La Penitenza il vero valore del pentimento scrive San Cipriano

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Caterina63
00venerdì 9 agosto 2013 13:09
[SM=g1740758] Dopo avervi intrattenuto con meditazioni sulla MISERICORDIA DIO, COSA E' E COSA NON E', cliccate qui.... vi offriamo ora un capolavoro patristico.....
il famoso trattato sui De Lapsi sono spunto di riflessione per tutti coloro che si riconoscono peccatori e bisoignosi, appunto della vera Misericordia di Dio....

Buona meditazione!!

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San Cipriano De lapsi (valido per tutti i peccatori)

 

Premessa

Questa magnifica e stringata perorazione contro i "rinnegati", ossia gli apostati durante la persecuzione di Decio, fu scritta da San Cipriano sul finire della primavera dell'Anno 251, dopo il suo ritorno da Cartagine dalla sua clausura nella quale, prudentemente, s'era rifugiato durante la persecuzione stessa.

Nella questione dei lapsi meglio che in quella del De rebaptismate - cioè se bisognasse o no ribattezzare quelli che erano stati battezzati nell'eresia - Cipriano fu davvero un grande faro di sana ortodossia sapendo mantenere, in quel tempo di grandi incertezze, la via giusta, anzi fu proprio lui che tenne testa nella Chiesa di Cartagine - in pieno accordo con Roma - a tutta l'enorme massa dei lapsi che insolentemente battevano alle porte della Chiesa per essere riammessi nella Comunione ma senza penitenza dei propri peccati.

Nello specifico, lapsi, si chiamavano quei cristiani che ai primi moti della persecuzione o durante la stessa persecuzione di Decio, scoppiata nell'Anno 250, avevano fatto apostasia cioè avevano sacrificato agli dei, bruciato incensi per loro, ovvero avevano ottenuto poi dei certificati - anche senza sacrificare - corrompendo i magistrati e rinnegando così la propria fede. Cipriano comprende lo stato di paura, ma non per questa giustifica l'apostasia.

Quando nella primavera dell'Anno 251 si rallentò la persecuzione e le Chiese tornarono al loro culto pubblico, tutti costoro volevano rientrare nella Chiesa e si prevalevano a tal fine dei biglietti - libelli pacis - fattisi rilasciare dai martiri ancora in vita (vedi Nota al paragrafo 20).

Cipriano sorse allora a difendere i diritti di Dio e della Chiesa e fu particolarmente severo così come un vero padre deve essere; non volle ammettere nessuno dei lapsi nella Chiesa se prima non avesse fatto vera penitenza e non vi fosse un vero pentimento , e concesse solo a quelli che erano in "articulo mortis" la pronta riconciliazione.

L'esempio di Cipriano fu immediatamente seguito anche dalle altre chiese e servì a ricondurre la disciplina e l'ordine nella Chiesa non solo a riguardo dei lapsi ma anche di tutti i penitenti in genere facendo sviluppare e maturare nella Chiesa il sentimento e la disciplina del Sacramento della Penitenza, inoltre quantunque proprio allora un indegno sacerdote, Novato di Cartagine, accusato già prima della persecuzione di parecchi delitti, si levasse naturalmente a far partito insieme con i lapsi.

Questo piccolo trattato - senza dubbio abbastanza polemico come l'altro Ad Demetrianum - ci rivela il carattere fermo e pastoralmente intransigente di questo grande Vescovo dell'Africa proconsolare. Anzi, proprio grazie a questo carteggio diretto anche al clero romano, appare meglio evidenziato quanto splendore pastorale Cipriano diede alla Chiesa non solo di Cartagine ma a tutta la Chiesa Cattolica, tanto che i suoi insegnamenti pastorali sono entrati di diritto a far parte del luminoso "magistero ecclesiale".




Caterina63
00venerdì 9 agosto 2013 13:10

(nella prima parte tratta della gloria e lo splendore dei martiri)

 

17. - Nessuno s'illuda; nessuno s'inganni.

Il Signore soltanto può usar misericordia. Il perdono dei peccati può venire soltanto da Colui che s'accollò tutti i nostri peccati, che soffrì per noi e morì per i nostri peccati.

