Istituto Buon Pastore (IBP) riconosciuto e con la Messa in rito san Pio V

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Caterina63
00martedì 22 settembre 2009 13:00

http://www.ibproma.com/contact.html

e qui ci sono anche alcune immagini:

LINK



ORDINAZIONI SACERDOTALI





  



E' stato creato un nuovo sito dell'Istitution Angelus (fondazione dell'Istituto del Buon Pastore) che si propone di realizzare numerose opere per la gioventù, tra le quali delle scuole e collegi cattolici...

Guardate il sito e vedete anche tutte le foto di come questi ragazzi e queste famiglie hanno lavorato tutta l'estate per questo santo progetto!

http://www.ibp-angelus.fr/


Chi può, ovviamente, non faccia mancare il proprio sostegno economico a questa fondazione e all'Istituto!

AIUTACI!



UNA CASA VOLUTA E SOSTENUTA DA BENEDETTO XVI

I vantaggi di questi studi romani sono molteplici:

- E importante che questi futuri preti, fieri delle loro convinzioni e conformi agli statuti      dell’Istituto, finiscano la loro formazione nello spirito romano, vicino alla Sede di san Pietro. Senza dubbio, studiare a Roma è sempre fonte di numerose grazie ed è qualcosa che marca per sempre i preti che hanno avuto questa opportunità, avendo ricevuto una visione profondamente cattolica ed universale delle cose.        

- Visto che l’IBP desidera  formare dei preti che saranno capaci di servire nelle parrocchie, ma anchè di reaggire alla grave crisi intelletuale e culturale dei nostri giorni, è fondamentale quindi, che essi possano studiare alle facoltà pontificali e avere dei diplomi universitarii.

- Ricevendo questa doppia formazione, cioè quella all’università (3 ore al giorno) e quella dei nostri specifici corsi di teologia (3 ore al giorno), avranno il privilegio di capire bene tutte le  sfumature   e le sfide dei grandi problemi dei nostri tempi.


Caterina63
00venerdì 2 ottobre 2009 00:58
Lo scorso sabato 13 Giugno 2009, nella chiesa di  Saint-Eloi a Bordeaux, casa madre dell'Istituto del Buon Pastore, il superiore generale padre Laguérie ha presideuto la prima cerimonia di vestizione delle Piccole suore del Buon Pastore. Dopo un anno di postulato le signorine Marie Cartier e Béatrice Lundi sono divenute ufficialmente "Sœur Marie-Madeleine" e "sœur Philomène-Marie".

     

Da questo momento nasce ufficialmente il ramo femminile dell'Istituti, già previsto nelle costituzioni redatte anni fa, ma realizzatosi solo ora nel 2009



Altre immagini
QUI

E c'è anche una bella notizia ancora: a causa dell'eleveato numero di vocazioni l'Istituto del buon pastore aprirà un nuovo seminario nelle americhe, trasformando laresidenza in Cile in un luogo di formazione.
Questo seminario va ad aggiungersi a quello già esistente a Courtalain in Francia.





Caterina63
00sabato 3 ottobre 2009 08:27
Riporto dall'amico Sarastro di oriensforum e Rinascimento Sacro quanto segue:


Domenica 27 settembre 2009
Campo cavallo di Osimo
Nicolas ha servito la Santa Messa di Padre Matteo, Francescani dell’Immacolata, prima di partire per il Seminario di Diritto Pontificio dell’Istituto del Buon Pastore in Francia.
Oremus

ci uniamo a questo frutto di Grazia in questo Anno Sacerdotale, con la Preghiera del Rosario e l'Eucarestia, affinchè sempre più giovani riscoprano la bellezza della Vocazione Sacerdotale....


  





Caterina63
00lunedì 8 febbraio 2010 19:07

UN GIOVANE FORUMISTA ENTRA IN SEMINARIO


Nuovi seminaristi al Buon Pastore





Anche l'Istituto del Buon Pastore (al pari della Fraternità S. Pio X di cui abbiamo parlato due giorni fa) ha celebrato lo scorso 2 febbraio, festa della Candelora, la tonsura e la consegna delle tonache a tredici nuovi seminaristi dell'Istituto, che nei prossimi anni studieranno nel seminario di Courtalain, vicino a Chartres.


Particolarmente cosmopolita l'ambiente seminariale: i tredici nuovi seminaristi provengono dal Brasile (sei), dalla Francia (quattro), dalla Polonia (due) e dall'Italia (uno: vocazione maturata nelle Marche, al Santuario di Campocavallo gestito - in forma straordinaria, in tutti i sensi - dai Francescani dell'Immacolata).

La presenza italiana nel Seminario del Buon Pastore si rafforza: non solo grazie al neo-tonsurato Nicolas, ma anche per via di un altro seminarista in teologia e di quattro ragazzi, brasiliani sì, ma figli di emigrati italiani. E senza contare nel corpo docente il carismatico don Stefano Carusi, lui pure marchigiano.


 Andrea Carradori

Bell'articolo !  
Mettiamo anche in risalto che Nicolas (conosciuto anche nella rete in oriensforum con il nik di fufi) proviene dalla più ( già ) gloriosa Arcidiocesi delle Marche, una delle più importanti d'Italia : Fermo.  

Da sempre la Santa Sede ha dato importanza alla Diocesi di Fermo, sede Cardinalizia fino a tutto il 1800, donandole dei pastori , spesso provenienti dal Nord Italia, di grande spessore ecclesiale e culturale.  
Il Cardinale De Angelis fu internato lungamente in un campo di concentramento sabaudo per un non aver riconosciuto il nuovo assetto unitario italico.  

Circolava un detto nelle logge all'epoca del risorgimento " Quando avremo fiaccato e umiliato Fermo avremo vinto la nostra battaglia".  
Per questo motivo Fermo subì l'umiliazione di perdere la Provincia, che era stata lasciata intatta persino da Napoleone.  
Il Governo Berlusconi ha sanato pochi anni fa questa ingiustizia storica restituendo la provincia alla diletta Marca Fermana. 
 
Ecco il filmato che Nicolas , prima di partire per il Seminario, ha realizzato sulla sua Diocesi :  
 
http://www.youtube.com/watch?v=G6z5E5Sej38  
 
Don Stefano proviene pure da un'importantissima ed antica Diocesi : Camerino, che fu pure Sede Metropolitana.  
L'esodo dalle montagne del dopo guerra ha indebolito quella Arcidiocesi tanto che spesso si parla di accorpamento ... ( Dio non voglia ).  
 
Preghiamo per Nicolas e per tutti gli altri Seminaristi !  
 
