LETTERA APERTA A MONSIGNOR NEGRI: ma anche a TUTTI i Vescovi, VI SUPPLICHIAMO IN NOME DI GESU' CRISTO!

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Caterina63
00sabato 29 gennaio 2011 10:14

LETTERA APERTA A MONSIGNOR NEGRI: IL PAPA NON HA BISOGNO DI ADEGUAMENTI LITURGICI!

Giovanni Paolo II in preghiera nella Pieve di San Marino


Lettera aperta a S.E.R. Mons. Luigi Negri, Vescovo della Diocesi di San Marino-Montefeltro

Eccellenza Reverendissima,

è con una certa apprensione che leggo su vari quotidiani sanmarinesi una notizia allarmante. A quanto pare nel programma della visita del Santo Padre a San Marino la visita alla Pieve di San Marino, l'antica Basilica che custodisce le reliquie del Santo, sarebbe stata esclusa per ragioni di ordine liturgico-architettonico.
Sul quotidiano sanmarinortv.sm il giornalista Francesco Zingrillo scrive infatti il 19 gennaio scorso quanto segue: "Rimane il nodo della Pieve inadeguata liturgicamente non conforme alla riforma conciliare e ai canoni della architettura sacra vigente: difficile che il Papa teologo e liturgista possa passare in basilica minore dove si espongono le reliquie del Santo."

La stessa notizia veniva poi ripresa dal quotidiano La Tribuna Sanmarinese il 21 gennaio.
Successivamente, il 22 gennaio, interveniva il Rettore della Basilica e Direttore dell'Ufficio Liturgico Diocesano don Lino Tosi, il quale, pur auspicando una visita del Papa ai resti del Santo, non mancava di ribadire la necessità di questi adeguamenti liturgici: "Sono rimasto sorpreso nel leggere che – a motivo del mancato adeguamento liturgico della Basilica alle norme conciliari – il Santo Padre potrebbe rinunciare a visitare il luogo originario e singolare della nostra identità sammarinese quale è da sempre la Pieve e, di conseguenza, non venerare le reliquie del Santo Fondatore. Che la Basilica necessiti di una veste più dignitosa e di un energico “rinnovamento conciliare” (non solo negli arredi!) è da anni sotto gli occhi di tutti. Questo è, fra l’altro, il desiderio del Vescovo Mons. Negri, espresso con chiarezza anche nel decreto della mia nomina, letto pubblicamente nella stessa Basilica alla presenza degli Ecc.mi Capitani Reggenti (5 febbraio 2009)."

Ebbene, Eccellenza, c'è da augurarsi che questi adeguamenti non vengano mai effettuati e ciò proprio in considerazione dell'insegnamento liturgico e "pratico" del Santo Padre. Insegnamento liturgico se pensiamo ai molteplici riferimenti di Sua Santità nelle sue opere (recentemente raccolti nel volume XI della sua Opera Omnia) all'orientamento dell'altare e del sacerdote. Un altare antico è infatti pienamente rispondente all'indirizzo del Papa: guarda ad oriente ed è sormontato dalla Croce che ci ricorda il Cristo che ritornerà per giudicare i vivi e i morti. Inoltre L'insegnamento del Papa è anche pratico se pensiamo alla rimozione dell'altare mobile nella Cappella Paolina in Vaticano e al ripristino delle celebrazioni "ad orientem" anche nella Cappella Sistina.

Il Papa non ha bisogno di adeguamenti liturgici per poter venerare le spoglie di un Santo, né tantomeno credo sia opportuno sfruttare l'occasione della visita del Papa per riproporre inutili progetti di adeguamento liturgico fondati su una nota pastorale della CEI del 1996 che non può essere considerata né vincolante né ancora in vigore.

Stante infatti il parere della Sacra Congregazione per il Culto Divino del 25 settembre 2000 (n. prot.2036/00/L): "Quando si tratta di chiese antiche o di grande valore artistico, occorre tenere conto della legislazione civile riguardante i cambiamenti e le ristrutturazioni. Un altare posticcio non sempre può essere una soluzione idonea. Non bisogna dare importanza eccessiva a degli elementi che nel corso dei secoli hanno subito dei cambiamenti. Ciò che rimane fermo è l’avvenimento celebrato nella liturgia: esso è manifestato attraverso dei riti, dei segni, dei simboli e delle parole, i quali esprimono diversi aspetti del mistero, senza tuttavia esaurirlo, poiché il mistero li trascende tutti. Irrigidirsi su una posizione e “assolutizzarla” potrebbe tradursi nel rifiuto di alcuni aspetti della verità che meritano rispetto e accoglienza."

