LE COMPATRONE (S.Brigida, S.Caterina, S.Edit) e Compatroni d'Europa

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Caterina63
00giovedì 23 luglio 2009 12:42
Dieci anni fa la proclamazione di santa Brigida di Svezia a compatrona del continente

Una donna
alle radici dell'unità europea


Il prossimo 1° ottobre ricorrerà il decimo anniversario della proclamazione di santa Brigida a compatrona d'Europa. È del tutto evidente l'opportunità di tornare a riflettere su Brigida - di cui il 23 luglio la Chiesa festeggia la memoria liturgica - "santa europea" e donna di pace, avendo sempre nel cuore "la speranza di costruire un mondo più giusto e più degno dell'uomo", per citare la lettera apostolica di Giovanni Paolo II per la proclamazione a compatrona d'Europa. In ambito europeo, Brigida costituisce una delle più alte espressioni di quella speranza. Ella intuì, infatti, come la pace e l'unità dell'Europa fossero strettamente legate alla pace e all'unità nella Chiesa, e fece suo l'anelito alla costruzione di "un mondo più giusto e più umano", assumendone personalmente la responsabilità. La sua testimonianza cristiana ha una forte incidenza politica, come si evince dall'itinerario stesso della sua vita.
 
Già dalle prime iniziative di Brigida si nota la determinazione a costruire la pace, sfruttando gli strumenti a sua disposizione. Grazie alla sua posizione presso la corte di Svezia, Brigida poté chiedere a re Magnus il sostegno necessario a realizzare alcune importanti missioni internazionali. 

compatrone d'europa Durante l'estate del 1348, il vescovo di Abo, Hemming, e il priore Petrus Olavi, vennero inviati ai re di Francia e d'Inghilterra quali latori di una lettera che esortava alla pace, proponendo una soluzione della questione dinastica secondo le modalità suggerite da Brigida al re di Svezia. Nel corso della missione, i due ecclesiastici si recarono anche ad Avignone, presso Papa Clemente vi, per invitarlo a farsi mediatore di pace fra i due belligeranti e chiedergli di fare al più presto ritorno a Roma:  tutte iniziative suggerite da Brigida.

La missione non ebbe i risultati sperati, fatto che mosse la donna ad andare lontano dai confini del proprio Paese, verso il grande mondo, identificato nella città di Roma. Ella avvertì cioè il bisogno di "uscire" dal proprio ambiente per testimoniare il Vangelo. Roma aveva anzitutto una valenza spirituale, ma a questo si collegava il desiderio di intervenire per impedire la dissoluzione dell'unità ecclesiale, un rischio percepito come imminente. Scelse allora di trasferirsi nel cuore del cattolicesimo. I biografi raccontano che fu il Signore stesso ad affidargli tale missione, in una visione ricevuta nel 1344:  "Vai a Roma, le cui vie sono imbevute del sangue dei martiri!".
Da Roma Brigida poté ricercare l'unità e la pace europea, e il rinnovamento della Chiesa, da avviarsi attraverso il ritorno del Papa nella sua sede naturale.

Nella città dei sette colli Brigida giunse finalmente nell'autunno del 1349. Alloggiò inizialmente in un edificio situato nei pressi dell'attuale Palazzo della Cancelleria, per poi trasferirsi, quattro anni dopo, in una casa di proprietà di Francesca Papazuri, presso l'allora Campo de' Fiori, l'attuale piazza Farnese. La missione cui era chiamata le fu indicata dalla Vergine Maria in una visione, secondo la quale "se tutti i giardini del mondo intero fossero messi insieme e confrontati con Roma, sicuramente essa sarebbe tanto ricca di martiri quanto quelli, poiché questa città è stata eletta per l'amore di Dio".

I tempi tuttavia erano tristi. Il messaggio udito da Brigida così proseguiva:  "Anticamente in questa città dimorava la giustizia, e i suoi principi erano i principi della pace. Adesso essa si è data al peccato ed i suoi principi sono assassini. O Roma, se tu conoscessi i tuoi giorni, piangeresti di certo e non ti rallegreresti". Si ritrova qui l'eco delle grandi profezie dell'Antico Testamento. Ma in quella Roma antica e maestra, in quel momento storico difficile, fu una straniera, una donna del Nord Europa, a essere chiamata alla profezia.

La decadenza spirituale della città, riflessa nello stato di abbandono in cui versava, apparve evidente agli occhi di Brigida. Non sempre però le sue parole profetiche trovarono ascolto. Talvolta provocarono forte irritazione nei romani, che la accusarono d'eresia e stregoneria, e minacciarono di metterla al rogo. Durante i lunghi anni romani Brigida fu più volte sul punto di scoraggiarsi, vedendo allontanarsi il sogno del ritorno del Papa. Anche i successori di Clemente vi si rifiutarono di esaudirla.

Fu allora che emerse, nelle difficoltà, un altro aspetto importante della sua spiritualità:  non aver paura di andare controcorrente, e non rassegnarsi quando l'entusiasmo si affievolisce.

La sua voce mise gli uomini dinanzi alla scelta fra vita eterna e morte eterna. Fu sempre voce di un profeta che ammoniva e non andava alla ricerca del successo mondano. Le difficoltà che incontrò furono accettate alla luce della passione del Signore, dell'umanità di Gesù sofferente per gli uomini. Brigida, in quei momenti, divenne partecipe della passione e sperimentò la medesima esperienza di Francesco d'Assisi, che aveva incontrato misticamente il 4 ottobre 1351 a Ripa in Trastevere, accogliendo l'invito del poverello "ad andare nella sua stanza", cioè a recarsi in pellegrinaggio ad Assisi. Nel frattempo, una visione dell'apostolo Pietro la confermava nella speranza:  "Ti dico - furono le sue parole - che sarai ancora in vita quando si udirà il grido "Viva il vicario di Pietro!". Tu lo vedrai con i tuoi occhi, poiché io demolirò il monte della lussuria, e coloro che si siedono sopra cadranno giù".

A Clemente vi, morto nel 1352, successe Innocenzo vi, che scelse di perpetuare la cattività. Il primo Papa che Brigida riuscì a incontrare fu Urbano v, eletto nel 1362. Il 30 aprile 1367 questi, pur essendo originario della Francia meridionale, lasciò Avignone e, dopo aver trascorso l'estate a Viterbo, il 16 ottobre fece il suo ingresso a Roma. Dove, un anno e mezzo dopo, il 1° novembre 1368, l'imperatore Carlo fu solennemente incoronato. Segno che anche il potere imperiale ritornava a sottomettersi a Roma, e dunque che il sogno di unità per il quale Brigida aveva tanto lavorato e sofferto, era finalmente sul punto di realizzarsi. Purtroppo però il Papa, dopo alcuni anni, decise di trasferirsi nuovamente ad Avignone, nella sua terra, nonostante gli insistenti tentativi di Brigida di farlo desistere da tale proposito, che la santa avvertiva contrastante con la volontà di Dio.

Le speranze si riaccesero con l'elezione  al  soglio  pontificio  di  Gregorio xi, il cardinale Pierre Roger, figura ben nota a Brigida, ormai anziana. Di nuovo, nella sua vita si fece sentire la voce del Signore che invitava a partire ancora, proprio lei, ormai stanca e affaticata:  "Parti ora da Roma e va' a Gerusalemme! Perché dai colpa alla tua vecchiaia? Io sono il Creatore della natura. Io posso indebolire e rafforzare  la natura come a me piace. Io sarò con voi, guiderò il vostro cammino e vi condurrò da Roma e sul ritorno, e vi fornirò tutto il necessario, anche più di quanto abbiate mai avuto prima".

Gerusalemme! Una donna ormai quasi settantenne, in tempi così difficili, poteva gettarsi in una simile impresa solo affidandosi esclusivamente al sostegno di Dio. Fu quello il suo bastone di pellegrina. Il 14 marzo 1372 Brigida salpò da Napoli e l'11 maggio giunse nella città santa, dove, nella cappella del Monte Calvario, avrebbe ricevuto alcune delle visioni più profonde del venerdì santo. Vi rimase oltre quattro mesi, frequentando assiduamente la basilica del Santo Sepolcro, prima d'iniziare il viaggio di ritorno. Anche nel suo ultimo anno di vita, a Roma, la santa tornò a impegnarsi nella missione di far tornare il Papa e di riformare la Chiesa.

