LE LETTERE PASTORALI - APOSTOLICHE e MESSAGGI DEL PAPA

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Caterina63
00domenica 24 marzo 2013 15:54
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PAPA FRANCESCO INVITA I GESUITI AD ESSERE FERMENTO NEL MONDO CON UNA VITA COMPLETAMENTE DEDITA AL SERVIZIO DELLA CHIESA

Città del Vaticano, 23 marzo 2013 (VIS). Tre giorni dopo l'inizio del Pontificato, Papa Francesco ha fatto pervenire al Padre Generale della Compagnia di Gesù, Padre Adolfo Nicolás, una risposta alla lettera che il Superiore Generale dei Gesuiti aveva invitato nell'apprendere la notizia dell'elezione del Cardinale Jorge Mario Bergoglio, primo Padre gesuita nella storia della Compagnia, ad essere eletto Papa.

Di seguito riportiamo il testo integrale della Lettera di Papa Francesco, datata 16 marzo:

"Caro Padre Nicolás, ha ricevuto la gentile lettera che in occasione della mia elezione alla Sede di Pietro, ha voluto inviarmi, a suo nome e a nome della Compagnia di Gesù, e nella quale mi comunica la sua preghiera per la mia Persona e per il mio ministero, e il suo fermo proposito di continuare a servire incondizionatamente la Chiesa e il Vicario di Cristo, secondo il precetto di Sant'Ignazio di Loyola.

La ringrazio cordialmente per il suo apprezzamento e la sua vicinanza ai quali rispondo con gioia, chiedendo al Signore di illuminare e accompagnare tutti i Gesuiti, in modo che, fedeli al carisma ricevuto e sulle orme dei santi del nostro amato Ordine, siano con la loro azione pastorale, ma soprattutto, con la testimonianza di una vita completamente offerta al servizio della Chiesa, Sposa di Cristo, fermento evangelico nel mondo, cercando instancabilmente la gloria di Dio e il bene delle anime.

Con questi sentimenti chiedo a tutti i Gesuiti di pregare per me e di raccomandarmi all'amorosa protezione della Vergine Maria, nostra Madre del cielo, mentre, in pegno degli abbondanti favori divini, imparto con particolare affetto la Benedizione Apostolica, che estendo a tutte le persone che collaborano con la Compagnia di Gesù, che traggono giovamento dalle loro opere di bene e che partecipano della sua spiritualità.




Caterina63
00mercoledì 17 luglio 2013 14:53

[SM=g1740717] [SM=g1740720] "CUSTODISCI LA VITA. NE VALE LA PENA". MESSAGGIO DEL PAPA AI CATTOLICI DI INGHILTERRA, SCOZIA, GALLES E IRLANDA, IN OCCASIONE DELLA GIORNATA PER LA VITA

Città del Vaticano, 17 luglio 2013 (VIS). Papa Francesco: tutelare la vita dal concepimento fino alla morte naturale

In un messaggio ai cattolici di Irlanda, Scozia, Inghilterra e Galles, Papa Francesco invita a difendere la vita dal concepimento fino alla morte naturale. Il Pontefice - prendendo lo spunto dall‘annuale Giornata per la vita celebrata nelle Isole britanniche in diverse date - sottolinea il “valore inestimabile della vita umana”: “Anche i più deboli e i più vulnerabili, i malati, gli anziani, i non nati e i poveri, sono capolavori della creazione di Dio, fatti a sua immagine, destinati a vivere per sempre, e meritevoli della massima riverenza e rispetto”.

Il Papa eleva la sua preghiera affinché la Giornata “contribuisca ad assicurare che la vita umana riceva sempre la protezione che le è dovuta”.
Il tema della Giornata, “Custodisci la vita. Ne vale la pena”, è tratto da un’omelia pronunciata nel 2005 dall’allora cardinale Bergoglio per una Messa in onore del patrono delle donne incinte, San Raimondo Nonnato, religioso spagnolo del XIII secolo che, secondo la tradizione, venne estratto dal corpo della madre morta il giorno precedente. In quella occasione Papa Francesco affermava: "Tutti noi dobbiamo custodire la vita, proteggere la vita, con tenerezza, calore ... dare la vita è aprire il nostro cuore, e custodire la vita è dare noi stessi con tenerezza e affetto agli altri, avere un cuore sollecito verso gli altri. Custodire la vita dal suo inizio alla sua fine naturale. È semplice, è bello. Così andate avanti e non scoraggiatevi. Custodite la vita. Ne vale la pena".


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Al centro dell’edizione 2013 vi è l’attenzione per i bambini non nati e le loro madri; per gli anziani e per le persone con intenti suicidi e le loro famiglie. L’obiettivo - spiegano due note della Conferenza dei vescovi inglesi e gallesi (Cbcew) e della Conferenza episcopale irlandese (Icbc) – è di “favorire un clima di compassione e attenzione che sostenga la vita anche nei momenti e nelle circostanze personali più difficili”, perché, come aveva affermato l’allora arcivescovo di Buenos Aires, “tutti devono avere cura della vita con tenerezza e calore umano”.

La Giornata viene celebrata in Scozia nell’ultima domenica di maggio, in Inghilterra e Galles il prossimo 28 luglio e in Irlanda nella prima domenica di ottobre. In vista dell’appuntamento del 28 luglio, la Conferenza episcopale inglese e gallese ha già cominciato a mettere a disposizione sul sito ufficiale www.dayforlife.org diversi sussidi e materiale informativo. Inoltre, più di mezzo milione di volantini sono stati inviati a tutte le parrocchie del Regno Unito. Anche quest’anno tra i destinatari dei fondi raccolti con la colletta per Giornata saranno destinati alla “Anscombe Bioethics Centre”.

Il Messaggio del santo Padre è breve ma essenziale:

"Ricordando l'insegnamento di Sant'Ireneo che la gloria di Dio è visibile nell'essere umano vivente, il Santo Padre invita tutti noi a lasciare che la luce di quella gloria splenda in modo tale che tutti arrivino a riconoscere l'inestimabile valore di ogni vita umana. Anche i più deboli e i più vulnerabili, i malati, gli anziani, i non nati e i poveri, sono capolavori della creazione di Dio, fatti a sua immagine, destinati a vivere per sempre, e meritevoli della massima riverenza e rispetto. Sua Santità assicura le sue preghiere affinché la Giornata della Vita contribuisca a garantire che la vita umana riceva sempre la protezione che le è dovuta, in modo che 'tutto ciò che respira possa lodare il Signore' (Salmo 150:6)".

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Caterina63
00sabato 27 luglio 2013 21:26

[SM=g1740758] ll Papa ai Vescovi incontrati per la Gmg in Brasile:
«Chiesa semplice
o la missione fallisce»


Creatività dell’amore, grammatica della semplicità, riscaldare il cuore, accordare il passo con le possibilità dei pellegrini, penetrare nel varco del disincanto dei cuori, ridare cittadinanza a tanti che camminano come in un esodo…

Il discorso del Papa ai vescovi brasiliani sulla missione della Chiesa oggi è intessuto di espressioni che recano chiaramente la sua impronta, nei contenuti non meno che nello stile. Anzitutto va sottolineata la lunghezza, del tutto inusuale per Francesco: il testo letto ai presuli di questo immenso Paese (che conta il maggior numero di cattolici e di diocesi al mondo) è una riflessione che parlando al Brasile in realtà allarga gli orizzonti a tutta la Chiesa.

E’ di fatto la prima sistematizzazione della visione della Chiesa di Papa Bergoglio. Il Papa ricorre a due immagini: il rinvenimento miracoloso ormai 300 anni fa dell’immagine mariana venerata ad Aparecida come patrona del Brasile e i discepoli di Emmaus.
Ad Aparecida, dice il Papa, Dio offre “una lezione sull’umiltà che appartiene a Dio come tratto essenziale, è nel Dna di Dio”. L’icona infatti venne pescata nelle acque di un fiume da umili pescatori che poi la rivestirono di panni come per proteggerla: “Hanno una barca fragile, inadatta, hanno reti scadenti, forse anche danneggiate, insufficienti”, ma Dio “è arrivato di sorpresa, forse quando non era più atteso. La pazienza di coloro che lo attendono è sempre messa alla prova. E Dio è arrivato in modo nuovo, perché può sempre reinventarsi: un’immagine di fragile argilla, oscurata dalle acque del fiume, anche invecchiata dal tempo. Dio entra sempre nelle vesti della pochezza”.


I pescatori che “portano a casa il mistero”, cioè la statuetta in pezzi, sono segno della “gente semplice” che “ha sempre spazio per far albergare il mistero. Forse abbiamo ridotto il nostro parlare del mistero ad una spiegazione razionale; nella gente, invece, il mistero entra dal cuore. Nella casa dei poveri Dio trova sempre posto”. Poi quei pescatori rivestono l’immagine di panni: “Dio – chiosa il Papa - chiede di essere messo al riparo nella parte più calda di noi stessi: il cuore. Poi è Dio a sprigionare il calore di cui abbiamo bisogno, ma prima entra con l’astuzia di colui che mendica”. La porta della loro vita ora è aperta: “Consentono così che le intenzioni di Dio si possano attuare: una grazia, poi l’altra; una grazia che apre ad un’altra; una grazia che prepara un’altra. Dio va gradualmente dispiegando l’umiltà misteriosa della sua forza”.

La lezione di Aparecida a Bergoglio pare trasparente: occorre “una Chiesa che fa spazio al mistero di Dio; una Chiesa che alberga in se stessa tale mistero, in modo che esso possa incantare la gente, attirarla. Solo la bellezza di Dio può attrarre. La via di Dio è l’incanto, il fascino. Dio si fa portare a casa. Egli risveglia nell’uomo il desiderio di custodirlo nella propria vita, nella propria casa, nel proprio cuore. Egli risveglia in noi il desiderio di chiamare i vicini per far conoscere la sua bellezza”. Per il Papa è chiaro che “senza la semplicità del loro atteggiamento, la nostra missione è destinata al fallimento”. E se la Chiesa “non ha la potenza dei grandi transatlantici che varcano gli oceani”, tuttavia “Dio vuole manifestarsi proprio attraverso i nostri mezzi, mezzi poveri, perché è sempre Lui che agisce”. Dunque, “il risultato del lavoro pastorale non si appoggia sulla ricchezza delle risorse, ma sulla creatività dell’amore. Servono certamente la tenacia, la fatica, il lavoro, la programmazione, l’organizzazione, ma prima di tutto bisogna sapere che la forza della Chiesa non abita in se stessa, bensì si nasconde nelle acque profonde di Dio, nelle quali essa è chiamata a gettare le reti”.

