L'Anno Pastorale 2009/10 nella Chiesa Ambrosiana - Cercare prima il regno di Dio

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Caterina63
00mercoledì 9 settembre 2009 14:24
Tettamanzi: oggi la Chiesa
deve puntare all’essenzialeL’Arcivescovo ha presentato ai giornalisti
il nuovo anno pastorale che sarà all’insegna della spiritualità, con un invito
alla corresponsabilità tra preti e laici


http://www.chiesadimilano.it/

08.09.2009

di Luisa BOVE

Al termine della celebrazione in Duomo nella solennità della Natività di Maria l’Arcivescovo ha incontrato in curia i giornalisti per presentare il nuovo anno pastorale. Per spiegare il senso del cammino appena inaugurato il cardinal Tettamanzi si è ispira a un termine caro alla Bibbia: il 2009-10 sarà infatti un anno «sabbatico» cioè di «riposo in Dio, di ricerca della propria anima, della propria interiorità» perché «tutti ne abbiamo bisogno».

Dopo i 6 giorni della creazione Dio si è riposato, ha ricordato l’Arcivescovo, che a sua volta ha terminato 6 anni di percorsi pastorali e ora avvia il settimo nel segno di una «profonda spiritualità». Questo non vuol dire che non ci saranno iniziative, quindi non si dovrà cedere a «pigrizia, inerzia e disimpegno». Si tratta invece di cogliere le nuove necessità e compiere le scelte giuste.

Il cardinal Tettamanzi chiede che in ambito ecclesiale si punti «all’essenziale», cercando di «fare ordine» e dandosi una «gerarchia di priorità per non procedere in maniera disorganica e disorientata». La meta è chiara, come si legge nel Vangelo: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato in abbondanza». E aggiunge: «Tutto il resto è secondario».

Il cardinal Tettamanzi lancia uno slogan ai giornalisti: «Fare meno per fare meglio e fare insieme». Vorrebbe che questo valesse «per la Chiesa, ma anche per la società di oggi, per il territorio lombardo e per Milano».
Pensando per esempio ai giovani, «alla diminuzione di gruppi e associazioni» e più in generale a una «partecipazione ridotta, anche se molto più motivata» sollecita a «cercare strade nuove».

L’anno pastorale inaugurato oggi comprenderà anche il tema del sacerdozio voluto da papa Benedetto XVI.

L’Arcivescovo ci tiene a sottolineare che nella Chiesa non ci sono solo i preti, ma anche i fedeli siano essi «impegnati, malati, poveri o ricchi», perché tutti sono chiamati a far parte del popolo di Dio. «Non è un cammino clericale, affidato quindi solo ai preti», chiarisce Tettamanzi, «ma a tutti, laici compresi». L’invito rivolto a ogni categoria di credenti è quindi quello di lavorare insieme con senso di «comunione, reciprocità e corresponsabilità». Lo scopo infatti sarà quello di arrivare a un cammino «condiviso e partecipato» chiedendosi quali sono le «urgenze della Chiesa» e rispondendovi insieme.

Caterina63
00mercoledì 9 settembre 2009 14:27
UN ANNO DI “RIPOSO IN DIO”
IL NUOVO PERCORSO PASTORALE

l'Omelia del Cardinale



Carissimi
iniziamo il nuovo anno pastorale sotto lo sguardo materno di Maria Santissima, di cui celebriamo oggi solennemente la nascita, quale aurora di salvezza per l’intera famiglia umana.
Iniziamo l’anno pastorale nella fede: nella preghiera chiediamo a Maria - che proclamiamo “beata perché ha creduto” – di poterlo vivere giorno dopo giorno come un cammino di fede personale e comunitario.

1. SOLO LA FEDE

La fede vede il manifestarsi della gloria di Dio
Solo la fede può illuminare la verità delle persone e della loro storia, cogliere il significato profondo del vissuto quotidiano. Una verità e un significato che ci provengono dalla nostra relazione con Dio, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo. Sì, solo la fede, solo la fede vera può giungere ai segreti più nascosti e affascinanti del nostro cuore, di ogni cuore umano.
La fede è accoglienza attenta, commossa, trepida, stupita della presenza di Dio che entra nelle vicende degli uomini per salvarli, perché li ama, li ama come figli. Ma questa presenza di Dio non è un principio intellettuale, astratto come un’assenza; non è un oggetto, inerte come un idolo; non è l’imporsi di una legge, gravosa come un giogo che umilia la libertà.
La presenza di Dio è il manifestarsi della sua gloria, splendida come la gioia, commovente come un abbraccio, sorprendente e tremenda come una vertigine, illuminante perché è la rivelazione del significato ultimo di ogni cosa.