L'intera vita di Brigida è stata dunque un pellegrinaggio sulle orme di Cristo, degli apostoli e dei santi, passando per Roma fino a Gerusalemme. Ma la storia di questa donna del Nord si ripropone oggi, all'inizio di questo nuovo millennio, come un paradigma di vita cristiana. In un tempo in cui era difficile viaggiare, Brigida volle uscire dalla sua terra e dal suo mondo. E il suo cammino fu benedetto soprattutto dalle visioni, sempre più frequenti, che la guidavano e l'orientavano nel vasto mondo della Chiesa e dei popoli.

Il suo carisma rifulse durante il giubileo del 1350, in una Roma difficile e piena di tensioni. Si realizzò allora, una volta di più nella storia della Chiesa, quell'incontro tutto particolare, stretto, affettuoso, essenziale, tra il ministero di Pietro e il carisma profetico  di una santa. In passato, Innocenzo iii aveva intuito che il poverello d'Assisi avrebbe sorretto la basilica del Laterano prossima a crollare, con un'immagine ovviamente riferita alla crisi della Chiesa di Roma. Brigida, con il suo carisma, ma senza sostituirsi all'autorità gerarchica, affermò il legame inscindibile tra il Papa e Roma.

La sua vicenda mostra ancora oggi a tutti il bisogno d'una Chiesa unita e apostolica, seppure provata dai tempi e dalle debolezze umane; di una Chiesa in cui vi sia posto per tanti, per i molteplici ministeri, per i diversi carismi, per tutti. A dieci anni di distanza, risuonano pertanto ancora nella loro saggezza le parole di Papa Wojtyla nel proclamare Brigida una delle "tre sante per la casa comune" d'Europa:  "Santa Brigida rinvia all'estremo Nord dell'Europa, dove il Continente quasi si raccoglie in unità con le altre parti del mondo". È questa unità che Brigida ci chiede di continuare a perseguire con convinzione. (marco impagliazzo)


(©L'Osservatore Romano - 23 luglio 2009)

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Caterina63
00mercoledì 7 ottobre 2009 18:17
L'Europa e i suoi santi patroni

Da dove veniamo


di Antonio Zanardi Landi

Una grande mostra volta a sottolineare la forza e la profondità delle radici cristiane dell'Europa e della sua identità culturale. Di un'Europa intesa come Giovanni Paolo II la intendeva, costituita dai "due polmoni" dell'est e dell'ovest e in cui il mondo ortodosso e slavo ha anch'esso un'importanza primaria.
 
Quando ebbi modo di parlargliene, ormai un anno e mezzo fa, l'onorevole presidente del Consiglio riconobbe immediatamente la valenza dell'iniziativa tanto in termini ideali e di principio, quanto sotto l'aspetto della comunicazione e mi incoraggiò a seguire il percorso ambizioso e non facile che ha portato alla realizzazione della mostra "Il potere e la grazia.

I santi patroni d'Europa", presentata a Palazzo Venezia. È questo un modo concettualmente semplice, ma efficace, per evidenziare quella eredità ideale e spirituale cristiana che è percepita dalla maggioranza degli italiani, praticanti e non, e di farlo in maniera culturalmente impegnata e non antagonizzante, con un invito alla lettura della nostra storia e al dialogo. La ricerca su come molte figure storiche riconosciute come santi dalla Chiesa abbiano contribuito a forgiare l'identità culturale dei propri Paesi, e anche talvolta a favorirne la costituzione in entità statali, serve a chiarire anche la nostra identità attuale di italiani e di europei, vuol essere un aiuto a capire da dove veniamo e dove vogliamo andare, come singoli e come cittadini di quella grande entità politica, oltre che economica, ancora in fieri che è l'Europa.

Per questo sono convinto che questa mostra, che è un gesto importante del Governo nei confronti della Chiesa e della componente cattolica del Paese, possa essere fruita e goduta anche in un'ottica puramente laica e apprezzata appunto come ricerca, per quanto non esaustiva, di definizione dell'identità delle nostre società. Solo con una percezione chiara e orgogliosa delle nostre tradizioni, della nostra cultura, dei fondamenti stessi del nostro vivere insieme, potremo aprirci serenamente all'accoglienza, al confronto arricchente con lo straniero, al dialogo con chi ha una fede diversa dalla nostra o non ha alcun credo religioso.

Santa Caterina da SienaPer un'Ambasciata non dotata di istituto di cultura e operante, caso unico al mondo, nella propria capitale, l'impegno per la ricerca dei finanziamenti necessari e per l'organizzazione della mostra, assieme al Polo museale di Roma, al Comitato di San Floriano e a Mondo mostre, è stato considerevole e protratto. Si è trattato di un esperimento nuovo che ha dato, credo, dei buoni frutti sia perché siamo riusciti a vedere realizzata l'idea proposta nella primavera dello scorso anno da monsignor Angelo Zanello e don Alessio Geretti, sia perché siamo riusciti a lavorare in perfetta armonia con tutte le amministrazioni coinvolte e a instaurare un'atmosfera di intesa e amicizia con sponsor e collaboratori. Si è trattato anche di un esperimento di comunicazione di vaste proporzioni in cui l'Ambasciata si è sforzata di interpretare fedelmente e di presentare agli interlocutori della Santa Sede e al pubblico le impostazioni date dal Governo al rapporto con il mondo cattolico e la Chiesa.

Da ultimo, sia pure in patria, l'Ambasciata ha applicato un metodo di promozione degli interessi del Paese e del sistema Italia già largamente praticato all'estero dalle nostre rappresentanze e che consiste nell'identificare esempi e aree di assoluta eccellenza e su questi far leva per presentare al meglio l'immagine dell'Italia con ricadute benefiche anche su altri settori di attività.

Il fatto che la mostra "Il potere e la grazia. I santi patroni d'Europa" sia, come altre sei che l'hanno preceduta, originata da un villaggio della montagna carnica di circa trecentocinquanta abitanti è, a mio parere, un fenomeno di vivacità culturale e di capacità organizzativa tutto italiano e che ben si presta a essere proposto anche all'estero per sottolineare alcuni dei tanti aspetti straordinariamente positivi delle nostre realtà.



L'identità del vecchio continente


Il rapporto tra fede e cultura, tra comunità politica e Chiesa, è in continuo mutamento, nella perenne ridefinizione del rapporto tra coscienza e società. Come si è evoluto questo processo nel corso dei secoli vuole raccontarlo la mostra "Il potere e la grazia. I santi patroni d'Europa", aperta al pubblico dall'8 ottobre al 10 gennaio 2010 al Palazzo Venezia di Roma, che spicca già per il riuscito elegante allestimento. Un'occasione per cogliere in controluce sulla mappa del vecchio continente la filigrana del rapporto tra Chiesa e comunità politica, decisivo per comprendere lo sviluppo della storia europea.
I settanta santi patroni, tradizionali o proclamati, dei diversi popoli europei hanno ispirato nei secoli espressioni delle arti, della liturgia, della mistica e della religiosità popolare.

A tutto questo rende omaggio un'esposizione costruita come un grande racconto che ripercorre, dall'epoca dei martiri e della Roma imperiale fino al XX secolo, le principali tappe della storia del continente. Il tentativo è quello di usare il fascino del bello per dare un contributo al dibattito culturale contemporaneo sulle questioni delle identità, della laicità, delle civiltà e delle religioni. L'intreccio tra potere, religione e arte è scandagliato attraverso una serie di capolavori noti e meno noti, alcuni davvero straordinari. Articolata in dieci sezioni, la mostra - il cui catalogo è curato da Alessio Geretti e Serenella Castri - parte da un'introduzione al mondo dei santi tra Europa occidentale e orientale, per aiutare il visitatore a percepire in cosa consista la santità e come possa toccarne con mano le diverse forme in cui si manifesta.

A questo scopo sono state scelte, tra le altre, opere come il trittico San Martino e il povero di Cima da Conegliano, la Madonna e bambino con Caterina da Siena, Rosa di Lima e Agnese di Montepulciano di Giambattista Tiepolo e l'Immacolata Concezione di Bartolomé Esteban Murillo. Dalla seconda alla quinta sezione si ricostruiscono le principali tappe della storia della santità antica e, parallelamente, della vicenda della cristianizzazione dell'Occidente:  dal culto delle reliquie e delle sepolture dei martiri, ai grandi pellegrinaggi. Ecco allora opere come Il martirio di san Pietro del Guercino, San Benedetto di Hans Memling, Storie di san Nicola di Ambrogio Lorenzetti o Storie di Thomas Becket di Michael Pacher.