All’icona dei discepoli di Emmaus che si allontanano da Gerusalemme con l’idea di essere ormai solo dei vinti il Papa invece consegna un’analisi del rapporto tra la Chiesa e l’uomo contemporaneo. Come i due in cammino fuori dalla Città Santa, anche noi “abbiamo lavorato molto e, a volte, ci sembra di essere degli sconfitti, come chi deve fare il bilancio di una stagione ormai persa, guardando a coloro che ci lasciano o non ci ritengono più credibili, rilevanti”.

Le parole del Papa sul “mistero difficile della gente che lascia la Chiesa”, di chi ritiene “che ormai la Chiesa - la loro Gerusalemme - non possa offrire più qualcosa di significativo e importante” interroga il Papa.

Costoro “vanno per la strada da soli, con la loro delusione. Forse la Chiesa è apparsa troppo debole, forse troppo lontana dai loro bisogni, forse troppo povera per rispondere alle loro inquietudini, forse troppo fredda nei loro confronti, forse troppo autoreferenziale, forse prigioniera dei propri rigidi linguaggi, forse il mondo sembra aver reso la Chiesa un relitto del passato, insufficiente per le nuove domande; forse la Chiesa aveva risposte per l’infanzia dell’uomo ma non per la sua età adulta”. “Di fronte a questa situazione – si chiede Bergoglio – che cosa fare?”. La risposta è una rotta per il futuro: “Serve una Chiesa che non abbia paura di uscire nella loro notte. Serve una Chiesa capace di intercettare la loro strada. Serve una Chiesa in grado di inserirsi nella loro conversazione. Serve una Chiesa che sappia dialogare con quei discepoli, i quali, scappando da Gerusalemme, vagano senza meta, da soli, con il proprio disincanto, con la delusione di un Cristianesimo ritenuto ormai terreno sterile, infecondo, incapace di generare senso”.


La globalizzazione illude e delude: sotto i nostri occhi sono “lo smarrimento del senso della vita, la disintegrazione personale, la perdita dell’esperienza di appartenenza a un qualsivoglia ‘nido’, la violenza sottile ma implacabile, la rottura interiore e la frattura nelle famiglie, la solitudine e l’abbandono, le divisioni e l’incapacità di amare, di perdonare, di comprendere, il veleno interiore che rende la vita un inferno, il bisogno della tenerezza perché ci si sente così inadeguati e infelici, i tentativi falliti di trovare risposte nella droga, nell’alcool, nel sesso diventati ulteriori prigioni”. La risposta è un altro tratto di strada da compiere: “Oggi serve una Chiesa in grado di far compagnia, di andare al di là del semplice ascolto; una Chiesa che accompagna il cammino mettendosi in cammino con la gente; una Chiesa capace di decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle da Gerusalemme; una Chiesa che si renda conto di come le ragioni per le quali c’è chi si allontana contengono già in se stesse anche le ragioni per un possibile ritorno, ma è necessario saper leggere il tutto con coraggio”. Il Papa incalza con nuove domande e altrettante sfide: “Siamo ancora una Chiesa capace di riscaldare il cuore? Una Chiesa capace di ricondurre a Gerusalemme? Di riaccompagnare a casa? In Gerusalemme abitano le nostre sorgenti: Scrittura, Catechesi, Sacramenti, Comunità, amicizia del Signore, Maria e gli Apostoli... Siamo ancora in grado di raccontare queste fonti così da risvegliare l’incanto per la loro bellezza?”.

A questo punto il Papa sottolinea – tra gli altri – un virus che si è inoculato anche nella Chiesa, offrendo anche l’antidoto con parole dolcissime: “La ricerca di ciò che è sempre più veloce attira l’uomo d’oggi: Internet veloce, auto veloci, aerei veloci, rapporti veloci... E tuttavia si avverte una disperata necessità di calma, vorrei dire di lentezza. La Chiesa, sa ancora essere lenta: nel tempo, per ascoltare, nella pazienza, per ricucire e ricomporre? O anche la Chiesa è ormai travolta della frenesia dell’efficienza? Recuperiamo, cari Fratelli, la calma di saper accordare il passo con le possibilità dei pellegrini, con i loro ritmi di cammino, la capacità di essere sempre vicini per consentire loro di aprire un varco nel disincanto che c’è nei cuori, così da potervi entrare. Essi vogliono dimenticare Gerusalemme nella quale abitano le loro sorgenti, ma allora finiranno per sentire sete. Serve una Chiesa capace ancora di accompagnare il ritorno a Gerusalemme! Una Chiesa che sia in grado di far riscoprire le cose gloriose e gioiose che si dicono di Gerusalemme, di far capire che essa è mia Madre, nostra Madre e non siano orfani!”.

E poi una delle frasi più forti del discorso: “Serve una Chiesa capace ancora di ridare cittadinanza a tanti dei suoi figli che camminano come in un esodo”. Bergoglio punta dritto sulla missione: “E’ da ricordare – dice - che l’urgenza deriva dalla sua motivazione interna, si tratta cioè di trasmettere un’eredità, e sul metodo è decisivo ricordare che un’eredità .è come il testimone, il bastone, nella corsa a staffetta: non si butta per aria e chi riesce a prenderlo, bene, e chi non ci riesce rimane senza. Per trasmettere l’eredità bisogna consegnarla personalmente, toccare colui al quale si vuole donare, trasmettere, tale eredità”.

A compiere la missione sarà una Chiesa capace di “conversione pastorale”: “Vorrei ricordare – precisa il Papa - che ‘pastorale’ non è altra cosa che l’esercizio della maternità della Chiesa. Essa genera, allatta, fa crescere, corregge, alimenta, conduce per mano... Serve, allora, una Chiesa capace di riscoprire le viscere materne della misericordia. Senza la misericordia c’è poco da fare oggi per inserirsi in un mondo di “feriti”, che hanno bisogno di comprensione, di perdono, di amore”. La missione ha anche un inevitabile impatto sociale, e “nell’ambito della società c’è una sola cosa che la Chiesa chiede con particolare chiarezza: la libertà di annunciare il Vangelo in modo integrale, anche quando si pone in contrasto con il mondo, anche quando va controcorrente, difendendo il tesoro di cui è solo custode, e i valori dei quali non dispone, ma che ha ricevuto e ai quali deve essere fedele”. Infine, un’indicazione esplicita sulle donne: “Non riduciamo l’impegno delle donne nella Chiesa, bensì promuoviamo il loro ruolo attivo nella comunità ecclesiale. Perdendo le donne la Chiesa rischia la sterilità”.



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Caterina63
00venerdì 6 settembre 2013 10:25

LETTERA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AL PRESIDENTE DELLA FEDERAZIONE RUSSA,
S.E. IL SIG. VLADIMIR PUTIN,
IN OCCASIONE DEL VERTICE DEL G20 DI SAN PIETROBURGO

 

A Sua Eccellenza
Il Sig. Vladimir PUTIN
Presidente della Federazione Russa

Nell’anno in corso, Ella ha l’onore e la responsabilità di presiedere il Gruppo delle venti più grandi economie mondiali. Sono consapevole che la Federazione Russa ha partecipato a tale Gruppo sin dalla sua creazione e ha svolto sempre un ruolo positivo nella promozione della governabilità delle finanze mondiali, profondamente colpite dalla crisi iniziata nel 2008.

Il contesto attuale, altamente interdipendente, esige una cornice finanziaria mondiale, con proprie regole giuste e chiare, per conseguire un mondo più equo e solidale, in cui sia possibile sconfiggere la fame, offrire a tutti un lavoro degno, un’abitazione decorosa e la necessaria assistenza sanitaria. La Sua presidenza del G20 per l’anno in corso ha assunto l’impegno di consolidare la riforma delle organizzazioni finanziarie internazionali e di arrivare ad un consenso sugli standard finanziari adatti alle circostanze odierne. Ciononostante, l’economia mondiale potrà svilupparsi realmente nella misura in cui sarà in grado di consentire una vita degna a tutti gli esseri umani, dai più anziani ai bambini ancora nel grembo materno, non solo ai cittadini dei Paesi membri del G20, ma ad ogni abitante della Terra, persino a coloro che si trovano nelle situazioni sociali più difficili o nei luoghi più sperduti.

In quest’ottica, appare chiaro che nella vita dei popoli i conflitti armati costituiscono sempre la deliberata negazione di ogni possibile concordia internazionale, creando divisioni profonde e laceranti ferite che richiedono molti anni per rimarginarsi. Le guerre costituiscono il rifiuto pratico a impegnarsi per raggiungere quelle grandi mete economiche e sociali che la comunità internazionale si è data, quali sono, per esempio, i Millennium Development Goals. Purtroppo, i molti conflitti armati che ancora oggi affliggono il mondo ci presentano, ogni giorno, una drammatica immagine di miseria, fame, malattie e morte. Infatti, senza pace non c’è alcun tipo di sviluppo economico. La violenza non porta mai alla pace condizione necessaria per tale sviluppo.

