La Quaresima nella Liturgia Bizantina (l'importanza del Digiuno)

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Caterina63
00martedì 24 febbraio 2009 23:56
La quaresima nella tradizione bizantina

Per non rendere inutile il digiuno


di Manuel Nin

"Digiunando dai cibi, anima mia, senza purificarti dalle passioni, invano ti rallegri per l'astinenza, perché se essa non diviene per te occasione di correzione, sei in odio a Dio come menzognera e ti rendi simile ai perfidi demoni che non si cibano mai. Non rendere dunque inutile il digiuno peccando, ma rimani irremovibile sotto gli impulsi sregolati, facendo conto di stare presso il Salvatore crocifisso, o meglio di essere crocifissa insieme a Colui che per te è stato crocifisso, gridando a lui:  ricordati di me Signore, quando verrai nel tuo regno".

Questo tropario della terza settimana della pre-quaresima nella tradizione bizantina, riassume in modo incisivo quello che è il periodo quaresimale di qualsiasi tradizione cristiana:  il digiuno e l'astinenza sono vani se non corrispondono a una vera conversione del cuore.
Nella tradizione bizantina il periodo di dieci settimane che precede la Pasqua viene chiamato Triodion - nome che indica le tre odi bibliche cantate nell'ufficiatura mattutina - e comprende la pre-quaresima e la quaresima. Il periodo pre-quaresimale è comune a tutte le tradizioni liturgiche cristiane, dal Triodion bizantino, al Digiuno dei niniviti siriaco, al Digiuno di Giona dei copti, alla Settuagesima nell'antica tradizione latina.





La quaresima bizantina vera e propria comprende quaranta giorni - dal lunedì della prima settimana al venerdì prima della domenica delle Palme - e svolge le settimane dal lunedì alla domenica, presentando il cammino settimanale verso la domenica a modello della stessa quaresima verso la Pasqua. Inoltre fa una chiara distinzione tra il sabato e la domenica e gli altri giorni:  nei primi si celebra la Divina liturgia (domenica con l'anafora di san Basilio, sabato con quella di san Giovanni Crisostomo), mentre nei giorni feriali solo l'ufficiatura delle ore, con l'aggiunta durante il vespro del mercoledì e del venerdì della liturgia dei Presantificati, cioè la comunione con il Corpo e il Sangue del Signore consacrati la domenica precedente.

La quaresima bizantina è un periodo molto ricco nella scelta dei testi biblici:  salmi, letture; nell'innografia e nelle letture dei padri. I testi innografici si soffermano soprattutto sul tema dell'anima umana, dominata dal peccato, che trova per mezzo della quaresima la possibilità della salvezza. Nelle quattro domeniche della pre-quaresima troviamo i grandi temi che segneranno il percorso quaresimale:  l'umiltà (domenica del pubblicano e del fariseo); il ritorno a Dio misericordioso (domenica del figlio prodigo); il giudizio finale (domenica di carnevale), il perdono (domenica dei latticini).

In quest'ultima domenica viene commemorata l'espulsione di Adamo dal paradiso:  Adamo, creato da Dio per vivere in comunione con lui nel paradiso, a causa del peccato ne è stato cacciato, ma nella quaresima comincia il cammino di ritorno che culminerà quando Cristo stesso, nel mistero pasquale, scende negli inferi e gli dà la sua mano per levarlo dalla morte e riportarlo in paradiso, che viene quasi personificato nella preghiera della Chiesa. Alla fine del vespro della quarta domenica si celebra il rito del perdono con cui si inizia la quaresima.

La quaresima dura quaranta giorni, con cinque domeniche. In ciascuna di esse vediamo un doppio aspetto:  da una parte le letture bibliche che preparano al battesimo, dall'altra gli aspetti storici o agiografici. Nella domenica dell'ortodossia la vocazione di Filippo e Natanaele è modello della vocazione di ogni essere umano e si celebra il trionfo dell'ortodossia sull'iconoclasmo e il ristabilimento della venerazione delle icone.