Subito dopo si aprono tre sezioni di particolare rilievo, incentrate su re santi, cavalieri di Dio e santi della mistica e della carità. È l'occasione questa per rievocare la lotta del potere contro la santità, come nel caso dei martiri uccisi da sanguinari sovrani o da congiure di palazzo prima di diventare patroni dei loro popoli. Si indaga sugli intrecci tra santità e potere, che a volte si sintetizzano in una stessa persona nelle figure di sovrani santi e fondatori della patria, come Stefano d'Ungheria o Olav di Norvegia.

La nona sezione presenta invece una sorta di testamento dei sei santi patroni d'Europa:  Benedetto da Norcia, Cirillo e Metodio di Tessalonica, Caterina da Siena, Brigida di Svezia e Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein. Attraverso sei scritti, scelti come cifra della loro eredità spirituale e culturale, si cerca di ricostruire il codice genetico del continente, prima di condurre il visitatore nella sezione finale che conclude il percorso riportando l'attenzione sul rapporto tra potere e grazia attraverso il San Giovanni Battista del Caravaggio, L'imperatore Teodosio e sant'Ambrogio all'entrata della cattedrale di Milano di van Dyck, Il tributo della moneta di Bernardo Strozzi e Ritratto di Tommaso Moro di Holbein.

Quattro opere che pongono interrogativi e indicano sentieri sui quali la civiltà occidentale e il cristianesimo possono continuare a confrontarsi. 

 


(©L'Osservatore Romano - 8 ottobre 2009)
Caterina63
00giovedì 8 ottobre 2009 18:59

Nella serata di mercoledì 7 ottobre il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, insieme con il presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana, Silvio Berlusconi, ha inaugurato a Palazzo Venezia, a Roma, la mostra "Il Potere e la Grazia. I santi patroni d'Europa".

Italy's Prime Minister Silvio Berlusconi (L) and Vatican Secretary of State Italian cardinal Tarcisio Bertone pose during the opening of a painting exhibition in Rome October 7, 2009.

Erano presenti, tra gli altri, i cardinali Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, Julián Herranz, Sergio Sebastiani, e Albert Vanhoye; gli arcivescovi Luciano Suriani, nunzio apostolico, delegato per le Rappresentanze Pontificie, Giuseppe Bertello, nunzio apostolico in Italia, Andrea Bruno Mazzocato, nominato il 2o agosto scorso arcivescovo di Udine, e il suo predecessore Pietro Brollo, attuale amministratore apostolico dell'arcidiocesi.

Numerose le personalità politiche, militari e diplomatiche, tra le quali Giulio Tremonti, ministro dell'Economia e delle Finanze, Andrea Ronchi ministro delle Politiche europee, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, l'ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede, Antonio Zanardi Landi, l'ambasciatore di Honduras presso la Santa Sede, Alejandro Emilio Valladares Lanza, il critico d'arte Vittorio Sgarbi, sindaco di Salemi, e il direttore del nostro giornale.



(©L'Osservatore Romano - 9 ottobre 2009)

                               Italian Prime minister Silvio Berlusconi (R) and State Secretary of The Vatican Cardinal Tarcisio Bertone (L) cut the ribbon to inaugurate the exhibition 'Il Potere e la Grazia' (Power and Grace) at the Venezia palace on October 7, 2009 in Rome.
Caterina63
00giovedì 15 ottobre 2009 00:07
Edith Stein e la preghiera

La scala di Giacobbe


Una delle relatrici del secondo congresso internazionale "Mística y pensamiento contemporáneo", svoltosi ad Ávila e dedicato alla figura di Edith Stein - nel decennale della sua proclamazione a compatrona d'Europa - ha sintetizzato per "L'Osservatore Romano" il suo intervento.

di Cristiana Dobner


L'avventura esistenziale di Edith Stein mostra due volti:  conoscitivo, con la sua proiezione sulla scena filosofica, e mistico, nello sviluppo della sua vita interiore; senza luogo di frattura, di dicotomia e neppure di soggezione dell'uno all'altro, evitando lo scoglio di pesanti ricadute dal sapore di rinuncia antropologica. Come vi riuscì? Con la scoperta dell'empatia, dell'Einfühlung. L'aspetto quanto mai intrigante è il reale nesso fra tutto il suo pensiero antropologico e la sua spiritualità carmelitana:  abitavano in lei due fonti, la "fonte vitale", il soggetto e il corpo, intesi secondo la scuola di Husserl, e la "fonte nascosta", l'essere dell'anima che vennero ricomponendosi in una sintesi, in cui ciascun elemento acquisì la sua portata e la sua consistenza esatta, un continuum che non conosce frattura fra vita della mente e relazione con Dio, secondo la spiritualità del Carmelo.

Per la fenomenologa la riflessione filosofica è "un abbozzo del senso del suo vivere", mentre la relazione personale fra la persona e Dio, cioè la mistica, si trova al vertice di somiglianza e differenza. Stein ha letto, con metodo fenomenologico, Teresa di Gesù e Giovanni della Croce, il loro esperire la relazione con Dio, e vi ha portato chiarezza di pensiero, in sintesi di ragione filosofica, riflettendo sulla figura umana, delineata non come oggetto di leggi deterministiche ma quale fulcro di intersoggettività con se stessa, gli altri e Dio, in un tempo storico e culturale in cui tale ottica si stagliava fra il disorientamento e i frammenti abbandonati che non riuscivano a ricomporsi in un'unità. Chiaramente consapevole della possibile confusione che si potrebbe creare fra ambiti creduti affini; per questa ragione ne definisce i campi.

Stein delinea la genesi della sua ricerca sull'empatia e la colloca in un seminario di Husserl sulla natura e lo spirito, in cui il maestro parlava di un'esperienza che definiva Einfühlung, "ma non spiegava in che cosa consistesse". L'empatia però conobbe in lei uno sviluppo ulteriore. Nel corso della fatidica notte di Bad Bergzabern, la filosofa sperimentò Dio come fonte di senso, salvezza nel dolore, nell'angoscia e nell'assurdo, e Gesù Cristo come "la "via" al di fuori della quale nessuno arriva al Padre". Cercava non essendo ancora credente, ma "accolse" il dono di grazia.

Da questo momento in poi, Edith Stein esprime due sfaccettature di sé:  la vita dello spirito e la vita nel mondo, con la certezza della "strada del cielo". L'esperire l'iniziativa di un Altro è simultanea per lei alla sua percezione di vita carmelitana e quindi della "salita" al senso dell'essere, cioè il cammino dei mistici che intraprese sui due fronti:  intellettuale ed esperienziale. È possibile quindi un'affermazione, per certi aspetti audace:  "Stein luogo di riflessione filosofica e di esperire mistico", che vuole dedicarsi a una filosofia costruita in modo particolare, una "filosofia della vita". Apre infatti sentieri e riflessioni proprie, illuminando le modalità dell'alterità, quando questa si presenti alla coscienza conoscente, proprio con l'atto empatico, cioè con il "rendersi conto", tuttavia si schiude pure a una conoscenza mistica perché l'incontro postula due persone che si riconoscono. In questa intuizione, Edith Stein traduceva il suo profondo ascolto della vita femminile.

Negli scritti posteriori alla conversione di Stein però non troviamo una ricerca specifica di approfondimento sull'empatia; non solo, il termine spesso neppure ricorre. Tuttavia rimane l'impianto preciso dell'empatia che dimostrerà un volto di pienezza diverso, ormai teologico e diventerà l'"atto della relazione personale-esistenziale Io-Tu" e investirà tutta la sfera dell'esperienza religiosa esprimendosi come agape, come dono.
Stein vive l'adesione e l'accoglienza interiore, che diventano esperire vitale e oggettivo, e si palesano nella preghiera contemplante, nell'ascoltare e nel gustare, in quella che Giovanni della Croce chiama "avvertenza amorosa"; ormai coglie per via empatica il Signore Presente, non cerca giudizi, ma esperisce immediatamente. Giovane studentessa aveva definita l'empatia lo strumento per la conoscenza di sé nel rapporto con gli altri, ormai carmelitana e studiosa matura, ne Il castello dell'anima, aveva indicato la stessa postura come "la porta del rapporto con gli uomini", senza peraltro servirsi del termine empatia, perché ormai la sua indagine si muoveva in campo prettamente spirituale.

Su questa postura si apre, quasi a fioritura, la via della conoscenza di sé attraverso l'unione con Dio. La relazione fra la persona e Dio non è forse un atto personale ed esistenziale di relazione, non è atto empatico? Edith Stein non aveva definito l'empatia "atto fondamentale degli atti", "atto dell'amore", apertura amorosa in cui trovano senso tutti gli atti di un essere umano. La relazione con Dio non si dimostra quindi l'atto fondamentale, l'atto di amore per eccellenza? Se l'empatia è rivolta e sperimentata con tutte le altre persone, perché non si può sperimentare anche con l'Uomo-Dio, con Gesù?