L’incontro dei Capi di Stato e di Governo delle venti maggiori economie, che rappresentano due terzi della popolazione e il 90% del PIL mondiale, non ha la sicurezza internazionale come suo scopo principale. Tuttavia, non potrà far a meno di riflettere sulla situazione in Medio Oriente e in particolare in Siria. Purtroppo, duole costatare che troppi interessi di parte hanno prevalso da quando è iniziato il conflitto siriano, impedendo di trovare una soluzione che evitasse l’inutile massacro a cui stiamo assistendo. I leader degli Stati del G20 non rimangano inerti di fronte ai drammi che vive già da troppo tempo la cara popolazione siriana e che rischiano di portare nuove sofferenze ad una regione tanto provata e bisognosa di pace. A tutti loro, e a ciascuno di loro, rivolgo un sentito appello perché aiutino a trovare vie per superare le diverse contrapposizioni e abbandonino ogni vana pretesa di una soluzione militare. Ci sia, piuttosto, un nuovo impegno a perseguire, con coraggio e determinazione, una soluzione pacifica attraverso il dialogo e il negoziato tra le parti interessate con il sostegno concorde della comunità internazionale. Inoltre,è un dovere morale di tutti i Governi del mondo favorire ogni iniziativa volta a promuovere l’assistenza umanitaria a coloro che soffrono a causa del conflitto dentro e fuori dal Paese.

Signor Presidente, sperando che queste riflessioni possano costituire un valido contributo spirituale al vostro incontro, prego per un esito fruttuoso dei lavori del G20. Invoco abbondanti benedizioni sul Vertice di San Pietroburgo, su tutti i partecipanti, sui cittadini di tutti gli Stati membri e su tutte le attività e gli impegni della Presidenza Russa del G20 nell’anno 2013.

Nel chiederLe di pregare per me, profitto dell’opportunità per esprimere, Signor Presidente, i miei più alti sentimenti di stima.

Dal Vaticano, 4 settembre 2013

 

FRANCESCO                                                     



Caterina63
00sabato 7 settembre 2013 23:55

PAPA FRANCESCO: LA GUERRA È SEMPRE UNA SCONFITTA PER L'UMANITÀ


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Città del Vaticano, 7 settembre 2013 (VIS). Questa sera, centomila persone sono convenute in Piazza San Pietro rispondendo all'appello di Papa Francesco - lanciato all'Angelus di domenica scorsa - che ha indetto per oggi, 7 settembre, una giornata di digiuno e di preghiera per la pace in Siria, in Medio Oriente e in tutto il mondo. Da domenica sono state migliaia le adesioni ad una iniziativa che è stata accolta non solo dai cattolici ma anche da altre confessioni cristiane, da persone appartenenti ad altre religioni, da buddisti, ebrei e musulmani ed anche da quanti che non professano alcuna religione. Si sono mobilitate parrocchie e associazioni, la Caritas e la Comunità di Sant'Egidio, gruppi di preghiera e ordini religiosi come i Carmelitani Scalzi di Terra Santa; sindaci e presidenti di autonomie regionali, organizzazioni per la pace, la cooperazione e lo sviluppo, unioni sindacali. All'appello ha aderito un lungo elenco di personalità come l'architetto italiano Renzo Piano, il Presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz e il Gran Mufti di Siria, leader spirituale dei sunniti che questa sera a Damasco ha invocato la pace nella moschea Omeya con i Capi religiosi della Nazione. Nelle chiese cattoliche di tutto il mondo, dall'Australia all'Egitto, si è elevata questa sera una preghiera per la pace.

Già da questa mattina Piazza San Pietro era gremita di persone: fra di esse numerosi coloro che desideravano confessarsi, a partire dalle 17:45, con uno dei 50 sacerdoti presenti all'interno del braccio di Costantino e sotto i colonnati. Papa Francesco ha desiderato la presenza dei confessori considerando che "la vera pace nasce dal cuore dell'uomo riconciliato con Dio e con i fratelli". Alle 18:30 è stata data lettura dell'Allocuzione che il Santo Padre ha tenuto domenica scorsa all'Angelus per introdurre al significato della Veglia che ha avuto inizio alle 19:00 con il saluto liturgico del Papa e il Canto del "Veni Creator", al quale ha fatto seguito l'Intronizzazione della "Salus Populi Romani", portata da quattro Guardie Svizzere.

Il Papa ha dato inizio alla recita del Santo Rosario. All'inizio di ogni mistero, dopo la lettura biblica a commento, è stato aggiunto il testo di una poesia di Santa Teresina di Gesù Bambino. Alla fine di ogni mistero è stata aggiunta l'invocazione: "Regina della Pace, prega per noi". Al termine della recita del Rosario il Santo Padre ha tenuto l'omelia che riportiamo di seguito:


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"'Dio vide che era cosa buona'. Il racconto biblico dell’inizio della storia del mondo e dell’umanità ci parla di Dio che guarda alla creazione, quasi la contempla, e ripete: è cosa buona. Questo, carissimi fratelli e sorelle, ci fa entrare nel cuore di Dio e, proprio dall’intimo di Dio, riceviamo il suo messaggio. Possiamo chiederci: che significato ha questo messaggio? Che cosa dice questo messaggio a me, a te, a tutti noi?

1.Ci dice semplicemente che questo nostro mondo nel cuore e nella mente di Dio è la 'casa dell’armonia e della pace' ed è il luogo in cui tutti possono trovare il proprio posto e sentirsi 'a casa', perché è 'cosa buona'. Tutto il creato forma un insieme armonioso, buono, ma soprattutto gli umani, fatti ad immagine e somiglianza di Dio, sono un’unica famiglia, in cui le relazioni sono segnate da una fraternità reale non solo proclamata a parole: l’altro e l’altra sono il fratello e la sorella da amare, e la relazione con il Dio che è amore, fedeltà, bontà si riflette su tutte le relazioni tra gli esseri umani e porta armonia all’intera creazione. Il mondo di Dio è un mondo in cui ognuno si sente responsabile dell’altro, del bene dell’altro. Questa sera, nella riflessione, nel digiuno, nella preghiera, ognuno di noi, tutti pensiamo nel profondo di noi stessi: non è forse questo il mondo che io desidero? Non è forse questo il mondo che tutti portiamo nel cuore? Il mondo che vogliamo non è forse un mondo di armonia e di pace, in noi stessi, nei rapporti con gli altri, nelle famiglie, nelle città, nelle e tra le nazioni? E la vera libertà nella scelta delle strade da percorrere in questo mondo non è forse solo quella orientata al bene di tutti e guidata dall’amore?

2.Ma domandiamoci adesso: è questo il mondo in cui noi viviamo? Il creato conserva la sua bellezza che ci riempie di stupore, rimane un’opera buona. Ma ci sono anche 'la violenza, la divisione, lo scontro, la guerra'. Questo avviene quando l’uomo, vertice della creazione, lascia di guardare l’orizzonte della bellezza e della bontà, si chiude nel proprio egoismo.

Quando l’uomo pensa solo a sé stesso, ai propri interessi e si pone al centro, quando si lascia affascinare dagli idoli del dominio e del potere, quando si mette al posto di Dio, allora guasta tutte le relazioni, rovina tutto; e apre la porta alla violenza, all’indifferenza, al conflitto. Esattamente questo è ciò che vuole farci capire il brano della Genesi in cui si narra il peccato dell’essere umano: l’uomo entra in conflitto con se stesso, si accorge di essere nudo e si nasconde perché ha paura, ha paura dello sguardo di Dio; accusa la donna, colei che è carne della sua carne; rompe l’armonia con il creato, arriva ad alzare la mano contro il fratello per ucciderlo. Possiamo dire che dall’armonia si passa alla 'disarmonia'? Possiamo dire questo: che dall'armonia si passa alla 'disarmonia'? No, non esiste la 'disarmonia': o c’è armonia o si cade nel caos, dove è violenza, contesa, scontro, paura.

Proprio in questo caos è quando Dio chiede alla coscienza dell’uomo: 'Dov’è Abele tuo fratello?'. E Caino risponde: 'Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?'. Anche a noi è rivolta questa domanda e anche a noi farà bene chiederci: Sono forse io il custode di mio fratello? Sì, tu sei custode di tuo fratello! Essere persona umana significa essere custodi gli uni degli altri! E invece, quando si rompe l’armonia, succede una metamorfosi: il fratello da custodire e da amare diventa l’avversario da combattere, da sopprimere. Quanta violenza viene da quel momento, quanti conflitti, quante guerre hanno segnato la nostra storia! Basta vedere la sofferenza di tanti fratelli e sorelle. Non si tratta di qualcosa di congiunturale, ma questa è la verità: in ogni violenza e in ogni guerra noi facciamo rinascere Caino. Noi tutti! E anche oggi continuiamo questa storia di scontro tra fratelli, anche oggi alziamo la mano contro chi è nostro fratello. Anche oggi ci lasciamo guidare dagli idoli, dall’egoismo, dai nostri interessi; e questo atteggiamento va avanti: abbiamo perfezionato le nostre armi, la nostra coscienza si è addormentata, abbiamo reso più sottili le nostre ragioni per giustificarci. Come se fosse una cosa normale, continuiamo a seminare distruzione, dolore, morte! La violenza, la guerra portano solo morte, parlano di morte! La violenza e la guerra hanno il linguaggio della morte!

Dopo il caos del diluvio, ha smesso di piovere, si vede l'arcobaleno e la colomba porta un ramo di ulivo. Penso anche oggi a quell'ulivo che i rappresentanti delle diverse religioni abbiamo piantato a Buenos Aires, in Plaza de Mayo, nel 2000, chiedendo che non ci sia più il caos, chiedendo che non ci sia più guerra, chiedendo pace.

3.E a questo punto mi domando: È possibile percorrere la strada della pace? Possiamo uscire da questa spirale di dolore e di morte? Possiamo imparare di nuovo a camminare e percorrere le vie della pace? Invocando l’aiuto di Dio, sotto lo sguardo materno della Salus populi romani, Regina della pace, voglio rispondere: Sì, è possibile per tutti! Questa sera vorrei che da ogni parte della terra noi gridassimo: Sì, è possibile per tutti! Anzi vorrei che ognuno di noi, dal più piccolo al più grande, fino a coloro che sono chiamati a governare le Nazioni, rispondesse: Sì, lo vogliamo!

La mia fede cristiana mi spinge a guardare alla Croce. Come vorrei che per un momento tutti gli uomini e le donne di buona volontà guardassero alla Croce! Lì si può leggere la risposta di Dio: lì, alla violenza non si è risposto con violenza, alla morte non si è risposto con il linguaggio della morte. Nel silenzio della Croce tace il fragore delle armi e parla il linguaggio della riconciliazione, del perdono, del dialogo, della pace.