Nella domenica di san Gregorio Palamas si ricorda la fede del paralitico guarito da Cristo.

La domenica dell'esaltazione della santa Croce è dedicata alla venerazione della Croce vittoriosa di Cristo, portata solennemente al centro della chiesa e venerata dai fedeli per tutta la settimana come segno di vittoria e di gioia, non di sofferenza. Nella domenica di san Giovanni Climaco, modello di ascesi, si celebra la guarigione dell'indemoniato, e in quella di santa Maria Egiziaca, modello di pentimento, l'annuncio della risurrezione. Il sabato della quinta settimana si canta l'inno Akathistos, ufficiatura dedicata alla Madre di Dio.

La sesta e ultima settimana di quaresima, chiamata delle Palme, ha come centro la figura di Lazzaro, l'amico del Signore, dal momento della malattia, fino alla morte e alla sua risurrezione.

I testi liturgici ci fanno avvicinare a quello che si manifesterà pienamente nei giorni della Settimana santa, cioè la filantropia di Dio manifestata in Cristo, il suo amore reale e concreto per l'uomo. Tutta la settimana viene inquadrata nella contemplazione dell'incontro ormai vicino tra Gesù e la morte, quella dell'amico per primo, quella propria la settimana dopo. I testi liturgici riescono a coinvolgerci in questo cammino di Gesù verso Betania, verso Gerusalemme.

Nella liturgia bizantina non siamo mai spettatori, ma sempre partecipanti e concelebranti, presenti nella liturgia e nell'evento di salvezza che la liturgia celebra.

Col vespro del sabato di Lazzaro  si  conclude  il  periodo  quaresimale.

Lungo l'intera quaresima, la tradizione bizantina recita alla fine di tutte le ore dell'ufficiatura la preghiera attribuita a sant'Efrem il Siro, che riassume il cammino di conversione di ogni cristiano:  "Signore e sovrano della mia vita, non darmi uno spirito di pigrizia, d'indolenza, di superbia, di vaniloquio. Dà a me, tuo servitore, uno spirito di sapienza, di umiltà, di pazienza e di amore. Sì, Signore e re, dammi di vedere i miei peccati e di non condannare mio fratello, perché tu sei benedetto nei secoli".



(©L'Osservatore Romano - 25 febbraio 2009)
Caterina63
00venerdì 6 marzo 2009 18:26
La pratica quaresimale nelle Chiese cristiane orientali

Una veglia in attesa della risurrezione



di Nicola Gori

Una veglia prolungata nell'attesa della risurrezione:  è l'immagine che le comunità cristiane d'Oriente usano per spiegare il significato del digiuno. Come nella tradizione orientale i monaci vegliavano per tre giorni la salma di un loro confratello defunto, allo stesso modo i fedeli devono praticare il digiuno come attesa della risurrezione della carne. Ne abbiamo parlato in questa intervista con il gesuita Robert Taft, professore emerito di liturgia orientale al Pontificio Istituto Orientale.

Vi sono caratteristiche comuni tra la tradizione del digiuno nelle diverse Chiese orientali cattoliche e ortodosse?

La tradizione del digiuno è la stessa sia nelle Chiese orientali cattoliche sia in quelle ortodosse. La tradizione ortodossa prescrive che in modo progressivo, cominciando due settimane prima dell'inizio della quaresima, ci si prepari al digiuno. La prima settimana è chiamata la settimana del digiuno dalla carne:  alla fine di essa non si mangia più carne per tutta la quaresima. La seconda settimana che precede la quaresima è detta dei latticini, perché alla fine della settimana ci si deve astenere dai latticini. Durante i primi sette giorni della quaresima - detti del grande digiuno - si dovrebbe osservare un'astinenza molto severa. Bisogna però distinguere un po' l'usanza monastica da quella dei laici. Nei monasteri si mangia solo un pasto al giorno, nel pomeriggio, osservando l'astinenza da tutti i cibi proibiti. Per i laici il digiuno è più vicino a quella che in Occidente si chiama astinenza.