L'uomo non è da più di Dio; il servo non può perdonare o condonare il delitto commesso gravemente contro il padrone affinché, rimanendo sempre nel suo peccato, non gli si aggiunga un altro delitto, quello dell'ignoranza della maledizione divina "Maledictus homo, qui confidit in homine et ponit carnem brachium suum, et a Domino recedit cor eius / Maledetto l'uomo che confida nell'uomo, che pone nella carne il suo sostegno e il cui cuore si allontana dal Signore" (Ger.17,5).

Solo il Signore va pregato, solo Lui va placato con le penitenze perché a Lui soltanto è stata conferita l'autorità giudiziaria dal Padre ed Egli stesso ha dichiarato di non riconoscere colui che lo nega.

Con ciò non vogliamo misconoscere, anzi crediamo che anche i meriti dei martiri e le opere dei giusti valgano assai presso il Giudice Signore; ma quando verrà il giorno del giudizio, quando, alla fine del tempo, tutto il mondo comparirà davanti al tribunale di Cristo.

18. - Del resto, se qualche temerario, con una fretta troppo precipitosa, crede di poter dare a tutti il perdono dei peccati ovvero ardisce distruggere i precetti del Signore, sappia che non solo non giova ai lapsi, ma li danneggia anche irrimediabilmente.

Così facendo si provoca piuttosto l'ira divina, non si obbedisce a Dio; non si crede che bisogna prima domandare la misericordia di Dio, pentirsi, avere disprezzo del peccato e invece, disprezzati i diritti del Signore, si presume troppo di se stessi.

Presso l'altare del Signore le Anime dei martiri per la fede gridano a gran voce: "Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e verace, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue sopra gli abitanti della terra?" (Apoc. 6,10).

E ad essi si risponde dal Cielo di riposare in pace e di pazientare ancora. Orbene chi è allora che si stimi capace di rimettere i peccati contro la volontà del Giudice e creda di poter difendere gli altri prima che se ne faccia la divina vendetta?

Senza alcun dubbio i martiri stessi vogliono che intanto si faccia qualcosa a favore dei lapsi come per qualsiasi altro peccatore; è certo, sì, purché siano cose giuste, lecite, fatte dal sacerdote senza mai ledere il diritto di Dio; purché ci sia l'assenso di chi ubbidisce e si osservi dal penitente la disciplina della santa Chiesa.

I martiri raccomandano che si faccia qualcosa, purché ciò sia conforme alla legge del Signore. Prima di fare quel che dicono siamo certi che questa loro richiesta è già stata impetrata da Dio. Infatti la Divina Misericordia non concede subito quel che venne prima promesso da un uomo.

 

19. - Pensiamo a Mosè il quale impetrò per i peccati del popolo, ma non poté ottenere il perdono per i peccatori: "Questo popolo ha commesso un grande peccato: si sono fatti un dio d'oro. Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato... E se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto!". Il Signore disse a Mosè: "Io cancellerò dal mio libro colui che ha peccato contro di me. Ora và, conduci il popolo là dove io ti ho detto. Ecco il mio angelo ti precederà; ma nel giorno della mia visita li punirò per il loro peccato" (Es.32,31-34).

Eppure Mosè non era forse amico di Dio? Egli tante volte aveva parlato con Lui, ma ora non poteva ottenere quel che chiedeva e placare con le sue sole forze l'offesa fatta a Dio. E così le storie di Geremia, di Noè, Ezechiele 14, ed altri ancora di Profeti e Scrittori biblici ci insegnano come opera la giustizia divina. (..) Perciò ogni richiesta non dipende dal giudizio di chi comanda, ma dalla volontà libera del donatore; e se Dio non acconsente, o se ha stabilito una procedura precisa perché la sua misericordia sia operativa, la sentenza umana non vale nulla.


Caterina63
00venerdì 9 agosto 2013 13:12

20. - Qualcuno va dicendo che però, con la venuta del Signore le cose sono cambiate, che non siamo più soggetti alla legge, che il Suo perdono si attiva solo dal desiderio di essere perdonati, chi va dicendo che persino col pensiero si è già perdonati senza andare più dal sacerdote. Quanta stoltezza in questi perversi pensieri! Anche nel Vangelo il Signore si esprime allo stesso modo poiché non venne per abolire la legge, ma per portarla a compimento, senti cosa dice: "Inoltre vi dico: Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell'uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio. Chiunque parlerà contro il Figlio dell'uomo gli sarà perdonato, ma chi bestemmierà lo Spirito Santo non gli sarà perdonato" (Lc.12,8-10), e come puoi riconoscere il Signore se lo rinneghi nel suo ministro consacrato?

