LA CHIESA nell'insegnamento di sant'Agostino

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Caterina63
00martedì 30 marzo 2010 15:45
La chiesa

53. Tutto ciò che vedi ora nella chiesa di Dio, e ciò che in tutto il mondo si fa nel nome di Cristo, è stato predetto molti secoli fa, e noi vediamo realizza¬to ciò che leggiamo. Questo rafforza la nostra fede. Avvenne un tempo il diluvio che coprì tutta la terra e spazzò via tutti i peccatori: si salvarono tuttavia quelli che si rifugiarono nell'arca che diven¬ne simbolo della chiesa futura, la quale ora naviga tra i flutti e non affonda, perché è sostenuta dal legno della croce di Cristo.

A un solo uomo, Abramo, fedele servo di Dio, fu predetto che da lui sarebbe nato un popolo che in mezzo a tanti popoli adoratori degli idoli, avrebbe adorato il vero Dio. E tutto avvenne come era stato preannunciato.

Era stato ancora predetto che da quel popolo, cioè dal seme di Abramo stesso sarebbe nato secon¬do la carne il Cristo, Signore e Dio di tutti i santi, perché tutti coloro che l'avessero imitato, potessero diventare figli di Abramo. E così avvenne: dalla vergine Maria, discendente di Abramo, è nato il Cristo.
I profeti predissero che sarebbe stato crocifisso da quello stesso popolo da cui proveniva: e così avvenne.

Fu predetto che sarebbe risorto. Ebbene risorse,e, secondo le stesse profezie, salì al cielo e mandò lo Spirito Santo ai discepoli.
Non solo i profeti, ma lo stesso Gesù Cristo predisse che la sua Chiesa si sarebbe diffusa per tutto il mondo e che Pietro avrebbe dovuto confermare i “suoi” nella fede (cfr.Lc.22,33); questa Chiesa piantata in qualche modo dalle testimonianze e dalle sofferenze dei credenti; e ciò fu predetto in un periodo in cui il suo Nome non era ancora conosciuto o dove, se conosciuto, veniva deriso.
Anche per opera di prodigi, anche questo si è avverato; anche che i re un tempo persecutori dei cristiani, ora si sottomettono al nome di Cristo.

Infine fu anche previsto che nella Chiesa sarebbero scoppiate divisioni ed eresie a causa di cristiani disobbedienti che col pretesto di parlare di Lui, avrebbero invece cercato la gloria proprio e l’amor proprio: anche questo avvenne e avverrà fino al ritorno di Cristo perché sulla Chiesa vige una profezia che non tramonterà: che le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.
E sulle cose future?

Per gli onesti verranno giorni di tribolazione, Gesù invita alla perseveranza della fede e la Chiesa proteggerà questi figli.
Tu allora credi a queste verità, ma stà attento alle tentazioni, perché il demonio come lupo vorace, cerca persone per trascinarle nel vortice del suo inferno, alla rovina.

Tu sappi che il nemico può tentare di ingannarti per mezzo di persone che fuori la Chiesa e questi sono i pagani, gli idolatri, gli eretici, ma attento che anche nella Chiesa vive chi può corromperti e questi sono quei cristiani che vivono male la loro fede, sono disordinati nelle pratiche religiose, praticano l’adulterio e sono morbosamente dediti a curiosità vane ed illecite, come gli spettacoli immorali e la superstizione, o che si lasciano prendere dalle mode del mondo, sono orgogliosi dei loro pensieri e da altri simili comportamenti scorretti.

Tu non correre dietro di questi, ma procurati amici umili, che sanno obbedire, che si gloriano della legge di Dio, che non praticano azioni illecite, li troverai facilmente se anche tu ti impegnerai ad imitarli.

Sappi che non si ama il Signore come si amano le cose del mondo e come le si vedono con gli occhi; si ama come la sapienza, la santità, la verità, la giustizia, la carità e cose simili, l’obbedienza, la mansuetudine, l’umiltà. Unisciti a coloro che praticano queste virtù così, attraverso Cristo, presente in queste azioni sante, che si è fatto per noi mediatore, ti riconcilierai sempre con Dio.

Non pensare invece ai perversi, per il semplice fatto che sono entrati tra le pareti della Chiesa, perché non credere che essi possano di soppiatto entrare nel Regno dei cieli. Perché verrà il giorno in cui saranno definitivamente separati, augurata che possano cambiar tempestivamente la loro ipocrisia con pentimento, ma tu non seguirli, prega per loro, ma non ti curar di loro.

In conclusione Gesù ci dice: imita i buoni, sopporta i cattivi, ma ama tutti; perché tu stesso non sai cosa diventerà domani colui che ora è cattivo, ma tu non amare le loro ingiustizie, non sostenere i loro errori, non ingannarli con false compiacenze perché dobbiamo amare il prossimo come si ama Dio e tu non ameresti mai Dio nella disobbedienza e nel vizio e nelle ingiustizie e negli atti illeciti.
Dio è Colui che ci fa giusti, quanto più pratichiamo la sua giustizia, gli altri sono coloro per i quali noi siamo giustificati per la condotta, la fede e le opere buone.

Il diavolo non solo ci lusinga con i piaceri, ma ci scoraggia anche con la paura, i ricatti, gli insulti, la sofferenza che l’obbedienza a Dio comporta, fino a farci tremare davanti alla morte. Ma tu sai che Cristo ha patito per te, tutto Egli ha passato prima di te, perché tu lo potessi seguire fino alla morte di croce.
Tutto ciò che affronterai in nome di Cristo, a vantaggio della sua Chiesa, riceveranno maggior premio mentre per colui che impavido accondiscende alle opere del diavolo, con lui sarà condannato.