Perché Edith Stein, in questo contesto e in tutto il laborioso travaglio della ricerca non si è mai servita del termine empatia, mentre il procedimento si lascia scorgere ed è usato? Perché è la fede ormai a determinare questa scelta optata deliberatamente. La visione del mondo e della persona instauratasi è prettamente teologica e mistica, in questo rapporto l'Io di Dio non è soggetto o oggetto di empatia ma di accoglimento nella fede; nella relazione invece fra Dio e la persona l'empatia è atto fondante e mostra il suo volto di orazione. In questo senso scrive:  "La preghiera è la più grande opera di cui lo spirito dell'uomo sia capace. Ma non è solo opera umana. La preghiera è una scala di Giacobbe, su di cui lo spirito dell'uomo sale a Dio e la grazia di Dio scende all'uomo".

In Edith Stein, giovane fenomenologa, mancava l'interesse metafisico con il suo fondale che, invece, emergerà quando conoscerà Teresa di Gesù e Il castello interiore, mentre Giovanni della Croce le donerà il centro interiore che lei saprà assumere e declinare fenomenologicamente, diventando così canto di unità dell'intera esperienza vissuta della fenomenologa e dell'esperire della mistica.


(©L'Osservatore Romano - 15 ottobre 2009)
Caterina63
00martedì 9 marzo 2010 23:39
Edith Stein dalla fenomenologia husserliana al lager di Auschwitz-Birkenau

Dio mi ha liberata da una vita deprimente


di Claudio Toscani

Proprio per le figure più "praticate" o le opere più lette, per i personaggi più studiati o i più analizzati si verificano ogni tanto operazioni critiche, saggi o monografie, che stabiliscono un imperioso punto e a capo.

Per quanto riguarda l'immensa bibliografia sulla vita e sugli scritti di Edith Stein (1891-1942), protagonista della filosofia tedesca nella stagione della fenomenologia husserliana, il volume di Francesco Salvarani a lei dedicato (E.S. La grande figlia d'Israele, della Chiesa e del Carmelo, Milano, Edizioni Ares, 2009, pagine 568, euro 25, postfazione di Angela Ales Bello), realizza, sia un'aggiornata indagine esistenziale, sia il vaglio "verticale" di una rara vocazione alla santità. Non per nulla questo libro ha richiesto al suo autore, sacerdote emiliano ex docente di lettere e di filosofia, vent'anni di lavoro.

Undicesima figlia di una coppia di ebrei molto religiosa, Edith Stein, di vivace e brillante intelligenza fin dall'infanzia, inclina ben presto a una visione razionalistica della vita, alla quale consegue un netto distacco dalla religione ("in piena coscienza e per libera scelta smisi di pregare"). Dopo la maturità, nel 1911, si iscrive alla facoltà di Germanistica, storia e psicologia, all'università di Breslavia, e scoprendo la corrente fenomenologica di Edmund Husserl (1859-1938) si trasferisce all'università di Gottinga per  seguirne  le lezioni (ne diverrà poi assistente e discepola, curandone infine alcuni scritti lasciati dopo la morte).

Husserl veniva affermando un nuovo concetto di verità, come ritorno alle cose in se stesse, i "fenomeni", non mere apparenze contrapposte a ipotetiche realtà oggettive. "Fenomeni" come manifestazioni originarie della coscienza, che si verificano attraverso eventi o elementi nella loro pura forma, essenza, idea. Il procedimento fenomenologico, allora, esige la preliminare sospensione di ogni giudizio o pregiudizio, di ogni senso comune o sapere scientifico, per cui ogni teoria viene posta tra parentesi e il fenomeno emerge nella sua genuinità, in "carne ed ossa" può dirsi.

Vero è che Husserl, verso la fine, riterrà di sviluppare la sua filosofia in senso trascendentale, terreno dal quale la Stein si distanziò da lui, ma resta anche vero che la sua "dottrina", globalmente intesa, condusse non pochi dei suoi studenti verso la fede cristiana, dimensione alla quale la Stein, per prima, e più intensamente di altri, affidò la sua esistenza.

A Gottinga Edith incontra anche il filosofo Max Scheler - che, da convertito, richiamerà l'attenzione della giovane amica e collega verso il cattolicesimo - e il filosofo del diritto Adolph Reinach.
Quando scoppia la bomba del regicidio serbo, la conseguente prima Grande Guerra la vedrà crocerossina, in deroga ai voleri della madre, pur continuando, tra malati, medici, trasferte e reparti, la preparazione della tesi, conseguita a Friburgo, summa cum laude nel 1917 con Husserl, Sul problema dell'empatia.

Prima di Friburgo, sosta a Francoforte presso un'amica.

"Entrammo per qualche minuto nel Duomo e mentre eravamo lì in rispettoso silenzio entrò una donna con il suo cesto della spesa e si inginocchiò in un banco per una breve preghiera. Nelle sinagoghe e nelle chiese protestanti ci si recava solo per la funzione religiosa. Qui invece qualcuno era entrato nella chiesa vuota, nel mezzo delle sue occupazioni quotidiane, come per andare a un intimo colloquio".
Ricordo che, rimasto vivo nell'animo, darà i suoi frutti. Tutto si accelera alla morte dell'amico Reinach.

Visitandone la moglie e credendo di trovarla affranta o disperata, è invece colpita dalla sua serenità. Ciò che non è nei piani della Stein è nei piani di Dio, e lei se ne accorge tornando sui cardini speculativi della sua fenomenologia, di una filosofia della storia di cui sente i limiti, d'una storia stessa che avverte essere solo minimamente nelle mani dell'uomo ("... mi sto avvicinando sempre più a un cristianesimo assolutamente positivo. Mi ha liberata da una vita deprimente, dandomi la forza di accettare di nuovo e con riconoscenza la vita").

Nel cammino verso la conversione, Edith Stein si imbatte in molte letture:  fra altre, il Kierkegaard di Esercizio del cristianesimo (che non condivide) e Teresa d'Avila (proprio come reazione alle pagine del filosofo danese). Una notte d'estate del 1921, tenendo fra le mani una biografia della santa, esclama:  "Ecco la verità".

Qualcosa di nuovo e definitivo è accaduto in lei, nella più intima chiarezza del suo spirito, a conclusione di una assidua e faticosa ricerca. In quello di Teresa, Edith legge il suo destino. Il suo futuro è scritto:  farsi cristiana, cattolica, carmelitana. Anche se la fiera, a volte straziata, opposizione della madre, che giungerà a respingerla da casa, la angoscia a morte.
A capodanno del 1922 è il battesimo, il 2 febbraio dell'anno dopo la cresima, ma solo la sera del 14 ottobre 1933 si apre per lei la ormai sempre più desiderata clausura.

Intanto - apprendendo da san Tommaso "che era possibile mettere la conoscenza al servizio di Dio" - accetta di insegnare a Spira, interessandosi delle fasce sociali più svantaggiate; tiene conferenze, tra Germania, Austria e Svizzera, coniugando fenomenologia e spirito della filosofia scolastica, divulgazione e ricerca della volontà divina; accetta anche una docenza a Münster quando a Spira le vengono vietate le lezioni. Hitler si è ormai insediato al potere e la sua lotta contro gli ebrei, non potendo essere se non anche odio verso la cristianità, si riassume nella Stein in una doppia persecuzione.

Neanche oltre la soglia del Carmelo sarà al sicuro, perché il 2 agosto del 1942, sarà prelevata dalle SS, assieme alla sorella Rose, lei pure convertitasi, e costretta verso il lager di Auschwitz-Birkenau.


(©L'Osservatore Romano - 10 marzo 2010)
Caterina63
00sabato 25 agosto 2012 17:11

Lo stupore per le tre nuove patrone d’Europa


Alcune riflessioni del prefetto della Congregazione dei vescovi sulle tre sante: Brigida di Svezia, Caterina da Siena e Teresa Benedetta della Croce


del cardinale Lucas Moreira Neves da 30giorni 1999


La messa solenne per l’apertura del secondo Sinodo per l’Europa celebrata il 1° ottobre scorso nella Basilica di San Pietro

La messa solenne per l’apertura del secondo Sinodo per l’Europa celebrata il 1° ottobre scorso nella Basilica di San Pietro

All’omelia della messa inaugurale del secondo Sinodo per l’Europa, la mia mente di non europeo è stata colta dapprima da stupore per l’annuncio di tre nuove patrone celesti per il vecchio continente. Perché il gesto del Papa? E perché le tre sante: Brigida di Svezia, Caterina da Siena e Edith Stein? Poi, la lettura del motu proprio, significativamente chiamato Spes aedificandi(la speranza di costruire un mondo più giusto e degno dell’uomo alla soglia del terzo millennio), e lo stesso svolgimento del Sinodo hanno trasformato lo stupore in comprensione.

