Importante Discorso del Papa alla Diplomazia in Vaticano

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Caterina63
00giovedì 8 gennaio 2009 14:31

Alle ore 11 di questa mattina, nella Sala Regia del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, per la presentazione degli auguri per il nuovo anno 2009


Dopo l’indirizzo augurale formulato dal Decano del Corpo Diplomatico, S.E. il Sig. Alejandro Emilio Valladares Lanza, Ambasciatore di Honduras presso la Santa Sede, il Papa pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:



Eccellenze,

Signore e Signori,


il mistero dell’Incarnazione del Verbo, che noi riviviamo ogni anno nella Festa del Natale, ci invita a meditare sugli avvenimenti che segnano il corso della storia. Ed è precisamente nella luce di questo mistero pieno di speranza che si tiene questo incontro tradizionale con voi, illustri membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, che, all'inizio di questo anno nuovo ci offre un'occasione opportuna per scambiare cordiali auguri. Mi rivolgo innanzitutto a Sua Eccellenza l'Ambasciatore Alejandro Valladares Lanza, esprimendogli la mia gratitudine per gli auguri che mi ha gentilmente presentato, per la prima volta, come Decano del Corpo diplomatico. Il mio saluto deferente si estende ad ognuno di voi, così come alle vostre famiglie ed ai vostri collaboratori e, attraverso voi, ai popoli ed ai governi dei Paesi che voi rappresentate. Per tutti, chiedo Dio il dono di un anno che sia fecondo di giustizia, di serenità e di pace.


All’alba di questo 2009, il mio pensiero affettuoso va innanzitutto a quanti hanno sofferto a causa di gravi catastrofi naturali, in particolare in Vietnam, in Birmania, in Cina e nelle Filippine, in America Centrale e nei Caraibi, in Colombia e in Brasile, o a causa di sanguinosi conflitti nazionali o regionali o a causa di attentati terroristi che hanno seminato la morte e la distruzione in Paesi come l’Afghanistan, l’India, il Pakistan e l’Algeria. Nonostante tanti sforzi, la pace così desiderata è ancora lontana! Di fronte a ciò, non dobbiamo scoraggiarci o diminuire l'impegno a favore di una cultura di pace, ma a raddoppiare i nostri sforzi per promuovere la sicurezza e lo sviluppo. In questo senso, la Santa Sede ha voluto essere tra i primi a firmare e ratificare la "Convenzione sulle munizioni a grappolo", un documento che ha l'obiettivo di rafforzare il diritto umanitario internazionale. D'altra parte, osservando con preoccupazione i sintomi di una crisi che emergono nel settore del disarmo e della non proliferazione nucleare, la Santa Sede continua a ricordare che non siamo in grado di costruire la pace, quando la spesa militare sottrae enormi risorse umane e materiali per i progetti di sviluppo, specialmente dei popoli più poveri.

              Pope Benedict XVI (L) greets Israeli ambassador to the Vatican Mordechai Lewy during his annual address to the Vatican diplomatic corps on January 8, 2009 at the Vatican. Pope Benedict XVI said that military options were not a solution in the Middle East and called for a new ceasefire between Israel and Hamas in the Gaza Strip. From Getty Images by AFP/Getty Images.


Ed è verso i poveri, i troppo numerosi poveri del nostro pianeta, che vorrei rivolgere la mia attenzione oggi, nella scia del Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, che ho dedicato quest'anno al tema "combattere la povertà, costruire la pace". Le parole con le quali il Papa Paolo VI iniziava la sua riflessione nella Enciclica Populorum Progressio non hanno perso nulla della loro attualità: "Essere affrancati dalla miseria, garantire in maniera più sicura la propria sussistenza, la salute, un'occupazione stabile; una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori da ogni oppressione, al riparo da situazioni che offendono la loro dignità di uomini; godere di una maggiore istruzione; in una parola, fare conoscere e avere di più, per essere di più: ecco l'aspirazione degli uomini di oggi, mentre un gran numero d'essi è condannato a vivere in condizioni che rendono illusorio tale legittimo desiderio" (n.6).

Per costruire la pace, occorre ridare speranza ai poveri. Come non pensare a tante persone e famiglie colpite dalle difficoltà e dalle incertezze che l’attuale crisi finanziaria ed economica ha causato a livello mondiale? Come non evocare la crisi alimentare e il surriscaldamento climatico, che rendono ancora più arduo l'accesso al cibo e all’acqua per gli abitanti delle regioni fra le più povere del pianeta? È d’ora innanzi urgente adottare una strategia efficace per combattere la fame e facilitare lo sviluppo agricolo locale, soprattutto perché la percentuale di persone povere nei Paesi ricchi aumenta. In questo contesto, sono lieto che in occasione della recente Conferenza di Doha sul finanziamento dello sviluppo, siano stati individuati i criteri utili per orientare la gestione del sistema economico e aiutare i più deboli. Più in profondità, per rendere l'economia sana, è necessario costruire una nuova fiducia. Ciò può essere realizzato solo attraverso l'attuazione di un’etica basata sulla dignità innata della persona umana. So quanto ciò sia impegnativo, ma non è un'utopia! Oggi più di ieri, il nostro futuro è in gioco, così come il destino stesso del nostro pianeta e dei suoi abitanti, in primo luogo delle giovani generazioni che ereditano un sistema economico e un tessuto sociale fortemente compromessi.


Sì, Signore e Signori, se vogliamo lottare contro la povertà, dobbiamo investire soprattutto nei giovani, educandoli a un ideale di vera fraternità. Durante il mio viaggio apostolico dello scorso anno, ho avuto l'opportunità di incontrare molti giovani, soprattutto nel contesto della straordinaria celebrazione della XXIII Giornata Mondiale della Gioventù a Sydney, in Australia. I miei viaggi apostolici, iniziati con una visita negli Stati Uniti, hanno anche contribuito a valutare le aspettative di molti settori della società nei confronti della Chiesa cattolica. In questa delicata fase della storia umana, segnata da incertezze e dubbi, molti si aspettano che la Chiesa svolga con coraggio e chiarezza la sua missione di evangelizzazione e la sua opera di promozione umana.

Il mio intervento presso la Sede delle Nazioni Unite si inseriva in questo contesto: sessant’anni dopo l'adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, ho voluto sottolineare che questo documento si basa sulla dignità della persona umana, e questa sulla natura comune a tutti che trascende le diverse culture.

Dopo qualche mese, mi sono recato in pellegrinaggio a Lourdes per il cento cinquantesimo anniversario delle apparizioni della Vergine Maria a santa Bernadette, ho voluto sottolineare che il messaggio di conversione e di amore che si irradia dalla grotta di Massabielle resta di grande attualità, come un costante invito a costruire la nostra esistenza e le relazioni tra i popoli sulla base del rispetto e dell’autentica fraternità, nella consapevolezza che tale fraternità suppone un comune Padre di tutti gli uomini, il Dio Creatore. [SM=g1740750]

Inoltre, una sana laicità della società non ignora la dimensione spirituale e i suoi valori, perché la religione, e mi è sembrato utile ripeterlo durante la mia visita pastorale in Francia, non è un ostacolo, ma piuttosto un solido fondamento per la costruzione di una società più giusta e più libera.[SM=g1740717]


Le discriminazioni e i gravissimi attacchi di cui sono stato vittime, l’anno scorso, migliaia di cristiani, mostrano come non sia soltanto la povertà materiale, ma anche la povertà morale a nuocere alla pace. [SM=g1740720]
E’ nella povertà morale, infatti, che simili abusi affondano le loro radici.
 
Riaffermando l’alto contributo che le religioni possono dare alla lotta contro la povertà e alla costruzione della pace, vorrei ripetere in questa assemblea che, idealmente, rappresenta tutte le nazioni del mondo: il cristianesimo è una religione di libertà e di pace ed è al servizio del vero bene dell’umanità.

Ai nostri fratelli e alle nostre sorelle vittime della violenza, specialmente in Iraq e in India, rinnovo l’assicurazione del mio paterno affetto; alle autorità civili e politiche, domando insistentemente di adoperarsi con energia per mettere fine all’intolleranza e alle vessazioni contro i cristiani, di far sì che siano riparati i danni provocati, in particolare ai luoghi di culto e alle proprietà; e di incoraggiare con ogni mezzo il giusto rispetto per tutte le religioni, mettendo al bando ogni forma di odio e di disprezzo. [SM=g1740720]

Auspico altresì che, nel mondo occidentale, non si coltivino pregiudizi o ostilità contro i cristiani, semplicemente perché, su certe questioni, la loro voce dissente. Da parte loro, i discepoli di Cristo, di fronte a tali prove, non si perdano d’animo: la testimonianza del Vangelo è sempre un "segno di contraddizione" rispetto allo "spirito del mondo"! Se le tribolazioni sono penose, la costante presenza di Cristo è un potente conforto. Il suo Vangelo è un messaggio di salvezza per tutti ed è per questo che esso non può essere confinato nella sfera privata, ma va proclamato sui tetti, fino alle estremità della terra.[SM=g1740720]



            Pope Benedict XVI (C) arrives to deliver his annual address to the Vatican diplomatic corps on January 8, 2009 at the Vatican. Pope Benedict XVI said that military options were not a solution in the Middle East and called for a new ceasefire between Israel and Hamas in the Gaza Strip. From Getty Images by AFP/Getty Images.

