La Francia dei politici ideologizzati contro la Chiesa

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Caterina63
00venerdì 10 aprile 2015 20:43

La Francia dei politici ideologizzati, contro la Chiesa

IL CASO
 

Lungo silenzio della Santa Sede dopo che il governo francese ha proposto come proprio ambasciatore in Vaticano un gay dichiarato. La stampa francese parla di rifiuto da parte del Papa, con relative polemiche. Ma questo sarebbe in accordo con il Catechismo della Chiesa e con la necessità di non avallare le rivendicazioni della lobby gay.

di Lorenzo Bertocchi e Tommaso Scandroglio

Laurent Stefanini

Il 5 gennaio scorso il Consiglio dei Ministri lo aveva nominato per divenire Ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, ma su quel nome il Vaticano ha risposto con un grande silenzio. Anzi, ad ascoltare i rumors che arrivano dalla stampa d'oltralpe sembra che ci sia stato un vero e proprio rifiuto. Fatto sta che il suo predecessore, Bruno Jouvert, ha fatto bagagli e burattini il primo marzo, ma dopo più di un mese i sacri palazzi non hanno ancora fatto sapere se accetteranno o meno la nomina.

Il diplomatico scelto dal governo Hollande è Laurent Stefanini, 55 anni, già conosciuto all'interno dei sacri palazzi: dal 2001 al 2005, infatti, è stato primo consigliere dell’Ambasciata presso la Santa Sede. Un curriculum di tutto rispetto, a cui va aggiunto che Stefanini è apertamente gay. Per questo la sua candidatura, proposta dal laicissimo governo Hollande, è stata definita “provocatoria”. Mentre vari siti e associazioni del mondo LGBT hanno già fatto partire la litania sull'omofobia della Santa Sede.

Eppure il cardinale di Parigi, André Vingt-Trois, nel Concistoro di febbraio avrebbe consegnato una lettera al Papa per sostenere la candidatura Stefanini, e lo stesso avrebbe fatto il cardinale camerlengo Jean-Louis Tauran. Insomma una cordata pro-Stefanini esiste anche in seno alla Chiesa, però non sembra aver ottenuto nulla. Secondo alcuni sarebbe proprio il Papa ad aver preso la ferma decisione di non accettare la proposta francese.

Già in un’altra occasione il Vaticano aveva rifiutato la candidatura di ambasciatore proposta dal governo francese: eravamo tra il 2007 e il 2008 all'epoca del governo Sarkozy e con papa Benedetto XVI. In quel caso il candidato era Kuhn-Delforge, un gay convivente in una unione registrata secondo i PACS previsti dalla normativa francese. Il quotidiano francese le JDD sottolinea che per uscire dall'impasse della candidatura Stefanini sarebbe già in circolazione una terna di nuovi nomi da sottoporre al Vaticano.

Contro questa candidatura si era mosso anche Ludovine de la Rochere, presidente della Manif pour Tous, che ai primi di febbraio era intervenuto direttamente con il Nunzio Apostolico per fargli sapere della contrarietà del suo movimento rispetto a questa proposta del governo francese.

Questa la cronaca. Intanto si sprecano i commenti su questo presunto rifiuto che verrebbe direttamente da parte del Papa del “chi sono io per giudicare” i gay. «Se una persona è gay – disse Francesco sull'aereo di ritorno da Rio - e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla? Il Catechismo della Chiesa Cattolica spiega in modo tanto bello questo...». Il primo punto da sottolineare è il richiamo al Catechismo: infatti basta leggerlo per capire cosa pensa la Chiesa sul tema, e Francesco ha sempre detto di essere in tutto «un figlio della Chiesa». 

Ma, forse, una chiave di lettura per comprendere la questione dell'ambasciatore francese, può venire dalla frase successiva di quella risposta del Papa. Anzi, è bene ricordare anche la domanda che fece la giornalista Ilza Scamparini: «Come Sua Santità intende affrontare tutta la questione della lobby gay?», chiese con un certo ardire. «Il problema - rispose il Papa - non è avere questa tendenza, no, dobbiamo essere fratelli (...) Il problema è fare lobby di questa tendenza: lobby di avari, lobby di politici, lobby dei massoni, tante lobby. Questo è il problema più grave per me».