Or se Dio non rinnegasse chi l'ha rinnegato, non riconoscerebbe nemmeno chi l'ha riconosciuto! E' chiaro. Il Vangelo non può essere interpretato a piacere: o valgono tutte le sue sentenze, o sono tutte false. Se i rinnegati non sono ritenuti rei del delitto commesso, nemmeno i confessori possono meritare i premi per le virtù esercitate. E se va premiata la vittoria della fede, deve essere pure punita la perfidia del rinnegato. Perciò i martiri, o non possono nulla se l'Evangelo si può interpretare ora in un modo ora in un altro, ovvero se l'Evangelo non va diviso, essi che furono martiri per il Vangelo non possono agire contro di esso. (vedi Nota)

Perciò fratelli, nessuno tra voi osi vituperare la dignità dei Santi e dei Martiri; nessuno osi disprezzare la loro gloria e i loro meriti, non vogliate far ricadere su di voi l'indignazione divina per quando verrà il giorno del giudizio e la misericordia divina terminerà la sua paziente attesa.

 

- Nota al n. 20: Molti che avevano ottenuto il "libellum pacis" (Nei primi secoli, alcuni peccatori gravi presero a rivolgersi a coloro che attendevano prossimo il proprio martirio per ottenere da loro un sorta di biglietto di "raccomandazione", detto libellum pacis, che inducesse il vescovo cui sarebbe stato presentato ad abbreviare o condonare la pena in virtù del sacrificio del martire) credevano, con questo, di poter essere assolti senza alcun ulteriore merito, e di rientrare pacificamente nella Chiesa. Una sorta di purificazione del loro delitto. San Cipriano denuncerà senza mezze parole la gravità di questo uso ritenendo che questi "libellum" non avessero alcun valore se il reo non fa penitenza prima di essere riaccolto nella Chiesa. Con ciò Cipriano non intendeva sminuire il sacrificio dei martiri, ma al contrario intendeva proprio valorizzare maggiormente i precetti del Signore il cui sacrificio della Croce è di certo maggiore e per nulla paragonabile, dei meriti dei martiri. L'intercessione dei martiri deve spingere il peccatore alla totale conversione, purificazione per mezzo della penitenza e un cammino dedito alla perfezione cristiana di tutte le virtù, anche al dono della propria vita se fosse necessario. Diversa ancora era la posizione e la situazione dei "libellatici" dei quali vi invitiamo a leggere la Nota 27.  

Spiega ancora san Cipriano:

 

21. - Bisogna allora ammettere che tali cose accaddero all'insaputa di Dio, ossia senza il suo permesso. Ma la Scrittura insegna agli ignoranti e ricorda agli smemorati le parole del Signore in Isaia (cap.9), chi ha abbandonato Giacobbe e Israele ad essere preda di coloro che la saccheggiano? Dio stesso contro del quale hanno peccato, e non vollero battere le vie di Lui né obbedire alla sua legge. Ed Egli ha scaricato sopra di loro l'ira del suo sdegno. Per tre volte Isaia ripete: "Con tutto ciò non si calma la sua ira e ancora la sua mano rimane stesa". L'ira di Dio non si placa fino a quando il reo non avrà preso la Sua mano. Intendi bene che cosa sia l'ira divina, ch'Egli non si da pace fino a quando non avrà tentato di tutto per salvarti, la Sua mano è tesa, questo è il momento della misericordia, terminato il tempo, neppure i martiri potranno più salvarti. Leggi ancora cosa dice Isaia: "Ecco non è troppo corta la mano del Signore da non poter salvare; né tanto duro è il suo orecchio, da non poter udire. Ma le vostre iniquità hanno scavato un abisso fra voi e il vostro Dio; i vostri peccati gli hanno fatto nascondere il suo volto così che non vi ascolta. Le vostre palme sono macchiate di sangue e le vostre dita di iniquità; le vostre labbra proferiscono menzogne, la vostra lingua sussurra perversità. Nessuno muove causa con giustizia, nessuno la discute con lealtà. Si confida nel nulla e si dice il falso, si concepisce la malizia e si genera l'iniquità" (Is.59).

