Le bellissime catechesi su Maria di GPII

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(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:30

Udienza generale di Giovanni Paolo II

" PRESENZA DI MARIA ALL'ORIGINE DELLA CHIESA "

Mercoledì, 6 Settembre 1995

1. Dopo essermi soffermato nelle precedenti catechesi ad approfondire l’identità e la missione della Chiesa, avverto ora il bisogno di volgere lo sguardo verso la Beata Vergine, Colei che ne ha perfettamente realizzato la santità e ne costituisce il modello.

E’ quanto hanno fatto gli stessi Padri del Concilio Vaticano II:

dopo aver esposto la dottrina sulla realtà storico-salvifica del Popolo di Dio, hanno voluto completarla con l’illustrazione del ruolo di Maria nell’opera della salvezza. Il capitolo VIII della Costituzione conciliare  Lumen Gentium infatti, ha lo scopo non solo di sottolineare la valenza ecclesiologica della dottrina mariana, ma di mettere altresì in luce il contributo che la figura della Beata Vergine offre alla comprensione del mistero della Chiesa.

2. Prima di esporre l’itinerario mariano del Concilio, desidero rivolgere uno sguardo contemplativo a Maria, così come, all’origine della Chiesa, è descritta negli Atti degli Apostoli. Luca, all’inizio di questo scritto neotestamentario che presenta la vita della prima comunità cristiana, dopo aver ricordato singolarmente i nomi degli Apostoli (1,13), afferma: "Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera insieme con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù, e con i fratelli di lui" (1,14).

In questo quadro spicca la persona di Maria, la sola che viene ricordata con il proprio nome, oltre agli apostoli: ella rappresenta un volto della Chiesa diverso e complementare rispetto a quello ministeriale o gerarchico.

3. La frase di Luca, infatti, riferisce la presenza, nel cenacolo, di alcune donne, manifestando così l’importanza del contributo femminile alla vita della Chiesa, sin dai primordi. Questa presenza viene messa in rapporto stretto con la perseveranza della comunità nella preghiera e con la concordia. Questi tratti esprimono perfettamente due aspetti fondamentali del contributo specifico delle donne alla vita ecclesiale. Più propensi all’attività esterna, gli uomini hanno bisogno dell’aiuto delle donne per essere riportati alle relazioni personali e per progredire verso l’unione dei cuori. "Benedetta fra le donne" (Lc 1,42), Maria assolve in modo eminente questa missione femminile. Chi, meglio di Maria, favorisce in tutti i credenti la perseveranza nella preghiera? Chi promuove, meglio di lei, la concordia e l’amore?

Riconoscendo la missione pastorale affidata da Gesù agli Undici, le donne del cenacolo, con Maria in mezzo a loro, si uniscono alla loro preghiera e testimoniano, nello stesso tempo, la presenza nella Chiesa di persone che, pur non avendo ricevuto quella missione, sono ugualmente membri, a pieno titolo, della comunità radunata nella fede in Cristo.

4. La presenza di Maria nella comunità, che attende in preghiera l’effusione dello Spirito (cfr. At 1,14), evoca la parte da lei avuta nell’incarnazione del Figlio di Dio per opera dello Spirito Santo (cfr. Lc 1,35). Il ruolo della Vergine in quella fase iniziale e il ruolo che essa svolge ora, nella manifestazione della Chiesa a Pentecoste, sono strettamente collegati.

La presenza di Maria nei primi momenti di vita della Chiesa è posta in singolare evidenza dal confronto con la partecipazione assai discreta che Ella ha avuto precedentemente, durante la vita pubblica di Gesù. Quando il Figlio inizia la sua missione, Maria resta a Nazaret, anche se tale separazione non esclude contatti significativi, come a Cana, e, soprattutto, non le impedisce di partecipare al sacrificio del Calvario.

Nella prima comunità, invece, il ruolo di Maria assume notevole rilevanza. Dopo l’Ascensione ed in attesa della Pentecoste, la Madre di Gesù è presente personalmente ai primi passi dell’opera avviata dal Figlio.

