Le ambiguità di mons. Tonino Bello, una approfondita analisi della sua dottrina....

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Caterina63
00domenica 6 novembre 2011 14:32

[SM=g1740733] Ringraziando il sito papalepapale.com per l'opportunità che mi ha dato di pubblicare questo modesto lavoro, invito tuutti a non estrapolare parti del testo per avanzare con affermazioni estranee allo scopo autentico del lavoro che intende condannare NON la persona del vescovo in questione, ma solo giudicare le ambiguità DOTTRINALI e delle pseude pastorali che conducono in errore il fedele....
Solitamente postiamo i FALSI MAESTRI in questa sezione , ma il caso Bello è particolare, non fu propriamente un "cattivo" maestro, ma di certo la "sua" dottrina sociale è dissociata da quella della Chiesa e i suoi Allievi sono la testimonianza di molti di questi suoi errori....
Gli articoli che seguono portano, infatti, delle prove concrete, portano dei fatti senza rinchiudersi nella trappola del sentimentalismo belliano.....


IL BRUTTO DI BELLO

 

Fede e ideologia in don Tonino Bello

 PARTE 1 (seguirà parte 2 e 3)

Verso gli “ideali della Resistenza”. Gli anni orribili dei catechismi sincretisti della CEI. Quelle “buone intenzioni” che favoriscono sempre le peggiori cose. E Montini nel 1954 si inventa “Pax Christi”… e sarà l’ennesima piaga sul corpo della Sposa di Cristo. 1970 Pax Christi “non sa se la Chiesa è adatta” al progetto della pace. Don Tonino: dai “diritti di stola” ai “doveri di grembiule”

 

 

La giustizia secondo Tonino Bello scaturisce dunque dalla “formazione politica” del futuro sacerdote, naturalmente una formazione pacifista, ossia di sinistra… giratevi le parole come volete, ma questo è il senso! Quel che è importante constatare è l’errata concezione che mons. Bello ha della preparazione del sacerdote. E a correggerlo, guarda il caso, è proprio Benedetto XVIche in tutto l’Anno Sacerdotale non ha fatto altro che richiamare i formatori dei seminari e i seminaristi stessi a dissociarsi da una “formazione politica”. La giustizia di mons. Bello è, invece, pacifista. Dopo la nomina a vescovo, forse tentando di imitare Paolo VI quando si tolse la tiara, Bello rinuncia ai “segni di potere” (dopo averne distorto il significato) e ne capovolge, volutamente, il senso, facendoli diventare il “Potere dei Segni”: nasce così la “sua” Casa della Pace, che avrà come emblema non il Crocifisso, ma la bandiera della pace.

 

 

 

di Tea Lancellotti

 

 

VERSO GLI “IDEALI DELLA RESISTENZA”

Tonino Bello, anni '50, ancora seminarista

Siamo negli anni ’90. Epoca di guerra nel Golfo e nei Balcani, che la stessa Santa Sede considerò necessaria, per ragioni evidentissime. All’improvviso, applaudito dal mondo, balza all’onore delle cronache un prelato salentino: don Tonino Bello. Che si dipinge come “pacifista”: un antesignano! Chi è costui? Da dove spunta fuori?

Ricostruire la complessa figura di un vescovo della santa Chiesa è sempre una seria responsabilità. Specie quando di questo vescovo se ne è fatta una icona: di perfezione, di santità, intoccabile; e di conseguenza qualsiasi cosa si volesse analizzare, solo per capirci qualcosa, rischia di essere letta come una provocazione gratuita, alimentare incomprensioni. Pertanto, sottolineando che nessuno qui vuole giudicare i sentimenti, la fede e grande cuore caritatevole del vescovo di Molfetta, e memori dell’8° comandamento che ci ammonisce di non dire “falsa testimonianza”, ci sia concesso, solo per dovere della ragione, di andare a toccare quei punti che molti o non gradiscono o vogliono fingere di non vedere nell’epopea toninobellista.

Chi è mons. Tonino Bello e da dove spunta fuori, dunque?

Non vogliamo ridurci ad una biografia, cerchiamo di puntare subito sulla sua vocazione sacerdotale: ce lo raccontano come un buon sacerdote, uno fra quelli che credeva davvero in quel “rinunciare tutto a se stesso” per dedicarsi all’altro, chiunque egli fosse. Viene dal “popolo”, dicevano; più semplicemente viene da condizioni normali, da una famiglia dignitosa e semplice: il padre è carabiniere, onesto e “fedele all’arma”, la madre casalinga. Nasce nel 1935 e vive una fede semplice e popolana quanto si vuole, ma all’interno di un contesto politico ben preciso e che ben conosciamo, e che influenzerà le sue scelte politiche, spingendosi, naturalmente, verso gli “ideali della Resistenza”, verso i “preti operai”, verso una Chiesa per la quale il movimento modernista, condannato da san Pio X ufficialmente, già agitava le acque sbandierando una grande “apertura”, “brecce”, immani cambiamenti… che più tardi assumeranno ciascuno i caratteri di una esplosione, di una voragine, una palingenesi la più isterica.

Don Tonino diventa sacerdote (con il rito antico) nel 1957, e mantiene come ideale di vita quel “rinunciare a tutto” fuorchè alle sue idee, alle sue opinioni che intravede come un “carisma” attraverso il quale “osare” anche al di là delle “rigide prescrizioni ecclesiali”, come spesso le liquidava. Tuttavia va subito detto che quando si è trovato a gestire il seminario, insegnava sempre l’obbedienza e la fedeltà al Sommo Pontefice… purtroppo però, e come ben vediamo oggi, l’obbedienza e la fedeltà al Papa è stata ridotta spesso ad una facciata di comodo, ad una sorta di compromesso fra le nostre idee e le normative della Chiesa, come a dire: obbediamo pure al Papa, gli siamo fedeli riconoscendogli il primato (altrimenti non potremmo essere nella Chiesa), salvo poi applicare la dottrina della Chiesa a seconda delle nostre opinioni.

Del suo periodo presbiterale (senza giudicare le intenzioni del suo cuore che supponiamo caritatevole) non vi è molto da dire se non quel vivere , respirare e nutrirsi dell’euforia del Concilio e del post, che saranno per Bello l’occasione perfetta per tirare fuori la sua idea, la sua immagine di Chiesa senza mai, è naturale, porsi contro la Chiesa o contro il Papa. Al contrario, cerca sempre consenso dal Papa, consensi pure dai vescovi con i quali entra in contatto, e dai quali ottenere sempre utili compromessi per “cambiare” quelle porzioni di Chiesa nelle quali viene inviato.

 

GLI ANNI ORRIBILI DEI CATECHISMI SINCRETISTI DELLA CEI

Tonino Bello, 1958 circa, appena consacrato prete.

Bello è il primo vescovo a impugnare nelle Puglie la bandiera della “pace”: passò così gran parte del suo episcopato. Molti si chiesero dove fosse tutta questa “guerra” nella pacifica Puglia, che senso avesse tutto questo sbandieramento pacifista. Di che pace parlava questo vescovo? A cosa mirava?

A dirla tutta mons. Bello non fu tanto il “primo” vescovo ad impugnare la bandiera della pace (di fatto il primo fu mons. Montini, il futuro Paolo VI), quanto piuttosto il pastore che crederà, con quella bandiera, di poter raccogliere tutti i “poveri”, i derelitti, i perseguitati, gli affranti, gli “operatori di pace”. In una parola: trova in questa bandiera l’occasione e l’opportunità, secondo lui, di poter esprimere le testimonianze delle Beatitudini radunando, sotto tale vessillo, la gente che non riesce a trovare “altrove” quel che cerca. L’occasione gli verrà data non solo quando sarà nominato vescovo, ma soprattutto quando verrà messo alla guida di Pax Christi, il movimento, ahimè “cattolico”, internazionale per la pace.

Siamo nel 1985 quando la stessa CEI sta attraversando anch’essa uno dei peggiori periodi della sua storia, e della storia della Chiesa. Sono gli anni dei “Catechismi CEI”, una orripilante riscrittura sincretista del catechismo cattolico, completamente sfigurato quando non asssente proprio dell’essenza dottrinale; nel frattempo, senza che vi fosse alcun documento ufficiale, era stato “vietato” nelle parrocchie l’uso del Catechismo detto di san Pio X, e quello “Nuovo” giunse solo nel 1993. Di conseguenza, in questi anni, ci fu una vera anarchia catechetica. In questo clima pieno di euforie, sbronzature conciliari, arbitrarie applicazioni di ciò che avrebbe dovuto essere la vera Dottrina Sociale della Chiesa, “don” Tonino Bello è solo uno fra i tanti; ma che fra questi balzerà agli onori delle cronache per essere stato “geniale nell’uso della bandiera della pace” da una postazione di tutto rispetto, quella della direzione di Pax Christi, quella verso la quale i fedeli “confusi” avrebbero dovuto guardare per sapere in che direzione andare.

Appare subito evidente che la pace a cui fa riferimento mons. Bello, senza voler giudicare le sue intenzioni sicuramente buone (nè dimentichiamo che la tesi per il dottorato del Bello è sull’Eucarestia e sui Congressi Eucaristici, un concentrato di fede e dottrina ineccepibili, almeno nella sua teoria), è terrena, e per dirla con le parole di Benedetto XVI,”una pace orizzontale privata dell’asse verticale”.

 

QUELLE “BUONE INTENZIONI” CHE FAVORISCONO SEMPRE LE PEGGIORI COSE

Tonino Bello, inizio anni '60

Le intenzioni di don Tonino Bello erano senza dubbio fra le migliori, ma come dice Oscar Wilde: Le cose peggiori sono sempre state fatte con le migliori intenzioni. Anche Lutero si poneva le migliori domande, con le migliori intenzioni che un uomo possa rivolgere al proprio Dio, ma dove lo hanno condotto le sue superbe risposte? E potremmo fare molti altri esempi. Mons. Bello visse in un periodo in cui non fu l’unico ad avere le “migliori intenzioni”. Qualcuno dice che i “progressisti” sono migliori dei “tradizionali” perché hanno il cuore più grande e buono… Noi non intendiamo giudicare questi cuori, ce ne guardiamo bene, ma una cosa la possiamo fare: andare a guardare i frutti di queste intenzioni. Il primo frutto che abbiamo potuto analizzare è stata la rimozione della vergognosa bandiera della pace di cui abbiamo parlato qui. Quanto agli altri frutti, è importante non soffermarsi su quelli “materiali” della Caritas, della “Chiesa grembiule” (che analizzeremo più avanti), quanto piuttosto sul famoso andamento della “scristianizzazione” di cui tanto si parla e della quale spesso si rifiuta di studiare le origini. Insomma, se mons. Bello voleva evitare la scristianizzazione il suo metodo non ha funzionato; se invece voleva, attraverso la rivoluzione ecclesiale del post-concilio e la conseguente apostasia denunciata da Giovanni Paolo II, dare origine ad una Chiesa “sociale”, allora sì, c’è riuscito, ma è per questo che si diventa preti e vescovi? E’ questo il compito di un vescovo e della Chiesa stessa? Per questo Gesù Cristo è morto in croce?

Attenzione che l’uno non esclude l’altro, ossia, la fede e le opere vanno di pari passo: la fede senza le opere (carità) è vana, così come le opere, la carità, senza Dio, senza la fede, sono inutili, non servono alla salvezza delle anime, mentre ci ammonisce l’Apostolo che la prima forma della Carità non è l’elemosina o il grembiule in senso lato, ma è la Verità la quale, essendo Cristo Persona, mendica da noi l’essere accolta, e accogliendola ci introduce inesorabilmente alla fede .

La Madonna a Fatima disse ai tre pastorelli che una moltitudine di gente andava all’Inferno e rischiava di andarci non perchè non vi fosse chi li sfamasse, ma perchè non c’era chi pregasse per loro e per la loro conversione, non c’era chi si occupasse delle anime! Senza nulla togliere alla bontà dei gesti che restano sempre auspicabili per noi cristiani, occorre diffidare dove non ci sono sostanziose conversioni. Diversamente, la carità di Bello si sarebbe fermata -vuoi per dolo vuoi per casualità, non sta a noi giudicare- all’atto materiale. Ma questo lo approfondiremo più avanti.

E’ opportuno chiedersi, allora, quanto dell’ingegnoso attivismo “belliano” fosse rivolto alla salvezza delle anime, ai battesimi sempre più in calo, e quante di queste energie furono consumate esclusivamente per l’attivismo sociale.

 

E MONTINI NEL 1954 SI INVENTA “PAX CHRISTI”. E SARÀ L’ENNESIMA PIAGA SUL CORPO DELLA SPOSA DI CRISTO

Tonino Bello, capo carismatico di Pax Christi, sedicente organizzazione pacifista "cattolica", impugna il suo vessillo: la bandiera pacifista

All’improvviso, Tonino Bello, cominciò a calcare tutti i palcoscenici, le tribune: Vangelo alla mano, parlava di “giustizia”. Però sempre di giustizia in questo mondo. Gesù è diventato un guerriero della pace e della giustizia a sentire questo vescovo col Vangelo in mano. Di che giustizia era alfiere? E Cristo di quale giustizia parla? Qual è la giustizia su questa terra secondo Cristo e quale quella secondo Bello?

Per approfondire queste domande sarebbe necessario scandagliare e contestualizzare la nascita del movimento cattolico Pax Christi nel 1954, partorito nientemeno che da un’idea di Giovanni Battista Montini. Sì, il futuro Paolo VI. Non abbiamo molto spazio per dire “tutto”, ma va subito detto che attualmente il sito ufficiale e la stessa organizzazione agiscono in disobbedienza alla Congregazione vaticana Fides per l’evangelizzazione dei popoli, la quale nel 2008 ha emanato un documento atto ad eliminare quella bandiera della pace ancora vergognosamente usata dal Movimento “cattolico” ed atta ad ingannare la gente e i fedeli sul suo autentico e sinistro significato.

Che cosa era Pax Christi all’origine e che cosa è diventata dopo il Sessantotto lo troviamo proprio nel loro rapporto storico che dice:

“L’impostazione iniziale del movimento internazionale e delle sezioni nazionali fu dunque prevalentemente spirituale, ma dopo la promulgazione della “Pacem in Terris” e l’avvento del Concilio Vaticano II, Pax Christi fu quasi costretta ad allargare il proprio campo di azione”. Non discutiamo sul fatto che “fu quasi costretta ad allargarsi” (da chi?), ma discutiamo in quale direzione volle allargarsi, come interpretò la “Pacem in Terris” e come il Concilio. E perchè non diventare paladino anche dell’altra enciclica di Giovanni XXIII sulla Chiesa “Mater et Magistra” senza dissociarla dall’altra? Se l’emblema di Pax Christi è questa bandiera anticattolica, e ancora non viene rimossa nonostante il comunicato ufficiale della Santa Sede, è legittimo sospettare che l’attuale Pax Christi del post-concilio, ha dirottato dalla Dottrina Sociale della Chiesa, trovando nel mondo il suo riferimento.

Quante vane parole...