Ci sono indicazioni particolari riguardo alla quantità di cibo consentita?

Non c'è una prescrizione specifica per la quantità di quello che si mangia. Non si possono bere alcolici o mangiare carne o latticini, ma si possono mangiare i cibi permessi in quantità necessaria per nutrirsi. Questa antica pratica adesso è osservata soprattutto nei monasteri. È importante ricordare che la liturgia celebrata nei mercoledì e nei venerdì di quaresima è una liturgia pomeridiana, perché nell'antichità anche ricevere la Comunione significava rompere il digiuno. Digiunare voleva dire non mangiare nulla. Era un'astinenza totale fino a sera, quando era permesso un pasto.

Come praticavano il digiuno i Padri del deserto?

Nelle diverse tradizioni locali dell'ortodossia e delle Chiese cattoliche orientali ci sono usanze differenti. Lo stesso vale per i Padri del deserto. In genere, mangiavano soltanto una quantità minima di pane e di acqua. Era un digiuno quasi permanente. Siamo peccatori, per questo occorre digiunare per fare penitenza. Il Vangelo dice metanoèite, che normalmente viene tradotto in "fate penitenza":  non nel senso di fare qualcosa che ci costa sacrificio, perché metanoia vuole dire cambiare mentalità, convertirsi. Allora questa conversione è sempre in senso escatologico. Il digiuno, soprattutto in questo periodo, è un tipo di veglia prolungata nell'attesa della venuta del Signore, proprio come nell'antichità si vegliava la salma di un monaco o di una monaca, perché questa era un'espressione liturgica della fede nella risurrezione dei morti. Questo vuol dire veglia:  una vigilia in attesa, nella speranza della risurrezione dei morti.

Tra i fedeli delle comunità orientali la pratica del digiuno è sufficientemente seguita?

Normalmente, durante la prima settimana della quaresima e anche la grande settimana - quella che in occidente si chiama la settimana santa - il digiuno più severo è seguito da quasi tutti i fedeli, almeno nell'ortodossia. Nel cattolicesimo c'è stata una moderazione nella pratica del digiuno nel periodo del dopo Vaticano II. Nel rito latino la gente non ha sempre compreso a fondo che, nell'intenzione delle riforma post-conciliare, l'idea della moderazione era legata all'invito a fare altre cose importanti nella vita cristiana, cioè dare l'elemosina ai poveri, fare del bene al prossimo, chiedere perdono per le offese.



(©L'Osservatore Romano - 7 marzo 2009)
Caterina63
00sabato 14 marzo 2009 20:51
La terza domenica di quaresima nella tradizione bizantina

E il ladrone
divenne teologo


di Manuel Nin

"Gioisci, o Croce, per la quale in un attimo il ladrone divenne teologo, gridando:  "Ricordati di me, Signore, nel tuo regno". Della sua sorte facci partecipi". Questo tropario del martedì della terza settimana di quaresima raccoglie la confessione di fede del ladrone e di tutta la Chiesa che confessa il Signore crocefisso come re, Signore e datore di vita. Dalla sera del lunedì della terza settimana di quaresima al venerdì della quarta settimana la liturgia bizantina celebra e contempla la santa Croce come luogo di vittoria di Cristo sul peccato e la morte.

Tutte le liturgie cristiane hanno lungo l'anno liturgico diverse feste della Croce, che di solito hanno origine da celebrazioni a Gerusalemme nate dalla venerazione solenne della Croce il Venerdì santo, come racconta Egeria intorno all'anno 383.

