LA QUESTIONE DEI LIBRI BIBLICI DEUTEROCANONICI

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°Teofilo°
00martedì 21 luglio 2009 17:14
Viene ripetuta spesso questa obiezione

Girolamo disse che i deuterocanonici erano solo buoni da leggere ma non per stabilirvi una dottrina, l'ispirazione dei libri deuterocanonici fu infatti negata da Origene, Atanasio, Epifanio di Salamina, Ilario di Poitiers, Gregorio Nazianzeno, Cirillo di Gerusalemme, Melitone da Sardi, Rufino, Anfiloco di Iconio, Girolamo (che li inserì in appendice alla Vulgata) e Giovanni di Damasco.


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 04/03/2004 22.38

già papa Damaso, proprio al tempo di Girolamo, e proprio in considerazione di queste discussioni, sorte a seguito del vecchio e cattivo lievito giudaico che cercava di introdurre e di imporre un canone diverso da quello che gli apostoli avevano avuto tra le mani (la settanta), in assenza di una dichiarazione definitiva e vincolante, dispose un accertamento circa tutti i libri circolanti. Questo accertamento durò circa un secolo al termine del quale, fu papa Gelasio che dichiarò quali dovevano essere i libri da ritenere apocrifi a quali invece no, con il famoso decreto Gelasiano.

Dunque, ribadiamo, un secolo di accertamenti.

Pertanto furono attentamente vagliate, soppesate, confrontate tutte le varie opinioni, discussioni, citazioni, affermazioni, fatte da tutti i singoli Padri, sia di età apostolica che subapostolica che post aspostolica, tanto orientali che occidentali, nonché l’esame attentissimo dell’uso dei libri sacri in tutte le varie chiese locali.

Per fare tutto questo dunque è stato necessario far ricorso a tutto il bagaglio che formava la tradizione.

Tu stesso per avvalorare la tesi contraria ai deuterocanonici stai facendo ricorso alla tradizione nominando padri della chiesa e facendo alcune citazioni di S.Girolamo. Evitando però di citare tutto quello che loro stessi o altri hanno detto e scritto a favore dei deuterocanonici.

Se dunque per ricostruire tutto ci volle un secolo, noi qui non possiamo pretendere di poter avere tutti i singoli dettagli che furono esaminati. Tuttavia per darti una idea di questo paziente lavorio di ricostruzione evidenzio alcune citazioni.

I seguenti scrittori hanno negato solo in teoria, ma non in pratica, l'ispirazione dei deuterocanonici:

san Melitone di Sardi (circa a 170), Origene (circa a 240), nel secolo IV san. Cirillo di Gerusalemme, sant’Ilario, sant'Atanasio, san Gregono Nazianzeno, sant'Epifanio, sant'Anfìlochio e l'autore dei Canones Apostolorum, nel secolo V abbiamo ancora Rufino, san Girolamo e lo Pseudo Atanasio.

Va rilevato però che questi autori non sono tutti indipendenti fra loro nel negare in teoria l'ispirazione dei deuterocanomci, alcuni di essi, per venerazione verso i propri maestri, non fanno che riferire l'opinione di questi; cosi sant'Ilario dipende da Origene, Rufino nel suo Commentarius in symbolum Aportolorum, dove riferisce l'elenco dei soli protocanomci, dipende dalle catechesi di san Cirillo di Gerusalemme, nelle quali questi aveva parimenti enunciato l'elenco dei soli protocanonici, e dipende anche da sant'Atanasio, lo Pseudo Atanasio dipende da sant'Atanasio.

Nei particolari, i singoli scrittori di questo gruppo non sono perfettamente d'accordo fra loro: così, alcuni di essi (es sant'Atanasio e san Cirillo di Gerusalemme) considerano deuterocanonico l'intero libro di Ester, secondo una sentenza assai sostenuta dai giudei a quel tempo, ed invece tengono come protocanonico il libro di Baruc, tuttavia qui a noi interessa il fenomeno dottrinale non nei particolari ma in sé, cioè il fatto che essi in genere negano teoricamente la canonicità dei deuterocanomci.