Vorrei chiedere al Signore, questa sera, che noi cristiani e i fratelli delle altre Religioni, ogni uomo e donna di buona volontà gridasse con forza: la violenza e la guerra non è mai la via della pace! Ognuno si animi a guardare nel profondo della propria coscienza e ascolti quella parola che dice: esci dai tuoi interessi che atrofizzano il cuore, supera l’indifferenza verso l’altro che rende insensibile il cuore, vinci le tue ragioni di morte e apriti al dialogo, alla riconciliazione: guarda al dolore del tuo fratello - penso ai bambini: soltanto a quelli... - guarda al dolore del tuo fratello, e non aggiungere altro dolore, ferma la tua mano, ricostruisci l’armonia che si è spezzata; e questo non con lo scontro, ma con l’incontro! Finisca il rumore delle armi! La guerra se gna sempre il fallimento della pace, è sempre una sconfitta per l’umanità. Risuonino ancora una volta le parole di Paolo VI: 'Non più gli uni contro gli altri, non più, mai!... non più la guerra, non più la guerra!'. 'La pace si afferma solo con la pace, quella non disgiunta dai doveri della giustizia, ma alimentata dal sacrificio proprio, dalla clemenza, dalla misericordia, dalla carità'. Fratelli e sorelle, perdono, dialogo, riconciliazione sono le parole della pace: nell’amata Nazione siriana, nel Medio Oriente, in tutto il mondo! Preghiamo, questa sera, per la riconciliazione e per la pace, lavoriamo per la riconciliazione e per la pace, e diventiamo tutti, in ogni ambiente, uomini e donne di riconciliazione e di pace. Così sia".

***









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All'omelia del Papa ha fatto seguito un tempo di silenzio mentre si preparava l'altare per l'Esposizione del Santissimo. Durante l'adorazione è stata letto un brano biblico sul tema della pace, seguito dalla preghiera di un Pontefice sul medesimo tema e da invocazioni in forma responsoriale per chiedere la pace. Al termine di ognuno dei cinque tempi dell'adorazione cinque coppie di persone (in rappresentanza di Siria, Egitto, Terra Santa, Stati Uniti e Russia) hanno fatto l'offerta dell'incenso nel braciere collocato a destra dell'altare.
L'offerta è stata accompagnata da una serie di invocazioni sul tema comune della pace, fra le quali: "Signore della vita, porta la tua pace là dove si decide la sorte dei popoli, Signore, che la tua potenza creatrice elimini ogni violenza contro la vita umana".
"Signore che ami la vita, porta la pace nei nostri cuori. Signore che ami la vita porta la pace nelle nostre famiglie.
Signore che ami la vita porta la pace nei nostri popoli. Signore che ami la vita porta la pace dove si decidono le sorti delle nazioni.
Signore che ami la vita porta la pace dove oggi è presente la guerra. Spezza con la forza della tua Croce ogni divisione e discordia. Spezza con la luce della tua Parola ogni inganno e falsità. Spezza con la mitezza del tuo Cuore ogni rancore e vendetta. Spezza con la dolcezza della tua carità ogni egoismo e durezza di cuore. Spezza con la tua potenza creatrice ogni violenza contro la vita umana".

All'adorazione è seguito l'Ufficio delle Letture "nella forma più lunga prevista per una celebrazione vigilare". Il brano evangelico scelto è stato il capitolo 20 del Vangelo di Giovanni. Successivamente, dalle 22:15 alle 22:40 si è tenuto un tempo di silenzio prolungato.

La cerimonia si è conclusa con la benedizione eucaristica che Papa Francesco ha impartito ai presenti.


Caterina63
00sabato 11 gennaio 2014 10:57





MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

Città del Vaticano, 12 dicembre 2013 (VIS). "Fraternità, fondamento e via per la pace" è il titolo scelto da Papa Francesco per il suo primo Messaggio per la 47a Giornata Mondiale della Pace che si celebra il 1° gennaio 2014. 
Il documento, datato 8 dicembre, Solennità dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, è costituito di dieci sezioni, che includono un breve prologo e una conclusione, con due citazioni bibliche: "Dov'è tuo fratello?" (Gen 4,9) e "E voi siete tutti fratelli" (Mt 23,8) e sei frasi sulla fraternità: "Fraternità, fondamento e via per la pace"; "Fraternità, premessa per sconfiggere la povertà"; "La riscoperta della fraternità nell'economia"; "La fraternità spegne la guerra; "La corruzione e il crimine organizzato avversano la fraternità"; "La fraternità aiuta a custodire e a coltivare la natura".

Di seguito riportiamo il testo integrale del Messaggio:

"Fraternità, fondamento e via per la pace

1. In questo mio primo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, desidero rivolgere a tutti, singoli e popoli, l’augurio di un’esistenza colma di gioia e di speranza. Nel cuore di ogni uomo e di ogni donna alberga, infatti, il desiderio di una vita piena, alla quale appartiene un anelito insopprimibile alla fraternità, che sospinge verso la comunione con gli altri, nei quali troviamo non nemici o concorrenti, ma fratelli da accogliere ed abbracciare.

Infatti, la fraternità è una dimensione essenziale dell’uomo, il quale è un essere relazionale. La viva consapevolezza di questa relazionalità ci porta a vedere e trattare ogni persona come una vera sorella e un vero fratello; senza di essa diventa impossibile la costruzione di una società giusta, di una pace solida e duratura. E occorre subito ricordare che la fraternità si comincia ad imparare solitamente in seno alla famiglia, soprattutto grazie ai ruoli responsabili e complementari di tutti i suoi membri, in particolare del padre e della madre. La famiglia è la sorgente di ogni fraternità, e perciò è anche il fondamento e la via primaria della pace, poiché, per vocazione, dovrebbe contagiare il mondo con il suo amore.

Il numero sempre crescente di interconnessioni e di comunicazioni che avviluppano il nostro pianeta rende più palpabile la consapevolezza dell’unità e della condivisione di un comune destino tra le Nazioni della terra. Nei dinamismi della storia, pur nella diversità delle etnie, delle società e delle culture, vediamo seminata così la vocazione a formare una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri. Tale vocazione è però ancor oggi spesso contrastata e smentita nei fatti, in un mondo caratterizzato da quella 'globalizzazione dell’indifferenza' che ci fa lentamente 'abituare' alla sofferenza dell’altro, chiudendoci in noi stessi.

In tante parti del mondo, sembra non conoscere sosta la grave lesione dei diritti umani fondamentali, soprattutto del diritto alla vita e di quello alla libertà di religione. Il tragico fenomeno del traffico degli esseri umani, sulla cui vita e disperazione speculano persone senza scrupoli, ne rappresenta un inquietante esempio. Alle guerre fatte di scontri armati si aggiungono guerre meno visibili, ma non meno crudeli, che si combattono in campo economico e finanziario con mezzi altrettanto distruttivi di vite, di famiglie, di imprese.

La globalizzazione, come ha affermato Benedetto XVI, ci rende vicini, ma non ci rende fratelli.Inoltre, le molte situazioni di sperequazione, di povertà e di ingiustizia, segnalano non solo una profonda carenza di fraternità, ma anche l’assenza di una cultura della solidarietà. Le nuove ideologie, caratterizzate da diffuso individualismo, egocentrismo e consumismo materialistico, indeboliscono i legami sociali, alimentando quella mentalità dello 'scarto', che induce al disprezzo e all’abbandono dei più deboli, di coloro che vengono considerati 'inutili'. Così la convivenza umana diventa sempre più simile a un mero 'do ut des' pragmatico ed egoista.

In pari tempo appare chiaro che anche le etiche contemporanee risultano incapaci di produrre vincoli autentici di fraternità, poiché una fraternità priva del riferimento ad un Padre comune, quale suo fondamento ultimo, non riesce a sussistere. Una vera fraternità tra gli uomini suppone ed esige una paternità trascendente. A partire dal riconoscimento di questa paternità, si consolida la fraternità tra gli uomini, ovvero quel farsi 'prossimo' che si prende cura dell’altro.

'Dov’è tuo fratello?' (Gen 4,9)

2. Per comprendere meglio questa vocazione dell’uomo alla fraternità, per riconoscere più adeguatamente gli ostacoli che si frappongono alla sua realizzazione e individuare le vie per il loro superamento, è fondamentale farsi guidare dalla conoscenza del disegno di Dio, quale è presentato in maniera eminente nella Sacra Scrittura.

Secondo il racconto delle origini, tutti gli uomini derivano da genitori comuni, da Adamo ed Eva, coppia creata da Dio a sua immagine e somiglianza, (cfr Gen 1,26) da cui nascono Caino e Abele. Nella vicenda della famiglia primigenia leggiamo la genesi della società, l’evoluzione delle relazioni tra le persone e i popoli.

Abele è pastore, Caino è contadino. La loro identità profonda e, insieme, la loro vocazione, è quella di essere fratelli, pur nella diversità della loro attività e cultura, del loro modo di rapportarsi con Dio e con il creato. Ma l’uccisione di Abele da parte di Caino attesta tragicamente il rigetto radicale della vocazione ad essere fratelli. La loro vicenda (cfr Gen 4,1-16) evidenzia il difficile compito a cui tutti gli uomini sono chiamati, di vivere uniti, prendendosi cura l’uno dell’altro. Caino, non accettando la predilezione di Dio per Abele, che gli offriva il meglio del suo gregge – 'il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta' (Gen 4,4-5) – uccide per invidia Abele. In questo modo rifiuta di riconoscersi fratello, di relazionarsi positivamente con lui, di vivere davanti a Dio, assumendo le proprie responsabilità di cura e di protezione dell’altro. Alla domanda 'Dov’è tuo fratello?', con la quale Dio interpella Caino, chiedendogli conto del suo operato, egli risponde: 'Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?'. (Gen 4,9) Poi, ci dice la Genesi, 'Caino si allontanò dal Signore' (4,16).