Nella tradizione bizantina, in diversi giorni si celebra in modo speciale la Croce, ricordando che essa è presente nel cuore della vita della Chiesa, come l'albero è presente al centro del paradiso. Ogni mercoledì e venerdì si cantano tropari dedicati alla Croce, a cui sono dedicati il 14 settembre per l'Esaltazione della Croce, la terza domenica di quaresima, il 7 maggio e il 1 agosto. La celebrazione in questa domenica quaresimale ha un'origine costantinopolitana, legata a una traslazione di una reliquia della Croce da Apamea in Siria a Costantinopoli nel vi secolo, dov'è poi attestata dal patriarca Germano (715-730).
 

La terza domenica è messa nel mezzo della quaresima, con una settimana che la prepara - facendola pregustare - e un'altra che la prolunga. In alcuni tropari della terza settimana si accenna al desiderio della "visione" della Croce, quasi che la liturgia volesse metterci in ansia per arrivare alla domenica.

I testi liturgici mettono anche in rilievo i passi veterotestamentari che prefigurano la Croce di Cristo:  l'albero del paradiso (Genesi, 2, 9); Giacobbe che incrocia le braccia per benedire i figli di Giuseppe (Genesi, 48, 14); Mosè con le mani alzate sul popolo che combatteva Amalek (Esodo, 17, 8); il serpente di bronzo innalzato da Mosè (Numeri, 21, 4). I testi della terza domenica ci presentano la Croce come porta del paradiso:  la quaresima infatti comincia con l'espulsione di Adamo dall'Eden e diventa un cammino di ritorno. Come se la pedagogia di Dio, che ci vuol riportare al paradiso, a metà del nostro cammino ce ne facesse vedere già l'accesso, cioè la Croce.

All'inizio della Divina liturgia della terza domenica di quaresima, la Croce è presa dall'altare, innalzata e posta su un vassoio con fiori ed erbe profumate, quindi portata dal sacerdote in processione e deposta al centro della chiesa, dove viene venerata dai fedeli. Nei testi liturgici la Croce non ci viene presentata in termini di sofferenza, ma in termini di gioia e di vittoria. Venerando e celebrando la Croce, celebriamo la Croce di Cristo che ci ristora, ci dà la vita e rende già presente la risurrezione di Cristo:  "Ci prosterniamo davanti alla tua Croce e glorifichiamo la tua santa Risurrezione". Nei tropari cantati durante la processione e l'adorazione della Croce immagini contrastanti collegano l'Antico e il Nuovo Testamento:  "Oggi il Signore dell'universo si lascia inchiodare sulla Croce, riceve la corona di spine colui che cavalca i cieli sulle nubi, rivestito di un mantello di derisione colui che con la sua mano ha modellato l'uomo, colui che dà la luce ai ciechi, riceve gli sputi da labbra impure, Croce vivificante, splendido paradiso della Chiesa, albero dell'incorruttibilità, porta del paradiso".

La venerazione della Croce nella terza domenica di quaresima vuole sottolineare che essa ha valore in rapporto con Cristo e ci ricorda che il Signore vi fu crocifisso per la salvezza dell'uomo. Adorando la Croce è Cristo stesso che adoriamo, e anche i gesti esterni di adorazione e venerazione - le prostrazioni, i baci alla Croce - coinvolgono, con i canti e le preghiere, tutta la nostra persona, per portarci alla consapevolezza, all'esperienza della presenza misericordiosa di Dio attraverso il mistero di Cristo crocifisso, morto e risorto.

La terza domenica situa la Chiesa nel cuore della quaresima, del cammino in cui siamo chiamati a seguire Cristo secondo la sua parola:  "Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua Croce e mi segua". Con una celebrazione nella gioia per venerare la Croce come albero della vita:  "Una volta mediante l'albero il serpente aveva chiuso l'Eden, ma l'albero della Croce lo apre a tutti coloro che desiderano purificarsi col digiuno e le lacrime". Il nuovo paradiso dove questo albero viene piantato è la Chiesa, e la Croce per la venerazione è collocata al centro della chiesa:  "Si è rivelato un altro paradiso, cioè la Chiesa. Come una volta, essa porta l'albero della vita, la tua Croce o Signore, il cui contatto ci fa comunicare con l'immortalità".