Il silenzio di Francesco dunque pare indicare il timore in Vaticano che un ambasciatore omosessuale non porti solo le ambasciate del proprio governo ma anche quelle del mondo gay. Da una parte c’è sicuramente l’esigenza che il ruolo di ambasciatore sia ricoperto da una persona di specchiata virtù e dirittura morale. E su questo il Catechismo della Chiesa Cattolica, che vale ben di più di tutti i trattati internazionali messi insieme, parla chiaro in merito a chi asseconda le proprie pulsioni omosessuali. Su altro versante – ed è il versante più importante – accettare come ambasciatore un funzionario che approva la propria condizione omosessuale significherebbe per la Santa Sede avallare indirettamente l’omosessualità e le rivendicazioni delle lobby gay. 

Gli affari privati di Stefanini giustamente acquisterebbero una dimensione pubblica. In questo caso l’ambasciator eccome se porterebbe pena. Mutatis mutandis proviamo a pensare ad un ambasciatore che avesse espresso opinioni velatamente xenofobe. Non solo il giorno dopo il suo governo gli avrebbe dato un calcio nelle terga, ma di certo anche il paese ospitante lo avrebbe imbarcato sul primo volo di linea in classe economica. Ma in questo caso, all’opposto, sarebbe la Santa Sede ad essere “razzista” nei confronti di Stefanini se non accettasse la sua nomina.

Questa vicenda diplomatica è buon microscopio per capire quali sono le cose importanti di cui dovrebbe essere fatta la politica, anche quella sovranazionale. L’omosessualità, come l’educazione, la tutela della vita, la famiglia, la libertà di espressione e religiosa, sono le questioni cruciali del vivere insieme. Non far entrare in Vaticano Laurent Stefanini significa non solo ribadire a livello internazionale un “No” deciso all’omosessualità, alla teoria del gender, ai “matrimoni” gay, ma anche e soprattutto un “Sì” alla famiglia, ai ruoli maschili e femminili e alla tutela dei bambini. Questo è il linguaggio diplomatico che il battezzato – cittadino della Chiesa cattolica – si aspetta che venga usato da chi sta ai piani alti in Vaticano.



IL CASO
Francia e i cristiani di Oriente
 

Polemiche per l'azienda di trasporto parigina che aveva rifiutato l'affissione di manifesti in favore dei cristiani perseguitati. E anche l'Osservatore Romano scende in campo pubblicando la traduzione di un duro articolo di un intellettuale francese che non risparmia neanche l'arcivescovo di Parigi.

di Matteo Matzuzzi

Il manifesto censurato dalla Ratp

Il giorno dopo la decisione della Ratp, l’azienda di trasporto pubblico parigina che aveva in un primo momento deciso di vietare l’affissione di duecentocinquanta manifesti in favore dei cristiani perseguitati (la parola “cristiano” violava, a loro dire, il principio di neutralità) sui muri del metrò della Ville Lumiere, salvo poi far marcia indietro tra imbarazzi e polemiche, anche l’Osservatore Romano prende posizione. Non direttamente, ma attraverso la pubblicazione “quasi per intero” di un articolo apparso sull’edizione francese del magazineSlate a firma di Henri Tincq. 

L’autore è scrittore e collaboratore in questioni religiose dei quotidiani Croix e Monde. La Francia, scrive Tincq, «è malata della sua laicità. L’altro giorno è stato un consigliere socialista a staccare un crocifisso al Consiglio generale dell’Alto Reno. Poco dopo, in un seggio elettorale di Tolosa, a un rabbino è stato ingiunto di togliersi la kippah mentre si accingeva a compiere il suo dovere elettorale. Oggi sono alcuni oscuri censori della Ratp a decidere, di loro iniziativa, di cancellare la scritta 'a favore dei cristiani d’oriente’ sui manifesti della metropolitana che annunciano un concerto del gruppo Les Pretres, voluto da monsignor Jean-Michel di Falco Léandri». 