La fede di Maria e di Giuseppe

Solo la fede è la via che consente a Giuseppe di intendere il significato del mistero che si compie in Maria e di parteciparvi con tutta la sua libertà e il suo amore. La storia minima del dramma personale di Giuseppe nei riguardi di Maria sfugge alla cronaca del tempo, a quella storiografia che racconta solo di imprese e di personaggi illustri. I credenti però vi riconoscono il manifestarsi della gloria di Dio, accolgono la presenza dell’Emmanuele, il Dio-con-noi che reca l’annuncio e l’offerta della salvezza. Così Maria e Giuseppe sperimentano la beatitudine della fede: il Dio altissimo, il creatore del cielo e della terra, il Dio dei nostri padri ha posto la sua tenda in mezzo a noi e noi così abbiamo potuto vedere la sua gloria.
La gloria di Dio – dobbiamo confessarlo – non si rivela come uno spettacolo da ammirare, come un oggetto da contemplare. Si rivela invece come un’annunciazione, come una chiamata a entrare nella comunione con Dio fino al punto da essere a servizio del suo amore, perché si compia il suo desiderio di salvezza per il popolo. Maria, turbata dal saluto dell’angelo, Giuseppe sconcertato dall’irrompere del mistero nella sua storia minima, sono destinatari di un’annunciazione: “Non temere, chiamo proprio te ad ospitare il mistero che salva, per farne storia d’uomini, il Dio con noi si chiamerà Gesù!”.

La fede di coloro che chiedono di essere ammessi tra i candidati al diaconato e al presbiterato

E’ la via della fede quella percorsa da questi nostri fratelli che si presentano oggi alla comunità diocesana per essere accolti tra i candidati al diaconato e al presbiterato. Anche la loro può essere considerata una storia minima, simile a tante altre storie, ignorata dalle cronache contemporanee. Ma ciascuno di loro è stato visitato da un’annunciazione: in un modo singolare e per molti aspetti indescrivibile il mistero di Dio si è rivelato e li ha coinvolti nella sua luce. Hanno attraversato i momenti dell’euforia e del turbamento, hanno conosciuto i dubbi e le tentazioni, hanno vissuto in qualche momento lo spavento di non essere all’altezza e in altri l’esaltante esperienza di essere interlocutori privilegiati del Dio Altissimo. L’autenticità della loro vocazione è da ricercare nella verità della loro fede, consiste nella personale docilità alla presenza di Dio che li ha avvolti di luce: queste storie minime sono state come trasfigurate, visitate dalla gloria di Dio.
La loro storia è ancora un inizio e giungerà al compimento voluto da Dio solo se saranno perseveranti nella peregrinazione della fede, ascolteranno la voce dell’Unigenito amato dal Padre e con umiltà e fedeltà si faranno servi del mistero di Dio che ama gli uomini e li vuole salvare.
Noi, accogliendoli tra i candidati al diaconato e al presbiterato, siamo pieni di gratitudine e di ammirazione perché scopriamo ancora una volta come Dio continui a chiamare storie minime per diventare storia di salvezza.
Siamo pieni di stima per loro perché hanno risposto con gioia all’annunciazione che ha visitato i loro giorni, li accompagniamo con la preghiera perché siano perseveranti nella fede anche quando dovranno attraversare lunghi deserti. Una certezza dovrete custodire per sempre, cari seminaristi: Dio non vi abbandona, non vi abbandonerà mai.