Occorre interrogarsi sui motivi profondi che hanno indotto Caino a misconoscere il vincolo di fraternità e, assieme, il vincolo di reciprocità e di comunione che lo legava a suo fratello Abele. Dio stesso denuncia e rimprovera a Caino una contiguità con il male: 'il peccato è accovacciato alla tua porta' (Gen 4,7). Caino, tuttavia, si rifiuta di opporsi al male e decide di alzare ugualmente la sua 'mano contro il fratello Abele' (Gen 4,8), disprezzando il progetto di Dio. Egli frustra così la sua originaria vocazione ad essere figlio di Dio e a vivere la fraternità.

Il racconto di Caino e Abele insegna che l’umanità porta inscritta in sé una vocazione alla fraternità, ma anche la possibilità drammatica del suo tradimento. Lo testimonia l’egoismo quotidiano, che è alla base di tante guerre e tante ingiustizie: molti uomini e donne muoiono infatti per mano di fratelli e di sorelle che non sanno riconoscersi tali, cioè come esseri fatti per la reciprocità, per la comunione e per il dono.

'E voi siete tutti fratelli' (Mt 23,8)

3. Sorge spontanea la domanda: gli uomini e le donne di questo mondo potranno mai corrispondere pienamente all’anelito di fraternità, impresso in loro da Dio Padre? Riusciranno con le loro sole forze a vincere l’indifferenza, l’egoismo e l’odio, ad accettare le legittime differenze che caratterizzano i fratelli e le sorelle?

Parafrasando le sue parole, potremmo così sintetizzare la risposta che ci dà il Signore Gesù: poiché vi è un solo Padre, che è Dio, voi siete tutti fratelli (cfr Mt 23,8-9). La radice della fraternità è contenuta nella paternità di Dio. Non si tratta di una paternità generica, indistinta e storicamente inefficace, bensì dell’amore personale, puntuale e straordinariamente concreto di Dio per ciascun uomo (cfr Mt 6,25-30). Una paternità, dunque, efficacemente generatrice di fraternità, perché l’amore di Dio, quando è accolto, diventa il più formidabile agente di trasformazione dell’esistenza e dei rapporti con l’altro, aprendo gli uomini alla solidarietà e alla condivisione operosa.

In particolare, la fraternità umana è rigenerata in e da Gesù Cristo con la sua morte e risurrezione. La croce è il 'luogo' definitivo di fondazione della fraternità, che gli uomini non sono in grado di generare da soli. Gesù Cristo, che ha assunto la natura umana per redimerla, amando il Padre fino alla morte e alla morte di croce (cfr Fil 2,8), mediante la sua risurrezione ci costituisce come umanità nuova, in piena comunione con la volontà di Dio, con il suo progetto, che comprende la piena realizzazione della vocazione alla fraternità.

Gesù riprende dal principio il progetto del Padre, riconoscendogli il primato su ogni cosa. Ma il Cristo, con il suo abbandono alla morte per amore del Padre, diventa principio nuovo e definitivo di tutti noi, chiamati a riconoscerci in Lui come fratelli perché figli dello stesso Padre. Egli è l’Alleanza stessa, lo spazio personale della riconciliazione dell’uomo con Dio e dei fratelli tra loro. Nella morte in croce di Gesù c’è anche il superamento della separazione tra popoli, tra il popolo dell’Alleanza e il popolo dei Gentili, privo di speranza perché fino a quel momento rimasto estraneo ai patti della Promessa. Come si legge nella Lettera agli Efesini, Gesù Cristo è colui che in sé riconcilia tutti gli uomini. Egli è la pace, poiché dei due popoli ne ha fatto uno solo, abbattendo il muro di separazione che li divideva, ovvero l’inimicizia. Egli ha creato in se stesso un solo popolo, un solo uomo nuovo, una sola nuova umanità (cfr 2,14-16).

Chi accetta la vita di Cristo e vive in Lui, riconosce Dio come Padre e a Lui dona totalmente se stesso, amandolo sopra ogni cosa. L’uomo riconciliato vede in Dio il Padre di tutti e, per conseguenza, è sollecitato a vivere una fraternità aperta a tutti. In Cristo, l’altro è accolto e amato come figlio o figlia di Dio, come fratello o sorella, non come un estraneo, tanto meno come un antagonista o addirittura un nemico. Nella famiglia di Dio, dove tutti sono figli di uno stesso Padre, e perché innestati in Cristo, figli nel Figlio, non vi sono 'vite di scarto'. Tutti godono di un’eguale ed intangibile dignità. Tutti sono amati da Dio, tutti sono stati riscattati dal sangue di Cristo, morto in croce e risorto per ognuno. È questa la ragione per cui non si può rimanere indifferenti davanti alla sorte dei fratelli.

La fraternità, fondamento e via per la pace

4. Ciò premesso, è facile comprendere che la fraternità è fondamento e via per la pace. Le Encicliche sociali dei miei Predecessori offrono un valido aiuto in tal senso. Sarebbe sufficiente rifarsi alle definizioni di pace della 'Populorum progressio' di Paolo VI o della 'Sollicitudo rei socialis' di Giovanni Paolo II. Dalla prima ricaviamo che lo sviluppo integrale dei popoli è il nuovo nome della pace. Dalla seconda, che la pace è 'opus solidaritatis'. Paolo VI afferma che non soltanto le persone, ma anche le Nazioni debbono incontrarsi in uno spirito di fraternità. E spiega: 'In questa comprensione e amicizia vicendevoli, in questa comunione sacra noi dobbiamo […] lavorare assieme per edificare l’avvenire comune dell’umanità. Questo dovere riguarda in primo luogo i più favoriti. I loro obblighi sono radicati nella fraternità umana e soprannaturale e si presentano sotto un triplice aspetto: il dovere di solidarietà, che esige che le Nazioni ricche aiutino quelle meno progredite; il dovere di giustizia sociale, che richiede il ricomponimento in termini più corretti delle relazioni difettose tra popoli forti e popoli deboli; il dovere di carità universale, che implica la promozione di un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri.

Così, se si considera la pace come 'opus solidaritatis', allo stesso modo, non si può pensare che la fraternità non ne sia il fondamento precipuo. La pace, afferma Giovanni Paolo II, è un bene indivisibile. O è bene di tutti o non lo è di nessuno. Essa può essere realmente conquistata e fruita, come miglior qualità della vita e come sviluppo più umano e sostenibile, solo se si attiva, da parte di tutti, 'una determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune'. Ciò implica di non farsi guidare dalla 'brama del profitto' e dalla 'sete del potere'. Occorre avere la disponibilità a 'perdersi' a favore dell’altro invece di sfruttarlo, e a 'servirlo' invece di opprimerlo per il proprio tornaconto. […] L’'altro' – persona, popolo o Nazione – [non va visto] come uno strumento qualsiasi, per sfruttare a basso costo la sua capacità di lavoro e la resistenza fisica, abbandonandolo poi quando non serve più, ma come un nostro 'simile', un 'aiuto'.

La solidarietà cristiana presuppone che il prossimo sia amato non solo come 'un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale eguaglianza davanti a tutti, ma [come] viva immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù Cristo e posta sotto l’azione permanente dello Spirito Santo', come un altro fratello. 'Allora la coscienza della paternità comune di Dio, della fraternità di tutti gli uomini in Cristo, 'figli nel Figlio', della presenza e dell’azione vivificante dello Spirito Santo, conferirà – rammenta Giovanni Paolo II – al nostro sguardo sul mondo come un nuovo criterio per interpretarlo', per trasformarlo.

Fraternità, premessa per sconfiggere la povertà

5. Nella 'Caritas in veritate' il mio Predecessore ricordava al mondo come la mancanza di fraternità tra i popoli e gli uomini sia una causa importante della povertà. In molte società sperimentiamo una profonda povertà relazionale dovuta alla carenza di solide relazioni familiari e comunitarie. Assistiamo con preoccupazione alla crescita di diversi tipi di disagio, di emarginazione, di solitudine e di varie forme di dipendenza patologica. Una simile povertà può essere superata solo attraverso la riscoperta e la valorizzazione di rapporti fraterni in seno alle famiglie e alle comunità, attraverso la condivisione delle gioie e dei dolori, delle difficoltà e dei successi che accompagnano la vita delle persone.

Inoltre, se da un lato si riscontra una riduzione della povertà assoluta, dall’altro lato non possiamo non riconoscere una grave crescita della povertà relativa, cioè di diseguaglianze tra persone e gruppi che convivono in una determinata regione o in un determinato contesto storico-culturale. In tal senso, servono anche politiche efficaci che promuovano il principio della fraternità, assicurando alle persone - eguali nella loro dignità e nei loro diritti fondamentali - di accedere ai 'capitali', ai servizi, alle risorse educative, sanitarie, tecnologiche affinché ciascuno abbia l’opportunità di esprimere e di realizzare il suo progetto di vita, e possa svilupparsi in pienezza come persona.

Si ravvisa anche la necessità di politiche che servano ad attenuare una eccessiva sperequazione del reddito. Non dobbiamo dimenticare l’insegnamento della Chiesa sulla cosiddetta ipoteca sociale, in base alla quale se è lecito, come dice san Tommaso d’Aquino, anzi necessario 'che l’uomo abbia la proprietà dei beni', quanto all’uso, li 'possiede non solo come propri, ma anche come comuni, nel senso che possono giovare non unicamente a lui ma anche agli altri'. 

Infine, vi è un ulteriore modo di promuovere la fraternità - e così sconfiggere la povertà - che dev’essere alla base di tutti gli altri. È il distacco di chi sceglie di vivere stili di vita sobri ed essenziali, di chi, condividendo le proprie ricchezze, riesce così a sperimentare la comunione fraterna con gli altri. Ciò è fondamentale per seguire Gesù Cristo ed essere veramente cristiani. È il caso non solo delle persone consacrate che professano voto di povertà, ma anche di tante famiglie e tanti cittadini responsabili, che credono fermamente che sia la relazione fraterna con il prossimo a costituire il bene più prezioso.