La Croce dunque come albero della vita, la Chiesa come paradiso, aspetti presenti nella liturgia e nell'iconografia orientali e latine. Nel bellissimo mosaico della Croce di San Clemente a Roma, senza differenza tra Oriente e Occidente, contempliamo la bellezza della Croce che non mostra la sofferenza, la morte, ma la serenità, il sonno, la pace:  colui che vi è appeso, vi dorme. Una Croce dalla cui base germogliano rami abbondanti e vigorosi che avvolgono tutta l'abside, tutto il creato, a indicare che dalla Croce nasce la vita. Croce che ha attorno dodici colombe e quattro ruscelli ai piedi, icona della Chiesa che nasce dalla Croce da cui sgorgano i quattro Vangeli.

Uno dei tropari della terza domenica riassume in modo molto bello la teologia della Croce:  "Tre croci piantò Pilato sul Golgota, due per i ladroni e una per il datore di vita; l'Ade la vide e disse a quelli di laggiù:  "O miei ministri e miei eserciti, chi ha conficcato un chiodo nel mio cuore? Una lancia di legno mi ha trafitto all'improvviso, le mie viscere vanno squarciandosi, il mio ventre è nei dolori, infuria il mio spirito, e sono costretto a rigettare Adamo e i nati da lui che a me mediante un albero erano stati dati:  un albero li introduce di nuovo nel paradiso"".



(©L'Osservatore Romano - 15 marzo 2009)
Caterina63
00lunedì 6 aprile 2009 19:12
La settimana santa nella tradizione bizantina

Ecco lo sposo che viene nel mezzo della notte




di Manuel Nin

Nella tradizione bizantina la settimana che precede la domenica delle Palme volta quasi le spalle alla penitenza quaresimale per guardare il Signore che sale a Gerusalemme per esservi crocifisso e risorgere. È una settimana che ci fa seguire il cammino di Gesù; i testi liturgici ci fanno avvicinare in un modo molto pedagogico a questo cammino, ma soprattutto a quello che si manifesterà pienamente nei giorni santi, cioè la filantropia di Dio manifestata in Gesù Cristo, il suo amore reale e concreto per l'uomo.
Già nel iv secolo è attestata proprio a Gerusalemme la celebrazione della risurrezione di Lazzaro prima delle Palme.

Al mattutino del mercoledì troviamo nei tropari sia Lazzaro morto sia il povero Lazzaro della parabola:  "I farisei, vestiti di porpora e di seta, hanno come tesoro la Legge e i Profeti; essi hanno fatto crocifiggere te, il Povero, fuori delle porte della città e hanno rifiutato malgrado la tua risurrezione te, che sei da sempre nel seno paterno. La grazia sarà per loro come la goccia di acqua desiderata dal ricco empio ed essi vedranno una moltitudine di pagani che nel seno di Abramo portano il vestito del battesimo e la porpora del tuo sangue".

Il giovedì sottolinea già la vittoria di Cristo sulla morte, il venerdì mescola la gioia per l'imminente risurrezione di Lazzaro a quella per l'ingresso di Gesù a Gerusalemme, e il sabato unisce la risurrezione di Lazzaro a quella di Gesù:  "Volendo vedere la tomba di Lazzaro, o Signore, tu che volontariamente ti accingevi ad abitare una tomba".

Tutta la sesta settimana di quaresima s'inquadra in questa contemplazione dell'incontro ormai vicino tra Gesù e la morte, dell'amico per primo e la propria la settimana seguente. Così, la grande filantropia di Dio che si rivelerà nella croce di Cristo ci viene fatta pregustare nella filantropia verso l'amico Lazzaro.

