Jorge Mario Bergoglio è Papa Francesco, il primo gesuita e argentino di origini italiane

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Caterina63
00giovedì 14 marzo 2013 09:13

Biografia di Papa Francesco, umile accanto agli umili


Il cardinale Jorge Mario Bergoglio è dunque il nuovo Pontefice con il nome di Francesco: 76 anni, arcivescovo di Buenos Aires, è il primo Papa gesuita e il primo Papa proveniente dall’America Latina. Per un breve profilo del 265.mo Successore di Pietro, il servizio di Alessandro Gisotti

Umile al fianco degli umili. Sempre. Ieri come sacerdote e vescovo. Oggi come Successore di Pietro. Il primo Pontefice gesuita, il primo con il nome di Francesco è nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936 da una famiglia di origine piemontese. Il padre Mario é ferroviere, la madre Regina, casalinga. Fin da giovane il futuro Papa si distingue per la sua semplicità evangelica. Papa Francesco studia e si diploma come tecnico chimico, ma poi sceglie il sacerdozio ed entra nel seminario di Villa Devoto. Quindi, passa al noviziato della Compagnia di Gesù. Compie studi umanistici in Cile e nel 1963, di ritorno a Buenos Aires, consegue la laurea in filosofia al collegio massimo “San José” di San Miguel. A metà anni ’60, il nuovo Papa è professore di letteratura e psicologia nel collegio dell'Immacolata di Santa Fe. Poi insegna le stesse materie nel collegio del Salvatore di Buenos Aires.

Nel dicembre 1969 è, quindi, ordinato sacerdote e nel 1973 fa la sua professione perpetua. A luglio dello stesso anno, Papa Francesco viene eletto Provinciale dell'Argentina, incarico che esercita per sei anni. Impegnato nel dialogo ecumenico, amante della cultura e in particolare della letteratura classica, Papa Francesco dedicherà sempre grande attenzione dei giovani, specie se bisognosi. Nel 1992 un momento fondamentale nella sua vita: Giovanni Paolo II lo nomina, infatti, vescovo ausiliare di Buenos Aires. Il presule viene subito ammirato ed amato dai suoi fedeli per la sobrietà della sua condotta di vita e la giovialità dei suoi modi. Il 28 febbraio 1998, il futuro Papa diviene arcivescovo della capitale argentina e sarà, poi, per alcuni anni anche presidente dell’episcopato argentino. Il Beato Wojtyla lo crea quindi cardinale nel 2001 con il Titolo di San Roberto Bellarmino. Cambiano le sue vesti, cambia il colore dello zucchetto, ma lui non cambia. Non cambia il suo stile pastorale. E’ sempre il pastore della povera gente, voce di chi non ha voce, volto di chi non ha volto. Si reca al lavoro con i mezzi pubblici, mette sempre i poveri al primo posto e confessa nella Cattedrale come un normale sacerdote. Da vescovo e cardinale non ha paura di confrontarsi con le istituzioni quando deve difendere la dignità umana. Ma, al tempo stesso, sottolinea che la Chiesa non deve mai farsi illusioni di grandezza.

Papa Francesco testimonia la sua semplicità evangelica in ogni occasione e in ogni luogo. Porta infatti la sua umiltà anche in Vaticano come quando è relatore generale aggiunto al Sinodo dei vescovi del 2001 o quando, 8 anni fa, partecipa al Conclave che elegge Benedetto XVI. Alla base della sua vita, della sua azione di Pastore, confiderà in un’intervista di qualche anno fa – come del resto alla base dell’esperienza cristiana - non c’è un’ideologia: “C’è lo stupore dell’incontro con Gesù, la meraviglia della sua persona”. Uomo di profonda spiritualità, parlando a un giornalista a proposito dei miracoli, ebbe ad affermare: “Sono d’accordo col Manzoni, che dice: ‘non ho mai trovato che il Signore abbia cominciato un miracolo senza finirlo bene’. Una frase che, adesso, sembra quasi un auspicio per il suo Pontificato appena iniziato.





Caterina63
00giovedì 14 marzo 2013 09:28






Padre Lombardi: Papa Francesco servitore della Chiesa nella semplicità e universalità


“Un Papa che vuole servire: così padre Federico Lombardi si è espresso parlando ai giornalisti di tutto il mondo, riuniti nel "Media Center" in Vaticano subito dopo l’elezione al Soglio pontificio di Papa Francesco. La Messa d’Inizio Pontificato ci sarà martedì 19 marzo Festa di San Giuseppe, oggi il momento privato di ringraziamento del Papa alla Madonna e in Sistina la Santa Messa con tutti i cardinali trasmessa in diretta tv. Padre Lombardi ha anche confermato che Papa Francesco ha già parlato per telefono con Benedetto XVI. Massimiliano Menichetti ha seguito l’incontro con i giornalisti:

Una scelta, quella dei cardinali, tutta incentrata sul servizio e fuori da ogni logica di potere: così padre Lombardi, che ha accolto i giornalisti venuti da ogni parte del mondo per assistere all’elezione, ieri sera, di Papa Francesco:

"E’ una scelta assolutamente di un rifiuto del potere, di servizio allo stato puro. Questa mi sembra sia una bella risposta al modo in cui molti hanno visto o hanno pensato di dover presentare la situazione della Chiesa nei mesi passati".

Papa Francesco ha parlato per telefono già ieri sera sera con Benedetto XVI, ha confermato il direttore della Sala Stampa vaticana, che ha poi declinato i prossimi appuntamenti del Santo Padre, a partire da oggi pomeriggio, alle 17, quando in Sistina ci sarà la Santa Messa trasmessa in tv con i cardinali. Sarà privato, invece, il momento di preghiera e di ringraziamento alla Madonna, forse a Santa Maria Maggiore oggi, annunciato dopo l'elezione dallo stesso Papa. Domani, alle ore 11, in Sala Clementina, ci sarà l’udienza a tutti i cardinali, elettori e non elettori. Applauso dei giornalisti quando padre Lombardi ha annunciato, come fecero anche Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, l’udienza con Papa Francesco per tutti gli operatori delle comunicazioni sociali e giornalisti sabato, in Aula Paolo VI:

"Il Papa ci dà udienza, a tutti noi e a tutti quelli che sono nel centro stampa, insomma, a tutti gli operatori dei media venuti per questa occasione".

Il direttore della Sala Stampa della Santa Sede ha confermato l'Angelus, domenica, in Piazza San Pietro, poi - per sua stessa ammissione scioccato dalla elezione - ha risposto alle tante domande dei giornalisti che hanno voluto da subito conoscere la spiritualità di un Papa gesuita che ha preso il nome di Francesco:

"Certamente, non c’era mai stato nessun Papa gesuita. I Gesuiti cercano di essere dei servitori della Chiesa, ma ha accettato pensando che fosse suo dovere svolgere questo servizio per la Chiesa con grande semplicità, come abbiamo visto, e con uno spirito di grande universalità. Sant’Ignazio ci ha formati proprio per avere uno sguardo sempre largo come il mondo e a portare questo servizio della fede e della giustizia come il dono più grande che possiamo fare ai nostri contemporanei.

Ma proprio sulla scelta del nome di “Francesco” ha aggiunto:

"Mi fa molto piacere che abbia scelto il nome di Francesco, grande testimone del Vangelo; quindi si vede che questa spiritualità di religioso che vuole vivere i valori del Vangelo, viene condivisa con gli altri con grande naturalezza. Do molta importanza alla scelta di questo nome di 'Francesco'… Non ha scelto il nome 'Ignazio, ha scelto il nome 'Francesco': vuol dire che noi siamo per servire nella Chiesa, raccogliendo tutti i doni, i carismi che il Signore dona per costruire la Chiesa e per annunciare il Vangelo".



Testo proveniente dalla pagina it.radiovaticana.va/news/2013/03/14/padre_lombardi:_papa_francesco_servitore_della_chiesa_nell/it...
del sito Radio Vaticana

Caterina63
00venerdì 15 marzo 2013 21:39



Nello stemma cardinalizio di Jorge Mario Bergoglio il motto è "Miserando atque eligendo" frase latina del Vangelo di Matteo che descrive l'atteggiamento di Gesù verso il pubblicano che lo "guardò con misericordia e lo scelse". Nella parte centrale è il segno distintivo dei Gesuiti, il sole, con incorporata l'Ostia Santa e le iniziali IHS, Nostro Signore Gesù Cristo, con i tre chiodi. La stella indica Maria Santissima, infine il fiore di nardo indica San Giuseppe, patrono della Chiesa universale.

Aggiorniamo che il Papa Francesco ha scelto il nuovo stemma, sulla scia dell'amato Benedetto XVI
Franciscus - miserando atque eligendo

[SM=g1740771]

Caterina63
00sabato 4 maggio 2013 11:47
[SM=g1740733] il futuro Papa Francesco, cardinale Bergoglio, nel 2008 tenne una Catechesi sull'Eucaristia avendo come traccia del tema l'Enciclica di Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis e la Ecclesia de Eucharistia di Giovanni Paolo II...
a dimostrazione della continuità tra i pontefici....

www.youtube.com/watch?NR=1&feature=fvwp&v=RNXSfAagGxM


qui invece trovate il testo purtroppo solo in francese, inglese e spagnolo:
www.vatican.va/roman_curia/pont_committees/eucharist-congr/archive/inde...


[SM=g1740771]


[SM=g1740766]
Caterina63
00venerdì 24 maggio 2013 00:17

[SM=g1740758] Bergoglio, rivoluzionario a modo suo

I teologi della liberazione lo elogiano, ma tra lui e loro c'è un abisso. I progressisti lo arruolano, ma lui se ne tiene lontano. Il vero Francesco è molto diverso da quello che tanti immaginano

di Sandro Magister




ROMA, 16 maggio 2013 – In perdurante luna di miele con la pubblica opinione, papa Francesco s'è guadagnato anche l'elogio del più barricadiero dei teologi francescani, il brasiliano Leonardo Boff: "Francesco darà una lezione alla Chiesa. Usciamo da un inverno rigido e tenebroso. Con lui viene la primavera".

Veramente, Boff ha lasciato da tempo il saio, si è sposato, e all'amore per Marx ha sostituito quello ecologista per madre terra e fratello sole. Ma è pur sempre il più famoso e citato dei teologi della liberazione.

Quando, appena tre giorni dopo la sua elezione a papa, Jorge Mario Bergoglio ha invocato "una Chiesa povera e per i poveri", la sua annessione nelle file dei rivoluzionari sembrava cosa fatta.

*

[SM=g1740733] In realtà c'è un abisso tra la visione dei teologi latinoamericani della liberazione e la visione di questo papa argentino.

Bergoglio non è un prolifico autore di libri, ma quel che ha lasciato di scritto basta e avanza per capire che cosa ha in mente con quel suo insistito mescolarsi col "popolo".

La teologia della liberazione la conosce bene, la vide nascere e crescere anche tra i suoi confratelli gesuiti, ma con essa marcò sempre il suo disaccordo anche a costo di ritrovarsi isolato.

Suoi teologi di riferimento non erano Boff, né Gutierrez, né Sobrino, ma l'argentino Juan Carlos Scannone, anche lui gesuita inviso ai più, che era stato suo professore di greco e che aveva elaborato una teologia non della liberazione ma "del popolo", centrata sulla cultura e la religiosità della gente comune, dei poveri in primo luogo, con la loro spiritualità tradizionale e la loro sensibilità per la giustizia.

Oggi Scannone, 81 anni, è ritenuto il massimo teologo argentino vivente, mentre su quel che resta della teologia della liberazione già nel 2005 Bergoglio chiuse il discorso così: "Dopo il crollo del 'socialismo reale' queste correnti di pensiero sono sprofondate nello sconcerto. Incapaci sia di una riformulazione radicale che di una nuova creatività, sono sopravvissute per inerzia, anche se non manca ancora oggi chi le voglia anacronisticamente riproporre".

Questa sentenza liquidatoria contro la teologia della liberazione Bergoglio l'ha infilata in uno dei suoi scritti più rivelatori: la prefazione a un libro sul futuro dell'America Latina che ha per autore il suo amico più stretto nella curia vaticana, l'uruguaiano Guzmán Carriquiry Lecour, segretario generale della pontificia commissione per l'America Latina, sposato con figli e nipoti, il laico di più alto grado in curia.

A giudizio di Bergoglio, il continente latinoamericano ha già conquistato un posto di "classe media" nell'ordine mondiale ed è destinato ad imporsi ancor più nei futuri scenari, ma è insidiato in ciò che ha di più proprio, la fede e la "saggezza cattolica" del suo popolo.