La nascita di Cristo nella povera grotta di Betlemme ci conduce naturalmente ad evocare la situazione nel Medio-Oriente e, in primo luogo, in Terra Santa, dove, in questi giorni, assistiamo ad una recrudescenza di violenza che provoca danni e immense sofferenze alle popolazioni civili. Questa situazione complica ancora la ricerca di una via d’uscita dal conflitto tra Israeliani e Palestinesi, vivamente desiderata da molti di essi e dal mondo intero. Una volta di più, vorrei ripetere che l’opzione militare non è una soluzione e che la violenza, da qualunque parte essa provenga e qualsiasi forma assuma, va condannata fermamente. Auspico che, con l’impegno determinante della comunità internazionale, la tregua nella striscia di Gaza sia rimessa in vigore – ciò che è indispensabile per ridare condizioni di vita accettabili alla popolazione – e che siano rilanciati i negoziati di pace rinunciando all’odio, alle provocazioni e all’uso delle armi.

E’ molto importante che, in occasione delle scadenze elettorali cruciali che interesseranno molti abitanti della regione nei prossimi mesi, emergano dirigenti capaci di far avanzare con determinazione questo processo e di guidare i loro popoli verso la difficile ma indispensabile riconciliazione. A questa non si potrà giungere senza adottare un approccio globale ai problemi di quei Paesi, nel rispetto delle aspirazioni e degli interessi legittimi di tutte le popolazioni coinvolte. Oltre agli sforzi rinnovati per la soluzione del conflitto israelo-palestinese, che ho appena menzionato, occorre dare un sostegno convinto al dialogo tra Israele e la Siria e, per il Libano, appoggiare il consolidarsi in atto delle istituzioni, che sarà tanto più efficace quanto più si compirà in uno spirito di unità.

Agli Iracheni, che si preparano a riprendere pienamente in mano il proprio destino, rivolgo un incoraggiamento particolare a voltare pagina per guardare al futuro, per costruirlo senza discriminazioni di razza, di etnia o di religione. Per quanto riguarda l’Iran, non bisogna rinunciare a ricercare una soluzione negoziata alla controversia sul programma nucleare, attraverso un dispositivo che permetta di soddisfare le legittime esigenze del Paese e della comunità internazionale. Un simile risultato favorirebbe grandemente la distensione regionale e mondiale.



Volgendo lo sguardo al grande continente asiatico, constato con preoccupazione che in certi Paesi le violenze perdurano e in altri la situazione politica rimane tesa, ma vi sono dei progressi che permettono di guardare al futuro con maggiore fiducia. Penso, ad esempio, alla ripresa di nuovi negoziati di pace a Mindanao, nelle Filippine, e al nuovo corso che prendono le relazioni tra Pechino e Taipei. Nel medesimo contesto di ricerca di pace, anche una soluzione definitiva del conflitto in corso in Sri Lanka non potrebbe essere che politica, mentre i bisogni umanitari delle popolazioni interessate devono rimanere oggetto di attenzione continua. Le comunità cristiane che vivono in Asia sono spesso ridotte dal punto di vista numerico, ma desiderano offrire un contributo convinto ed efficace al bene comune, alla stabilità e al progresso dei loro Paesi, testimoniando il primato di Dio, che stabilisce una sana gerarchia di valori e dona una libertà più forte delle ingiustizie.

           Pope Benedict XVI (C) arrives to deliver his annual address to the Vatican diplomatic corps on January 8, 2009 at the Vatican. Pope Benedict XVI said that military options were not a solution in the Middle East and called for a new ceasefire between Israel and Hamas in the Gaza Strip. From Getty Images by AFP/Getty Images.

La recente beatificazione di 188 martiri, in Giappone, l’ha richiamato in modo eloquente. [SM=g7831]

La Chiesa, come si è detto molte volte, non domanda privilegi, ma l’applicazione del principio della libertà religiosa in tutta la sua estensione. In tale ottica, è importante che, in Asia centrale, le legislazioni sulle comunità religiose garantiscano il pieno esercizio di questo diritto fondamentale, nel rispetto delle norme internazionali.


Fra qualche mese avrò la gioia di incontrare molti fratelli e sorelle nella fede e in umanità che vivono in Africa. [SM=g1740721] Nell’attesa di questa visita che io ho tanto desiderato, prego il Signore che i loro cuori siano disponibili ad accogliere il Vangelo e a viverlo con coerenza, costruendo la pace lottando contro la povertà morale e materiale. Una attenzione particolare dev’essere riservata all’infanzia: venti anni dopo l’adozione della Convenzione sui diritti dei bambini, essi rimangono ancora assai vulnerabili. Molti bambini vivono il dramma dei rifugiati e dei trasferiti in Somalia, nel Darfour e nella Repubblica democratica del Congo. Si tratta di flussi migratori che riguardano milioni di persone che hanno bisogno di un aiuto umanitario e che sono soprattutto private dei loro diritti elementari e feriti nella loro dignità.

Chiedo a coloro che hanno responsabilità politiche, a livello nazionale e internazionale, di prendere tutte le misure necessarie per risolvere i conflitti in corso e porre fine alle ingiustizie che li hanno provocati. Spero che in Somalia la restaurazione dello Stato possa infine progredire affinché cessino le interminabili sofferenze degli abitanti di tale Paese. Anche nello Zimbabwe la situazione rimane critica e sono necessari considerevoli aiuti umanitari. Gli Accordi di pace in Burundi hanno gettato un barlume di speranza nella regione. [SM=g1740720]

Formulo l’augurio che essi vengano pienamente applicati e diventino sorgente di ispirazione per gli altri Paesi che non hanno ancora trovato la via della riconciliazione. Come voi sapete, la Santa Sede segue con una attenzione speciale il continente africano ed è lieta di avere stabilito l’anno scorso le relazioni diplomatiche con il Botswana.


In questo vasto panorama che abbraccia il mondo intero, desidero anche fermarmi un momento sull’America Latina. Anche là i popoli desiderano vivere in pace, liberati dalla povertà e potendo liberamente esercitare i loro diritti fondamentali. In questo contesto occorre augurarsi che i bisogni di coloro che emigrano siano presi in considerazione da legislazioni che facilitino il ricongiungimento familiare e concilino le legittime esigenze della sicurezza e quelle dell’inviolabile rispetto della persona. Vorrei inoltre lodare l’impegno prioritario di certi governi per ristabilire la legalità e condurre una lotta senza compromessi contro il traffico di stupefacenti e la corruzione.

Mi rallegro che, trent’anni dopo l’inizio della mediazione pontificia sulle vertenze tra l’Argentina e il Cile riguardanti la zona australe, i due Paesi abbiano in qualche modo suggellato la loro volontà di pace elevando un monumento al mio venerato predecessore Papa Giovanni Paolo II. Spero pertanto che la recente firma dell’Accordo tra la Santa Sede e il Brasile faciliti il libero esercizio della missione evangelizzatrice della Chiesa e rafforzi ancor più la sua collaborazione con le istituzioni civili per lo sviluppo integrale della persona.

La Chiesa accompagna da cinque secoli i popoli dell’America latina, condividendo le loro speranze e le loro preoccupazioni. I suoi Pastori sanno che per favorire un autentico progresso della società, il loro specifico compito è quello di illuminare le coscienze e di formare dei laici capaci di intervenire con coraggio nelle realtà temporali, mettendosi al servizio del bene comune.


Volgendo infine il mio sguardo alle nazioni che sono più vicine, desidererei salutare la comunità cristiana della Turchia, ricordando che, in questo anno giubilare speciale in occasione del secondo millennio della nascita dell’Apostolo san Paolo, numerosi pellegrini convergono verso Tarso, sua città d’origine, sottolineando così ancora una volta lo stretto legame di questa terra con le origini del cristianesimo. Le aspirazioni alla pace sono vive a Cipro, dove sono ripresi i negoziati in vista di eque soluzioni ai problemi legati alla divisione dell’Isola.

Per quanto concerne il Caucaso vorrei ricordare ancora una volta che i conflitti che interessano gli Stati della Regione non possono essere risolti con le armi e, pensando alla Georgia, mi auguro che vengano onorati tutti gli impegni sottoscritti nell’Accordo di cessate-il-fuoco del mese di agosto scorso, concluso grazie agli sforzi diplomatici dell’Unione Europea, e che il ritorno degli sfollati nelle loro case sia al più presto reso possibile.

Trattando infine del Sud est dell’Europa, la Santa Sede continua il suo impegno per la stabilità nella regione e spera che si continueranno a creare le condizioni per un avvenire di riconciliazione e di pace tra le popolazioni della Serbia e del Kosovo, nel rispetto delle minoranze e senza dimenticare la difesa del prezioso patrimonio artistico e culturale cristiano, che costituisce una ricchezza per tutta l’umanità.


Signore e Signori Ambasciatori, al termine di questo sguardo panoramico, che a motivo della brevità non può ricordare tutte le situazioni di sofferenza e di povertà che sono presenti al mio spirito, ritorno al Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace di questo anno. In questo documento ho ricordato che gli esseri umani più poveri sono i bambini non ancora nati (n.3).

Non posso non ricordare, terminando, gli altri poveri, come i malati e le persone anziane abbandonate, le famiglie divise e senza possibilità di rimedio. La povertà si combatte se l’umanità è resa più fraterna tramite valori ed ideali condivisi, fondati sulla dignità della persona, sulla libertà unita alla responsabilità, sul riconoscimento effettivo del posto di Dio nella vita dell’uomo.

In questa prospettiva, fissiamo il nostro sguardo su Gesù, l’umile bambino deposto nella mangiatoia. Poiché Egli è il Figlio di Dio[SM=g7182] , ci indica che la solidarietà fraterna tra tutti gli uomini è la via maestra per combattere la povertà e costruire la pace. [SM=g1740720] Che la luce del Suo amore illumini tutti i governanti e tutta l’umanità! Che essa ci guidi per tutto questo nuovo anno che sta incominciando!

Buon anno a tutti.