Abbiamo prove per dire questo? Sì: il Movimento originale di Pax Christi cessò di fatto nel ’68 a seguito delle contestazioni giovanili e della rivoluzione anticattolica. Il suo Statuto originale venne messo in discussione e poi addirittura abolito, e furono chiuse diverse sezioni. In sostanza non si voleva più essere guidati “dalla Chiesa”, ma si voleva diventare un Movimento spontaneo che avrebbe usato, senza dubbio, la “Pacem in Terris”, ma attraverso una nuova prospettiva, quella del mondo, quella modernista, quella materialista o, peggio, quella che in altre parti del mondo porterà alla Teologia della Liberazione. Infatti, sempre nel 1968 leggiamo negli atti storici:

“Il 31 dicembre 1968 la prima Marcia di Capodanno a Sotto il Monte – Bergamo dal titolo “La pace non è americana, come non è russa, romana o cinese; la pace vera è Cristo” (padre David Turoldo), voluta per contestare il modo consumistico di iniziare l’anno e per appoggiare l’impegno per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza”. In sé non vi è nulla di “peccaminoso” in questo, ma l’uso della bandiera pacifista, i moti che portarono ad abolire l’originale statuto, la chiusura delle sezioni storiche e quant’altro di associabile alla grave anarchia ecclesiale di quei tempi, il tutto ci porta ragionevolmente a sospettare non tanto della pace che si voleva portare, ma di un’altra cosa: di quale Cristo si parlava? Perché il danno maggiore di quegli anni, non dimentichiamolo, fu la spoliazione della divinità del Cristo, quello spogliarlo della Sua Chiesa e averne fatto un rivoluzionario pacifista, un Uomo eroico. E il fatto che David Turoldo sottolineasse spesso che la pace non fosse “romana” sappiamo perfettamente cosa significasse. Non è un mistero, infatti, che anche quest’altro sacerdote si lasciò abbondantemente sopraffare dal pacifismo nel quale e per il quale il vero nemico era diventato l’istituzione, e tutto ciò che aveva una gerarchia, delle dottrine da rispettare, veniva interpretato come ostacolo per la “pace di un Cristo” che non era più alla guida della Chiesa, ma ve ne era uscito spogliandosi di ogni ricchezza. Ecco il concetto di povertà che si voleva imporre alla Chiesa, al Papa e alla struttura ecclesiale in genere.

 

1970 PAX CHRISTI “NON SA SE LA CHIESA È ADATTA AL PROGETTO” DELLA PACE

Cupo ideologismo. Funerale secondo il rituale di Pax Christi. I funerali di Enrico Berliguer risultano più religiosi al confronto

Che prove abbiamo di ciò?

Nel 1970 si studia il nuovo Statuto e si discute se Pax Christi debba o meno “continuare il suo lavoro nella Chiesa” e se la Chiesa in Italia “sia pronta e adatta a portare avanti il progetto della Pace”… ma dico, stiamo scherzando?!

E per duemila anni di storia la Chiesa cosa aveva portato? Senza dubbio portare la “pace vera di Cristo” significava muovere guerra al peccato e nelle intenzioni di Cristo non vi era e non vi è una Chiesa pacifista, bensì una Chiesa che con modi pacifici potesse proseguire la sua missione. Questo sì che era nell’intenzione anche di molti Santi come dimostrano queste parole di santa Caterina da Siena a Papa Gregorio XI: “Oimè, babbo mio dolce, Pace, v’imploro Pace – scrive la senese- acciò che tanti figliuoli non perdano l’eredità della vita eterna che il Cristo distribuisce nella santa Sua Chiesa, e che per riscatto non risparmiò di dare se stesso”, e parla di un emblema della Pace, di un vessillo: la Croce di Cristo.

E così nel 1973 i “punti di riferimento per la nuova Pax Christi Internazionale e Nazionale sono la Pacem in Terris e il Concilio Vaticano II”. Così dicono. Tutto ciò che vi è prima di tali totem nella Chiesa, viene dal Movimento inesorabilmente cancellato, anche se, e qui stanno il paradosso e l’incomprensione, alla guida ci sarà sempre un vescovo. Ma l’espressione di un malcontento da parte della Santa Sede non tarderà ad arrivare. Nel 1978 il Consiglio Direttivo di Pax Christi Internazionale chiede al Vaticano di istituire un vicariato di solidarietà in Argentina. Ma il Vaticano rifiuta. Perchè vi trova ingerenza politica e strane affiliazioni con la TdL e, poichè Pax Christi si sente “libera” di agire come vuole, ha messo nello Statuto “la possibilità di essere membri corrispondenti là dove le dittature impediscono di lavorare, così possono diventare membri corrispondenti le madri della Plaza de Mayo”. Da qui si può comprendere anche l’atteggiamento, ragionevole, assunto poi da Giovanni Paolo II e già raccontato nel nostro sito, mentre ciò che non si comprende è l’atteggiamento generalmente permissivo della Santa Sede verso queste Associazioni che si fregiano del titolo di “cattolico”, ma di fatto non lo sono e continuano a confondere e ad ingannare fedeli e non.

Tornando così al soggetto dell’argomento, senza giudicare le sue buone intenzioni, ma solo riportando fatti che dimostrano la grave apostasia nella Chiesa e la grande confusione dottrinale, dal 1985, don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, diventa presidente nazionale “e leader carismatico, non solo di Pax Christi ma di tutto il movimento pacifista in Italia” fino al 1993, anno della sua morte. In neretto mettiamo il frasario usato dalla Nota storica del Movimento per farvi notare la gravità di quelle espressioni: dunque un vescovo “leader” e non solo di Pax Christi, ma anche di tutto il movimento “pacifista” in Italia.

 

DON TONINO: DAI “DIRITTI DI STOLA” AI “DOVERI DI GREMBIULE”

Poche idee, ma belle confuse. O forse no... C'è tutto, mancano le parole "fede" e "Cristo"

Il senso di giustizia di mons. Bello, senza giudicarne le sante intenzioni, si converte tuttavia in qualcosa di anomalo in relazione non soltanto alla Tradizione della Chiesa, ma allo stesso Vangelo. Ad esempio, nella famosa omelia dove “fonda” la sua Chiesa “grembiule”, don Tonino sminuisce in qualche modo la stola, la quale, dice, si potrebbe sostituire col grembiule per far comprendere alla gente e al sacerdote che questi è chiamato a servire. Poi si riprende e naturalmente comprende bene che il valore della stola non è opinabile e così associa con una battuta i due elementi, indicando la stola come il rovescio (naturalmente…) e il grembiule come diritto. Infine, pone la ciliegina sulla torta dicendo: “Nel nostro linguaggio canonico, ai tempi del seminario, c’era una espressione che oggi, almeno così pare, sta fortunatamente scomparendo: diritti di stola. E c’erano anche delle sottospecie colorate: stola bianca e stola nera. Ci sarebbe da augurarsi che il vuoto lessicale lasciato da questa frase fosse compensato dall’ingresso di un’altra terminologia nel nostro vocabolario sacerdotale: doveri di grembiule! Questi doveri mi pare che possano sintetizzarsi in tre parole chiave: condivisione, profezia, formazione politica“.

La giustizia secondo mons. Bello scaturisce dunque dalla “formazione politica” del futuro sacerdote, naturalmente una formazione pacifista, ossia di sinistra… giratevi le parole come volete, ma questo è il senso! Non ci interessa ora affrontare la destra o la sinistra politicamente parlando; anche perchè al momento il più pulito ci ha la rogna. Quel che è importante constatare è l’errata concezione che mons. Bello ha della preparazione del sacerdote. E a correggerlo, guarda il caso, è proprio Benedetto XVI che in tutto l’Anno Sacerdotale non ha fatto altro che richiamare i formatori dei seminari e i seminaristi stessi a dissociarsi da una “formazione politica”, ché Cristo non si interessò mai alle questioni puramente politiche, ché Cristo stabilì il diritto di Cesare ad avere la sua moneta, così come stabilì il dovere per i Suoi di essere rispettosi verso Cesare, ma al tempo stesso avere una formazione divina: “Siete nel mondo, ma non siete del mondo”. Chi l’ha detto, infatti, che per condividere, essere profetico, essere caritatevole, praticare la giustizia (quella di Dio), il cattolico debba avere una “formazione politica” o far parte di un Movimento?

La giustizia di mons. Bello è, invece, pacifista. Dopo la nomina a vescovo, forse tentando di imitare Paolo VI quando si tolse la tiara, Bello rinuncia ai “segni di potere” (dopo averne distorto il significato) e ne capovolge, volutamente, il senso, facendoli diventare il “Potere dei Segni”: nasce così la “sua” Casa della Pace, che avrà come emblema non il Crocifisso, ma la bandiera della pace.




[SM=g1740771] segue la seconda parte

Caterina63
00domenica 6 novembre 2011 14:35
[SM=g1740733] PARTE 2

IL BRUTTO DI BELLO

 

fede e ideologia in don Tonino Bello

 

PARTE 2 (seguirà la 3 e ultima)

Voleva una Chiesa assistenzialista. La rimozione del peccato originale come causa di tutti i mali… sostituito dall’ideologia sociale. Bello predicava bene su famiglia e aborto… ma i suoi pacifisti con la bandiera razzolavano male. E l’omosessualità? Questa volta Bello tace: lui, non i suoi discepoli. “È è giunto il tempo di una Chiesa più umana: l’età degli schiavi è finita”. Le toninobellonate. Il frutto più perfetto e velenoso del toninobellismo: Nichi Vendola. Bello spediva ostie consacrate via posta?

 

 

E’ poi certo che un Nichi Vendola, noto omosessuale e orgoglioso d’esserlo, ideologo dell’omosessualismo più fanatico, presentò la “Teologia di don Tonino Bello” lasciando intendere la solidarietà del prelato verso le coppie omosessuali, benedicendoli nell’atto che essi difendono e di cui vanno orgogliosamente fieri (gay deriva proprio dall’orgoglio di essere tali), non gli fa certo onore. E’ doveroso leggere alcuni passi di un intervento del governatore della Puglia nel 2010, nel quale osa dire: “Mi ha sempre affascinato il pensiero religioso. Ero uno di quei comunisti per cui il libro più importante era la Bibbia. Ma ha contato molto per me anche il pessimismo di Sergio Quinzio, ho amato i libri del cardinal Martini, e sono stato discepolo del vescovo di Molfetta, il mio vescovo, Tonino Bello”. E ancora: ” Tutta la teologia di Bello è una teologia della differenza. Come quando spiega il dogma della Trinità con la metafora della convivialità delle differenze: la presenza di tre differenze in un’unità ci insegna la bellezza della convivenza, che è qualcosa di più della tolleranza”.

  

 

 

diTea Lancellotti

 

 

 

VOLEVA UNA CHIESA ASSISTENZIALISTA

Tonino Bello, il vescovo di Oria e presidente della Caritas italiana Armando Franco, Giovanni Paolo II

Viene da domandarsi se ormai non sia conclamato il rapporto fra Bello e la Teologia della Liberazione. Taluni sostengono addirittura che egli ha fatto un passo ulteriore, si è maggiormente modernizzato in questo senso: in lui la rivoluzione comunista si è fusa con la rivoluzione sessuale e liberale. “È il prodotto più puro e pettinato del post-68 cattolico”, dicono. E ancora: in cosa l’ideologia toninobellista contrasta con la dottrina sociale e morale della Chiesa?

A prima vista potrebbe sembrare che mons. Tonino Bello si sia concentrato su una effettiva applicazione della Teologia della Liberazione. Di fatto, no: la “sua” TdL, a differenza dei paesi che la svilupparono, non è prettamente politica e forse proprio qui sta la difficoltà di comprendere gli errori della Chiesa pacifista alla quale egli anelava. Egli si servì senza dubbio di certa politica catto-comunista per avanzare un progetto tuttavia molto umano e caritatevole: aiutare il prossimo indigente, che non arrivava alla fine del mese o che non aveva i soldi per le medicine. La sua, oserei dire, fu una chiesa “assistenzialista” più che politica; della politica egli si serviva per portare più assistenza ai bisognosi.

La Dottrina Sociale della Chiesa, al contrario e detto in due parole, non fa patti o compromessi con certa politica, ma tenta di rimuovere alla base l’ostacolo tipico dell’assistenzialismo affinchè il povero e l’indigente possano avere invece strumenti necessari, pochi ma dignitosi, per conquistare l’autosostentamento.

La Dottrina Sociale della Chiesa, per altro, non si esaurisce in una battaglia politica, ma è l’insieme delle indicazioni comportamentali, cioè morali, intese a contrastare le difficoltà costituite per l’agire dell’uomo dalla cosiddetta “questione sociale” e da quella politica che ha alla base delle ideologie da propalare, spesso associate a “nuove dottrine” a seconda delle mode e dei tempi, come denunciava anche san Paolo. Tale Dottrina della Chiesa si sviluppa perciò come risposta alle difficoltà -derivanti dal Peccato Originale- dell’operare degli uomini nelle loro relazioni con Dio come gruppi sociali, nella vita di convivenza all’interno di essi e con altri gruppi sociali, e nei rapporti suscitati dalle relazioni con i beni sia dei singoli che della collettività.

 

LA RIMOZIONE DEL PECCATO ORIGINALE COME CAUSA DI TUTTI I MALI. SOSTITUITO DALL’IDEOLOGIA SOCIALE

La cosa che si è rimossa dalla Dottrina Sociale della Chiesa di oggi, da parte di molti Vescovi come Bello e da questi movimenti pacifisti è che l’origine di tutti i mali è proprio il Peccato Originale. Rimuovendo la causa, ci si abbandona all’ideologia, sfociando nel moralismo, nel pietismo, nel sentimentalismo e quant’altro, e questo accade anche se si agisse per sola “buona fede”.

L’errore infatti è errore e non cessa di essere tale perché cambiano i tempi o le mode. La Dottrina Sociale della Chiesa sviluppa invece i Dieci Comandamenti in quanto fondamento del vivere sociale a partire dal Quarto (“Onora il padre e la madre”); da qui il valore della famiglia e l’indissolubilità del matrimonio da cui deriva la stabilità stessa della società. Il Quinto (“Non uccidere”), riferibile innanzitutto all’aborto. Il Sesto (“Non commettere atti impuri”) ed ecco la battaglia contro le forme di adulterio, contro ogni forma di tradimento. Settimo (“Non rubare”), e qui non basterebbero cento pagine per dimostrare in cosa consiste e in quanti modi si ruba. Ad esempio, si ruba anche la Verità all’innocente quando la si offusca. L’Ottavo (“Non dire falsa testimonianza”) proibisce non solo la falsa testimonianza, ma anche la detestabile mania e abitudine di denigrare gli altri. E questo è ciò in cui cadiamo, senza correggerci, quando si denigrano la Chiesa con la sua Dottrina e il Papa, e non pare ci si renda conto della solenne offesa che si fa alla Chiesa quando la si accusa di tutto a causa di uomini peccaminosi o, peggio ancora, quando la si tradisce nella dottrina!  Ecco, vi ho citato questi solo per fare un esempio pratico.

Tale Dottrina è stata schiacciata soprattutto dalla rivoluzione sociale del Sessantotto, dalla Teologia della Liberazione e da quanti, in buona fede o meno, l’hanno dissacrata per rincorrere le proprie idee sulla sessualità, sulla carità, sul matrimonio, ecc. perchè, come detto sopra, si è rimossala causa di ogni inquietudine: il Peccato originale. Il quale per essere divelto necessita della conversione sia del ricco quanto del povero, mentre, se ci fate caso, mons. Bello ed altri come lui o la stessa Pax Christi pretendono la conversione dei ricchi mentre i poveri possono continuare a credere ciò che vogliono, quasi che il loro stato di povertà costituisse una giustificazione al peccato.

 

BELLO PREDICAVA BENE SU FAMIGLIA E ABORTO. MA I SUOI PACIFISTI CON LA BANDIERA RAZZOLAVANO MALE

La putrida degerazione ideologica e tutta a sinistra della Pax Christi di Tonino Bello

Ad onor del vero va detto che molto di quanto si è attribuito a mons. Bello di fatto non lo rappresenta nella completezza delle sue intenzioni. Anzi, spesso le travisa volutamente: in quel che ho studiato attraverso le sue prediche o scritti, o anche attraverso quanti hanno parlato di lui sia pro che contro, devo dire che spesso emerge una certa strumentalizzazione del personaggio, sino a trascinarlo nella vera e propria eresia.

Per esempio egli è stato, almeno nei suoi scritti, un difensore dell’unità della Famiglia, ma paradossalmente sosteneva un Movimento pacifista favorevole al divorzio. In una predica spiega il valore coniugale quale icona della Santissima Trinità e lo sforzo che gli sposi devono fare per non offuscare questa immagine agli occhi del mondo. Oppure, nonostante difendesse la vita fin dal suo concepimento, almeno nelle sue prediche, paradossalmente sosteneva un Movimento pacifista che con quella bandiera della pace che anche lui sventolava, si batteva e si batte ancora oggi in difesa dell’aborto.