*

L'insidia più temibile egli la vede in ciò che chiama "progressismo adolescenziale", un entusiasmo per il progresso che in realtà si ritorce – dice – contro i popoli e le nazioni, contro la loro identità cattolica, "in stretto rapporto con una concezione dello Stato che è in larga misura un laicismo militante". [SM=g1740722]

Domenica scorsa ha spezzato una lancia per la protezione giuridica dell'embrione, in Europa. A Buenos Aires non si dimentica la sua tenace opposizione contro le leggi per l'aborto libero e i matrimoni "gay".  Nel dilagare in tutto il mondo di simili leggi egli vede l'offensiva di "una concezione imperialista della globalizzazione", che "costituisce il totalitarismo più pericoloso della postmodernità".

È un'offensiva che per Bergoglio porta il segno dell'Anticristo, come in un romanzo che egli ama citare: "Il signore del mondo" di Robert H. Benson, un sacerdote anglicano, figlio di un arcivescovo di Canterbury, che si convertì al cattolicesimo un secolo fa. [SM=g1740722]

Nelle sue omelie da papa, il frequentissimo rimando al diavolo non è un artificio retorico. Per papa Francesco il diavolo è più reale che mai, è "il principe di questo mondo" che Gesù ha sconfitto per sempre ma che ancora è libero di fare del male.

Ha ammonito in un'omelia di qualche giorno fa: "Il dialogo è necessario tra noi, per la pace. Ma con il principe di questo mondo non si può dialogare. Mai".

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Questa nota, col titolo "Non è tutt'oro quel che Francesco", è uscita su "L'Espresso" n. 20 del 2013, in edicola dal 17 maggio, nella pagina d'opinione "Settimo cielo" affidata a Sandro Magister.

Ecco l'indice di tutte le precedenti note:

> "L'Espresso" al settimo cielo

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Il libro:

Guzmán Carriquiry Lecour, "Una scommessa per l'America latina. Memoria e destino storico di un continente", Le Lettere, Firenze, 2005.

E la prefazione dell'allora arcivescovo di Buenos Aires:

> L'America Latina del cardinal Bergoglio

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Due recenti interviste del teologo argentino Juan Carlos Scannone, la prima in inglese per "Zenit" e la seconda in italiano per "Il Regno":

> Retired Teacher Remembers Young Jorge Bergoglio

> La teologia di Francesco

La contiguità tra papa Francesco e la teologia di Scannone è stata messa in rilievo anche dal cardinale Camillo Ruini, in un'intervista a "Il Foglio" del 26 aprile scorso:

"Negli anni Settanta ho tenuto dei corsi monografici, a Reggio Emilia e Bologna, sulla teologia della liberazione, che allora era di moda anche in Italia. Così ho studiato un poco anche la teologia argentina, ad esempio del gesuita Juan Carlos Scannone che è stato insegnante di Bergoglio. Già allora questa teologia era riconosciuta come essenzialmente diversa, perché non basata sull’analisi marxista della società ma sulla religiosità popolare. Assimilare oggi l’insistenza di papa Francesco sulla povertà e sulla vicinanza ai poveri alla teologia della liberazione è del tutto fuori luogo. Si tratta invece, semplicemente, di fedeltà a Gesù e al Vangelo".

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16.5.2013


[SM=g1740771]


Caterina63
00sabato 1 giugno 2013 09:48
[SM=g1740733] da un articolo del dicembre 2002, l'abile penna di Sandro Magister metteva in luce la figura del pastore Bergoglio.....


Jorge Mario Bergoglio, professione servo dei servi di Dio

È la new entry dei latinoamericani ed è già in testa tra i possibili successori di Pietro. Se eletto, sarebbe il primo papa gesuita. Ritratto non autorizzato d´un uomo molto fuori dal comune

di Sandro Magister                                 




(Da "L´espresso" n. 49 del 28 novembre-5 dicembre 2002, titolo originale "Bergoglio in pole position")


A metà novembre lo volevano eleggere presidente dei vescovi dell´Argentina. Ma ha rifiutato. Se ci fosse un conclave, però, gli sarebbe difficilissimo respingere l´elezione a papa. Perché è lui che i cardinali voterebbero a valanga, se chiamati a scegliere dall´oggi al domani il successore di Giovanni Paolo II.

Lui è Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires. Cognome italiano ma argentino di nascita è balzato in testa alla lista dei papabili, nell´ipotesi, sempre più verosimile, che il prossimo papa sia un latinoamericano. Timido, schivo, di poche parole, non muove un dito per fare campagna. Ma proprio questo è giudicato uno dei suoi grandi meriti.

Giovanni Paolo II l´ha fatto cardinale con l´ultima infornata di nomine, nel febbraio del 2001. E anche lì Bergoglio s´è distinto per stile, rispetto a tanti suoi colleghi festaioli. Centinaia di argentini si diedero da fare per raccogliere denari e volare a Roma a omaggiare la nuova porpora. Ma lui li fermò. Li obbligò a starsene in patria e ordinò di distribuire i denari tra la povera gente. A Roma, fece festa quasi da solo. Con austerità da quaresima.

Perché è così che vive da sempre. Da quando è arcivescovo della capitale argentina il lussuoso episcopio adiacente alla cattedrale è rimasto vuoto. Abita in un appartamentino poco distante, assieme a un altro vescovo vecchio e malandato. La sera cucina da solo, per due. In automobile ci va poco. Gira in autobus con la tonaca da semplice prete.

Certo, adesso gli è più difficile passare in incognito. In patria il suo volto è sempre più popolare. Da quando l´Argentina si è avvitata in una crisi tremenda ed è calata a picco anche la reputazione di tutti, politici, burocrati, industriali, magistrati, intellettuali, la stella del cardinale Bergoglio è salita allo zenit. Rara luce d´orientamento per tutti.

Eppure non è tipo da concedersi al pubblico. Ogni volta che dice la sua, piuttosto spiazza e sorprende. A metà novembre, agli argentini ridotti alla fame non ha offerto un dotto sermone sulla giustizia sociale, ma ha detto di riprendere in mano il catechismo. L´umile catechismo dei dieci comandamenti e delle beatitudini. Perché, ha spiegato, «il cammino di Gesù è questo». E una volta che uno lo segue sul serio, capisce che «calpestare la dignità di una donna, di un uomo, di un bambino, di un anziano è un peccato grave che grida al cielo». E decide di non farlo più.

Gli altri vescovi lo seguono concordi. Nell´anno santo del 2000 all´intera Chiesa argentina ha fatto indossare le vesti della pubblica penitenza, per le colpe commesse negli anni della dittatura. Il risultato è che dopo questo lavacro di purificazione la Chiesa s´è ritrovata capace di chiedere con più credibilità all´intera nazione di riconoscere le proprie colpe nel disastro in cui ora si trova. Al Te Deum dell´ultima festa nazionale, lo scorso 25 maggio, l´omelia del cardinale Bergoglio ha avuto un ascolto record. Il cardinale ha chiesto agli argentini di fare come lo Zaccheo del vangelo. Era un bieco strozzino. Ma ha preso coscienza della propria bassezza morale e si è arrampicato sul sicomoro, per vedere Gesù e lasciarsi vedere e convertire da lui.

Non c´è politico, dalla destra all´estrema sinistra, che non spasimi una sua benedizione. Persino le donne della Plaza de Mayo, ultraradicali e anticattoliche sfrenate, lo trattano con rispetto. In qualcuna di loro, in colloqui privatissimi, ha persino fatto breccia. Un´altra volta è comparso al capezzale di un ex vescovo, Jeronimo Podestá, che s´era sposato in urto con la Chiesa e stava morendo povero e dimenticato da tutti. La moglie da allora è divenuta sua fan.

Ma anche Bergoglio ha avuto le sue difficoltà con l´ambiente ecclesiastico. È gesuita di quelli all´antica, fedelissimi di sant´Ignazio. E divenne provinciale della Compagnia di Gesù in Argentina proprio quando infuriava la dittatura e tanti suoi confratelli erano tentati d´imbracciare il fucile e di applicare le lezioni di Marx. Sta di fatto che, deposto da provinciale, Bergoglio tornò nell´ombra. A ripescarlo fu, nel 1992, l´allora arcivescovo di Buenos Aires, Antonio Quarracino, che lo fece suo vescovo ausiliare.

E da allora è iniziata la sua ascesa. La prima e quasi unica intervista da arcivescovo di Buenos Aires l´ha data a un giornalino di parrocchia, "Estrellita de Belém". Per dire che la Chiesa è minoranza e non deve coltivare illusioni di grandezza.

Viaggia il meno possibile. A Roma, in Vaticano, ci va lo stretto necessario, quattro o cinque volte all´anno quando lo chiamano. Prende una cameretta alla Casa del Clero in via della Scrofa e alle cinque e mezza del mattino lo si trova già in cappella a pregare.

La sua comunicativa eccelle nei colloqui a tu per tu. Ma quando è obbligato, sa far bene anche in pubblico. All´ultimo sinodo dei vescovi, nell´autunno del 2001, gli chiesero, di punto in bianco, di prendere il posto del relatore in programma che aveva dato forfait. Se la cavò con maestria, al punto che alla fine del sinodo, al momento di nominare i 12 del consiglio di segreteria, lo elessero col massimo dei voti.

E qualcuno, in Vaticano, pensò di chiamarlo a dirigere un importante dicastero. «Per carità, in curia muoio», implorò. Lo graziarono.

Da allora il pensiero di farlo tornare a Roma come successore di Pietro ha cominciato a propagarsi con intensità crescente. I cardinali latinoamericani sono sempre più orientati su di lui. Il cardinale Joseph Ratzinger altrettanto. L´unico dei grandi curiali che tentenna, quando sente il suo nome, è il segretario di Stato Angelo Sodano. Proprio lui che ha fama di sostenere l´idea di un papa latinoamericano.

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Vita da gesuita

Jorge Mario Bergoglio è nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936.

Ha studiato da chimico, prima di farsi gesuita. È divenuto prete a 33 anni. Ha fatto studi di filosofia, letteratura, psicologia e teologia in diverse università dell´Argentina, del Cile, della Spagna e della Germania.

Nel 1973 fu nominato superiore provinciale della Compagnia di Gesù in Argentina. Ma nel 1980 tornò agli studi e sparì dalla scena.

Nel 1992 fu nominato vescovo ausiliare di Buenos Aires. Nel 1998 divenne arcivescovo della stessa città. E nel 2001 Giovanni Paolo II lo fece cardinale.

È vicepresidente della conferenza episcopale argentina e fa parte del consiglio di segreteria del sinodo dei vescovi di tutto il mondo. Parla un buon italiano.

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Il testo integrale dell´omelia del cardinale Bergoglio al Te Deum del 25 maggio 2002:

> "Jesús entró en Jerichó..."

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In questo sito, sull´orientamento impresso dal cardinale Bergoglio alla Chiesa argentina:

> In Argentina si muore di fame. Ma non di solo pane vive l´uomo (21.11.2002)

> Argentina a rischio default. Ma i vescovi danno lezione di stile (17.10.2002)

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Per i precedenti articoli clicca qui: > Ricerca

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La versione inglese di questa pagina è a cura di Matthew Sherry: > traduttore@hotmail.com

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2.12.2002 

[SM=g1740771]

http://d3.yimg.com/sr/img/1/e96b4bca-0fe7-32a4-804f-a230e371ecec


Caterina63
00mercoledì 12 giugno 2013 20:04
Il miracolo di Lanciano si ripete? e guarda il "caso" sotto la giurisdizione dell'allora cardinale Bergoglio

dal FB dell'amico Don Elio
miracolo

OSTIA BUTTATA CHE SI TRASFORMA IN UNA FETTA DI CUORE CHE DOPO TRE ANNI ANCORA E' VIVENTE.

Probabilmente alcuni lettori lo sanno già; io l’ho saputo solo ieri da un amico.
A Buenos Aires, nel 1996, un’Ostia consacrata si sarebbe trasformata... in sangue e carne.

Il 18 agosto di quell’anno, un prete di nome Alejandro Pezet, mentre distribuiva le Comunioni, fu avvertito da una donna che qualcuno aveva gettato una particola su un candelabro, nel retro della chiesa. Il sacerdote raccolse l’Ostia, che era tutta sporca, e la mise in un contenitore pieno d’acqua e depose il tutto nel tabernacolo – pare – in attesa che il dischetto di acqua e farina si sciogliesse (sembra si faccia così in questo casi, chiederei conferma a chi ne sa). Otto giorni dopo, il 26 agosto, il sacerdote vide che l’Ostia nel tabernacolo, lungi dall’essersi dissolta, s’era tramutata in una sostanza sanguinolenta. Il cardinale Bergoglio, avvertito, dispose di far fotografare l’oggetto: le foto furono scattate il 6 settembre da un fotografo professionista e indipendente. Poi la particola fu riposta nel tabernacolo e lì è rimasta per anni, senza che la cosa si sapesse.