Le opere di misericordia, insieme all’amore di Dio e all’umiltà, praticate nell’obbedienza e nell’osservanza alla chiesa, ci ottengano la grazia che i suoi servi non siano tentati in misura superiore alle loro forze (cfr. 1Cor.10-13), perciò sii perseverante e con Cristo sarai vincitore insieme alla glorificazione della Chiesa che in vita avrai servito e amato.


Caterina63
00mercoledì 14 luglio 2010 09:09
 

Dov'è la Chiesa? Ecco la questione.

2. 2. La questione che c'è tra noi è questa:
dov'è la Chiesa?.
 
Presso di noi o presso di loro? Certo la Chiesa è una sola: ed è quella che i nostri antenati chiamarono " cattolica ", per dimostrare, perfino nel nome, che essa è dappertutto.
In greco infatti " secondo il tutto " si dice: kaq_ o}lon. Questa Chiesa poi è il corpo di Cristo, come dice l'Apostolo: In favore del suo corpo che è la Chiesa
1. È quindi evidente che chi non è nelle membra di Cristo, non può conseguire la salvezza cristiana. Le membra di Cristo, poi, sono congiunte mediante la carità dell'unità e, tramite essa, sono unite anche al loro capo, Cristo Gesù. Di conseguenza, tutto ciò che si predica di Cristo, riguarda il capo e il corpo. Il capo è Gesù Cristo, l'Unigenito Figlio del Dio vivente, egli stesso Salvatore del suo corpo 2; colui che è morto per i nostri delitti ed è risuscitato per la nostra giustificazione 3. Il suo corpo è la Chiesa, di cui è detto: Al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile 4. Ora, tra noi e i Donatisti la questione verte su dove sia questo corpo, cioè su dove sia la Chiesa. Che fare, dunque? La cercheremo nelle nostre parole o in quelle del suo capo, il Signore nostro Gesù Cristo? Penso che dobbiamo cercarla piuttosto nelle sue parole, perché egli è la Verità 5 e conosce molto bene il proprio corpo. Il Signore infatti conosce quelli che sono suoi 6.

Non dobbiamo cercarla nelle nostre reciproche accuse.

2. 3. Quali siano, poi, le nostre parole nelle quali non dobbiamo cercarla, prestate attenzione e vi accorgerete anche qui della differenza che c'è tra le nostre parole e le loro; eppure noi non desideriamo che si cerchi la Chiesa nelle parole nostre. Tutte le accuse che noi ci scambiamo reciprocamente sulla consegna dei Libri divini, sulla turificazione e sulle persecuzioni, sono tutte parole nostre. E su tali questioni noi seguiamo questo criterio: o ritenere vere entrambe le accuse, le nostre e le loro, o ritenerle entrambe false; o ritenere vere le nostre e false le loro o, infine, false le nostre e vere le loro.Ma in ogni caso noi dimostriamo che non esiste nessun crimine del mondo cristiano, con cui noi siamo in comunione.

Se poi sono vere e le accuse che noi rivolgiamo a loro e quelle che essi rivolgono a noi, facciamo quanto dice l'Apostolo: Perdonandoci a vicenda come Dio ha perdonato a noi
7, di modo che i malvagi, che forse sono stati e sono tra noi, o che sono stati e sono tra voi, non ostacolino la nostra concordia e il vincolo della pace, sempre che si siano corretti dell'unico loro delitto: l'essersi separati senza motivo dall'unità del mondo, pur avendo nel loro seno questi tali. Se invece si tratta di false accuse, sia quelle che noi rivolgiamo a loro, sia quelle che loro rivolgono a noi, circa la consegna dei Libri e la persecuzione degli innocenti, non vedo altro motivo di contesa che la conversione di coloro che si sono separati senza motivo. Che se poi noi diciamo il vero, perché gli Atti che produciamo li confermiamo sia con le lettere dell'imperatore, al quale essi stessi prima hanno scritto e poi si sono appellati, sia con la comunione del mondo, e se, invece, si convincono di dire cose false, proprio perché, a quei tempi, quando si trattava lo stesso problema, essi non sono stati assolutamente capaci di vincere la causa, il furore della loro sacrilega ostinazione e la persecuzione di persone innocenti si rivelano più gravi che se essi fossero colpevoli del solo crimine dello scisma. In realtà, mentre quei crimini non potrebbero attribuirli a tutti, ma solo ad alcuni di loro, come essi vogliono, il crimine dello scisma li coinvolge tutti.

*******************

La Chiesa è universale.

3. 6. Qualcuno forse mi interrogherà per dirmi: " Ma perché vuoi accantonare queste accuse, visto che la tua comunione, anche di fronte ad esse, resta invincibile? ". Perché non voglio fondare su argomenti umani, ma su oracoli divini, la santa Chiesa. Se infatti le sacre Scritture hanno circoscritto la Chiesa alla sola Africa, ai pochi Cutzupitani o Montensi di Roma e alla casa o al patrimonio di una donna spagnola, qualunque altro argomento si possa desumere da altri scritti, la vera Chiesa l'hanno solo i Donatisti. Se poi la santa Scrittura la riduce a pochi Mauri della provincia Cesariense, bisogna andare dai Rogatisti. Se la riduce a pochi Tripolitani, Bizaceni e provinciali, sono i Massimianisti ad essere approdati alla Chiesa. Se ai soli orientali, allora bisogna cercarla tra gli Ariani, gli Eunomiani e i Macedoniani ed altri che sono laggiù.