             Pope Benedict XVI (C) delivers his annual address to the Vatican diplomatic corps on January 8, 2009 at the Vatican. Pope Benedict XVI said that military options were not a solution in the Middle East and called for a new ceasefire between Israel and Hamas in the Gaza Strip. From Getty Images by AFP/Getty Images.

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Caterina63
00lunedì 11 gennaio 2010 12:26
Alle ore 11 di questa mattina, nella Sala Regia del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, per la presentazione degli auguri per il nuovo anno 2010.

(Attenzione, nel post precedente leggete il messaggio dell'anno scorso 2009)


DISCORSO DEL SANTO PADRE


                          Pope Benedict XVI greets foreign ambassadors to the Holy See at the end of a meeting at the Vatican January 11, 2010.

                          Pope Benedict XVI attends a meeting with foreign ambassadors to the Holy See at the Vatican January 11, 2010.

Eccellenze,
Signore e Signori
,

E’ per me motivo di grande gioia questo incontro tradizionale d’inizio d’anno, due settimane dopo la celebrazione della nascita del Verbo incarnato. Come abbiamo proclamato nella liturgia: “Nel mistero adorabile del Natale, Egli, Verbo invisibile, apparve visibilmente nella nostra carne, e generato prima dei secoli, cominciò ad esistere nel tempo, per assumere in sé tutto il creato e sollevarlo dalla sua caduta” (Prefazio II del Natale).

A Natale, quindi, abbiamo contemplato il mistero di Dio e quello della creazione; mediante l’annuncio degli angeli ai pastori ci è giunta la buona novella della salvezza dell’uomo e del rinnovamento dell’intero universo. Per questa ragione, nel
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno, ho invitato tutti gli uomini di buona volontà, ai quali gli angeli hanno promesso giustamente la pace, a custodire il creato. Ed è in questo stesso spirito che sono lieto di salutare ciascuno di Voi, in particolare coloro che sono presenti per la prima volta a questa cerimonia.
Vi ringrazio sentitamente per i voti augurali, di cui si è fatto interprete il vostro Decano, il Signor Ambasciatore Alejandro Valladares Lanza, e Vi rinnovo il mio vivo apprezzamento per la missione che svolgete presso la Santa Sede. Attraverso di Voi, desidero far giungere il mio cordiale saluto e augurio di pace e prosperità alle Autorità e a tutti gli abitanti dei Paesi che Voi degnamente rappresentate.

Il mio pensiero si estende, anche, a tutte le altre Nazioni della terra: il Successore di Pietro mantiene le sue porte aperte a tutti e con tutti desidera avere relazioni che contribuiscano al progresso della famiglia umana.

Da qualche settimana, sono state stabilite piene relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Federazione Russa: è questo un motivo di profonda soddisfazione. Allo stesso modo, è stata molto significativa la visita che mi ha reso recentemente il Presidente della Repubblica Socialista del Vietnam, Paese che è caro al mio cuore e nel quale la Chiesa sta celebrando la sua plurisecolare presenza con un Anno giubilare. Con tale spirito di apertura, nel corso del 2009, ho ricevuto numerose personalità politiche, provenienti da diversi Paesi; ho anche visitato alcuni di essi e mi propongo in futuro, nella misura del possibile, di continuare a farlo.

La Chiesa è aperta a tutti, perché – in Dio - esiste per gli altri! Pertanto essa partecipa intensamente alle sorti dell’umanità, che in questo anno appena iniziato, appare ancora segnata dalla drammatica crisi che ha colpito l’economia mondiale e ha provocato una grave e diffusa instabilità sociale.

Con
l’Enciclica Caritas in veritate ho invitato ad individuare le radici profonde di tale situazione: in ultima analisi, esse risiedono nella mentalità corrente egoistica e materialistica, dimentica dei limiti propri a ciascuna creatura.
Oggi mi preme sottolineare che questa stessa mentalità minaccia anche il creato. Ciascuno di noi, probabilmente, potrebbe citare qualche esempio dei danni che essa arreca all’ambiente, in ogni parte del mondo.

Ne cito uno, tra i tanti, dalla storia recente dell’Europa: vent’anni fa, quando cadde il Muro di Berlino e quando crollarono i regimi materialisti ed atei che avevano dominato lungo diversi decenni una parte di questo Continente, non si è potuto avere la misura delle profonde ferite che un sistema economico privo di riferimenti fondati sulla verità dell’uomo aveva inferto, non solo alla dignità e alla libertà delle persone e dei popoli, ma anche alla natura, con l’inquinamento del suolo, delle acque e dell’aria?

La negazione di Dio sfigura la libertà della persona umana, ma devasta anche la creazione! Ne consegue che la salvaguardia del creato non risponde in primo luogo ad un’esigenza estetica, ma anzitutto a un’esigenza morale, perché la natura esprime un disegno di amore e di verità che ci precede e che viene da Dio.

Pertanto, condivido la maggiore preoccupazione che causano le resistenze di ordine economico e politico alla lotta contro il degrado dell’ambiente. Si tratta di difficoltà che si sono potute constatare ancora di recente durante la XV Sessione della Conferenza degli Stati parte alla Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, svoltasi dal 7 al 18 dicembre scorso a Copenaghen. Auspico che, nell’anno corrente, prima a Bonn e poi a Città del Messico, sia possibile giungere ad un accordo per affrontare tale questione in modo efficace. La posta in gioco è tanto più importante perché ne va del destino stesso di alcune Nazioni, in particolare, alcuni Stati insulari.

Occorre, tuttavia, che tale attenzione e tale impegno per l’ambiente siano bene inquadrati nell’insieme delle grandi sfide che si pongono all’umanità. Se, infatti, si vuole edificare una vera pace, come sarebbe possibile separare, o addirittura contrapporre la salvaguardia dell’ambiente a quella della vita umana, compresa la vita prima della nascita? E’ nel rispetto che la persona umana nutre per se stessa che si manifesta il suo senso di responsabilità verso il creato. Perché, come insegna S. Tommaso d’Aquino, l’uomo rappresenta quanto c’è di più nobile nell’universo (cfr. Summa Theologiae, I, q.29, a.3). Inoltre,
come ho ricordato al recente Vertice Mondiale della FAO sulla Sicurezza alimentare, “la terra può sufficientemente nutrire tutti i suoi abitanti” (Discorso del 16 novembre 2009, 2), purché l’egoismo non porti alcuni ad accaparrarsi i beni destinati a tutti!

Vorrei sottolineare ancora che la salvaguardia della creazione implica una corretta gestione delle risorse naturali dei paesi, in primo luogo, di quelli economicamente svantaggiati. Il mio pensiero va al Continente africano, che ho avuto la gioia di visitare nel marzo scorso,
recandomi in Camerun ed Angola, ed al quale sono stati dedicati i lavori della recente Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi. I Padri sinodali hanno segnalato con preoccupazione l’erosione e la desertificazione di larghe zone di terra coltivabile, a causa dello sfruttamento sconsiderato e dell’inquinamento dell’ambiente (cfr. Propositio n. 22). In Africa, come altrove, è necessario adottare scelte politiche ed economiche che assicurino “forme di produzione agricola e industriale rispettose dell’ordine della creazione e soddisfacenti per i bisogni primari di tutti” (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2010, 10).

Come dimenticare, poi, che la lotta per l’accesso alle risorse naturali è una delle cause di vari conflitti, tra gli altri in Africa, così come la sorgente di un rischio permanente in altre situazioni? Anche per questa ragione ripeto con forza che, per coltivare la pace, bisogna custodire il creato! D’altra parte ci sono ancora vaste estensioni di terra, per esempio in Afghanistan ed in alcuni paesi dell’America Latina, dove purtroppo l’agricoltura è ancora legata alla produzione di droga e costituisce una fonte non trascurabile di occupazione e di sostentamento. Se si vuole la pace, occorre custodire il creato con la riconversione di tali attività. Chiedo perciò alla comunità internazionale, ancora una volta, che non si rassegni al traffico della droga ed ai gravi problemi morali e sociali che essa genera.

Sì, Signore e Signori, la custodia del creato è un importante fattore di pace e di giustizia! Fra le tante sfide che essa lancia, una delle più gravi è quella dell’aumento delle spese militari, nonché quella del mantenimento o dello sviluppo degli arsenali nucleari. Ciò assorbe ingenti risorse, che potrebbero, invece, essere destinate allo sviluppo dei Popoli, soprattutto di quelli più poveri. Confido, fermamente, che nella Conferenza di esame del Trattato di Non-Proliferazione nucleare, in programma per il maggio prossimo a New York, vengano prese decisioni efficaci in vista di un progressivo disarmo, che porti a liberare il pianeta dalle armi nucleari. Più in generale, deploro che la produzione e l’esportazione di armi contribuiscano a perpetuare conflitti e violenze, come quelli nel Darfur, in Somalia e nella Repubblica Democratica del Congo. All’incapacità delle parti direttamente coinvolte di sottrarsi alla spirale di violenza e di dolore generata da questi conflitti, si aggiunge l’apparente impotenza degli altri Paesi e delle Organizzazioni internazionali a riportare la pace, senza contare l’indifferenza quasi rassegnata dell’opinione pubblica mondiale. Non occorre poi sottolineare come tali conflitti danneggino e degradino l’ambiente. Come, infine, non menzionare il terrorismo che mette in pericolo un così gran numero di vite innocenti e provoca un diffuso senso di angoscia? In questa solenne circostanza, desidero rinnovare l’appello che ho lanciato il 1° gennaio durante la preghiera dell’Angelus a quanti fanno parte di gruppi armati di qualsiasi tipo affinché abbandonino la strada della violenza e aprano il loro cuore alla gioia della pace.