Tre anni dopo, dato che la materia non si era ancora decomposta, il cardinal Bergoglio incaricò un medico che già s’era occupato di fenomeni preternaturali, Ricardo Castanon, di prelevare un campione del materiale per farlo esaminare.
Il prelievo avvenne il 5 ottobre 1999 davanti a rappresentanti del Cardinale. I campioni furono analizzati da un laboratorio di Buenos Aires, che decretò: si tratta di muscolo di cuore umano, con globuli bianchi ed emoglobina. La cosa che attrasse l’attenzione dell’analista di laboratorio fu questa: che il lacerto di muscolo cardiaco ancora batteva ritmicamente mentre era sotto il microscopio, come se fosse ancora vivente. Ed erano passati già tre anni dalla prima manifestazione del fenomeno.

Nel 2002, il dottor Castanon pensa di inviare i campioni anche a New York, al laboratorio di Frederick Zugibe: un luminare della medicina forense e della cardiologia, a quel che appare dalla sua biografia sul web.

Il laboratorio non fu informato che il reperto era, all’origine, una particola di pane consacrato. «Il campione è muscolo cardiaco, parete del ventricolo sinistro, vicino alle valvole», ha dichiarato l’analisi. Il professor Zugibe ha aggiunto: «È il cuore di una persona che è stata molto maltrattata; il cuore porta lesioni che dicono che è stata colpita duramente, è stata torturata».

Ma inoltre, Zugibe ha chiesto a Castanon: «Mi deve spiegare come ha tolto il cuore da una persona che era viva al momento del prelievo, come dimostra il fatto che mentre lo esaminavo la muscolatura pulsava ancora , e il reperto contiene ancora tanti globuli bianchi: i quali muoiono pochi minuti dopo essere tolti da un organismo vivente».
Solo allora gli è stato rivelato che quella era una particola, trasformatasi in tessuto umano molti anni prima.
(Milagro Eucaristico Buenos Aires Argentina)




Caterina63
00lunedì 15 luglio 2013 13:50

Joseph e Jorge, così diversi e così vicini (Casotto)

 

Joseph e Jorge, così diversi e così vicini

Delle diversità tra i due si è già letto molto, meno di quello che li accomuna


Ubaldo Casotto 


Il Papa emerito e il Papa regnante ieri erano uno vicino all'altro, e nella scena del predecessore che insegue il successore indicandogli il posto a lui riservato mentre Francesco si inginocchia al suo fianco c'era iconograficamente il tratto che più li accomuna: l'umiltà.

La sera dell'elezione in Vaticano colsi questo commento: «Benedetto XVI ci ha stupito per la sua umiltà, Francesco, se possibile, è ancora più umile». 

A Castel Gandolfo, così ha salutato il suo predecessore: «Lei ci ha dato un grande esempio di umiltà, tanta umiltà, e tenerezza, durante il suo pontificato». 

Delle diversità tra i due si è già letto molto, meno di quello che li accomuna. 

Chi sottolinea il Francesco «sociale» contro il Benedetto «teologico» dimentica che la prima enciclica del Papa tedesco è stata un'enciclica «sociale» sulla natura di Dio come «carità». Il Papa degli ultimi, parlando ai diplomatici, ha ricordato «la povertà spirituale dei nostri giorni, che riguarda gravemente anche i Paesi considerati più ricchi» e l'ha chiamata «la dittatura del relativismo». 

Chi aspetta da Francesco il rinnovamento della curia dovrà convenire che la strada per operare in tal senso gli è stata spianata da Benedetto XVI: se da cardinale Bergoglio attaccò «quelle persone che attraverso la Chiesa cercano di tagliare traguardi personali», Ratzinger da Papa tuonò contro il carrierismo degli ecclesiastici. 

Ad Aparecida nel 2007 hanno parlato entrambi alla Conferenza dell'episcopato sudamericano. L'America latina è stato il primo banco di prova di Ratzinger prefetto della fede. 

Nell'opposizione alla teologia della liberazione trovò in Bergoglio un grande alleato, la prova vivente che si possono amare e aiutare i poveri senza fare di Cristo un guerrigliero e della Chiesa «una pietosa ong».

Di Aparecida val la pena segnalare i passaggi «economici» dei due discorsi, senza citare l'autore, vediamo se siete in grado di capire dove comincia Benedetto e dove subentra Francesco o viceversa.

La globalizzazione «comporta il rischio dei grandi monopoli e di trasformare il lucro in valore supremo… perché continuano ad aumentare i settori sociali che si vedono oppressi sempre più da un'enorme povertà o perfino depredati dei propri beni naturali», infatti «cresce costantemente la distanza tra poveri e ricchi e si produce un'inquietante degradazione della dignità personale».
In questo contesto «la Chiesa è avvocata della giustizia e dei poveri perché non si identifica coi politici né con gli interessi di partito».
La «globalizzazione, come ideologia economica e sociale, ha influenzato negativamente i settori più poveri. Le ingiustizie e le disuguaglianze stanno diventando sempre maggiori e profonde».
Non si tratta, però, solo di povertà fisica, «la globalizzazione ha significato un rapido deterioramento delle radici culturali, con l'invasione di altre tendenze culturali, il secolarismo ha prodotto una crescente deformazione etica, un aumento progressivo del relativismo morale».
Allora «la sfida radicale e avvolgente che abbiamo davanti è la profonda crisi di valori della cultura». 


Dove finisce Benedetto e inizia Francesco? Forse ha ragione Chesterton che, parlando dei due santi omonimi, disse: ci volevano due monaci per ridare slancio alla Chiesa, «Francesco sparse quello che Benedetto aveva accumulato».

  Il Giornale, 24 marzo 2013 consultabile online anche qui.


[SM=g1740733]


Caterina63
00mercoledì 31 luglio 2013 17:41

Il mio amico don Giacomo


«Durante la cerimonia delle cresime a San Lorenzo fuori le Mura pregammo per la sua salute... e lui ringraziò con un gesto che era di speranza di guarire e, allo stesso tempo, di affidamento». Il cardinale Bergoglio ricorda Giacomo Tantardini, sacerdote


del cardinale Jorge Mario Bergoglio - rivista 30Giorni maggio 2012


 

Il cardinale Bergoglio con don Giacomo Tantardini in una foto del marzo 2009 [© Paolo Galosi]

Il cardinale Bergoglio con don Giacomo Tantardini in una foto del marzo 2009 [© Paolo Galosi]

 

«Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunciato la parola di Dio; considerando attentamente l’esito finale della loro vita, imitatene la fede» (Eb 13, 7). Così, l’autore della Lettera agli Ebrei ci esorta a tener presenti quelli che ci hanno annunciato il Vangelo e che già sono partiti. Ci chiede di ricordarli, ma non in quel modo formale e, a volte, commiserevole, che ci fa dire «quanto era buono!», una frase che si sente spesso nel peristilio dei cimiteri.
Quel tipo di memoria è un semplice ricordo di formalità sociale. Ci chiede, invece, di ricordarli a partire dalla fecondità della loro semina in mezzo a noi. Ci chiede di ricordarli con la memoria del cuore, quella memoria deuteronomica che costruisce sulla roccia, che plasma vite e marchia cuori. Sì, il nostro cuore si edifica sulla memoria di quegli uomini e quelle donne che ci hanno fatto avvicinare a sorgenti di vita e di speranza a cui potranno attingere anche quelli che ci seguiranno. È la memoria dell’eredità ricevuta che dobbiamo, a nostra volta, trasmettere ai nostri figli.

Così, con questa memoria, ricordiamo don Giacomo e ci chiediamo: che cosa ci ha lasciato? Quali impronte di lui troviamo sul cammino della nostra vita? Oso semplicemente dire che ha lasciato le impronte di un uomo-bambino che non ha mai finito di stupirsi. Don Giacomo, l’uomo dello stupore; l’uomo che si è lasciato stupire da Dio e ha saputo dischiudere il cammino affinché questo stupore nascesse negli altri.

Don Giacomo, un uomo sorpreso che, mentre guardava il Signore che lo chiamava, continuamente si chiedeva, quasi non riuscisse a crederci, come il Matteo del Caravaggio: io, Signore? Un uomo stupito di fronte a questa indescrivibile «sovrabbondanza» della grazia che vince sull’abbondanza meschina del peccato, di quel peccato che ci sminuisce, sempre; un uomo stupito che si è sentito cercato, atteso e amato dal Signore molto prima che fosse lui a cercarlo, ad attenderlo e ad amarlo; un uomo stupito che, come quelli del lago di Tiberiade, non osava chiedergli chi fosse perché sapeva bene che era il Signore.

E quest’uomo stupito si è lasciato, più di una volta, interrogare: «Mi ami?», per rispondere con la semplicità ardente dell’amore: «Signore, tu lo sai che ti amo». Ed era così perché quest’uomo-bambino nutriva il suo amore con la semplice ma sapienziale prontezza della contemplazione di tutta quella Grazia che lo superava.

Don Giacomo era così. Non aveva perduto la capacità di sorprendersi; rifletteva a partire da quello stupore che riceveva e alimentava nella preghiera. A volte, dava l’impressione che questa sensibilità lo provasse, lo stancasse o lo rendesse irrequieto, e questo non è raro in un uomo dal temperamento umano forte, sul quale la Grazia non ha cessato di lavorare nella sua conversione alla mansuetudine.

L’ultima immagine che ho di lui mi commuove: durante la cerimonia delle cresime a San Lorenzo fuori le Mura, con le mani giunte, gli occhi aperti e stupiti, sorridente e serio allo stesso tempo. Lì, pregammo per la sua salute... e lui ringraziò con un gesto che era di speranza di guarire e, allo stesso tempo, di affidamento. Così, per grazia, si può perseverare nel cammino, fino alla fine: l’uomo-bambino si abbandona fra le braccia di Gesù mentre chiede che passi questo calice, e viene preso e portato in braccio, con le mani giunte e gli occhi aperti. Lasciandosi sorprendere ancora una volta, per il dono più grande.

Ringrazio Dio nostro Signore di averlo conosciuto. È rivolto anche a me quel «considerate l’esito della sua vita e imitatene la fede» della Lettera agli Ebrei.

 

Buenos Aires, 6 maggio 2012



Caterina63
00mercoledì 31 luglio 2013 17:50

Quello che avrei detto al concistoro


Intervista con il cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires


Intervista con il cardinale Jorge Mario Bergoglio
di Stefania Falasca 30Giorni novembre 2007


«Devo tornare», ripete. Non che l’aria di Roma non gli garbi. Ma quella di Buenos Aires gli manca. La sua diocesi. «Esposa» la chiama. A Roma, il cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, passa sempre di corsa. Ma stavolta una sciatalgia lo ha costretto ad allungare la sua permanenza nella Città eterna con qualche giorno di riposo. Per di più, umorismo delle circostanze, l’appuntamento per cui aveva attraversato l’oceano, l’incontro con il Papa e tutti i cardinali riuniti in concistoro, gli è toccato saltarlo.
È una compagnia, la sua, mai lontana. Ci racconta come è andata la Conferenza di Aparecida, dove proprio lui ha presieduto il comitato di redazione del documento finale. Confida che al concistoro il suo intervento sarebbe stato su questo. E con quel suo modo di dire lieve e insieme acuto, incisivo, che spiazza e sorprende, così ne parla.

Benedetto XVI con il cardinale 
Jorge Mario Bergoglio durante i lavori della quinta Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano e 
dei Caraibi, presso il santuario di Nossa Senhora da Conceição Aparecida in Brasile,  il 13 maggio 2007

Benedetto XVI con il cardinale Jorge Mario Bergoglio durante i lavori della quinta Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano e dei Caraibi, presso il santuario di Nossa Senhora da Conceição Aparecida in Brasile, il 13 maggio 2007

Eminenza, al concistoro avrebbe parlato di Aparecida. Che cosa per lei ha caratterizzato questa quinta Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano?
JORGE MARIO BERGOGLIO: La Conferenza di Aparecida è stata un momento di grazia per la Chiesa latinoamericana.