Dobbiamo rilevare subito che
in pratica, tutti, quegli scrittori considerano ispirati e canonici i Deuterocanonici dell’AT (eccetto forse san Melitone, come vedremo meglio appresso).

Ciò si può documentare con le citazioni che essi ne fanno, adducendo passi dei deuterocanonici con gli appellativi " Scrittura sacra ", " parola divina " "sta scritto" o simili, oppure citano frasi di deuterocanonici attribuendo loro la stessa importanza e la stessa autorità che alle frasi dei protocanonici.

ORIGENE: prendendo ad esempio l’indice delle citazioni bibliche, già nella sola opera DE PRINCIPII edizione UTET che ho sottomano), cita

4 volte il libro di Tobia, 2 volte Ester, 2 volte la 2 Maccabei, 1 volta Baruc, 15 volte il libro della Sapienza, 4 volte il Siracide (Ecclesiastico).

Di queste citazioni abbiamo per esempio questa introduzione (libro I, 5 pag.147): "ma vediamo come le nostre affermazioni siano suffragate anche dall’autorità della Scrittura: segue la citazione del libro della Sapienza 7,25)

Quindi in sostanza questi autori, pur risentendo in teoria per quanto riguarda il canone, del cattivo lievito dei farisei ormai declassati da Cristo, DI FATTO però si comportavano come si comportava la maggioranza delle chiese e cioè, leggevano, usavano e citavano tutti i deuterocanonici.

Di S. Girolamo abbiamo già visto che DI FATTO citava i deuterocanonici come Scrittura sacra in diverse occasioni.

Allo stesso modo si comportavano gli altri autori dubbiosi in teoria ma che in pratica usavano e citavano i deuterocanonici.

Di Melitone ci è conservato solo un canone dell’AT in cui non sono elencati i deuterocanonici: e siccome sono andate DEL TUTTO PERDUTE le altre sue opere, non siamo in grado di dire se anch'egli in pratica abbia attribuito ai deuterocanomci un'autorità divina che ha loro negato in teoria.

Quindi non si può dire che lui fosse in disaccordo.

Inoltre vi è da notare che la negazione dei deuterocanonici dell’A.T. da parte dei cataloghi di quell'epoca, non è universale' : ne esistono alcuni proprio di quei tempi, i quali elencano, oltre ai protocanonici, tutti i deuterocanonici dell’A.T.

Essi sono il Canone CIaromontano (9), del IV secolo, e il Canone Mommseniano (10), del 360 circa, proveniente dall'Africa latina. Il Canone Siriaco (11), del 400 circa, enumera tra gli scritti canonici: Giuditta , Eccli., Sap., 1 e 2 Mac., molto probabilmente (considerando il numero degli stichi attribuiti a Geremia) anche Bar, e le parti deuterocanoniche del libro di Daniele (sempre tenuto conto del numero dei versetti attribuito a questo libro) solo non si fa cenno del libro di Tobia, e, a quanto pare dal numero degli stichi, della parte deuterocanonica del libro di Ester.


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 04/03/2004 22.40

Veniamo ora alle considerazioni circa gli autori che invece non avevano espresso dubbi.

1)Gli apostoli e Gesù usavano, leggevano e citavano dalla versione dei settanta, che contenevano i deuterocanonici e non espressero nessuna condanna verso di esse, anzi si riferivano anche ad esse con le espressioni del tipo "tutta la Scrittura è ispirata e utile…"

<DIR>

2) I padri apostolici citano più volte i deuterocanonici, senza fare differenze rispetto ai protocanonici.