Ma chi potrebbe elencare tutte e singole le eresie che sono in ciascuna nazione? Se poi i testi divini e certissimi delle Scritture canoniche segnalano la presenza della Chiesa di Cristo in tutte le nazioni, quali che siano le testimonianze e dovunque le abbiano attinte quelli che dicono: Ecco, qui c'è il Cristo, eccolo, è là, ascoltiamo piuttosto, se siamo suo gregge, la voce del nostro pastore che dice: Non gli credete
8. La verità è che quelle singole chiese non si trovano nelle numerose nazioni dove c'è questa Chiesa; mentre questa, che è dappertutto, si trova anche dove sono quelle. Cerchiamola dunque nelle Scritture canoniche.

Cercare la Chiesa nella Scrittura.

4. 7. Il Cristo totale è capo e corpo. Il capo è il Figlio unigenito di Dio, il suo corpo è la Chiesa: l'uno Sposo e l'altra Sposa; due in una sola carne 9. Chi è in disaccordo con le sante Scritture circa il Capo, se anche si trova in tutte le zone in cui la Chiesa è segnalata, non è nella Chiesa. E inoltre, chi è in armonia con le sante Scritture sulcapo, ma non è in comunione con l'unità della Chiesa, non è nella Chiesa, poiché circa il corpo di Cristo, che è la Chiesa, discorda con la testimonianza che ne ha dato Cristo stesso.

Per esempio: quelli che non credono che Cristo è venuto nella carne dalla Vergine Maria, dalla stirpe di Davide, come afferma con grande chiarezza la Scrittura di Dio; oppure che non è risorto con quello stesso corpo, con cui era stato crocifisso e sepolto, sebbene si trovino in tutte le nazioni dov'è la Chiesa, sicuramente non sono nella Chiesa, perché non sono uniti al Capo della Chiesa, che è Cristo; e sbagliano non su qualche aspetto oscuro delle divine Scritture, ma si oppongono ai suoi testi più noti e chiari. Così, quanti credono che Gesù Cristo è venuto nella carne, come ho detto, e che in quella stessa carne, in cui è nato e ha sofferto, è risuscitato, e che egli è il Figlio di Dio, Dio presso Dio, una cosa sola con il Padre, Verbo immutabile del Padre, per mezzo del quale tutto è stato fatto
10, ma sono in disaccordo con il suo corpo che è la Chiesa, al punto da non essere in comunione con questa Chiesa sparsa dappertutto, bensì con qualche sua porzione separata, è evidente che non sono nella Chiesa cattolica.

Perciò, visto che la nostra controversia con i Donatisti non verte sul capo ma sul corpo, cioè, non su Gesù Cristo Salvatore, ma sulla sua Chiesa, sia proprio il capo, sul quale siamo d'accordo, a mostrarci il suo corpo, sul quale siamo in disaccordo, affinché siano le sue stesse parole a far cessare, ormai, il disaccordo. Egli poi è il Figlio Unigenito e il Verbo di Dio, e quindi neppure i santi Profeti avrebbero potuto annunciare la verità, se la Verità stessa, che è il Verbo di Dio, non avesse rivelato loro le verità da dire, e ordinato di dirle. Ecco perché, all'inizio, la parola di Dio risuonò per bocca dei Profeti, poi per se stessa, quando il Verbo si fece carne e abitò tra noi
11, e infine, per mezzo degli Apostoli, che egli inviò a predicarlo 12, affinché fosse la salvezza fino all'estremità della terra. È in tutti questi, dunque, che va cercata la Chiesa.

Scegliere testi chiari ed evidenti.

5. 8. Ma poiché molte espressioni, dirette contro alcuni e per scopi diversi, spesso i maldicenti le rivolgono a loro piacimento contro altre persone e per altri scopi; e molte altre, espresse in linguaggio figurato e oscuro per esercitare le intelligenze, per la loro forma enigmatica o per l'ambiguità del doppio senso, talvolta sembrano sintonizzare e armonizzarsi con una falsa interpretazione, io premetto e propongo anche di scegliere testi chiari ed evidenti. Che se nelle sante Scritture questi non si trovassero, non vi sarebbe nessun'altra maniera per aprire quelli ermetici e per chiarire quelli oscuri.

Per esempio, vedete come sia facile, a noi contro di loro e a loro contro di noi, ripetere quanto il Signore disse ai farisei: Siete simili ai sepolcri imbiancati, che dal di fuori appaiono belli agli uomini, dentro invece sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così voi: di fuori apparite giusti agli uomini, dentro invece siete pieni di ipocrisia e di iniquità
13. Ora, o che noi muoviamo contro di loro queste accuse o che essi le fanno a noi, se prima non si dimostra, con prove molto evidenti, chi sono questi che, essendo ingiusti, si fingono giusti, quale persona, dotata di un po' di buon senso, potrà ignorare che si è spinti a parlare dalla leggerezza che offende più che dalla verità che convince? Era ben altro lo spirito con cui il Signore diceva queste cose contro i farisei: egli parlava da conoscitore del cuore e da testimone e giudice di tutti i segreti degli uomini 14.

Noi, invece, dobbiamo prima trovare e dimostrare le nostre accuse, per non essere accusati noi stessi, piuttosto, del gravissimo crimine di folle temerarietà. Certo, se essi per primi ci dimostrano che gli ipocriti siamo noi, noi non dobbiamo assolutamente rifiutarci di essere rimproverati e colpiti da queste parole delle sante Scritture; analogamente, se noi dimostriamo che lo sono loro, avremo eguale diritto di ferire, con questi rimproveri del Signore, quanti sono stati confutati e convinti.