La fede della Chiesa Ambrosiana

Solo la fede sa intendere la verità di questo momento che noi insieme come Chiesa Ambrosiana stiamo vivendo. Solo la fede infatti ci consente di vivere l’inizio del nuovo anno pastorale non come il ritorno all’abituale preoccupazione del fare, non come il ripetersi di un ciclo di feste e di fatiche, di impegni e di iniziative che consumano le nostre energie e che possono appagare o mortificare le nostre aspettative.
Questo tempo che ci è dato da vivere ospita la presenza di Dio che ci accompagna sempre, che è sempre sorprendente e commovente, illumina con la sua luce la nostra verità personale e la verità delle nostre comunità. È una luce amica, tanto amica che ci chiama a conversione con una insistenza che talora ci fa soffrire perché sentiamo il peso dei nostri peccati, e insieme ci fa sperare, perché alimenta una specie di struggente desiderio di conformazione: “santificatevi dunque e siate santi, perché io sono santo” (Lv 11,44). È una presenza fedele, tanto fedele che accompagna ogni giorno, ogni scelta, abita in ogni dramma e visita ogni tristezza con la tenace attrattiva del bene, mutando ogni deserto in un percorso verso la terra promessa. È una presenza affascinante, una trasfigurazione che rivela la gloria di Dio nella storia di Gesù e, per grazia, in noi e nella nostra Chiesa ci ricolma tutti della pienezza di Dio (Ef 3,19).
Mentre si avvia il nuovo anno pastorale, solo la fede ci consente di contemplare la verità della nostra Chiesa: ecco, è la fidanzata dell’Agnello, pronta come una sposa adorna per il suo sposo (Ap 21,2), la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello (Ap 21,23)!
Solo la fede ci consente quell’esperienza reale della presenza di Dio che ci libera dalla tentazione di fermarci alla superficie della vicenda di cui siamo protagonisti e talora ci intristisce imprigionandoci nei particolari di una cronaca spicciola, fatta di meschinità e di cattiverie, di peccati e di delusioni, di risentimenti e di malumori: lo sguardo credente non ignora nessuno dei difetti delle nostre comunità, non sfugge a nessuna delle fatiche, ma in ogni cosa riconosce l’occasione di un’annunciazione e la responsabilità di una vocazione.
Scrivendo a tutti i fedeli della Diocesi la lettera Pietre vive ho voluto offrire un contributo e uno strumento per vivere l’affascinante esperienza che ci condurrà come Chiesa ambrosiana a sperimentare la presenza di Dio anche in questo nuovo anno pastorale e camminare così tutti insieme verso la meta della santità. Un’esperienza e un cammino che non compiamo da soli: come ci ricorda l’apostolo Pietro (cfr. 1 Pietro 2,4-10), è Cristo, la “pietra d’angolo, scelta e preziosa”, che continua ad edificare la sua Chiesa come “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa”. “Avviciniamoci a lui, pietra viva, per diventare noi pure “edificio spirituale, sacerdozio santo”.
Cristo Signore ci renda, ogni giorno, in tutti i giorni di questo nuovo anno, “pietre vive” per la gloria di Dio, per l’edificazione della Chiesa, per la gioia del nostro cuore!

2. L’ICONA DELLA CHIESA DI ANTIOCHIA,
“REGOLA PASTORALE” DELLA CHIESA AMBROSIANA


L’anno pastorale che si avvia può essere fecondo di bene se la presenza di Dio che illumina la Chiesa con la sua gloria suscita in noi la fede, la certezza che senza il Signore non possiamo fare nulla e che – invece - tutto possiamo in Colui che ci dà forza.
Le Assemblee sinodali del clero che abbiamo vissuto nell’anno trascorso, le visite pastorali nella gran parte dei decanati della Diocesi, l’avvio di “cantieri” per tenere viva la tensione missionaria della nostra Chiesa sono stati per me l’occasione per contemplare la bellezza delle nostre comunità, per ammirare la dedizione dei preti e degli operatori pastorali, per raccogliere quelle indicazioni preziose allo scopo di introdurre correttivi e incoraggiamenti nelle nostre scelte pastorali.
Per la verità, ho raccolto anche segni di stanchezza, espressioni di scoraggiamento, di scetticismo, di dissenso, ho ascoltato anche analisi che descrivono l’inadeguatezza delle risorse di cui disponiamo rispetto alle esigenze della missione e alle sfide che si presentano.
Che cosa faremo? Dove troveremo riposo? Quale rimedio possiamo proporre?
Solo la fede può suggerirci la via da percorrere: noi troveremo riposo in Dio! Noi porteremo al Signore la nostra povertà, il nostro poco pane così drammaticamente insufficiente per la fame di tanta gente e obbediremo ancora alla sua parola che ci manda a servire la moltitudine.
Sono convinto che i cammini avviati negli anni scorsi, i cantieri aperti, le linee pastorali indicate richiedano di essere continuati – pur con le dovute precisazioni - con intelligente determinazione, con un supplemento di fede e di gioia, con un coinvolgimento sempre più ampio e condiviso delle comunità cristiane. Non sono immaginabili parentesi o sospensioni se vogliamo essere fedeli al mandato missionario che il Signore ha affidato alla sua Chiesa.
In quello che costituisce il quarto capitolo del testo “la Chiesa di Antiochia” indico come i frutti dell’Assemblea sinodale del clero dovranno essere condivisi e moltiplicati nell’insieme dalla comunità diocesana.
Sentiamo di essere chiamati a quell’atteggiamento di fede che riconosce la presenza dello Spirito di Dio e si avvede che la nostra storia minima, e talora un po’ deprimente, è trasfigurata dalla gloria del Signore che ne fa storia di salvezza. Se di una sosta abbiamo bisogno, deve essere la sosta del Tabor.