Andrea Carradori





Caterina63
00domenica 14 febbraio 2010 18:50

Presentazione dell'Istituto del Buon Pastore


Relazione al Convegno di Una Voce Internationalis – Roma 15 novembre 2009 – di don Stefano Carusi IBP

(Si è volutamente mantenuto lo stile colloquiale)

Ringrazio per questo invito in primo luogo il Presidente di Una Voce Internazionale Leo Darroch e con lui il segretario Rodolfo Vargas Rubio, a nome non solo mio, ma soprattutto del Superiore dell’Istituto del Buon Pastore, Padre Philippe Laguérie, che di questa relazione mi ha incaricato. Non nascondo un timore reverenziale nel parlare, giovane sacerdote, a questa consesso nel quale siedono alcuni dei veterani della battaglia in difesa della liturgia gregoriana, il cui intervento fin dalla metà degli anni ’60, mostrò, in epoca non sospetta, che quelle pericolose avvisaglie, erano segno di una lunga lotta contro il rito romano; lotta che all’epoca ha avuto incredibili contorni, come ricordava l’allora Card. Ratzinger, e che tanto male ha fatto alla Chiesa. Ricordo personalmente lo sforzo di tanti membri di Una Voce, che scorgo nell’assemblea, per salvaguardare a Roma la presenza della Messa gregoriana, negli anni Ottanta e Novanta. Erano i tempi della Chiesa dei Santi Luca e Martina al Foro, ove ebbi personalmente l’occasione di accostarmi la prima volta alla Messa di sempre. Quella Messa di cui tanto si sentiva parlare, non fosse che dai vecchi sacerdoti o dai familiari, e che tanto era osteggiata e perseguitata, da essere introvabile (internet quasi non esisteva), almeno in Italia; tanto era invisa che quello sparuto gruppo, fu costretto a sloggiare da quella chiesa, improvvisamente bisognosa di improcrastinabili restauri… Quella resistenza eroica appariva ai miei occhi d’adolescente come inverosimile, così come inverosimile era il perché di tanto odio.

Perché ricordare le sofferenze di quegli anni? - si chiederà qualcuno di voi - perché? Ora che tutto sembra andar bene? Ebbene, perché è giusto non cancellare la storia, perché è doveroso ricordare quanti si batterono all’epoca e non poterono vedere l’alba di questo nuovo giorno. Infine perché le sofferenze di allora sembrano già così lontane, ma non è detto che altre sofferenze in difesa della Messa di sempre, non ci saranno chieste in futuro, tuttaltro. Recentissime storie destano preoccupazione, come coraggiosamente accennato dal relatore che mi ha preceduto (…)
Non voglio tediare l’uditorio, ma solo riportare il clima storico che molti dei presenti hanno vissuto ben più direttamente di chi vi parla. Quel clima storico dicevo (…) mi è stato chiesto di parlare della storia e degli sviluppi del Buon Pastore e da quel clima storico non posso prescindere (…), fu infatti quella situazione incresciosa di persecuzione alla Tradizione la causa che portò tanti dei suoi membri attuali, la maggioranza direi, oltre a tutti i fondatori, a scegliere l’opera di Mons. Lefebvre. Uomo di santa memoria, cui ci sentiamo tutti legatissimi e grati. Legati a gran parte della sua coraggiosa impresa, con quelle difficili scelte di campo che la prudenza gli suggerì di percorrere in quei frangenti straordinari. Legati a tanti di quei passi coraggiosi, che gli fecero assaporare l’amaro fiele della persecuzione. Quei suoi passi in difesa della Messa e della dottrina di sempre (è un dato di storia e non di retorica) hanno fatto sì che quel patrimonio, che altri avrebbero voluto cancellare dalle memorie, possa oggi tornare con la sua ricchezza feconda. Mirabile potenza della vitalità della Chiesa!

Quella scelta tuttavia, necessaria a nostro avviso in quel momento, non poteva e non voleva che essere temporanea. La dolorosissima realtà che si era venuta a creare, metteva di fatto in una spiacevolissima situazione di rapporti col Vicario di Cristo, il Romano Pontefice.

All’elezione al soglio del regnante Pontefice, Iddio lo conservi, l’eccezionalità di quella situazione parve essere giunta ad un epilogo. Diverse visioni della situazione nella Chiesa cominciavano a profilarsi tra preti e seminaristi della Fraternità, molti dei quali desiderosi di trovare una soluzione che fosse più manifestamente rispettosa del divino ruolo del Pontefice, nella chiarezza e nel rispetto della verità. Una congiuntura provvidenziale volle che spiriti diversi si ritrovassero in una situazione nuova, che li avrebbe portati ad una maggiore visibilità della loro comunione col Papa. Comunione mai perduta durante quegli anni difficili, ma forse non pienamente visibile, non foss’altro per l’aspetto canonico, il quale, seppur secondario rispetto alla dottrina e alla comunione gerarchica, non può tuttavia essere tralasciato.

Viviamo ora un’epoca tanto diversa da quella di pochi anni or sono e gli sviluppi che oggi vediamo nella Chiesa, rendono in qualche modo ragione della giustezza di quelle analisi dell’anno 2006, momento in cui fummo fondati. Il motu proprio sembrava lontano, i pessimisti di bottega vociferavano che mai sarebbe stato pubblicato, eppure già dei segni si annunciavano all’orizzonte. Senza cadere nell’attuale euforia che, ingenua o interessata, percorre certo mondo tradizionale, si può tuttavia affermare che la Provvidenza è stata generosa, forse oltre le aspettative. Non solo in liturgia il ritorno della Tradizione sembra affermarsi, ma anche nel campo teologico e dottrinale le autorità ecclesiastiche sembrano interrogarsi su una crisi del mondo cattolico. Crisi dottrinale a lungo negata e semplicisticamente descritta come “tappa transitoria” del mondo occidentale, allorché già da tempo si vedevano pericolose derive, le quali, invece di essere occultate, avrebbero dovuto indurre ad un lucido studio delle cause.

Il discorso pronunciato dal Sommo Pontefice alla Curia Romana il 22 dicembre 2005 contribuì creare un clima nuovo, di apertura e confronto scientifico.

In questo quadro il nostro Istituto vide i natali, con le due peculiarità volute dal Sommo Pontefice:

1 ) L’uso esclusivo della Messa gregoriana, fondato sulla convinzione della straordinaria chiarezza di questa liturgia nell’esprimere la realtà del sacrificio eucaristico. Dove straordinario sta anche per soprannaturale, come soprannaturalmente questa liturgia è nata e si è arricchita nel corso dei secoli, recita Summorum Pontificum. Usiamo a bella posta questo termine di “straordinario” in senso equivoco, poiché da più parti è in voga l’uso di un’accezione “riduttiva”, che va ben oltre la lettera del “Motu proprio”. Quest’ultimo parla di “extraordinaria expressio”, poiché valuta una realtà pastorale di fatto, ma non perché vuol parlare di “rito straordinario”, quasi fosse un soprammobile in più del già variegato panorama liturgico…..Quest’idea, tanto stolta quanto irriverente, è in contraddizione con l’art. 5 dello stesso documento, che parla dell’onore dovuto al rito gregoriano, e si rivela quindi lontanissima dalla “mens” del Redattore.