- Non sono però mancate polemiche riguardo al documento conclusivo…
BERGOGLIO: Il documento conclusivo, che è un atto del magistero della Chiesa latinoamericana, non ha subito nessuna manipolazione. Né da parte nostra né da parte della Santa Sede. Ci sono stati alcuni piccoli ritocchi di stile, di forma, e alcune cose che sono state tolte da una parte sono state rimesse dall’altra; la sostanza, quindi, è rimasta identica, non è assolutamente cambiata. Questo perché il clima che ha portato alla redazione del documento è stato un clima di autentica e fraterna collaborazione, di rispetto reciproco, che ne ha caratterizzato il lavoro, un lavoro che si è mosso dal basso verso l’alto, non viceversa. Per capire questo clima bisogna guardare a quelli che per me sono i tre punti-chiave, i tre “pilastri” di Aparecida. Il primo dei quali è proprio questo: dal basso verso l’alto. È forse la prima volta che una nostra Conferenza generale non parte da un testo base preconfezionato ma da un dialogo aperto, che era già iniziato prima tra il Celam e le Conferenze episcopali, e che è continuato poi.

- Ma le direttive della Conferenza non erano già state segnate dall’intervento d’apertura di Benedetto XVI?

BERGOGLIO: Il Papa ha dato indicazioni generali sui problemi dell’America Latina, e ha poi lasciato aperto: fate voi, voi fate! È stato grandissimo, questo, da parte del Papa. La Conferenza è cominciata con le esposizioni dei ventitré presidenti delle diverse Conferenze episcopali e da lì si è aperta la discussione sui temi nei differenti gruppi. Anche le fasi della redazione del documento sono rimaste aperte al contributo di tutti. Al momento di raccogliere i “modi”, per la seconda e terza redazione, ne sono pervenuti 2.240! La nostra disposizione è stata quella di ricevere tutto ciò che veniva dal basso, dal popolo di Dio, e di fare non tanto una sintesi, quanto piuttosto un’armonia.

- Un lavoro impegnativo…

BERGOGLIO: “Armonia”, ho detto, questo è il termine giusto. Nella Chiesa l’armonia la fa lo Spirito Santo. Uno dei primi padri della Chiesa scrisse che lo Spirito Santo «ipse harmonia est», lui stesso è l’armonia. Lui solo è autore al medesimo tempo della pluralità e dell’unità. Solo lo Spirito può suscitare la diversità, la pluralità, la molteplicità e allo stesso tempo fare l’unità. Perché quando siamo noi a voler fare la diversità facciamo gli scismi e quando siamo noi a voler fare l’unità facciamo l’uniformità, l’omologazione. Ad Aparecida abbiamo collaborato a questo lavoro dello Spirito Santo. E il documento, se si legge bene, si vede che ha un pensiero circolare, armonico. Si percepisce quell’armonia non passiva, ma creativa, che spinge alla creatività perché è dello Spirito.

- E il secondo punto-chiave qual è?

BERGOGLIO: È la prima volta che una Conferenza dell’episcopato latinoamericano si riunisce in un santuario mariano. E il luogo già di per sé dice tutto il significato. Ogni mattina abbiamo recitato le lodi, abbiamo celebrato la messa insieme ai pellegrini, ai fedeli. Il sabato o la domenica ce n’erano duemila, cinquemila. Celebrare l’Eucaristia insieme al popolo è diverso che celebrarla tra noi vescovi separatamente. Questo ci ha dato vivo il senso dell’appartenenza alla nostra gente, della Chiesa che cammina come popolo di Dio, di noi vescovi come suoi servitori. I lavori della Conferenza poi si sono svolti in un ambiente situato sotto il santuario. E da lì si continuavano a sentire le preghiere, i canti dei fedeli… Nel documento finale c’è un punto che riguarda la pietà popolare. Sono pagine bellissime. E io credo, anzi, sono sicuro, che siano state ispirate proprio da questo. Dopo quelle contenute nell’Evangelii nuntiandi, sono le cose più belle scritte sulla pietà popolare in un documento della Chiesa. Anzi, oserei dire che quello di Aparecida è l’Evangelii nuntiandi dell’America Latina, è come l’Evangelii nuntiandi.

- L’Evangelii nuntiandi è un’esortazione apostolica sulla missionarietà.

BERGOGLIO: Appunto. Anche per questo c’è una stretta somiglianza. E qui vengo al terzo punto. Il documento di Aparecida non si esaurisce in sé stesso, non chiude, non è l’ultimo passo, perché l’apertura finale è sulla missione. L’annuncio e la testimonianza dei discepoli. Per rimanere fedeli bisogna uscire. Rimanendo fedeli si esce. Questo dice in fondo Aparecida. Che è il cuore della missione.
Fedeli brasiliani presso il santuario di Nossa Senhora da Conceição Aparecida

Fedeli brasiliani presso il santuario di Nossa Senhora da Conceição Aparecida


- Può spiegare meglio questa immagine?


BERGOGLIO: Il restare, il rimanere fedeli implica un’uscita. Proprio se si rimane nel Signore si esce da sé stessi. Paradossalmente proprio perché si rimane, proprio se si è fedeli si cambia. Non si rimane fedeli, come i tradizionalisti o i fondamentalisti, alla lettera. La fedeltà è sempre un cambiamento, un fiorire, una crescita. Il Signore opera un cambiamento in colui che gli è fedele. È la dottrina cattolica. San Vincenzo di Lerins fa il paragone tra lo sviluppo biologico dell’uomo, tra l’uomo che cresce, e la Tradizione che, nel trasmettere da un’epoca all’altra il depositum fidei, cresce e si consolida con il passo del tempo: «Ut annis scilicet consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate».

- Questo è ciò che avrebbe detto al concistoro?


BERGOGLIO: Sì. Avrei parlato di questi tre punti-chiave.

- Nient’altro?


BERGOGLIO: Nient’altro… No, avrei forse accennato a due cose delle quali in questo momento si ha bisogno, si ha più bisogno: misericordia, misericordia e coraggio apostolico.

- Cosa significano per lei?


BERGOGLIO: Per me il coraggio apostolico è seminare. Seminare la Parola. Renderla a quel lui e a quella lei per i quali è data. Dare loro la bellezza del Vangelo, lo stupore dell’incontro con Gesù… e lasciare che sia lo Spirito Santo a fare il resto. È il Signore, dice il Vangelo, che fa germogliare e fruttificare il seme.

- Insomma, chi fa la missione è lo Spirito Santo.


BERGOGLIO: I teologi antichi dicevano: l’anima è una specie di navicella a vela, lo Spirito Santo è il vento che soffia nella vela, per farla andare avanti, gli impulsi e le spinte del vento sono i doni dello Spirito. Senza la Sua spinta, senza la Sua grazia, noi non andiamo avanti. Lo Spirito Santo ci fa entrare nel mistero di Dio e ci salva dal pericolo di una Chiesa gnostica e dal pericolo di una Chiesa autoreferenziale, portandoci alla missione.

- Ciò significa vanificare anche tutte le vostre soluzioni funzionaliste, i vostri consolidati piani e sistemi pastorali…

BERGOGLIO: Non ho detto che i sistemi pastorali siano inutili. Anzi. Di per sé tutto ciò che può condurre per i cammini di Dio è buono. Ai miei sacerdoti ho detto: «Fate tutto quello che dovete, i vostri doveri ministeriali li sapete, prendetevi le vostre responsabilità e poi lasciate aperta la porta». I nostri sociologi religiosi ci dicono che l’influsso di una parrocchia è di seicento metri intorno a questa. A Buenos Aires ci sono circa duemila metri tra una parrocchia e l’altra. Ho detto allora ai sacerdoti: «Se potete, affittate un garage e, se trovate qualche laico disposto, che vada! Stia un po’ con quella gente, faccia un po’ di catechesi e dia pure la comunione se glielo chiedono». Un parroco mi ha detto: «Ma padre, se facciamo questo la gente poi non viene più in chiesa». «Ma perché?» gli ho chiesto: «Adesso vengono a messa?». «No», ha risposto. E allora! Uscire da sé stessi è uscire anche dal recinto dell’orto dei propri convincimenti considerati inamovibili se questi rischiano di diventare un ostacolo, se chiudono l’orizzonte che è di Dio.

- Questo vale anche per i laici…


BERGOGLIO: La loro clericalizzazione è un problema. I preti clericalizzano i laici e i laici ci pregano di essere clericalizzati… È proprio una complicità peccatrice. E pensare che potrebbe bastare il solo battesimo. Penso a quelle comunità cristiane del Giappone che erano rimaste senza sacerdoti per più di duecento anni. Quando tornarono i missionari li ritrovarono tutti battezzati, tutti validamente sposati per la Chiesa e tutti i loro defunti avevano avuto un funerale cattolico. La fede era rimasta intatta per i doni di grazia che avevano allietato la vita di questi laici che avevano ricevuto solamente il battesimo e avevano vissuto anche la loro missione apostolica in virtù del solo battesimo. Non si deve aver paura di dipendere solo dalla Sua tenerezza… Conosce l’episodio biblico del profeta Giona?

- Non lo ricordo. Racconti.


BERGOGLIO: Giona aveva tutto chiaro. Aveva idee chiare su Dio, idee molto chiare sul bene e sul male. Su quello che Dio fa e su quello che vuole, su quali erano i fedeli all’Alleanza e quali erano invece fuori dall’Alleanza. Aveva la ricetta per essere un buon profeta. Dio irrompe nella sua vita come un torrente. Lo invia a Ninive. Ninive è il simbolo di tutti i separati, i perduti, di tutte le periferie dell’umanità. Di tutti quelli che stanno fuori, lontano. Giona vide che il compito che gli si affidava era solo dire a tutti quegli uomini che le braccia di Dio erano ancora aperte, che la pazienza di Dio era lì e attendeva, per guarirli con il Suo perdono e nutrirli con la Sua tenerezza. Solo per questo Dio lo aveva inviato. Lo mandava a Ninive, ma lui invece scappa dalla parte opposta, verso Tarsis.
Il cardinale Bergoglio tra i fedeli  presso il santuario di San Cayetano, Buenos Aires, Argentina

Il cardinale Bergoglio tra i fedeli presso il santuario di San Cayetano, Buenos Aires, Argentina


- Una fuga davanti a una missione difficile…


BERGOGLIO: No. Quello da cui fuggiva non era tanto Ninive, ma proprio l’amore senza misura di Dio per quegli uomini. Era questo che non rientrava nei suoi piani. Dio era venuto una volta… “e al resto adesso ci penso io”: così si era detto Giona. Voleva fare le cose alla sua maniera, voleva guidare tutto lui. La sua pertinacia lo chiudeva nelle sue strutturate valutazioni, nei suoi metodi prestabiliti, nelle sue opinioni corrette. Aveva recintato la sua anima col filo spinato di quelle certezze che invece di dare libertà con Dio e aprire orizzonti di maggior servizio agli altri avevano finito per assordare il cuore. Come indurisce il cuore la coscienza isolata! Giona non sapeva più come Dio conduceva il suo popolo con cuore di Padre.

- In tanti ci possiamo identificare con Giona.

BERGOGLIO: Le nostre certezze possono diventare un muro, un carcere che imprigiona lo Spirito Santo. Colui che isola la sua coscienza dal cammino del popolo di Dio non conosce l’allegria dello Spirito Santo che sostiene la speranza. È il rischio che corre la coscienza isolata. Di coloro che dal chiuso mondo delle loro Tarsis si lamentano di tutto o, sentendo la propria identità minacciata, si gettano in battaglie per essere alla fine ancor più autoccupati e autoreferenziali.

- Che cosa si dovrebbe fare?

BERGOGLIO: Guardare la nostra gente non per come dovrebbe essere ma per com’è e vedere cosa è necessario. Senza previsioni e ricette ma con apertura generosa. Per le ferite e le fragilità Dio parlò. Permettere al Signore di parlare… In un mondo che non riusciamo a interessare con le parole che noi diciamo, solo la Sua presenza che ci ama e che ci salva può interessare. Il fervore apostolico si rinnova perché testimoni di Colui che ci ha amato per primo.

- Per lei, quindi, qual è la cosa peggiore che può accadere nella Chiesa?

BERGOGLIO: È quella che De Lubac chiama «mondanità spirituale». È il pericolo più grande per la Chiesa, per noi, che siamo nella Chiesa. «È peggiore», dice De Lubac, «più disastrosa di quella lebbra infame che aveva sfigurato la Sposa diletta al tempo dei papi libertini». La mondanità spirituale è mettere al centro sé stessi. È quello che Gesù vede in atto tra i farisei: «… Voi che vi date gloria. Che date gloria a voi stessi, gli uni agli altri».


Caterina63
00giovedì 3 ottobre 2013 19:01

[SM=g1740733] L’elemosiniere di Papa Francesco

2013-10-03 L’Osservatore Romano

È stato esplicito, Papa Francesco, quando gli ha affidato il suo nuovo incarico: «Non sarai un vescovo da scrivania, né ti voglio vedere dietro di me durante le celebrazioni. Ti voglio sapere sempre tra la gente. Tu dovrai essere il prolungamento della mia mano per portare una carezza ai poveri, ai diseredati, agli ultimi. A Buenos Aires uscivo spesso la sera per andare a trovare i miei poveri. Ora non posso più: mi è difficile uscire dal Vaticano. Tu allora lo farai per me, sarai il prolungamento del mio cuore che li raggiunge e porta loro il sorriso e la misericordia del Padre celeste».