3. L’ANNO SACERDOTALE

In questa luce noi vivremo l’Anno Sacerdotale indetto dal Papa Benedetto XVI. Forse può sembrare poco concreta e operativa, solo destinata all’interiorità spirituale la scelta di caratterizzare un anno pastorale come anno sacerdotale.
Mi sono chiesto più volte che cosa abbia indotto il Santo Padre Benedetto XVI a indire l’Anno Sacerdotale nella ricorrenza del 150° anniversario del dies natalis del Santo Curato d’Ars. Nella lettera di indizione il Papa esplicita così le sue preoccupazioni.
“Il pensiero va alle innumerevoli situazioni di sofferenza in cui molti sacerdoti sono coinvolti, sia perché partecipi dell’esperienza umana del dolore nella molteplicità del suo manifestarsi, sia perché incompresi dagli stessi destinatari del loro ministero: come non ricordare i tanti sacerdoti offesi nella loro dignità, impediti nella loro missione, a volte anche perseguitati fino alla suprema testimonianza del sangue?
Ci sono, purtroppo, anche situazioni, mai abbastanza deplorate, in cui è la Chiesa stessa a soffrire per l’infedeltà di alcuni suoi ministri. È il mondo a trarne allora motivo di scandalo e di rifiuto. Ciò che massimamente può giovare in tali casi alla Chiesa non è tanto la puntigliosa rilevazione delle debolezze dei suoi ministri, quanto una rinnovata e lieta coscienza della grandezza del dono di Dio, concretizzato in splendide figure di generosi Pastori, di Religiosi ardenti di amore per Dio e per le anime, di Direttori spirituali illuminati e pazienti”.

L’Anno Sacerdotale nelle comunità cristiane

L’Anno Sacerdotale è proposto a tutta la Chiesa perché il sacerdozio “ministeriale” è un dono inestimabile e necessario e talora gli stessi destinatari del ministero sacerdotale non lo comprendono, non lo apprezzano adeguatamente, non lo favoriscono. Forse l’abitudine alla presenza dei preti nelle comunità, l’inclinazione a delegare loro gran parte dell’attività pastorale, una certa ingenua persuasione che di preti ce ne saranno sempre, hanno indotto ad atteggiamenti che devono essere corretti. È diffuso infatti un atteggiamento di pretesa nei confronti dei preti; sono frequenti quel pettegolezzo e quella mormorazione che si soffermano su difetti e inadempienze.
L’Anno Sacerdotale deve essere per tutti i fedeli un’occasione per rinnovare uno sguardo di fede sulla presenza dei preti, per intuire quella loro misteriosa relazione personale con il Signore che si chiama “vocazione”, per ringraziare Dio dei preti che ci sono, per pregare per la loro perseveranza e santificazione, per incrementare quello stile di comunione-collaborazione- corresponsabilità che fa della cura pastorale una missione condivisa, e non una delega o una pretesa.
Nella nostra tradizione ambrosiana la preghiera per i preti e per le vocazioni è una pratica costante: molte persone, tanti istituti secolari e congregazioni religiose fanno di questa preghiera una pratica quotidiana e un carisma specifico. Durante questo anno la preghiera per i preti e le vocazioni deve essere presente con costanza in tutte le comunità cristiane e proposta e condivisa da più fedeli.