La domenica delle Palme conclude la salita di Gesù verso Betania e Gerusalemme, iniziando quella verso la croce. L'ingresso regale di Gesù è visto come conseguenza della prima vittoria di Gesù sulla morte, quella di Lazzaro, ed è una nuova teofania:  "Colui che ha per trono il cielo e la terra come sgabello dei suoi piedi, il Verbo di Dio Padre, il Figlio coeterno, oggi viene a Betania, umilmente seduto su un puledro d'asina. Tu che cavalchi sui cherubini e sei esaltato dai serafini, come Davide monti su un puledro, o Buono". È chiara, dunque, la celebrazione dell'ingresso di Gesù:  ingresso come re a Gerusalemme; ingresso in umiltà nella vita sacramentale della comunità cristiana; ingresso nella vita di ogni cristiano e di ogni uomo.

Nei primi tre giorni della settimana santa viene messa in luce la figura di Cristo come sposo, e cioè le nozze di Dio con la Chiesa e l'umanità. Questo è comune a tutte le liturgie orientali:  le tradizioni siriache hanno la celebrazione detta "delle lampade", durante la quale viene pure rappresentata in chiesa la parabola delle dieci vergini. I tre giorni commemorano alcuni personaggi:  lunedì santo il patriarca Giuseppe, figura di Gesù, venduto dai suoi fratelli, portato alla sofferenza, esaltato da Dio che lo costituisce salvatore del suo popolo; martedì santo, nella prospettiva del tema dello sposo, le dieci vergini della parabola; mercoledì santo la donna peccatrice che unse i piedi di Gesù, arrivando con le lacrime e l'unzione con l'olio profumato - entrambi simboli battesimali - a contatto col Cristo incarnato, lo sposo che va incontro alla sua Chiesa.

Due testi centrano l'ufficiatura di questi tre giorni:  "Ecco lo sposo viene nel mezzo della notte, beato quel servo che troverà vigilante, indegno quel servo che troverà negligente! Guarda dunque, anima mia, di non lasciarti opprimere dal sonno, per non essere consegnata alla morte e chiusa fuori del Regno! Ma, vegliando, grida:  santo, santo, santo tu sei, o Dio; per intercessione della Madre di Dio abbi pietà di noi". A questo fa riscontro il secondo tropario:  "Vedo il tuo talamo adorno, o mio salvatore, e non ho la veste per entrare. Fa' risplendere la veste dell'anima mia, o tu che doni la luce, e salvami!". L'attesa dell'incontro con il vecchio Adamo cacciato dal paradiso all'inizio della quaresima diventa adesso molto più pressante e si mescola con l'immagine e il tema evangelico dell'arrivo e dell'incontro con lo sposo, che arriva nel mezzo della notte e il cui talamo nuziale è unicamente la croce.

Il giovedì santo celebra infine raggruppati la lavanda dei piedi, l'ultima cena, la preghiera di Gesù nell'orto e il tradimento di Giuda. I testi dell'ufficiatura riprendono il biasimo per Giuda traditore mettendo in guardia il cuore di qualsiasi cristiano di fronte alla possibilità di tradire colui che ci ha chiamati, ed è diventato nostro servo e amico. La mattina si celebra già il vespro, con la liturgia di san Basilio e la lavanda dei piedi (soltanto nelle cattedrali dal vescovo e nei monasteri).

"Mentre i gloriosi discepoli erano illuminati nella lavanda della cena, allora Giuda si ottenebrava, l'empio malato di cupidigia. E consegna te, il giudice giusto, in mano ai giudici iniqui. Vedi l'amico del danaro, per questo finisce impiccato! Fuggi l'anima insaziabile, che tanto ha osato contro il Maestro". In questo tropario che apre l'ufficio del mattutino, i termini "illuminati" e "lavanda" sono da collocare in un contesto chiaramente battesimale:  mentre Giuda entra nella notte, i discepoli sono illuminati.



(©L'Osservatore Romano - 6-7 aprile 2009)
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