</DIR>

La Didache (sec. I d.C.) (6) cita 4 volte il Siracide (detto anche Ecclesiastico) e 2 volte il libro della Sapienza

Clemente Romano (circa a. 96), I Epistola ai Corinti cita

Giuditta


Daniele

Ester

Siracide

Sapienza

8 ss

9,11

3,24

14

2,11

2,24

11,22

12,12

12,10

<DIR> <DIR> <DIR>

San. Policarpo (circa a 135), Epistola ai Filippesi 10,2 cita due volte Tobia. 4,10; 12,9

Pastore di Erma (circa a. 150) (7) cita Siracide 2,3 Sap. 1,14 2 Mac. 7,28


</DIR></DIR></DIR>

A tali referenze, se ne potrebbero aggiungere altre. Però lo specchietto mostra già a sufficienza come quegli antichissimi autori avessero familiarità con i deuterocanomci dell'A.T.

Da notare che nessun Padre apostolico ha mai mosso il minimo dubbio contro l'ispirazione dei deuterocanomci dell'A.T.


gli apologisti

Se dai Padri apostolici passiamo agli apologisti, troviamo la continuazione della stessa tradizione. Familiarità con gli scritti deuterocanonici dell'A.T., che citano o ai quali alludono, e nessun dubbio circa la loro ispirazione.

Qui basti riportare qualche punto dagli scritti di san Giustino e di Atenagora .

San Giustino (circa a 150) Nella I Apologia, 46 ricorda Anania, Asana e Misaele, cioè i tré fanciulli di cui parla Daniele, e precisamente con questi nomi e con questo"ordine, proprio come si ha nella parte denterocanonica di Dan, 3.

Ma più importante ancora è un passo del Dialogo con Trifone (PG 6,641 644) dove S.Giustino dice testualmente: " deve ritenersi parte della Scrittura tutto ciò che c'è nella versione dei Settanta, anche quelle parti che i giudei arbitrariamente hanno tolto ". Questa è una affermazione di capitale importanza, che ci fa capire quale era la reazione della Chiesa primitiva di fronte all’ingerenza giudaica sulle decisioni e la vita della comunità cristiana.

Atenagora (circa a 175) ha il seguente passo

" Non credo che ignoriate gli scritti di Mosè, di Isaia, di Geremia e degli altri profeti, i quali mossi dallo Spirito Santo ripetevano ciò che veniva loro ispirato, quali strumenti dello stesso Spirito .

Che cosa dicono essi? " II Signore è il nostro Dio, non ve n'è un altro che possa paragonarsi a lui " (citazione letterale di Bar 3 36) ")

Donde vediamo che Atenagora mette Baruc sullo stesso piano di Mose e dei grandi profeti, e dice espressamente che era mosso dallo Spinto Santo.

secoli II-III

Proseguendo nel tempo, dopo l'epoca degli apologisti propriamente detta, troviamo alla fine del sec. II e nella prima meta del III, sei altri grandi scrittori cristiani sant'Ireneo, Clemente Alessandrino, Tertulliano,
sant'Ippohto, san Cipriano, san Dionigi Alessandrino.

Con essi nsalta ancor meglio l'insegnamento circa i deuterocanonici dell'A.T., perché ne riferiscono più frequentemente dei passi, e spesso notando espressamente che si tratta di Scrittura ispirata oppure equiparando quei passi di deuterocanonici a passi di protocanonici. Anche presso questi sei scrittori, inoltre, non troviamo alcuna traccia di dubbio circa Inspirazione dei deucerocanonici dell'A.T. In particolare si deve notare.

Sant'Ireneo (circa a 190) riferisce Baruc come profeta uguale a Geremia (Adv ' hoct, V,35,1 PG 7,1219). allega Tobia, chiamandolo profeta (Adv Haer , I, 30,11

PG 7,701), riporta Dan 13 come "Scrittura" e Dan 14 (Adv Haer . IV, 5226,3 i PG 7,984 1054)

Clemente Alessandrino (circa a 200) nei suoi scritti ha citazioni o chiare allusioni tolte da^ tutti i deuterocanonici dell'A T (eccetto 1 Mac ), compresi Dan ed Est , e spesso aggiunge che si tratta di Scrittura o da alle citazioni dei deuterocanonici la scessa importanza di quelle dei protocanonici Notevole la frequenza con cui si nfe nsce ad alcuni deutero canonici a Bar più di 20 volte, a Eccli una cinquantina di volte, a Sap. più di 20 volte.