2) La critica costruttiva di alcuni testi del Concilio Vaticano II, ossia, come recita la formula dei nostri impegni : “a proposito di alcuni punti insegnati nel Concilio Vaticano II concernenti alcune riforme posteriori della liturgia e del diritto e che ci sembrano difficilmente conciliabili con la Tradizione, noi ci impegniamo ad un’attitudine positiva di studio e di comunicazione con la Sede Apostolica, evitando la polemica. Quest’attitudine di studio vuole partecipare per mezzo di una critica seria e costruttiva alla preparazione di un’interpretazione autentica da parte della Santa Sede su questi punti del Vaticano II”.

Questa nuova disponibilità nello studio delle problematiche sollevate dai testi del Vaticano II, questa riapertura del dibattito teologico, diviene per il nostro Istituto stimolo allo studio e alla critica teologica, nel senso più nobile del termine. L’elezione al soglio di un Papa che non teme la verità, di un Papa-teologo, che ha passato tanta parte dei suoi studi nel confronto scientifico universitario, facilita senza dubbio le cose. Ferma restando la convinzione che, aldilà dello studioso, Egli resta Colui che da Cristo ha ricevuto le chiavi, Colui che, per divina volontà, specie quando parla ex cathedra è “ultima istanza” in materia di dottrina.

Ecco i primi grandi “sviluppi del Buon Pastore”, sui quali sono stato chiamato a parlare. Sviluppi poco appariscenti forse, ma significativi in questo nuovo panorama che ci offre la Chiesa. Sviluppi in cui scelte liturgiche e dottrinali si intersecano, in una volontà di guardare alla Tradizione come rimedio contro i mali che oggi affliggono la Chiesa.

Queste posizioni - serve a qualcosa negarlo? – non sempre hanno determinato l’entusiasmo di tutti i piani dell’edificio ecclesiastico, così come non determinano entusiasmi le coraggiose denunce di Vescovi audaci o le misure necessarie a favore della Tradizione invocate dal Papa. Tuttavia, malgrado le innegabili difficoltà di una fondazione, non ultimi i problemi pratici, l’Istituto ha potuto concentrarsi su ciò che vi è di più basilare nella Chiesa, la formazione dei sacerdoti. Fin dalla prima ora emerse l’importanza del Seminario, come la storia della Chiesa insegna, e su di esso si sono concentrati gli sforzi, in un lavoro che non guadagna le prime pagine dei giornali, poiché lungo e laborioso. Abbiamo nel nostro Seminario di Courtalain, presso Chartres, una comunità di circa quaranta persone, di cui cinque sacerdoti, il resto sono dei giovani che si preparano al sacerdozio. A partire da quest’anno siamo in grado di garantire tutto l’iter di studi, dall’anno propedeutico, alla filosofia e fino alla teologia. Né manca la volontà di permettere ai chierici, una volta terminati i loro studi di base, di conseguire i gradi accademici, in questo quadro abbiamo studenti a Roma, Tolosa, Lione, Bratislava. In America Latina si opera a Santiago del Cile, contemporaneamente in Colombia e in Polonia si sviluppano centri che vedono un’attività pastorale regolare.

Dulcis in fundo non si può tralasciare di parlare della parrocchia personale di Bordeaux, la nota chiesa di Saint Eloi, dove, in felice collaborazione con l’Arcivescovo Card. Ricard, quattro sacerdoti lavorano stabilmente in un’attività che va dalla scuola, allo scoutismo, alla quotidiana vita di parrocchia nel vivace centro storico di una città. A Parigi le attività si svolgono al Centre Saint Paul, sempre in Francia una nuova scuola per ragazzi è stata fondata nei pressi di Bourges, con l’incoraggiamento del Vescovo locale.

Aldilà degli sviluppi concreti questi carismi propri del Buon Pastore, vogliono essere a servizio della Chiesa universale, in questo quadro l’aiuto al clero diocesano si concretizza in sessioni di studio e di apprendistato liturgico per i tanti giovani parroci che vorrebbero imparare la celebrazione della Messa gregoriana. Un’attività concreta di sostegno alle parrocchie comincia a delinearsi all’orizzonte con più convinzione. E’ doveroso riconoscere che alcuni Vescovi, conformemente alle stesse indicazioni del Codice e del Motu proprio, sono disponibili rispetto del nostro carisma di esclusività della Messa gregoriana e si impegnano a rispettarlo e favorirlo. Posso con gratitudine menzionare ad esempio il Vescovo di Chartres, col quale collaboriamo sul territorio da qualche anno, il quale sua sponte ci ha affidato un nuovo apostolato tradizionale, in un clima di fiducia reciproca e rispetto della nostra scelta. Né ciò significa che la nostra esclusività sia segno di un rifiuto della validità del Novus Ordo, la cosa non sarebbe nemmeno in linea con la dottrina cattolica dell’ex opere operato. Non è questo il nostro avviso, ma ci uniamo senza riserve a quanti chiedono a gran voce una progressiva riforma della nuova Messa. Una revisione dell’offertorio in primis, un orientamento del sacerdote coerentemente al significato sacrificale del gesto che compie, l’estensione generalizzata della comunione in bocca, sono a nostro avviso le urgenze dell’ora presente. Speriamo che un movimento si inneschi, già in parte spontaneamente messo in pratica da tanti buoni parroci, di ritorno verso il modo tradizionale di pregare. In una prospettiva che non è quella di creare un nuovo ibrido, un tertium quid, a metà strada tra vecchio e nuovo, che invece di risolvere i problemi liturgici ne creerebbe di nuovi. Quando c’è un malato, non lo si uccide, lo si cura. Né lo si cura attaccando un po’ della sua malattia al medico, ma lo si cura con un medico che lo aiuta a ristabilirsi in sempre migliore salute. Quanto al medico esso, per curare, sarebbe meglio che non si ammalasse. Questo medico è la Tradizione di sempre, è ciò che ci viene da Cristo, dagli Apostoli, dalla Chiesa, è un faro per illuminare le tenebre, come la Messa di sempre è faro della preghiera. Non affievoliamo questa luce, quasi avendo paura di esserne gli apostoli, ma difendiamola per il bene di tutta la Chiesa e mettiamola in alto, perché sia vista da tutti. Speriamo che in questo sforzo si crei il terreno umano propizio, che guardi lontano e non al beneficio immediato. Speriamo in una prospettiva di ritorno alla Tradizione in tutta la Chiesa, che tenga realisticamente conto della situazione attuale, con la fermezza dovuta nei principi di fede.