Carissimi, consideriamo piuttosto i nostri peccati, esaminiamo le nostre azioni, ponderiamone i meriti alla luce della legge divina, alla luce dei suoi diritti. Allora ci ricorderemo che non abbiamo camminato nella via del Signore, che abbiamo rifiutato e calpestato la sua Legge, che non abbiamo voluto osservare i suoi comandamenti e i tanti consigli per mezzo dei Profeti, dei santi e dei martiri.

 

Caterina63
00venerdì 9 agosto 2013 13:14

22. - E non parliamo poi della falsa paura! Che si può ricavare di bene da chi ebbe paura della misericordia di Dio? Che fede può avere chi non potette essere corretto dal sacro timore di Dio, dai suoi castighi salutari e che neppure è cambiato dalla persecuzione? Non è la paura ma la superbia! Egli porta la testa alta e superba, non spezzata neppure dalla caduta. Preferisce restare per terra in mezzo alla gente, ferito in mezzo ai santi, e si meraviglia e s'arrabbia pure sacrilegamente contro i sacerdoti per il fatto che non può ricevere con le sue lordure neppure il Corpo del Signore e bere, con le sue labbra sporche di menzogne, il Sangue del Signore. Bella pretesa! O pazzo che sei, quanto è grande la tua pazzia! Ti arrabbi contro quel sacerdote che vuol stornar da te l'ira divina; minacci colui che cerca per te la misericordia divina, ti scagli contro chi avverte la ferita che tu non avverti e piange quelle lacrime che tu non versi. Aggiungi delitti a delitti ma pretendi la misericordia di Dio, come se tutto ti fosse dovuto. Ma davvero puoi dunque sperare che il Signore si plachi con te se tu stesso sei diventato implacabile contro vescovi, sacerdoti e i santi che continuamente ti richiamano sulla via del Signore?

 

23. - Ascolta piuttosto e fa tesoro delle mie parole. Perché non vuoi sentire, sordo che sei, i precetti salutari che andiamo ripetendo? perché, cieco, non vedi il cammino della penitenza che ti andiamo mostrando per la tua salvazione? perché non capisci più quali siano i veri rimedi vitali che ti andiamo esponendo, traendoli dalla stessa Scrittura? Se hai poca fede nelle cose avvenire, sii almeno preoccupato dai fatti presenti. Ecco, abbiamo sotto i nostri occhi i tormenti che capitarono addosso ai rinnegati dei quali piangiamo noi stessi la triste fine, i quali non possono quaggiù essere senza un castigo temporale, anche se non sia ancora venuto per essi il giorno della resa dei conti. Frattanto alcuni sono già stati puniti dalla sorte per essere di ravvedimento agli altri, perché i loro tormenti potessero essere d'esempio a tutti.

 

(24 ...)

25. -Ascoltate ora che cosa capitò sotto i miei occhi, alla mia presenza e perciò ne sono diretto testimone.

Dei genitori impauriti dalla persecuzione fuggirono lasciando la loro figliuoletta in fasce alla nutrice, la quale a sua volta per non avere noia con i persecutori, la consegnò ai magistrati. Questi portarono la bimba presso l'idolo attorno al quale il popolo s'affollava per abiurare e le diedero da succhiare del pane intinto nel vino scimmiottando la divina Eucaristia. Finita la persecuzione la madre tornò a riprendersi la bambina ma le fu nascosto quanto fosse accaduto. Ignara dei fatti ella portò la bambina al S. Sacrificio della Messa che io stesso officiai. Trovandosi in mezzo ai tanti giusti, subito notammo lo strano comportamento della bimba che si agitava e mal sopportava l'ambiente sacro che ci circondava. La madre stessa non era in grado di calmarla. In un primo momento non si diede importanza alla cosa, la giovinetta ancora non parlava e non camminava e mai avrebbe potuto spiegare cose le fosse accaduto l'anno prima durante le persecuzioni. Quando compiuto il sacro rito, il diacono diede da bere il sacro Calice ai presenti (all'epoca e ancora nel mondo ortodosso la Comunione viene amministrata ai bambini fin da piccoli) e si accostò alla piccina, ne vedemmo delle belle! Ella voltò la faccia, chiuse ostinatamente le labbra, ricusò il Calice quasi sapendo bene cosa contenesse, i gesti della piccina erano chiari e di ribellione. Feci il gesto al diacono di andare avanti, di insistere.
Quantunque giunse una goccia del Sacramento sulle labbra della bambina, questa cominciò a singhiozzare e a vomitare. Voi mi direte che è normale un comportamento simile se si versa una goccia di Sacramento ad un infante che non lo vuole, ma come mai ella non vomitò e non si ribellò quando l'anno prima gli fecero succhiare il pane impregnato di vino degli idoli? Era chiaro che l'Eucaristia stessa non poteva rimanere in quel corpo e in quella bocca profanata. E' vero che la piccina non ne aveva colpa alcuna, ma se la madre avesse saputo ciò che era accaduto avrebbe provveduto a fare una penitenza per riparare a quella grave ingiustizia mettendo così al sicuro la propria figlia. Le viscere invece, inondate dal sacrificio immondo, non poterono sopportare la Santa Bevanda del Sangue di Nostro Signore, fu vomitata affinché quel corpicino venisse ripulito e a noi data la giusta lezione, il sacerdote infatti non fu ingannato dall'occultazione dei fatti che vennero resi pubblici per l'ammaestro di tutti.