Tertulliano (circa a 210) ha citazioni di tutti i deuterocanonici dell'A T , eccet cuaco sofo 'tob, equiparando di solito anch'cgh i passi di denterò e ano mei a passi di libri o di autori protocanonici. Anzi, come aveva già fatto san Giustino, rinfaccia ai giudei la colpa di aver arbitrariamente accorciato il canone delle Scritture (De cultu. fem: 1,3 TL 1,1308 [1422]). I Sane' Ippol ito (circa a 230) considera il libro di Baruc come " Scrittura ", da

ai passi deuccrocanonici di Daniele la stessa importanza di quelli prococanonici, ritiene i Sap come "profezia"

San Cipriano (circa a 250) il libro di Baruc è un oracolo dello Spinto Santo, Tofc , ^ap^'e i due libri dei Mac hanno la stessa autorità probativa che i libri protoca-nomci dell'A T.

San Dionigi Alessandrino (circa a 250) mette Tob sul piano della ' Scrittura ", e ritiene i detti del Siracide come " parole divine ".

e) secoli IV-V

Durante i secoli IV e V continua vigorosa la corrente di autori che non fanno riserve sui deuterocanonici (nonostante che nel secolo IV e nei primi anni del V, come vedremo, si noti un certo accentuarsi anche del gruppo di scrittori ecclesiastici
che solo in teoria si dichiarano contrari ai deuterocanonici, ma che poi in pratica li citano al pari delle altre Scritture.

Fra essi, in modo speciale, si devono qui ricordare i seguenti Afraate e sant'Efrem della Chiesa di Siria, san Basilio e san Gregorio Nisseno, cappadoci, che, usando tutti i deuterocanomci dell'A T come scritture divine, rendono ancora più precari, come osserveremo, i dubbi teorici sollevati dal loro connazionale e contemporaneo san Gregono Nazianzeno.

Soprattutto sant’ Agostino il più insigne di tutto il periodo patristico e grandissimo Dottore della Chiesa, sempre sollecito di indagare e riferire ciò che la Chiesa universale, e la Chiesa romana in modo particolare, credevano, egli, come abbiamo visto (p. 122) intervenne al Concilio di Ippona e ai Concili 3° e 4° di Cartagine, nei quali fu definito il canone completo dell'A.T.(quindi si smetta di dire che i deuterocanoncici furono "aggiunti" nel concilio di Trento), molte nelle sue opere, citò come Scrittura tutti i deuterocanonici dell'A.T.; ed anzi, fornì anche l'elenco totale dei libri dell'A.T. nel De doctrina chnstiana (2,8.12s.. PL 34,40s.) dell'anno 397, come avevamo già visto.

Sulla scia di questi scrittori pienamente favorevoli ai deuterocanonici dell'A.T. si misero poi, sempre più numerosi, gli autori dei secoli seguenti, tanto che la sentenza della completa canonicità dei deuterocanonici non solo si mantenne preponderante, come già era, ma divenne moralmente unica.

Alla luce di tutti questi elementi, secondo te, la Chiesa avrebbe dovuto togliere dei libri solo perché alcuni, e neanche in modo coerente, avevano espresso dei dubbi?

Anche per il NT ci sono stati molti valenti padri e intere chiese locali che hanno espresso dubbi.

Secondo te la Chiesa avrebbe dovuto togliere dei libri del NT solo perché alcuni avevano espresso dubbi. Non avrebbe dovuto, come in realtà, e giustamente ha fatto, tener conto di TUTTI GLI ELEMENTI in gioco e trarre una conclusione?