                               Pope Benedict XVI (L) is greeted by ambassador of Iran to the Holy See Ali Akbar Naseri during a meeting with foreign ambassadors at the Vatican January 11, 2010.

Le gravi violenze che ho appena evocato, unite ai flagelli della povertà e della fame, come pure alle catastrofi naturali ed al degrado ambientale, contribuiscono ad ingrossare le fila di quanti abbandonano la propria terra. Di fronte a tale esodo, invito le Autorità civili, che vi sono coinvolte a diverso titolo, ad agire con giustizia, solidarietà e lungimiranza. In particolare, vorrei menzionare i Cristiani in Medio Oriente: colpiti in varie maniere, fin nell’esercizio della loro libertà religiosa, essi lasciano la terra dei loro padri in cui si è sviluppata la Chiesa dei primi secoli. E’ per offrire loro un sostegno e per far loro sentire la vicinanza dei fratelli nella fede, che ho convocato, per l’autunno prossimo, l’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi sul Medio Oriente.

Signore e Signori Ambasciatori, quelle che ho tracciato finora sono soltanto alcune delle dimensioni connesse con la problematica ambientale. Tuttavia, le radici della situazione che è sotto gli occhi di tutti, sono di ordine morale e la questione deve essere affrontata nel quadro di un grande sforzo educativo, per promuovere un effettivo cambiamento di mentalità ed instaurare nuovi stili di vita. Di ciò può e vuole essere partecipe la comunità dei credenti, ma perché ciò sia possibile, bisogna che se ne riconosca il ruolo pubblico.

Purtroppo, in alcuni Paesi, soprattutto occidentali, si diffondono, negli ambienti politici e culturali, come pure nei mezzi di comunicazione, un sentimento di scarsa considerazione, e, talvolta, di ostilità, per non dire di disprezzo verso la religione, in particolare quella cristiana. E’ chiaro che, se il relativismo è concepito come un elemento costitutivo essenziale della democrazia, si rischia di concepire la laicità unicamente in termini di esclusione o, meglio, di rifiuto dell’importanza sociale del fatto religioso.

Un tale approccio crea tuttavia scontro e divisione, ferisce la pace, inquina l’“ecologia umana” e, rifiutando, per principio, le attitudini diverse dalla propria, si trasforma in una strada senza uscita. Urge, pertanto, definire una laicità positiva, aperta, che, fondata su una giusta autonomia tra l’ordine temporale e quello spirituale, favorisca una sana collaborazione e un senso di responsabilità condivisa. In questa prospettiva, io penso all’Europa, che con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha iniziato una nuova fase del suo processo di integrazione, che la Santa Sede continuerà a seguire con rispetto e con benevola attenzione. Nel rilevare con soddisfazione che il Trattato prevede che l’Unione Europea mantenga con le Chiese un dialogo “aperto, trasparente e regolare” (art. 17), auspico che, nella costruzione del proprio avvenire, l’Europa sappia sempre attingere alle fonti della propria identità cristiana. Come ho rimarcato durante
il mio viaggio apostolico del settembre scorso nella Repubblica Ceca, essa ha un ruolo insostituibile “per la formazione della coscienza di ogni generazione e per la promozione di un consenso etico di fondo, al servizio di ogni persona che chiama questo continente «casa»!” (Discorso alle autorità civili e al corpo diplomatico, 26 settembre 2009).

Proseguendo nella nostra riflessione, è necessario rilevare che la problematica dell’ambiente è complessa. Si potrebbe dire che è un prisma dalle molte sfaccettature. Le creature sono differenti le une dalle altre e possono essere protette, o, al contrario, messe in pericolo, in modi diversi, come ci mostra l’esperienza quotidiana. Uno di tali attacchi proviene da leggi o progetti, che, in nome della lotta contro la discriminazione, colpiscono il fondamento biologico della differenza fra i sessi. Mi riferisco, per esempio, ad alcuni Paesi europei o del Continente americano. “Se togli la libertà, togli la dignità”, come disse S. Colombano (Epist. n.4 ad Attela, in S. Columbani opera, Dublin 1957, p. 34.) Tuttavia, la libertà non può essere assoluta, perché l’Uomo non è Dio, ma immagine di Dio, sua creatura. Per l’uomo, il cammino da seguire non può quindi essere l’arbitrio, o il desiderio, ma deve consistere, piuttosto, nel corrispondere alla struttura voluta dal Creatore.

La salvaguardia della creazione comporta anche altre sfide, alle quali non si può rispondere che attraverso la solidarietà internazionale. Penso alle catastrofi naturali, che durante l’anno scorso hanno seminato morti, sofferenze e distruzioni nelle Filippine, in Vietnam, nel Laos, in Cambogia e nell’isola di Taiwan. Come non ricordare poi l’Indonesia, e, più vicino a noi, la regione dell’Abruzzo, scosse da devastanti terremoti? Di fronte a simili eventi non deve venire meno l’aiuto generoso, perché la vita stessa delle creature di Dio è in gioco. Ma la salvaguardia della creazione, oltre che della solidarietà, ha bisogno anche della concordia e della stabilità degli Stati. Quando insorgono divergenze ed ostilità fra questi ultimi, per difendere la pace debbono perseguire con tenacia la via di un dialogo costruttivo. E’ quanto avvenne venticinque anni or sono con il Trattato di Pace ed Amicizia fra Argentina e Cile, che fu raggiunto grazie alla mediazione della Sede Apostolica. Esso ha portato abbondanti frutti di collaborazione e prosperità, di cui ha beneficiato, in qualche modo, l’intera America Latina. In questa stessa parte del mondo, sono lieto del riavvicinamento intrapreso da Colombia ed Ecuador, dopo parecchi mesi di tensione. Più vicino a noi, mi compiaccio dell’intesa conclusa tra Croazia e Slovenia a proposito dell’arbitrato relativo alle loro frontiere marittime e terrestri. Mi rallegro, altresì, dell’accordo tra Armenia e Turchia, in vista della ripresa delle loro relazioni diplomatiche, ed auspico che attraverso il dialogo, i rapporti fra tutti i Paesi del Caucaso meridionale migliorino.

Durante il mio pellegrinaggio in Terra Santa, ho richiamato in modo pressante Israeliani e Palestinesi a dialogare e a rispettare i diritti dell’altro.

Ancora una volta levo la mia voce, affinché sia universalmente riconosciuto il diritto dello Stato di Israele ad esistere e a godere di pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. E che, ugualmente, sia riconosciuto il diritto del Popolo palestinese ad una patria sovrana e indipendente, a vivere con dignità e a potersi spostare liberamente. Mi preme, inoltre, sollecitare il sostegno di tutti perché siano protetti l’identità e il carattere sacro di Gerusalemme, la sua eredità culturale e religiosa, il cui valore è universale.

Solo così questa città unica, santa e tormentata, potrà essere segno e anticipazione della pace che Dio desidera per l’intera famiglia umana! Per amore del dialogo e della pace, che salvaguardano la creazione, esorto i governanti e i cittadini dell’Iraq ad oltrepassare le divisione, la tentazione della violenza e l’intolleranza, per costruire insieme l’avvenire del loro Paese. Anche le comunità cristiane vogliono dare il loro contributo, ma perché ciò sia possibile, bisogna che sia loro assicurato rispetto, sicurezza e libertà. Anche il Pakistan è stato duramente colpito dalla violenza in questi ultimi mesi e alcuni episodi hanno preso di mira direttamente la minoranza cristiana. Domando che si compia ogni sforzo affinché tali aggressioni non si ripetano e i cristiani possano sentirsi pienamente integrati nella vita del loro Paese. Trattando delle violenze contro i cristiani, non posso non menzionare, peraltro, i deplorevoli attentati di cui sono state vittime le Comunità copte egiziane in questi ultimi giorni, proprio quando stavano celebrando il Natale. Per quanto riguarda l’Iran, auspico che attraverso il dialogo e la collaborazione, si raggiungano soluzioni condivise, sia a livello nazionale che sul piano internazionale. Al Libano, che ha superato una lunga crisi politica, auguro di proseguire sempre sulla via della concordia. Confido che l’Honduras, dopo un periodo di incertezza e trepidazione, si incammini verso una ritrovata normalità politica e sociale. E lo stesso mi auguro che si realizzi in Guinea ed in Madagascar, con l’aiuto effettivo e disinteressato della comunità internazionale.

Signore e Signori Ambasciatori, al termine di questo rapido giro d’orizzonte, che, a motivo della brevità non può soffermarsi su tutte le situazioni pur meritevoli di menzione, mi tornano alla mente le parole dell’Apostolo Paolo, secondo cui “la creazione geme e soffre” e “anche noi… gemiamo interiormente” ( Rm 8,22-23). Sì, c’è tanta sofferenza nell’umanità e l’egoismo umano ferisce la creazione in molteplici modi. Per questo l’attesa di salvezza, che tocca tutta quanta la creazione, è ancor più intensa ed è presente nel cuore di tutti, credenti e non credenti. La Chiesa indica che la risposta a tale anelito è il Cristo, il “primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra” (Col 1,15-16). Fissando lo sguardo su di Lui, esorto ogni persona di buona volontà ad operare con fiducia e generosità per la dignità e la libertà dell’uomo. Che la luce e la forza di Gesù ci aiutino a rispettare l’“ecologia umana”, consapevoli che anche l’ecologia ambientale ne trarrà beneficio, poiché il libro della natura è uno ed indivisibile. E’ così che potremo consolidare la pace, oggi e per le generazioni che verranno.

Buon Anno a tutti! 

2010 - Libreria Editrice Vaticana



                                          Pope Benedict XVI poses with foreign ambassadors to the Holy See at the end of a meeting at the Vatican January 11, 2010.