Caterina63
00venerdì 9 agosto 2013 13:16

26. - Questo a riguardo di una bambina che non aveva l'età per raccontare il delitto a cui fu costretta, commesso da altri su di lei. Ma ascolta ora quest'altro fatto di cui io stesso fui ancora testimone. "Impossibile enim est sanguinem taurorum et hircorum auferre peccata. / poiché è impossibile eliminare i peccati con il sangue di tori e di capri." (Ebrei 10.4), una giovane donna, matura d'età, s'introdusse nascostamente in mezzo a noi durante il Sacrificio e spavalda, come una sfida all'Onnipotente, s'accostò alla Comunione. Prese non già il Cibo che non fa perire ma la sua condanna, la morte, e come se avesse introdotto nel corpo un veleno mortale cominciò a spasimare e a contorcersi fra brucianti dolori, a niente servirono i nostri soccorsi ch'ella tutto prontamente rifiutava da noi, si rendeva manifesto il monito di San Paolo: "Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna." (1Cor.27-29), lei che aveva voluto ingannare la Chiesa, provò invece la vendetta di Dio.

A riguardo di ciò ascolta cosa accadde ad un'altra che avendo tentato di aprire sacrilegamente la teca dove si conservava la divina Eucaristia, uscirono delle fiamme di fuoco che la spaventarono così tanto sì che non osò più toccarla e fece ammenda del suo atto.

Ed io stesso fui testimone di prodigi, ascolta questo: accadde che un uomo si accostò alla Comunione in grave stato di peccato avanzato, come che l'ebbi consegnata fra le sue mani (all'epoca si dava l'Eucaristia alle mani, ed anche per questi fatti la Chiesa optò perché nessuno osasse toccare il Divino Sacramento), questa diventò immediatamente di cenere, come vollesi rifiutare di concedersi al peccatore.

Non di rado il Signore manifestava chiaramente come Egli si allontanasse da chi lo aveva in qualche modo rinnegato col peccato, e che il Suo Corpo non può giovare a chi è immeritevole perché la grazia si muta in cenere e scompare il Mistero, quando non reca direttamente la morte.

Mi domanderai perché questo accade solo con alcuni mentre altri impenitenti la fanno franca. No, non t'ingannare, nessuno scappa alla giustizia divina.

E' libertà del Signore concederci dei segni, quant'anche Egli abbia già parlato nella Scrittura e ciò dovrebbe bastare. Questa è la Sua misericordia. Delle volte ci viene incontro con i segni ma che il reo impenitente si ostina a rigettare, Egli ci fa vedere che il Sacramento preso in uno stato di sacrilegio è condanna di morte, e quando si è scomposto in cenere ha voluto essere compassionevole e metterci in guardia dal sacrilegio preferendo scomparire dal mistero stesso dando un'altra possibilità non solo al reo, ma anche ai giusti per rafforzare maggiormente la propria fede.