E da quel L’abbraccio di Papa Francesco a monsignor Krajewski durante l’ordinazione episcopalegiorno, da quando il Pontefice gli ha comunicato la decisione di nominarlo suo elemosiniere — decisione poi resa pubblica il 3 agosto scorso — padre Konrad Krajewski (“padre” è l’unico titolo con il quale gradisce essere chiamato) gira in lungo e in largo città e dintorni per portare la solidarietà del vescovo di Roma nei sobborghi più bui e disperati. Già ha incominciato a visitare gli ospiti di alcune case di riposo. «Mi riempie di gioia — ci dice — sapere che quando ora abbraccio uno di questi nostri fratelli più sfortunati gli trasmetto tutto il calore, tutto l’amore e tutta la solidarietà del Papa. E lui, Papa Francesco, spesso me ne domanda conto. Vuole sapere».

«Il Papa vuole che prenda direttamente contatto con loro, che li incontri nelle loro realtà esistenziali, nelle mense, nelle case di accoglienza, nelle case di riposo o negli ospedali. Le faccio un esempio. Se qualcuno chiede aiuto per pagare una bolletta, è bene che io vada, se possibile, a casa sua a portare materialmente l’aiuto, per fargli capire che il Papa, attraverso l’elemosiniere, gli è vicino; se qualcuno chiede aiuto perché è solo e abbandonato, devo correre da lui e abbracciarlo per fargli sentire il calore del Papa, dunque della Chiesa di Cristo. Vorrebbe farlo personalmente, come faceva a Buenos Aires ma non può. Per questo vuole che io lo faccia per lui».

E questo pur senza trascurare la normale attività caritativa, che si traduce in tanti piccoli gesti quotidiani consumati nel silenzio e nella più assoluta discrezione negli uffici dell’Elemosineria in Vaticano. «Piccoli gesti — dice — che però riguardano oltre 6.500 persone all’anno. Indice di una povertà tante volte vissuta nel riserbo e nell’anonimato, che purtroppo in questi ultimi tempi ha cominciato ad affliggere anche zone e categorie di persone che fino a ieri godevano di un certo benessere».

Mario Ponzi


[SM=g1740733]


Caterina63
00lunedì 6 gennaio 2014 14:28

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    Guardini, un “maestro” che Bergoglio non ha mai avuto

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guardini

Nella biografia ufficiale di Jorge Mario Bergoglio, immessa nel sito del Vaticano dopo la sua elezione a papa, c’è un’imprecisione. Là dove si legge:

“Nel marzo 1986 va in Germania per ultimare la tesi dottorale…”.

Lo scorso 2 aprile Settimo Cielo aveva spiegato dov’era l’imprecisione. Ma essa è rimasta anche dopo.

E il 19 ottobre “L’Osservatore Romano” l’ha aggravata. Nel segnalare la pubblicazione di un importante volume edito dalla Morcelliana con gli scritti di Romano Guardini su san Bonaventura, ha riportato questo brano della dotta presentazione che ne aveva fatto il giorno prima su “Avvenire” il professor Silvano Zucal, docente di filosofia teoretica all’università di Trento:

“Il destino davvero singolare di Romano Guardini è l’essere stato una sorta di ‘maestro’ per ben tre papi. Paolo VI ne promosse personalmente le prime traduzioni a partire dal piccolo libro ‘La coscienza’, che consigliava ai suoi allievi fucini. Benedetto XVI si percepisce addirittura come una sorta di discepolo spirituale e intellettuale del grande pensatore. Infine, papa Francesco ha trascorso quasi due anni in Germania per leggere e studiare Guardini…”.

In realtà, stando a quanto precisato all’indomani dell’elezione di papa Francesco dalla facoltà filosofico-teologica Sankt Georgen di Francoforte, dove effettivamente Bergoglio si recò nel 1986, egli semplicemente “passò alcuni mesi presso la facoltà per consigliarsi con alcuni professori su un progetto di dottorato che non è arrivato a conclusione”.

Quindi non “quasi due anni” ma “alcuni mesi”. E soprattutto nessun dottorato, nemmeno vicino ad essere ultimato, perché rimasto allo stadio di progetto.

Che poi Guardini possa essere considerato un “maestro” per papa Bergoglio, è tesi che suona nuova.

Nell’intervista di papa Francesco a “La Civiltà Cattolica“, in cui egli dedica ampio spazio ai suoi autori di riferimento, Guardini non c’è.

Ma soprattutto c’è una profonda distanza tra la visione di Bergoglio e quella del grande teologo italo-tedesco, sia nel campo della liturgia (dove invece è fortissimo il suo influsso su Joseph Ratzinger), sia nella critica alla società moderna, sia nella concezione della coscienza personale (dove il libro fatto tradurre da Giovanni Battista Montini non ha nulla da spartire con la sbrigativa definizione di coscienza espressa da papa Francesco nella lettera e poi nelcolloquio con Eugenio Scalfari).

Di Guardini, l’opera che Bergoglio lesse e ammirò fu principalmente “Il Signore”. E fu per questo che pensò di approfondirne il pensiero, senza poi riuscirvi.






Caterina63
00domenica 16 febbraio 2014 08:39

  Dostoevskij, Romano Guardini e Paolo VI negli scritti riproposti dal gesuita argentino Diego Fares, amico di Papa Francesco, nell’ultimo numero di Civiltà cattolica

IACOPO SCARAMUZZI
CITTÀ DEL VATICANO

Romano Guardini e Dostoevskij, Paolo VI e il marxismo. In un articolo pubblicato sull’ultimo numero di Civiltà cattolica il gesuita Diego Fares, professore di teologia alla Pontificia universidad Catolica argentina “che conosce Papa Francesco da quarant’anni”, ricostruisce, con testi inediti in Italia, la “antropologia politica” di Jorge Mario Bergoglio. Un pensiero che ruota attorno al “popolo fedele” e alla “vicinanza” dei pastori nei suoi confronti. Idee che Bergoglio elaborò sin dai tempi del suo provincialato dei gesuiti argentini (1973-1979) che coincisero, in parte, con i drammatici anni della dittatura militare iniziata nel 1976.

“Già nel 1974, l’allora giovane provinciale Jorge Mario Bergoglio, all’apertura della congregazione provinciale dei gesuiti argentini, metteva in rilievo ‘il riconoscimento del senso di riserva religiosa che il popolo fedele possiede’”, scrive padre Fares nel fascicolo del quindicinale dei gesuiti che esce oggi. In uno scritto del 1982, Meditaciones para religiosos, Bergoglio spiega al riguardo: “Quando studiavo teologia, quando ripassavo il Denzinger e i trattati per dimostrare le tesi, mi colpì molto una formulazione della tradizione cristiana: il popolo fedele è infallibile in credendo, nel credere. Da qui poi trassi la mia formula personale, che non sarà molto precisa, ma che mi aiuta molto: quando vuoi sapere ciò che crede la Madre Chiesa, rivolgiti al Magistero, perché esso ha l’incarico di insegnarlo in maniera infallibile; ma quando vuoi sapere come crede la Chiesa, rivolgiti al popolo fedele”. Questa “formula personale” si concretizza nella frase seguente: “Il Magistero ti insegnerà chi è Maria, ma il nostro popolo fedele ti insegnerà come si ama Maria”.

Passano pochi anni, nel 1975 viene pubblicata la Evangelii nuntiandi di Paolo VI (documento che il futuro Papa “ha sempre considerato particolarmente ispirato”), lo stesso hanno ha luogo la XXXII congregazione generale dei gesuiti. E in un articolo successivo intitolato Criteri di azione apostolica, Bergoglio torna a parlare di “popolo come riserva”, affermando che la “inculturazione del Vangelo”, che mira al “processo di cambiamento delle strutture (persino nelle strutture del cuore)”, deve “compiere lo sforzo di giustizia per non tradire la cultura del nostro popolo, i suoi valori e le sue aspirazioni legittime, evitando di filtrarli attraverso la nostra mentalità ‘illuminista’”. Scrive Bergoglio: “I popoli hanno abitudini, capacità di valutazione, contenuti culturali che sfuggono a qualsiasi classificazione: sono sovrani nella loro possibilità di interpellare”. Questo conduce ad “affinare l’udito per udire tali richiami e presuppone umiltà, affetto, abitudine all’inculturazione e, soprattutto, l’aver respinto da sé l’assurda pretesa di trasformarsi in ‘voce’ dei popoli, pensando forse che essi non la abbiano. Tutti i popoli ce l’hanno, magari ridotta a volte a un sussurro a causa dell’oppressione. Bisogna aguzzare l’udito e ascoltarla, ma non voler parlare noi al loro posto. Per un pastore, la domanda iniziale di ogni riforma delle strutture dovrebbe essere: ‘Che cosa mi chiede il mio popolo?’’.

In particolare, il commento di Bergoglio al più noto decreto della congregazione generale del 1979, il IV intitolato “La nostra missione oggi: diaconia della fede e promozione della giustizia”, “bandiera – chiosa padre Fares – di coloro che si impegnavano con i poveri giustificando perfino la lotta armata, e antibandiera di coloro che non si volevano assolutamente impegnare con essi”, era questo: “Camminando pazientemente e umilmente con i poveri, scopriremo in che cosa possiamo aiutarli, dopo aver prima accettato di ricevere da loro. Senza questo lento camminare con loro, l’azione a favore dei poveri e degli oppressi sarebbe in contraddizione con le nostre intenzioni e impedirebbe ad essi di far sentire le loro aspirazioni e di acquisire da sé gli strumenti per una effettiva assunzione in prima persona del loro destino personale e collettivo”. La concezione di Bergoglio, riassume padre Fares, “superò chiaramente le false antinomie che dividevano i cristiani in progressisti e conservatori”.

Convinzioni che portano l’arcivescovo di Buenos Aires, anni dopo, a parlare – che si tratti della crisi economica dell’Argentina nel 2001 o l’incontro dell’episcopato latino-americano ad Aparecida nel 2009 – di “cultura dell’incontro”: “Gesù – afferma Bergoglio in una messa nel 2012 – non faceva proselitismo, accompagnava. Il Dio vicino, vicino alla nostra carne. Il Dio dell’incontro che va all’incontro con il suo popolo. Il Dio che mette il suo popolo in una situazione di incontro. E con quella vicinanza, con questo camminare crea quella cultura dell’incontro che ci fa fratelli, ci fa figli, e non membri di una ong o proseliti di una multinazionale. Vicinanza, è questa la proposta”. Dietro la concezione che Francesco ha del popolo, scrive Fares, troviamo Romano Guardini, “e dietro di lui”, il Dostoevskij de I fratelli Karamazov: “E’ il popolo che, nonostante le sue miserie e i suoi peccati, è autenticamente umano e, nonostante tutta la sua bassezza, è ricco di contenuti e sano, perché affonda le sue radici nella struttura essenziale dell’essere”.