Vi ringrazio per l’attenzione paziente
Caterina63
00martedì 8 febbraio 2011 11:20

Immagini dal futuro - vestizione e tonsure al Buon Pastore

“L’esattezza delle sacre cerimonie dà tale risalto e maestà all’ecclesiastiche funzioni, che ne restano eccitati a divozione non meno i fedeli, che i nemici stessi della cattolica religione. Ben ce ne rende testimonianza S. Agostino (lib IX Confess.), il quale protesta di aver ricavato gran frutto, gran risentimento di compunzione e molte lagrime di tristezza quando, ancor laico, si trovava presente alle funzioni della Chiesa, le quali rappresentano più al vivo colla varietà delle sacre cerimonie, colle genuflessioni, cogli inchini, cogli incensi, il culto che rende la corte celeste a Dio sedenti super thronum, et Agno: e ben molte volte è accaduto, che grandi personaggi contrari a noi di fede, essendosi abbattuti a vedere le sacre funzioni celebrate con quella maestà e raccoglimento, con quell’esattezza dei sacri riti, che si conviene, abbiano aperto gli occhi alla luce della vera fede, e riconosciuta la santità della nostra religione.”
Giuseppe Baldeschi, Esposizione delle Sacre Cerimonie, Roma 1931









I nostri migliori auguri ai 12 nuovi chierici (tra cui anche un italiano) dell’Istituto del Buon Pastore a Courtalain che in occasione del giorno 2 Febbraio, Festa della Purificazione della Vergine Maria, hanno deciso di lasciar morire l’uomo vecchio e di riverstirsi dell’uomo nuovo e dedicare la propia vita in umile servizio alla Chiesa!



Caterina63
00martedì 15 maggio 2012 18:15

Accordo Roma-Ecône: “Abbiamo scherzato”?

 
Nota sugli sviluppi di una disputa teologico-ecclesiale



 FSSPX



 
Naturalmente, è bene ricordare, voci e certezze non automaticamente coincidono; qualcosa tuttavia c’è. In pochissimo tempo, infatti, si sono registrati sulla materia più interventi: l’abbé Franz Schmidberger, Superiore emerito della FSSPX; Mons. Richard Williamson, uno dei quattro vescovi consacrati da Mons. Lefebvre, ha confermato il dato, ma con valutazioni assai differenti (e a suo tempo, ricordiamo a chi l’avesse dimenticato, Mons. Bernard Fellay negò l’esistenza di divisioni tra i vescovi, attribuendo ciò a malevole rappresentazioni esterne); infine il Superiore di un distretto FSSPX importante come quello italiano, don Davide Pagliarani, è intervenuto rispondendo ad alcune obiezioni. E’ soprattutto quest’ultimo intervento che ci spinge a tornare sulla questione, per il motivo che diremo. In ogni caso, l’incontro del 14 settembre è certo.
 
Quanto a noi, di per sé non potremmo che rallegrarci se infine la FSSPX farà quella che, peraltro, sostanzialmente è la nostra stessa scelta (finora trattata come roba da traditori; maltrattati, puniti e disprezzati): cioè un accordo sostanzialmente pratico-canonico, congiunto alla possibilità di “fare l’esperienza della Tradizione” (secondo una formula che Mons. Lefebvre ha perorato per tanti anni, sicuramente per la maggioranza del tempo della sua resistenza), e all’attestazione della presenza di questioni dottrinali su cui allo stato attuale non c’è accordo, ma intenzione di discutere. Quanto però alle modalità di realizzazione non possiamo che rilevare, e porre ai diretti interessati, un problema di chiarezza e di verità; aspetti quest’ultimi, che alla FSSPX – in base alle ricorrenti dichiarazioni – dovrebbero stare sommamente a cuore.
 
Chiaramente non stiamo qui a ripetere tutte le cose già dette: i nostri precedenti articoli, “Il fallimento dei colloqui dottrinali della Fraternità San Pio X e la questione ordinariato tradizionale e “La necessità teologica ed ecclesiale di una “terza via”: né vortice “scismatico” né conformismo “allineato” (prima e seconda parte)”, sono disponibili su questa rivista per chiunque voglia consultarli con attenzione e obiettività. In questa sede concentreremo l’attenzione sugli sviluppi dell’articolo “Il fallimento dei colloqui dottrinali…” e sul dibattito che ne è scaturito.


Accordo possibile…
Come accennato, il Superiore del Distretto italiano alla valutazione su un fallimento delle discussioni ha replicato in questi termini:
«Penso che sia un errore pregiudiziale considerare i colloqui falliti. Questa conclusione è tirata forse da chi s’aspettava dai colloqui qualche risultato estraneo alle finalità dei colloqui stessi. Il fine dei colloqui non è mai stato quello di giungere ad un accordo concreto, bensì quello di redigere un dossier chiaro e completo, che evidenziasse le rispettive posizioni dottrinali, da rimettere al Papa e al Superiore generale della Fraternità». Quanto alla eventuale prossima offerta di un Ordinariato, essa «sarebbe presa serenamente in considerazione […]»[1].
 
A sua volta il Distretto tedesco afferma:
 
«tuttavia la questione dello status canonico non ha avuto finora risposta»[2].
 
In entrambe le dichiarazioni è presente un oggettivo possibilismo sulla realizzazione di un accordo canonico: e ciò sebbene, come riferisce anche uno dei quattro vescovi paventando l’accettazione, «tutti dicono che le Discussioni hanno confermato che nessun accordo dottrinale è possibile tra la FSSPX […] e la Roma di oggi […]».Prosegue il Vescovo: «la situazione dopo le Discussioni è esattamente la stessa che prima».[3]


 …malgrado il reale fallimento dei colloqui dottrinali
Osserviamo che, a dispetto di quello che anche noi avevamo scritto sul fallimento dei colloqui dottrinali, si dichiara oggi che la loro finalità sarebbe stata soltanto quella di far conoscere meglio le posizioni e che quindi essi sarebbero non già un fallimento, ma un successo. Ora questo è insostenibile per più ragioni:

1) Perché atti in cui le parti evidenziavano le rispettive posizioni esistevano già da tempo: ad esempio, la risposta di Roma ai Dubia presentati da Mons. Lefebvre (1987); ad esempio, gli studi di  Mons. de Castro Mayer (sulla Libertà religiosa e sul Novus Ordo Missae) e di Mons. Fellay (sull’odierno ecumenismo), trasmessi a Roma rispettivamente nel 1974 e nel 2004; ad esempio, le articolate risposte scritte di Mons. Lefebvre all’ex Sant’Uffizio sulle questioni controverse, agli inizi del pontificato di S.S. Giovanni Paolo II (ed oggi per nulla messe in valore dalla stessa FSSPX, malgrado le sollecitazioni scritte ricevute recentemente da un sacerdote del clero romano, che aveva assistito Mons. Lefebvre nella loro redazione). Se si fosse trattato solamente di completare l’insieme di tali scritti, allora l’accordo avrebbe potuto essere firmato già da anni: infatti, come abbiamo scritto, Roma già allora aveva dato disponibilità a concedere contestualmente due cose: la regolarizzazione canonica e una Commissione bilaterale teologica di approfondimento dei punti controversi. Ecône dunque ci ha ripensato ? Ora forse apprezza quello che qualche anno fa aveva disprezzato ? O era forse una questione pubblicitaria, per dare l’immagine di vittoria su una Roma che s’era infine arresa a discutere ?