L’Anno Sacerdotale e la cura per le vocazioni

L’apprezzamento per il ministero sacerdotale comporta come naturale conseguenza la cura e la promozione delle vocazioni al ministero.
La vocazione è quel modo di intendere la vita che la salva dalla banalità, da quella miopia che riduce la vita e le scelte che la qualificano a una trama di coincidenze casuali, a una serie di esperienze. La vita vissuta come vocazione impedisce alla libertà di abbandonarsi all’arbitrio e alla solitudine, di essere derubata della sua speranza affidabile.
Intendere la vita come carriera, come accumulo di esperienze, come ossessione di autorealizzazione, come un destino ineluttabile conduce alla disperazione e al nulla.
Perché non siamo capaci e determinati nel presentare il vangelo della vocazione?
Lo sguardo della fede riconosce la presenza del Signore che dà ad ogni vita la dignità vertiginosa di una vocazione: il Signore è interlocutore reale delle nostre scelte, infonde in noi il suo Spirito di sapienza e di fortezza affinchè possiamo portare a compimento la missione, ci rende pietre vive del corpo mistico che è la Chiesa perché la nostra vita sia inserita nella comunione dei santi e tutti troviamo nell’esempio, nel consiglio, nell’intercessione dei fratelli l’aiuto necessario per il discernimento cristiano. La presenza del Signore è reale: ognuno di noi è destinatario di un’annunciazione. E anch’io, come Giuseppe, sarò salvato dallo smarrimento se ascolterò la parola che dice: “Non temere!”
Quest’anno sacerdotale deve essere l’occasione per un rilancio di una specifica attenzione vocazionale che è, in realtà, il contenuto sostanziale della pastorale giovanile. La cura per le vocazioni al ministero sacerdotale non è certo guidata da una sorta di ossessione per il reclutamento del personale ecclesiastico. È invece il frutto del coraggio e di uno sguardo penetrante che gli adulti, i genitori, gli educatori, i preti per primi, devono avere per riconoscere i segni di una vocazione ministeriale: un coraggio e uno sguardo che sono possibili solo quando la premura educativa, la dedizione formativa vengono lucidamente intese come una povera mediazione umana, ma normalmente necessaria a riconoscere la presenza di Dio e ad ascoltare la sua parola.
La presenza oggi qui in Duomo dei candidati al diaconato e al presbiterato, delle loro famiglie, dei fedeli delle loro comunità, dei loro amici, la loro gioia, il loro “eccomi!” consapevole e lieto sono i segni che lo sguardo credente riconosce con commozione: davvero la gloria di Dio riempie la terra e trasfigura i giorni in occasioni di grazia e offre alla libertà di compiersi in dedizione e servizio d’amore.

L’Anno Sacerdotale e il cammino del presbiterio

L’Anno Sacerdotale è una proposta che richiama e coinvolge anzitutto i preti. Nelle parole del Papa si riconosce la preoccupazione affinchè i sacerdoti vivano secondo l’altezza della propria vocazione: “Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te, per l’imposizione delle mie mani” (2 Tm 1,6). Le parole del Papa, le indicazioni che ho offerto nella lettera per l’inizio dell’anno sacerdotale, la lettera Pietre vive che invio a tutti i fedeli della Chiesa Ambrosiana, le proposte della formazione permanente (in particolare i corsi di esercizi spirituali), offrono occasioni per quella sosta sul Tabor tanto necessaria per perseverare nella sequela di Gesù fino al compimento del suo mistero pasquale.
Ci sono nella vita di ciascuno di noi dei momenti in cui viene spontaneo domandarsi: “Ma io che uomo sto diventando? Che prete sto diventando?”. Sono i momenti che possono segnare una svolta, una conversione. Mi sono fatto l’idea che le buone intenzioni giovanili, i buoni propositi, la continuazione nel ministero si trovano spesso a un bivio.
O la vita del prete si immerge nel mistero di Dio in una sorta di percorso mistico che unifica tutta la persona nella relazione con il Signore e ne fa la dimora dello Spirito, di tutta la pienezza di Dio, oppure il ministero si disperde in una specie di politeismo pratico, si riduce ad una devozione tollerante e innocua, in sostanza insignificante. La vecchiaia del sapientissimo Salomone trascinato dalle sue donne al culto di molti dei rimane un inquietante rischio anche per chi nella giovinezza ha provato l’emozione e l’entusiasmo di constatare che davvero il Dio di Gesù Cristo abita sulla terra.
Invito quindi i sacerdoti a rileggere i diversi interventi del Papa, in particolare la “Lettera di indizione dell'Anno Sacerdotale in occasione del 150° anniversario del “dies natalis” di Giovanni Maria Vianney (16 giugno 2009)” e le allocuzioni tenute sull’argomento alle udienze del mercoledì.