Non scegliere testi oscuri e simbolici.

5. 9. Così, dobbiamo parimenti accantonare, per il momento, anche i testi oscuri e avvolti in veli di metafore: essi si prestano ad interpretazioni valide per noi e per loro. È certamente compito delle menti più acute discernerne e valutarne l'interpretazione più probabile, ma noi non vogliamo impegnare in dispute sottili la discusssione di un affare che interessa la gente. Noi siamo sicuri che nell'arca di Noè - ammessa la veridicità del fatto in cui si narra che, nella distruzione dei peccatori, la famiglia del giusto Noè è scampata al diluvio - è stata simboleggiata anche la Chiesa.

E forse questa potrebbe sembrare una ingegnosa interpretazione dell'uomo, se non ne parlasse, in una sua lettera, l'apostolo Pietro
15. Però, ed è ciò che Pietro qui non ha detto, se uno di noi sostenesse che la presenza di tutte le specie di animali nell'arca preannunziava la futura diffusione della Chiesa in tutte le nazioni, forse i Donatisti potrebbero essere di diversa opinione ed esigere un'altra interpretazione. Analogamente, se essi un testo oscuro e ambiguo, lo interpretassero a favore della loro tesi, mentre per noi è evidente che vuol dire una cosa diversa e a favore nostro, dove si andrà a finire?

Un certo loro vescovo, infatti, parlando qui ad Ippona davanti al popolo, come mi è stato riferito, ha sostenuto che l'arca di Noè era stata spalmata di bitume dentro, proprio per impedire che dall'interno uscisse acqua, e fuori, proprio per impedirne infiltrazioni dall'esterno. Certamente egli volle che questa interpretazione potesse impedire di credere che il battesimo può uscire fuori dalla Chiesa, oppure di accettare quello dato da fuori. Sembrò di dire una cosa importante; perciò venne applaudito da quanti lo ascoltavano con piacere, ma senza riflettere attentamente a quanto sentivano, per rendersi conto di una cosa tanto facile: è impossibile che una costruzione di legni lasci penetrare acqua dall'esterno, se non la lascia uscire dall'interno. Se, al contrario, esce l'acqua dall'interno, è logico che penetri anche dall'esterno. Ma, anche volendo ritenere esatta l'interpretazione di quel vescovo su questo legno ben compaginato, chi potrebbe impedirmi, se ne fossi capace, di darne una diversa circa quest'arca spalmata di bitume dentro e fuori? Non è assurdo infatti dire, anzi è molto più probabile, che con il bitume, colla molto forte e sostanza bruciante, sia stata significata la carità.

Perché il salmo dice: La mia anima si è attaccata a te
16, se non per l'ardente carità? Visto che ci è stato comandato di avere questa carità, tra di noi e verso tutti, per questo l'arca è stata spalmata di bitume dentro e fuori. E poiché è scritto: La carità tutto sopporta 17, la forza della tolleranza che conserva l'unità è stata significata per mezzo del bitume, con cui l'arca è stata spalmata dentro e fuori, proprio perché i malvagi dobbiamo tollerarli dentro e fuori, per non distruggere la pace. Risparmiamoci, dunque, simili interpretazioni in questa nostra disputa e ricerchiamo qualche chiaro testo che ci manifesti la Chiesa.

Come devono essere accolti nella Chiesa gli eretici.

21. 57. Che cosa avete da dire ancora? Volete forse che tiriamo in ballo l'ultima vostra obiezione? Eccola: " Sì, voi possedete la Chiesa, ma come ci accogliete se volessimo passare a voi? ". Rispondo brevemente: " Vi accogliamo come accoglie quella Chiesa che noi ritroviamo nei santi Libri canonici ". Deposto, quindi, lo spirito di contraddizione, di cui sono gonfi tutti quelli che non vogliono lasciarsi vincere dalla verità di Dio, ma si lasciano vincere dalla loro perversità, potete facilmente capire che i sacramenti divini sono nei buoni e nei cattivi: ma nei primi per la salvezza, nei secondi per la dannazione. E benché sia grande la differenza tra coloro che li praticano degnamente o indegnamente, essi sono sempre gli stessi: per i primi costituiscono un premio, per i secondi un giudizio.

*******************





 



TESTO INTEGRALE:
http://www.augustinus.it/italiano/lettera_cattolici/lettera_cattolici_libro.htm


Caterina63
00sabato 19 maggio 2012 20:47

Discorso di S. Agostino nella Basilica di S. Leonzio per l’Ascensione del Signore

Cristo per noi è divenuto uomo.

Il Signore Gesù, unigenito del Padre e coeterno a colui che lo genera, ugualmente invisibile, ugualmente immutabile, ugualmente onnipotente, ugualmente Dio, per noi, come sapete e avete ricevuto e credete, è divenuto uomo, assumendo la natura umana senza perdere quella divina: nascondendo la sua potenza si è manifestato nella debolezza. Come sapete è nato perché noi potessimo rinascere, è morto perché potessimo non morire in eterno. Subito dopo, cioè al terzo giorno, egli risuscitò promettendo a noi, per la fine dei tempi, la risurrezione della carne. Si manifestò ai suoi discepoli facendosi vedere con gli occhi e toccare con le mani; convincendoli di ciò che era diventato senza lasciare ciò che era da sempre. Rimase con loro quaranta giorni, come avete ascoltato, entrando e uscendo, mangiando e bevendo; non già per necessità ma tutto per potenza. E manifestando ad essi la realtà del suo corpo, nella croce ne fece vedere la debolezza, risorgendo dal sepolcro l’immortalità acquistata.