Caterina63
00lunedì 10 gennaio 2011 15:29
UDIENZA AL CORPO DIPLOMATICO ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE PER LA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI PER IL NUOVO ANNO, 10.01.2011

Alle ore 11 di questa mattina, nella Sala Regia del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, per la presentazione degli auguri per il nuovo anno.
Dopo l’indirizzo augurale del Decano del Corpo Diplomatico, S.E. il Sig. Alejandro Emilio Valladares Lanza, Ambasciatore di Honduras presso la Santa Sede, il Papa pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:

                           Pope Benedict XVI attends an audience with Vatican-accredited diplomats at the Vatican January 10, 2011. Pope Benedict called on Monday for Pakistan to repeal its anti-blasphemy law, days after a senior Pakistani politician who opposed the legislation was assassinated by his own bodyguard.

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Eccellenze,
Signore e Signori
,

Sono lieto di accogliervi per questo incontro che, ogni anno, vi riunisce intorno al Successore di Pietro, illustri Rappresentanti di così numerosi Paesi. Esso riveste un alto significato, poiché offre un’immagine e al tempo stesso un esempio del ruolo della Chiesa e della Santa Sede nella comunità internazionale. Rivolgo a ciascuno di voi saluti e voti cordiali, in particolare a quanti sono qui per la prima volta. Vi sono riconoscente per l’impegno e l’attenzione con i quali, nell’esercizio delle vostre delicate funzioni, seguite le mie attività, quelle della Curia Romana e, così, in un certo modo, la vita della Chiesa cattolica in ogni parte del mondo. Il vostro Decano, l’Ambasciatore Alejandro Valladares Lanza, si è fatto interprete dei vostri sentimenti, e lo ringrazio per gli auguri che mi ha espresso a nome di tutti. Sapendo quanto la vostra comunità è unita, sono certo che è presente oggi nel vostro pensiero l’Ambasciatrice del Regno dei Paesi Bassi, la Baronessa van Lynden-Leijten, ritornata qualche settimana fa alla casa del Padre. Mi associo nella preghiera ai vostri sentimenti di commozione.

Quando inizia un nuovo anno, nei nostri cuori e nel mondo intero risuona ancora l’eco del gioioso annuncio che è brillato venti secoli or sono nella notte di Betlemme, notte che simboleggia la condizione dell’umanità, nel suo bisogno di luce, d’amore e di pace. Agli uomini di allora come a quelli di oggi, le schiere celesti hanno recato la buona notizia dell’avvento del Salvatore: "Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse" (Is 9,1). Il Mistero del Figlio di Dio che diventa figlio d’uomo supera sicuramente ogni attesa umana. Nella sua gratuità assoluta, questo avvenimento di salvezza è la risposta autentica e completa al desiderio profondo del cuore. La verità, il bene, la felicità, la vita in pienezza, che ogni uomo ricerca consapevolmente o inconsapevolmente, gli sono donati da Dio. Aspirando a questi benefici, ogni persona è alla ricerca del suo Creatore, perché "solo Dio risponde alla sete che sta nel cuore di ogni uomo" (Esort. ap. postsinodale Verbum Domini, 23). L’umanità, in tutta la sua storia, attraverso le sue credenze e i suoi riti, manifesta un’incessante ricerca di Dio e "tali forme d’espressione sono così universali che l’uomo può essere definito un essere religioso" (Catechismo della Chiesa Cattolica, 28). La dimensione religiosa è una caratteristica innegabile e incoercibile dell’essere e dell’agire dell’uomo, la misura della realizzazione del suo destino e della costruzione della comunità a cui appartiene. Pertanto, quando l’individuo stesso o coloro che lo circondano trascurano o negano questo aspetto fondamentale, si creano squilibri e conflitti a tutti i livelli, tanto sul piano personale che su quello interpersonale.

E’ in questa verità primaria e fondamentale che si trova la ragione per cui ho indicato la libertà religiosa come la via fondamentale per la costruzione della pace, nel Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace di quest’anno. La pace, infatti, si costruisce e si conserva solamente quando l’uomo può liberamente cercare e servire Dio nel suo cuore, nella sua vita e nelle sue relazioni con gli altri.

Signore e Signori Ambasciatori, la vostra presenza in questa circostanza solenne è un invito a compiere un giro di orizzonte su tutti i Paesi che voi rappresentate e sul mondo intero. In questo panorama, non vi sono forse numerose situazioni nelle quali, purtroppo, il diritto alla libertà religiosa è leso o negato? Questo diritto dell’uomo, che in realtà è il primo dei diritti, perché, storicamente, è stato affermato per primo, e, d’altra parte, ha come oggetto la dimensione costitutiva dell’uomo, cioè la sua relazione con il Creatore, non è forse troppo spesso messo in discussione o violato? Mi sembra che la società, i suoi responsabili e l’opinione pubblica si rendano oggi maggiormente conto, anche se non sempre in modo esatto, di tale grave ferita inferta contro la dignità e la libertà dell’homo religiosus, sulla quale ho tenuto, a più riprese, ad attirare l’attenzione di tutti.

L’ho fatto durante i miei viaggi apostolici dell’anno scorso, a Malta e in Portogallo, a Cipro, nel Regno Unito e in Spagna. Al di là delle caratteristiche di questi Paesi, conservo di tutti un ricordo pieno di gratitudine per l’accoglienza che mi hanno riservato. L’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, che si è svolta in Vaticano nel corso del mese di ottobre, è stata un momento di preghiera e di riflessione, durante il quale il pensiero si è rivolto con insistenza verso le comunità cristiane di quelle regioni del mondo, così provate a causa della loro adesione a Cristo e alla Chiesa.

Sì, guardando verso l’Oriente, gli attentati che hanno seminato morte, dolore e smarrimento tra i cristiani dell’Iraq, al punto da spingerli a lasciare la terra dove i loro padri hanno vissuto lungo i secoli, ci hanno profondamente addolorato. Rinnovo alle Autorità di quel Paese e ai capi religiosi musulmani il mio preoccupato appello ad operare affinché i loro concittadini cristiani possano vivere in sicurezza e continuare ad apportare il loro contributo alla società di cui sono membri a pieno titolo. Anche in Egitto, ad Alessandria, il terrorismo ha colpito brutalmente dei fedeli in preghiera in una chiesa. Questa successione di attacchi è un segno ulteriore dell’urgente necessità per i Governi della Regione di adottare, malgrado le difficoltà e le minacce, misure efficaci per la protezione delle minoranze religiose. Bisogna dirlo ancora una volta? In Medio Oriente, "i cristiani sono cittadini originali e autentici, leali alla loro patria e fedeli a tutti i loro doveri nazionali. E’ naturale che essi possano godere di tutti i diritti di cittadinanza, di libertà di coscienza e di culto, di libertà nel campo dell’insegnamento e dell’educazione e nell’uso dei mezzi di comunicazione" (Messaggio al Popolo di Dio dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, 10). A tale riguardo, apprezzo l’attenzione per i diritti dei più deboli e la lungimiranza politica di cui hanno dato prova alcuni Paesi d’Europa negli ultimi giorni, domandando una risposta concertata dell’Unione Europea affinché i cristiani siano difesi nel Medio Oriente. Vorrei ricordare infine che la libertà religiosa non è pienamente applicata là dove è garantita solamente la libertà di culto, per di più con delle limitazioni. Incoraggio, inoltre, ad accompagnare la piena tutela della libertà religiosa e degli altri diritti umani con programmi che, fin dalla scuola primaria e nel quadro dell’insegnamento religioso, educhino al rispetto di tutti i fratelli nell’umanità. Per quanto riguarda poi gli Stati della Penisola Arabica, dove vivono numerosi lavoratori immigrati cristiani, auspico che la Chiesa cattolica possa disporre di adeguate strutture pastorali.

Tra le norme che ledono il diritto delle persone alla libertà religiosa, una menzione particolare dev’essere fatta della legge contro la blasfemia in Pakistan: incoraggio di nuovo le Autorità di quel Paese a compiere gli sforzi necessari per abrogarla, tanto più che è evidente che essa serve da pretesto per provocare ingiustizie e violenze contro le minoranze religiose. Il tragico assassinio del Governatore del Punjab mostra quanto sia urgente procedere in tal senso: la venerazione nei riguardi di Dio promuove la fraternità e l’amore, non l’odio e la divisione. Altre situazioni preoccupanti, talvolta con atti di violenza, possono essere menzionate nel Sud e nel Sud-Est del continente asiatico, in Paesi che hanno peraltro una tradizione di rapporti sociali pacifici. Il peso particolare di una determinata religione in una nazione non dovrebbe mai implicare che i cittadini appartenenti ad un’altra confessione siano discriminati nella vita sociale o, peggio ancora, che sia tollerata la violenza contro di essi. A questo proposito, è importante che il dialogo inter-religioso favorisca un impegno comune a riconoscere e promuovere la libertà religiosa di ogni persona e di ogni comunità. Infine, come ho già ricordato, la violenza contro i cristiani non risparmia l’Africa. Gli attacchi contro luoghi di culto in Nigeria, proprio mentre si celebrava la Nascita di Cristo, ne sono un’altra triste testimonianza.

In diversi Paesi, d’altronde, la Costituzione riconosce una certa libertà religiosa, ma, di fatto, la vita delle comunità religiose è resa difficile e talvolta anche precaria (cfr Conc. Vat. II, Dich. Dignitatis humanae, 15), perché l’ordinamento giuridico o sociale si ispira a sistemi filosofici e politici che postulano uno stretto controllo, per non dire un monopolio, dello Stato sulla società. Bisogna che cessino tali ambiguità, in modo che i credenti non si trovino dibattuti tra la fedeltà a Dio e la lealtà alla loro patria. Domando in particolare che sia garantita dovunque alle comunità cattoliche la piena autonomia di organizzazione e la libertà di compiere la loro missione, in conformità alle norme e agli standards internazionali in questo campo.