L’Anno Sacerdotale e il sacerdozio comune dei battezzati

Chiamiamo il sacerdozio dei preti “ministeriale” per dire che è a servizio dell’edificazione dei fedeli e del compimento della vocazione che ciascuno riceve nel Battesimo. Pertanto l’Anno Sacerdotale richiama i preti alla responsabilità di offrire un servizio secondo il cuore di Cristo, praticando le vie di sempre per invitare a conversione, per incoraggiare il cammino di santità di tutto il popolo cristiano.
Questo richiamo però è rivolto a tutti i fedeli affinchè riconoscano la dignità della propria vocazione ad essere figli di Dio e si dispongano a offrire il sacrificio gradito a Dio, che è la vita secondo lo Spirito. “Dio è spirito e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità” (Gv 4,24). Il culto gradito a Dio, l’adorazione in spirito e verità si celebra nella pratica quotidiana della carità, nella testimonianza della speranza: la presenza dei cristiani negli ambienti della vita, del lavoro, della cultura, della sofferenza, della responsabilità civile e politica è segnata dal compito di fare risplendere la luce davanti agli uomini perché rendano gloria Padre che è nei cieli (cfr Mt 5,16). Non lasciate andare via nessuno senza speranza!
Alcuni battezzati poi potranno e dovranno dare il loro contributo anche per la vita della comunità cristiana, collaborando volentieri e in spirito di comunione come operatori pastorali. La vita della Chiesa, le sue iniziative, le nuove prospettive che si aprono, tutte le forme che la missione deve assumere richiedono una collaborazione ispirata da vero zelo, guidata da un lucido discernimento che sappia unire generosità e sobrietà pastorale.
E’ opportuno riprendere e meditare, da parte di tutti, l’omelia della Messa crismale del Giovedì santo 2008: Il sacerdozio comune dei fedeli. Riscopriamo un dono nascosto nel tesoro della Chiesa.

4. LA MISSIONE CONTINUA, SENZA BORSA NE’ BISACCIA

Nella nostra Chiesa diocesana, straordinariamente ricca di persone impegnate, di iniziative, di risorse, la parola di Gesù che dà inizio alla missione dei discepoli è un interrogativo che continua a provocare. Gesù infatti dice: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai. Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe. Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa né sacca, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada…” (Lc 10, 2-4).
E dopo la risurrezione egli rinnova l’invio rivolgendosi al gruppo degli undici, i pochi rimasti di tanti discepoli, convocati sul monte di Galilea, ancora inquieti e dubbiosi: “Gesù si avvicinò e disse loro: ‘A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli…’” (Mt 28,18-19).
È evidente la sproporzione tra la missione affidata e le risorse disponibili. Questa sproporzione diviene sempre più evidente anche per noi, in questi anni, nel contesto di una società secolarizzata, di una riduzione piuttosto rilevante del numero dei preti, di una fatica diffusa a sostituire - nei diversi ambiti pastorali - i collaboratori di sempre con presenze nuove.
Che cosa faremo? Rinunceremo alla missione?