Pare infatti che solo la minaccia di un’azione giudiziaria d’urgenza promossa dal Coordinamento dei cristiani d’oriente in pericolo abbia fatto recedere dalla decisione – in un primo momento perentoria – dell’azienda di trasporti di non permettere l’affissione di quei cartelli. Dopo l’intervento via Twitter del premier socialista Manuel Valls alla vigilia di Pasqua, che garantiva sostegno senza se e senza ma a quei cristiani esiliati, uccisi e decapitati di cui avrebbe parlato il Papa all’Urbi et Orbi e successivamente al Regina Coeli di lunedì, era stata trovata una mediazione dai contorni ridicoli: ferma restando la rimozione di ogni accenno ai cristiani, sui manifesti sarebbe comparso il nome de L’Oeuvre d’Orient, che del concerto di beneficenza è l’ente organizzatore.
«Così i cristiani d’Oriente, da mesi oggetto di un movimento di empatia a livello mondiale, sono censurati in Francia. Una popolazione che è costretta all’esodo da decenni, in Libano, in Palestina, in Siria, ridotta a trecentomila persone dopo le due guerre in Iraq e che, ancora oggi, viene umiliata, maltrattata, discriminata, ridotta in schiavitù, cacciata dai suoi villaggi, dalle sue terre ancestrali, dalle sue case dalle milizie jihadiste dell’Is», osserva Slate.fr. 

È solo l’ultimo episodio del trionfo del culto della sacra laicità nella Francia un tempo cattolicissima e oggi in prima fila nella campagna per debellare ogni segno visibile e tangibile che alle radici cristiane possa in qualche modo rimandare. Eliminazione dei presepi dai luoghi pubblici, proposte per zittire le campane delle chiese e per rimuovere dal gonfalone della bandiera della città di Tolosa la croce occitana, ordinanze per togliere dai parchi pubblici le statue della Vergine Maria.
Nei giorni scorsi, poi, è stato presentato il progetto per cambiare nome a tutti i comuni, villaggi e cittadine che siano dedicati a un Santo cattolico. 
Adesso si assiste a un salto ulteriore, visto che si invoca la neutralità quando sgherri fondamentalisti al soldo del cosiddetto califfo cacciano di casa coloro che sono da loro considerati eretici (cristiani, musulmani non in linea con il verbo di al Baghdadi, yazidi e altre minoranze locali), li ammazzano, li crocifiggono e magari danno loro fuoco. 

«In questi tempi, a nome di una cosiddetta ‘neutralità’ e del principio laico di separazione tra religione e servizio pubblico, la Ratp decide di censurare una semplice scritta ‘cristiani d’Oriente’ apposta sul manifesto. Come se la parola ‘cristiani’ bruciasse ancora le labbra di alcuni. Come se i cristiani d’oriente fossero gli ‘attori’ di un conflitto armato in Medio oriente, mentre ne sono le vittime», scrive Tincq, che aggiunge: «In nessun altro Paese vicino ci si tappa il naso in Francia come quando si menzione una confessione religiosa. La storia della Francia è attraversata da odi triti e ritriti tra clericali e liberi pensatori, da fiumi di letteratura e da lotte religiose il cui vigore polemico a volte riemerge ancora oggi». 

Infine – e l’Osservatore Romano lascia la frase scritta dall’autore e pubblicata su Slate – Henri Tincq muove un rilievo all’arcivescovo parigino, cardinale André Vingt-Trois, che l’anno scorso aveva sminuito la profanazione del Sacro Cuore negando che ci fosse dietro le scritte blasfeme dipinte sulla facciata della basilica qualche motivazione anti-religiosa: «Non è semplicemente ‘un errore’, quello appena commesso dalla Ratp, come ha detto con molta indulgenza l’arcivescovo di Parigi. L’episodio della scritta censurata sui manifesti è eredità di un laicismo superato, stretto, dogmatico, che riemerge grazie a una ripresa degli integralismi».

