La Chiesa ai margini del Deserto in Arabia

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Caterina63
00venerdì 9 luglio 2010 19:25
La vita quotidiana della Chiesa nel Vicariato apostolico di Arabia

La fede ai margini del deserto


di Egidio Picucci

Le forze impegnate nell'apostolato nel Vicariato apostolico d'Arabia sono inversamente proporzionali alla sua vastità. Sui 3.182.122 Kmq di superficie (diventati oggi 3.199.940 con l'annessione del Vicariato del Kuwait, che ne ha fatto la più vasta circoscrizione ecclesiastica del mondo) lavorano, infatti - impegnati nell'assistenza spirituale di 580.000 cattolici che fanno capo a venti parrocchie e sette case religiose - 68 sacerdoti sparsi nei sette Emirati Arabi Uniti, nell'Oman, nel Bahrein, nel Qatar e nello Yemen.

Due terzi dei sacerdoti sono frati minori cappuccini, ai quali fu affidato il Vicariato nel 1916, per via di una convenzione fatta una decina di anni fa con la Provincia filippina, quella libanese e alcune dell'India, che si sono impegnate a inviare alcuni loro religiosi ogni sei anni. Dal 1889, anno di fondazione del Vicariato col vescovo cappuccino monsignor Louis Lasserre, l'Ordine offre religiosi a terre divenute un delicatissimo crinale nei rapporti tra fedi e civiltà, tra politica ed economia globali, dati gli enormi interessi mossi dalle risorse energetiche.

Gli altri religiosi provengono dall'Italia (2), dalla Svizzera (2), dagli Stati Uniti d'America (3), dallo Sri Lanka (1). A loro vanno aggiunti otto sacerdoti incardinati nel Vicariato, ma tutti stranieri.

È quanto ci dice padre Gandolf Wild, segretario di monsignor Paul Hinder, Vicario Apostolico dell'Arabia. "La varietà dei Paesi di provenienza dei sacerdoti - precisa padre Gandolf - si spiega sia con la vastità del territorio che con la molteplicità delle lingue e dei riti dei Paesi orientali da cui provengono molti cattolici, come il rito siro-malabarese e il siro-malankarese. Ce ne vorrebbero di più, perché per gli armeni, per i caldei e per i copti non ci sono, purtroppo, sacerdoti di madre lingua".

I cattolici sono così distribuiti:  250.000 a Dubai; 150.000 ad Abu Dhabi; 80.000 a Sharjha; gli altri si trovano ad Alain, a Fujayrah, Ras al Khaimah e Umm al Qaiwain, dove si spera di costruire presto una chiesa più grande in sostituzione di quella piccola che risale a qualche anno fa.

Ad Ajman non c'è chiesa, ma si può andare agevolmente o a Sharja o a Ras al Khaimah. L'8 dicembre scorso ne è stata consacrata una ad Alain, 160 Km da Abu Dhabi. Come altrove nella penisola arabica, anche qui la Chiesa ha sperimentato, in anticipo sulle formalità, la benevolenza di governanti che hanno donato un ampio terreno per la costruzione. La gratuità è il più bel modello di relazione col potere che la Chiesa sperimenta proprio dove l'islam ha la sua culla e il profeta Muhammad ha vissuto la sua storia.

In Arabia Saudita, come tutti sanno, non ci sono né luoghi di culto né sacerdoti, nonostante la presenza di quasi un milione di cattolici che chiedono inutilmente una chiesa e un assistente spirituale. Unica eccezione è la presenza di tre frati cappuccini nel campo petrolifero di Daran, dipendente dagli Stati Uniti.

Dove manca il sacerdote subentrano provvidenzialmente i laici, impegnati soprattutto nella catechesi in tredici grandi centri parrocchiali. Cento di essi, tutti volontari, insegnano il catechismo a 25.318 bambini dai 5 ai 15 anni. Gli insegnanti sono preparati da professori di religione che arrivano nel Vicariato quattro volte l'anno, nonché da corsi per corrispondenza organizzati da un'università inglese (qualcuno arriva anche alla laurea) che esige una presenza annuale di qualche settimana in loco.