La partecipazione al Sinodo mi ha convinto che quelle tre indimenticabili settimane, con l’infinita ricchezza dei temi discussi, hanno avuto finalmente un solo tema: è in corso una ricerca teorica e pratica dell’unità dell’Europa, sognata per quarant’anni dai più grandi europei (Jean Monnet, Robert Schuman, Giorgio La Pira, Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi); questa unità si va costruendo lentamente sul piano economico, politico, diplomatico, giuridico; non appare ancora all’orizzonte il bagliore di una unità spirituale; eppure «per edificare la nuova Europa» non basta la ricerca della tolleranza e del rispetto universale, bisogna sconfiggere «l’indifferentismo etico e lo scetticismo sui valori irrinunciabili». Ci vuole una unità rinsaldata dalla legge morale, dall’apertura al Trascendente e dunque dalla collaborazione attiva dei cristiani. Una politica dell’unità senza una cultura e un’etica dell’unità porterebbe, domani o dopo, a un fallimento e a nuove fratture e divisioni.
Evocando – e invocando – le figure delle tre sante, Giovanni Paolo II invita chiaramente l’Europa a questa prospettiva spirituale.

Tre santi erano già stati proclamati patroni dell’Europa: Benedetto, che tramite i suoi monaci ha dato il primo impulso all’unificazione del continente, e i due fratelli, il monaco Cirillo e il vescovo Metodio, pionieri dell’evangelizzazione del mondo slavo e dell’Europa orientale. In un momento di vigorosa – talvolta violenta e sfrenata – affermazione dei valori femminili, il Papa ha avuto l’ispirazione di proporre tre sante patrone. Era difficile scegliere in un elenco di grandi sante europee da Clotilde a Giovanna d’Arco, da Elisabetta di Ungheria a Elisabetta di Scozia, da Teresa d’Avila a Teresa del Bambin Gesù. La scelta è caduta su tre sante che simboleggiano tre aspetti dell’unità dell’Europa.
In Brigida (1303-1373), sposata al devoto Ulf e madre di otto figli, fra i quali la dolce santa Caterina, Giovanni Paolo II addita all’Europa l’immagine della famiglia. Il Sinodo ha fortemente e chiaramente ribadito l’importanza della famiglia e insieme l’urgenza di riscattare la famiglia europea da tanti mali che la insidiano: divorzio, contraccezione, incomprensione fra gli sposi e fra genitori e figli, disoccupazione, consumismo, ecc. La sposa e madre Brigida è chiamata a vegliare specialmente sulla famiglia. Ma spiccano nella personalità di santa Brigida alcuni aspetti da non dimenticare: il fatto che, venendo da una famiglia aristocratica, non ne abbia fatto una barriera ma un cammino verso la pratica della carità; la sua vocazione a un’alta vita mistica piena di fenomeni straordinari, estasi e rivelazioni; la devozione al successore di Pietro che l’ha spinta a venire a Roma e, soprattutto, il carisma grazie al quale è diventata la fondatrice e promotrice dell’Ordine del Santissimo Salvatore, consacrandosi a Dio nella seconda parte della sua vita.

In Caterina (1347-1380), ventitreesima figlia di un umile lavandaio, è posta in rilievo la fervida e instancabile azione contro conflitti e divisioni, contro tutti i fermenti di guerra, e risalta l’impegno per la pace nella Chiesa e nella società. Sono conosciute le sue lettere infuocate a papi e cardinali, a re e uomini politici, a frati e sacerdoti dell’Europa per fare di loro artefici di pace e di unità. Ma è ugualmente apprezzabile la sua profonda spiritualità alla scuola di san Domenico, la sua intimità con Cristo suggellata dalla consegna dell’anello nuziale, la sua guida carismatica di centinaia di “caterinati”, discepoli e discepole, che orienta in un generoso servizio alla Chiesa e alla società. Né va lasciata in oblio la sua condizione di donna povera, di umili natali, per molto tempo analfabeta e pertanto naturalmente esclusa, se non ci fosse stata in lei una speciale grazia di Dio.

Il cardinale Lucas Moreira Neves

Il cardinale Lucas Moreira Neves

In Teresa Benedetta della Croce (1891-1942), l’aspetto maggiormente messo il rilievo è quello intellettuale. Edith Stein è soprattutto la filosofa, prima fenomenologa, poi innamorata dell’essere e dell’oggettività della ricerca metafisica, poi ancora tomista. Il suo è, dunque, il patrocinio di una maestra tutta dedita al pensiero e alla meditazione scientifica. Patrocinio quanto mai necessario a un’Europa della ratio, affinché non si chiuda alla luce della fides, a un’Europa che pensa, affinché non ceda alle tentazioni di un illuminismo tramontato ma ostinato. Ma è impossibile non tener presente che è anche un’ebrea, la cui conversione al cristianesimo, anziché rinnegare la sua condizione di figlia del popolo giudeo, le ha fatto scoprire le radici più profonde della sua razza. Del resto la sua vita tormentata e la sua immolazione solidale con il suo popolo nei campi di Auschwitz-Birkenau la trasforma in simbolo vivente del superamento dei limiti etnici, delle lotte razziali, della divisione per motivi religiosi. Con la sua opzione per il Carmelo, santa Teresa Benedetta, mistica alla pari di Brigida e Caterina, aiuterà l’Europa del progresso, delle fabbriche e del frastuono di una civiltà superattiva a riscoprire il primato della contemplazione, del silenzio, della preghiera.

Nella mirabile e svariata “geografia della santità”, le tre sante patrone ci invitano a spaziare su tutta l’Europa, per i loro natali. Con Brigida andiamo in Svezia e in Scandinavia. È in questa regione dell’Europa che vive gran parte della sua vita, profondamente impegnata in quella civiltà e cultura. E quando, nella seconda tappa dell’esistenza, si reca a Roma e si lascia affascinare dalla città e da quel che essa significa, in quanto centro della Chiesa perché sede di Pietro, non per questo perde le sue radici svedesi più profonde. Scrive in lingua svedese e la sua mistica è tutta improntata a un’anima e a un animus svedesi. Da quando, due secoli dopo la sua morte, la sua patria e la Scandinavia si sono separate dalla Chiesa cattolica, la personalità di Brigida, ammirata da cattolici, da riformati e da non credenti, è diventata un efficace segno di unità e di ecumenismo spirituale. È molto suggestivo che accanto agli altri patroni dell’Europa ci sia anche questa santa di un Paese nordico.

Caterina è italianissima, come Benedetto. È toscana e della sua regione nativa ha la vivacità, la sensibilità, l’amore per la bellezza, la forza di espressione. Anche lei finirà i suoi giorni nell’Urbe, dove è sepolta nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva, al centro di Roma. Invocandola come patrona, è tutta l’Europa meridionale che abbiamo dinanzi agli occhi, questa parte dell’Europa che la giovane senese ha illuminato con le sue parole e con i suoi sforzi.

Teresa Benedetta viene da Wroclaw (Breslavia), allora città tedesca, oggi polacca. È dunque rappresentante dell’Europa centrale e centro-orientale, da dove provengono anche i fratelli Cirillo e Metodio. Ma è vissuta anche in altri Paesi germanici e offre la sua vita in Germania. Parla e scrive in tedesco. È carica di cultura germanica oltre che di ispirazione ebrea.
Nelle tre nuove patrone, l’Europa del nuovo millennio scopre cammini di vita per il suo avvenire. Esse intercedono presso Dio per il destino del continente e gli ottengono il “supplemento di anima” di cui l’Europa ha urgente bisogno, per cominciare questa nuova tappa della sua storia più ricca di umanità.