 


LAICITA' FORZATA
 

La laicissima Francia, quella della libertà e del Je suis Charlie,  vuole mettere mette al bando santi e beati, ameno dai paradisi della toponomastica. L’obiettivo è l'eliminazione di tutti i riferimenti alla cristianità dai Comuni francesi, sono quasi 5000, che nel loro nome hanno il termine “saint”, santo, o “sainte”.

di Luigi Santambrogio


La laicissima Francia, quella del Je suis Charlie, della tolleranza e del “vivre ensemble” multiculturale, vuole mettere mette al bando santi e beati, ameno dai paradisi della toponomastica. L’obiettivo è l'eliminazione di tutti i riferimenti alla cristianità dai Comuni francesi, sono quasi 5000, che nel loro nome hanno il termine “saint”, santo, o “sainte”. Dovranno essere sbattezzati perché con il loro toponimo insultano «tutta una categoria di popolazione». Non è chiaro se la ghigliottina della censura anticristiana si estenderà anche ai nomi della vie cittadine, dei quartieri, dei ponti, degli aeroporti e delle stazioni ferroviarie. A chiedere lo “sbattezzo” è il gruppo di riflessione “Laïcité et République moderne” e curato dal deputato socialista Yann Galut, leader del collettivo “La Gauche forte”, e dalla senatrice ecologista Esther Benbassa, alla guida del microscopico ma influente partito “Pari(s) du Vivre-Ensemble”. Insieme hanno firmato un rapporto e lo hanno inviato al premier socialista Valls. 

A dare l’incredibile notizia è il settimanale Minute (www.minute-hebdo.fr/) giornale di riferimento della destra religiosa, diretto per anni da Patrick Buisson, il consigliere ombra di Sarkozy nel 2012. Il rapporto si intitola in maniera deliberatamente ambigua «Rivedere la toponimia della Francia alla luce del vivre-ensemble», e nelle intenzioni dei curatori dovrebbe rappresentare il primo atto della «lotta contro l’apartheid territoriale, sociale, etnico», evocata dallo stesso Valls nel gennaio scorso. I curatori parlano inizialmente di una non precisata “categoria di popolazione” che potrebbe sentirsi a disagio e svillaneggiata dalla cristianità dei nomi di alcuni Comuni. 
Quale? 
L’enigma viene svelato poco più avanti: «Una frazione crescente della popolazione di origine musulmana è scossa dalle appellazioni toponimiche che rappresentano un'epoca arcaica dove l'identità della Francia, tutt'altro che plurale, si definiva esclusivamente sotto il segno di una cristianità trionfante e totalitaria». Da qui l’imperativo politico e civile: «rilaicizzare profondamente la République», tramite la soppressione di questi «appellativi discriminanti». Una fraseologia, commenta ironico il settimanale, che lascia pensare che i redattori del rapporto «abbiano studiato dagli anticlericali più che dai curati». 

Tutto chiaro, no? Per non urtare la comunità musulmana francese e in nome del sacro “vivre-ensemble”, i neogiacobini del governo mirano insomma a curare i paeselli della Francia profonda da quella che a quanto pare considerano come una malattia mortale: la cristianità e la sua cultura millenaria. “Rilaicizzare” fa rima con rieducare: le menti e le coscienze certo, ma anche i ricordi e i segni materiali di una storia millenaria, cambiando nomi alle città e ai luoghi, come fecero con Leningrado, Stalingrado, Hô-Chi-Minh-Ville  e altri esempi delle più feroci dittature. A quanto ammonta il costo dell’operazione “sbattezzo”?  
È sempre il settimanale Minute a svelarlo: 3,4 miliardi di euro, tra spese dirette e indirette. La riforma è presentata come “audace” all’interno del rapporto, e come riporta Minute rinvia apertamente all’epoca della Rivoluzione francese, quando la Convenzione condusse una vera e propria caccia alle denominazioni che non erano considerate “rivoluzionariamente corrette”. 
Tremila comuni furono allora rinominati, detersi dal loro germe cristiano: Saint-Quentin divenne Egalité-sur-Somme, Saint-Caprais si trasformò in Thémistocle, Saint-Michel-de-Rivière mutò in Esprit-des-Lois. E oggi sono quasi 5.000 le città che perderebbero le loro radici cristiane.  3 927 cominciano per “Saint“ (10,7 % dei comuni francesi. Il santo più diffuso è Saint-Martin (222 comuni), poi Saint-Jean (170) e Saint-Pierre (155). Altri 471 comuni hanno il termine “Saint“ all’interno del loro nome, 334 cominciano per “Sainte“ (0,9 %), e Saintes. La santa più diffusa è Sainte-Marie (40), seguita da Sainte-Colombe (27) e Sainte-Croix (25).