Per il Culto Divino, dunque, non è obbligatorio orientare l'altare al popolo ed è anzi erroneo pensare che "l'azione sacrificale sia orientata principalmente alla comunità".

Ma a questo documento dobbiamo aggiungere proprio l'esperienza liturgica del Sommo Pontefice e il decisivo documento emanato da Sua Santità nel luglio del 2007, il Motu Proprio Summorum Pontificum. La possibilità di celebrare secondo la forma straordinaria del rito romano costituisce infatti un caposaldo di quella "riforma della riforma liturgica" promossa senza proclami, ma con l'esempio dal Santo Padre. E se i Vescovi italiani provvederanno ad "adeguare" tutte le chiese che ancora conservano l'assetto tradizionale, ciò come non implicherà un segno di rottura, di profonda rottura tra un prima e un dopo? Si tratterebbe peraltro di una evidente smentita di quel processo di superamento della rottura, di quel lento recupero della continuità sincronica e diacronica del cattolicesimo, promosso da Papa Benedetto XVI.

Se, infatti, in pochi anni non ci saranno più chiese nelle quali siano presenti i segni della tradizione liturgica millenaria della Chiesa, ma tutto sarà stato cambiato nel nome di un aggiornamento ormai stantio e privo di utilità, dove si potrà celebrare correttamente quel rito che è tesoro comune della Chiesa e il cui recupero dobbiamo a Papa Benedetto XVI?

Eccellenza, è per questa ragione che un semplice figlio della Chiesa, già aspramente criticato perché esprime le proprie opinioni col cuore e l'intelletto e senza mostrare attestati o galloni accademici, né tantomeno aderenze vaticane, per questa ragione Le chiedo, Eccellenza, di smentire fermamente queste voci che gettano un'ombra ideologica sull'insegnamento liturgico del Papa e attribuiscono a Sua Santità opinioni e posizioni che non gli appartengono. Mai il Papa penserebbe di non rendere omaggio a San Marino, solo perché il suo altare non è liturgicamente adeguato alla riforma liturgica! E d'altra parte Le domando, Eccellenza, di fermare la mano di coloro che intendono modificare l'assetto architettonico della Basilica in nome di un "aggiornamento" che è così aggiornato da risalire a circa 50 ani fa. Abbia il coraggio, Eccellenza, di "restaurare" l'altare di San Marino, non di adeguarlo!

Riporti l'altare all'antico splendore, alla bellezza ordinata e conchiusa della sua originaria struttura. Solo attraverso il recupero del passato si può essere arditi in un era affetta da una vera e propria bulimia innovatrice. Riporti il decoro passato alla Basilica già sottoposta a provvisori rimaneggiamenti in nome dell'ideologia della rottura così contestata da Papa Benedetto. Non è stato forse proprio
il Papa a ricordare ai Vescovi italiani, pochi mesi fa che "Ogni vero riformatore è un obbediente della fede: non si muove in maniera arbitraria, né si arroga alcuna discrezionalità sul rito; non è il padrone, ma il custode del tesoro istituito dal Signore e a noi affidato. La Chiesa intera è presente in ogni liturgia: aderire alla sua forma è condizione di autenticità di ciò che si celebra"?

Oggi la Chiesa ha bisogno di recuperare il senso della bellezza e della verità. E lo può far solo attraverso il saldo riferimento della tradizione e l'orientamento spirituale, ma anche fisico, a Cristo. Per queste ragioni mi appello alla Sua comprensione e alla Sua saggezza.

Con filiale devozione.

in Domino Jesu,

Francesco Colafemmina

Caterina63
00martedì 1 febbraio 2011 00:43
Chiesa e chiese nella storia d'Italia

Il peso morale degli edifici



TIMOTHY VERDON

Pubblichiamo alcuni stralci dal volume Ecclesia. Le chiese d'Italia nella vita del popolo (Torino, Utet, 2010, pagine 240).

Nell'Italia costellata di edifici religiosi grandi e piccoli, di cattedrali, pievi, oratori e cappelle, di santuari, monasteri, conventi e compagnie, che cosa comunica veramente la parola "chiesa"? E, nel Paese che ospita la Santa Sede, che cosa comunica lo stesso termine scritto con la c maiuscola "Chiesa"?

Al di là di connotazioni politiche proprie della Repubblica, e prescindendo da situazioni sviluppatesi all'epoca del Risorgimento, qual è stato nei secoli l'effettivo peso morale degli edifici, l'influsso spirituale delle forme di vita a essi connesse, l'impatto sociale dell'istituzione che gli uni e le altre rappresentano? Oltre al loro valore architettonico, insomma, che senso hanno avuto le chiese d'Italia nella vita storica del popolo?