Caterina63
00sabato 22 giugno 2013 10:29

LETTERA APOSTOLICA
IN FORMA DI «MOTU PROPRIO»
PER LA PROCLAMAZIONE DI
SANTA BRIGIDA DI SVEZIA
SANTA CATERINA DA SIENA
E SANTA TERESA BENEDETTA DELLA CROCE
COMPATRONE D'EUROPA

GIOVANNI PAOLO PP. II
A PERPETUA MEMORIA

 

1. La speranza di costruire un mondo più giusto e più degno dell'uomo, acuita dall'attesa del terzo millennio ormai alle porte, non può prescindere dalla consapevolezza che a nulla varrebbero gli sforzi umani se non fossero accompagnati dalla grazia divina: « Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori » (Sal 127 [126], 1). Di questo non possono non tener conto anche quanti si pongono in questi anni il problema di dare all'Europa un nuovo assetto, che aiuti il vecchio Continente a far tesoro delle ricchezze della sua storia, rimuovendo le tristi eredità del passato, per rispondere con una originalità radicata nelle migliori tradizioni alle istanze del mondo che cambia.

Non c'è dubbio che, nella complessa storia dell'Europa, il cristianesimo rappresenti un elemento centrale e qualificante, consolidato sul saldo fondamento dell'eredità classica e dei molteplici contributi arrecati dagli svariati flussi etnico-culturali che si sono succeduti nei secoli. La fede cristiana ha plasmato la cultura del Continente e si è intrecciata in modo inestricabile con la sua storia, al punto che questa non sarebbe comprensibile se non si facesse riferimento alle vicende che hanno caratterizzato prima il grande periodo dell'evangelizzazione, e poi i lunghi secoli in cui il cristianesimo, pur nella dolorosa divisione tra Oriente ed Occidente, si è affermato come la religione degli Europei stessi. Anche nel periodo moderno e contemporaneo, quando l'unità religiosa è andata progressivamente frantumandosi sia per le ulteriori divisioni intercorse tra i cristiani sia per i processi di distacco della cultura dall'orizzonte della fede, il ruolo di quest'ultima ha continuato ad essere di non scarso rilievo.

Il cammino verso il futuro non può non tener conto di questo dato, e i cristiani sono chiamati a prenderne rinnovata coscienza per mostrarne le potenzialità permanenti. Essi hanno il dovere di offrire alla costruzione dell'Europa uno specifico contributo, che sarà tanto più valido ed efficace, quanto più essi sapranno rinnovarsi alla luce del Vangelo. Si faranno così continuatori di quella lunga storia di santità che ha attraversato le varie regioni d'Europa nel corso di questi due millenni, nei quali i santi ufficialmente riconosciuti non sono che i vertici proposti come modelli per tutti. Innumerevoli sono infatti i cristiani che con la loro vita retta ed onesta, animata dall'amore di Dio e del prossimo, hanno raggiunto nelle più diverse vocazioni consacrate e laicali una santità vera e grandemente diffusa, anche se nascosta.

2. La Chiesa non dubita che proprio questo tesoro di santità sia il segreto del suo passato e la speranza del suo futuro. È in esso che meglio si esprime il dono della Redenzione, grazie al quale l'uomo è riscattato dal peccato e riceve la possibilità della vita nuova in Cristo. È in esso che il Popolo di Dio in cammino nella storia trova un sostegno impareggiabile, sentendosi profondamente unito alla Chiesa gloriosa, che in Cielo canta le lodi dell'Agnello (cfr Ap 7, 9-10) mentre intercede per la comunità ancora pellegrina sulla terra. Per questo, fin dai tempi più antichi, i santi sono stati guardati dal Popolo di Dio come protettori e con una singolare prassi, cui certo non è estraneo l'influsso dello Spirito Santo, talvolta su istanza dei fedeli accolta dai Pastori, talaltra per iniziativa dei Pastori stessi, le singole Chiese, le regioni e persino i Continenti, sono stati affidati allo speciale patronato di alcuni Santi.

In questa prospettiva, celebrandosi la Seconda Assemblea speciale per l'Europa del Sinodo dei Vescovi, nell'imminenza del Grande Giubileo dell'anno 2000, mi è parso che i cristiani europei, mentre vivono con tutti i loro concittadini un trapasso epocale ricco di speranza e insieme non privo di preoccupazioni, possano trarre spirituale giovamento dalla contemplazione e dall'invocazione di alcuni santi che sono in qualche modo particolarmente rappresentativi della loro storia. Per questo, dopo opportuna consultazione, completando quanto feci il 31 dicembre 1980, quando dichiarai compatroni d'Europa, accanto a san Benedetto, due santi del primo Millennio, i fratelli Cirillo e Metodio, pionieri dell'evangelizzazione dell'Oriente, ho pensato di integrare la schiera dei celesti patroni con tre figure altrettanto emblematiche di momenti cruciali del secondo Millennio che volge al termine: santa Brigida di Svezia, santa Caterina da Siena, santa Teresa Benedetta della Croce. Tre grandi sante, tre donne, che in diverse epoche — due nel cuore del Medioevo e una nel nostro secolo — si sono segnalate per l'amore operoso alla Chiesa di Cristo e la testimonianza resa alla sua Croce.

3. Naturalmente il panorama della santità è così vario e ricco, che la scelta di nuovi celesti patroni avrebbe potuto orientarsi anche verso altre degnissime figure, che ogni epoca e ogni regione possono vantare. Ritengo tuttavia particolarmente significativa l'opzione per questa santità dal volto femminile, nel quadro della provvidenziale tendenza che, nella Chiesa e nella società del nostro tempo, è venuta affermandosi con il sempre più chiaro riconoscimento della dignità e dei doni propri della donna.

In realtà la Chiesa non ha mancato, fin dai suoi albori, di riconoscere il ruolo e la missione della donna, pur risentendo talvolta dei condizionamenti di una cultura che non sempre ad essa prestava l'attenzione dovuta. Ma la comunità cristiana è progressivamente cresciuta anche su questo versante, e proprio il ruolo svolto dalla santità si è rivelato a tal fine decisivo. Un impulso costante è stato offerto dall'icona di Maria, la « donna ideale », la Madre di Cristo e della Chiesa. Ma anche il coraggio delle martiri, che hanno affrontato con sorprendente forza d'animo i più crudeli tormenti, la testimonianza delle donne impegnate con esemplare radicalità nella vita ascetica, la dedizione quotidiana di tante spose e madri in quella « chiesa domestica » che è la famiglia, i carismi di tante mistiche che hanno contribuito allo stesso approfondimento teologico, hanno offerto alla Chiesa un'indicazione preziosa per cogliere pienamente il disegno di Dio sulla donna. Esso del resto ha già in alcune pagine della Scrittura, e in particolare nell'atteggiamento di Cristo testimoniato nel Vangelo, la sua espressione inequivocabile. In questa linea si pone anche l'opzione di dichiarare santa Brigida di Svezia, santa Caterina da Siena e santa Teresa Benedetta della Croce compatrone d'Europa.

Il motivo poi che mi ha orientato specificamente ad esse sta nella loro vita stessa. La loro santità, infatti, si espresse in circostanze storiche e nel contesto di ambiti « geografici » che le rendono particolarmente significative per il Continente europeo. Santa Brigida rinvia all'estremo Nord dell'Europa, dove il Continente quasi si raccoglie in unità con le altre parti del mondo, e donde ella partì per fare di Roma il suo approdo. Caterina da Siena è altrettanto nota per il ruolo che svolse in un tempo in cui il Successore di Pietro risiedeva ad Avignone, portando a compimento un'opera spirituale già iniziata da Brigida col farsi promotrice del suo ritorno alla sua sede propria presso la tomba del Principe degli Apostoli. Teresa Benedetta della Croce, infine, recentemente canonizzata, non solo trascorse la propria esistenza in diversi paesi d'Europa, ma con tutta la sua vita di pensatrice, di mistica, di martire, gettò come un ponte tra le sue radici ebraiche e l'adesione a Cristo, muovendosi con sicuro intuito nel dialogo col pensiero filosofico contemporaneo e, infine, gridando col martirio le ragioni di Dio e dell'uomo nell'immane vergogna della « shoah ». Essa è divenuta così l'espressione di un pellegrinaggio umano, culturale e religioso, che incarna il nucleo profondo della tragedia e delle speranze del Continente europeo.