Mons. Xuereb: vi racconto il mio anno accanto a Papa Francesco, parroco del mondo



Ricorre giovedì prossimo il primo anniversario dall’elezione di Papa Francesco alla Cattedra di Pietro. Un anno straordinario per la vita della Chiesa, un “tempo della misericordia” come il Pontefice stesso ha più volte sottolineato. Tra le persone che più da vicino hanno accompagnato il Santo Padre in questi dodici mesi intensissimi c’è il suo segretario particolare, mons. Alfred Xuereb, nominato recentemente dal Papa segretario generale della Segreteria per l’Economia del Vaticano. In questa intervista esclusiva alla Radio Vaticana, al microfono di Alessandro Gisotti, mons. Xuereb ripercorre questo primo anno con Francesco a partire proprio da quell’indimenticabile 13 marzo di un anno fa:RealAudioMP3 

R. – Lei mi fa rivivere tante emozioni e anche tantissimi ricordi molto profondi: erano momenti particolari, che sicuramente rimarranno nella Storia. Un Papa che lascia il suo Pontificato … Dal 28 febbraio, il giorno ultimo del Pontificato di Papa Benedetto, quando abbiamo lasciato per sempre il Palazzo Apostolico, fino al 15 marzo, quindi fino a due giorni dopo l’elezione del nuovo Papa, io sono rimasto con il Papa emerito a Castel Gandolfo per tenergli compagnia e anche per aiutarlo nel suo lavoro di segreteria. Il momento del distacco da Papa Benedetto per me è stato un momento molto struggente, perché ho avuto la fortuna di vivere per cinque anni e mezzo con lui e lasciarlo, distaccarmi da lui è stato un momento molto difficile. Le cose erano precipitate, io non sapevo che proprio in quel giorno avrei dovuto fare le valigie e lasciare Castel Gandolfo e anche lasciare Papa Benedetto. Ma dal Vaticano mi chiedevano di fare in fretta, fare le valigie e andare a Casa Santa Marta perché Papa Francesco stava persino aprendo lui la posta, da solo: non aveva un segretario che lo aiutasse. In quella mattinata sono passato più volte in cappella per avere lume, perché mi sentivo anche un po’ confuso. Però ero certo, avevo la netta sensazione che io fossi guidato dall’Alto e mi rendevo conto che stava succedendo qualcosa di straordinario, anche per la mia vita. Sono poi entrato nello studio di Papa Benedetto piangendo e, con un nodo alla gola, ho cercato di dirgli quanto ero triste e quanto fosse difficile il mio distacco da Lui. L’ho ringraziato per la Sua benevola paternità. Gli ho rassicurato che tutte le esperienze vissute nel Palazzo Apostolico con lui mi hanno tanto aiutato a guardare meglio “alle cose di lassù”. Poi mi sono inginocchiato per baciargli l’anello, che non era più quello del Pescatore, e lui, con sguardo di paternità, di tenerezza, come sa fare lui, si è alzato in piedi e mi ha benedetto.

D. – Che ricordo ha del suo primo incontro con Papa Francesco?

R. – Mi ha fatto entrare nel suo studio, mi ha accolto con la sua ormai nota cordialità, e devo dire che mi ha fatto anche un scherzo, uno scherzo – se così posso dire – da Papa! Aveva una lettera in mano e con tono serio mi disse: “Ah, ma qui abbiamo dei problemi, qualcuno non ha parlato molto bene di te!”. Io ammutolii, ma poi capii che si riferiva alla lettera che Papa Benedetto gli aveva inviato per informarlo che lui mi aveva lasciato libero e che poteva chiamarmi al suo servizio. In questa lettera, Papa Benedetto aveva avuto la bontà di elencare alcuni miei pregi. Poi Papa Francesco mi ha invitato a sedermi sul divano e lui accanto a me, su una sedia. Mi ha chiesto – con molta fraternità – di aiutarlo nel suo gravoso compito. Infine ha voluto sapere qual è il mio rapporto con i Superiori e con altre persone di certa responsabilità. Gli ho risposto che ho un buon rapporto con tutti, almeno per quanto mi riguarda.

D. – Cosa la colpisce della personalità di Papa Francesco, avendo il privilegio di vivere ogni giorno accanto a Lui?

R. - La sua determinazione. Una convinzione che sono sicuro che gli viene dall’Alto, perché è uomo profondamente spirituale che cerca nella preghiera l’ispirazione da Dio. Per esempio, la visita a Lampedusa lui l’ha decisa perché dopo alcune volte che è entrato in cappella, gli è venuta in continuazione questa idea: andare di persona a incontrare queste persone, questi naufraghi, e piangere sui morti. E quando lui ha capito che gli venivano in mente più volte, allora è stato sicuro che Dio la voleva. L’ha fatta, anche se non c’era molto tempo per prepararla. Lo stesso metodo lui lo usa per la scelta delle persone che chiama a collaborare con lui da vicino.

D. – Cosa invece la colpisce guardando al Pastore Francesco, alla sua dimensione pubblica, a come in fondo esercita il ministero petrino?

R. – Qualcun altro mi ha fatto una domanda simile, e rispondo dicendo che mi viene in mente spontaneamente la figura del missionario. Quel classico missionario che parte, va tra gli indigeni per far conoscere loro il Vangelo, Gesù Cristo …. Ecco, io vedo in Francesco il missionario che sta chiamando a sé la folla, quella folla che magari si sente smarrita, con l’intento di riportarla al cuore del Vangelo. E’ diventato – per così dire – il parroco del mondo e sta incoraggiando quanti si sentono lontani dalla Chiesa a ritornare con la certezza che troveranno il loro posto nella Chiesa. Lui vede nel clericalismo e nella casistica dei forti ostacoli affinché tutti si possano sentire amati dalla Chiesa, accompagnati da essa. Invece, parroci e sacerdoti ci dicono quasi quotidianamente quante persone sono tornate alla Confessione e alla pratica della fede per l’incoraggiamento di Papa Francesco, specialmente quando ci ricorda che Dio non si stanca mai di perdonarci. Lui, come avete visto, ha un’attenzione speciale per i malati, e questo perché lui vede in loro il corpo di Cristo sofferente. E dimentica completamente i suoi malanni. Per esempio, nei primi mesi del suo Pontificato aveva un forte dolore a causa della sciatica che si era ripresentata. I medici gli avevano consigliato di evitare di abbassarsi ma lui, trovandosi davanti a malati in carrozzella o a bambini infermi nei loro passeggini si china su di loro comunque e fa sentire la Sua vicinanza. Così pure, per esempio, è successo durante la celebrazione eucaristica a Casal del Marmo la sera del Giovedì Santo durante la lavanda dei piedi. Nonostante senz’altro il dolore che avrà sentito, si è inginocchiato davanti a ciascuno dei dodici giovani detenuti per baciar loro i piedi.

D. – Papa Francesco sembra instancabile, a guardarlo negli incontri, nelle udienze… Come vive la sua quotidianità anche di lavoro, a Casa Santa Marta?

R. – Mi creda, non perde un solo minuto! Lavora instancabilmente. E quando sente il bisogno di prendere un momento di pausa, non è che chiude gli occhi e non fa niente: si mette seduto e prega il Rosario. Penso che almeno tre Rosari al giorno, li prega. E mi ha detto: “Questo mi aiuta a rilassarmi”. Poi riprende, riprende il lavoro. Riceve una persona dopo l’altra: il personale della portineria di Santa Marta ne è testimone. Ascolta con attenzione e ricorda con straordinaria capacità quanto sente e quanto vede. Si dedica alla meditazione presto, la mattina, preparando anche l’omelia della Messa a Santa Marta. Poi, scrive lettere, fa telefonate, saluta il personale che incontra e si informa sulle loro famiglie.

D. – Uno dei doni più belli di questo primo anno di Pontificato sono senz’altro gli incontri tra Papa Francesco e Papa Benedetto. Lei, che è come un anello di congiunzione tra loro, cosa può dirci di questo “rapporto fraterno”?

R. – In una recente intervista, Papa Francesco ha rivelato questo: che lui lo consulta, chiede di sapere il suo punto di vista. Sarebbe una grande perdita non attingere a questa grande fonte di saggezza e di esperienza! Infatti, da subito l’ha chiamato: è come avere il nonno in casa è, come dire, avere il saggio dentro casa. Ecco, da subito Papa Francesco ha visto questa presenza come un dono inestimabile, simile a quel vescovo saggio appena eletto che trova un sapiente sostegno nel suo vescovo emerito. E’ significativo – per esempio – il fatto che abbia voluto inginocchiarsi nella cappella a Castel Gandolfo non sul suo inginocchiatoio, ma accanto a Papa Benedetto. E poi, ha voluto la sua presenza nell’inaugurazione della statua di San Michele Arcangelo qui, nei Giardini Vaticani … e l’ha convinto a partecipare al Concistoro che c’è stato per i nuovi cardinali. E’ una presenza che arricchisce il Pontificato di Papa Francesco.

D. – Da ultimo, cosa le sta dando personalmente questo servizio al Papa Francesco, dopo aver servito da vicino Benedetto XVI e, ricordiamolo, anche Giovanni Paolo II?

R. - Mi rendo conto che il Signore mi sta conducendo per vie veramente misteriose. Non avrei mai immaginato di poter compiere questo tipo di servizio. Ma Dio è così. Altrimenti siamo noi i programmatori della nostra via di santità. Io trovo un grande aiuto nella luminosa testimonianza di affidamento a Dio che ho avuto la grazia di cogliere di persona da Papa Giovanni Paolo II, dal Papa Emerito, Benedetto, il quale – è diventato un modo per sorridere – ogni volta che si trovava davanti ad una situazione difficile amava incoraggiarci dicendo: “Il Signore ci aiuterà”. Ecco, ovviamente il sostegno sia umano che spirituale nella preghiera, che so che fa anche per me Papa Francesco, mi è di grande conforto.




Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/03/10/mons._xuereb:_vi_racconto_il_mio_anno_accanto_a_papa_francesco,/it1-779997 
del sito Radio Vaticana 




 

Caterina63
00domenica 27 aprile 2014 22:39























   a tutti: 
tenere libera la linea del telefono, prego, Papa Francesco, chiama
ma.... ATTENZIONE:
 in sostanza si è aperta da tempo una certa discussione sulla facilità con la quale il Papa fa uso del telefono  i destinatari di queste telefonate rilasciano poi interviste in cui, rivelandone i contenuti, attribuiscono al Papa alcuni cambiamenti dottrinali costringendo poi padre Lombardi (portavoce ufficiale del Papa) a dover aggiustare il tiro, negare che il Papa abbia detto ciò che i destinatari dicono, e a dover sottolineare che quel che dice il Papa in privato, non può essere usato per modificare la dottrina della Chiesa  Quindi, ha detto di recente padre Lombardi: se ricevete telefonate dal Papa, tenetevi la conversazione per voi stessi, che rimanga un fatto privato..... e di non usarla per affermare che la dottrina della Chiesa sia cambiata, perchè nessuno può farlo, manco il Papa

   













Caterina63
00venerdì 16 maggio 2014 11:28























 

Caterina63
00venerdì 27 giugno 2014 13:42
"NON FACCIAMOCI RUBARE LA SPERANZA...."
(Papa Francesco in diverse occasioni)




















 




Caterina63
00martedì 22 luglio 2014 21:06
....  o se preferite.....

....dall'altra parte del mondo 
Master and Commander 

dall'Esortazione Evangelii Gaudium:

"Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato. A me spetta, come Vescovo di Roma, rimanere aperto ai suggerimenti orientati ad un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione..."






"Lei vuole fare il ritratto di un essere che non esiste: Montini è scomparso,  è stato sostituito da Pietro. Non è possibile fare il ritratto del  Papa: egli è impersonale per essenza, o, almeno, deve diventarlo".
(Paolo VI segreto, di J. Guitton)



















Caterina63
00sabato 22 novembre 2014 00:21


















Libro "Il Papa gesuita": cristianesimo e libertà in Francesco

Papa Francesco celebra messa alla Chiesa del Gesù - L'Osservatore Romano

23/02/2015 

Papa Francesco è il primo Pontefice gesuita della storia e questo si ripercuote nei suoi gesti, nelle sue parole e nei suoi pensieri. Capire questa relazione è quanto si propone di analizzare il volume: “Il Papa gesuita. ‘pensiero incompleto’, libertà e laicità in Papa Francesco”, edito da Mondadori e scritto da Vittorio Alberti, docente di filosofia alla Pontificia Università Lateranense e officiale del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Il libro è un’occasione per capire i rapporti tra cristianesimo, libertà di pensiero e laicità. All'autore, Michele Raviart ha chiesto in che cosa l'essere un figlio di Sant'Ignazio emerga dalle parole e dai gesti di Francesco.

R. – Nell’essere libero. Questo è molto chiaro, perché il gesuita ha una spiritualità che gli prescrive di cercare Dio in tutte le cose. Gli esercizi di sant’Ignazio prescrivono questo: in ogni cosa cercare la volontà di Dio. Tutte le cose significa anche le più impensate, le più imprevedibili, le più originali, quindi non solamente dentro le strutture della Chiesa, non in ciò che tu ti aspetteresti. Questa libertà di ricerca, della vocazione, lui la traduce in termini di assunzione del suo ruolo. E questo è, credo, ciò che di più gesuitico ci sia in lui.

D.  –Il sottotitolo del libro è “Pensiero incompleto, libertà, laicità in Papa Francesco”. Perché pensiero incompleto?

R.  – Di “pensiero incompleto” ha parlato lui ed è una categoria propria della spiritualità dei gesuiti ed è un pensiero che non si chiude, che non mette un punto definitivo, quindi che non crea una coercizione: ci credi, sei dentro, non ci credi, sei fuori. Incompleto vuol dire che è sempre aperto, sempre alla ricerca, come il pensiero della filosofia.