Ricorrenza di S. Leonzio.

Oggi celebriamo il giorno della sua ascensione al cielo. Oggi ricorre anche un’altra festa, propria di questa chiesa: la sepoltura di S. Leonzio, fondatore di questa basilica. Ma la stella lasci che venga oscurata dal sole. Perciò continuiamo a parlare piuttosto del Signore come avevamo iniziato. Il servo buono gioisce quando viene lodato il suo Signore.

La festa dell’Ascensione è celebrata in tutto il mondo.

In questo giorno dunque, cioè nel quarantesimo dopo la sua risurrezione, il Signore ascese al cielo. Noi non abbiamo visto il fatto, però crediamoci ugualmente. Coloro che lo videro predicarono e riempirono tutta la terra [della loro predicazione]. Sapete chi sono coloro che lo videro e che ce lo hanno trasmesso; chi sono coloro dei quali fu predetto: Non è racconto, non è linguaggio, non è voce che non possa essere intesa. Per ogni terra ne corre la voce, ne giunge l’eco ai confini del mondo 1. Vennero anche da noi e ci svegliarono dal sonno. Ed ecco che questo giorno vien celebrato in tutto il mondo.

Il Cristo condannato ora è glorificato.

Richiamate alla mente il Salmo. A chi fu detto: Innalzati sopra i cieli,Dio 2? A chi fu detto? Si potrebbe dire: Innalzati a Dio Padre, che mai si è abbassato? Innalzati tu [o Cristo]; tu che fosti chiuso nel grembo di una madre; tu che sei stato formato in colei che tu stesso hai fatto; tu che sei stato adagiato in una greppia 3; tu che hai succhiato dal suo seno come un qualunque bambino; tu che, mentre reggi il mondo, eri sorretto da tua madre; tu di cui il vecchio Simeone vide la piccolezza ma lodò la potenza 4; tu che la vedova Anna vide poppante e riconobbe onnipotente 5; tu che hai avuto fame per noi 6, hai avuto sete per noi 7, ti sei stancato nel cammino per noi 8, (ma può il pane 9 aver fame, la fonte 10 aver sete, la via 11 stancarsi?); tu che tutto questo hai sopportato per noi, tu che hai dormito e tuttavia non ti addormenti, custode d’Israele 12; tu infine che Giuda vendette, i Giudei comprarono ma non possedettero; tu che sei stato preso, legato, flagellato, coronato di spine, sospeso alla croce, trafitto dalla lancia; tu che sei morto e sei stato seppellito: Innalzati sopra i cieli, Dio.

Innalzati – dice il Salmo – innalzati sopra i cieli, perché sei Dio. Ora siedi in cielo tu che sei stato appeso alla croce. Ora sei atteso come giudice venturo, tu che dopo essere stato atteso fosti giudicato. Chi crederebbe a queste cose se non le avesse fatte colui che rialza il misero dalla terra e dal letame solleva il povero? Lui stesso rialza il suo corpo misero e lo colloca con i principi del suo popolo 13, con i quali giudicherà i vivi e i morti. Ha collocato questo misero corpo vicino a coloro ai quali disse: Sederete sopra dodici troni per giudicare le dodici tribù d’Israele 14.

La Chiesa gloria di Cristo.

Innalzati perciò sopra i cieli, Dio. Già questo è accaduto, già si è adempiuto. Ma noi diciamo: Come è stato predetto che si sarebbero avverate le parole innalzati sopra i cieli, Dio - noi non lo abbiamo visto ma lo crediamo -, così è davanti ai nostri occhi quel che segue a quelle parole: Innalzati sopra i cieli, Dio e su tutta la terra la tua gloria 15. Chi non vede realizzata la seconda parte (del versetto) può anche non credere alla prima. Che cosa significa infatti: e su tutta la terra la tua gloria se non: su tutta la terra la tua Chiesa, su tutta la terra la tua signora, su tutta la terra la tua fidanzata, la tua diletta, la tua colomba, la tua sposa? La Chiesa è la tua gloria. L’uomo - dice l’Apostolo - non deve coprirsi la testa, perché è immagine e gloria di Dio, mentre la donna è gloria dell’uomo 16. Come la donna è gloria dell’uomo, così la Chiesa è gloria di Cristo.

Note 1- Sal 18, 4-5. - Sal 56, 12. - Cf. Lc 2, 7. - Cf. Lc 2, 25-32. - Cf. Lc 2, 36-38. - Cf. Mt 4, 2. - Cf. Gv 19, 28. - Cf. Gv 4, 6. - Cf. Gv 6, 35. - Cf. Gv 4, 13. - Cf. Gv 14, 6. - Cf. Sal 120, 4. - Cf. Sal 112, 7-8. - Mt 19, 28. - Sal 56, 12. - 1 Cor 11, 7

Fonte: augustinus.it


Caterina63
00domenica 29 luglio 2012 23:13

IL TEMPO DELLA CHIESA SECONDO AGOSTINO

«Concedi ciò che comandi»