La riscoperta della fraternità nell’economia

6. Le gravi crisi finanziarie ed economiche contemporanee - che trovano la loro origine nel progressivo allontanamento dell’uomo da Dio e dal prossimo, nella ricerca avida di beni materiali, da un lato, e nel depauperamento delle relazioni interpersonali e comunitarie dall’altro - hanno spinto molti a ricercare la soddisfazione, la felicità e la sicurezza nel consumo e nel guadagno oltre ogni logica di una sana economia. Già nel 1979 Giovanni Paolo II avvertiva l’esistenza di 'un reale e percettibile pericolo che, mentre progredisce enormemente il dominio da parte dell’uomo sul mondo delle cose, di questo suo dominio egli perda i fili essenziali, e in vari modi la sua umanità sia sottomessa a quel mondo, ed egli stesso divenga oggetto di multiforme, anche se spesso non direttamente percettibile, manipolazione, mediante tutta l’organizzazione della vita comunitaria, mediante il sistema di produzione, mediante la pressione dei mezzi di comunicazione sociale'.

Il succedersi delle crisi economiche deve portare agli opportuni ripensamenti dei modelli di sviluppo economico e a un cambiamento negli stili di vita. La crisi odierna, pur con il suo grave retaggio per la vita delle persone, può essere anche un’occasione propizia per recuperare le virtù della prudenza, della temperanza, della giustizia e della fortezza. Esse ci possono aiutare a superare i momenti difficili e a riscoprire i vincoli fraterni che ci legano gli uni agli altri, nella fiducia profonda che l’uomo ha bisogno ed è capace di qualcosa in più rispetto alla massimizzazione del proprio interesse individuale. Soprattutto tali virtù sono necessarie per costruire e mantenere una società a misura della dignità umana.

La fraternità spegne la guerra

7. Nell’anno trascorso, molti nostri fratelli e sorelle hanno continuato a vivere l’esperienza dilaniante della guerra, che costituisce una grave e profonda ferita inferta alla fraternità.

Molti sono i conflitti che si consumano nell’indifferenza generale. A tutti coloro che vivono in terre in cui le armi impongono terrore e distruzioni, assicuro la mia personale vicinanza e quella di tutta la Chiesa. Quest’ultima ha per missione di portare la carità di Cristo anche alle vittime inermi delle guerre dimenticate, attraverso la preghiera per la pace, il servizio ai feriti, agli affamati, ai rifugiati, agli sfollati e a quanti vivono nella paura. La Chiesa alza altresì la sua voce per far giungere ai responsabili il grido di dolore di quest’umanità sofferente e per far cessare, insieme alle ostilità, ogni sopruso e violazione dei diritti fondamentali dell’uomo.

Per questo motivo desidero rivolgere un forte appello a quanti con le armi seminano violenza e morte: riscoprite in colui che oggi considerate solo un nemico da abbattere il vostro fratello e fermate la vostra mano! Rinunciate alla via delle armi e andate incontro all’altro con il dialogo, il perdono e la riconciliazione per ricostruire la giustizia, la fiducia e la speranza intorno a voi! 'In quest’ottica, appare chiaro che nella vita dei popoli i conflitti armati costituiscono sempre la deliberata negazione di ogni possibile concordia internazionale, creando divisioni profonde e laceranti ferite che richiedono molti anni per rimarginarsi. Le guerre costituiscono il rifiuto pratico a impegnarsi per raggiungere quelle grandi mete economiche e sociali che la comunità internazionale si è data'.

Tuttavia, finché ci sarà una così grande quantità di armamenti in circolazione come quella attuale, si potranno sempre trovare nuovi pretesti per avviare le ostilità. Per questo faccio mio l’appello dei miei Predecessori in favore della non proliferazione delle armi e del disarmo da parte di tutti, a cominciare dal disarmo nucleare e chimico.

Non possiamo però non constatare che gli accordi internazionali e le leggi nazionali, pur essendo necessari ed altamente auspicabili, non sono sufficienti da soli a porre l’umanità al riparo dal rischio dei conflitti armati. È necessaria una conversione dei cuori che permetta a ciascuno di riconoscere nell’altro un fratello di cui prendersi cura, con il quale lavorare insieme per costruire una vita in pienezza per tutti.  È questo lo spirito che anima molte delle iniziative della società civile, incluse le organizzazioni religiose, in favore della pace. Mi auguro che l’impegno quotidiano di tutti continui a portare frutto e che si possa anche giungere all’effettiva applicazione nel diritto internazionale del diritto alla pace, quale diritto umano fondamentale, pre-condizione necessaria per l’esercizio di tutti gli altri diritti.

La corruzione e il crimine organizzato avversano la fraternità

8. L’orizzonte della fraternità rimanda alla crescita in pienezza di ogni uomo e donna. Le giuste ambizioni di una persona, soprattutto se giovane, non vanno frustrate e offese, non va rubata la speranza di poterle realizzare. Tuttavia, l’ambizione non va confusa con la prevaricazione. Al contrario, occorre gareggiare nello stimarsi a vicenda (cfr Rm 12,10). Anche nelle dispute, che costituiscono un aspetto ineliminabile della vita, bisogna sempre ricordarsi di essere fratelli e perciò educare ed educarsi a non considerare il prossimo come un nemico o come un avversario da eliminare.

La fraternità genera pace sociale perché crea un equilibrio fra libertà e giustizia, fra responsabilità personale e solidarietà, fra bene dei singoli e bene comune. Una comunità politica deve, allora, agire in modo trasparente e responsabile per favorire tutto ciò. I cittadini devono sentirsi rappresentati dai poteri pubblici nel rispetto della loro libertà. Invece, spesso, tra cittadino e istituzioni, si incuneano interessi di parte che deformano una tale relazione, propiziando la creazione di un clima perenne di conflitto.

Un autentico spirito di fraternità vince l’egoismo individuale che contrasta la possibilità delle persone di vivere in libertà e in armonia tra di loro. Tale egoismo si sviluppa socialmente sia nelle molte forme di corruzione, oggi così capillarmente diffuse, sia nella formazione delle organizzazioni criminali, dai piccoli gruppi a quelli organizzati su scala globale, che, logorando in profondità la legalità e la giustizia, colpiscono al cuore la dignità della persona. Queste organizzazioni offendono gravemente Dio, nuocciono ai fratelli e danneggiano il creato, tanto più quando hanno connotazioni religiose.

Penso al dramma lacerante della droga, sulla quale si lucra in spregio a leggi morali e civili; alla devastazione delle risorse naturali e all’inquinamento in atto; alla tragedia dello sfruttamento del lavoro; penso ai traffici illeciti di denaro come alla speculazione finanziaria, che spesso assume caratteri predatori e nocivi per interi sistemi economici e sociali, esponendo alla povertà milioni di uomini e donne; penso alla prostituzione che ogni giorno miete vittime innocenti, soprattutto tra i più giovani rubando loro il futuro; penso all’abominio del traffico di esseri umani, ai reati e agli abusi contro i minori, alla schiavitù che ancora diffonde il suo orrore in tante parti del mondo, alla tragedia spesso inascoltata dei migranti sui quali si specula indegnamente nell’illegalità. 

Scrisse al riguardo Giovanni XXIII: 'Una convivenza fondata soltanto su rapporti di forza non è umana. In essa infatti è inevitabile che le persone siano coartate o compresse, invece di essere facilitate e stimolate a sviluppare e perfezionare se stesse'. L’uomo, però, si può convertire e non bisogna mai disperare della possibilità di cambiare vita. Desidererei che questo fosse un messaggio di fiducia per tutti, anche per coloro che hanno commesso crimini efferati, poiché Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva (cfr Ez 18,23).

Nel contesto ampio della socialità umana, guardando al delitto e alla pena, viene anche da pensare alle condizioni inumane di tante carceri, dove il detenuto è spesso ridotto in uno stato sub-umano e viene violato nella sua dignità di uomo, soffocato anche in ogni volontà ed espressione di riscatto. La Chiesa fa molto in tutti questi ambiti, il più delle volte nel silenzio. Esorto ed incoraggio a fare sempre di più, nella speranza che tali azioni messe in campo da tanti uomini e donne coraggiosi possano essere sempre più sostenute lealmente e onestamente anche dai poteri civili.

La fraternità aiuta a custodire e a coltivare la natura

9. La famiglia umana ha ricevuto dal Creatore un dono in comune: la natura. La visione cristiana della creazione comporta un giudizio positivo sulla liceità degli interventi sulla natura per trarne beneficio, a patto di agire responsabilmente, cioè riconoscendone quella 'grammatica' che è in essa inscritta ed usando saggiamente le risorse a vantaggio di tutti, rispettando la bellezza, la finalità e l’utilità dei singoli esseri viventi e la loro funzione nell’ecosistema. Insomma, la natura è a nostra disposizione, e noi siamo chiamati ad amministrarla responsabilmente. Invece, siamo spesso guidati dall’avidità, dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non custodiamo la natura, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura e da mettere a servizio dei fratelli, comprese le generazioni future.

In particolare, il settore agricolo è il settore produttivo primario con la vitale vocazione di coltivare e custodire le risorse naturali per nutrire l’umanità. A tale riguardo, la persistente vergogna della fame nel mondo mi incita a condividere con voi la domanda: in che modo usiamo le risorse della terra? Le società odierne devono riflettere sulla gerarchia delle priorità a cui si destina la produzione. Difatti, è un dovere cogente che si utilizzino le risorse della terra in modo che tutti siano liberi dalla fame. Le iniziative e le soluzioni possibili sono tante e non si limitano all’aumento della produzione. È risaputo che quella attuale è sufficiente, eppure ci sono milioni di persone che soffrono e muoiono di fame e ciò costituisce un vero scandalo. È necessario allora trovare i modi affinché tutti possano beneficiare dei frutti della terra, non soltanto per evitare che si allarghi il divario tra chi più ha e chi deve accontentarsi delle briciole, ma anche e soprattutto per un’esigenza di giustizia e di equità e di rispetto verso ogni essere umano. In tal senso, vorrei richiamare a tutti quella necessaria destinazione universale dei beni che è uno dei principi-cardine della dottrina sociale della Chiesa. Rispettare tale principio è la condizione essenziale per consentire un fattivo ed equo accesso a quei beni essenziali e primari di cui ogni uomo ha bisogno e diritto.