In questo momento, il mio pensiero si volge di nuovo verso la comunità cattolica della Cina continentale e i suoi Pastori, che vivono un momento di difficoltà e di prova. D’altro canto, vorrei indirizzare una parola di incoraggiamento alle Autorità di Cuba, Paese che ha celebrato nel 2010 settantacinque anni di relazioni diplomatiche ininterrotte con la Santa Sede, affinché il dialogo che si è felicemente instaurato con la Chiesa si rafforzi ulteriormente e si allarghi.

Spostando il nostro sguardo dall’Oriente all’Occidente, ci troviamo di fronte ad altri tipi di minacce contro il pieno esercizio della libertà religiosa. Penso, in primo luogo, a Paesi nei quali si accorda una grande importanza al pluralismo e alla tolleranza, ma dove la religione subisce una crescente emarginazione. Si tende a considerare la religione, ogni religione, come un fattore senza importanza, estraneo alla società moderna o addirittura destabilizzante, e si cerca con diversi mezzi di impedirne ogni influenza nella vita sociale. Si arriva così a pretendere che i cristiani agiscano nell’esercizio della loro professione senza riferimento alle loro convinzioni religiose e morali, e persino in contraddizione con esse, come, per esempio, là dove sono in vigore leggi che limitano il diritto all’obiezione di coscienza degli operatori sanitari o di certi operatori del diritto.

In tale contesto, non si può che rallegrarsi dell’adozione da parte del Consiglio d’Europa, nello scorso mese di ottobre, di una Risoluzione che protegge il diritto del personale medico all’obiezione di coscienza di fronte a certi atti che ledono gravemente il diritto alla vita, come l’aborto.

Un’altra manifestazione dell’emarginazione della religione e, in particolare, del cristianesimo, consiste nel bandire dalla vita pubblica feste e simboli religiosi, in nome del rispetto nei confronti di quanti appartengono ad altre religioni o di coloro che non credono. Agendo così, non soltanto si limita il diritto dei credenti all’espressione pubblica della loro fede, ma si tagliano anche radici culturali che alimentano l’identità profonda e la coesione sociale di numerose nazioni. L’anno scorso, alcuni Paesi europei si sono associati al ricorso del Governo italiano nella ben nota causa concernente l’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici. Desidero esprimere la mia gratitudine alle Autorità di queste nazioni, come pure a tutti coloro che si sono impegnati in tal senso, Episcopati, Organizzazioni e Associazioni civili o religiose, in particolare il Patriarcato di Mosca e gli altri rappresentanti della gerarchia ortodossa, come tutte le persone - credenti ma anche non credenti - che hanno tenuto a manifestare il loro attaccamento a questo simbolo portatore di valori universali.

Riconoscere la libertà religiosa significa, inoltre, garantire che le comunità religiose possano operare liberamente nella società, con iniziative nei settori sociale, caritativo od educativo. In ogni parte del mondo, d’altronde, si può constatare la fecondità delle opere della Chiesa cattolica in questi campi. E’ preoccupante che questo servizio che le comunità religiose offrono a tutta la società, in particolare per l’educazione delle giovani generazioni, sia compromesso o ostacolato da progetti di legge che rischiano di creare una sorta di monopolio statale in materia scolastica, come si constata ad esempio in certi Paesi dell’America Latina. Mentre parecchi di essi celebrano il secondo centenario della loro indipendenza, occasione propizia per ricordarsi del contributo della Chiesa cattolica alla formazione dell’identità nazionale, esorto tutti i governi a promuovere sistemi educativi che rispettino il diritto primordiale delle famiglie a decidere circa l’educazione dei figli e che si ispirino al principio di sussidiarietà, fondamentale per organizzare una società giusta.

Proseguendo la mia riflessione, non posso passare sotto silenzio un’altra minaccia alla libertà religiosa delle famiglie in alcuni Paesi europei, là dove è imposta la partecipazione a corsi di educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla fede e alla retta ragione.

Signore e Signori Ambasciatori,

in questa circostanza solenne, permettetemi di esplicitare alcuni principi a cui la Santa Sede, con tutta la Chiesa cattolica, si ispira nella sua attività presso le Organizzazioni Internazionali intergovernative, al fine di promuovere il pieno rispetto della libertà religiosa per tutti. In primo luogo, la convinzione che non si può creare una sorta di scala nella gravità dell’intolleranza verso le religioni. Purtroppo, un tale atteggiamento è frequente, e sono precisamente gli atti discriminatori contro i cristiani che sono considerati meno gravi, meno degni di attenzione da parte dei governi e dell’opinione pubblica. Al tempo stesso, si deve pure rifiutare il contrasto pericoloso che alcuni vogliono instaurare tra il diritto alla libertà religiosa e gli altri diritti dell’uomo, dimenticando o negando così il ruolo centrale del rispetto della libertà religiosa nella difesa e protezione dell’alta dignità dell’uomo. Meno giustificabili ancora sono i tentativi di opporre al diritto alla libertà religiosa, dei pretesi nuovi diritti, attivamente promossi da certi settori della società e inseriti nelle legislazioni nazionali o nelle direttive internazionali, ma che non sono, in realtà, che l’espressione di desideri egoistici e non trovano il loro fondamento nell’autentica natura umana. Infine, occorre affermare che una proclamazione astratta della libertà religiosa non è sufficiente: questa norma fondamentale della vita sociale deve trovare applicazione e rispetto a tutti i livelli e in tutti i campi; altrimenti, malgrado giuste affermazioni di principio, si rischia di commettere profonde ingiustizie verso i cittadini che desiderano professare e praticare liberamente la loro fede.

La promozione di una piena libertà religiosa delle comunità cattoliche è anche lo scopo che persegue la Santa Sede quando conclude Concordati o altri Accordi. Mi rallegro che Stati di diverse regioni del mondo e di diverse tradizioni religiose, culturali e giuridiche scelgano il mezzo delle convenzioni internazionali per organizzare i rapporti tra la comunità politica e la Chiesa cattolica, stabilendo attraverso il dialogo il quadro di una collaborazione nel rispetto delle reciproche competenze. L’anno scorso è stato concluso ed è entrato in vigore un Accordo per l’assistenza religiosa dei fedeli cattolici delle forze armate in Bosnia-Erzegovina, e negoziati sono attualmente in corso in diversi Paesi. Speriamo in un esito positivo, capace di assicurare soluzioni rispettose della natura e della libertà della Chiesa per il bene di tutta la società.

L’attività dei Rappresentanti Pontifici presso Stati ed Organizzazioni internazionali è ugualmente al servizio della libertà religiosa. Vorrei rilevare con soddisfazione che le Autorità vietnamite hanno accettato che io designi un Rappresentante, che esprimerà con le sue visite alla cara comunità cattolica di quel Paese la sollecitudine del Successore di Pietro. Vorrei ugualmente ricordare che, durante l’anno passato, la rete diplomatica della Santa Sede si è ulteriormente consolidata in Africa, una presenza stabile è ormai assicurata in tre Paesi dove il Nunzio non è residente. A Dio piacendo, mi recherò ancora in quel continente, in Benin, nel novembre prossimo, per consegnare l’Esortazione Apostolica che raccoglierà i frutti dei lavori della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi.

Dinanzi a questo illustre uditorio, vorrei infine ribadire con forza che la religione non costituisce per la società un problema, non è un fattore di turbamento o di conflitto. Vorrei ripetere che la Chiesa non cerca privilegi, né vuole intervenire in ambiti estranei alla sua missione, ma semplicemente esercitare questa missione con libertà. Invito ciascuno a riconoscere la grande lezione della storia: "Come negare il contributo delle grandi religioni del mondo allo sviluppo della civiltà? La sincera ricerca di Dio ha portato ad un maggiore rispetto della dignità dell’uomo. Le comunità cristiane, con il loro patrimonio di valori e principi, hanno fortemente contribuito alla presa di coscienza delle persone e dei popoli circa la propria identità e dignità, nonché alla conquista di istituzioni democratiche e all’affermazione dei diritti dell’uomo e dei suoi corrispettivi doveri. Anche oggi i cristiani, in una società sempre più globalizzata, sono chiamati, non solo con un responsabile impegno civile, economico e politico, ma anche con la testimonianza della propria carità e fede, ad offrire un contributo prezioso al faticoso ed esaltante impegno per la giustizia, per lo sviluppo umano integrale e per il retto ordinamento delle realtà umane" (Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace, 1 gennaio 2011, 7).

Emblematica, a questo proposito, è la figura della Beata Madre Teresa di Calcutta: il centenario della sua nascita è stato celebrato a Tirana, a Skopje e a Pristina come in India; un vibrante omaggio le è stato reso non soltanto dalla Chiesa, ma anche da Autorità civili e capi religiosi, senza contare le persone di tutte le confessioni. Esempi come il suo mostrano al mondo quanto l’impegno che nasce dalla fede sia benefico per tutta la società.

Che nessuna società umana si privi volontariamente dell’apporto fondamentale che costituiscono le persone e le comunità religiose! Come ricordava il Concilio Vaticano II, assicurando pienamente e a tutti la giusta libertà religiosa, la società potrà "godere dei beni di giustizia e di pace che provengono dalla fedeltà degli uomini verso Dio e la sua santa volontà" (Dich. Dignitatis humanae, 6).