La bella preghiera di sant’Agostino, riproposta di recente anche da Benedetto XVI, può sintetizzare anche tutto questo libro: «Concedi ciò che comandi, e poi comanda ciò che vuoi». Così scrive il cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, nella prefazione del libro Il tempo della Chiesa secondo Agostino


del cardinale Jorge Mario Bergoglio

Giacomo Tantardini, <I>Il tempo della Chiesa secondo Agostino. Seguire e rimanere in attesa. La felicità in speranza</I>, Città Nuova, Roma 2009, 388 pp. In libreria dal 15 gennaio 2010

Giacomo Tantardini, Il tempo della Chiesa secondo Agostino. Seguire e rimanere in attesa. La felicità in speranza, Città Nuova, Roma 2009, 388 pp. In libreria dal 15 gennaio 2010

Nelle pagine di questo libro scorrono le appassionate lezioni sull’attualità di sant’Agostino svolte da don Giacomo Tantardini presso l’Università degli Studi di Padova, nel corso di tre anni accademici, dal 2005 al 2008.
Si può dire in tanti modi che il santo vescovo d’Ippona è attuale. Si possono azzardare rivisitazioni della sua teologia, riscoprire la modernità del suo sguardo sui moti dell’animo umano, valorizzare la genialità dei suoi giudizi davanti alle vicissitudini storiche del suo tempo, per certi versi così simili a quelle del tempo presente.

Nelle sue lezioni agostiniane, con i testi letti e commentati in presa diretta, don Giacomo ha individuato e seguito un’altra filigrana. Se Agostino è attuale, se ci è contemporaneo – come questo libro documenta – lo è soprattutto perché descrive semplicemente come si diventa e si rimane cristiani nel tempo della Chiesa. Quel tempo che è il suo, così come è il nostro. «Quel tempo breve – ripete più volte Agostino commentando le parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni (Gv 16, 16-20) – che va dall’ascensione al cielo del Signore nel Suo vero corpo al Suo ritorno glorioso» (p. 123).

L’immagine per me più suggestiva di come si diventa cristiani, così come emerge in questo libro, è il modo in cui Agostino racconta e commenta l’incontro di Gesù con Zaccheo (pp. 279-281). Zaccheo è piccolo, e vuole vedere il Signore che passa, e allora si arrampica sul sicomoro. Racconta Agostino: «Et vidit Dominus ipsum Zacchaeum. Visus est, et vidit / E il Signore guardò proprio Zaccheo. Zaccheo fu guardato, e allora vide». Colpisce, questo triplice vedere: quello di Zaccheo, quello di Gesù e poi ancora quello di Zaccheo, dopo essere stato guardato dal Signore. «Lo avrebbe visto passare anche se Gesù non avesse alzato gli occhi», commenta don Giacomo, «ma non sarebbe stato un incontro. Avrebbe magari soddisfatto quel minimo di curiosità buona per cui era salito sull’albero, ma non sarebbe stato un incontro» (p. 281).

Qui sta il punto: alcuni credono che la fede e la salvezza vengano col nostro sforzo di guardare, di cercare il Signore. Invece è il contrario: tu sei salvo quando il Signore ti cerca, quando Lui ti guarda e tu ti lasci guardare e cercare. Il Signore ti cerca per primo. E quando tu Lo trovi, capisci che Lui stava là guardandoti, ti aspettava Lui, per primo.

Ecco la salvezza: Lui ti ama prima. E tu ti lasci amare. La salvezza è proprio questo incontro dove Lui opera per primo. Se non si dà questo incontro, non siamo salvi. Possiamo fare discorsi sulla salvezza. Inventare sistemi teologici rassicuranti, che trasformano Dio in un notaio e il suo amore gratuito in un atto dovuto a cui Lui sarebbe costretto dalla sua natura. Ma non entriamo mai nel popolo di Dio. Invece, quando guardi il Signore e ti accorgi con gratitudine che Lo guardi perché Lui ti sta guardando, vanno via tutti i pregiudizi intellettuali, quell’elitismo dello spirito che è proprio di intellettuali senza talento ed è eticismo senza bontà.

Se l’inizio della fede è opera del Signore, sant’Agostino descrive anche come si rimane in questo inizio. Qui le parole chiave sono quelle contenute nel sottotitolo: seguire e rimanere in attesa. E la figura che le rappresenta è Giovanni, il discepolo più amato. Giovanni rappresenta chi attende di essere amato, e rimane per grazia e non per sforzo in questa attesa. In lui appare evidente che «se non si è prima amati (cf. 1Gv 4, 19) non si può né amare né seguire» (p. 171). In lui si rinnova in ogni istante l’attesa dei gesti del Signore, l’attesa di quei nuovi inizi nei quali la libertà aderisce alla grazia «per il piacere da cui è attratta» (p. 372).

Secondo Agostino ci sono dei segni distintivi – fa notare don Giacomo –, indizi di quando si è guardati e abbracciati dal Signore.

Il primo segno è la gratitudine, il moto spontaneo del cuore che ringrazia. Agostino mette in luce che perfino la conoscenza chiara di ciò che serve per ottenere la salvezza può diventare motivo di superbia: quella che lui registrava tra i filosofi platonici del suo tempo, che «hanno visto dove bisogna giungere per essere felici, ma hanno voluto attribuire a sé quello che hanno visto e, resi superbi, hanno perduto ciò che vedevano» (p. 27). Si può arrivare a scoprire che solo in Dio c’è la felicità, ma questo sapere non commuove di per sé il cuore. Il cuore rimane triste e pieno di sé. Non si scioglie in lacrime di riconoscenza (pp. 19-25). Invece, quando uno è preso in braccio dal Signore e «abbraccia umile l’umile mio Dio Gesù» (p. 40), senza nemmeno pensarci, diventa pieno di gratitudine e dice grazie. E in questa gratitudine diventa anche buono. Don Giacomo scrive che «si è buoni non perché si sa cosa è il bene, si è contenti non perché si sa cosa è la felicità. Si è buoni e si è felici perché si è abbracciati dal bene e dalla felicità» (p. 330).