La conclusione è stata infatti che nel concilio di Trento sono stati dichiarati vincolanti quei libri che la Chiesa, nell’arco di tutta la sua tradizione, considerando appunto tutti i detti e gli scritti dei padri, pesando debitamente ogni cosa dall’inizio, già di fatto possedeva e professava.


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 04/03/2004 22.41

Girolamo cita Tobia 12,7 nel suo commento al libro dell’Ecclesiaste dell’anno 386-387;

cita Giuditta 9 nel suo commento a Matteo del 398, introdotto dall’espressione " leggiamo nella Scrittura…."

Cita Sapienza 4,8 nel commentario a Geremia del 414-416, preceduto dall’espressione "l’eloquente profeta".

Afferma, come riportavo nel mio post precedente ad es. (a. 395) che "il libro di Tobia, pur non essendo nel canone è adoperato da molti autori ecclesiastici" (PG 25, 1119); e finì talvolta con l'ammettere il loro carattere sacro: quando pone Giuditta con Rut ed Ester "donne di tanta gloria da dare il loro nome a libri sacri" (PG 22, 623); quando afferma (PG 29, 39) che al Concilio Niceno Iudt. fu adoperato come libro sacro ecc.

Per queste e tante altre sue citazioni dei deuterocanonici, (se ne contano appunto circa 200 ) vi è un libro di L.Sanders intitolato Etudes sur St.Jerome, Parigi 1903 pag.216-221 così come lo trovo citato in un libro di studi sul canone biblico.

Non dimentichiamo che Girolamo era profondamente cattolico e quindi non poteva completamente ignorare il pensiero comune della Chiesa riguardo a tutti i libri sacri, compresi i cosiddetti deuterocanonici. Pertanto, nelle sue citazioni vedrei una maturazione e non proprio una contraddizione.

Se osserviamo il nostro stesso modo di scrivere o di pensare possiamo vedere che dopo un certo numero di anni, arricchiti di nuove conoscenze ed esperienze, il nostro modo di ragionare e di scrivere può modificarsi. Pertanto, anche se, Girolamo non ha fatto una pubblica ritrattazione del suo prologo goleato, di fatto, attraverso i suoi commenti alla Scrittura ha cercato di uniformare le sue espressioni a quelle del sentire comune della Chiesa a cui si sentiva indissolubilmente legato.

Egli così scriveva a Teofilo, vescovo di Alessandria: "Sappi dunque che nulla ci sta più a cuore che salvaguardare i diritti del Cristianesimo, non cambiar nulla al linguaggio dei Padri e non perdere mai di vista questa Romana fede, di cui l’Apostolo fece l’elogio.(Epistola 63,2)."

L’opera di questo grande padre della Chiesa è stata valorizzata soprattutto per quanto riguarda le traduzioni fatte dai testi originali in lingua ebraica, a prescindere dalla sua opinione.

Se, all’epoca di Girolamo, la Chiesa avesse già formulato un pronunciamento definitivo e vincolante circa il canone, egli non avrebbe avuto certamente nessun problema a rinunciare alla sua opinione personale.

Girolamo, influenzato dai rabbini, suoi esosi maestri per la lingua ebraica , nel cosiddetto Prologo Goleata, premesso quasi corazza (donde il nome) al primo volume della sua traduzione dall'ebraico (Sam.-Reg.; ca. 390), dopo aver dato il canone ebraico, adoperò l’ espressione "ogni altro libro al di fuori di questi va annoverato fra gli apocrifi".

Successivamente però si mostrò più riservato; nelle sue opere si contano circa 200 citazioni tratte dai cosiddetti "deuterocanonici".