Ecco perché, mentre formulo voti affinché questo nuovo anno sia ricco di concordia e di reale progresso, esorto tutti, responsabili politici, capi religiosi e persone di ogni categoria, ad intraprendere con determinazione la via verso una pace autentica e duratura, che passa attraverso il rispetto del diritto alla libertà religiosa in tutta la sua estensione.

Su questo impegno, per la cui attuazione è necessario lo sforzo dell’intera famiglia umana, invoco la Benedizione di Dio Onnipotente, che ha operato la nostra riconciliazione con Lui e tra di noi, per mezzo del suo Figlio Gesù Cristo, nostra pace (cfr Ef 2,14).

Buon anno a tutti!


                        Pope Benedict XVI greets foreign diplomats during an audience with Vatican-accredited diplomats at the Vatican January 10, 2011. Pope Benedict called on Monday for Pakistan to repeal its anti-blasphemy law, days after a senior Pakistani politician who opposed the legislation was assassinated by his own bodyguard.

     Pope Benedict XVI greets foreign diplomats during an audience with Vatican-accredited diplomats at the Vatican January 10, 2011. Pope Benedict called on Monday for Pakistan to repeal its anti-blasphemy law, days after a senior Pakistani politician who opposed the legislation was assassinated by his own bodyguard.Pope Benedict XVI greets the ambassadors accredited to the Vatican during a private audience at the Vatican, Monday, Jan. 10, 2011. The Pontiff demanded that governments do more to ensure Christians can practice their faith without discrimination or violence, in one of his most pointed appeals yet for religious freedom.
Caterina63
00lunedì 7 gennaio 2013 11:53
[SM=g1740758] Il Papa al Corpo Diplomatico: Nell’ottica cristiana esiste un’intima connessione tra la glorificazione di Dio e la pace degli uomini sulla terra, così che la pace non sorge da un mero sforzo umano, bensì partecipa dell’amore stesso di Dio. Ed è proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza. Infatti, quando si cessa di riferirsi a una verità oggettiva e trascendente, come è possibile realizzare un autentico dialogo?

UDIENZA AL CORPO DIPLOMATICO ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE PER LA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI PER IL NUOVO ANNO, 07.01.2013

DISCORSO DEL SANTO PADRE


Eccellenze,
Signore e Signori,

Sono lieto di accogliervi come all’inizio di ogni nuovo anno, distinti Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, per rivolgervi un personale saluto e augurio; lo estendo volentieri alle care Nazioni che rappresentate e ad esse assicuro il mio costante ricordo e la mia preghiera. Sono particolarmente grato al Decano, Ambasciatore Alejandro Valladares Lanza, e al Vice-Decano, Ambasciatore Jean-Claude Michel, per le deferenti parole che mi hanno rivolto a nome di tutti Voi.
In modo speciale desidero, poi, salutare quanti prendono parte per la prima volta a questo incontro.

La vostra presenza è un segno significativo e apprezzato dei proficui rapporti che, in tutto il mondo, la Chiesa cattolica intrattiene con le Autorità civili. Si tratta di un dialogo che ha a cuore il bene integrale, spirituale e materiale, di ogni uomo, e mira a promuoverne ovunque la dignità trascendente. Come ho ricordato nell’Allocuzione dell’ultimo Concistoro Ordinario Pubblico per la Creazione di nuovi Cardinali, «la Chiesa, fin dai suoi inizi, è orientata kat’holon, abbraccia cioè tutto l’universo» e con esso ogni popolo, ogni cultura e tradizione. Tale “orientamento” non rappresenta un’ingerenza nella vita delle diverse società, ma serve piuttosto a illuminare la coscienza retta dei loro cittadini e ad invitarli a lavorare per il bene di ogni persona e per il progresso del genere umano.

E’ in questa prospettiva, e per favorire una proficua collaborazione tra la Chiesa e lo Stato al servizio del bene comune, che l’anno scorso la Santa Sede ha firmato Accordi bilaterali con il Burundi e con la Guinea Equatoriale e ha ratificato quello con il Montenegro; con lo stesso animo partecipa ai lavori di varie Organizzazioni ed Enti internazionali.
Al riguardo, sono lieto che, nello scorso mese di dicembre, sia stata accolta la sua richiesta di diventare Osservatore Extra-Regionale nel Sistema di Integrazione Centroamericana, anche in ragione del contributo che la Chiesa cattolica offre in vari settori delle società di tale Regione. Le visite di diversi Capi di Stato e di Governo che ho ricevuto nel corso dell’anno passato, come pure gli indimenticabili Viaggi apostolici che ho compiuto in Messico, a Cuba e in Libano, sono state occasioni privilegiate per riaffermare l’impegno civico dei cristiani di quei Paesi, come pure per promuovere la dignità della persona umana e i fondamenti della pace.


In questa sede, mi è pure caro menzionare il prezioso lavoro svolto dai Rappresentanti Pontifici nel costante dialogo con i Vostri Governi. In particolare desidero ricordare l’apprezzamento goduto da S.E. Mons. Ambrose Madtha, il Nunzio Apostolico in Costa d’Avorio che è tragicamente perito un mese fa in un incidente stradale, insieme all’autista che lo accompagnava.

Signore e Signori Ambasciatori,
Il Vangelo di Luca racconta che, nella notte di Natale, i pastori odono i cori angelici che glorificano Dio e annunciano la pace sull’umanità.
L’Evangelista sottolinea così la stretta relazione fra Dio e l’anelito profondo dell’uomo di ogni tempo a conoscere la verità, a praticare la giustizia e a vivere nella pace (cfr Giovanni XXIII, Pacem in terris: AAS 55 [1963], 257).
Oggi si è indotti talvolta a pensare che la verità, la giustizia e la pace siano utopie e che esse si escludano mutuamente. Conoscere la verità sembra impossibile e gli sforzi per affermarla appaiono sfociare spesso nella violenza. D’altra parte, secondo una concezione ormai diffusa, l’impegno per la pace si riduce alla ricerca di compromessi che garantiscano la convivenza fra i Popoli, o fra i cittadini all’interno di una Nazione.
Al contrario, nell’ottica cristiana esiste un’intima connessione tra la glorificazione di Dio e la pace degli uomini sulla terra, così che la pace non sorge da un mero sforzo umano, bensì partecipa dell’amore stesso di Dio. Ed è proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza. Infatti, quando si cessa di riferirsi a una verità oggettiva e trascendente, come è possibile realizzare un autentico dialogo? In tal caso come si può evitare che la violenza, dichiarata o nascosta, diventi la regola ultima dei rapporti umani? In realtà, senza un’apertura trascendente, l’uomo cade facile preda del relativismo e gli riesce poi difficile agire secondo giustizia e impegnarsi per la pace.


Alle manifestazioni contemporanee dell’oblio di Dio si possono associare quelle dovute all’ignoranza del suo vero volto, che è la causa di un pernicioso fanatismo di matrice religiosa, che anche nel 2012 ha mietuto vittime in alcuni Paesi qui rappresentati. Come ho avuto modo di dire, si tratta di una falsificazione della religione stessa, la quale, invece, mira a riconciliare l’uomo con Dio, a illuminare e purificare le coscienze e a rendere chiaro che ogni uomo è immagine del Creatore. Se, dunque, la glorificazione di Dio e la pace sulla terra sono fra loro strettamente congiunte, appare evidente che la pace è, ad un tempo, dono di Dio e compito dell’uomo, perché esige la sua risposta libera e consapevole.

Per tale ragione ho voluto intitolare l’annuale Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace: Beati gli operatori di pace. E’ anzitutto alle Autorità civili e politiche che incombe la grave responsabilità di operare per la pace. Esse per prime sono chiamate a risolvere i numerosi conflitti che continuano a insanguinare l’umanità, a cominciare da quella Regione privilegiata nel disegno di Dio, che è il Medio Oriente. Penso anzitutto alla Siria, dilaniata da continui massacri e teatro d’immani sofferenze fra la popolazione civile. Rinnovo il mio appello affinché le armi siano deposte e quanto prima prevalga un dialogo costruttivo per porre fine a un conflitto che, se perdura, non vedrà vincitori, ma solo sconfitti, lasciando dietro di sé soltanto una distesa di rovine.

Permettetemi, Signore e Signori Ambasciatori, di domandarvi di continuare a sensibilizzare le vostre Autorità, affinché siano forniti con urgenza gli aiuti indispensabili per far fronte alla grave situazione umanitaria.
Guardo poi con viva attenzione alla Terra Santa. In seguito al riconoscimento della Palestina quale Stato Osservatore non Membro delle Nazioni Unite, rinnovo l’auspicio che, con il sostegno della comunità internazionale, Israeliani e Palestinesi s’impegnino per una pacifica convivenza nell’ambito di due Stati sovrani, dove il rispetto della giustizia e delle legittime aspirazioni dei due Popoli sia tutelato e garantito. Gerusalemme, diventa ciò che il Tuo nome significa! Città della pace e non della divisione; profezia del Regno di Dio e non messaggio d’instabilità e di contrapposizione! Rivolgendo poi il pensiero alla cara popolazione irachena, auguro che essa percorra la via della riconciliazione, per giungere alla desiderata stabilità.


In Libano – dove, nello scorso mese di settembre, ho incontrato le sue diverse realtà costitutive - la pluralità delle tradizioni religiose sia una vera ricchezza per il Paese, come pure per tutta la Regione, e i cristiani offrano una testimonianza efficace per la costruzione di un futuro di pace con tutti gli uomini di buona volontà.