<I>Gesù e Zaccheo</I>, affresco della Basilica di Sant’Angelo in Formis, Capua (Caserta)

Gesù e Zaccheo, affresco della Basilica di Sant’Angelo in Formis, Capua (Caserta)

L’altro segno distintivo è proprio l’affiorare nel cuore di quella felicità in speranza cui pure accenna il sottotitolo del libro. Per Agostino, la gioia promessa dal Signore ai suoi è data e vive in spe, in speranza. Che vuol dire? L’espressione in spe negli scritti di Agostino indica che questa felicità è sempre una grazia.
Nella nostra condizione terrena, questa è un’evidenza immediata per tutti: la felicità su questa terra, promessa come caparra della felicità celeste, non nasce da noi, non la possiamo costruire noi e nemmeno conservare e padroneggiare noi. Non è nelle nostre mani, e quindi risulta precaria, secondo gli schemi di chi crede di costruire la vita come un proprio progetto. È la felicità dei poveri, che ne godono come dono gratuito. La felicità di chi vive sempre sospeso alla speranza del Signore, e proprio per questo è tranquillo.
Perché è una cosa bella vivere sicuri che il Signore ci ama per primo, ci cerca per primo.

Il Signore della pazienza che ci viene incontro sperando che noi, come Zaccheo, saliamo sull’albero dell’
humilitas. A Lui sant’Agostino rivolge la bella preghiera riproposta di recente anche da Benedetto XVI, che può sintetizzare anche tutto questo libro: «Concedi ciò che comandi, e poi comanda ciò che vuoi». Concedici il dono di tornare come bambini, e poi domanda di essere come bambini, per entrare nel Regno dei cieli.


Questi sono alcuni dei tanti accenti e spunti contenuti in questo libro che possono essere un prezioso conforto per molti, ben al di là della cerchia degli esperti e degli studiosi.
Per questo gli auguro fortuna, mentre tutti gli amici di Agostino si apprestano a ricordare che sono trascorsi 1.600 anni da quando il santo vescovo d’Ippona, davanti al sacco di Roma, ebbe l’ispirazione di scrivere la Città di Dio.


Caterina63
00giovedì 29 agosto 2013 00:06

SANTA MESSA PER L'INIZIO DEL CAPITOLO GENERALE
DELL'ORDINE DI SANT'AGOSTINO

PAROLE DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica di Sant'Agostino in Campo Marzio, Roma
Mercoledì 28 agosto 2013


 

“Ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te” (Le Confessioni, I,1,1). Con queste parole, diventate celebri, sant’Agostino si rivolge a Dio nelle Confessioni, e in queste parole c’è la sintesi di tutta la sua vita.

“Inquietudine”. Questa parola mi colpisce e mi fa riflettere. Vorrei partire da una domanda: quale inquietudine fondamentale vive Agostino nella sua vita? O forse dovrei piuttosto dire: quali inquietudini ci invita a suscitare e a mantenere vive nella nostra vita questo grande uomo e santo? Ne propongo tre: l’inquietudine della ricerca spirituale, l’inquietudine dell’incontro con Dio, l’inquietudine dell’amore.

1. La prima: l’inquietudine della ricerca spirituale. Agostino vive un’esperienza abbastanza comune al giorno d’oggi: abbastanza comune tra i giovani d’oggi. Viene educato dalla mamma Monica nella fede cristiana, anche se non riceve il Battesimo, ma crescendo se ne allontana, non trova in essa la risposta alle sue domande, ai desideri del suo cuore, e viene attirato da altre proposte. Entra allora nel gruppo dei manichei, si dedica con impegno ai suoi studi, non rinuncia al divertimento spensierato, agli spettacoli del tempo, intense amicizie, conosce l’amore intenso e intraprende una brillante carriera di maestro di retorica che lo porta fino alla corte imperiale di Milano. Agostino è un uomo “arrivato”, ha tutto, ma nel suo cuore rimane l’inquietudine della ricerca del senso profondo della vita; il suo cuore non è addormentato, direi non è anestetizzato dal successo, dalle cose, dal potere. Agostino non si chiude in se stesso, non si adagia, continua a cercare la verità, il senso della vita, continua a cercare il volto di Dio. Certo commette errori, prende anche vie sbagliate, pecca, è un peccatore; ma non perde l’inquietudine della ricerca spirituale. E in questo modo scopre che Dio lo aspettava, anzi, che non aveva mai smesso di cercarlo per primo. Vorrei dire a chi si sente indifferente verso Dio, verso la fede, a chi è lontano da Dio o l’ha abbandonato, anche a noi, con le nostre “lontananze” e i nostri “abbandoni” verso Dio, piccoli, forse, ma ce ne sono tanti nella vita quotidiana: guarda nel profondo del tuo cuore, guarda nell’intimo di te stesso, e domandati: hai un cuore che desidera qualcosa di grande o un cuore addormentato dalle cose? Il tuo cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca o l’hai lasciato soffocare dalle cose, che finiscono per atrofizzarlo? Dio ti attende, ti cerca: che cosa rispondi? Ti sei accorto di questa situazione della tua anima? Oppure dormi? Credi che Dio ti attende o per te questa verità sono soltanto “parole”?