D. – Uno dei punti, sfogliando questo libro, è Papa Francesco e l’anticlericalismo…

R.  – L’anticlericalismo è una categoria che viene interpretata secondo ciò che la storia ci ha consegnato, quindi noi lo intendiamo generalmente come il movimento di liberazione dalla Chiesa intesa come struttura di potere legata alle corone. L’anticlericalismo vero non è altro che il cristianesimo, non è altro che l’istanza di libertà e di liberazione propria del cristianesimo che si oppone all’idolatria della struttura visibile. Io cristiano libero non posso che essere alla continua ricerca della testimonianza, della mia fede, dell’affermazione della fratellanza… Quindi, Francesco indica la strada dell’anticlericalismo in questo senso: dobbiamo essere più cristiani, meno clericali.

D. – Un altro punto sono gli aspetti di continuità fra Benedetto XVI e Papa Francesco…

R.  – L’elemento di continuità direi che è addirittura logico. Benedetto XVI ha compiuto questo gesto enorme della rinuncia e ha segnato il passo: cioè, io credo che abbia dato la linea al conclave. Di fronte a un gesto così importante, così grave, così drammatico e così coraggioso, lui ha detto: non si può che arrivare a una soluzione di rinnovamento radicale della struttura ecclesiastica e quindi della Chiesa, tornando alle origini, in qualche modo.


Caterina63
00giovedì 26 marzo 2015 22:56
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  IL GERGO DI FRANCESCO/23. Quell’Alzheimer spirituale che offusca il primo amore


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Il Papa, non molti giorni orsono, ha parlato dell’” Alzheimer spirituale” come una delle malattie della curia. Evidentemente si riferiva a quella vaticana, ma per estensione le osservazioni valgono per ogni altra curia. Prima il suo intervento ai monsignori, poi gli echi dello stesso sui media sono arrivati anche dove vivo, quella “periferia” dove i cardinali, anche quelli di curia, sono andati a prendere e portato a Roma chi ha pronunciato il discorso in questione. Non essendo membro della curia vaticana o di altra curia posso tranquillamente pensare che queste parole non abbiano niente a che vedere con me. Invece non posso eluderle, e non posso perché mia madre è stata distrutta da questa malattia.

Francesco, facendo un parallelo con gli effetti dell’Alzheimer, si è riferito al declino spirituale che è causa di gravi handicap per l’anima. Come lo è per il corpo. E io l’ho visto in mia madre, quando si addentrava poco a poco in quel labirinto senza uscita che è l’Alzheimer. Vivevo lontano da lei e la chiamavo spesso al telefono; ho anche corrisposto con una certa frequenza alla sua richiesta di scriverle delle lettere. Scrivere è sempre stata la mia passione, e lei lo sapeva. Leggeva le mie lettere di continuo, le portava con se, le faceva vedere. Immagino che le conservasse come un tesoro. Io ho continuato a scriverle, finchè un giorno mio fratello mi ha detto: ” Non scriverle più, la mamma non sa più leggere”. Uno come me che vive della scrittura, come fa a mandare giù una cosa del genere? Come fa ad accettare che la sua lettrice preferita non sa più leggere? E com’è possibile smettere di capire le parole?

C’è pane per i denti di Borges che il nostro insegnante di letteratura, Jorge come quell’illustre concittadino di noi argentini, mezzo secolo addietro ci faceva ripetere spesso: “Solo una cosa non esiste: l’oblio” aveva scritto come un epitaffio. Ma allora, quando avrei potuto fargli la domanda, o contraddirlo, mia madre stava bene e i miei denti erano quelli da latte di un giornalista in fieri e uno scrittore di desiderio.

Ma forse è per questa esperienza con mia madre che ho visto sotto un’altra luce le parole del Papa sull’Alzheimer spirituale. Così mi sono immaginato che tanti funzionari della curia smettono di capire gradualmente, uno scalino dopo l’altro, all’inizio le parole scritte, poi le parole pronunciate e infine il senso vero della Parola con la p maiuscola. Col risultato che quando i fedeli che incontrano si rivolgono a loro in cerca di risposte a questioni importanti, si ritrovano davanti ad una parete di lettere morte.

Mi sembra infausto dimenticare la cosa più importante, che è l’amore di Dio, per vivere in uno “stato di assoluta dipendenza dalle cose materiali”. Cosa è successo per finire così? Hanno tergiversato tanto che hanno perso Cristo, e le croci sono rimaste vuote. Ma la cosa più grave è che non sono stati vittime passive, innocenti, dell’Alzheimer, sono loro che hanno scelto di ammalarsi. Lo ha detto Francesco, ma lo sapevamo già, semmai avevamo soltanto paura di affermarlo per timore di sbagliare.

Un Natale, l’ultimo, chiamai mia mamma al telefono per salutarla.

- «Sono Jorge, volevo farti gli auguri di Natale».

- «La ringrazio signore -quando mi sentì chiamare “signore” mi sono messo a piangere perché avevo capito che ormai l’avevo persa- lo sa che io avevo un figlio che si chiamava Jorge come lei? Però l’ho perso, non so dov’è…».

E’ un ricordo lancinante, che mi è ritornato con le parole di Francesco sulla dimenticanza della “storia della salvezza”, della storia personale con il Signore, del «primo amore». E mi chiedevo come risponderebbero a Gesù quegli ecclesiastici a cui si stava immaginariamente riferendo. Gli direbbero anche loro, senza riconoscerlo: “lo sa che io seguivo un tale chiamato Cristo ma l’ho perso, non so più dov’è…?”. Deve essere terribile, perché la croce, vuota, è un tormento.

E’ doloroso che una madre perda un figlio in questo modo. Che non sappia più chi ha davanti, che non lo riconosca come carne della sua carne. E’ doloroso che un figlio perda così sua madre, da non poterle più scrivere, da non poterle più parlare. Ma, che coloro che hanno scelto di seguire Cristo, perdano la memoria del loro incontro con Lui, è una catastrofe.

Qualcuno che non abbia mai avuto a che fare con l’Alzheimer forse non avrà colto sino in fondo questo riferimento del Papa, ma è un’immagine perfetta di quello che succede in coloro che vivono nei loro “capricci, passioni, manie” personali, nell’adorazione degli “idoli che si sono costruiti con le loro stesse mani”, chiusi nei labirinti che continuano ad allungare, allargare e attorcigliare, innalzare anche, “costruendo muri tutto attorno a se”.

Poche volte ho scritto di un dolore personale, questa è una. Però ringrazio che sia potuto succedere. Se il dolore ha un senso è proprio questo: quello di permetterci di capire meglio le cose che accadono.

L’Alzheimer è una malattia terribile perché tutte le nostre domande rimangono senza risposta. L’Alzheimer spirituale è ancora peggio, non soltanto perché nega le risposte ma perché è volontario … e può essere contagioso.

 

Traduzione dallo spagnolo di Mariana Gabriela Janún

  1. Quel Dio cattolico che ci “primerea” sempre
  2. Non “balconear” la vita, ma tuffarsi come ha fatto Gesù
  3. Una civilizzazione che si è “spannata” ha bisogno della speranza cristiana
  4. “Hagan lio”, perché la Buona Notizia non è silenziosa…
  5. Quella nullificazione che cancella l’Altro. Non lasciatevi ningunear…
  6. Quell’invito a “pescar” uno sguardo nuovo sulla società e sulla Chiesa
  7. Che pena una gioventù empachada e triste!
  8. “Misericordiando”. Dialogo con il Papa su un curioso gerundio
  9. Il “chamuyo” di Dio, seduttore ad oltranza
  10. Que Dios me banque! Se mi ha messo qui che ci pensi lui
  11. Lo spirito del soldato e i generali sconfitti del doverfaresimo
  12. “Giocare in attacco”. Le metafore calcistiche di un papa tifoso
  13. Cristiani gioiosi e facce da “cetriolini sott’aceto”
  14. La fiaba cinese dell’abolizione della schiavitù
  15. Viandanti della Fede tra scuola e strada
  16. Un consiglio ai “trepas” nella Chiesa: arrampicatori, fate gli alpinisti, è più sano
  17. “Recen por mi”. Un bergoglismo poco bergogliano? Forse. Ma a forza di chiederlo il Papa ci ha messo il copyright
  18. Non siamo guachos,abbiamo una Madre che si prende cura di noi!
  19. Aprite le ali e affondate le radici. No arruguen!
  20. La teologia dell’aquilone: “Dagli corda che scodinzola”
  21. I tarli che rodono la stoffa della Chiesa: rivalità e vanagloria
  22. Se mi tocchi la mamma…

 

– © TERRE D’AMERICA

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Caterina63
00venerdì 24 luglio 2015 16:05



mons. Karcher (nella foto alla destra del Papa): vi racconto l’estate di Francesco tra preghiera, amici e lavoro

 
24/07/2015 

Il prossimo mercoledì 5 agosto riprenderanno le udienze generali, terminerà così il breve periodo senza impegni pubblici di Papa Francesco, dopo l’entusiasmante viaggio in America Latina. In realtà, anche in questo periodo di vacanza, il Pontefice è “al lavoro” sui suoi importanti prossimi impegni, a partire dall’atteso viaggio a Cuba e negli Stati Uniti. Per una testimonianza diretta di come Francesco stia vivendo questi giorni estivi, Alessandro Gisotti ha intervistato mons. Guillermo Karcher, cerimoniere pontificio e tra i più stretti collaboratori di Jorge Mario Bergoglio:

R. – Li trascorre con tanta serenità e letizia. Io lo vedo sempre contento, ogni mattina. Sempre al lavoro tra l’altro, perché lo trovo sempre con le mani occupate, pieno di carte, di corrispondenza: lui ci tiene molto a rispondere personalmente. Quindi passa questo periodo in comunicazione con i suoi amici, con la gente a cui tiene. Ne approfitta soprattutto perché può avere più tempo a disposizione e allora si dedica a questo. Più le letture che fa di documenti e di progetti che gli arrivano per il futuro prossimo.

D. - Sull’aereo di ritorno dall’America Latina, il Papa ha detto che si sarebbe messo a studiare – ha usato proprio questo termine - per preparare il viaggio a Cuba e negli Usa. Francesco, chiaramente, sente molto l’importanza di questo atteso viaggio, dopo quello straordinario nella sua terra, l’America Latina…

R. – Sì! Io ritengo che sia bello questo anno soprattutto perché è l’anno in cu “abbraccerà” – si può dire – tutto il continente, quello delle Americhe, come si dice in italiano: noi diciamo l’America, perché lo consideriamo un solo continente... E dico questo abbraccio, perché è andato in Sud America e a settembre toccherà la visita a Cuba, che è Centroamerica, e poi gli Stati Uniti e quindi il Nord America. Ci tiene molto, soprattutto perché potrà plasmare e potrà rendere concreto e visibile quello che è il risultato di un lavoro anche molto diplomatico e molto pastorale, che ha aiutato a riallacciare le relazioni diplomatiche tra Cuba e Stati Uniti. Penso che questo renda questo viaggio molto più interessante: oltre ad essere una visita pastorale, è quasi una visita di ringraziamento a due nazioni che hanno saputo ridarsi la mano. Lui, come uomo venuto dal Sud del Continente, è protagonista di un momento storico.

D. - Papa Francesco ha sempre detto di essere un pastore che ama camminare in mezzo alla gente. Quanto gli manca – secondo lei - questa libertà, specie in un periodo senza incontri pubblici come questo?

R. – Gli manca, sì. Lui era molto abituato a camminare, a camminare e a stare tra la gente. Penso all’estate argentina, al mese di gennaio che è paragonabile a questo luglio così caldo e afoso: lui passava le giornate visitando le favelas di Buenos Aires, condividendo con la gente questo periodo duro, di caldo, di sacrificio anche. Però lo offre a Dio e lo vive come un momento per dare al Signore, in offerta, questo modo di fare il ministero come Papa, vicino – con il suo cuore - alla gente che soffre e che il caldo rende anche loro la vita impossibile: pensiamo a queste baracche, dove non pensiamo certo che esista il ventilare…

D. - Il 5 agosto ricominciano comunque le udienze generali. Il Papa – lo sappiamo e lo ha anche detto, motivando anche la scelta di vivere a Santa Marta – ha bisogno di stare in mezzo, alla gente, al popolo. Questa è un’esigenza che, per lui, non va in vacanza…

R. – Confermo questo. Se parliamo di vacanza, di un periodo in cui ha fatto una pausa, perché sono stati appena pochi giorni di luglio: già è andato in Sud America e si è già consumato il periodo della vacanza e ad agosto riprende il momento importante della settimana in cui fa la catechesi e ri-comincia ad abbracciare il Popolo di Dio. Questo affetto che lo caratterizza si rende anche palpabile quando uno vede quanto amore dà e quanto amore riceve; quando amore scambia… E questo, a lui, lo riempie di energia. E’ bello soprattutto vedere il contatto con gli ammalati, questa sua umanità, che lui può dare e la fede che suscita. E poi questo abbraccio argentino: questo gruppo che è sempre molto consistente e che gli porta l’affetto dell’altra parte dell'Oceano; e poi tanti amici, tanti amici, anche dei parenti… Con tutti ha sempre un momento ricco di esperienza umana e spirituale.