 

E L’OMOSESSUALITÀ? QUESTA VOLTA BELLO TACE. LUI, NON I SUOI DISCEPOLI

Uno degli allievi principali di Tonino Bello: don Tonino Dall'Olio. Presidente di "Nuova Proposta" che diffonde apertamente il sincretismo e l'ideologia di genere, ossia l'omosessualismo e il diritto al sesso contronatura "con la benedizione della Chiesa". Una delle tante porcate associazionistiche sorte negli ultimi decenni di "chiesa sociologica", che si regola in base alle scalette dei talk show, invece che sulla Parola di Dio, come all'inizio della loro "contestazione" (nel '68) declamavano di volere fare. Abbiamo visto come è finita: sesso per tutti!

Un altro esempio è l’omosessualità: Don Tonino era favorevole o no? Non ci è dato di sapere perché non si è espresso mai direttamente a riguardo; tuttavia sosteneva un Movimento pacifista e sventolava quella bandiera della pace che rivendica i diritti non tanto dell’omosessuale persona (i quali nel Catechismo la Chiesa Cattolica sono difesi senza equivoci), quanto dell’omosessualità come atto che per i cristiani è “illecito ed immorale” in sé, e dunque dell’ideologia omosessualista. A riguardo è curioso segnalare che alcuni siti pseudo cristiani sostenitori della pratica sessuale contronatura e omosessuale che usano una citazione di mons. Bello per reinterpretare la Bibbia. Il passo è questo:

Ci sono tante parole del Vangelo che noi abbiamo addomesticato, le abbiamo ridotte, le abbiamo decurtate, così per ridurle agli spazi della nostra prudenza umana, per cui tanti cristiani sono buoni, onesti, incredibilmente legati alle leggi della Chiesa e dello Stato, irreprensibili, però non hanno scatto, non hanno quella passione in più, non hanno quelle movenze che sanno veramente di audacia, di audacia profetica, che sanno dire con coraggio, davvero, la Parola del Signore e la sanno vivere”.

Parole che possono essere strumentalizzate da chiunque, ma in special modo all’interno di quella ambiguità nata dopo il Concilio ed entrata in molte pastorali le quali non condannano più il peccato con il proprio nome, ma sono giunte ad ipotizzare una rilettura dei Vangeli secondo le necessità di questi tempi. Infatti il sito in questione che usa la frase sopra riportata conclude con un esempio: “Da Rm 1,26-27 deriva la maggiore argomentazione del Nuovo Testamento contro l’omosessualità in quanto intrinsecamente immorale. Come si può notare tutto ciò che San Paolo condanna è tutto quello che viene fatto senza amore“.

Insomma, esattamente lo stesso modo in cui si strumentalizza la frase di sant’Agostino: “Ama e fa cio’ che vuoi”. Il medesimo equivoco (per nulla casuale) che stava dietro l’assurda pretesa di un partito politico nord-europeo che pretendeva, per “amore”, di liberalizzare la pedofilia… sottolineando che il bambino avrebbe dovuto essere consenziente naturalmente, nulla di imposto, eh! Prenderlo come un gioco d’amore… Nel quale, va da sé, a “divertirsi” è solo il porco.

Mostruosità come questa accadono perché non si parla più della radice del Male: il peccato originale. Non si parla più del peccato con i suoi nomi, dell’inferno e del purgatorio, né si parla più di che cosa sia realmente il paradiso, poiché tutto è stato subordinato alle proprie idee ed al secondo me, e in base a questeci si attiva illusoriamente per un “paradiso” terreno, per una “Pacem in Terris” che spalanchi una nuova era “paradisiaca” nel mondo.

Un momento qualificante dell'associazione di "omosessuali cristiani" fondata dall'allievo di Bello, don Tonino Dall'Olio. Subito dopo la manifestazione l'invito è questo ""GRUPPO DI UOMINI E DONNE OMOSESSUALI CRISTIANI VI INVITANO ALLA FESTA DELL'AMORE. PER RICORDARE A TUTTI L'IMPORTANZA DELL'AMORE NELLA VITA". Al solito si è scambiato l'affetto e l'amore di Dio con una pesca amorosa (ossia con una scopata... "libera")

Don Tonino Bello, dunque, non si è mai espresso chiaramente sulla questione, ma è strano che un altro prete, don Tonino dell’Olio, suo discepolo e collaboratore in Pax Christi, appoggi e sostenga un gruppo omosessuale “cristiano” e sincretista, ossia ospitante anche cristiani non cattolici, affinché “vengano accolti e compresi” dalle Parrocchie, accettati nella loro diversità e come coppie consolidate che pregano e seguono la Bibbia come tutti gli altri cristiani. Tranne, è chiaro, che per tutto quello che riguarda il de sextu e la condanna palese che specie il Vecchio Testamento fa della pratica sodomitica, che per giunta è anche squallido sesso al di fuori del matrimonio, faccenda puramente genitale.

E’ curiosa la visione che ha della Chiesa questo ennesimo discepolo (e sacerdote) di Tonino Bello. Scrive infatti don Tonino dell’Olio, riportato nel sito “cristiano-sincretista omosessuale”:

Gesù prefigura una comunità senza rumore e senza potere. Non una Chiesa-Stato ma una comunità a piedi nudi. Non elementi separati, ma inclusi, integrati, confusi. Non la forza e la ricchezza ma la debolezza e la povertà. In questo senso ogni credente, in coerenza con l’invito perentorio di Gesù, è chiamato a mischiarsi con la gente e nella storia di cui fa parte. Senza etichette e senza distintivi. Scomparendo come il sale per scommettere – come il sale – di dare sapore. Non il partito dei cattolici, il giornale dei cattolici, la scuola dei cattolici… per affermare la propria presenza accanto alle altre. Piuttosto il partito degli altri, il giornale degli altri, le scuole degli altri in cui ciascun credente (ossia di tutte le fedi, n.d.a.) si gioca tutta la sua parte di testimonianza e di fede.

Parole allucinanti queste, di unsacerdote e discepolo di mons. Bello. A parte il fatto che è esattamente il contrario di ciò che predica Benedetto XVI riguardo anche le scuole e gli istituti cattolici affinché difendano la propriaidentità cattolica, ma dove sta scritto che questo era ed è il progetto di Cristo? Mischiarci con la gente sì, siamo infatti nel mondo, ma non nella sua storia peccaminosa nella quale siamo sì immersi, ma che dobbiamo condannare in quanto “non siamo del mondo”: il Popolo di Dio non è mischiato fra la gente in modo anonimo, al contrario, fa rumore, “grida dai tetti la verità”, è perseguitato come Cristo, viene trascinato nei tribunali per causa Sua, viene crocifisso, questo popolo è insomma segno di contraddizione nel mondo!

 

È GIUNTO IL TEMPO DI UNA CHIESA PIÙ UMANA. L’ETÀ DEGLI SCHIAVI È FINITA”. LE TONINOBELLONATE

Per quanto se ne voglia parlare bene e per quante citazioni luminose si possano fare (specialmente sulla malattia e sulla Vergine Maria di cui parleremo), impeccabili in se, è un Don Tonino Bello ambiguo quello che emerge, così come incoerente era il suo essere vescovo e al tempo stesso rifiutare i “segni del potere” pur conservando i poteri. Oppure come quando usava frasi ad effetto del tipo: “Con Gioacchino da Fiore siamo consapevoli che l’età degli schiavi è finita, sta crollando, cade a pezzi. La stagione degli uomini liberi è già cominciata e solo il coraggio potrà renderla duratura. E’ giunto il tempo di una Chiesa più umana.

Uomini liberi da chi e da che cosa? Non era il caso di specificare che la stagione degli uomini di Dio è già cominciata da un bel po’, se proprio voleva intendere una adesione al Cristo? Ma voleva intendere l’adesione al Cristo predicato dalla Chiesa bimillenaria, oppure una libertà verso un Cristo fatto a nostra immagine e somiglianza? Ma il bello è che sarà proprio l’allora cardinale Ratzinger a rispondergli, nel 1990 al Meeting di Rimini nel suo famoso e monumentale discorso in cui disse esplicitamente:  Non è di una Chiesa più umana che abbiamo bisogno, bensì di una Chiesa più divina; solo allora essa sarà anche veramente umana. E per questo tutto ciò che è fatto dall’uomo, all’interno della Chiesa, deve riconoscersi nel suo puro carattere di servizio e ritrarsi davanti a ciò che più conta e che è l’essenziale. “

 

IL FRUTTO PIÙ PERFETTO E VELENOSO DEL TONINOBELLISMO: NICHI VENDOLA

L'altro autoproclamato da anni "allievo" di Tonino Bello, del quale ne imita gestualità, retorica, modo di parlare, persino argomenti e slogan. In Puglia si è impadronito completamente della figura del vescovo e l'ha reso funzionale al suo disegno politico e di potere personale. Qui "commemora" Bello ad una messa nel paese natale del prelato suo "maestro" (in cosa?)

E’ poi certo che un Nichi Vendola, noto omosessuale e orgoglioso d’esserlo, ideologo dell’omosessualismo più fanatico, presentò la “Teologia di don Tonino Bello” lasciando intendere la solidarietà del prelato verso le coppie omosessuali, benedicendoli nell’atto che essi difendono e di cui vanno orgogliosamente fieri (gay deriva proprio dall’orgoglio di essere tali), non gli fa certo onore. E’ doveroso leggere alcuni passi di un intervento del governatore della Puglia nel 2010, nel quale osa dire: “Mi ha sempre affascinato il pensiero religioso. Ero uno di quei comunisti per cui il libro più importante era la Bibbia. Ma ha contato molto per me anche il pessimismo di Sergio Quinzio, ho amato i libri del cardinal Martini, e sono stato discepolo del vescovo di Molfetta, il mio vescovo, Tonino Bello”. E ancora: “ Tutta la teologia di Bello è una teologia della differenza. Come quando spiega il dogma della Trinità con la metafora della convivialità delle differenze: la presenza di tre differenze in un’unità ci insegna la bellezza della convivenza, che è qualcosa di più della tolleranza”.

Passi molto discutibili ed oserei dire quasi eretici: le Tre Persone della Santissima Trinità infatti non sono “conviventi”, né si può parlare di una “convivialità” in relazione ad Esse. E la presenza non è di tre differenze in un’unità, semmai è dall’Unità che scaturiscono intanto le due Persone (Figlio e Spirito Santo) che con l’Unità sono un unico Dio, così in tre Persone distinte e non differenti che hanno un’unica volontà.

O Vendola quando parla di “Unità” pensa al giornale del partito e di conseguenza attribuisce erroneamente a mons. Bello cose non dette, oppure mons. Bello qui deve averle dette tanto grosse da far entrare forzatamente il “terzo sesso” laddove Dio non l’aveva creato. Se uno dei frutti della teologia di mons. Bello è la catechesi di Nichi Vendola che si vanta di esserne stato discepolo, allora davvero i conti non tornano!

Resta palese che, al momento, riferimenti diretti al mondo omosessuale in testi integrali e non citazioni riportate (perciò prone ad una facile strumentalizzazione) di mons. Bello non ne ho trovati. I suoi discorsi ed omelie sono di regola molto generici, tranne quelli sulla malattia e sull’immagine di una Madonna “umanoide”. 

 

BELLO SPEDIVA OSTIE CONSACRATE VIA POSTA?

Tonino Bello

Uomo dei “gesti” non solo delle parole buoniste, secondo una leggenda (se tale è), Tonino Bello una volta fece un “gesto” emblematico: mise un’ostia consacrata in una busta da lettere e la spedì a una comunità… naturalmente africana. Che significa tutto ciò? Cosa simboleggia per questi qui l’Eucarestia?

Così il vescovo di Molfetta Tonino Bello scriveva il 10 dicembre 1984 al vescovo di Viedma Miguel Esteban Hesayne per la partenza di don Ignazio De Gioia missionario in Argentina: “Un tempo, quando un vescovo voleva esprimere comunione e solidarietà con un altro vescovo, spezzava durante la messa un frammento del Pane consacrato, lo metteva in un piccolo calice dove c’era il Sangue del Signore, e glielo inviava per mezzo di un diacono. Era il dono del così detto ‘fermentum’. Oggi questo gesto lo voglio ripetere io. Ti invio il Corpo Eucaristico del Signore che, consacrato nella Messa di stamattina, festa della Madonna di Loreto (la Santa Casa che ha ‘trasvolato’), ti viene consegnato da don Ignazio, presbitero della mia Chiesa di Molfetta. Trattieni con te il dono. Ma trattieni anche il portatore.

Chiariamo subito che l’ostia consacrata non venne “spedita”, ma inviata a mezzo di un corriere speciale, un altro sacerdote per il quale mons. Bello chiede ospitalità: “Ma trattieni anche il portatore“.

Non sono un’esperta del settore, ma certo è che il gesto è davvero bello e profondo e ci riporta a quel che accadeva effettivamente anche nei primi tempi, quando, oltre alla corretta spiegazione che vi si legge, i cristiani perseguitati non potevano ricevere l’eucarestia dal momento che all’epoca era il vescovo che poteva consacrarla, quindi ogni tanto se la inviano per mezzo dei presbiteri o diaconi: un gesto simbolico ricco e carico di profondo affetto ecclesiale. Inoltre l’ostia della Messa è consacrata proprio per essere “spezzata e donata”, condivisa, e ancora, questo ci ricorda la comunione che viene portata ai malati, agli anziani, nelle case o negli ospedali.

L’unico dubbio che può venire al lettore è questo:  ha mandato il frammento o l’ostia integrale? Perché se era l’ostia della consacrazione, poteva mandargliene un frammento, ma non integrale perché anche lui, nel consacrarla aveva l’obbligo di consumarla. Oppure gli ha mandato una delle particole che non si usano per la consacrazione, ma vengono consumate dai fedeli?

Ritengo personalmente che gli abbia mandato il frammento, così come spiegato citando l’esempio del “fermentum”. In questo episodio, comunque sia, c’è un pieno significato eucaristico degno, davvero, di riflessione.

Non c’è nulla di male a compiere questo gesto, solo si spera che il frammento non sia stato trattato troppo “laicamente” durante il viaggio. Ricordo che quando ebbi un infarto e venni ricoverata in terapia intensiva dopo l’intervento, chiesi il Dolce Viatico. Mi si presentò un sacerdote che in una mano teneva arrotolata la stola, se la mise, mi confessò e mi diede l’assoluzione. Non avendo con sé alcun Crocifisso, gli diedi quello che avevo io tra le mani che mi ero fatta portare da mia figlia all’ospedale perché da lì era stato rimosso. Per un attimo rimasi perplessa poiché non lo vedevo portare alcuna valigetta con sé; poi mise una mano in tasca e prese una scatoletta di plastica trasparente. Dentro c’erano alcune ostie e restai talmente male per quella visione squallida che preoccupata gli dissi: “Scusi padre, ma è consacrata?”. E lui: “Che domande sono, signora? Non sono mica un truffatore!”. Mi veniva da chiedergli: “Da cosa potrei dedurre che lei non lo sia?”, ma per amore della Pace vera che stavo per ricevere (almeno spero e voglio credere che fossero consacrate) preferii mortificare la curiosità. Chiesi al sacerdote di ritornare ogni giorno a portarmi Gesù, ma incredibile, non lo vidi più. Dopo tre giorni chiesi all’infermiera che fine avesse fatto quel prete, me lo mandò a chiamare, si scusò dell’assenza, si era dimenticato di me. Eravamo in Italia, e non in un deserto dell’Africa…

Non posso dunque che apprezzare il gesto compiuto da mons. Bello in questa circostanza e supplicare i sacerdoti ad avere più cura dell’eucarestia. Specialmente quella verso gli ammalati.