Fratelli carissimi, quanti sono quelli che per non far penitenza e confessare i propri delitti, sono lasciati in balia di satana, come ci rammenta San Paolo: "questo individuo sia dato in balìa di satana per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore" (1Cor.5,5). Quanti arrivano fino a impazzire e a tentare il suicidio! E non v'è bisogno di indagare sulla fine di ogni singolo reo, perché le infinite calamità del mondo dimostrano che è così varia la pena del delitto per quanto è numerosa la folla dei delinquenti.

Ognuno, piuttosto che indagare, mediti non già sui castighi altrui ma su quelli che egli stesso meriterebbe. Nessuno si creda di averla scampata se fino ad oggi, reo impenitente, non fu punito: anzi, la stessa misericordia divina deve far loro temere di più perché ha conservato sul suoi capo l'ira di Dio Giudice, se non prenderà prima della sua morte quella mano tesa dalla Sua compassione.

 

[SM=g1740758] (Nota al paragrafo 27. -  Qui San Cipriano tratta della condotta dei libellatici i quali, senza sacrificare avevano ottenuto col denaro la dichiarazione del magistrato di aver sacrificato. Prevalendosi di questa astuzia volevano entrare nella Chiesa e non essere trattati come penitenti tra i "sacrificandi". Per Cipriano quel libello estorto col denaro, anche se certificava il falso - perché di fatto non avevano sacrificato agli idoli - era una eguale dichiarazione di apostasia. Furono questi libellatici a dare maggior da fare al santo Vescovo.)

 

27. - E non credano di essere esenti dalla penitenza quelli che, sebbene non si contaminarono materialmente, si macchiarono egualmente la coscienza coi libelli.

La loro stessa dichiarazione è una prova schiacciante dell'apostasia, per di più pagata, corrompendo i magistrati. Vale qui maggiormente la Parola del Signore: "Nemo potest duobus dominis servire: Nessuno può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, o preferirà l'uno e disprezzerà l'altro: non potete servire a Dio e a mammona" (Mt.6,24), costoro infatti, per vigliaccheria servirono il padrone terreno obbedendo al suo editto di rigettare la fede cristiana, chiare le parole del Signore in merito ai tradimenti: " Et filios eius interficiam in morte: Colpirò a morte i suoi figli e tutte le Chiese sapranno che io sono Colui che scruta gli affetti e i pensieri degli uomini, e darò a ciascuno di voi secondo le proprie opere" (Ap.2,23). A Lui sono noti i sentimenti intimi di ognuno di noi; il Suo giudizio verterà non solo sulle nostre azioni, ma anche sui nostri pensieri e ogni atto di volontà.

Forse mi vorrai domandare come mai c'è scritto anche: " Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato" (Lc.6,37), così non stiamo noi forse giudicando le intenzioni dei libellatici?
San Paolo spiega che cosa possiamo giudicare e cosa non è affare nostro giudicare: " L'uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito" (1Cor.2,14) ed è nella Penitenza che il sacerdote, uomo di Dio animato del Suo Spirito, può e deve dare giudizio dei delitti commessi e indottrinare lo sprovveduto: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv.20.22,23).

Il libello è un testo scritto che dichiara l'apostasia, non si compie alcuna frode nel giudicare colui che ha corrotto il magistrato per avere salva la propria vita, rinnegando così il Cristo pubblicamente. Nostro Signore dice anche "perdonate e vi sarà perdonato", ma appunto per questo se il reo non confessa il suo delitto ma la Chiesa ne è a conoscenza, non può perdonare se il reo non si pente e non fa penitenza. Il perdono è un atto divino che pretende anzi tutto il diritto divino nell'essere ossequiato per mezzo delle sue leggi, altrimenti non vi sarebbe stata la necessità di delegare ai Sacerdoti l'arduo compito di "rimettere i peccati".

Caterina63
00venerdì 9 agosto 2013 13:20


28. - Questi rei non possono ricevere il medesimo giudizio
o avere lo stesso trattamento di coloro che, davvero timorati di Dio, riconobbero il tradimento e vennero ai piedi dei sacerdoti per fare, con semplicità e dolore di pentimento, la loro confessione, domandare penitenza salutare e rimediare all'offesa recata a Dio.

No, carissimi, di Dio non ci si prende gioco, ammonisce l'Apostolo: " Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato" (Gal.6,7), nessuno può ingannare Dio. Si sbaglia completamente e pecca di più chi, immaginando Dio alla maniera degli uomini crede di poter sfuggire alla pena del suo delitto commesso in segreto.