Quando afferma, ad es. (a. 395) che "il libro di Tobia, pur non essendo nel canone è adoperato da molti autori ecclesiastici" (PG 25, 1119);
e finì talvolta con l'ammettere il loro carattere sacro: quando pone Giuditta con Rut ed Ester "donne di tanta gloria da dare il loro nome a libri sacri" (PG 22, 623); quando afferma (PG 29, 39) che al Concilio Niceno Iudt. fu adoperato come libro sacro ecc. L'opinione personale espressa nel Prologo Goleata si trova pertanto diverse volte contraddetta da lui stesso; ad essa infatti, eco della influenza rabbinica, si opponeva il senso cattolico della tradizione ecclesiastica, così vivo dappertutto nella grandiosa opera di Girolamo.

E la traduzione primitiva continua negli scritti di tutti gli altri Padri in Oriente e in Occidente. Basti ricordare s. Agostino, e con s. Agostino i tre concili africani, che formularono il canone consacrato dalla tradizione che, ben può dirsi, assorbì e sommerse i dubbi sorti nel IV sec. E subito si ritornò all'unanimità dei primi secoli.

Se qualcuno, al tempo del Concilio di Trento, riesumò i dubbi sui deuterocanonici, fu solo per influsso della grande autorità di s. Girolamo, cui esplicitamente, ma indebitamente, si riferiva.


Il problema si pose a causa della revisione effettuata dai farisei dell’anno 100, e quindi in una situazione ormai completamente "fuori gioco" per gli ebrei, ai quali era stata tolta la chiave della conoscenza e la vigna da lavorare era stata affidata ad altri.

Dare retta alle loro decisioni prese quando ormai le decisioni spettavano ai consessi apostolici ed episcopali, significa fare un grossolano errore, soprattutto se si tiene presente che i giudei del tempo di Gesù approvavano la versione dei settanta, che, lo ripetiamo, contenevano i deuterocanonici.

E quando Paolo dice: "tutta la Scrittura è ispirata e utile …. ", si riferisce appunto a quella versione dei settanta del Vecchio Testamento, compreso i deuterocanonici, anche se questi non vengono direttamente citati, così come daltra parte nel NT, non vengono citati altri libri canonici.

Probabilmente S.Giuda considerava ispirati i libri di Enoch e dell’Assunzione di Mosè, visto che li cita nella sua lettera canonica. Ma neanche la sua opinione è stata considerata determinante ai fini della definizione del Canone.

Vi sono stati anche altri Padri che hanno avuto opinioni personali, soprattutto riguardo a libri del NT, ma le loro opinioni personali sono state serbate solo come ricordo. Alla fine ha prevalso il criterio, secondo me molto valido, di tenere in conto di quello che era il sentire comune della Chiesa.



Il criterio espresso da S.Agostino teneva conto della trasmissione dei libri sacri, conservata presso intere chiese, tra cui quelle di maggiore importanza, per poter discernere i libri ritenuti ispirati. E questo alla fine ha determinato la scelta. Non la singola opinione di Girolamo, per quanto avesse il suo peso.

Il fatto che tutti i deuterocanonici si trovavano nella versione dei "settanta" utilizzata dagli stessi apostoli, il fatto che nelle assemblee liturgiche si leggesse correntemente anche i brani tratti dai deuterocanonici, e che tali libri si trovassero in tutte le varie versioni della Vetus latina, anteriore alla versione della Vulgata di Girolamo, di cui egli stesso si servì, testimonia che la Chiesa non facesse una distinzione discriminante tra i vari libri.

Questi fatti costituirono poi i criteri per affermare la canonicità degli scritti sacri secondo la Chiesa, che s.Girolamo ignorò, almeno in teoria, preferendo le decisioni tardive degli ebrei. Mentre S.Agostino molto più opportunamente riporta questi criteri, nel libro 2 della "dottrina cristiana", come segue:

8.12… Riguardo pertanto alle Scritture canoniche si comporterà così: quelle che sono accettate da tutte le Chiese cattoliche le preferirà a quelle che da alcune non sono accettate; in quelle che non sono accettate da tutte preferirà quelle che accettano le Chiese più numerose e autorevoli a quelle che accettano le Chiese di numero inferiore e di minore autorità. Se poi succedesse che alcune sono ritenute autentiche da più Chiese mentre altre da Chiese più autorevoli, sebbene questo caso non si possa risolvere con facilità, io riterrei che le si debba considerare tutte di pari autorità.