******************
Una breve ulteriore riflessione:

La stessa frase, ambigua , estrapolata ed usata dai “suoi” ambiguamente e che è riportata nella foto dell’articolo sopra, fa capire il dramma della dottrina belliana, dice il Bello:
Ama la gente, i poveri soprattutto e Gesù Cristo…. il resto NON CONTA NULLA…”

è davvero la frase di un vescovo della Santa Chiesa? e fino a qual punto l’hanno ideologizzata?
E si! perchè una frase del genere non può assolutamente identificarsi al Cattolicesimo… primo perchè quel “soprattutto” dovrebbe essere indirizzato a Dio, lo dice il PRIMO COMANDAMENTO e lo ripete Gesù: Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente….POI il Signore Gesù VI AGGIUNSE IL COMPLETAMENTO, come a dire: ora, AMANDO DIO SOPRA OGNI COSA, potrai amare il prossimo come ami te stesso, ossia, in base A COME AMI DIO…

Non deve scandalizzarci che un uomo, un vescovo, possa vivere trovando nel povero il Cristo da servire, il Dio da amare, egli può farlo…. ma deve scandalizzarci quando lo stravolgimento delle priorità diventano, come in questa frase, un perentorio, UNA VERITA’ fondata sulla propria opinione… quasi che, tanto per fare un esempio, le Monache di Clausura che vivono AMANDO SOPRATTUTTO DIO, e attraverso questo Amore pensando successivamente al povero, stiano commettendo un peccato contro la Carità o contro l’Amore stesso ;-)

Questa frase, alla quale si può togliere perfettamente la parola “e Gesù Cristo” che sembra gettata lì tanto per far contento qualcuno, quasi fosse UN INTRUSO…. calza a pennello per la religione sincretista che ha fatto dell’uomo e del povero UN DIO…. un dio al quale ANCHE Gesù Cristo è soggetto….
Gesù ha amato i poveri, ma soprattutto ha dato la vita PER L’UOMO, non per “il pane che perisce, MA PER IL PANE CHE NON PERISCE”…

Restando nel solco della Tradizione si amerà l’Uomo rispettando I COMANDAMENTI, dando la priorità a Dio e da Dio AIUTARE IL POVERO perchè da soli non possiamo fare nulla, nè infatti, don Tonino Bello ha risolto i problemi del suo tempo…
Solo seguendo CRISTO possiamo risolvere le crisi economiche, la fame, la povertà… e questo è inciso magnificamente nella Dottrina Sociale della Chiesa che parte dallo smantellamento DEL PECCATO….causa di tutte le crisi, anche della povertà…


[SM=g1740771]  seguirà la parte 3
Caterina63
00venerdì 11 novembre 2011 17:11
LA MADONNA DI TONINO BELLO:  NON UN MODELLO, MA UNA MODELLA.
PER “PERVERTITI”


 La mariologia del progressismo cattolico e la Mariologia della Tradizione Cattolica
…passando per quella di Tonino Bello


pubblicato da papalepapale byMastino


“Ma possibile che un vescovo possa essere santo e al contempo non ortodosso?”. A Tonino non piace la Madonna “retorica e magniloquente”. Maria che litiga con san Giuseppe, “che era taciturno”: “coppia in crisi”? Quella sua Maria “casalinga” contrapposta alla Maria “teologica”. Il Magnificat “è il canto della teologia della liberazione”. Una mariologia laica. E l’Eucarestia diventò solo… “pane”. E il card. Ratzinger con discrezione corresse la Maria “feriale” di Bello. La Maria delle “vampe” matrimoniali di don Tonino, dimentica che Giuseppe era il “castissimo sposo”. Distinguiamo la Mariologia della Tradizione dalla mariologia progressista.

 
Tonino Bello era solito ripetere ai giovani:
«Anche Maria ha sperimentato la gioia degli incontri, l’attesa delle feste, gli slanci dell’amicizia, l’ebbrezza della danza, le innocenti lusinghe per un complimento, la felicità per un abito nuovo. Una sera, un ragazzo di nome Giuseppe prese il coraggio a due mani e le dichiarò: “Maria, ti amo”. E lei rispose veloce come un brivido: “Anch’io”… Santa Maria, donna innamorata.., facci capire che l’amore è sempre santo, perché le sue vampe partono dall’unico incendio di Dio. Maria, comunque, doveva essere bellissima. Non parlo solo della sua anima. Parlo, anche, del suo corpo di donna. Vogliamo immaginarla adolescente, mentre d’estate risale dalla spiaggia, in bermuda, bruna di sole e di bellezza»

L’errore di fondo è quello della svolta antropologica in Mariologia. Proporre la Madonna in questi termini, ai giovani, significa ignorare che sono già sazi e nauseati di estetica, di corpi, di “bermuda”, di spiagge, di abbronzature… Hanno sete di Dio, non di queste cose, che gli escono ormai dagli occhi e dagli orecchi. Proporre la Madonna in questi termini sembra l’istigazione ad un’ immaginazione pervertita, che tutto comprende “sub specie libidinis”, anche ciò che di più puro e più santo vi è in assoluto.

 
diTea Lancellotti

 

Lo so che negli articoli non si fa, ma proprio non ne posso fare a meno. Devo citare pari pari un altro articoletto, e poi capirete perchè (ferisce!). E’ una critica di padre Apollonio alla mariologia di mons. Tonino Bello, tratta da “Immaculata Mediatrix” del 2009, ma una versione simile dovrebbe essere uscita anche su “Il Settimanale di padre Pio” quest’anno, a margine del incertissimo processo di beatificazione del fu vescovo di Molfetta. Il mentore di Vendola, fra l’altro, vi descrive la Santa Vergine in “bermuda”… vedere per credere… Ve lo riporto sotto: è breve, tranquilli.

 “MA POSSIBILE CHE UN VESCOVO POSSA ESSERE SANTO E AL CONTEMPO NON ORTODOSSO?”

Scrive dunque il padre Alessandro Maria Apollonio, dei Francescani dell’Immacolata, in un articolo intitolato: Tonino Bello, la mariologia feriale, e l’ermeneutica della discontinuità:
Nel recentissimo numero di Civiltà Cattolica, 3 ott. 2009, pp. 91-92 si recensiscono ben 4 volumi che presentano la figura di mons. Tonino Bello (1935-1993), Vescovo di Molfetta: due di questi libri parlano di lui, e negli altri due è lui che parla, essendone l’autore. Nella benevola seppur rapida recensione, s’accenna alla sua Mariologia e al fatto che nel 2007 è stato avviato il suo processo di beatificazione. Ora, senza voler entrare in merito alla sua personale santità, vorrei mettere in luce il carattere fuorviante, certamente non esemplare, della sua Mariologia.
La cosa appare contraddittoria: è mai possibile che un Vescovo possa essere ad un tempo santo e non perfettamente ortodosso? Rispondo: ciò sarebbe eccezionalmente possibile solo laddove l’eterodossia s’annidi in una coscienza oscurata da ignoranza soggettivamente invincibile. E questo non è contraddittorio, benché sembri impossibile.
A ben guardare, però, non è nemmeno assolutamente impossibile: nulla è impossibile a Dio, nel bene e, nel male morale, nulla è impossibile all’insipienza umana. E di questa insipienza, nel periodo post conciliare ce n’è stata talmente tanta, da rimanere facilmente coinvolti in una sorta di tragico errore comune, definito da Benedetto XVI “ermeneutica della discontinuità”.
Di questa ermeneutica sbagliata sarebbe rimasto vittima inconsapevole, lo supponiamo, mons. Bello, la cui Mariologia potrebbe tutta riassumersi in questo principio di rottura: prima del concilio la Madonna era vista vicina a Cristo, nella luce della santità divina, ora invece la guardiamo alla luce di questo mondo segnato dal peccato.

Diamo un’occhiata solo ad alcune sue idee mariologiche. Da “Maria donna dei nostri giorni” (supplemento di Jesus, ed. San Paolo, maggio 1993), leggiamo le seguenti affermazioni, che mons. Bello era solito ripetere ai giovani, con il suo pathos travolgente:
«Anche Maria ha sperimentato quella stagione splendida dell’esistenza, fatta di stupori e di lacrime, di trasalimenti e di dubbi, di tenerezza e di trepidazione, in cui, come in una coppa di cristallo, sembrano distillarsi tutti i profumi dell’universo. Ha sperimentato pure lei la gioia degli incontri, l’attesa delle feste, gli slanci dell’amicizia, l’ebbrezza della danza, le innocenti lusinghe per un complimento, la felicità per un abito nuovo» (p. 21).
«Una sera, un ragazzo di nome Giuseppe prese il coraggio a due mani e le dichiarò: “Maria, ti amo”. E lei rispose veloce come un brivido: “Anch’io”… Le compagne… non riuscivano a spiegarsi come facesse a comporre i suoi rapimenti in Dio e la sua passione per una creatura… Poi la sera rimanevano stupite quando, raccontandosi a vicenda le loro pene d’amore sotto il plenilunio, la sentivano parlare del suo fidanzato con le cadenze del Cantico dei Cantici…» (p. 22).
«Santa Maria, donna innamorata.., facci capire che l’amore è sempre santo, perché le sue vampe partono dall’unico incendio di Dio» (p. 23).

COMMENTO
L’errore di fondo è quello della svolta antropologica in Mariologia, che per mons. Bello significa pensare all’adolescenza di Maria secondo il cliché dell’innamoramento giovanile, così come avviene di fatto nella maggior parte dei ragazzi, senza la minima considerazione del deleterio apporto derivante dalla concupiscenza, che tutto intorbidisce in noi, ma che era del tutto assente in Lei.
Quali dubbi di fede poteva mai avere «Colei che non dubitò, ma credette» (SANT’AMBROGIO, Comm. a Lc, 1; cf. SAN Pio X, Ad diem illum)?
Quali trasalimenti, quale ebbrezza della danza, quali lusinghe, quali passioni poteva avere la Tuttasanta (Padri), “l’umile serva del Signore” (cf. Lc 1), che «non conosceva uomo» (cf. Lc 1), perché non voleva conoscerlo, per il suo voto di perpetua verginità ispiratole da Dio sin dalla giovinezza (Duns Scoto, San Tommaso, Giovanni Paolo II)?
Quale esperienza poteva avere l’Immacolata di tutte queste cose macchiate dalla concupiscenza, in noi, e che non potevano trovarsi in Lei, immune da ogni disordine derivante dal peccato originale? Sembra che mons. Bello non distingua abbastanza – contro tutta la tradizione patristica e contro il costante magistero della Chiesa – l’amore verginale e santo dell’Immacolata verso san Giuseppe, dall’amore concupiscente delle creature macchiate dalle conseguenze del peccato originale. Dire, poi, soprattutto in questo contesto d’innamoramenti giovanili, che «l’amore è sempre santo», suona proprio un’eresia, perché anche l’impurità è un amore, «l’amor di sé fino al disprezzo di Dio» (sant’Agostino).

Proporre ai giovani una spiritualità del genere, significa divinizzare i loro turbamenti giovanili e spianare la strada per lo sfrenamento della loro lussuria, che è anche un genere di amore. L’Autore usa costantemente un linguaggio ambiguo. Parla di esperienze affettive e sentimentali, che normalmente nei giovani sono – a dir poco – il preludio della passione, impura, attribuendole alla Madonna che è la purissima sempre vergine. E la mistica della sensualità giovanile, di cui la Madonna viene ad essere, più che il modello, la “modella”. Roba da telenovela, una profanazione!

Continua ancora su questa falsa riga il Vescovo di Molfetta:
«Maria, comunque, doveva essere bellissima. Non parlo solo della sua anima… Parlo, anche, del suo corpo di donna» (p. 108). «Vogliamo immaginarla adolescente, mentre nei meriggi d’estate risale dalla spiaggia, in bermuda, bruna di sole e di bellezza» (p. 116).
Proporre la Madonna in questi termini, sopratutto ai giovani, significa ignorare che sono già sazi e nauseati di estetica, di corpi, di “bermuda”, di spiagge, di abbronzature… Hanno sete di Dio, non di queste cose, che gli escono ormai dagli occhi e dagli orecchi. Il mondo li bombarda continuamente con questa “spazzatura” (san Paolo).
Non occorre che ci si metta pure un Vescovo.
Proporre la Madonna in questi termini sembra l’istigazione ad un’ immaginazione pervertita, che tutto comprende sub specie libidinis, anche ciò che di più puro e più santo vi è in assoluto. Chi mai si consacrerebbe a Dio, nella totale verginità di corpo e spirito, se anche Maria, il paradigma della santità, si trascinasse verso le vanità di questo mondo?

Bisognerebbe dire ancora molte cose, ma non è questo il luogo né il momento adatto. Bastino queste “chicche” per comprendere la gravità della situazione. Se la dottrina di un Vescovo dovrebbe esser per sé ineccepibile, essendo “maestro della fede”, la dottrina di un Vescovo canonizzato dovrebbe esserlo doppiamente, visto che la Chiesa lo addita universalmente come modello esemplare da seguire. Proprio quest’ortodossia esemplare manca, a nostro avviso, al Nostro. Da qui la domanda: ammesso che don Tonino (così si faceva chiamare anche da Vescovo) sia davvero già nella gloria dei Santi in Paradiso, a che giova inserirlo anche nella gloria del Bernini sulla terra?
Testo tratto da: Immaculata Mediatrix, IX (3 – 2009), pp. 296-298.

Così in questo tagliente articolo, tanto tagliente quanto saturo di realismo cristiano, conclude il padre Apollonio. Si resta basiti: non da quel che dice il padre, ma da quello che ha osato dire quel vescovo pugliese.

 
A TONINO NON PIACE LA MADONNA “RETORICA E MAGNILOQUENTE”

A questa ampia e chiarissima introduzione, vorrei aggiungere altri passi che dal libro indicato, Maria donna dei nostri giorni, non possono che allertare il nostro “sensum fidei” nei confronti dell’identità di Maria Santissima e non certo per farne una dea o una divinità… ma santo cielo!… il dogma dell’Immacolata e il fatto che Maria fosse Immacolata fin dal concepimento, significherà pur qualcosa o no?
Dice san Paolo agli Efesini (1,4), che Dio ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità; ma mentre noi tali dobbiamo diventarlo, Maria, ne è stata preservata; non è certo una icona immobile, ma piuttosto è proprio l’identità viva, il progetto riuscito di Dio, di questo essere “immacolati e santi”.

Mons. Bello, in quel libro (pag.14) spiega la “sua” Maria, che sarebbe una donna “senza retorica”, e sottolinea che Ella, la Madonna, “senza retorica, prega per noi inguaribilmente malati di magniloquenza“. Hai capito! Lascia sconcertati, non soltanto perchè il primo afflitto da “magniloquenza” è, paradossalmente, proprio lui, con quel suo fraseggiare ridondante, ma soprattutto perchè usa il termine “magniloquenza” come a dire che usata per descrivere la grandezza della Vergine è una forma di “malattia e di retorica”. Che sarebbe pure come dire cestiniamo il Trattato della vera Devozione a Maria di san Luigi M. Grignon de Montfort, o il suo Segreto di Maria, o magari cestinianoGlorie di Maria di sant’Alfonso M. de Liguori.
E spiega ancora mons. Bello: “Lo so bene: non è una invocazione da mettere nelle Litanie Lauretane. Ma se dovessimo riformulare le nostre preghiere a Maria, in termini laici, il primo appellativo da darle dovrebbe essere questo: donna senza retorica“. Stando a mons. Bello, dunque, le Litanie sarebbe meglio riformularle più laicamente.
Andrebbe fatto notare che, generalmente, lo sviluppo di una dottrina o della stessa fede della Chiesa va avanti e non indietro. Si arricchisce semmai di nuovi elementi, ma non va a sostituire quelli dottrinalmente già ufficialmente acquisiti con altri di nuovo conio. Nella Tradizione orante e viva della Chiesa si aggiunge, non si toglie: così come, per esempio, il beato Giovanni Paolo II alle Litanie Lauretane aggiunse il Regina della Famiglia, senza mai mettere in dubbio i Titoli onorifici già assunti dalla Vergine stessa in secoli di pietà cristiana.

 
MARIA CHE LITIGA CON SAN GIUSEPPE, “CHE ERA TACITURNO”. “COPPIA” IN CRISI?