 
2)Perché non era certamente “estraneo alle finalità dei colloqui stessi” - come invece oggi affermato - il risultato qui di seguito illustrato dai vertici della FSSPX, come obiettivo dichiarato. Le affermazioni non scarseggiano, ad esempio sulla necessità preliminare della conversione di Roma, ma, a titolo esemplificativo, ci limitiamo a riportare due testi significativi, il primo è di Mons. Fellay - già regnante Benedetto XVI - e il secondo è la Dichiarazione del Capitolo Generale:

      «Intravediamo tre tappe verso una soluzione della crisi: preliminari, discussioni, accordi […]. Se Roma concede i preliminari, converrà passare alla seconda tappa, cioè alle discussioni. Questa tappa sarà difficile, movimentata, e probabilmente abbastanza lunga […] in ogni caso, è impossibile ed inconcepibile passare alla terza tappa, e quindi prevedere degli accordi, prima che le discussioni siano riuscite a chiarire e correggere i principi della crisi»[4].

 
      «Infatti, i contatti che essa (la FSSPX) mantiene sporadicamente con le autorità romane hanno per unico scopo di aiutarle a riappropriarsi della Tradizione che la Chiesa non può perdere senza rinnegare la propria identità, e non la ricerca di un vantaggio per se stessa, o di giungere ad un impossibile “accordo” puramente pratico. Il giorno in cui la Tradizione ritroverà tutti i suoi diritti, “il problema della riconciliazione non avrà più alcuna ragione di essere e la Chiesa ritroverà una nuova giovinezza”»[5].

 

Chiediamo quindi alla FSSPX di rispondere pubblicamente alle seguenti domande: i principi della crisi sono oggi, grazie alle discussioni, non soltanto “chiariti” ma anche “corretti”? La Tradizione ha ritrovato oggi “tutti” i suoi diritti? Tra Ecône e Roma c’è oggi accordo dottrinale? Anche da quanto hanno detto sull’incontro di Assisi, proprio a ottobre, sembrerebbe di no… Dunque come mai oggi non sembra escludere, almeno di principio, quanto ieri aveva dato per «impossibile» e addirittura «inconcepibile»? Forse si sono resi conto della erroneità di tali dichiarazioni? Bene, in ossequio ai diritti della verità e per amor di chiarezza che lo dicano apertamente. Finora Mons. Fellay non ha spiegato neppure perché prima aveva detto[6] di non poter fare domanda scritta di ritiro del decreto di scomunica, giacché questo avrebbe comunque implicato un riconoscimento della validità di dette censure, e poi invece la domanda scritta l’ha fatta come nulla fosse.

 

Coi seguenti presupposti, quale accordo “dottrinale” è possibile?
Qualora non si riconoscesse di aver optato per il più modesto accordo pratico-canonico, arrampicandosi sugli specchi per nascondere “l’inversione a u”, ciò vorrà dire che l’eventuale accordo sarà ancora dato per dottrinale, come lo si pretendeva in ripetute dichiarazioni pubbliche. Alimentando la confusione. Ma ci si spieghi allora quale accordo dottrinale sarà coerente con le rigide posizioni tassativamente esposte, a seguito della procedura scelta, dalle parti dialoganti in questi ultimi anni. Tale infatti era il tenore della dichiarazione del Capitolo:
«Se, dopo la loro realizzazione, la Fraternità aspetta la possibilità di discussioni dottrinali, è solo al fine di far risuonare più fortemente nella Chiesa la voce della dottrina tradizionale. Infatti, i contatti che essa mantiene sporadicamente con le autorità romane hanno per unico scopo di aiutarle a riappropriarsi della Tradizione che la Chiesa non può perdere senza rinnegare la propria identità, e non la ricerca di un vantaggio per se stessa, o di giungere ad un impossibile “accordo” puramente pratico. Il giorno in cui la Tradizione ritroverà tutti i suoi diritti, “il problema della riconciliazione non avrà più alcuna ragione di essere e la Chiesa ritroverà una nuova giovinezza”»[7].

Queste le parole di Mons. Fellay:
«Non siamo disposti ad avallare il veleno che si trova nel concilio»[8].

Queste le dichiarazioni del Superiore del distretto italiano:
 «Tutti sanno che la Fraternità non accetterà mai né l’art. 31, né l’art. 19 [della Istruzione “Universae Ecclesiae”]»[9].

Né mancano altri esempi di cose che esponenti anche autorevoli di tale Fraternità rifiutano pubblicamente, anche in maniera totale e categorica; negli articoli di questo sito se ne può trovare un campione, appunto tutt’altro che esaustivo e talvolta addirittura sconcertante.

Queste le condizioni della Segreteria di Stato:
«Come già pubblicato in precedenza, il Decreto della Congregazione per i Vescovi, datato 21 gennaio 2009, è stato un atto con cui il Santo Padre veniva benignamente incontro a reiterate richieste da parte del Superiore Generale della Fraternità San Pio X. Sua Santità ha voluto togliere un impedimento che pregiudicava l'apertura di una porta al dialogo. […] La gravissima pena della scomunica latae sententiae, in cui detti vescovi erano incorsi il 30 giugno 1988, dichiarata poi formalmente il 1° luglio dello stesso anno, era una conseguenza della loro ordinazione illegittima da parte di Monsignor Marcel Lefebvre.
Lo scioglimento dalla scomunica ha liberato i quattro vescovi da una pena canonica gravissima, ma non ha cambiato la situazione giuridica della Fraternità San Pio X, che, al momento attuale, non gode di alcun riconoscimento canonico nella Chiesa cattolica. Anche i quattro vescovi, benché sciolti dalla scomunica, non hanno una funzione canonica nella Chiesa e non esercitano lecitamente un ministero in essa.

Per un futuro riconoscimento della Fraternità San Pio X è condizione indispensabile il pieno riconoscimento del concilio Vaticano IIe del Magistero dei Papi Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e dello stesso Benedetto XVI»[10].