Nota: Per quanto riguarda i libri citati da Agostino occorre notare che cita:

Gesù figlio di Nave, un libro dei Giudici, un libretto chiamato di Rut, che peraltro sembra appartenere ai Libri dei Regni, come loro principio. Vengono poi i quattro Libri dei Regni e i due dei Paralipomeni,

Si tratta dei libri che hanno due titoli e che ora conosciamo comunemente con i seguenti nomi:

libro di Giosuè (Gesù figlio di Nave), libri dei Re (o dei Regni), e libri delle Cronache (o Paralipomeni).

Si tratta esattamente dei libri che sono stati mantenuti integri ed intatti fino ad oggi, dal momento in cui gli stessi apostoli li avevano nella loro versione dei settanta.


Canone biblico accettato da Agostino.

8. 13. Il canone completo delle Scritture, al quale diciamo di voler rivolgere la nostra considerazione, si compone dei seguenti libri: i cinque libri di Mosè, cioè Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio, e poi il libro di Gesù figlio di Nave, un libro dei Giudici, un libretto chiamato di Rut, che peraltro sembra appartenere ai Libri dei Regni, come loro principio. Vengono poi i quattro Libri dei Regni e i due dei Paralipomeni, che non vengono dopo di essi ma sono a loro congiunti e procedono gli uni a fianco degli altri simultaneamente. Sono libri di storia, che contengono indicazioni temporali collegate fra loro e insieme la successione ordinata dei fatti. Ci sono poi narrazioni storiche poste, per così dire, in ordine differente, narrazioni che non rispettano né l'ordine storico né si collegano le une con le altre. Così è Giobbe, Tobia, Ester, Giuditta, e i due Libri dei Maccabei e di Esdra, i quali piuttosto sembrerebbero proseguire quella storia ordinata che si protraeva fino ai Libri dei Regni e dei Paralipomeni. Successivamente vengono i Profeti, tra i quali un libro di Davide, i Salmi, e tre di Salomone: i Proverbi, il Cantico dei Cantici e l'Ecclesiaste. Difatti gli altri due libri, intitolati l'uno la Sapienza e l'altro l'Ecclesiastico, per una certa somiglianza vengono detti di Salomone. È in effetti tradizione quanto mai costante che li abbia scritti Gesù figlio di Sirach 12; tuttavia, siccome sono stati accolti fra i Libri aventi autorità, li si deve annoverare al gruppo dei profetici. Restano i Libri di coloro che propriamente si chiamano Profeti: un libro per ciascuno di coloro che si chiamano i dodici Profeti, i quali, collegati fra loro (mai infatti hanno avuto esistenza separata), costituiscono un unico libro. I nomi di questi Profeti sono i seguenti: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia. Poi ci sono i Profeti autori di libri più grandi: Isaia, Geremia, Daniele, Ezechiele. Con questi quarantaquattro libri si chiude l'autorità canonica del Vecchio Testamento 13. Compongono il Nuovo Testamento i quattro libri del Vangelo: secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni; le quattordici Lettere dell'apostolo Paolo: ai Romani, due ai Corinzi, una ai Galati, agli Efesini e ai Filippesi, due ai Tessalonicesi, una ai Colossesi, due a Timoteo, una a Tito, a Filemone, e agli Ebrei; due lettere di Pietro, tre di Giovanni, una di Giuda, una di Giacomo; e finalmente il libro degli Atti degli Apostoli e quello dell'Apocalisse di Giovanni.

Ed è questo il canone che fu approvato nel Concilio di Ippona, di Cartagine, di Firenze e infine, in modo vincolante e dogmatico al Concilio di Trento .

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