Sono domande complesse, queste, ma - proprio nell'Italia che festeggia 150 anni di unità politica - ineludibili. Tra le terre di antica religiosità dell'area mediterranea (ma anche del Medio Oriente e del subcontinente indiano), l'Italia infatti ha una posizione unica. Non solo ha conservato numerosi templi antichi e con essi il ricordo di credenze e pratiche cultuali superate da millenni, ma fino a oggi vive la fede cristiana, introdotta nella penisola pochi decenni dopo la morte di Gesù, in luoghi fisici e mentali espressivi di continuità con il passato.

Lo sa bene il romano che prega in Santa Maria sopra Minerva, e lo scopre il turista che, nel tempio ricostruito dall'imperatore Adriano in onore di tutte le divinità olimpiche, il Pantheon, trova un altare eucaristico e la dedica a Maria e tutti i martiri.

Lo sapevano i pisani che nell'XI secolo riportarono dalla Sardegna colonne antiche per la navata dell'erigenda Primaziale, e ne era consapevole l'artista duecentesco, forse Giotto, che ad Assisi ambientò un episodio della Vita di san Francesco davanti al tempio romano che ancora domina la piazza di quella città. Avverte con forza questa impressionante continuità il popolo di Siracusa che, oltre la facciata tardo barocca della loro cattedrale dedicata a Maria, trova la cella di un tempio dorico costruito 2.600 anni fa in onore di Atena.

La religione in Italia, un po' come la madre terra venerata dagli antichi, racchiude il mistero della vita. Ce lo suggeriscono due miniature di un rotolo pergamenaceo del XI secolo custodito alla British Library di Londra: la figura di Tellus (la Madre Terra al cui seno si nutrono piante e animali) e, subito sotto, la Mater Ecclesia: la "Madre Chiesa" che sostiene la volta di un tempio affollato dei suoi figli, i cristiani. Queste miniature introducono l'Exultet, l'inno patristico cantato la notte di Pasqua, che infatti apre con l'invito alla "Terra" e alla "Madre Chiesa" di esultare per il trionfo di Cristo. L'immagine materna della Chiesa fa parte della cultura popolare in Italia.

Lo stesso posizionamento degli edifici di culto a volte configura un rapporto con il vicino abitato simile a quello della figura di Tellus nel rotolo dell'Exultet, come se davvero tutte le case di un quartiere o di una città attingessero vita dalla "Casa" al loro centro, proprio come fanno le creature dalla terra. Il parallelismo teologico tra Maria, da cui è nato Cristo, e la Chiesa da cui nascono i cristiani, ha poi ingenerato eloquenti allusioni iconografiche alla maternità: lo stemma quattrocentesco della cattedrale di Milano, per esempio, situa l'intera struttura sotto il manto di un'enorme Madonna, così che chiunque entri per le porte di facciata si trovi necessariamente "in Maria", praticamente nel suo grembo. Oppure una tavola di Francesco di Giorgio Martini raffigurante Maria che stende il manto sul duomo e sulle case di Siena (biccherna del 1467).

Nell'iconografia mariana la stesura del mantello implica la misericordia divina. Nel caso della tavola senese datata 1467,uno scritto precisa che l'occasione dell'esecuzione era un terremoto da cui la città era sopravvissuta senza gravi danni, sperimentando così in termini concreti la protezione materna della Vergine. Siena invero aveva un rapporto privilegiato con Maria, grazie al voto cittadino risalente all'epoca della vittoria senese sul nemico fiorentino a Montaperti nel 1260. Su impulso dell'allora sindaco, Buonaguida Lucari, alla vigilia della battaglia i senesi si sono "donati" alla Vergine, consegnando le chiavi della loro città a un'immagine mariana in duomo, in una cerimonia ripetuta annualmente nei secoli successivi.

Il caso senese non è atipico: analoghe forme di patronato mariano sono documentati ovunque. Si tratta di un rapporto tra Maria, figura della Chiesa, e città storiche la cui identità veniva letta attraverso la Vergine Madre di Cristo. "Un fiume e i suoi ruscelli rallegrano la città di Dio, la santa dimora dell'Altissimo", recita il Salmo 45: "Dio sta in essa: non potrà vacillare; la soccorrerà Dio, prima del mattino". Queste parole, che nel loro contesto originario connotavano Gerusalemme, vengono adoperate nella liturgia delle feste mariane, perché anche Maria è stata "rallegrata" dal fluire dello Spirito, diventando "dimora" del Dio che "in essa" è rimasto per nove mesi. Maria è figura della "città santa, la nuova Gerusalemme (...) pronta come una sposa adorna per il suo sposo", di cui parla il Nuovo Testamento (Apocalisse, 21, 2).