Quando in Vandea vennero proibiti i presepi, i cattolici si mobilitarono al grido di “Touche pas à ma crèche” (non toccatemi il presepe), adesso forse lo faranno con un non meno nobile: “Giù le mani dai santissimi”. 
E non solo da quelli, verrebbe da aggiungere. Infatti, mentre i nuovi giacobini si preparano a tagliare di nuovo la testa ai santi cristiani, come ai tempi del Terrore, c’è da registrare anche il Rapporto 2014 dell'Observatoire de la cristianophobie, struttura che recensisce ogni anno attacchi  cristianofobi: atti di vandalismo contro i luoghi di culto cristiani, delle profanazioni, degli incendi e degli attacchi informatici. Testimonianze dirette ed episodi raccontati dalla stampa dicono che sull'intero territorio nazionale ne sono stati registrati 186 atti, numero che fa dei cristiani la comunità più perseguitata di Francia. Ma di questo, la laicissima République non si cura, tanto questi cristiani mica andranno per ritorsione ad assaltare moschee o giornali satirici. La ghigliottina cade sempre sulle solite teste. 



Caterina63
00lunedì 13 aprile 2015 13:22
  Ambasciatore gay, la Santa Sede non può cedere

di Riccardo Cascioli

13-04-2015

 

La terribile reazione del presidente dell’Arcigay Flavio Romani alla notizia che la Santa Sede rifiuta la nomina dell’ambasciatore francese perché omosessuale, lascia intuire quanto questa vicenda sia importante. «Il Vaticano è come l’Uganda dove gay e lesbiche sono perseguitati da chiese fanatiche» e il Papa che predica bene («Chi sono io per giudicare i gay?») e poi razzola male discriminando i gay stessi «è una zavorra per la civiltà, anzi una minaccia», sono le parole fuori controllo di Romani.

La storia è nota ed è stata raccontata da La Nuova BQ nei giorni scorsi (clicca qui): lo scorso 5 gennaio la Francia – si dice che sia una scelta personale di Hollande – designa Laurent Stefanini quale nuovo ambasciatore presso la Santa Sede. Ma la risposta vaticana di accettazione, che normalmente non tarda più di sei settimane, non è ancora arrivata e la settimana scorsa i giornali francesi hanno parlato chiaramente di rifiuto dovuto all’omosessualità nota di Stefanini, rifiuto che – dicono alcune fonti – viene direttamente dal Papa. 

Il “no comment” del Vaticano tradisce l’imbarazzo della situazione, tanto più che viene riferito che la candidatura di Stefanini sia stata approvata dall’arcivescovo di Parigi, il cardinale André Vingt-Trois. Secondo quanto riportato da Vatican Insider, lo scorso 5 febbraio il nunzio apostolico a Parigi, l’arcivescovo Luigi Ventura, ha incontrato Stefanini invitandolo a fare un passo indietro per risolvere la delicata situazione, ma ne ha ottenuto un rifiuto. E l’altro giorno il quotidiano cattolico francese La Croix riferiva che Hollande è deciso a insistere su Stefanini. «È la migliore personalità per quel ruolo», ripete più volte Vatican Insider citando il Quai d’Orsay, e sottolinea che l’eccezionalità del caso sta nel fatto che Stefanini è un «credente» seguito nel suo cammino dall’arcivescovo di Parigi, «ha sempre vissuto da celibe, non si è mai sposato né religiosamente né civilmente». «È un cattolico praticante», insiste Vatican Insider, forse a suggerire che in fondo questo conta molto più di un orientamento sessuale non conforme alla dottrina.

Non abbiamo elementi per entrare nel merito della vicenda personale di Stefanini, a parte quello che è emerso dalle poche fonti in questi giorni, anche se non può non lasciare perplessi il modo disinvolto con cui si vuole conciliare l’essere “cattolico praticante” con l’affermazione positiva della propria omosessualità (nessuna dichiarazione di vivere in castità risulta) e il sostegno alla legge Toubira che ha introdotto in Francia il matrimonio fra persone dello stesso sesso.

