. Meglio non andare fino in fondo. Meglio non ricordare com’è andata a finire... Pure... a lezione di teologia mi pare di ricordare... mi pare...
FISCHIONE — Pfii, pfiii, pfiiii! Ma lascia perdere, lascia perdere... cose vecchie... Pfii, pfiii, pfiiii!

TENTENNA — ... che le catastrofi bibliche sono tutte figura e anticipazione profetica di quella che sarà l’Apocalisse. Perché, dicevano, Dio, per la Sua carità, non permette che un’umanità tutta corrotta e avviata alla dannazione continui a vivere e a generare nuovi esseri umani che finirebbero tutti nell’orrore dell’inferno per l’eternità.
FISCHIONE — Pfii, pfiii, pfiiii! Ma che inferno! Non esiste l’inferno. Pfii, pfiii, pfiiii! Pfii, pfiii, pfiiii!
TENTENNA — I pochi giusti sono forse l’unica cosa che si frappone tra il mondo e l’ira di Dio? Assassinati dalle persecuzioni o corrotti che fossero anche gli ultimi giusti, nel momento supremo del trionfo diabolico, il mondo finirebbe, così dicevano. Mah...
FISCHIONE — Pfiiiii! La Chiesa non deve ammonire e minacciare. La Chiesa... meno parla, meglio è... Dev’essere al servizio dell’uomo. Hai capito? Dell’uomo, non di... “Quello là”... Ih, ih, ih, ih, ih! Pfii, pfiii, pfiiii!
TENTENNA — Certo che prima di tutto occorre pensare all’uomo. La fame rappresenta il grande ostacolo alla realizzazione del Regno su questa terra.
FISCHIONE — Pfii, pfiii, pfiiii! Giusto! L’anima non esiste. Pfii, pfiii, pfiiii!
TENTENNA — Sradicata la fame, sarebbe tutto risolto...
FISCHIONE — Pfiii! Ma quanto sei bestia! Quando fossero tutti ricchi, credi che la malvagità, l’avidità, l’invidia, le guerre cesserebbero? Ma così va bene, continua così. Pfii, pfiii, pfiiii!
TENTENNA — Pure mi ricordo che il mio vecchio professore al seminario diceva che il Cristianesimo si riassume in sette parole. Com’erano?
FISCHIONE — Pfii, pfiii, pfiiii! Dimenticalo il vecchio. È morto (purtroppo ci è sfuggito e adesso sta con “Quello lassù”). Pfii, pfiii, pfiiii!

TENTENNA — (incerto) Sette parole...
FISCHIONE — Pfi, pfii, pfiiii, pfiiiiii! Dimentica, dimentica. Pfii, pfiii, pfiiii!
TENTENNA — (mentre il ricordo riemerge) Sette parole. Quali? “Cristo è risorto. Morte, Giudizio, Inferno, Paradiso.”
FISCHIONE — Pfii, pfiii, pfiiii! Macché, macché. Le parole sono cinque: “Ambiente, Dialogo, Pauperismo, Progresso, Umanesimo.” La mia stella a cinque punte, il mio pentacolo... Ah, ah, ah, ah, ah! Pfii, pfiii, pfiiiii!
TENTENNA — (rabbrividendo) Il Giudizio... L’Inferno... La fine del mondo...
FISCHIONE — Pfii, pfiii, pfiiii! Non ci pensare. L’aldilà non esiste. Pfii, pfiii, pfiiii!
TENTENNA — La fine del mondo... Ne parla l’Apocalisse... Ma di cosa parla l’Apocalisse? Un libro così oscuro... Chissà che significa?
FISCHIONE — Pfii, pfiii, pfiiii! Niente, non significa niente. Pfii, pfiii, pfiiii!
TENTENNA — L’ira... il giorno dell’ira... Ma Dio può adirarsi?
FISCHIONE — (rabbrividendo, terrorizzato) E non sai quanto! Pfiiiiiiiiiiiiiiiii!
TENTENNA — Ma l’inferno, poi, esisterà?
FISCHIONE — Pfii, pfiii, pfiiii! Bravo, bravo, così va bene: dubita, dubita. Tu non sai, non vedi e non sai. Nebbia, nebbia... Pfii, pfiii, pfiiii, pfiiiiiii, pfiiiiiiiiii!

TENTENNA — E fischia la mia povera testa... Come può un Dio buono mandare qualcuno all’inferno?
FISCHIONE — Pfii, pfiii, pfiiii! Non può, non può... Vuoto, vuoto, vuoto... Pfiiiiiiii!
TENTENNA — Magari l’inferno c’è, ma è vuoto...
FISCHIONE — Pfii, pfiii, pfiiii!
TENTENNA — Ma cos’è questo fischio che ho sempre nelle orecchie?
FISCHIONE — Pfii, pfiii, pfiiii! Sarà la pressione del sangue. Forse hai mangiato troppo. Pfii, pfiii, pfiiii! Pfii, pfiii, pfiiii!
TENTENNA — Sarà il sangue. Uno di questi giorni andrò a farmi misurare la pressione. Dunque, dov’ero rimasto? Ah sì, l’inferno... la fine del mondo... ma no, ma no, non bisogna spaventare la gente. Su, non siamo mica più nel medioevo. L’ira?... Meno male che non ci fanno più cantare il “Dies irae”.
FISCHIONE — Pfii, pfiii, pfiiii! Bravo, bravo, bravissimo. Anch’io odio quel canto. Non spaventate la gente. A spaventarla ci penso io, dopo... Il più spaventoso film horror è uno scherzetto al confronto. Vedrai, vedrai anche tu, vedrai... Ah, ah, ah! Pfii, pfiii, pfiiii! Uah, uah, uah! Pfii, pfiii, pfiiii!