Lo sguardo di fede può riconoscere anche nella fatica e nelle incertezze che ci inquietano un’occasione per operare scelte di sobrietà pastorale, come siamo soliti dire in diverse occasioni. Sento la responsabilità di proporre alcuni concreti criteri di discernimento per conseguire quel “fare meno, fare meglio, fare insieme” che potrebbe essere lo slogan della sobrietà pastorale.
Non si può compiere un discernimento se non sotto la guida dello Spirito: pertanto solo un cammino spirituale paziente e illuminato, come quello che porterà ogni decanato alla stesura della “carta di missione”, potrà indicare le priorità irrinunciabili. Infatti, deve essere la missione con le sue priorità a offrire i criteri per quello che si deve fare, e non certo l’inerzia e l’abitudine talvolta scambiate per “la tradizione”.
Nel quadro della missione, a livello di singoli decanati, deve essere possibile camminare insieme in modo più sciolto e leggero.
Ad esempio la formazione degli operatori pastorali (catechisti, operatori Caritas, ministri della santa Comunione, ecc.) può trovare nel decanato quelle proposte che esonerano dal replicare le iniziative formative in ogni parrocchia; la figura di un “economo” può sollevare i preti dall’investire troppo tempo nella gestione delle strutture e nella vigilanza sui lavori in corso; la cura per la qualità celebrativa nella comunità può suggerire – laddove fossero in abbondanza - un’opportuna riduzione del numero delle sante Messe e una diversificazione di momenti di preghiera affidati a diaconi, religiose, laici; la disponibilità o meno di collaboratori capaci e pronti alla corresponsabilità può essere il criterio per mantenere iniziative abitualmente guidate e animate dai preti (pellegrinaggi, feste patronali, ecc); la constatazione dei ritmi di lavoro abituali per la gente può suggerire di liberare le serate da incontri e riunioni che magari si possono svolgere in giorno di domenica.
La fede nella presenza del Signore, la certezza che il Signore, elevato da terra, attira tutti a sé (cfr. Gv 12,32), l’umile sapienza che riconosce i mezzi poveri che Dio preferisce possono forse convincerci a privilegiare con fiducia quel seminare che non presume di misurare il raccolto e possono suggerire di dedicarci alla cura dell’essenziale: la predicazione del Vangelo preparata con docile attenzione allo Spirito e studiosa pazienza; la disponibilità per ascoltare, consigliare, assolvere chi si accosta al Sacramento della Riconciliazione; l’accoglienza attenta delle persone e delle famiglie che bussano alle porte della comunità cristiana.
Non dobbiamo mai perdere di vista l’essenziale, secondo la forte parola di Gesù: “cercate il Regno di Dio e la sua giustizia; il resto vi sarà dato in aggiunta” (Mt 6,33); e dobbiamo aver cura di non essere un ostacolo a chi cerca il Signore, a chi ha sete dell’acqua della vita. E se una preferenza dobbiamo avere deve essere per i preferiti da Gesù, i più poveri, i più provati dalla vita, i più piccoli.

5. E BEATA COLEI CHE HA CREDUTO

Affidiamo l’anno pastorale che inizia alla protezione di Maria: ci sentiamo accompagnati dalla Vergine Madre, patrona del nostro Duomo, così venerata nella nostra Chiesa.
Ci insegni Maria a percorrere la via della modestia e della fede. Noi, in verità, non possiamo salvare nessuno. Per quanto intensi siano i rapporti che stabiliamo, per quanto frenetici siano i nostri giorni nel tentare di portare soccorso agli altri, noi non possiamo salvare nessuno. Ma se riuscissimo a interpretare il vero bisogno di chi ci sta vicino, se riuscissimo a provare compassione per chi soffre con l’animo di Maria, se riuscissimo a dire, come lei: “Non hanno vino” e “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2,3.5.) forse potremmo davvero contribuire alla gioia dei nostri fratelli.
Ci insegni Maria a riconoscere la presenza e l’opera del Signore nella nostra vita, nella nostra Chiesa, così che possiamo dimorare nello stupore e nell’esultanza, e possiamo dire con verità ogni giorno, nella preghiera della sera: L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore… grandi cosa ha fatto per me l’Onnipotente (Lc 1,46-47.49).
Affidiamo a Maria i nuovi candidati al diaconato e al presbiterato, e tutti i preti e tutti i nostri giovani ai quali il Signore manda l’angelo dell’annunciazione: conoscano il turbamento e l’esultanza della loro vocazione e siano sostenuti dalla materna intercessione di Maria nello sperimentare la beatitudine della fede.
Affidiamo a Maria il nostro cammino pastorale di quest’anno: ci insegni a prenderci il tempo per meditare ogni parola del Signore perché da questa intimità vengano le parole essenziali, la generosità della testimonianza e la sobrietà dell’azione pastorale.
Ci insegni Maria a prenderci il tempo di essere contenti perché siamo poveri peccatori, salvati dall’amore infinito di Dio che ci chiama ad essere una cosa sola in lui, Padre, Figlio e Spirito Santo.

Amen.

+ Dionigi card. Tettamanzi Arcivescovo di Milano


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