Per onestà intellettuale
Visto che la FSSPX poneva l’accordo dottrinale addirittura come prospettiva “sine qua non” alla regolarizzazione canonica, ci si potrebbe accordare almeno sul testo delle dichiarazioni ? Infatti non risulta pubblicato l’originale della risposta di Mons. Fellay ai cinque punti (il cosiddetto “ultimatum”) di Roma. Mentre su un passo dottrinalmente importante della lettera con cui è stato ottenuto l’annullamento del decreto di scomunica circolano addirittura due versioni (pubblicate sulla rispettiva stampa): in base all’una, Mons. Fellay e FSSPX accettano fino al Vaticano I; in base all’altra, accettano fino al Vaticano II (quest’ultimo con delle riserve). Per loro natura, documenti del genere sono atti pubblici: come mai ne sono circolati due testi virgolettati diversi? Quale dei due corrisponde all’originale? Cosa esattamente ha firmato Mons. Fellay? È possibile, «nell’intento della più grande trasparenza possibile», pubblicare entrambe le lettere?

Un’ultima considerazione. Se la FSSPX accetterà la regolarizzazione canonica, se in ogni caso ora, tramite suoi autorevoli esponenti, vi si mostra disponibile nonostante «tutti dicono che le Discussioni hanno confermato che nessun accordo dottrinale è possibile», allora i casi possibili sono due. O la FSSPX ha capito di aver sbagliato nell’escludere, addirittura ontologicamente, la regolarizzazione senza previo accordo dottrinale e ha cambiato idea (ma questo, per onestà intellettuale, andrebbe dichiarato). O ha voluto alzare la posta, usando tale materia per ottenere maggiori concessioni pratiche.

In questa seconda, gravissima eventualità potrebbe inquadrarsi anche la dimenticanza del Superiore italiano, che nella suddetta intervista afferma: «l’unico prelato che non ha mai cessato di celebrare pubblicamente nel rito tradizionale, allora erroneamente considerato abrogato e bandito, è stato il fondatore della Fraternità San Pio X». Senza nulla togliere al «venerato» Mons. Lefebvre, «un grande uomo di Chiesa»[11], c’è però da obiettare: e Mons. de Castro Mayer? Forse che questo prelato «ha […] cessato di celebrare pubblicamente nel rito tradizionale»? O forse che, non essendo oggi strumentalizzabile a pro dell’attuale FSSPX, anche se non ha mai cessato, è conveniente non ricordarlo ?

Un altro interrogativo richiede risposta. Come mai l’intervento del vescovo Williamson sembra evocare la presenza «già nel 2001» di problemi pratici all’accordo (sulle nomine di futuri vescovi e superiori della FSSPX), allorquando Mons. Fellay ci aveva riferito che le offerte di Roma erano ottime e convenientissime alla Fraternità sotto il profilo pratico, ma questa non poteva accettare solo per i motivi filosofico-teologici sopra ricordati?

Anche per fugare ogni dubbio di “mercificazione” delle questioni dottrinali per avere vantaggi praticissimi, per giunta dietro l’immagine di un loro disprezzo, chiediamo pubblicamente a Mons. Fellay di riconoscere con umiltà e chiarezza che certe passate affermazioni – con i relativi criteri, mentalità e impostazione – vanno profondamente corretti.


 La Redazione di Disputationes Theologicae

 
 
 





[1] Intervista al Superiore del Distretto Italiano della FSSPX, tratta dal sito del Distretto italiano della  FSSPX, luglio 2011, http://www.sanpiox.it/public/index.php?option=com_content&view=article&id=323:intervista-a-don-davide-pagliarani&catid=35:info-sulla-fsspx&Itemid=123
 
[2] «[…], jedoch wurde die Frage nach dem kirchenrechtlichen Status bislang nicht beantwortet», (http://www.piusbruderschaft.de/startseite/archiv-news/734-beziehungen_zu_rom/5766-generaloberer-nach-rom-gebeten).
 
[3] Mons. R. Williamson, Commentaire Eleison del 20 agosto 2011, http://tradinews.blogspot.com/2011/08/mgr-williamson-commentaire-eleison-les.html
 
[4] Mons. Fellay, in Fideliter n. 171, maggio-giugno 2006, pp. 40-41.
 
[5] Dichiarazione dell’ultimo Capitolo generale della FSSPX, Roma felix,luglio-agosto 2006, p. 6; la Dichiarazione è stata fatta «nell’intento della più grande trasparenza possibile, e per evitare anche qualsiasi falsa speranza o illusione».
 
[6] Ad esempio, nell’omelia del 2 febbraio 2006 a Flavigny.
 
[7] Dichiarazione dell’ultimo Capitolo della FSSPX (cfr nota 5).
 
[8] Omelia di mons. Fellay a Saint-Malô, nella S. Messa dell’Assunta 2008.
 
[9] Intervista al Superiore del Distretto italiano (cfr nota 1)
 
[10] Nota della Segreteria di Stato Vaticana, 4 febbraio 2009.
[11] Secondo le espressioni del Pontefice regnante nell’udienza dell’estate 2005.
 
Caterina63
00martedì 15 maggio 2012 18:16

Il “rito proprio” e l’ “ermeneutica della continuità” sono sufficienti?

 

2 maggio 2012, Sant'Atanasio
 
 
G.L. Bernini, Sant'Atanasio sorregge la Cattedra di S. Pietro
 bernin
 
La nostra Redazione, a seguito del risultato della visita canonica all’Istituto del Buon Pastore, riceve delle domande che possono essere riassunte dal titolo di questo intervento. La questione ci sembra avere un rilevante interesse ecclesiale, anche tenendo conto della sollecitazione a pronunciarsi racchiusa in articoli a riguardo come quello del superiore italiano della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Esporremo quindi alcune considerazioni ai nostri lettori, le quali – ovviamente – non impegnano se non la linea editoriale di questa libera rivista.
 
Il testo che  la Rev. da Pontificia Commissione Ecclesia Dei ha prodotto offre all’Istituto del Buon Pastore alcune indicazioni, d’ordine in parte pratico-giuridico e in parte teologico-ecclesiale, toccando anche le “specificità” dell’Istituto, sebbene in termini non perentori ma piuttosto di consiglio: la Commissione, in merito alla celebrazione della Messa tradizionale come prevista dagli Statuti, invita a parlare di “rito proprio”, citiamo letteralmente, “senza parlare di esclusività” (ovvero, invito a modificare gli Statuti fondativi?); e - su questo secondo punto con formulazione un po’ più forte - chiede altresì di diminuire la “critica, sia pure seria e costruttiva”, degli aspetti del Concilio Vaticano II che pongono interrogativi, per insistere maggiormente sull’ “ermeneutica del rinnovamento nella continuità”, adottando “come base” il “Nuovo Catechismo”.
 
In ordine a tali aspetti la questione, lungi dall’essere una mera discussione terminologica, ci appare cruciale per il futuro del Buon Pastore. Del resto la Commissione sembra aver voluto, nel suo insieme, proporre il proprio punto di vista teologico-liturgico; non trattandosi sempre di ordini formali essa lascia la scelta al Capitolo Generale.
 