Cosa intenderebbe, per altro, mons. Bello col quel riferimento che fa, nel libro, a “termini laici”?
La risposta, che troviamo nelle analisi agli stessi titoli da lui creati nel libro, è in quel suo associare l’immagine della Vergine Maria ad una donna del nostro tempo, immischiata nelle vicende del mondo in termini laici, e con un fare naturalmente laico… in Maria (come spiega a pag.11), “donna feriale”, e dove aggiunge: “Come tutte le mogli avrà avuto anche lei momenti di crisi nel rapporto con suo marito, del quale, taciturno com’era, non sempre avrà capito i silenzi…“
Diciamo subito che san Giuseppe ne esce maluccio! Ma quanto all’incomprensione, la risposta la troviamo in Luca, quando entrambi si accorsero che Gesù non era con loro, si spaventarono. Ritrovatolo, nel vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi “non compresero” le sue parole.
Partì dunque con loro e tornò a Nazareth e stando loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

Perché allora inventare una immagine falsata di Maria e Giuseppe quando una risposta ce l’abbiamo nel Vangelo? Dove, dunque, i Vangeli lasciano intravvedere “momenti di crisi con Giuseppe”? Leggeremo poi al termine di queste riflessioni cosa ne pensa san Bernardo di Chiaravalle.
Ora, pur volendo lasciare a mons. Bello la poetica visione di una Famiglia di Nazareth comune, assimilata a tutte le famiglie di questo mondo, come di fatto lo era, perché insinuare il dubbio sul rapporto fra Maria e Giuseppe e affiancarlo alle gravi crisi fra i coniugi di oggi, dal momento che, Maria e Giuseppe, nulla hanno a che vedere con le motivazioni per le quali entrano in crisi i coniugi post-moderni? Le principali ragioni di crisi del matrimonio, della famiglia, dei coniugi, infatti provengono dai tradimenti, dalle infedeltà, dall’incapacità di mantenere fede ad una promessa data, dal non conoscere che cosa è amare e cosa è l’amore, dall’inseguire le mode del tempo, dall’allontanarsi da Dio, dal non pregare più in famiglia.

QUELLA SUA MARIA “CASALINGA” CONTRAPPOSTA A QUELLA “TEOLOGICA”

Un pò difficile pensare la Famiglia di Nazareth in “momenti di crisi” simili; mentre diverso è portare la Santa Famiglia nel nostro doloroso tempo quale modello, e i due Santi Genitori ci richiamano invece alla realtà ed alla verità coniugale, condividendone senza dubbio le battaglie e le lotte, ma mai assecondando la confusione di questi tempi e mai giustificandone gli errori e i peccati.
Su questa Maria “donna feriale”, il Bello conclude con questa preghiera a pag.13:
“…aiutaci a comprendere che il capitolo più fecondo della teologia non è quello che ti pone all’interno della Bibbia e della patristica, della spiritualità o della liturgia, dei dogmi….Ma è quello che ti colloca all’interno della Casa di Nazareth dove, tra pentole e telai, tra lacrime e preghiere, tra gomitoli di lana e rotoli della Scrittura, hai sperimentato, in tutto lo spessore della tua antieroica femminilità, gioie senza malizia, amarezze senza disperazioni, partenze senza ritorni“.

A parte la bellezza poetica che nessuno discute (e che, ammettiamolo, in modo inquietante ricalca l’arte retorica di Nichi Vendola), ci viene spontanea una domanda: ma perché contrapporre quel capitolo teologico che La preleva dall’interno della Bibbia, dalla patristica, La segue nella spiritualità e nella liturgia, La insegna nei dogmi, con fare negativo, quasi fosse estraneo a quel Suo essere invece all’interno della Casa di Nazareth con tutte le preoccupazioni del suo tempo?
I due capitoli non sono forse un unico capitolo della vita e dell’identità stessa di Maria Santissima? E non si corre il rischio di togliere qualcosa alla sua identità invocando una Madonna esclusivamente nel capitolo proposto da mons. Bello?


IL MAGNIFICAT “È IL CANTO DELLA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE”

Ma la ciliegina sulla torta la troviamo in “Maria, donna missionaria” alle pagg. 35-38, dove nella conclusione leggiamo:
“Tu che nella casa di Elisabetta pronunciasti il più bel canto della teologia della liberazione, ispiraci l’audacia dei profeti.”
Il Magnificat è dunque un canto della “teologia della liberazione”. Si, senza dubbio è una teologia della liberazione, ma in quali termini? E perché usare un termine del quale ben sappiamo la condanna che l’allora cardinale Ratzinger, Prefetto dell’Ortodossia, per volontà del pontefice sottoscrisse con un documento ufficiale?
La preghiera invocazione di mons. Bello, in queste tre pagine, è un continuo rimprovero alla Chiesa che, secondo Bello, non sarebbe affatto sulla stessa scia missionaria della Vergine Maria, ecco alcune espressioni:
- la Chiesa si attarda all’interno delle sue tende dove non giunge il grido dei poveri;
- la Chiesa si adagia sulle posizioni raggiunte, scuotila (…) nomade come te, mettile nel cuore una grande passione per l’uomo…
Preghiere del genere sono sempre auspicabili, intendiamoci, ma perché presentare sempre la Chiesa come una sorta di peccatrice, meretrice, adultera e mai come quella che professiamo nel Credo: santa? La prima passione che dovremmo avere non dovrebbe essere “ama Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente; ama il prossimo tuo come te stesso”?

Si ha come la sensazione che mons. Bello abbia dimenticato TUTTA la storia della Chiesa bimillenaria e si sia concentrato esclusivamente su una faccia della medaglia, quella degli uomini che rendono senza dubbio opaca la santità di questa Sposa. Ancora una volta si associa la Chiesa in quanto tale (ossia santa e fedele nella sua dottrina, nei dogmi, nella liturgia, nei sacramenti, nella stessa mariologia, insomma complessivamente nella sua Tradizione) a chi, abitando nella Chiesa, piuttosto tradisce, invece che rispettarli, tali elementi di santità. Ancora una volta, si confendono le due nature della Chiesa: quella umana e quella soprannaturale; la sua Persona col suo personale.

 
UNA MARIOLOGIA LAICA

Nel riflettere su questa situazione veramente spiacevole e che non può non metterci a disagio perché resta assai palese e forte l’affetto filiale che Bello nutriva per la Vergine Maria, mi viene in mente che fra i primi beatificati del suo pontificato, Benedetto XVI ne ha proclamato uno, padre Charles de Foucauld. Il quale insegnava questa regola di vita: “Per formare dei discepoli non basta il fascino, non è sufficiente un carisma, ci vuole una dottrina”.
Ci appare questo monito, molto eloquente per spiegare l’ambiguità delle riflessioni, seppur poetiche, di mons. Bello sulla Vergine Maria!
In tali riflessioni manca sovente un insegnamento dottrinale univoco, anzi, delle volte notiamo un superamento dottrinale, un indirizzo assai pericoloso ed ambiguo nello spingere il fedele a vivere una mariologia “laica”, come se la mariologia ecclesiale della Tradizione fosse d’impedimento all’autentica comprensione di Maria e del ruolo della Famiglia di Nazareth.

E’ senza dubbio vero che senza estrapolare i vari passi da tutto il contesto del pensiero mariano di mons. Bello non vi troveremo affatto una eresia conclamata, ma qui sta forse l’inganno più grande: apparentemente non vi è eresia, però ciò che si avanza è, alla fine, una nuova dottrina in rottura con la mariologia della Tradizione. Ed è difficile restare a guardare e tacere di fronte alle mille domande che certe frasi impongono sia alla fede genuina della Chiesa sia alla ragione dell’intelletto di chi legge e vorrebbe meditare ponendosi non queste, ma altre domande su se stessi, sulla personale inclinazione, già facile di questi tempi, ad abbandonare la sana dottrina per rincorrere nuove immagini, nuove dottrine, “nuovi pruriti” come li definisce san Paolo.

 
E L’EUCARESTIA DIVENTÒ SOLO… “PANE”

Così come nelle bellissime, stilisticamente, pagine dedicate a Maria, donna del pane, pagg. 47-50 nelle quali, impeccabilmente, mons. Bello descrive il corretto e bellissimo accostamento fra “il pane quotidiano” che imploriamo nel Padre Nostro e il pane eucaristico. Tuttavia, in queste pagine la parola Eucaristia non viene mai usata e l’accostamento resta invischiato esclusivamente nel “pane della tavola”, un frammisto che rischia di confondere i fedeli, ancora una volta, su questa tendenza post-conciliare che ha ridotto l’altare dell’eucaristia esclusivamente ad una mensa comune. Se è vero, infatti, come spiega Benedetto XVI nella Sacramentum Caritatis e nel suo Lo Spirito della liturgia, che l’altare si trasforma in mensa eucaristica DOPO il Sacrificio, la tendenza errata, spiega il papa, è quella di trasformare l’altare in una mensa prima ancora del Sacrificio e di ridurre l’eucaristia esclusivamente all’accostamento del pane quotidiano. In questo mondo si è persa la dimensione del Sacrificio, del senso del sacro, e si è elevato il pane quotidiano al di sopra di ogni sacramento, una priorità che non conduce ad alcuna conversione e fa guardare all’eucaristia come ad un simbolo il cui senso si riduce esclusivamente all’attivismo per ottenere pane quotidiano dimenticando la dimensione sacramentale del Pane Eucaristico.

In questi tempi di crisi economica, dove ci sono persone ridotte, non solo retoricamente, alla fame, si tende spesso a nascondere che la Chiesa è ovunque nel mondo a compiere e a vivere la missionarietà del “pane quotidiano”. Perché, allora, continuare a dipingere una Chiesa quasi assente dalle opere di Carità? Ciò che in concreto è preoccupante per il cattolicesimo è che si sta verificando una gravissima crisi liturgica che sminuisce il Pane Eucaristico, laddove, per essere più “buoni” agli occhi del mondo, si finisce per ridurre l’eucaristia esclusivamente all’attivismo sociale, penalizzandola nella sua dimensione sacra e di adorazione.
Questa devastante disassociazione tra la fede e le opere, c’è da dire, proviene direttamente da una mariologia progressista.

 
E IL CARD.RATZINGER CON DISCREZIONE CORRESSE LA MARIA “CASALINGA” DI BELLO

E’ significativo che al libro di mons. Bello del 1993 segua, nel 1997, quello dell’allora cardinale Ratzinger Maria Chiesa nascente che, leggendo con molta attenzione, appare come una vera e propria correzione all’audace mariologia progressista di mons. Bello. Non a caso Ratzinger inizia e finisce il libro con citazioni bibliche, diversamente da come lo comincia e lo finisce Bello, senza alcuna citazione diretta, ma usando la Bibbia solo come spunto innovativo, quasi di rilettura e re-interpretazione della stessa.

Tanto per fare qualche esempio, a pag. 18, come a rispondere a mons. Bello, scrive Ratzinger:
“Il pensare tipologico dei Padri verrebbe fondamentalmente frainteso, se dovesse ridurre Maria ad una semplice e quindi sostituibile esemplificazione di fatti teologici. Il senso del typos (carattere) resta invece garantito se la Chiesa, tramite la figura singolare e non permutabile di Maria, diviene riconoscibile nella sua fisionomia personale. In teologia non si deve ricondurre la persona alla cosa, ma questa a quella. Una ecclesiologia puramente strutturale fa necessariamente degenerare la Chiesa a programma di azione. (..) A questo punto riconosco la verità nell’affermazione ‘Maria vincitrice di ogni eresia’: dove esiste questo radicamento affettivo ivi vige l’unione ex toto corde, dal profondo del cuore… e diventa impossibile la fusione della cristologia in un programma-Gesù … rivolto all’essere ateistico e del tutto rivolto alle cose materiali…”

A pag. 63, Ratzinger chiarisce la sintesi dell’autentica interpretazione del Magnificat, anche qui come se volesse rispondere all’audacia di mons. Bello, dice:
“Maria ha vissuto così profondamente nella parola dell’Antica Alleanza, che questa è divenuta in modo del tutto spontaneo la sua propria parola. La Bibbia era così pregata e vissuta da Lei, era così ruminata nel Suo cuore, che Ella vedeva nella Parola Divina la sua stessa vita (…) e la Sua parola si era unita a quella di Dio”. E, citando sant’Ambrogio, prosegue Ratzinger: “Magnificare il Signore significa voler far grandi non se stessi, il proprio nome, il proprio io, allargarsi ed esigere spazio, ma dare spazio a Lui, fare grande Lui e il Suo Nome perchè Egli sia sempre e più maggiormente conosciuto nel mondo (…) il Magnificat è un canto che ci dice che è necessario rendersi liberi per Lui, questo è il vero e proprio esodo che i Padri della Chiesa e Massimo il Confessore ci spiegano lungamente”.

E così anche a riguardo dell’incomprensione descritta da mons. Bello e che abbiamo sopra riportato, anche qui Ratzinger sembra rispondere per correggerlo, a pag. 60:
“Ma essi non compresero le sue parole. Anche per il credente le parole di Dio non sono comprensibili sin dal primo momento. Chi esige dal messaggio cristiano l’immediata comprensione banale e mediocre, sbarra la via a Dio! Dove non c’è l’umiltà del mistero accolto, la pazienza che accetta in sè ciò che non si comprende, spiega Ratzinger, là il seme della parola è caduto sulla pietra, non ha trovato la buona terra! Ma se invece lo conserva nel modo migliore, con tutta umiltà e lascia che lentamente, con i tempi di Dio, si apra alla comprensione attraverso la sofferenza di una attesa, senza pretendere delle spiegazioni banali e mediocri, là il seme cade nella terra buona e Maria, infatti, custodisce tutte queste parole nel suo cuore. La parola custodire qui significa attraverso, cioè attraverso Dio stesso, Maria stessa, e di conseguenza questa Parola viene così mantenuta fedelmente e renderà frutto a suo tempo”.

Una piccola curiosità: in tutto il libro di Ratzinger, scritto cinque anni dopo quello di mons. Bello, fra le tante citazioni fatte, nessuna, neppure una proviene dalle nozioni astratte di don Tonino Bello e della “sua” Maria. Non ne traiamo alcuna conclusione, ma documentiamo solo un fatto eloquente.

 
LA MARIA DELLE “VAMPE” MATRIMONIALI DI DON TONINO, DIMENTICA CHE GIUSEPPE ERA IL “CASTISSIMO SPOSO”

Riguardo al rapporto fra Maria e Giuseppe, che mons. Tonino Bello fa scendere nella quotidianità del nostro tempo attribuendo alla Vergine “momenti di crisi e di sconforto” di coppia, come avviene per molte famiglie di oggi, san Bernardo di Chiaravalle la pensa diversamente.

Nella sua Seconda Omelia, spiegando la titubanza di Giuseppe nel prendere Maria con sé, prima del sogno rivelatore, ne descrive la grandezza e l’innamoramento casto che manterrà per tutta la vita che vivrà come membro della Sacra Famiglia.
San Bernardino spiega che Giuseppe, comprendendo bene quanto egli fosse peccatore e quanto fosse santa la giovane Maria, si riteneva indegno di essere chiamato alla guida di questa famiglia e con una Donna di tale grandezza, diventandone lo sposo. La vedeva, spiega san Bernardino, portare in sé la Presenza Divina, e lui aveva timore di non essere all’altezza di proteggerli abbastanza; ma san Giuseppe venerava già la Sposa Immacolata e, fidandosi di Dio che lo aveva chiamato per proteggerla e per proteggere la vita del Divino Fanciullo, si affida egli stesso alla Vergine Sposa ponendosi così da subito a servirla e ad onororala senza mai procurarle dispiaceri.
“Giuseppe – conclude san Bernardino-, era l’uomo giusto, perciò procurati di valutare che grande uomo sia stato tanto da ricevere da Dio il compito di essere Sposo di una Vergine di cui Dio ne fece il proprio Tempio, e lo volle padre putativo del Suo Divin Figlio, e considera anche il significato del suo nome arricchimento che il Signore stesso volle mettere al fianco della Piena di Grazia, e se nella Vergine Maria si compì la promessa, in Giuseppe troviamo il primo discepolo della Beata Madre e il terzo discepolo del Signore: la prima Discepola fu, infatti, la stessa Madre, la seconda santa Elisabetta che lo riconobbe Signore e a Lei Madre del suo Signore, il terzo è san Giuseppe, custode e discepolo di entrambi”.