Conclusione

10. La fraternità ha bisogno di essere scoperta, amata, sperimentata, annunciata e testimoniata. Ma è solo l’amore donato da Dio che ci consente di accogliere e di vivere pienamente la fraternità.

Il necessario realismo della politica e dell’economia non può ridursi ad un tecnicismo privo di idealità, che ignora la dimensione trascendente dell’uomo. Quando manca questa apertura a Dio, ogni attività umana diventa più povera e le persone vengono ridotte a oggetti da sfruttare. Solo se accettano di muoversi nell’ampio spazio assicurato da questa apertura a Colui che ama ogni uomo e ogni donna, la politica e l’economia riusciranno a strutturarsi sulla base di un autentico spirito di carità fraterna e potranno essere strumento efficace di sviluppo umano integrale e di pace.

Noi cristiani crediamo che nella Chiesa siamo membra gli uni degli altri, tutti reciprocamente necessari, perché ad ognuno di noi è stata data una grazia secondo la misura del dono di Cristo, per l’utilità comune (cfr Ef 4,7.25; 1 Cor 12,7). Cristo è venuto nel mondo per portarci la grazia divina, cioè la possibilità di partecipare alla sua vita. Ciò comporta tessere una relazionalità fraterna, improntata alla reciprocità, al perdono, al dono totale di sé, secondo l’ampiezza e la profondità dell’amore di Dio, offerto all’umanità da Colui che, crocifisso e risorto, attira tutti a sé: 'Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri' (Gv 13,34-35). È questa la buona novella che richiede ad ognuno un passo in più, un esercizio perenne di empatia, di ascolto della sofferenza e della speranza dell’altro, anche del più lontano da me, incamminandosi sulla strada esigente di quell’amore che sa donarsi e spendersi con gratuità per il bene di ogni fratello e sorella.

Cristo abbraccia tutto l’uomo e vuole che nessuno si perda. 'Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui' (Gv 3,17). Lo fa senza opprimere, senza costringere nessuno ad aprirgli le porte del suo cuore e della sua mente. 'Chi fra voi è il più grande diventi come il più piccolo e chi governa diventi come quello che serve' – dice Gesù Cristo – 'io sono in mezzo a voi come uno che serve' (Lc 22,26-27). Ogni attività deve essere, allora, contrassegnata da un atteggiamento di servizio alle persone, specialmente quelle più lontane e sconosciute. Il servizio è l’anima di quella fraternità che edifica la pace.

Maria, la Madre di Gesù, ci aiuti a comprendere e a vivere tutti i giorni la fraternità che sgorga dal cuore del suo Figlio, per portare pace ad ogni uomo su questa nostra amata terra.

 



Ci piace ricordare un passaggio del Discorso tenuto da Benedetto XVI al Corpo Diplomatico e rilevare la continuità di questa battaglia per la Pace vera......





"Ciò - ha detto agli ambasciatori Benedetto XVI al Corpo Diplomatico - 8 gennaio 2009 - può essere realizzato solo attraverso l'attuazione di un'etica basata sulla dignità innata della persona umana. So quanto ciò sia impegnativo, ma non è un'utopia! Oggi più di ieri, il nostro futuro è in gioco, così come il destino stesso del nostro pianeta e dei suoi abitanti, in primo luogo delle giovani generazioni che ereditano un sistema economico e un tessuto sociale fortemente compromessi. Sì, signore e signori, se vogliamo lottare contro la povertà, dobbiamo investire soprattutto nei giovani, educandoli a un ideale di vera fraternità". 








 

Caterina63
00lunedì 13 gennaio 2014 15:48



DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI MEMBRI DELL'ECCELLENTISSIMO CORPO DIPLOMATICO
ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE

Sala Regia
Lunedì, 13 gennaio 2014

Video

 

Eminenza, Eccellenze, Signore e Signori

È ormai una lunga e consolidata tradizione quella che, all’inizio di ogni nuovo anno, vuole che il Papa incontri il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per porgere voti augurali e scambiare alcune riflessioni, che sgorgano anzitutto dal suo cuore di pastore, attento alle gioie e ai dolori dell’umanità. È perciò motivo di grande letizia l’incontro di oggi. Esso mi permette di formulare a Voi personalmente, alle Vostre famiglie, alle Autorità e ai popoli che rappresentate i miei più sentiti auguri per un Anno ricco di benedizioni e di pace.

Ringrazio anzitutto il Decano Jean-Claude Michel, il quale ha dato voce, a nome di tutti Voi, alle espressioni di affetto e di stima che legano le Vostre Nazioni alla Sede Apostolica. Sono lieto di rivedervi qui, così numerosi, dopo avervi incontrato una prima volta pochi giorni dopo la mia elezione. Nel frattempo sono stati accreditati numerosi nuovi Ambasciatori, a cui rinnovo il benvenuto, mentre, tra coloro che ci hanno lasciato, non posso non menzionare, come ha fatto il Vostro Decano, il compianto Ambasciatore Alejandro Valladares Lanza, per diversi anni Decano del Corpo Diplomatico, che il Signore ha chiamato a sé alcuni mesi fa.

L’anno appena conclusosi è stato particolarmente denso di avvenimenti non solo nella vita della Chiesa, ma anche nell’ambito dei rapporti che la Santa Sede intrattiene con gli Stati e le Organizzazioni internazionali. Ricordo, in particolare, l’allacciamento delle relazioni diplomatiche con il Sud Sudan, la firma di accordi, di base o specifici, con Capo Verde, Ungheria e Ciad, e la ratifica di quello con la Guinea Equatoriale sottoscritto nel 2012. Anche nell’ambito regionale è cresciuta la presenza della Santa Sede, sia in America centrale, dove essa è diventata Osservatore Extra-Regionale presso il Sistema de la Integración Centroamericana, sia in Africa, con l’accreditamento del primo Osservatore Permanente presso la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale.

Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, dedicato alla fraternità come fondamento e via per la pace, ho notato che «la fraternità si comincia ad imparare solitamente in seno alla famiglia» (Messaggio per la XLVII Giornata Mondiale della Pace, 8 dicembre 2013, 1), la quale «per vocazione, dovrebbe contagiare il mondo con il suo amore» (ibid.) e contribuire a far maturare quello spirito di servizio e di condivisione che edifica la pace (cfr ibid., 10).  Ce lo racconta il presepe, dove vediamo la Santa Famiglia non sola e isolata dal mondo, ma attorniata dai pastori e dai magi, cioè una comunità aperta, nella quale c’è spazio per tutti, poveri e ricchi, vicini e lontani. E si comprendono così le parole del mio amato predecessore Benedetto XVI, il quale sottolineava come «il lessico familiare è un lessico di pace» (Benedetto XVI, Messaggio per la XLI Giornata Mondiale della Pace [8 dicembre 2007], 3: AAS 100 [2008], 39).

Purtroppo, spesso ciò non accade, perché aumenta il numero delle famiglie divise e lacerate, non solo per la fragile coscienza del senso di appartenenza che contraddistingue il mondo attuale, ma anche per le condizioni difficili in cui molte di esse sono costrette a vivere, fino al punto di mancare degli stessi mezzi di sussistenza. Si rendono perciò necessarie politiche appropriate che sostengano, favoriscano e consolidino la famiglia! 

Capita, inoltre, che gli anziani siano considerati un peso, mentre i giovani non vedono davanti a sé prospettive certe per la loro vita. Anziani e giovani, al contrario, sono la speranza dell’umanità. I primi apportano la saggezza dell’esperienza; i secondi ci aprono al futuro, impedendo di chiuderci in noi stessi (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 108). È saggio non emarginare gli anziani dalla vita sociale per mantenere viva la memoria di un popolo. Parimenti, è bene investire sui giovani, con iniziative adeguate che li aiutino a trovare lavoro e a fondare un focolare domestico. Non bisogna spegnere il loro entusiasmo! Conservo viva nella mia mente l’esperienza della Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro. Quanti ragazzi contenti ho potuto incontrare! Quanta speranza e attesa nei loro occhi e nelle loro preghiere! Quanta sete di vita e desiderio di aprirsi agli altri! La chiusura e l’isolamento creano sempre un’atmosfera asfittica e pesante, che prima o poi finisce per intristire e soffocare. Serve, invece, un impegno comune di tutti per favorire una cultura dell’incontro, perché solo chi è in grado di andare verso gli altri è capace di portare frutto, di creare vincoli, di creare comunione, di irradiare gioia, di edificare la pace.

Lo confermano – se ce ne fosse bisogno – le immagini di distruzione e di morte che abbiamo avuto davanti agli occhi nell’anno appena trascorso. Quanto dolore, quanta disperazione causa la chiusura in sé stessi, che prende via via il volto dell’invidia, dell’egoismo, della rivalità, della sete di potere e di denaro! Sembra, talvolta, che tali realtà siano destinate a dominare. Il Natale, invece, infonde in noi cristiani la certezza che l’ultima e definitiva parola appartiene al Principe della Pace, che muta «le spade in vomeri e le lance in falci» (cfr Is 2,4) e trasforma l’egoismo in dono di sé e la vendetta in perdono.

È con questa fiducia che desidero guardare all’anno che ci sta di fronte. Non cesso, pertanto, di sperare che abbia finalmente termine il conflitto in Siria. La sollecitudine per quella cara popolazione e il desiderio di scongiurare l’aggravarsi della violenza mi hanno portato, nel settembre scorso, a indire una giornata di digiuno e di preghiera. Attraverso di Voi ringrazio di vero cuore quanti nei Vostri Paesi, Autorità pubbliche e persone di buona volontà, si sono associati a tale iniziativa. Occorre ora una rinnovata volontà politica comune per porre fine al conflitto. In tale prospettiva, auspico che la Conferenza “Ginevra 2”, convocata per il 22 gennaio p.v., segni l’inizio del desiderato cammino di pacificazione. Nello stesso tempo, è imprescindibile il pieno rispetto del diritto umanitario. Non si può accettare che venga colpita la popolazione civile inerme, soprattutto i bambini. Incoraggio, inoltre, tutti a favorire e a garantire, in ogni modo possibile, la necessaria e urgente assistenza di gran parte della popolazione, senza dimenticare l’encomiabile sforzo di quei Paesi, soprattutto il Libano e la Giordania, che con generosità hanno accolto nel proprio territorio i numerosi profughi siriani.