Tale associazione d'idee non è solo biblica. Pure la cultura greco-romana identificava le città con divinità femminili, e la più celebre carta dell'impero romano - la Tabula peutingeriana, compilata nel IV secolo - simboleggia Roma e altre città mediante imponenti figure di donne. Un uso metaforico, questo, trasmesso al medioevo come parte del "bagaglio" della tradizione classica e che entra nell'immaginario comune.
 
Il cristianesimo poi riveste la metafora di preciso senso sociale: Maria, che aveva portato in grembo Cristo, viene pensata come icona della madre Chiesa che porta in sé una nuova umanità; la Chiesa a sua volta verrà considerata immagine terrena della Gerusalemme celeste. Sin dai primi secoli cristiani, poi, queste feconde figure semantiche - la terra, la maternità, la Chiesa, Maria e la città - s'intrecciano con altri simboli.
 
Nella prima grande chiesa romana dedicata a Maria, per esempio, Santa Maria Maggiore, iniziata subito dopo il concilio di Efeso che nell'anno 431 confermò il titolo mariano "Madre di Dio", l'iconografia dell'arco d'ingresso al presbiterio fa vedere la vita della Vergine sopra raffigurazioni ideali di Bethlem e Hierusalem alle cui porte stanno pecore pronte a entrare; nell'arco di ciascuna porta urbica pende una croce dorata. In questa chiesa dedicata a Maria, l'idea è quella di abbinare al senso mariano della civitas, con la sua tradizionale connotazione ecclesiale, l'altrettanto ecclesiale figura del gregge, che nel Nuovo Testamento viene associata soprattutto con Cristo, Buon Pastore.
La croce che pende nella porta della città ricorda che, secondo l'insegnamento di Cristo, "il buon pastore offre la vita per le sue pecore" (Giovanni, 10, 11).

Attraverso le porte urbiche raffigurate in questi mosaici si vedono infine teorie di colonne simili a quelle della navata di Santa Maria Maggiore stessa, così che "città" e "chiesa" diventano un tutt'uno, e il messaggio di un luogo materno, nutritivo - al contempo urbs e ovile - si apre al mistero del Buon Pastore ucciso per le pecore che egli alimenta mentre camminano verso la città celeste.

Il passaggio concettuale è suggestivo, e, guardando l'altare incorniciato da immagini della Vergine e delle due città, ancor oggi i fedeli si percepiscono - prima in rapporto a Maria, poi in rapporto a Cristo - come "figli partoriti" e "pecore nutrite" in cammino verso una città al cui ingresso vi è la croce dorata, segno di sofferenza e di gloria.
 
Non si tratta di un fenomeno solo romano. I coevi mosaici di una chiesa ravennate, Sant'Apollinare Nuovo, offrono un'analoga gamma di messaggi. Fanno vedere appena sopra l'arcata della navata maggiore due processioni di martiri che avanzano verso Cristo e Maria raffigurati in trono, rispettivamente a destra e a sinistra del presbiterio. In questa organizzazione delle immagini, i fedeli al livello del calpestio, guardando in alto mentre avanzavano verso l'altare, si percepiscono come parte della doppia processione, incamminati assieme ai santi verso Cristo e sua madre, membri della stessa comunità. Ed ecco: il "luogo" in cui il popolo che prende parte ai riti si riconosce partecipe di questa alta dignità è la "chiesa": al contempo grembo, ovile, città e scuola di vita.

All'indiscusso carattere biblico della sua concezione di Chiesa, l'Italia unisce poi una auto-comprensione politica, derivante dalla mai dimenticata origine romana delle sue città. L'identità ecclesiale, di nazione santa, s'innesta cioè sull'identità civica tramandata dal tardo impero, così che il concetto giudeo-cristiano di "popolo di Dio" viene a sovrapporsi a quello romano di plebs, un popolo autonomo con diritti e doveri, capace di difendersi e pronto al sacrificio.

Tale sovrapposizione concettuale, che segna profondamente lo sviluppo della Chiesa e delle chiese tra il V e il X secolo, porterà in alcune regioni al sistema "plebano" e alle pievi: letteralmente strutture in cui la plebs si riunisce, aule per un determinato "popolo". Per tutto il medioevo sarà infatti d'uso identificare la parrocchia di appartenenza, cittadina o rurale che sia, con questo termine: "popolo". Sostituendosi alla plebs antica, il popolo parrocchiale e il grande "popolo" della diocesi diventeranno l'ambito naturale della libertà, della solidarietà, della difesa dei valori.



(©L'Osservatore Romano - 31 gennaio 01 febbraio 2011)
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 11:15.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com