 
DISTINGUIAMO LA MARIOLOGIA DELLA TRADIZIONE DALLA MARIOLOGIA PROGRESSISTA

Per concludere queste riflessioni possiamo chiederci: che differenza c’è fra la Mariologia della Tradizione e la mariologia progressista?
A quando abbiamo detto fin qui, quale prova della differenza, possiamo dire che nella Mariologia della Tradizione, l’incontro fra Dio e l’uomo, attraverso l’esempio di Maria, è una reciproca esperienza, una reciproca “penetrazione”, una trasformazione ontologica (ossia trasformazione, discorso dell’essere); avviene una conversione, un moto continuo che sfocia in Dio, un moto che Dio, pur “muovendo ed azionando” per primo, attende da Maria il “sì” della compiutezza, affinché tale moto si attivi, e da questo “sì” dipenderà il sì o il no di tutti gli uomini con tutto ciò che questo comporta.

Nella mariologia progressista, al contrario, pur partendo dal “sì” di Maria, l’incontro fra l’uomo e Dio diventa sentimento e sentimentale, superficiale e mediocre, non chiede all’uomo il massimo dello sforzo, ma il minimo; non chiede necessariamente una conversione, ma una sorta di stabilimento di un “sì-ma” racchiuso nelle capacità esclusivamente umane senza la necessità di dottrine. Insomma, dialogare, discutere, METTERSI SEMPRE AL CENTRO per difendere le proprie opinioni.

La Mariologia della Tradizione non viene citata dai teologi progressisti quale valida dottrina per affrontare le tematiche odierne e gli scritti dei Santi, dei Padri e dei Dottori della Chiesa, vengono re-interpretati a seconda della situazione del momento, del tempo e delle mode non di rado laicissime. In essa vi è una ostinazione all’archeologismo cristiano denunciato da Pio XII, un modo difettoso di ritornare alle radici cancellando però lo sviluppo dottrinale e teologico di certi periodi della Chiesa, specialmente del Medioevo e dei tempi di san Tommaso d’Aquino e dei suoi scritti, preferendo una re-interpretazione della Bibbia libera da vincoli dottrinali e dogmatici. Una mania con tutti i crismi del protestantesimo, insomma.

Caterina63
00venerdì 11 novembre 2011 17:14

IL BRUTTO DI BELLO

fede e ideologia in don Tonino Bello

 

PARTE 3 e FINE

 

Se ad applaudire un vescovo è un mondo scristianizzato, c’è da preoccuparsi. Il vescovo che invita alla “diserzione” e nega a Cesare quel che Cristo gli aveva riconosciuto: la sua “moneta”. A Cristo non gli frega niente di come Cesare spende la “moneta”: gli interessano le anime. Cristo distingue fra Cesare e “Mammona”. Cristo non è venuto a liberarci da Cesare; chi lo credette allora, lo abbandonò deluso. “Perchè quest’olio profumato non lo si è venduto per 300 denari per darli ai poveri?”, così disse Giuda; perchè era ladro, non buono. Gesù non toglie alcun povero dalla sua condizione. Don Ciotti: “I due miracoli di Bello per la beatificazione ci sono: l’elezione e la rielezione di Vendola”

 

 

 

IN BREVE

Tonino Bello parlava spesso di povertà ma riferendosi unicamente a quella materiale. Per poi avere il sinistro nell’accusare l’Occidente “opulento”. A quale povertà deve guardare il vescovo? Qual è la povertà secondo Cristo e quella secondo il mondo? Poi è lui il primo sponsor della beatificazione sociale dell’immigrato a prescindere, al quale si deve cieca e assoluta “accoglienza”, senza discernimento e distinzione. E’ davvero questa la carità cristiana?

C’è un passo del Vangelo che, a mio parere, ci aiuta a comprendere l’errore in cui è caduto anche Tonino Bello e tutti i progressisti che vogliono dirsi cattolici. “Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: ‘Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?’. Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: ‘Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me’” (Gv 12, 4-8)

Naturalmente, non bisogna attribuire a mons. Bello l’intenzione di Giuda. È, però, importante comprendere da quale povertà Cristo voglia salvare le Anime.

La beatificazione, che è un atto che non implica l’infallibilità della Chiesa come avverrebbe invece per una canonizzazione, sta subendo di recente una pericolosa pressione, quella del processare la vita del soggetto non più in base all’ortodossia delle fede, ma solo in virtù delle opere. In tal senso chiunque, anche non cattolico, verrebbe beatificato arrivando però a confondere i fedeli sui modelli da seguire e sull’essenza della Chiesa stessa, nonché della fedeltà al Credo.

C’è una nuova moda del dopo-concilio ed è l’attivismo attraverso il quale si sta pretendendo di dare le fondamenta a quella “chiesa parallela” che procede, appunto, un pò per conto suo, con una mirata fede del fai-da-te, scardinata spesso dal Magistero bimillenario della Chiesa. Si stanno cercando anime da beatificare per dimostrare la valenza di questa duplice “missione” separando, di fatto, la Chiesa dottrinale e dogmatica dalla Chiesa dell’attivismo missionario, senza più dottrine come cartelli stradali, ma semplicemente il proprio attivo-buonismo.

 

 

 

 

di Tea Lancellotti

 

 

SE AD APPLAUDIRE UN VESCOVO È UN MONDO SCRISTIANIZZATO, C’È DA PREOCCUPARSI

Falsificato e strumentalizzato come san Francesco: in questo manifesto i fan di Bello, pacifisti, comunisti, omosessualisti, abortisti, vendoliani, cercano di assimilarlo all'altro "compagno", il povero san Francesco.

Qualcuno parla di Bello come il vescovo “modello del post-concilio”. Ad altri sembra colui che ha assecondato tutte le mode intellettuali e ideologiche del momento, le ha anticipate persino. Un vescovo che riscuote l’applauso del mondo, non dovrebbe far preoccupare? Il papa stesso ha detto che il destino della Chiesa sarà fino alla fine la persecuzione. E Cristo: “Beati voi quando a causa mia, diranno di voi, mentendo, ogni sorta di male”. Se il vescovo “modello” è colui che si fa applaudire, non potrebbe essere un gioco di specchi? Non è perché si è reso inoffensivo per il mondo?

Proviamo a rifletterci un po’. L’immagine scaturita da mons. Bello è stata abbondantemente colorita dai media come colorito era il vessillo che issava, la bandiera della pace.

Non sta a noi fare qui o altrove un processo di beatificazione o di condanna, ma senza dubbio è nostro dovere togliere quelle patine, nel nostro caso non di polvere ma dorate, che spesso si formano sui quadri da museo.

Non ci deve preoccupare affatto che un vescovo possa riscuotere l’applauso dei suoi discepoli o fedeli: questo è naturale ed auspicabile quanto più il vescovo è santo e con una dottrina impeccabile come san Carlo Borromeo, san Roberto Bellarmino, sant’Alfonso de Liguori, ecc… ma senza dubbio deve far preoccupare quando è il mondo sociale scristianizzato a beatificarlo!

Nell’Anno Sacerdotale Benedetto XVI ha proposto come modello di sacerdote il santo Curato d’Ars, san Giovanni Maria Vianney, e non l’ha fatto solo per rimediare, diplomaticamente, a quella “rottura” post-conciliare con il passato della Chiesa nella sua sconfinata Tradizione autentica, ma l’ha fatto proprio rievocando il significato dell’essere sacerdote, le dure persecuzioni che un vero sacerdote subisce non per le sue idee di mondo o di Chiesa, ma per trasmettere quelle dottrine custodite dalla Chiesa. Lo ha ripetuto riproponendolo, poi, durante ogni catechesi di quell’Anno straordinario, ad ogni incontro con i seminaristi, ad ogni incontro con i vescovi.

Non si può certo attribuire a Tonino Bello tutti i malanni della Chiesa postconciliare, né farne da parte nostra l’icona dell’eresia o della “nuova Chiesa”. Restando, però, esclusivamente ai dati fino a qui raccolti abbiamo abbastanza materiale per dubitare sul concetto di “modello di vescovo” che se ne vuol fare. Per esempio: senza dubbio egli ha suscitato persecuzione contro la sua persona, ma per quale motivo? In una sua breve raccolta biografica si legge:

L’inevitabile scontro con gli uomini politici si fa durissimo quando diventa presidente di Pax Christi: la battaglia contro l’installazione degli F16 a Crotone, degli Jupiter a Gioia del Colle, le campagne per il disarmo, per l’obbiezione fiscale alle spese militari, segneranno momenti difficili della vita pubblica italiana. Dopo gli interventi sulla guerra del Golfo venne addirittura accusato di incitare alla diserzione. Eppure c’è stata sempre una limpida coerenza nelle sue scelte di uomo, di cristiano, di sacerdote, di vescovo. E’ stato così coerente da creare imbarazzo perfino in certi ambienti, compresi quelli curiali: sapeva di essere diventato un vescovo scomodo. Ma la fedeltà al Vangelo è stata più forte delle lusinghe dei benpensanti e delle pressioni di chi avrebbe voluto normalizzarlo“.

 

IL VESCOVO CHE INVITA ALLA DISERZIONE E NEGA A CESARE QUEL CHE CRISTO GLI AVEVA RICONOSCIUTO: LA SUA “MONETA”

In una trasmissione dell'immondo Michele Santoro, "Samarcanda", Bello si riscalda contro "Cesare"

Accidenti! Vuoi vedere che il vero nemico di don Tonino Bello era la Chiesa di Roma? Non sarebbe una novità. Il “capro espiatorio”, come dai tempi di Cristo, l’unico vero Agnello immolato, continuerà a ripetersi in questo Corpo che è la Chiesa, Sua Sposa. Anche la Chiesa, come Cristo, viene infatti spesso usata quale capro espiatorio per difendere i propri interessi, per difendere le personali interpretazioni del Vangelo. Quale grandissima offesa egli subì da Roma che lo voleva “normalizzare” come vescovo? Essere “normale” come gli altri vescovi, come San Carlo Borromeo, come San Roberto Bellarmino… a quale abominio corrisponde? O era forse lui – o più probabilmente i suoi estimatori – a ritenere quei vescovi “anormali” perché perfettamente fedeli al Magistero? Cosa significa per questi interpreti del ministero sacerdotale dei nostri tempi essere “normali”, essere cristiani, essere cattolici?

Don Tonino Bello, come si legge in questo quadro chiarissimo, fu dunque perseguitato non in nome di Cristo o perché difendesse i sacramenti o la Chiesa stessa, ma per:

a. la battaglia contro l’installazione degli F16 a Crotone,

b. degli Jupiter a Gioia del Colle,

c. le campagne per il disarmo,

d. per l’obiezione fiscale alle spese militari,

e. venne addirittura accusato di incitare alla diserzione

Ci chiediamo: è questo il compito di un vescovo, che qualcuno vorrebbe “modello” addirittura? No! Lo spiegò in molte occasioni Giovanni Paolo II quando richiamava i vescovi, specialmente influenzati dalla TdL, e lo ripete oggi Benedetto XVI.

Esiste una moneta da dare a Cesare: gli appartiene, è sua e gli è stata data da Dio. Sì, non scandalizziamoci. L’autorità di Cesare è data da Dio e, senza dubbio, tuttavia, compito del cristiano è vegliare sul fatto che Cesare non sperperi questa moneta contro i popoli, non la usi per uccidere. Attenzione, però: il dovere della difesa è sancito dalla Bibbia. Di conseguenza Cesare ha il dovere – e il diritto – di usare questa moneta per costruirsi un esercito. Un esercito che non vada per il mondo a soffocare con prepotenza altri popoli, ma per difendere la propria popolazione da attacchi nemici. Il cristiano deve porgere l’altra guancia se attaccato, ma ha anche il dovere e il diritto, realisticamente, se può, di difendere la propria famiglia da chi la volesse massacrare.

 

A CRISTO NON GLI FREGA NIENTE DI COME CESARE SPENDE LA “MONETA”: GLI INTERESSANO LE ANIME

La costruzione dell'icona di cartapesta da parte di una "chiesa parallela"

Purtroppo il progressismo cattolico è diventato cieco e non ha alcuna intenzione di mollare la sua nuova interpretazione pacifista della Bibbia. Riprendiamo un attimo le parole di Gesù perché sono importantissime, atte a smascherare ogni falso modello nel suo discepolato.

I farisei, ansiosi di tendere un tranello a Gesù, gli mandarono i loro seguaci, assieme agli erodiani, parteggianti per la politica di Roma, per porgli questa domanda: “E’ lecito pagare il tributo a Cesare?” (Matteo 22,17)

Il tributo di allora aveva carattere di assoggettamento: era una contribuzione imposta da un conquistatore ad un vinto (Roma aveva conquistato la Palestina con la forza delle armi). Gesù iniziò con lo smascherare il gioco degli inviati dicendo: “Ipocriti, perché mi tentate con questo tranello?” Dopodiché, dopo essersi fatta mostrare la moneta del tributo e avendo fatto notare l’effige che sopra vi era impressa, disse loro “Date a Cesare ciò che appartiene a Cesare e a Dio ciò che appartiene a Dio”.

Dove sta la vera rivoluzione del Cristo? Sta nel fatto che Egli non si preoccupa affatto di come Cesare spenda la sua moneta (essa gli appartiene): a Gesù preme, invece, ammonire chi vuole seguire Dio di “dare a Dio ciò che gli appartiene”. Il Signore non ha una moneta da difendere, ma ha anime da salvare. La preoccupazione del Cristo, pertanto, non è in difesa del pacifismo e contro gli “armamenti”. Vuole piuttosto che Cesare si rammenti che le anime appartengono a Dio ed ovviamente, poi, l’atteggiamento di Cesare diventa una conseguenza in quello stare con Dio o contro Dio.

 

CRISTO DISTINGUE FRA CESARE E “MAMMONA”

tribuno

Un altro esempio? “Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e a Mammona” (Mt 6,24). Spiegano i Padri della Chiesa che Mammona non è un Cesare legittimo. Non c’è nulla che appartenga a Mammona e per questo Gesù le si riferisce quasi ironico. Niente appartiene di diritto a Mammona. Neanche il suo nome: Paolo di Tarso lo chiamava Belial, Leopardi lo chiamava Arimane, ma lo si potrebbe chiamare ancora “vitello d’oro”. Non ha neppure una “moneta con la sua effige”. Mammona è, più semplicemente, un intruso, un impostore, un ladro, un tiranno che si insinua come un’ideologia. Per questo Gesù usa parole differenti nel dire di Cesare e nel dire di Mammona: non sono la stessa cosa! Semmai, dunque, siamo chiamati a combattere “Mammona” e non il Cesare di turno.

Chi ci conferma questa interpretazione? A parte che la citazione sulla spiegazione di chi è “mammona” viene dai Padri della Chiesa, leggiamo ancora un altro passo del Vangelo che riguarda sempre il danaro. È meno citato, ma molto interessante. Gesù ebbe a che fare con una tassa e, questa volta, non si trattava di dare un tributo al vincitore ma di una imposta stabilita dalla stessa nazione giudea per la manutenzione del tempio, perché richiesta dall’occupante romano che traeva contributi anche per il Tempio (cf. Mt 17, 24-36).

Gli esattori di questa tassa vennero da san Pietro e gli domandarono: “Il vostro maestro Gesù non paga la tassa?” Gesù disse a Pietro: “Vai in riva al lago, getta l’amo per pescare, e il primo pesce che abbocca tiralo fuori; aprigli la bocca e ci troverai una grossa moneta d’argento. Con questa moneta paga la tassa per me e per te”.

Pietro, pescatore di mestiere, ben fece tutto questo, obbedendo a quello che gli aveva detto Gesù e alla richiesta di una tassa da pagare. Qui osserviamo due cose:

1) Gesù pagherà la tassa solo per lui e per Pietro, ma non per gli altri eppure gli altri anche se erano presenti….