2. In Agostino è proprio questa inquietudine del cuore che lo porta all’incontro personale con Cristo, lo porta a capire che quel Dio che cercava lontano da sé, è il Dio vicino ad ogni essere umano, il Dio vicino al nostro cuore, più intimo a noi di noi stessi (cfr ibid., III,6,11). Ma anche nella scoperta e nell’incontro con Dio, Agostino non si ferma, non si adagia, non si chiude in se stesso come chi è già arrivato, ma continua il cammino. L’inquietudine della ricerca della verità, della ricerca di Dio, diventa l’inquietudine di conoscerlo sempre di più e di uscire da se stesso per farlo conoscere agli altri. E’ proprio l’inquietudine dell’amore. Vorrebbe una vita tranquilla di studio e di preghiera, ma Dio lo chiama ad essere Pastore ad Ippona, in un momento difficile, con una comunità divisa e la guerra alle porte.
E Agostino si lascia inquietare da Dio, non si stanca di annunciarlo, di evangelizzare con coraggio, senza timore, cerca di essere l’immagine di Gesù Buon Pastore che conosce le sue pecore (cfr Gv 10,14), anzi, come amo ripetere, che “sente l’odore del suo gregge”, ed esce a cercare quelle smarrite. Agostino vive quello che san Paolo indica a Timoteo e a ciascuno di noi: annuncia la parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, annuncia il Vangelo con il cuore magnanimo, grande (cfr 2 Tm 4,2) di un Pastore che è inquieto per le sue pecore. Il tesoro di Agostino è proprio questo atteggiamento: uscire sempre verso Dio, uscire sempre verso il gregge… E’ un uomo in tensione, tra queste due uscite; non “privatizzare” l’amore… sempre in cammino! Sempre in cammino, diceva Padre, Lei. Sempre inquieto! E questa è la pace dell’inquietudine.
Possiamo domandarci: sono inquieto per Dio, per annunciarlo, per farlo conoscere? O mi lascio affascinare da quella mondanità spirituale che spinge a fare tutto per amore di se stessi? Noi consacrati pensiamo agli interessi personali, al funzionalismo delle opere, al carrierismo. Mah, tante cose possiamo pensare… Mi sono per così dire “accomodato” nella mia vita cristiana, nella mia vita sacerdotale, nella mia vita religiosa, anche nella mia vita di comunità, o conservo la forza dell’inquietudine per Dio, per la sua Parola, che mi porta ad “andare fuori”, verso gli altri?

3. E veniamo all’ultima inquietudine, l’inquietudine dell’amore. Qui non posso non guardare alla mamma: questa Monica! Quante lacrime ha versato quella santa donna per la conversione del figlio! E quante mamme anche oggi versano lacrime perché i propri figli tornino a Cristo! Non perdete la speranza nella grazia di Dio! Nelle Confessioni leggiamo questa frase che un vescovo disse a santa Monica, la quale chiedeva di aiutare suo figlio a ritrovare la strada della fede: “Non è possibile che un figlio di tante lacrime perisca” (III,12,21). Lo stesso Agostino, dopo la conversione, rivolgendosi a Dio, scrive: “per amore mio piangeva innanzi a te mia madre, tutta fedele, versando più lacrime di quante ne versino mai le madri alla morte fisica dei figli” (ibid., III,11,19). Donna inquieta, questa donna, che, alla fine, dice quella bella parola: cumulatius hoc mihi Deus praestitit! [il mio Dio mi ha soddisfatta ampiamente] (ibid., IX,10,26). Quello per cui lei piangeva, Dio glielo aveva dato abbondantemente!  E Agostino è erede di Monica, da lei riceve il seme dell’inquietudine.
Ecco, allora, l’inquietudine dell’amore: cercare sempre, senza sosta, il bene dell’altro, della persona amata, con quella intensità che porta anche alle lacrime. Mi vengono in mente Gesù che piange davanti al sepolcro dell’amico Lazzaro, Pietro che, dopo aver rinnegato Gesù ne incontra lo sguardo ricco di misericordia e di amore e piange amaramente, il Padre che attende sulla terrazza il ritorno del figlio e quando è ancora lontano gli corre incontro; mi viene in mente la Vergine Maria che con amore segue il Figlio Gesù fino alla Croce. Come siamo con l’inquietudine dell’amore? Crediamo nell’amore a Dio e agli altri? O siamo nominalisti su questo? Non in modo astratto, non solo le parole, ma il fratello concreto che incontriamo, il fratello che ci sta accanto!
Ci lasciamo inquietare dalle loro necessità o rimaniamo chiusi in noi stessi, nelle nostre comunità, che molte volte è per noi “comunità-comodità”? A volte si può vivere in un condominio senza conoscere chi ci vive accanto; oppure si può essere in comunità, senza conoscere veramente il proprio confratello: con dolore penso ai consacrati che non sono fecondi, che sono “zitelloni”. L’inquietudine dell’amore spinge sempre ad andare incontro all’altro, senza aspettare che sia l’altro a manifestare il suo bisogno. L’inquietudine dell’amore ci regala il dono della fecondità pastorale, e noi dobbiamo domandarci, ognuno di noi: come va la mia fecondità spirituale, la mia fecondità pastorale?

Chiediamo al Signore per voi, cari Agostiniani, che iniziate il Capitolo Generale, e per noi tutti, che conservi nel nostro cuore l’inquietudine spirituale di ricercarlo sempre, l’inquietudine di annunciarlo con coraggio, l’inquietudine dell’amore verso ogni fratello e sorella. Così sia.





Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 16:38.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com