TENTENNA — E la minaccia dell’asteroide? Ne ha parlato ieri sera la televisione. Una sberla come quella che ha cancellato i dinosauri cancellerebbe anche noi. C’è proprio da aver paura. Ma perché trasmettono roba del genere?
FISCHIONE — Pfii, pfiii, pfiiii! Perché ogni tanto la verità viene a galla, maledizione... Pfii, pfiii, pfiiii!
TENTENNA — Sarebbe davvero la fine del mondo. Io non voglio che il mondo finisca.
FISCHIONE — Pfii, pfiii, pfiiii! Figurati io... Pfii, pfiii, pfiiii!
TENTENNA — Meno male che poi un altro scienziato ha contraddetto il primo: non è vero niente, i dinosauri si sono estinti poco per volta, la vera minaccia alla Terra è l’uomo.
FISCHIONE — (deliziato) Pfiiiiiii! Divinizzate la Terra, bravi, bravi, bravi! Gaia l’abbiamo inventata noi. Il nostro dipartimento “ambientalismo”, guidato da Verdirospo ed Ecoballa funziona davvero alla grande (in un lampo appaiono e scompaiono le ombre verdastre di due piccoli demoni ripugnanti, il più bello simile a un rospo, l’altro somigliantissimo a un certo Folchetto Prataioli, illustre ambientalista). I rivoltanti bipedi umani ci cascano come polli. E quelli che profittano dell’ambientalismo, che ci mangiano sopra, ah... quando precipitano giù da noi, diventano i nostri arrosti più prelibati. Pfii, pfiiii, pfiiiiiii, pfiiiiiiiiiiii!
TENTENNA — La strage finale e il giudizio... Bah, non ci pensiamo troppo. Torniamo all’omelia.
FISCHIONE — Pfii, pfiii, pfiiii! La gente è ignorante... Pfii, pfiii, pfiiii!
TENTENNA — Ho trovato! Per fortuna la gente è ignorante, così nella lettura del testo scendo solo fino a venti... No, a trenta giusti... Lì mi fermo e predico: “Perdono, perdono, perdono.”
FISCHIONE — (estatico) Pfiiiiiiiiiiii! Idea stupenda: il perdono a tutti, il perdono a chi non si pente, il perdono diabolico! Bello, bello!... Pfiiiiiii!

TENTENNA — (felice come chi ha trovato la quadratura del cerchio) Ecco: tutta l’omelia impostata sul perdono e sull’uomo. L’umanità ha bisogno di perdono; (con improvvisa autorità) il perdono, non la giustizia; il perdono senza limiti, il perdono a qualunque costo, il perdono che precorre il pentimento, il perdono che precorre la colpa.
FISCHIONE — (esilarato) Pfii, pfiii, pfiiii! Magnifico, magnifico, magnifico: “Ch’assolver non si può chi non si pente, / né pentére e volere insieme puossi / per la contraddizion che nol consente,” come disse un mio illustre collega portandosi via Guido da Montefeltro, maestro di consigli fraudolenti, che si era fidato di Bonifacio VIII. Pfiii, pfiiiii, pfiiiiiii!
TENTENNA — (allargando le braccia, ispirato) La Chiesa deve applicare la medicina del perdono e non brandire l’arma della severità.
FISCHIONE — (saltando qua e là dalla gioia) Pfii, pfiii, pfiiii! Papé Satàn, papé Satàn aleppe! Pfii, pfiii, pfiiii! Pfiii, pfiiiii, pfiiiiiii!
TENTENNA — (ancor più ispirato, con le braccia spalancate) Andiamo ad abbracciare il mondo. Andiamo incontro all’uomo. La Chiesa non ha più nemici.
FISCHIONE — (ridendo a crepapelle) Uah, uah, uah! Ih, ih, ih! Pfii, pfiii, pfiiii! Ih, ih, ih! Uh, uh, uh! Pfii, pfiii, pfiiii!
TENTENNA — (in estasi) Via con i profeti di sciagure. Dobbiamo essere ottimisti e confidare nell’uomo... Sarà una nuova Pentecoste...
FISCHIONE — (trionfante) Come mi piace questo sale insipido! Possiamo rilassarci, legione. Un’alba radiosa spunta sulle porte dell’inferno. Uah, uah, uah! Ih, ih, ih! Pfii, pfiii, pfiiii!
TENTENNA — (ammirando il proprio colpo di genio) ... una nuova Pentecoste...

(*) tratto da: satire clericali – Maria Antonietta ed Emilio Biagini
Fede & Cultura
viale della repubblica, 15
37126 Verona (Italy)
Tel. 045-941851
Fax 045-9251058

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Vedi anche:
Indice dei racconti e storielle - Catechesi attraverso storie popolari

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e questo: Quello che i preti non dicono più

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