 
La natura dello scritto di mons. Pozzo e le circostanze storiche
 
Il documento è il risultato della visita canonica a distanza di sei anni dalla fondazione dell’Istituto. Ricordiamo che il riconoscimento di quest’ultimo è stato voluto personalmente dal Santo Padre Benedetto XVI, offrendo la possibilità dell’ “esperienza della Tradizione” con due specificità, espressamente previste dagli Statuti (approvati da Roma) e in virtù delle quali abbiamo parlato di “avanzamento” della causa tradizionale: la celebrazione esclusiva della “Messa gregoriana” (secondo l’espressione del Card. Castrillon Hoyos) e la possibilità esplicita di una “critica seria e costruttiva” dei punti del Concilio Vaticano II che appaiano difficilmente conciliabili con la Tradizione.
 
Ora, dal punto di vista liturgico il testo afferma che sarebbe auspicabile uniformare allo “spirito” del più recente Motu Proprio Summorum Pontificum gli Statuti dell’Istituto, anteriori di un anno, eliminando la parola exclusive sostituendola con il termine “rito proprio” (espressione che, essendo già presente negli Statuti in due punti, è pertanto invocata in contrapposizione all’altra e non ad integrazione di essa). Notiamo tuttavia che tale termine, così come nella redazione approvata dalla Santa Sede nel 2006, non è incompatibile con la recente legislazione in materia, essendo piuttosto il riconoscimento giuridico d’una peculiarità. Nella Chiesa l’esistenza d’una legge generale (e, in questo caso, semplicemente di un orientamento) non impedisce il riconoscimento d’un diritto proprio: a fortiori se si è in presenza d’una precedente approvazione dell’autorità ecclesiastica. In questa prospettiva si può comprendere che tale indicazione della Commissione sia nell’ordine dell’invito.
 
Dal punto di vista teologico il documento invita a privilegiare l’ “ermeneutica del rinnovamento nella continuità” sulla “critica, sia pure seria e costruttiva”, e più in generale l’attitudine “in positivo”. La Commissione sembra riconoscere che l’attitudine del Buon Pastore non è quella di una critica selvaggia, irrispettosa, estremistica e temeraria, ma è rimasta nell’ambito degli impegni scritti del 2006. In quel contesto l’Istituto, non essendovi pieno accordo su talune questioni dottrinali, sottoscriveva un “accordo pratico-canonico” - comprensivo anche dei due punti summenzionati -, in uno spirito di filiale collaborazione con la Santa Sede e prendendo sul serio le dichiarazioni di S. Em. il Card. Castrillon Hoyos, il quale ribadì che, se si ha evidenza di incoerenze, “la critica costruttiva è un gran servizio da rendere alla Chiesa”.  
 
 
Una proposta di riflessione
 
Il citato testo è da accogliere col rispetto che è dovuto ad un documento proveniente da un Dicastero romano, e al contempo in quel medesimo spirito d’apertura e franchezza nel quale allora ci impegnammo. Esso contiene alcune indicazioni d’ordine pratico-giuridico che sono ispirate dalla sollecitudine in vista d’un perfezionamento della giustizia amministrativa che deve caratterizzare ogni società; preziosa ci appare la sollecitazione ad approfondire “il pastoralato di Cristo”; inevitabilmente in una giovane fondazione ci sono aspetti da migliorare, e la Commissione offre indicazioni che non vanno sottovalutate. Ma il documento chiede anche di riconsiderare due punti che costituiscono le specificità dell’ Istituto; su questo aspetto, il nostro punto di vista si discosta da quello del relatore.
 
 
La celebrazione “esclusivamente” nel rito tradizionale
 
Non vediamo una incompatibilità legislativa tra tale facoltà e il Motu Proprio Summorum Pontificum anche perché il riferimento in allusione che dice di non “escludere, in linea di principio, la celebrazione secondo i libri nuovi”, non è contenuto nella parte normativa, ma nella lettera argomentativa. Inoltre il passaggio può intendersi come raccomandazione a non escludere che altri sacerdoti cattolici celebrino secondo i nuovi libri, con le condanne generalizzate che talvolta sono state pronunciate in taluni ambienti (i quali hanno asserito categoricamente che la celebrazione secondo i riti nuovi è ipso facto materia di peccato mortale).  In ogni caso non è stato posto dal Supremo Legislatore come obbligo di legge. Anche l’Istruzione Universae Ecclesiae (l’art. 19 ad esempio) afferma l’impossibilità di un’esclusività che si accompagni ad attacchi violenti (sint infensae) e sentenze categoriche contro testi approvati dalla Santa Sede: il documento tuttavia non esclude la possibilità di nutrire riserve teologiche, non impedisce d’agire di conseguenza (si legga qui), non impone come obbligo il biritualismo.
 
Scrivemmo in passato che a questo proposito facciamo nostre le riserve che ebbe a condividere S. Em. il Card. Ottaviani nello scrivere la lettera di accompagnamento del Breve esame critico del Novus Ordo Missae. Tanti prelati del resto, non ultimo il Regnante Pontefice, hanno già scritto chiedendo una “riforma della riforma”: evidentemente ve ne sarà motivo… Ci sembra quindi che il termine “exclusive” bene esprima la nostra posizione e come tale fu ammesso nei nostri Statuti dalla Santa Sede, in una reciproca attitudine di lealtà. Senza volerci sostituire ad un futuro pronunciamento dell’autorità ecclesiastica affermiamo, con prudenza e moderazione ma senza nascondimenti, il nostro avviso; esso non è perentorio, ma vorrebbe esser franco e suppone una consequenzialità. Se così non agissimo e nascondessimo il pensiero dei nostri cuori, o peggio ancora se agissimo contro coscienza, mancheremmo realmente di rispetto a quell’Autorità che vogliamo servire nella chiarezza di posizioni. Pensiamo quindi che il termine exclusive debba essere mantenuto, anche in ottemperanza agli impegni da noi pubblicamente presi. Il Buon Pastore infatti non è nato per occuparsi del proprio interesse personale - vitam suam dat pro ovibus suis - ma per offrire una testimonianza della possibilità di una posizione ecclesiale che includa i citati presupposti.
 