Ma pur tralasciando questi particolari, è evidente che la questione dell’omosessualità di Stefanini non è più una questione di vita privata. La vicenda ha ormai un rilievo pubblico, voluto evidentemente dalla Francia per forzare la mano. Il tentativo è quello di costringere la Santa Sede a fare un passo che farebbe non soltanto saltare la regola che vuole che gli ambasciatori in Vaticano non abbiano situazioni matrimoniali irregolari e comportamenti morali in contrasto con gli insegnamenti della Chiesa, ma soprattutto aprirebbe a un cambiamento dell’insegnamento della Chiesa in materia di omosessualità. 

A questo punto, visti i termini con cui la vicenda è diventata pubblica, se la Santa Sede accettasse Stefanini come ambasciatore il messaggio – aldilà delle intenzioni - sarebbe quello di sdoganare l’omosessualità e accettarla come una variante naturale della sessualità. Sarebbe la sconfitta nella sfida che aveva preconizzato con chiarezza Benedetto XVI nel discorso alla Curia Romana del 21 dicembre 2012, quando disse che l’ideologia di genere – e quindi la promozione dell’omosessualità - rappresentava il rovesciamento del piano della Creazione, ovvero l’affermazione dell’uomo come maschio e femmina. 

Tale sovvertimento non è l’obiettivo soltanto del governo francese e delle elités illuminate dell’Occidente che gestiscono il circuito dei media, ma anche di un settore della Chiesa cattolica che sta adoperando anche il Sinodo sulla famiglia per promuovere questa agenda (come abbiamo documentato più volte). Non c’è dubbio, purtroppo, che ci sia anche una parte del clero e dell’episcopato che aspetta questa svolta per “regolarizzare” la propria posizione.

Per questo è ancora più importante che la Santa Sede tenga duro nel suo silenzio-diniego e aspetti la nomina di un altro ambasciatore. La conseguenza sarebbero certamente le becere reazioni del mondo gay e di tanta intellighentia europea, di cui le “serene” dichiarazioni di Romani sono un antipasto, ma cedere su questo punto avrebbe conseguenze incalcolabili nella Chiesa e nella società.






Caterina63
00mercoledì 22 aprile 2015 08:59

  AGGIORNAMENTOLe Figarò - vedi qui - ha pubblicato un chiaro e presunto - al momento - NO del Papa alla scelta dell'ambasciatore....

"Ambasciatore Gay scelto dalla Francia per rappresentare il Vaticano è stato ricevuto Sabato dal Papa stesso, che ha confermato il suo rifiuto di approvare la sua candidatura, assicura l'imminente domani settimanale satirico Le Canard Enchaîné.
Una fonte vicina alla situazione ha confermato l'incontro tra il Papa e il diplomatico Laurent Stefanini, senza specificarne il contenuto.
Secondo il settimanale satirico francese, che ha rivelato l'opposizione della Santa Sede per la nomina di Laurent Stefanini come Ambasciatore di Francia in Vaticano, Papa Francesco ricevette "molto tranquillamente" Sabato diplomatico assunto gay cattolico convinto.
Il papa ha detto che "non hanno nulla contro di lui, ma al contrario aveva goduto né il matrimonio né per tutti i metodi di all'Eliseo che hanno tentato di forzare la mano", scrive Le Canard.
Il 15 aprile, il portavoce del governo francese Stephane Le Foll aveva indicato che la scelta di Laurent Stefanini rimasta "la proposta della Francia."
Parigi e il Vaticano sono impegnati da tre mesi in un accogliente showdown sulla scelta del nuovo Ambasciatore di Francia presso la Santa Sede. Nominato all'inizio di gennaio dal presidente François Hollande, Laurent Stefanini ha  atteso invano per la certificazione da parte della Santa Sede, un silenzio che equivale a un ripudio.
Secondo Le Canard Enchaîné, il presidente francese è ora alla ricerca di un nuovo candidato".

 
 

«Nulla di personale, ma il Papa non ha gradito né il sostegno alla legge del 2013 sulle nozze gay né il tentativo dell’Eliseo di forzargli la mano». Secondo il settimanale satirico francese Le Canard Enchainé in edicola oggi, sarebbe questo il senso della posizione espressa da papa Francesco in un incontro personale avuto sabato scorso in Vaticano con Laurent Stefanini, l’ambasciatore con tendenze omosessuali che il presidente francese Hollande aveva designato già nel gennaio scorso per occupare la sede diplomatica francese presso la Santa Sede.