2) Gesù non fa obiezioni, quasi a riconoscere la liceità di quella tassa: altrimenti chi doveva pagare per il Tempio del Signore?

 

CRISTO NON È VENUTO A LIBERARCI DA CESARE. CHI LO CREDETTE ALLORA, LO ABBANDONÒ DELUSO

tribuno

Qui non c’è solo il Tempio in mezzo, ma un pò tutto ciò che riguarda la società civile e la sua manutenzione e il modo in cui una Nazione si deve proteggere. Questo, però, è un altro discorso.

Ecco cosa ha detto un articolo dell’Osservatore Romano, del gennaio 2010, spiegando questo passo del Vangelo:

Gli interventi del vescovo Ambrogio nelle questioni temporali dell’epoca, così come quelli dei vescovi di oggi, mettono in evidenza il fatto che ‘l’autonomia e l’indipendenza necessarie per l’agire della sfera politica e di quella religiosa non implicano mancanza di comunicazione o isolamento fra le stesse. Così, per esempio, il santo segnala l’esistenza di doveri religiosi propri della sfera di azione dell’autorità politica, che fanno riferimento sia alla libertà religiosa dei cittadini dell’impero sia all’onore dovuto a Dio’. (..) Sant’Ambrogio segnala ‘la necessità e l’obbligatorietà di questi interventi dell’autorità religiosa (i vescovi), quando sono in gioco l’onore o il bene delle anime’… la proposta di sant’Ambrogio sul modo d’intendere i rapporti fra l’autorità politica e quella religiosa, consta di due elementi centrali: la dualità degli ambiti e il riconoscimento della centralità di Dio nella storia degli uomini e delle comunità. Il primo permette ed esprime la maniera adeguata di dare ‘a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio’; il secondo crea le condizioni affinché la comunità politica, agendo come tale, non dimentichi di dare ‘a Dio quello che è di Dio’. Ci sembra che questi due elementi siano fondamentali per una corretta comprensione del testo evangelico“.

Insomma, ciò che vogliamo sottolineare sono le diverse motivazioni che spinsero i discepoli e gli apostoli a seguire il Maestro da coloro che gli andarono dietro, ma poi se ne andarono delusi, perché credevano che Egli fosse venuto per liberarli da Cesare. Al contrario, Gesù insegna e dimostra che Lui non ha nulla contro Cesare, a patto che Cesare non voglia impedire ai figli di Dio di seguire Cristo o che non voglia imporre loro i suoi idoli, con tutto ciò che questo idolo comporta, naturalmente. Tutto il resto, invece, non apparteneva né appartiene ai compiti di Cristo, degli apostoli, della Chiesa.

A buon intenditor…

 

PERCHÈ QUEST’OLIO PROFUMATO NON LO SI È VENDUTO PER 300 DENARI PER DARLI AI POVERI?” COSì DISSE GIUDA. PERCHÈ ERA LADRO, NON BUONO

oleografia: appena eletto vescovo

Tonino Bello parlava spesso di povertà ma riferendosi unicamente a quella materiale. Per poi avere il sinistro nell’accusare l’Occidente “opulento”. A quale povertà deve guardare il vescovo? Qual è la povertà secondo Cristo e quella secondo il mondo? Poi è lui il primo sponsor della beatificazione sociale dell’immigrato a prescindere, al quale si deve cieca e assoluta “accoglienza”, senza discernimento e distinzione. E’ davvero questa la carità cristiana?

In continuità alla risposta della 2° domanda, c’è un passo del Vangelo che, a mio modesto parere, ci aiuta a comprendere l’errore in cui è caduto anche mons. Bello e tutti i progressisti che vogliono dirsi cattolici.

Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse:

Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?’.

Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro.

Gesù allora disse: ‘Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me’” (Gv 12, 4-8)

Naturalmente, non bisogna attribuire a mons. Bello l’intenzione di Giuda. È, però, importante comprendere da quale povertà Cristo voglia salvare le Anime.

Senza dubbio il Signore stesso, per mezzo dello Spirito Santo, ha suscitato e suscita nel tempo persone caritatevoli che hanno permesso, non dimentichiamolo, la nascita e la fioritura di ospedali, collegi, mense, le famose foresterie, nelle quali i monaci accoglievano, accudivano e sfamavano i viandanti. E senza dubbio anche il famoso brano “perché avevo fame, e voi mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato dell’acqua, ero straniero e mi avete ospitato nella vostra casa, ero nudo e mi avete dato dei vestiti, ero malato ed in prigione e siete venuti a trovarmi…”(cf. Mt 25, v 35 e ss), ci dice chiaramente quale sia la nostra missione. Tutto ciò, pertanto, non è messo in discussione. Al contrario, lo rammentiamo: la fede e le opere devono camminare e progredire insieme, mai separatamente: occorre, quindi, convertirsi e operare. Per comprendere, però, l’autentica povertà alla quale Cristo anela, della quale si preoccupa e per la quale è venuto nel mondo a morire sulla Croce, dobbiamo leggere questo breve passo: “Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui, ed egli con me” (Ap 3,20). Alcune domande ci interpellano immediatamente: abbiamo sentito questo bussare? Abbiamo aperto a Cristo? lo abbiamo ospitato in casa nostra?

Mons. Bello nella sua famosa lettera di Natale con “Auguri scomodi” imponeva a chi volesse festeggiare davvero il Natale di portare a casa un immigrato, anche se clandestino, poco importa, e così in molti suoi bellissimi appelli: inviti alla condivisione col “povero”, giustamente, da inseguire e da aiutare. Tutto giusto e tutto bello: come mai, però, non sentiamo prediche altrettanto commoventi sul Povero fra i poveri, sul Mendicante fra i mendicanti, che continua a bussare alle nostre porte e nessuno fra vescovi e prediche domenicali ci sollecita, ci impone di aprire?

 

GESÙ NON TOGLIE ALCUN POVERO DALLA SUA CONDIZIONE

tribuno

Sopportatemi ancora con un altro passo poco citato ma importante:

Un giorno Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera verso le tre del pomeriggio. Qui di solito veniva portato un uomo, storpio fin dalla nascita e lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta «Bella» a chiedere l’elemosina a coloro che entravano nel tempio. Questi, vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, domandò loro l’elemosina. Allora Pietro fissò lo sguardo su di lui insieme a Giovanni e disse: «Guarda verso di noi». Ed egli si volse verso di loro, aspettandosi di ricevere qualche cosa. Ma Pietro gli disse: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!» (At 3, 1-6)

Qualcuno potrebbe obiettare col solito polpettone: “Scusami, qui Pietro dice che non aveva nulla da dargli, nè oro nè argento. Oggi, invece, la Chiesa è ricca….”.

Qui casca l’asino perché in un altro passo degli Atti leggiamo:

Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisognodi ciascuno” (At 43-45)

Pietro aveva forse mentito al mendicante?

Ovvio che no. Sfogliando il Vangelo appare evidente che in tutti i suoi interventi, miracolosi, prodigiosi o meno, Gesù non toglie nessun povero dalla condizione in cui lo trova e questo non perché non gli interessa, ma perché nella fede in Cristo il povero non è più tale e nella comunità trova rifugio e ristoro. Così ha funzionato, per duemila anni, la Chiesa, seppur fra tanti limiti e difetti. In queste condizioni, sono scaturite le vocazioni e i santi, sono emersi dottori e artisti: “I poveri infatti li avrete sempre con voi, ma non sempre avrete me”. Il vescovo deve fare in modo che la comunità a lui affidata si occupi, ovviamente, dei più bisognosi, ma nel concetto e nel contesto della famosa “gratuità” deve esserci anche il corrispettivo, ossia, il povero deve accogliere colui che ancora più mendicante di lui, perchè Lui è re, attende di essere a sua volta accolto. Perché è nel Suo nome e nella comunità dove Lui vive che si può eliminare ogni povertà.

Invece, oggi accade che si impone al cristiano il dovere dell’accoglienza ma senza assolutamente “imporre”il dovere alla conversione. Occorre fare attenzione al termine “imporre” perché, nella sua etimologia e nel discorso evangelico, non significa quel concetto di obbligo senza scelta, ma più semplicemente: porre al di sopra di tutto, “in-sopra-porre“. Vuol dire, dunque, mettere Dio al di sopra di tutto e di tutti. Egli è il primo a mendicare e se non gli apriamo questa porta, rischieremo di sentirci dire “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità” (Mt 7, 21-23).

È saggezza unire la fede alla grande carità. È stoltezza vivere di fede senza le opere. È sapienza vivere ogni parola del Vangelo. È fede diabolica sapere che il Vangelo esiste senza conformare ad esso la nostra vita e senza sollecitare il prossimo verso questa ricchezza.

“In tutte le tue opere ricordati della tua fine e non cadrai mai nel peccato” (Sir. 7,40); e di quanto insegnano i santi: è meglio discendere nell’Inferno durante la vita piuttosto che doverci andare dopo la morte (CCC 1033-1037).

La povertà che Cristo vuole abolire è quella dell’Anima che rischia l’Inferno, e mentre dona alla Chiesa i supporti (la Provvidenza) per sovvenire alle opere materiali, Egli predilige e sollecita quelle spirituali dalle quali sopravvengono ogni ricchezza.

 

DON CIOTTI: “I DUE MIRACOLI DI BELLO PER LA BEATIFICAZIONE CI SONO: L’ELEZIONE E LA RIELEZIONE DI VENDOLA”

Verso la fine. Sant'uomo ma cattivo maestro.

Oggi è aperta la causa di beatificazione di questo vessillo, di questa icona di strumentalizzazioni di tutti i pacifisti, comunisti, cattocomunisti, vendoliani sedicenti “cattolici” e loro sono stati gli sponsor di questa apertura. Don Ciotti disse: “I miracoli per la beatificazione di don Tonino sono due: il primo l’elezione di Vendola, il secondo la rielezione di Vendola”. Il vescovo della diocesi natale di Bello, Ugento, morendo e basandosi su queste parole di Ciotti, lanciò, però, il suo “anatema” contro quel mondanissimo processo di beatificazione. Sarà beato? Proviamo a fare, ricapitolando, da avvocati del diavolo.

Intanto ricordiamo che egli rinunciò ai segni della sua autorità vescovile, coerenza vuole che anche i suoi “discepoli” si attengano scrupolosamente a questa scelta personale e privata di don don Tonino Bello, ed evitare così di fare di lui stesso un segno. E però bisogna ricordare che l’episcopato non è un grado gerarchico, una prebenda ecclesiastica: è un sacramento che prevede l’unzione e che rappresenta il raggiungimento della pienezza del sacerdozio.

Tuttavia il Cattolicesimo vive di segni e di conseguenza il gesto di Bello di cancellare questi segni ma per tenersi il comando, l’autorità, ci impone la riflessione che egli non può essere quel modello di vescovo che la Tradizione stessa, ricca di segni, ci invita invece a seguire. E, poi, quale significato avrebbe essere un modello di vescovo del “dopo-concilio” se non quell’alimentare una rottura con i modelli del “passato”?

Conciliante invece sarebbe che l’immagine di tal vescovo, grande per la sua umanità, restasse nel “nascondimento” come lui stesso voleva e avrebbe voluto mentre, se proprio lo si volesse ricordare, i suoi discepoli potrebbero imitarlo nell’uso del grembiule… ma in quell’uso autentico, alla Madre Teresa di Calcutta per intenderci, alla san Filippo Neri, alla san Giovanni Bosco, alla san Francesco Saverio

Insomma, beatificare un vescovo che è stato presidente di tutto il movimento pacifista in Italia, e non diciamo di Pax Christi attenzione, è una grave responsabilità.

La beatificazione, che è un atto che non implica l’infallibilità della Chiesa come avverrebbe invece per una canonizzazione, sta subendo di recente una pericolosa pressione, quella del processare la vita del soggetto non più in base all’ortodossia delle fede, ma solo in virtù delle opere. In tal senso chiunque, anche non cattolico, verrebbe beatificato arrivando però a confondere i fedeli sui modelli da seguire e sull’essenza della Chiesa stessa, nonché della fedeltà al Credo.

C’è una nuova moda del dopo-concilio ed è l’attivismo attraverso il quale si sta pretendendo di dare le fondamenta a quella “chiesa parallela” che procede, appunto, un pò per conto suo, con una mirata fede del fai-da-te, scardinata spesso dal Magistero bimillenario della Chiesa. Si stanno cercando anime da beatificare per dimostrare la valenza di questa duplice “missione” separando, di fatto, la Chiesa dottrinale e dogmatica dalla Chiesa dell’attivismo missionario, senza più dottrine come cartelli stradali, ma semplicemente il proprio attivo-buonismo. Si legga anche l’esempio di mons. Bruno Forte con il suo nuovo Credo: Credo la Chiesa, una, glocal e cattolica.

Potremmo concludere con le parole dell’arcivescovo di Trieste, mons. Giampaolo Crepaldi, che nel marzo 2010 scrisse questa impressionante lettera ai fedeli:

“A questi attacchi fanno tristemente eco quanti non ascoltano il Papa, anche tra ecclesiastici, professori di teologia nei seminari, sacerdoti e laici. Quanti non accusano apertamente il Pontefice, ma mettono la sordina ai suoi insegnamenti, non leggono i documenti del suo magistero, scrivono e parlano sostenendo esattamente il contrario di quanto egli dice, danno vita ad iniziative pastorali e culturali, per esempio sul terreno delle bioetica oppure del dialogo ecumenico, in aperta divergenza con quanto egli insegna.

Il fenomeno è molto grave in quanto anche molto diffuso.

Benedetto XVI ha dato degli insegnamenti sul Vaticano II che moltissimi cattolici apertamente contrastano, promuovendo forme di contro-formazione e di sistematico magistero parallelo guidati da molti “antipapi”; ha dato degli insegnamenti sui “valori non negoziabili” che moltissimi cattolici minimizzano o reinterpretano e questo avviene anche da parte di teologi e commentatori di fama ospitati sulla stampa cattolica oltre che in quella laica; ha dato degli insegnamenti sul primato della fede apostolica nella lettura sapienziale degli avvenimenti e moltissimi continuano a parlare di primato della situazione, o della prassi o dei dati delle scienze umane; ha dato degli insegnamenti sulla coscienza o sulla dittatura del relativismo ma moltissimi antepongono la democrazia o la Costituzione al Vangelo.

Per molti la Dominus Jesus, la Nota sui cattolici in politica del 2002, il discorso di Regensburg del 2006, la Caritas in veritate è come se non fossero mai state scritte. La situazione è grave, perché questa divaricazione tra i fedeli che ascoltano il papa e quelli che non lo ascoltano si diffonde ovunque, fino ai settimanali diocesani e agli Istituti di scienze religiose e anima due pastorali molto diverse tra loro, che non si comprendono ormai quasi più, come se fossero espressione di due Chiese diverse e procurando incertezza e smarrimento in molti fedeli”.

Piuttosto che pensare a beatificare mons. Bello (le beatificazione costano e siamo in tempo di crisi), perché non ci si adopera piuttosto nel propagare il Magistero Ecclesiale e Pontificio?

Il Papa nel MP sulla Nuova Evangelizzazione chiede di promuovere e favorire, in stretta collaborazione con le conferenze episcopali interessate, che potranno avere un organismo ad hoc, lo studio, la diffusione e l’attuazione del Magistero pontificio relativo alle tematiche connesse con la nuova evangelizzazione.

Sant’Agostino ci rammenta: Roma locuta, causa finita. Roma ha parlato, la questione è chiusa.

Per concludere questa nostra lunghissima analisi su Tonino Bello, durata per quattro puntate nell’arco di più di un mese, affidiamoci alle parole di un suo confratello nell’episcopato che lo conobbe, il vescovo emerito di Senigallia Odo Fusi Pecci: «Ho conosciuto Tonino Bello e non ne conservo buona idea. Persona degna sul piano personale, ma io sono contrario alla sua beatificazione. Dottrinalmente e teologicamente era molto arruffone, confuso, specie in tema mariano; poi svolgeva il compito di pastore e di vescovo con approssimazione e confusione, con populismo e demagogia, sposando modi contrari alla Chiesa, modi che ingeneravano false idee nei fedeli. Quando parlava non si sapeva se parlava il vescovo o la persona e questo danneggiava la Chiesa. Fu un demagogo, amante troppo della pubblicità e della gloria personale».