 
La “critica seria e costruttiva”
 
In effetti in questi sei anni ci siamo sforzati – anche qui ottemperando agli impegni presi con la Santa Sede – di analizzare i documenti più recenti in uno spirito sereno, ossequioso, ma che non nascondesse aprioristicamente alcune reali difficoltà di conciliazione con la Tradizione. Sarebbe stato quest’ultimo un atteggiamento non solo poco scientifico teologicamente, ma soprattutto sleale nei confronti della Chiesa. Non basta? Questo posizionamento non esclude - altrettanto aprioristicamente - che alcuni punti problematici di taluni pronunciamenti possano essere interpretati secondo una lettura di “continuità dell’ermeneutica teologica”, pur presentando talvolta espressioni ambigue. La critica “seria e costruttiva” non esclude forzatamente l’eventualità, ove possibile, di leggere in continuità col Magistero anteriore alcune recenti novità; ma vuole esprimere anche la possibilità - e il dovere filiale - di far presente alla Santa Sede che alcune cose potrebbero richiedere una riconsiderazione. Stante il potere delle Chiavi, nel supremo ossequio alla Verità e nell’interesse della Chiesa, il Sommo Pontefice può farlo con testi magisteriali non infallibili, specie ove la continuità fosse non dimostrata. Se, con la nostra storia, deliberatamente offuscassimo tale umile testimonianza, ciò potrebbe essere la peggior mancanza di rispetto verso la Sede Apostolica; saremmo alla ricerca d’un immediato beneficio personale - foss’anche sociale - “pro domo sua”, tralasciando l’impegno in virtù del quale alcuni hanno aderito proprio a questa Congregazione, impegno che la Santa Sede ha approvato per iscritto nel vicino 2006.
 
 
Il pericolo dell’ubbidienza indebita o servilismo e della perdita di ciò che rappresentiamo
 
Abbiamo voluto offrire le nostre considerazioni, tenendo conto della natura dell’Istituto del Buon Pastore. Esso, se si privasse delle sue specificità statutarie, sarebbe – è l’avviso della nostra rivista – radicalmente denaturato e ci chiediamo : senza l’ “exclusive” e accantonando la “critica seria e costruttiva”, il Buon Pastore conserverebbe la sua ragione d’esistere ? Perché non preferire allora qualche altra Congregazione ? Dopo “lo spirito del Concilio” c’è proprio bisogno anche dello “spirito del Motu proprio”, eretto a norma ? Negli odierni frangenti, non è importante richiamare una chiara distinzione tra un’argomentazione e un obbligo, un invito e una legge, un’opinione (magari autorevole) e un chiaro insegnamento ? Se avallassimo l’impressione che le concessioni previste da accordi sono instabili, renderemmo un servizio alla Chiesa ? Uno studioso come mons. Nicola Bux ha evitato di “dogmatizzare”, enfatizzandola oltremodo, l’ermeneutica della continuità (che i progressisti continuano tranquillamente ad ignorare), dicendo sobriamente che essa “ha fornito un criterio per affrontare la questione e non per chiuderla”: saremmo credibili se volessimo essere (o simulare di essere) più ratzingeriani di mons. Bux ?
 
Peraltro, è realistico attendersi che la Fraternità San Pio X adotti, adesso o tra sei anni, gli indirizzi che ci vengono suggeriti ? Eppure, se determinati punti fossero giuridicamente incompatibili ed ecclesialmente impossibili, essi lo sarebbero, in uno spirito di diritto, tanto per la Fraternità San Pio X quanto per l’Istituto del Buon Pastore (che peraltro non ha preteso la “contropartita” dei preliminari): dobbiamo dunque ritenere, fiduciosi nella Provvidenza, che siano appunto degli inviti. Non misconosciamo che oggi vi sono nella Chiesa spinte disgregatrici e gravissime difficoltà; ma ci sembra che le citate peculiarità dell’Istituto del Buon Pastore, più che un ostacolo al bene del Corpo mistico, siano un umile e sincero servizio alla Chiesa.
 
 
Don Stefano Carusi, IBP  
 
     
 
Pubblicato da Disputationes Theologicae
Caterina63
00sabato 2 febbraio 2013 11:00
[SM=g1740758] Nicolas Fulvi
 

Ciao Caterina!

Ti segnalo questa comunicazione dell'abbé Perrel (Rettore del seminario dell'Istituto del Buon Pastore). E' una lettera che ha inviato a tutti i confratelli dell'Istituto per comunicare la sua decisione di procedere, oggi, alla consegna della talare ai nuovi seminaristi, attendendo invece un pronunciamento di Roma (sulla questione del superiore generale) per la tonsura (che implicherebbe invece giurisdizione).

Se puoi, diffondi! ;)

*******

Chers confrères,

Le 2 février prochain à 10h30, nous pourrons bénéficier de l’église paroissiale de Courtalain pour les prises de soutane.

Certes, nous sommes en attente de la réponse de Rome ; et en même temps, nous devons aller de l’avant pour le bien de la vie de notre société.

Depuis le 3 juillet, au moment où l’abbé Laguérie a abandonné le chapitre encore en cours, nous avons tout de suite eu la prudence et la délicatesse de demander à Rome si elle avait des communications à nous faire avant de procéder. Rien n’arriva alors, et depuis maintenant six mois aucun avis complet ne nous est parvenu.

Pendant que nous attendons sereinement, notre société doit vivre en continuant le cours ordinaire de sa vie. Nos séminaristes, qui nous ont fait confiance, désirent poursuivre leur sanctification et leur formation spirituelle selon le cours naturel des choses, et, en considérant le fait que la prise de soutane n’implique pas de juridiction, j’ai décidé de la donner normalement à nos séminaristes de première année, en distinguant cette cérémonie de la future tonsure.

En vous invitant cordialement à vous unir, au moins dans la prière, à Jésus-Christ Bon Pasteur, en cette belle fête de la Purification de Notre-Dame, je recommande au Cœur Immaculé de Marie nos séminaristes et tout notre Institut.

Abbé Roch Perrel

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una traduzione con google

Cari confratelli,

2 febbraio alle 10:30, siamo in grado di beneficiare della chiesa parrocchiale di Courtalain per la consegna della talare.

Mentre siamo in attesa per la risposta di Roma  allo stesso tempo, dobbiamo andare avanti per il bene della vita della nostra società.

Dal 3 luglio, quando Padre Laguérie abbandonato il capitolo ancora in corso, abbiamo subito avuto la prudenza e la delicatezza di Roma per chiedere se aveva tutte le comunicazioni con noi prima. Non è successo niente poi, per sei mesi e nessuna recensione completa ci ha raggiunto.

Mentre aspettiamo con calma, la nostra società deve continuare a vivere nel corso ordinario della sua vita. I nostri seminaristi che hanno fiducia in noi, desiderano esercitare la loro santificazione e la formazione spirituale nel corso naturale delle cose, e considerando il fatto che l'assunzione di tonaca non è competente la giurisdizione, ho deciso di darla normalmente ai nostri seminaristi del primo anno, distinguendo la cerimonia di tonsura nel futuro.

Cordialmente vi invita a partecipare insieme, almeno nella preghiera, Gesù Cristo, il Buon Pastore, in questa bella festa della Purificazione della Madonna, vi consiglio al Cuore Immacolato di Maria e di tutti i nostri seminaristi dell'Istituto.

Abbé Roch Perrel


[SM=g1740771]


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