Secondo le anticipazioni fornite dall’agenzia France Press, l’incontro sarebbe avvenuto «in modo molto discreto». E si può comprendere il desiderio di papa Francesco di spiegare la posizione negativa assunta riguardo alla sua nomina in Vaticano, che – come La Nuova BQ ha scritto nei giorni scorsi (vedi link in fondo all'articolo) – non è una mancanza di rispetto della persona ma una reazione alla chiara provocazione lanciata dal presidente francese.

L’incontro in Vaticano, secondo la France Presse, è stato anche confermato da una fonte vicina al dossier, ma senza rivelarne i contenuti. Ieri sera, comunque, un portavoce dell’Eliseo ha mantenuto ferma la posizione del presidente, affermando che Parigi «si aspetta una risposta positiva e rapida». Le Canard Enchainé - settimanale che per primo aveva fatto uscire nei giorni scorsi la storia del rifiuto della Santa Sede per Stefanini – afferma invece che l’Eliseo sta già cercando un nuovo nome da proporre.

Come aveva scritto nei giorni scorsi La Nuova BQ l’aver lasciato trapelare alla stampa la situazione di stallo tra Parigi e Vaticano sul nome di Stefanini, aveva posto la Santa Sede in ulteriore imbarazzo; un suo cedimento avrebbe avuto conseguenze gravi non solo per il prestigio diplomatico della Santa Sede, ma soprattutto per il Magistero della Chiesa, dato che il gesto sarebbe stato interpretato come uno sdoganamento dell’omosessualità come dato naturale. Da parte dell’Eliseo si è trattato di quel «metodo per tentare di forzare la mano», cosa che papa Francesco proprio non deve aver gradito. 

Ora, se tutto verrà confermato, ci si può aspettare dure reazioni da parte delle associazioni LGBT e dai settori più laicisti dell’Europarlamento, che già nei giorni scorsi avevano fatto sentire la loro voce. Ma ora è più che mai fondamentale che la Santa Sede non ceda a ricatti.

- AMBASCIATORE GAY IN VATICANO? NON SI PUO',
  di Lorenzo Bertocchi e Tommaso Scandroglio

AMBASCIATORE GAY, LA SANTA SEDE NON PUO' CEDERE,
di Riccardo Cascioli

- SE BRUXELLES FA PRESSIONI PER L'AMBASCIATORE GAY
di Riccardo Cascioli

 
 
 
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Caterina63
00mercoledì 6 maggio 2015 17:12

Francia: ordinata rimozione monumento a Giovanni Paolo II




La statua di san Giovanni Paolo II a Ploërmel - AFP





06/05/2015



Nuova puntata, in Francia, del dibattito sull’interpretazione e il rispetto del principio di laicità contenuto nella Costituzione e nella legge sulla separazione fra le Chiese e lo Stato datata 9 dicembre 1905. Questa volta al centro dell’attenzione è finito un monumento in onore di Giovanni Paolo II installato nel 2006 in una piazza di Ploërmel, nel dipartimento di Morbihan, in Bretagna. Nei giorni scorsi - scrive L'Osservatore Romano - il tribunale amministrativo di Rennes ha ordinato di rimuoverlo perché contrario alle norme sulla laicità.


Sarebbe "fuorilegge" la collocazione della statua sulla piazza
Più precisamente i giudici hanno spiegato che non è tanto la statua di bronzo che raffigura il Papa (con incisa la celebre frase «Non abbiate paura») a essere “fuorilegge” quanto la sua collocazione nella piazza, sotto un arco in cima al quale è posta una grande croce. Otto metri di altezza in tutto. Secondo il tribunale, quindi, il monumento, «per la sua collocazione e le sue dimensioni, presenta un carattere ostentatorio» e viola così la Costituzione, che sottolinea il carattere laico della Repubblica francese, e la legge del 1905 sulla separazione fra le Chiese e lo Stato.