La Chiesa - continua padre Gandolf - "vive dell'essenziale, di sacramenti e di devozioni. Vi sono alcune attività caritative, svolte tra i membri delle comunità o per mezzo del parroco o del vescovo; ma non ci sono strutture, e sarebbe anche difficile averle. Quindi la nostra attività si svolge nelle chiese e nei centri parrocchiali che, nonostante l'ampiezza, diventano sempre più piccoli. All'esterno possiamo solo interessarci dei malati negli ospedali e dei carcerati, che non sono pochi, perché qui basta un nonnulla per finire dietro le sbarre. Parrà strano, ma possiamo indossare il saio, molto simile al vestito degli sceicchi".

Un capitolo a parte è costituito dalle otto scuole che il Vicariato gestisce o con personale proprio (3) o con le Suore di varie Congregazioni che insegnano o in arabo o in inglese. Inutile dire che sono ambìte da tutti, a cominciare dalle famiglie degli sceicchi per la serietà dell'insegnamento e la disciplina. Complessivamente sono frequentate da 18.845 alunni, il 60 per cento dei quali musulmani. Nella Rosary School di Abu Dhabi essi rappresentano addirittura il 95 per cento. Una volta terminati i corsi, i giovani se ne vanno con un'idea compiuta sull'identità dei cristiani.
Le Missionarie di Madre Teresa (24) lavorano, invece, nello Yemen assistendo i bambini con handicap o abbandonati e gli anziani soli. Il vescovo vorrebbe aprire, in una delle due case di Aden, una piccola clinica per i poveri.

Oggi - spiega ancora padre Gandolf - "purtroppo, nonostante l'ottimo servizio che fanno e l'alta professionalità che le differenzia, le scuole stanno diventando un problema perché una legge recente esige che per ogni ragazzo ci sia un determinato spazio di cui le nostre aule non dispongono. Ci troviamo, perciò, di fronte a un grosso dilemma:  ridurre gli alunni o costruire nuovi edifici?".

Altre grosse preoccupazioni vengono dalla situazione delle donne lavoratrici e delle colf, che non sanno a chi rivolgersi per eventuali violazioni della loro libertà civile e religiosa; dalla crescente preoccupazione per i troppi cristiani che arrivano nel territorio, al punto che gli stranieri costituiscono l'87 per cento della popolazione; dai parcheggi per le automobili di chi viene in chiesa, che non potranno sostare più sulla strada e per le quali è stato imposto di costruire parcheggi sotterranei; dalla richiesta di presentare le varie documentazioni non più in inglese, ma in arabo.
Nelle chiese - aggiunge padre Gandolf - "siamo liberi di svolgere le nostre liturgie nelle varie lingue; nessuno controlla né quello che facciamo né quello che diciamo. Cosa che, invece, non avviene per gli iman. Sappiamo che, quando il Sultano dell'Oman ne ha sentiti alcuni predicare in maniera grossolana e smodatamente radicale, li ha rispediti in Egitto, da dove venivano, perché non vuole che nel suo territorio attecchisca un falso islam. Negli Emirati Arabi Uniti è stato fatto un passo ulteriore:  si è stabilito, dov'è necessario, che vi sia un controllo sulle prediche del venerdì, per evitare infiltrazioni. Se l'imam, poi, non accetta di sottomettere a una previa lettura il testo di ciò che dirà ai fedeli, non gli resta che attenersi ai testi ufficiali predisposti dal Ministero degli Affari religiosi.
 
Ci conforta il pensiero che i nostri cristiani sono affezionati alle chiese che affollano anche durante la settimana; la serietà con cui preparano se stessi e i figli ai sacramenti; il preziosissimo lavoro delle 60 suore impegnate nella scuola e le buone relazioni con le realtà sociali e religiose del luogo. Il campo in cui meglio camminiamo assieme ai musulmani è il desiderio di giustizia e di pace, nonché il rispetto della vita - anche nelle conferenze internazionali Chiesa e islam sono vicini, per esempio nel condannare l'aborto - e l'amore per la famiglia:  pur nella disparità di ruoli tra uomo e donna, il senso della famiglia è nell'islam molto forte".

Il fatto di vivere in Paesi completamente musulmani e che impongono determinate restrizioni, in qualcuno ha destato il desiderio di approfondire la fede. Il vescovo racconta che un ignoto signore gli disse un giorno:  "Padre, ho più fede qui che non nel mio Paese". Un altro, un europeo che aveva perso la fede, ha scritto una lettera da uno dei Paesi del Golfo, dicendo:  "Voglio rientrare nella Chiesa". Qui, per tanti motivi, si è quotidianamente dinanzi alla possibilità di abbandonare la propria fede, o di riabbracciarla.


(©L'Osservatore Romano - 10 luglio 2010)
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