D. – A proposito di Argentina: anche in questo periodo, sappiamo che non manca il mate per Papa Francesco. Lei è argentino come il Santo Padre: perché questa bevanda è così importante per lui e per voi argentini? Gli ricorda la sua amata terra?

R. – Consideri che noi da quando siamo bambini beviamo il mate. Addirittura quando sei bambino la mamma ti dà il mate un po’ più tiepido, vi mischia un pochino di latte addirittura… Si trasforma in una infusione, in un thè un po’ caratteristico che ci accompagna tutta la vita. E poi fa compagnia: il mate è una cosa che rende amici, perché si sta sempre con qualcuno quando lo bevi. Ha un senso familiare molto profondo. Penso che faccia parte delle radici e dell’identità argentina, come anche di altri Paesi quali l’Uruguay, il Paraguay, il Cile… Però l’argentino lo vive come uno strumento di condivisione: non è che uno prende il bicchiere e si disseta da solo, ma c’è questa cosa che si condivide. E poi è molto salutare - lo devo dire – perché aiuta ad abbattere il colesterolo. E per noi che mangiamo tanta carne ... può darsi. Tra l’altro è stata una invenzione dei gesuiti, nelle riduzioni gesuitiche: il mate lo hanno trovato loro come erba per combattere l’alcoolismo degli indios di quell’epoca. Poi è diventata una bevanda medicinale. Ripeto: evidentemente noi argentini soffriamo meno di colesterolo grazie a questo mate, che ci aiuta a mangiare la carne e a non essere così malati di questa malattia.


 

Caterina63
00giovedì 22 ottobre 2015 11:53
Skorka-and-Francis-photo-credit-León-Muicey-3


EL FRANCISCO DESCONOCIDO


Qual è il vero pensiero di papa Francesco sulla questione omosessuale? Lo rivelò l’allora cardinale Bergoglio nei suoi dialoghi con il rabbino Skorka.

Siamo troppo abituati a leggere i titoli e ciò che riportano certi Media, da aver dimenticato il ricorso alle “fonti originali” nelle quali spesso, il soggetto di cui si vuole interpretare il pensiero distortamente, ha invece parlato esprimendolo chiaramente.

Lo abbiamo detto diverse volte e ci piace ripeterlo, questo Blog non è contro il Papa, ma ha scelto nella maniera più semplice ed inoffensiva di raccontare – nelle e dalle cronache appunto – certi gesti, atti, o espressioni improvvisate di Bergoglio che spesso fuoriescono da certa canonicità creando imbarazzi, ambiguità ed anche false interpretazioni.

Skorka-and-Francis-photo-credit-León-Muicey-2E allora, per essere ogni tanto anche noi, non chiari ma di più, chiarissimi, vi offriamo un dialogo originale ed integro, ossia, senza alcun nostro intervento, dal libro Il Cielo e la terra, un dialogo tra l’allora cardinale Bergoglio e il suo amico rabbino della comunità ebraica in Argentina Abraham Skorka.

Qui emerge, integralmente, il pensiero di Jorge Mario Bergoglio, oggi Papa Francesco e che per quanto i modernisti e progressisti si affrettino a definirlo “cambiato, modificato”, a noi risulta invece persistere e ad essere più valorizzato oggi che è diventato il Vicario di Cristo.

Non vi anticipiamo altro, ciò che segue è quanto il Papa ritiene importante ancora oggi.

A. Skorka: Tornando al tema principale, la legge ebraica proibisce le relazioni tra uomini. La Bibbia afferma in modo chiaro che gli uomini non devono avere relazioni simili a quelle tra uomo e donna. Da lì discende tutto un modo di vedere le cose. L’ideale dell’essere umano, a partire dalla Genesi, è l’unione di un uomo e una donna. La legge ebraica è chiara in proposito: l’omosessualità non è prevista. D’altro canto, io rispetto qualsiasi individuo che mantenga un atteggiamento di pudore e intimità sul tema. Riguardo alla nuova legge, non mi convince dal punto di vista antropologico. Nel rileggere Freud e Lévi-Strauss, quando menzionano gli elementi che formano quella che conosciamo come cultura, e il valore che danno al divieto delle relazioni incestuose e all’etica sessuale, come numi del processo di civilizzazione, mi preoccupano i risultati che cambiamenti del genere possono produrre in seno alla nostra società.

J.M. Bergoglio: Concordo in pieno. Per definire il tema utilizzerei l’espressione «regresso antropologico», perché significherebbe indebolire un’istituzione millenaria che si è forgiata in accordo con la natura e l’antropologia. Cinquant’anni fa il concubinato non era comune quanto adesso. Era un termine chiaramente dispregiativo. Poi le cose sono cambiate. Oggi convivere prima di sposarsi, sebbene non sia giusto dal punto di vista religioso, non ha più il peso sociale negativo di cinquant’anni fa. È un fatto sociologico che non ha senz’altro la pienezza né la grandezza del matrimonio, istituto millenario degno di essere difeso.

Ecco perché abbiamo lanciato un monito sulla sua possibile svalorizzazione. Prima di modificare la giurisprudenza su un certo ambito occorre riflettere sulle possibili implicazioni. Anche per noi è importante quanto appena messo in evidenza da lei, ossia la base del diritto naturale menzionato nella Bibbia, l’unione dell’uomo e della donna. L’omosessualità è sempre esistita. L’isola di Lesbo, per esempio, era nota per ospitare donne omosessuali. Ma non era mai successo nella storia che si cercasse di darle lo stesso status del matrimonio. Veniva tollerata oppure non tollerata, era apprezzata o non apprezzata, ma mai equiparata. Sappiamo che durante alcuni cambiamenti epocali il fenomeno dell’omosessualità registrava una crescita. Ma nella nostra epoca è la prima volta che si pone il problema giuridico di assimilarla al matrimonio, cosa che giudico un disvalore e un regresso antropologico. Uso queste parole perché il tema trascende la questione religiosa, è prettamente antropologico. Di fronte a un’unione privata, non c’è un terzo o una società danneggiati. Se invece le si attribuisce la categoria di matrimonio e le si dà accesso all’adozione, ciò implica il rischio di danneggiare dei bambini. Ogni individuo ha bisogno di un padre maschio e una madre femmina che lo aiutino a plasmare la propria identità.

Insisto, la nostra opinione sul matrimonio fra persone dello stesso sesso non ha un fondamento religioso, ma antropologico. Quando Mauricio Macri, sindaco di Buenos Aires, non è ricorso in appello contro la sentenza pronunciata da un giudice di prima istanza che autorizzava le nozze omosessuali, sentii che dovevo dire qualcosa, per dare un orientamento, e mi vidi obbligato a esprimere la mia opinione. È stata la prima volta in diciotto anni da vescovo che ho richiamato l’attenzione di un pubblico funzionario. Se si analizzano le mie dichiarazioni di allora, non ho mai parlato di omosessuali né ho usato termini dispregiativi nei loro confronti. La prima dichiarazione diceva che quella sentenza era preoccupante perché denotava una certa contraddizione con la legge, dato che un giudice di prima istanza non può toccare il codice civile, mentre in quel caso lo faceva.

Inoltre, ammonivo sul fatto che un sindaco, custode della legalità, si esprimesse contro il ricorso in appello su tale verdetto. Macri rispose che quelle erano le sue convinzioni. Io le rispetto, ma un sindaco non dovrebbe trasferire le sue opinioni personali nella legge. Ripeto, non ho mai usato parole irriguardose nei confronti degli omosessuali, mi sono limitato a porre l’accento su una questione legale.


Sulla questione delle adozioni a “coppie” omosessuali, il card. Bergoglio spiegava: «In genere si sostiene che per un bambino sarebbe meglio essere cresciuto da una coppia di persone dello stesso sesso, piuttosto che vivere in un orfanotrofio o in un istituto per minori. Va da sé che nessuna delle due situazioni è ottimale. Il problema è che lo Stato non fa ciò che dovrebbe. Occorre guardare i casi dei bambini che vivono in certi istituti dove si fa di tutto salvo recuperarli. Devono essere le ONG, le diverse confessioni religiose o altri tipi di organizzazioni a farsi carico di questi minori. Si dovrebbero anche snellire le pratiche di adozione, al momento eterne, affinché questi bambini possano trovare una famiglia disposta ad accoglierli. Ma una mancanza da parte dello Stato non giustifica un’altra mancanza dello stesso Stato. Occorre affrontare il problema di fondo. Più che una legge che consenta l’adozione alle persone dello stesso sesso, è necessario migliorare le norme sull’adozione, eccessivamente burocratiche e la cui attuale applicazione favorisce la corruzione».

A. Skorka: Concordo, è necessario migliorare la legge sull’adozione. Adottare un bambino, come insegnano i saggi del Talmud, è un precetto della massima importanza. La legislazione in materia dovrebbe prevedere celerità ed efficienza nell’analisi dei singoli fattori della procedura. Tornando al tema del matrimonio, anche qui c’è una dimensione che non possiamo accantonare, per quanto sia ovvia: quella dell’amore. Non a caso la Bibbia ricorre all’immagine degli innamorati per definire l’ultimo passo verso la ricerca di Dio. Un razionalista come Maimonide, il filosofo aristotelico del XII secolo, definiva l’amore tra Dio e l’uomo in termini paragonabili all’unione tra uomo e donna. L’omosessuale ama qualcuno che conosce, un suo pari. È facile per un uomo conoscere un altro uomo, laddove conoscere una donna è molto più complesso, perché occorre decifrarla. Un uomo può sapere alla perfezione quello che prova un altro uomo, o una donna quel che succede nel corpo e nella mente di un’altra donna. Scoprire l’altro sesso, invece, è un’autentica sfida.

J.M. Bergoglio: Parte della grande avventura, per riprendere le sue parole, consiste proprio nel decifrarsi a vicenda. Un sacerdote di mia conoscenza diceva che Dio ci ha fatti uomo e donna perché amassimo e ci amassimo. Di solito, nell’omelia per il matrimonio dico allo sposo che deve rendere lei più donna, e alla sposa che deve rendere lui più uomo. Nella Bibbia, Dio si mostra come educatore. «Io ti ho portato sulle spalle, ti ho insegnato a camminare», è scritto. Dovere del credente è far crescere i propri cuccioli, per così dire. Ogni uomo e ogni donna hanno il diritto di educare i figli ai propri valori religiosi. L’influenza dello Stato nella privazione di questa formazione può portare a fenomeni come il nazismo, dove i giovani erano indottrinati secondo valori estranei a quelli dei genitori. I totalitarismi tendono a offuscare l’educazione per tirare acqua al proprio mulino.





  QUESTO SI CHE ME GUSTA MUCHO   
Oh!!!! ora si che ci siamo e che i conti  tornano!!
 

Se di “novità” si vuol parlare nel Pontificato di Papa Francesco, non è nella dottrina ma NEL METODO E NEI MODI … e a meno che non abbiamo un Papa schizofrenico come io non credo affatto, sono certi giornalisti e certo clero progressista e pure modernista ad attribuire al Papa le loro schizofrenie dottrinali……
mentre il Papa Francesco sta dimostrando PERSEVERANZA DOTTRINALE alla quale richiede semplicemente “modi nuovi e misericordiosi” per applicarla e lo ha detto ieri all’udienza di mercoledì, chiedendo a noi di pregare affinchè il sinodo RICONOSCA LA DOTTRINA DI CRISTO VERSO I CONIUGI E IL MATRIMONIO, ecco le sue parole nel ricordare che oggi è la memoria di San Giovanni Paolo II 

“Carissimi, domani celebriamo la memoria di San Giovanni Paolo II, il Papa della famiglia. Siate suoi buoni seguaci nella premura per le vostre famiglie e per tutte le famiglie, specialmente quelle che vivono nel disagio spirituale o materiale. La fedeltà all’amore professato, alle promesse fatte e agli impegni che derivano dalla responsabilità siano la vostra forza. Per l’intercessione di San Giovanni Paolo II preghiamo che il Sinodo dei Vescovi, che sta per concludersi, rinnovi in tutta la Chiesa il senso dell’innegabile valore del matrimonio indissolubile e della famiglia sana, basata sull’amore reciproco dell’uomo e della donna, e sulla grazia divina. Benedico di cuore voi, qui presenti, e tutti i vostri cari. Sia lodato Gesù Cristo!”




 


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