Il sindaco farà appello al Consiglio di Stato
L’ordinanza implica necessariamente che il monumento sia tolto dalla sua posizione attuale. I giudici hanno dato al Comune di Ploërmel sei mesi di tempo per eseguire il provvedimento. Il sindaco, Patrick Le Diffon, ha annunciato la sua intenzione di fare appello al Consiglio di Stato contro l’ordinanza: «Ho capito che sono l’arco e la croce sovrastante a essere considerati ostentatori e che toglierli potrebbe essere sufficiente, ma non posso farlo senza il consenso dell’artista», ha dichiarato il primo cittadino, spiegando inoltre che «non è all’uomo di Chiesa ma all’uomo di Stato che venne dedicato il monumento in una piazza pubblica».

L'artista russo si opporrà a qualsiasi modifica
Dal canto suo l’artista, il russo Zourab Tsereteli, ha già fatto sapere all’ex sindaco di Ploërmel che si opporrà a qualsiasi modifica dell’insieme dell’opera (protetta dalla legge sulla proprietà intellettuale) perché arco e croce fanno indissolubilmente parte di essa. Ma — osserva il quotidiano «la Croix» — se la croce non potrà essere staccata dal monumento, sarà l’intero monumento a dover trovare un’altra collocazione.

Le polemiche erano iniziate già nel 2010
Fin dall’installazione (nel dicembre 2006) su una piazza ribattezzata «San Giovanni Paolo II», l’opera non ha cessato di alimentare polemiche. Nel gennaio 2010, un tribunale aveva dichiarato illegale una sovvenzione di 4.500 euro versata nel 2006 dal dipartimento di Morbihan. E polemiche erano sorte a seguito dell’accusa di aver fatto ricorso a fondi pubblici per il finanziamento del piedistallo della statua e della cerimonia di inaugurazione. (L.Z.)





L'accusa
Francia, le biblioteche ignorano la religione

Nelle città francesi, le biblioteche municipali e pubbliche sono considerate istituzioni fondamentali, anche in termini di risorse investite. È il frutto di una concezione diffusa della 'cultura per tutti' lontanamente erede del progetto politico illuministico. Ma curiosando fra gli scaffali liberamente accessibili, nasce spesso l’impressione che la 'cultura per tutti' non sia tutta la cultura, data soprattutto la limitata attenzione al fatto religioso.

Nel 2010, uno studio condotto nel quadro dell’Enssib (Scuola nazionale superiore di scienze dell’informazione e delle biblioteche) ha confermato il fenomeno. Analizzando quei risultati, il Bollettino delle biblioteche di Francia concludeva: «Nel momento in cui le pratiche religiose conoscono un sussulto manifesto, proporre un’offerta documentaria coerente sulle religioni, più in fase con le attese dei pubblici e il rispetto del pluralismo, non è sempre considerato come una priorità».

Da allora non ci sono stati miglioramenti e la Chiesa francese ha preso aperta posizione. Monsignor Georges Pontier, arcivescovo di Marsiglia e presidente della Conferenza episcopale, si è appena espresso davanti all’Osservatorio della laicità, sottolineando che «le sezioni religiose nelle biblioteche o mediateche offrono spesso opere senza consistenza e per nulla fondamentali».

Secondo il quotidiano cattolico La Croix, «per mancanza di formazione e paura di fare del proselitismo, la maggioranza delle strutture esita ad acquistare libri di questo tipo». E quando è il caso, i criteri posso divergere da un facile accesso per tutti: «Se il cristianesimo è quantitativamente ben rappresentato, i libri proposti sono spesso poco adatti al grande pubblico».

Non di rado, per ammissione pure di bibliotecari critici verso il fenomeno, una miscela d’ignoranza sul fatto religioso, di 'fastidio' o di chiari riflessi antireligiosi spinge le strutture a limitarsi al "servizio minimo", o a enfatizzare la dimensione più misteriosa delle religioni, con sconfinamenti nell’esoterismo. Anche per rimediare a simili confusioni e derive, certi teologi e studiosi avvertono nuovamente il bisogno di spiegare le definizioni fondamentali di ciò che è religioso in volumi semplici ma rigorosi come Religioni.

Le parole per parlarne, di F. Boespflug, T. Legrand e A.-L. Zwilling. Sperando di giungere, prima o poi, pure negli scaffali delle biblioteche.

(da Avvenire 7 maggio 2015)




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