Come può stare unito a Cristo chi lo rinnega o si vergogna di testimoniare i suoi comandamenti? Per due volte il Signore ripete che chi lo ama davvero è testimone dei suoi comandamenti: " Se mi amate, osserverete i miei comandamenti". e "Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama" (Gv.14, 15 e 21). Come può dirsi cristiano chi ha vergogna o teme di appartenergli non facendo dei suoi comandamenti la legge della propria vita? Certo vi sono delitti gravi e meno gravi, ma il non aver commesso un delitto pubblicamente e tuttavia l'aver pensato di risolvere il problema facendosi testimoniare da un magistrato d'essere d'accordo con l'apostasia, può anche essergli giovato a sciamare la colpa, ma non certo a renderlo innocente davanti a Dio. Egli è più vicino al pentimento giacché non volle macchiarsi materialmente del delitto, ma non è immune dall'aver peccato avendo egli avuto vergogna o paura di testimoniare i comandamenti di Cristo. Perciò non cessi anche lui di fare penitenza e domandare la misericordia di Dio affinché il suo peccato non si aggravi per la mancanza della necessaria soddisfazione e per non sentirsi dire: " chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli" (Mt.10,33).

 

29. - Ciascuno di voi, o fratelli carissimi, confessi il proprio peccato, or che è in vita, or che Dio gradisce ancora la penitenza e la soddisfazione imposta dalle leggi della Chiesa. Convertitevi totalmente al Signore e così, con cuore dolente, con un vero pentimento sapendo di aver offeso la Divina Maestà, chiediamo davvero la sua compassione e la sua misericordia.

Si prostri davanti a Lui l'anima nostra, soddisfi per Lui il nostro dolore, sia riposta in Lui ogni nostra speranza.

Vedete fratelli come è Dio stesso che ci insegna cosa dobbiamo fare: " Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore vostro Dio, perché egli è misericordioso e benigno, tardo all'ira e ricco di benevolenza e si impietosisce riguardo alla sventura (Gioel.2,13); "Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo" (Lev.19). Plachiamo la sua ira con vero pentimento, vero digiuno, veri pianti, veri gemiti. Non attendiamo di essere morti per pentirci, perché non ci sarà più tempo dopo e saremo giudicati per ciò che avremo fatto in vita.

Hai forse paura di queste cose? Ma che mi dici! Dovresti avere assai più timore se giunto da morto non avrai potuto regolare i conti in sospeso.

(..)

32. - Io vi chiedo, fratelli carissimi, di usare tutti i mezzi efficaci che la saggezza della Santa Chiesa vi mette a disposizione, ascoltate i consigli migliori, diffidate di chi vi rende la vita facile e senza lotte, unite le vostre lacrime a quelle della Santa Chiesa, i vostri gemiti ai nostri. Ve ne supplichiamo affinché possiamo pregare Dio per voi; rivolgiamo cioè a voi per prima quelle preghiere con cui chiediamo a Dio di usarvi misericordia. Amate la Penitenza; mostrate sul volto la testimonianza di chi è davvero contrito e piange il proprio peccato per poi testimoniare con giubili e canti il perdono ricevuto, l'amicizia di Dio, la Comunione della Chiesa.

 

33. - E non v'illuda l'imprudenza, la stoltezza e la vana balordaggine di quelli che, aggravati dalla impenitenza del proprio delitto, sono divenuti talmente compiacenti e ciechi da non capire e non piangere i loro peccati. State certi che è proprio questo il peggior castigo che Dio possa loro dare come rammenta San Paolo quando dice che non saranno aiutati coloro che hanno rifiutato l'amore della verità:  "e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l'amore della verità per essere salvi" (2Tess.2,10). Gonfi di sé e pazzi da manicomio, disprezzando i precetti del Signore, ridono e fanno festa, rifiutando di farsi medicare le ferite del peccato, non vogliono essere salvati, non vogliono salvarsi.

Senza che nessuno li autorizzasse, si credono in pace, sedotti da ruffiani o da chi si crede più giusto di Dio, si sono uniti sempre più agli empi e agli apostati, credono di essere nella verità perché qualche sacerdote cieco (Cipriano si riferisce a Novato di Cartagine che appoggiava i non penitenti) che si crede padrone del Ministero della Penitenza, li sostiene, ma sono tutti nell'errore; credono stabile l'unione con quelli che sono disuniti; credono agli uomini contro Dio piuttosto che credere a Dio contro la perversione degli uomini.