4. La prima di queste tre grandi figure, Brigida, nacque da famiglia aristocratica nel 1303 a Finsta, nella regione svedese di Uppland. Ella è conosciuta soprattutto come mistica e fondatrice dell'Ordine del SS. Salvatore. Non bisogna tuttavia dimenticare che la prima parte della sua vita fu quella di una laica felicemente sposata con un pio cristiano dal quale ebbe otto figli. Indicandola come compatrona d'Europa, intendo far sì che la sentano vicina non soltanto coloro che hanno ricevuto la vocazione ad una vita di speciale consacrazione, ma anche coloro che sono chiamati alle ordinarie occupazioni della vita laicale nel mondo e soprattutto all'alta ed impegnativa vocazione di formare una famiglia cristiana. Senza lasciarsi fuorviare dalle condizioni di benessere del suo ceto sociale, ella visse col marito Ulf un'esperienza di coppia in cui l'amore sponsale si coniugò con la preghiera intensa, con lo studio della Sacra Scrittura, con la mortificazione, con la carità. Insieme fondarono un piccolo ospedale, dove assistevano frequentemente i malati. Brigida poi era solita servire personalmente i poveri. Al tempo stesso, fu apprezzata per le sue doti pedagogiche, che ebbe modo di esprimere nel periodo in cui fu richiesto il suo servizio alla corte di Stoccolma. Da questa esperienza matureranno i consigli che in diverse occasioni darà a principi e sovrani per la retta gestione dei loro compiti. Ma i primi a trarne vantaggio furono ovviamente i figli, e non a caso una delle figlie, Caterina, è venerata come Santa.

Ma questo periodo della sua vita familiare era solo una prima tappa. Il pellegrinaggio che fece col marito Ulf a Santiago di Compostela nel 1341 chiuse simbolicamente questa fase, preparando Brigida alla nuova vita che iniziò qualche anno dopo quando, con la morte dello sposo, avvertì la voce di Cristo che le affidava una nuova missione, guidandola passo passo con una serie di grazie mistiche straordinarie.

5. Lasciata la Svezia nel 1349, Brigida si stabilì a Roma, sede del Successore di Pietro. Il trasferimento in Italia costituì una tappa decisiva per l'allargamento non solo geografico e culturale, ma soprattutto spirituale, della mente e del cuore di Brigida. Molti luoghi dell'Italia la videro ancora pellegrina, desiderosa di venerare le reliquie dei santi. Fu così a Milano, Pavia, Assisi, Ortona, Bari, Benevento, Pozzuoli, Napoli, Salerno, Amalfi, al Santuario di san Michele Arcangelo sul Monte Gargano. L'ultimo pellegrinaggio, compiuto fra il 1371 e il 1372, la portò a varcare il Mediterraneo, in direzione della Terra santa, permettendole di abbracciare spiritualmente oltre i tanti luoghi sacri dell'Europa cattolica, le sorgenti stesse del cristianesimo nei luoghi santificati dalla vita e dalla morte del Redentore.

In realtà, più ancora che attraverso questo devoto pellegrinare, fu con il senso profondo del mistero di Cristo e della Chiesa che Brigida si rese partecipe della costruzione della comunità ecclesiale, in un momento notevolmente critico della sua storia. L'intima unione con Cristo fu infatti accompagnata da speciali carismi di rivelazione, che la resero un punto di riferimento per molte persone della Chiesa del suo tempo. In Brigida si avverte la forza della profezia. Talvolta i suoi toni sembrano un'eco di quelli degli antichi grandi profeti. Ella parla con sicurezza a principi e pontefici, svelando i disegni di Dio sugli avvenimenti storici. Non risparmia ammonizioni severe anche in tema di riforma morale del popolo cristiano e dello stesso clero (cfr Revelationes, IV, 49; cfr anche IV, 5). Alcuni aspetti della straordinaria produzione mistica suscitarono nel tempo comprensibili interrogativi, rispetto ai quali il discernimento ecclesiale si operò rinviando all'unica rivelazione pubblica, che ha in Cristo la sua pienezza e nella Sacra Scrittura la sua espressione normativa. Anche le esperienze dei grandi santi non sono infatti esenti dai quei limiti che sempre accompagnano l'umana recezione della voce di Dio.

Non v'è dubbio, tuttavia, che riconoscendo la santità di Brigida, la Chiesa, pur senza pronunciarsi sulle singole rivelazioni, ha accolto l'autenticità complessiva della sua esperienza interiore. Ella si presenta come una testimone significativa dello spazio che può avere nella Chiesa il carisma vissuto in piena docilità allo Spirito di Dio e nella piena conformità alle esigenze della comunione ecclesiale. In particolare, poi, essendosi le terre scandinave, patria di Brigida, distaccate dalla piena comunione con la sede di Roma nel corso delle tristi vicende del secolo XVI, la figura della Santa svedese resta un prezioso « legame » ecumenico, rafforzato anche dall'impegno in tal senso svolto dal suo Ordine.

6. Di poco posteriore è l'altra grande figura di donna, santa Caterina da Siena, il cui ruolo negli sviluppi della storia della Chiesa e nello stesso approfondimento dottrinale del messaggio rivelato ha avuto riconoscimenti significativi, che sono giunti fino all'attribuzione del titolo di dottore della Chiesa.

Nata a Siena nel 1347, fu favorita sin dalla prima infanzia di straordinarie grazie che le permisero di compiere, sulla via spirituale tracciata da san Domenico, un rapido cammino di perfezione tra preghiera, austerità e opere di carità. Aveva vent'anni quando Cristo le manifestò la sua predilezione attraverso il mistico simbolo dell'anello sponsale. Era il coronamento di un'intimità maturata nel nascondimento e nella contemplazione, grazie alla costante permanenza, pur al di fuori delle mura di un monastero, entro quella spirituale dimora che ella amava chiamare la « cella interiore ». Il silenzio di questa cella, rendendola docilissima alle divine ispirazioni, poté coniugarsi ben presto con un'operosità apostolica che ha dello straordinario. Molti, anche chierici, si raccolsero intorno a lei come discepoli, riconoscendole il dono di una spirituale maternità. Le sue lettere si diramarono per l'Italia e per l'Europa stessa. La giovane senese entrò infatti con piglio sicuro e parole ardenti nel vivo delle problematiche ecclesiali e sociali della sua epoca.

Instancabile fu l'impegno che Caterina profuse per la soluzione dei molteplici conflitti che laceravano la società del suo tempo. La sua opera pacificatrice raggiunse sovrani europei quali Carlo V di Francia, Carlo di Durazzo, Elisabetta di Ungheria, Ludovico il Grande di Ungheria e di Polonia, Giovanna di Napoli. Significativa fu la sua azione per riconciliare Firenze con il Papa. Additando « Cristo crocifisso e Maria dolce » ai contendenti, ella mostrava che, per una società ispirata ai valori cristiani, mai poteva darsi motivo di contesa tanto grave da far preferire il ricorso alla ragione delle armi piuttosto che alle armi della ragione.

7. Caterina tuttavia sapeva bene che a tale conclusione non si poteva efficacemente pervenire, se gli animi non erano stati prima plasmati dal vigore stesso del Vangelo. Di qui l'urgenza della riforma dei costumi, che ella proponeva a tutti, senza eccezione. Ai re ricordava che non potevano governare come se il regno fosse loro « proprietà »: consapevoli di dover rendere conto a Dio della gestione del potere, essi dovevano piuttosto assumere il compito di mantenervi « la santa e vera giustizia », facendosi « padri dei poveri » (cfr Lettera n. 235 al Re di Francia). L'esercizio della sovranità non poteva infatti essere disgiunto da quello della carità, che è insieme anima della vita personale e della responsabilità politica (cfr Lettera n. 357 al re d'Ungheria).

Con la stessa forza Caterina si rivolgeva agli ecclesiastici di ogni rango, per chiedere la più severa coerenza nella loro vita e nel loro ministero pastorale. Fa una certa impressione il tono libero, vigoroso, tagliente, con cui ella ammonisce preti, vescovi, cardinali. Occorreva sradicare — ella diceva — dal giardino della Chiesa le piante fradicie sostituendole con « piante novelle » fresche e olezzanti. E forte della sua intimità con Cristo, la santa senese non temeva di indicare con franchezza allo stesso Pontefice, che amava teneramente come « dolce Cristo in terra », la volontà di Dio che gli imponeva di sciogliere le esitazioni dettate dalla prudenza terrena e dagli interessi mondani, per tornare da Avignone a Roma, presso la tomba di Pietro.

Con altrettanta passione, Caterina si prodigò poi per scongiurare le divisioni che sopraggiunsero nell'elezione papale successiva alla morte di Gregorio XI: anche in quella vicenda fece ancora una volta appello con ardore appassionato alle ragioni irrinunciabili della comunione. Era quello l'ideale supremo a cui aveva ispirato tutta la sua vita spendendosi senza riserva per la Chiesa. Sarà lei stessa a testimoniarlo ai suoi figli spirituali sul letto di morte: « Tenete per fermo, carissimi, che io ho dato la vita per la santa Chiesa » (Beato Raimondo da Capua, Vita di santa Caterina da Siena, Lib. III, c. IV).