Rimanendo nel Medio Oriente, noto con preoccupazione le tensioni che in diversi modi colpiscono la Regione. Guardo con particolare preoccupazione al protrarsi delle difficoltà politiche in Libano, dove un clima di rinnovata collaborazione fra le diverse istanze della società civile e le forze politiche è quanto mai indispensabile per evitare l’acuirsi di contrasti che possono minare la stabilità del Paese. Penso anche all’Egitto, bisognoso di una ritrovata concordia sociale, come pure all’Iraq, che stenta a giungere all’auspicata pace e stabilità. In pari tempo, rilevo con soddisfazione i significativi progressi compiuti nel dialogo tra l’Iran ed il “Gruppo 5+1” sulla questione nucleare.

Ovunque la via per risolvere le problematiche aperte deve essere quella diplomatica del dialogo. È la strada maestra già indicata con lucida chiarezza dal papa Benedetto XV allorché invitava i responsabili delle Nazioni europee a far prevalere «la forza morale del diritto» su quella «materiale delle armi» per porre fine a quella «inutile strage» (cfr Benedetto XV,Lettera ai Capi dei Popoli belligeranti [1 agosto 1917]: AAS 9 [1917], 421-423), che è stata la Prima Guerra Mondiale, di cui quest’anno ricorre il centenario.
Occorre «il coraggio di andare oltre la superficie conflittuale» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 228), per considerare gli altri nella loro dignità più profonda, affinché l’unità prevalga sul conflitto e sia «possibile sviluppare una comunione nelle differenze» (ibid.). In questo senso è positivo che siano ripresi i negoziati di pace tra Israeliani e Palestinesi e faccio voti affinché le Parti siano determinate ad assumere, con il sostegno della Comunità internazionale, decisioni coraggiose per trovare una soluzione giusta e duratura ad un conflitto la cui fine si rivela sempre più necessaria e urgente. Non cessa di destare preoccupazione l’esodo dei cristiani dal Medio Oriente e dal Nord Africa. Essi desiderano continuare a far parte dell’insieme sociale, politico e culturale dei Paesi che hanno contribuito ad edificare, e ambiscono concorrere al bene comune delle società nelle quali vogliono essere pienamente inseriti, quali artefici di pace e di riconciliazione.

Pure in altre parti dell’Africa, i cristiani sono chiamati a dare testimonianza dell’amore e della misericordia di Dio. Non bisogna mai desistere dal compiere il bene anche quando è arduo e quando si subiscono atti di intolleranza, se non addirittura di vera e propria persecuzione. In vaste aree della Nigeria non si fermano le violenze e continua ad essere versato tanto sangue innocente. Il mio pensiero va soprattutto alla Repubblica Centroafricana, dove la popolazione soffre a causa delle tensioni che il Paese attraversa e che hanno seminato a più riprese distruzione e morte. Mentre assicuro la mia preghiera per le vittime e per i numerosi sfollati, costretti a vivere in condizioni di indigenza, auspico che l’interessamento della Comunità internazionale contribuisca a far cessare le violenze, a ripristinare lo stato di diritto e a garantire l’accesso degli aiuti umanitari anche alle zone più remote del Paese. Da parte sua, la Chiesa cattolica continuerà ad assicurare la propria presenza e collaborazione, adoperandosi con generosità per fornire ogni aiuto possibile alla popolazione e, soprattutto, per ricostruire un clima di riconciliazione e di pace fra tutte le componenti della società. Riconciliazione e pace sono priorità fondamentali anche in altre parti del continente africano. Mi riferisco particolarmente al Mali, dove pur si nota il positivo ripristino delle strutture democratiche del Paese, come pure al Sud Sudan, dove, al contrario, l’instabilità politica dell’ultimo periodo ha già provocato numerosi morti e una nuova emergenza umanitaria.

La Santa Sede segue con viva attenzione anche le vicende dell’Asia, dove la Chiesa desidera condividere le gioie e le attese di tutti i popoli che compongono quel vasto e nobile continente. In occasione del 50° anniversario delle relazioni diplomatiche con la Repubblica di Corea, vorrei implorare da Dio il dono della riconciliazione nella penisola, con l’auspicio che, per il bene di tutto il popolo coreano, le Parti interessate non si stanchino di cercare punti d’incontro e possibili soluzioni. L’Asia, infatti, ha una lunga storia di pacifica convivenza tra le sue varie componenti civili, etniche e religiose. Occorre incoraggiare tale reciproco rispetto, soprattutto di fronte ad alcuni preoccupanti segnali di un suo indebolimento, in particolare a crescenti atteggiamenti di chiusura che, facendo leva su motivazioni religiose, tendono a privare i cristiani delle loro libertà e a mettere a rischio la convivenza civile. La Santa Sede guarda, invece, con viva speranza i segni di apertura che provengono da Paesi di grande tradizione religiosa e culturale, con i quali desidera collaborare all’edificazione del bene comune.

La pace è inoltre ferita da qualunque negazione della dignità umana, prima fra tutte dalla impossibilità di nutrirsi in modo sufficiente. Non possono lasciarci indifferenti i volti di quanti soffrono la fame, soprattutto dei bambini, se pensiamo a quanto cibo viene sprecato ogni giorno in molte parti del mondo, immerse in quella che ho più volte definito la “cultura dello scarto”. Purtroppo, oggetto di scarto non sono solo il cibo o i beni superflui, ma spesso gli stessi esseri umani, che vengono “scartati” come fossero “cose non necessarie”. Ad esempio, desta orrore il solo pensiero che vi siano bambini che non potranno mai vedere la luce, vittime dell’aborto, o quelli che vengono utilizzati come soldati, violentati o uccisi nei conflitti armati, o fatti oggetti di mercato in quella tremenda forma di schiavitù moderna che è la tratta degli esseri umani, la quale è un delitto contro l’umanità.

Non può trovarci insensibili il dramma delle moltitudini costrette a fuggire dalla carestia o dalle violenze e dai soprusi, particolarmente nel Corno d’Africa e nella Regione dei Grandi Laghi. Molti di essi vivono come profughi o rifugiati in campi dove non sono più considerate persone ma cifre anonime. Altri, con la speranza di una vita migliore, intraprendono viaggi di fortuna, che non di rado terminano tragicamente. Penso in modo particolare ai numerosi migranti che dall’America Latina sono diretti negli Stati Uniti, ma soprattutto a quanti dall’Africa o dal Medio Oriente cercano rifugio in Europa.

È ancora viva nella mia memoria la breve visita che ho compiuto a Lampedusa nel luglio scorso per pregare per i numerosi naufraghi nel Mediterraneo. Purtroppo vi è una generale indifferenza davanti a simili tragedie, che è un segnale drammatico della perdita di quel «senso della responsabilità fraterna» (Omelia nella S. Messa a Lampedusa, 8 luglio 2013), su cui si basa ogni società civile. In tale circostanza ho però potuto constatare anche l’accoglienza e la dedizione di tante persone. Auguro al popolo italiano, al quale guardo con affetto, anche per le comuni radici che ci legano, di rinnovare il proprio encomiabile impegno di solidarietà verso i più deboli e gli indifesi e, con lo sforzo sincero e corale di cittadini e istituzioni, di superare le attuali difficoltà, ritrovando il clima di costruttiva creatività sociale che lo ha lungamente caratterizzato.

Infine, desidero menzionare un’altra ferita alla pace, che sorge dall’avido sfruttamento delle risorse ambientali. Anche se «la natura è a nostra disposizione» (Messaggio per la XLVII Giornata Mondiale della Pace, 8 dicembre 2013, 9), troppo spesso «non la rispettiamo e non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura e da mettere a servizio dei fratelli, comprese le generazioni future» (ibid.). Pure in questo caso va chiamata in causa la responsabilità di ciascuno affinché, con spirito fraterno, si perseguano politiche rispettose di questa nostra terra, che è la casa di ognuno di noi. Ricordo un detto popolare che dice: “Dio perdona sempre, noi perdoniamo a volte, la natura – il creato – non perdona mai quando viene maltrattata!”. D’altra parte, abbiamo avuto davanti ai nostri occhi gli effetti devastanti di alcune recenti catastrofi naturali. In particolare, desidero ricordare ancora le numerose vittime e le gravi devastazioni nelle Filippine e in altri Paesi del Sud-Est asiatico provocate dal tifone Haiyan.

Eminenza, Eccellenze, Signore e Signori,

Il Papa Paolo VI notava che la pace «non si riduce ad un’assenza di guerra, frutto dell’equilibrio sempre precario delle forze. Essa si costruisce giorno per giorno, nel perseguimento di un ordine voluto da Dio, che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini» (Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio [26 marzo 1967], 76: AAS 59 [1967], 294-295). È questo lo spirito che anima l’azione della Chiesa ovunque nel mondo, attraverso i sacerdoti, i missionari, i fedeli laici, che con grande spirito di dedizione si prodigano, tra l’altro, in molteplici opere di carattere educativo, sanitario ed assistenziale, a servizio dei poveri, dei malati, degli orfani e di chiunque sia bisognoso di aiuto e conforto. A partire da tale «attenzione d’amore» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 199), la Chiesa coopera con tutte le istituzioni che hanno a cuore tanto il bene dei singoli quanto quello comune.

All’inizio di questo nuovo anno, desidero perciò rinnovare la disponibilità della Santa Sede, e in particolare della Segreteria di Stato, a collaborare con i Vostri Paesi per favorire quei legami di fraternità, che sono riverbero dell’amore di Dio, e fondamento della concordia e della pace. Su di Voi, sulle Vostre famiglie e sui Vostri popoli scenda copiosa la benedizione del Signore. Grazie.





 

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