 

Caterina63
00venerdì 9 agosto 2013 13:22

34. - Fuggite vi supplico, anche con cautela, fuggite tale razza di uomini; fuggite quelli che aderiscono a dottrine perniciose. Il loro parlare è a rovescio come i gamberi, la loro conversazione si attacca come un pestifero contagio, uccidono più questi che la persecuzione!

Resterebbe per essi solo vera penitenza, ma questa via gli è chiusa per chi non ha rimorso del proprio peccato e si crede a una falsa salvezza, si sopprime la speranza della vera salvezza.

 

35.- Ma voi carissimi, voi che conservate il sacro timor di Dio e vi trovate senza perdono, riconoscete nella penitenza e nel dolore i vostri peccati, riconoscete il gravissimo danno recato alla vostra coscienza, aprite gli occhi della mente alla comprensione del vostro peccato, ma senza mia disperare, fratelli carissimi, sena mai disperare perché sapete bene quanto è grande la misericordia divina. Imparate a distinguere quanto sia necessaria la penitenza per avere la pienezza del perdono, così il nostro pianto sarà davvero propiziatorio.

A una ferita profonda c'è bisogno di altrettante cure profonde lunghe e spesso dolorose, delle volte il medico deve incidere nelle carni in profondità per togliere il putridume e il malato deve stare giorni e giorni in attesa della guarigione, questo avviene per l'anima nostra. La penitenza non sia meno incisiva del delitto commesso. Come il malato trascorre molti giorni in lunghe agonie prima di rimettersi completamente da una operazione che ha smantellato la ferita in cancrena, così anche il peccatore ha necessità di pregare lungamente, passare giorni e notti in lamenti e lacrime, "laceratevi il cuore e non le vesti" come ci rammentava prima Gioele, desiderare il digiuno dopo aver gozzovigliato alla mensa di satana; occuparsi di fare opere buone, soccorrere i poveri, gli orfani e le vedove, fare elemosina anche alla Chiesa, questi sono i rimedi dell'anima colpita dalla cancrena del peccato. I Santi, i Martiri, i Confessori, i tanti Lazzaro (cf.Lc.16,20) saranno i nostri giudici perciò è conveniente stare in pace anche con loro.

 

36. - Infine, carissimi fratelli, non dimenticate la Preghiera. Questa, rivolta a Dio con lacrime amare, diventa una vera penitenza efficace. La Preghiera è lavorare e Gesù dice: " “il Padre mio lavora sempre e anch’io lavoro” (Gv 5,17); quando convertito piangerai, allora sarai salvo e conoscerai bene in quale stato ti sei trovato, così spiega il Signore ad Ezechiele. Se temi di non ottenere il perdono per dei peccati gravi, serviti della Chiesa perché sarà lei a pregare per te, il Salmo 36 ci ricorda che guardando a lei il Signore accorda quel perdono che a te potrebbe rifiutare o sembrare impossibile; la Chiesa possiede il potere di rimettere ogni colpa, basta che tu lo voglia per davvero e sarà lei a piangere per te, sarà lei a versare lacrime sui tuoi peccati offrendo a Dio, per te, il Sacrificio perfetto, ma perché la grazia di tanto Sacrificio sprigioni in te le grazie necessarie per adempiere il loro compito, tu devi ripulire le ferite causate dal tuo peccare, devi fare in modo che la grazia possa agire. A questo servono le preghiere e le vere lacrime, come ci dicono gli Atti, “si sentirono trafiggere il cuore e dissero: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”. E Pietro disse: “Pentitevi…” (At 2, 37-38). Convertitevi!

E allora, soldato di Cristo, ritornerai alla lotta, ripeterai la battaglia, provocherai l'avversario e attraverso la prova ti sentirai sempre più forte ad affrontare le nuove insidie. Chi darà soddisfazioni a Dio avrà tratto dalle prove una maggiore virtù e fede, potrà essere esaudito da Dio che non porta rancore verso colui che, pentito, ha fatto ritorno a casa (Cf.Lc.15,11,32).

 

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