FINE




[SM=g1740771] Insomma, amici! nessun verdetto sulla persona del Vescovo, ma facciamo discernimento su ciò che erroneamente molti insegnano ed hanno insegnato….
non ricordo chi lo disse ma è una buona regola: se il Vescovo dice una cosa, e il Papa ne dice un’altra, è il Vescovo che si dissocia dal Papa e con il Papa è la Verità, perciò io sto con il Papa ! a meno che non ci troviamo di fronte ad un anti-papa o ad un papa eretico….

;-)



Caterina63
00venerdì 11 gennaio 2013 14:55


[SM=g1740758] Alcune osservazioni critiche sugli scritti di Mons. Antonio (“Don Tonino”) Bello (1935-1993)


(di Padre Paolo M. Siano FFI)
Sul numero 2/2012 della nostra rivista apologetica “Fides Catholica” è stato pubblicato un mio studio (68 pagine) sul pensiero e sugli scritti del servo di Dio Mons. Antonio Bello (detto popolarmente “Don Tonino Bello”), di cui è stata avviata la Causa di Beatificazione pochi anni fa. Presento ora una sintesi del mio studio molto critico nel quale, dopo aver passato in rassegna circa 18 libri (ovvero raccolte di scritti) del Presule pugliese, esprimo la mia personale perplessità e contrarietà alla sua eventuale beatificazione.  

     Sono al corrente della simpatia e dei valori umani con cui da Don Tonino ha affascinato e affascina tuttora molti sacerdoti e laici cattolici italiani. Eppure non mi basta fermarmi alla fama “mediatica” e “popolare”; desidero andare “in profondità” per (far) valutare l’eventuale consistenza di tale presunta fama di “santità”.

    In effetti la beatificazione di Don Tonino Bello è molto auspicata da vari ambienti di chiesa italiana, soprattutto da quelli “all’avanguardia” in materia di teologia, morale e liturgia e sensibilissimi verso problematiche socio-politico-economiche… Don Tonino Bello, un “santo” nuovo per una Chiesa “nuova” …

        Nel mio studio mi permetto di dire, anche con toni “forti”, che purtroppo vari scritti, discorsi, omelie e atteggiamenti del Presule pugliese rivelano una mentalità troppo mondana, troppo concentrata sul politico, sull’“orizzontale”… una mentalità poco attenta e poco sensibile al Sacro e al Dogma…

    Prima di addentrarmi negli scritti di Mons. Bello, affronto nel mio studio due “obiezioni” ermeneutiche che potrebbero rivolgermi i suoi “sostenitori”:

1) Don Tonino usa spesso un linguaggio metaforico, simbolico, profetico, “provocante”, ma solo per stimolare nuove mentalità, riflessione e azione ecclesiale…

2) Le “sbavature” linguistiche, o finanche gli errori (“dottrinali” o “di forma”), del Servo di Dio non pregiudicano la sua santità, né la sua incisività pastorale…

    Mi permetto di rimandare il lettore al mio studio dove troverà le mie risposte a tali “obiezioni” le quali denotano – a mio parere – un nominalismo filosofico e un volontarismo soggettivista (di impronta luterana) di fondo, elementi tipici anche di quell’errore teologico e morale che va sotto il nome di “opzione fondamentale”…

 

    È ovvio che Mons. Bello ha detto anche cose vere, giuste e cattoliche (es.: l’esistenza di Dio, di Gesù, la centralità dell’Eucaristia nella vita cristiana, la necessità della preghiera, il dover essere contemplativi-attivi, riscoprire il ruolo della Madonna nella nostra vita interiore, ecc…), [SM=g1740733] tuttavia ciò non è sufficiente a “sanare” o a far “dimenticare” le tesi eterodosse e strambe da lui enunciate. Un Vescovo dev’essere maestro integro della Fede e della Morale, uomo di Dio amante del Culto e della preghiera. Solo a tali condizioni potrà essere autenticamente incisivo nel campo pastorale.

    Ora, l’ “orizzonte” culturale, ermeneutico e spirituale in cui Don Tonino pensa, parla e agisce da Pastore (e in cui egli colloca le suddette verità della Fede e della spiritualità cristiana) è in realtà l’orizzonte di una svolta antropologica tale che “svuota” e “svaluta” dal di dentro tutto ciò che è spirituale e soprannaturale…

   

    Passo ora ad illustrare alcuni elementi discutibili del “magistero” episcopale di Mons. Bello secondo quanto contenuto nei suoi discorsi (interviste, conferenze) e scritti (omelie, libri, lettere). Si tratta di elementi fondamentali e portanti della sua figura e della sua opera di Vescovo. Qui sarò molto sintetico e non elencherò tutti i punti trattati nel mio studio. Per i dovuti approfondimenti, il lettore e lo studioso critico potrà (o dovrà) leggere l’edizione integrale del mio testo su Fides Catholica N° 2/2012 (pp. 27-94).

 

1. Don Tonino e i suoi “maestri” (tra iper-conciliarismo e progressismo).

    Tra i maestri (ovvero, i punti di riferimento culturale, teologico e pastorale) di Mons. Bello troviamo Mons. Helder Câmara, Karl Rahner, Mons. Luigi Bettazzi, p. Ernesto Balducci, il Card. Carlo M. Martini, David M. Turoldo (ed altri), dei quali Don Tonino condivide l’iper-conciliarismo e il progressismo teologico e pastorale…   

 

2. Secolarismo linguistico e teologico.

    Secondo Don Tonino non bisogna «comunicare con l’uomo contemporaneo mediante linguaggi superati» (ossia troppo religiosi, “sacri”, “tradizionali”…), ma bisogna «entrare in contatto tecnico con l’ “ateismo linguistico” della sua cultura»#…

    Mi permetto di dire che il caso Don Tonino Bello dimostra come cambiando linguaggio si finisca, prima o poi, con l’adottare anche la sensibilità e i contenuti di cui il nuovo linguaggio è portatore. Non esiste un linguaggio “neutrale” ovvero che prescinda del tutto dai suoi contenuti (invece i nominalisti/relativisti separano il linguaggio dalla realtà oggettiva)… Inoltre, non tutti i “linguaggi” sono idonei a veicolare le verità della Fede. Pertanto, spiegare la dottrina della Fede secondo le categorie di un linguaggio secolare (o “ateo”) produce un impoverimento, uno svuotamento della dottrina… Il “sacro” viene profanato ed alterato… Mons. Bello è un esempio lampante di ciò. Rimando al mio studio.

 

3. Svolta antropologica radicale. L’Uomo e il Mondo

    La seguente citazione è un esempio chiarissimo di svolta antropologica e antropocentrista di Mons. Bello il quale ha praticamente tradotto in termini popolari (e prassi pastorale) la teologia progressista di teologi come Karl Rahner:

    «Quando avrò tempo, quando andrò in pensione, mi piacerebbe rimodellare in termini umani tutte quelle preghiere che noi facciamo in chiesa: l’atto di fede, l’atto di dolore, di speranza, di carità… Mi Dio, credo fermamente… Mio Dio, mi pento con tutto il cuore… Mio Dio, ti amo… Mi piacerebbe formulare atti di fede nell’uomo che Dio ama; atti di amore nell’uomo. Atti di speranza nell’uomo. Perché Dio gioca tutto sull’uomo. Anche noi dovremmo…»#.

    In un discorso ai professionisti di Molfetta, Mons. Bello separa il sacro e la santità… Egli si riconosce a malincuore uomo del Sacro, uomo che celebra riti… Ma egli ama la santità laica e raccomanda ai laici professionisti di promuovere tale santità… Egli identifica i valori del Vangelo ai valori umani: solidarietà, accettazione dell’altro, ecc… I valori soprannaturali sono ridotti e identificati ai valori naturali… Per il resto, vedasi il mio studio.

 

4. Liturgia e spiritualità “secolare”. Disistima verso il Sacro e i Dogmi

    Mons. Bello non mostra molta simpatia per riti liturgici celebrati secondo le rubriche, anzi sembra soffrire di ciò una vera avversione/ossessione… In questo Don Tonino è “figlio” della sua epoca postconciliare nella quale, a partire dagli anni ’70-’80, hanno trionfato liturgisti moderni e antirubricali, sostenitori di danze e chitarre…

 

    Così Mons. Bello prega il Signore per il suo popolo (1982):

        «Liberalo dalla noia del rito, dall’usura del cerimoniale, dalla stanchezza delle ripetizioni. Fa’ che le sue Messe siano una danza di giovinezza e concerti di campane, una speranza di liberazione e canti di chiese [...]»#.

 

    Noia del rito? Usura del cerimoniale? [SM=g1740730] Stanchezza delle ripetizioni? Ma con chi se la prende Don Tonino? Nella sua parrocchia (1982) lui non celebrava la Messa “tridentina” !! Lo sappiamo bene… i liturgisti modernisti non vogliono rubriche… Essi hanno in uggia anche le rubriche del “nuovo” Messale… Vogliono creatività a tutto spiano.

 

    Il 16 ottobre 1988, Mons. Bello interviene alle Giornate Salveminiane a Molfetta. Don Tonino elogia Gaetano Salvemini (1873-1957) in quanto – al dire di Don Tonino – era un anticlericale onesto, mai volgare… Salvemini disprezzava i dogmi della Fede e Don Tonino lo sa bene… Don Tonino si mostra affascinato dal «laicismo» antidogmatico di Salvemini il quale (proprio come Don Tonino) non vuole caste o chiese privilegiate… Don Tonino presenta Salvemini come un santo laico sicuramente in Paradiso!#

 

5. All’ombra dello “spirito di Assisi” (27-8-1992) su: Religioni, Sacro, Uomo…

    Nell’agosto 1992, presso la Cittadella (editrice) di Assisi si è svolto il 50° Corso di Studi Cristiani-interreligioso-internazionale sul tema “Chiese e religioni nella nuova Europa: mercanti del sacro o testimoni dello Spirito?”#. In quell’incontro (a cui partecipò come relatrice anche l’onorevole comunista Nilde Jotti), Mons. Bello tenne una conferenza più o meno intitolata “La bisaccia del cercatore” (oggi rinvenibile anche su youtube#) dove in circa 44 minuti, egli sintetizzò le linee portanti del suo “magistero” fin qui illustrato.

    In quella conferenza, praticamente, Don Tonino auspica lo scavalcamento delle religioni… Già in altre occasioni egli ha fatto ben capire che i nostri dogmi sono pietrificazioni di Dio… Inoltre è davvero inquietante il riferimento di Don Tonino a «uno pneuma universale     [ndr, pneuma= spirito] che sgorga dalle viscere della terra [ndr, gli Inferi?] e ci fa scavalcare le immagini delle teofanie storiche» [dunque anche le teofanie ebraica e cristiana]… Ma quel “pneuma” o spirito chi “diavolo” è? Uno spirito che viene dalle viscere della terra non è uno spirito del Cielo… Don Tonino, su questo punto, è inequivocabilmente gnostico e, oserei dire, massonico.

 

6. Mariologia «terra terra», sensualità, femminismo.

    Nell’anima di Mons. Bello trovo scolpita una grande sensualità, frutto della sua ossessione verso l’uomo e verso il mondo.  In un discorso, parlando della Chiesa, Mons. Bello si lascia scappare una… parolaccia:

    «Noi sappiamo – dice Mons. Bello – che la Chiesa è una “casta meretrix”, come dicevano i Padri, una “casta puttana” cioè, espressione in cui l’aggettivo va erodendo giorno dopo giorno il sostantivo»#.

    Il “servo di Dio” non poteva limitarsi a tradurre il sostantivo “meretrix” con “meretrice” oppure “prostituta”? Perché ha usato invece quel termine triviale [put...]? Si dice che l’uomo parla secondo la pienezza del cuore…  E si vuol beatificare un tale personaggio? [SM=g1740732]

     In un discorso su «Myriam» sorella di Mosé, troviamo ancora un concentrato della sensualità e del filo-femminismo contestatore di Mons. Bello (che spiega ed elogia la ribellione e la protesta femminista di Myriam contro Dio…)#. Rimando al mio studio.

    Nel 1993 le Edizioni Paoline pubblicano quello che forse è il best-seller mariano di Don Tonino Bello: Maria donna dei nostri giorni. Don Tonino desiderava usare quel libro per il mese di maggio e invece morì il 20 aprile di quell’anno. Quest’anno, 2013, cade il ventennale della morte del Presule pugliese.

    Ma quale Maria, quale “Madonna”, emerge dalla mente, dal cuore e dagli scritti di Mons. Bello? È una “madonna” senza aureola (più vicina all’antica Eva piuttosto che a Dio e all’umanità bisognosa di grazie), una “madonna” sensuale, malinconica, vanitosa, che “amoreggia” col fidanzato Giuseppe (come una ragazza “qualunque”) con tanto di serenate notturne… Una “madonna” che ha momenti di crisi coniugale come qualunque altra donna… Una “madonna” che non è la ragazzina (pudica) tutta casa e Chiesa come la presenta il “devozionalismo”, bensì la donna delle rivendicazioni sociali… Una “madonna” adolescente che ama mettere il suo corpo in mostra, sulla spiaggia (indossando bermuda estivi) e in palestra, come tutte le altre ragazze…

    Insomma, la “Madonna” tanto esaltata da Mons. Bello è una “madonna” profanata e secolarizzata, costruita a tavolino sulla base di una mariologia “debole” che riecheggia il minimalismo protestante e giansenista e che traduce in termini “popolari” la mariologia antropotipica postconciliare… Una “mariologia” in buona sintonia col protestantesimo, col modernismo e con lo spirito del mondo…

    Mi chiedo: quale esempio di verginità, castità e pudore possono trovare oggi le ragazzine (delle nostre parrocchie) in una “madonna” come quella descritta da Don Tonino Bello? Direi: praticamente, nessuno. Una tale “mariologia”, una tale “madonna” imprigiona i giovani nella sensualità… La “madonna” dontoninobellista (mi si conceda il neologismo) coincide praticamente con l’antica Eva.

 

Conclusioni

    Nell’ottica di Mons. Bello, tutti Misteri della Fede (Dio Uno e Trino, Cristo, l’Eucaristia, la Vergine SS.ma, la Chiesa…) divengono un pretesto per parlare dell’Uomo e del Mondo, per osannare e glorificare l’Uomo… Il soprannaturale è affossato “gnosticamente” nel naturale… Il “magistero” episcopale di Mons. Bello non aiuta l’uomo ad elevarsi al Cielo, ma imprigiona il Cielo e l’Uomo nell’angoscia esistenziale della Terra, senza scampo… La speranza soprannaturale è labile, è offuscata…

    Insomma non vedo affatto in Mons. Bello un’autentica Fede e Spiritualità Cattolica, non trovo in lui un’autentica ansia di Cielo, come quella dei Santi, ma solo un continuo rivendicazionismo sociale e un gusto “pazzo” per il mondo e per l’uomo, ossia valori e atteggiamenti umani con i quali, di fatto, il Presule salentino mescola, identifica, riduce il Vangelo e la Fede Cattolica… Non trovo in lui sicurezza e chiarezza dottrinale. In lui non c’è nessuna lotta in favore della difesa dei dogmi della Fede, ma solo lotta per il sociale, allergia per la Chiesa “pre-conciliare” (con i suoi dogmi, la sua liturgia, le sue sicurezze dottrinali….), smania futurista e progressista per il “nuovo”…

    A mio parere, beatificare o canonizzare Mons. Antonio Bello equivale, praticamente, in certo qual modo, a “canonizzare” un modello assai discutibile, labile ed eterodosso di Pastore e di pastorale, con grave danno soprattutto per i giovani, i seminaristi e i sacerdoti.

(di Padre Paolo M. Siano FFI)


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