Anche in Nord Africa è prioritaria la collaborazione di tutte le componenti della società e a ciascuna deve essere garantita piena cittadinanza, la libertà di professare pubblicamente la propria religione e la possibilità di contribuire al bene comune. A tutti gli Egiziani assicuro la mia vicinanza e la mia preghiera, in questo periodo in cui si formano nuove istituzioni. Volgendo lo sguardo all’Africa sub-sahariana, incoraggio gli sforzi per costruire la pace, soprattutto dove rimangono aperte le ferite delle guerre e pesano gravi conseguenze umanitarie.
Penso in modo particolare alla Regione del Corno d’Africa, come pure all’Est della Repubblica Democratica del Congo, dove le violenze si sono riacutizzate, obbligando numerose persone ad abbandonare le proprie case, le proprie famiglie e i propri contesti di vita. In pari tempo, non posso ignorare le altre minacce che si affacciano all’orizzonte. A intervalli regolari la Nigeria è teatro di attentati terroristici che mietono vittime, soprattutto tra i fedeli cristiani riuniti in preghiera, quasi che l’odio volesse trasformare dei templi di preghiera e di pace in altrettanti centri di paura e di divisione. Ho provato una grande tristezza nell’apprendere che, perfino nel giorno in cui noi celebriamo il Natale, dei cristiani sono stati uccisi barbaramente.
Anche il Mali è dilaniato dalla violenza ed è segnato da una profonda crisi istituzionale e sociale, che deve suscitare un efficace interessamento da parte della comunità internazionale. Nella Repubblica Centrafricana, auspico che i colloqui annunciati per i prossimi giorni riportino la stabilità e risparmino alla popolazione di rivivere gli orrori della guerra civile.


Sempre di nuovo la costruzione della pace passa per la tutela dell’uomo e dei suoi diritti fondamentali. Tale impegno, seppure con modalità e intensità diverse, interpella tutti i Paesi e deve costantemente essere ispirato dalla dignità trascendente della persona umana e dai principi iscritti nella sua natura. Fra questi figura in primo piano il rispetto della vita umana, in ogni sua fase. Mi sono pertanto rallegrato che una Risoluzione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, nel gennaio dello scorso anno, abbia chiesto la proibizione dell’eutanasia, intesa come uccisione volontaria, per atto o omissione, di un essere umano in condizioni di dipendenza. Allo stesso tempo, constato con tristezza che, in diversi Paesi, anche di tradizione cristiana, si è lavorato per introdurre o ampliare legislazioni che depenalizzano o liberalizzano l’aborto.
L’aborto diretto, cioè voluto come un fine o come un mezzo, è gravemente contrario alla legge morale. Nell’affermare ciò la Chiesa cattolica non intende mancare di comprensione e di benevolenza, anche verso la madre. Si tratta, piuttosto, di vigilare affinché la legge non giunga ad alterare ingiustamente l’equilibrio fra l’eguale diritto alla vita della madre e del figlio non nato.
In questo campo, la recente decisione della Corte Interamericana dei Diritti Umani relativa alla fecondazione in vitro, che ridefinisce arbitrariamente il momento del concepimento e indebolisce la difesa della vita prenatale, è ugualmente fonte di preoccupazione.
Purtroppo, soprattutto nell’Occidente, vi sono numerosi equivoci sul significato dei diritti umani e dei doveri ad essi correlati. Non di rado i diritti sono confusi con esacerbate manifestazioni di autonomia della persona, che diventa autoreferenziale, non più aperta all’incontro con Dio e con gli altri, ma ripiegata su se stessa nel tentativo di soddisfare i propri bisogni. Per essere autentica, la difesa dei diritti deve, al contrario, considerare l’uomo nella sua integralità personale e comunitaria.


Proseguendo nella nostra riflessione, vale la pena di sottolineare come l’educazione sia un’altra via privilegiata per la costruzione della pace. Ce lo insegna, fra l’altro, l’odierna crisi economica e finanziaria. Essa si è sviluppata perché troppo spesso è stato assolutizzato il profitto, a scapito del lavoro, e ci si è avventurati senza freni sulle strade dell’economia finanziaria, piuttosto che di quella reale. Occorre dunque recuperare il senso del lavoro e di un profitto ad esso proporzionato.
A tal fine, giova educare a resistere alle tentazioni degli interessi particolari e a breve termine, per orientarsi piuttosto in direzione del bene comune. Inoltre, è urgente formare i leaders, che, in futuro, guideranno le istituzioni pubbliche nazionali ed internazionali (cfr Messaggio per la XLVI Giornata Mondiale della Pace, 8 dicembre 2012, 6).
Anche l’Unione Europea ha bisogno di Rappresentanti lungimiranti e qualificati, per compiere le scelte difficili che sono necessarie per risanare la sua economia e porre basi solide per il suo sviluppo. Da soli alcuni Paesi andranno forse più veloci, ma, insieme, tutti andranno certamente più lontano! Se preoccupa l’indice differenziale tra i tassi finanziari, dovrebbero destare sgomento le crescenti differenze fra pochi, sempre più ricchi, e molti, irrimediabilmente più poveri. Si tratta, insomma, di non rassegnarsi allo “spread del benessere sociale”, mentre si combatte quello della finanza.


Investire nell’educazione nei Paesi in via di sviluppo dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina significa aiutarli a vincere la povertà e le malattie, come pure a realizzare sistemi di diritto equi e rispettosi della dignità umana. E’ chiaro che, per affermare la giustizia, non bastano buoni modelli economici, per quanto essi siano necessari. La giustizia si realizza soltanto se ci sono persone giuste! Costruire la pace significa pertanto educare gli individui a combattere la corruzione, la criminalità, la produzione ed il traffico della droga, nonché ad evitare divisioni e tensioni, che rischiano di sfibrare la società, ostacolandone lo sviluppo e la pacifica convivenza.
Continuando la nostra odierna conversazione, vorrei aggiungere che la pace sociale è messa in pericolo anche da alcuni attentati alla libertà religiosa: talvolta si tratta di marginalizzazioni della religione nella vita sociale; in altri casi di intolleranza, o persino di violenza nei confronti di persone, di simboli identitari e di istituzioni religiose. Capita anche che ai credenti - e ai cristiani in modo particolare - sia impedito di contribuire al bene comune con le loro istituzioni educative ed assistenziali. Per salvaguardare effettivamente l’esercizio della libertà religiosa è poi essenziale rispettare il diritto all’obiezione di coscienza. Questa “frontiera” della libertà tocca dei principi di grande importanza, di carattere etico e religioso, radicati nella dignità stessa della persona umana. Essi sono come i “muri portanti” di ogni società che voglia essere veramente libera e democratica. Pertanto, vietare l’obiezione di coscienza individuale ed istituzionale, in nome della libertà e del pluralismo, paradossalmente aprirebbe invece le porte proprio all’intolleranza e al livellamento forzato.


Inoltre, in un mondo dai confini sempre più aperti, costruire la pace mediante il dialogo non è una scelta, ma una necessità! In questa prospettiva la Dichiarazione congiunta tra il Presidente della Conferenza Episcopale Polacca e il Patriarca di Mosca, firmata nello scorso mese di agosto, è un segno forte dato dai credenti per favorire i rapporti fra il Popolo russo e il Popolo polacco. Parimenti, desidero menzionare l’accordo di pace recentemente raggiunto nelle Filippine e, in modo particolare, sottolineare il ruolo del dialogo tra le religioni per una convivenza pacifica nella regione di Mindanao.

Eccellenze, Signore e Signori,
al termine dell’Enciclica Pacem in terris, di cui quest’anno ricorre il cinquantenario, il mio Predecessore Beato Giovanni XXIII, ricordava che la pace rimane «solo suono di parole» se non è vivificata e integrata dalla carità (AAS 55 [1963], 303).
Dunque, quest’ultima è al cuore dell’azione diplomatica della Santa Sede e, prima ancora, della sollecitudine del Successore di Pietro e di tutta la Chiesa cattolica. La carità non sostituisce la giustizia negata, ma d’altra parte la giustizia non supplisce la carità rifiutata.
La Chiesa pratica quotidianamente la carità nelle opere assistenziali, quali ospedali e dispensari, ed educative, quali orfanotrofi, scuole, collegi, università, nonché con l’assistenza fornita alle popolazioni in difficoltà, specialmente durante e dopo i conflitti. In nome della carità la Chiesa vuol’essere vicina anche a quanti soffrono a causa delle calamità naturali.
Penso alle vittime delle inondazioni nel Sud-Est asiatico e dell’uragano che ha colpito la costa orientale degli Stati Uniti d’America. Penso anche a coloro che hanno subito il forte terremoto, che ha devastato alcune Regioni dell’Italia settentrionale. Come sapete, ho voluto recarmi personalmente in questi luoghi, dove ho potuto constatare l’ardente desiderio con cui s’intende ricostruire ciò che è andato distrutto. Auspico che, in questo momento della sua storia, tale spirito di tenacia e di impegno condiviso animi tutta la diletta Nazione italiana.


Concludendo il nostro incontro, vorrei ricordare che al termine del Concilio Vaticano II – inaugurato proprio cinquant’anni or sono – il Venerabile Papa Paolo VI indirizzò alcuni Messaggi che sono sempre di attualità, uno dei quali destinato a tutti i Governanti. Li esortò in questi termini: «Tocca a voi essere sulla terra i promotori dell’ordine e della pace tra gli uomini. Ma non lo dimenticate: è Dio (…) il grande artefice dell’ordine e della pace sulla terra» (Messaggio ai Governanti, 8 dicembre 1965, 3). Oggi faccio mie queste considerazioni, nel formulare a Voi, Signore e Signori Ambasciatori e distinti Membri del Corpo Diplomatico, alle Vostre famiglie e ai Vostri Collaboratori, i più fervidi auguri per il Nuovo Anno.
Grazie!



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