8. Con Edith Stein — santa Teresa Benedetta della Croce — siamo in tutt'altro ambiente storico-culturale. Ella ci porta infatti nel vivo di questo nostro secolo tormentato, additando le speranze che esso ha acceso, ma anche le contraddizioni e i fallimenti che lo hanno segnato. Edith non viene, come Brigida e Caterina, da una famiglia cristiana. Tutto in lei esprime il tormento della ricerca e la fatica del « pellegrinaggio » esistenziale. Anche dopo essere approdata alla verità nella pace della vita contemplativa, ella dovette vivere fino in fondo il mistero della Croce.

Era nata nel 1891 in una famiglia ebraica di Breslau, allora territorio tedesco. L'interesse da lei sviluppato per la filosofia, abbandonando la pratica religiosa cui pur era stata iniziata dalla madre, avrebbe fatto presagire più che un cammino di santità, una vita condotta all'insegna del puro « razionalismo ». Ma la grazia la aspettava proprio nei meandri del pensiero filosofico: avviatasi sulla strada della corrente fenomenologica, ella seppe cogliervi l'istanza di una realtà oggettiva che, lungi dal risolversi nel soggetto, ne precede e misura la conoscenza, e va dunque esaminata con un rigoroso sforzo di obiettività. Occorre mettersi in ascolto di essa, cogliendola soprattutto nell'essere umano, in forza di quella capacità di « empatia » — parola a lei cara — che consente in certa misura di far proprio il vissuto altrui (cfr E. Stein, Il problema dell'empatia).

Fu in questa tensione di ascolto che ella si incontrò, da una parte con le testimonianze dell'esperienza spirituale cristiana offerte da santa Teresa d'Avila e da altri grandi mistici, dei quali divenne discepola ed emula, dall'altra con l'antica tradizione del pensiero cristiano consolidata nel tomismo. Su questa strada ella giunse dapprima al battesimo e poi alla scelta della vita contemplativa nell'ordine carmelitano. Tutto si svolse nel quadro di un itinerario esistenziale piuttosto movimentato, scandito, oltre che dalla ricerca interiore, anche da impegni di studio e di insegnamento, che ella svolse con ammirevole dedizione. Particolarmente apprezzabile, per i suoi tempi, fu la sua militanza a favore della promozione sociale della donna e davvero penetranti sono le pagine in cui ha esplorato la ricchezza della femminilità e la missione della donna sotto il profilo umano e religioso (cfr E. Stein, La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia).

9. L'incontro col cristianesimo non la portò a ripudiare le sue radici ebraiche, ma piuttosto gliele fece riscoprire in pienezza. Questo tuttavia non le risparmiò l'incomprensione da parte dei suoi familiari. Soprattutto le procurò un dolore indicibile il dissenso della madre. In realtà, tutto il suo cammino di perfezione cristiana si svolse all'insegna non solo della solidarietà umana con il suo popolo d'origine, ma anche di una vera condivisione spirituale con la vocazione dei figli di Abramo, segnati dal mistero della chiamata e dei « doni irrevocabili » di Dio (cfr Rm 11, 29).

In particolare, ella fece propria la sofferenza del popolo ebraico, a mano a mano che questa si acuì in quella feroce persecuzione nazista che resta, accanto ad altre gravi espressioni del totalitarismo, una delle macchie più oscure e vergognose dell'Europa del nostro secolo. Sentì allora che, nello sterminio sistematico degli ebrei, la croce di Cristo veniva addossata al suo popolo e visse come personale partecipazione ad essa la sua deportazione ed esecuzione nel tristemente famoso campo di Auschwzitz-Birkenau. Il suo grido si fonde con quello di tutte le vittime di quella immane tragedia, unito però al grido di Cristo, che assicura alla sofferenza umana una misteriosa e perenne fecondità. La sua immagine di santità resta per sempre legata al dramma della sua morte violenta, accanto ai tanti che la subirono con lei. E resta come annuncio del vangelo della Croce, con cui ella si volle immedesimare nel suo stesso nome di religiosa.

Noi guardiamo oggi a Teresa Benedetta della Croce riconoscendo nella sua testimonianza di vittima innocente, da una parte, l'imitazione dell'Agnello Immolato e la protesta levata contro tutte le violazioni dei diritti fondamentali della persona, dall'altra, il pegno di quel rinnovato incontro di ebrei e cristiani, che nella linea auspicata dal Concilio Vaticano II, sta conoscendo una promettente stagione di reciproca apertura. Dichiarare oggi Edith Stein compatrona d'Europa significa porre sull'orizzonte del vecchio Continente un vessillo di rispetto, di tolleranza, di accoglienza, che invita uomini e donne a comprendersi e ad accettarsi al di là delle diversità etniche, culturali e religiose, per formare una società veramente fraterna.

10. Cresca, dunque, l'Europa! Cresca come Europa dello spirito, sulla scia della sua storia migliore, che ha proprio nella santità la sua espressione più alta. L'unità del Continente, che sta progressivamente maturando nelle coscienze e sta definendosi sempre più nettamente anche sul versante politico, incarna certamente una prospettiva di grande speranza. Gli Europei sono chiamati a lasciarsi definitivamente alle spalle le storiche rivalità che hanno fatto spesso del loro Continente il teatro di guerre devastanti. Al tempo stesso essi devono impegnarsi a creare le condizioni di una maggiore coesione e collaborazione tra i popoli. Davanti a loro sta la grande sfida di costruire una cultura e un'etica dell'unità, in mancanza delle quali qualunque politica dell'unità è destinata prima o poi a naufragare.

Per edificare su solide basi la nuova Europa non basta certo fare appello ai soli interessi economici, che se talvolta aggregano, altre volte dividono, ma è necessario far leva piuttosto sui valori autentici, che hanno il loro fondamento nella legge morale universale, inscritta nel cuore di ogni uomo. Un'Europa che scambiasse il valore della tolleranza e del rispetto universale con l'indifferentismo etico e lo scetticismo sui valori irrinunciabili, si aprirebbe alle più rischiose avventure e vedrebbe prima o poi riapparire sotto nuove forme gli spettri più paurosi della sua storia.

A scongiurare questa minaccia, ancora una volta si prospetta vitale il ruolo del cristianesimo, che instancabilmente addita l'orizzonte ideale. Alla luce anche dei molteplici punti di incontro con le altre religioni che il Concilio Vaticano II ha ravvisato (cfr Decreto Nostra Aetate), si deve sottolineare con forza che l'apertura al Trascendente è una dimensione vitale dell'esistenza. Essenziale è, pertanto, un rinnovato impegno di testimonianza da parte di tutti i cristiani, presenti nelle varie Nazioni del Continente. Ad essi spetta alimentare la speranza di una salvezza piena con l'annuncio che è loro proprio, quello del Vangelo, ossia la « buona notizia » che Dio si è fatto vicino a noi e nel Figlio Gesù Cristo ci ha offerto la redenzione e la pienezza della vita divina. In forza dello Spirito che ci è stato donato, noi possiamo levare a Dio il nostro sguardo e invocarlo col dolce nome di « Abba », Padre! (cfr Rm 8, 15; Gal 4, 6).

11. Proprio questo annuncio di speranza ho inteso avvalorare additando a una rinnovata devozione, in prospettiva « europea », queste tre grandi figure di donne, che in epoche diverse hanno dato un contributo così significativo alla crescita non solo della Chiesa, ma della stessa società.

Per quella comunione dei santi, che unisce misteriosamente la Chiesa terrena a quella celeste, esse si fanno carico di noi nella loro perenne intercessione davanti al trono di Dio. Al tempo stesso, l'invocazione più intensa ed il riferimento più assiduo ed attento alle loro parole ed ai loro esempi non possono non risvegliare in noi una più acuta consapevolezza della nostra comune vocazione alla santità, spingendoci a conseguenti propositi di impegno più generoso.

Pertanto, dopo matura considerazione, in forza della mia potestà apostolica, costituisco e dichiaro celesti Compatrone di tutta l'Europa presso Dio santa Brigida di Svezia, santa Caterina da Siena, santa Teresa Benedetta della Croce, concedendo tutti gli onori e i privilegi liturgici che competono secondo il diritto ai patroni principali dei luoghi.

Sia gloria alla Santissima Trinità, che rifulge in modo singolare nella loro vita e nella vita di tutti i santi. Sia pace agli uomini di buona volontà, in Europa e nel mondo intero.

Dato a Roma, presso san Pietro, il 1° ottobre dell'anno 1999, ventunesimo di Pontificato.

GIOVANNI PAOLO II





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