5. Gli Atti degli Apostoli, sottolineano che Maria si trovava nel Cenacolo "con i fratelli di Gesù" (At 1,14), cioè con i suoi parenti, come ha sempre interpretato la tradizione ecclesiale: non si tratta tanto di un raduno di famiglia, quanto del fatto che, sotto la guida di Maria, la famiglia naturale di Gesù è venuta a far parte della famiglia spirituale del Cristo: "Chi compie la volontà di Dio, - aveva detto Gesù - costui è mio fratello, sorella e madre" (Mc 3,34). Nella medesima circostanza Luca qualifica esplicitamente Maria come "la Madre di Gesù" (At 1,14), quasi a voler suggerire che qualcosa della presenza del Figlio asceso al cielo rimane nella presenza della madre. Ella ricorda ai discepoli il volto di Gesù ed è, con la sua presenza in mezzo alla Comunità, il segno della fedeltà della Chiesa a Cristo Signore.

Il titolo di "Madre", in questo contesto, annuncia l’atteggiamento di premurosa vicinanza con cui la Vergine seguirà la vita della Chiesa. Ad essa Maria aprirà il suo cuore per manifestare le meraviglie operate in lei da Dio onnipotente e misericordioso. Sin dall’inizio Maria esercita il suo ruolo di "Madre della Chiesa": la sua azione favorisce l’intesa fra gli Apostoli che Luca presenta "concordi" e molto lontani dalle dispute che talvolta erano sorte tra loro.

Maria esercita, infine, la sua maternità verso la comunità dei credenti, non solo pregando per ottenere alla Chiesa i doni dello Spirito Santo, necessari per la sua formazione ed il suo futuro, ma educando, altresì, i discepoli del Signore alla costante comunione con Dio.

Ella si rende così educatrice del popolo cristiano alla preghiera, all’incontro con Dio, elemento centrale e indispensabile perché l’opera dei Pastori e dei fedeli abbia sempre nel Signore il suo inizio e la sua motivazione profonda.

6. Da queste brevi considerazioni emerge chiaramente come il rapporto tra Maria e la Chiesa costituisca un confronto affascinante tra due madri. Esso ci rivela chiaramente la missione materna di Maria e impegna la Chiesa a cercare sempre la sua vera identità nella contemplazione del volto della Theotokos.

 

 

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:33

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"IL RUOLO MATERNO DI MARIA NEI PRIMI SECOLI"

 

Mercoledì, 13 settembre 1995

1. Nella Costituzione Lumen Gentium il Concilio afferma che "i fedeli che aderiscono a Cristo capo e sono in comunione con tutti i suoi santi, devono pure venerare la memoria "innanzitutto della gloriosa sempre Vergine Maria, Madre del Dio e Signore nostro Gesù Cristo"" (n. 52). La Costituzione conciliare utilizza i termini del Canone Romano della Messa, sottolineando così come la fede nella divina maternità di Maria sia presente nel pensiero cristiano sin dai primi secoli.

Nella Chiesa nascente Maria è ricordata col titolo di "Madre di Gesù". E lo stesso Luca a tributarle negli Atti degli Apostoli questa qualifica, che corrisponde, del resto, a quanto è detto nei Vangeli:

"Non è costui... il figlio di Maria?", si chiedono gli abitanti di Nazareth, secondo il racconto dell’evangelista Marco (6,3); "Sua madre non si chiama Maria", è la domanda registrata da Matteo (13,55).

2. Agli occhi dei discepoli, radunati dopo l’Ascensione, il titolo di "Madre di Gesù" assume tutto il suo significato. Maria è per loro una persona unica nel suo genere: ha ricevuto la grazia singolare di generare il Salvatore dell’umanità, è vissuta per lungo tempo accanto a lui e sul Calvario è stata chiamata dal Crocifisso ad esercitare una "nuova maternità", nei confronti del discepolo prediletto e, attraverso lui, di tutta la Chiesa.

Per coloro che credono in Gesù e lo seguono, "Madre di Gesù" è un titolo di onore e di venerazione, che rimarrà tale per sempre nella vita e nella fede della Chiesa. In modo particolare, con questo titolo i cristiani intendono affermare che non ci si può riferire all’origine di Gesù, senza riconoscere il ruolo della donna che lo ha generato nello Spirito secondo la natura umana. La sua funzione materna interessa anche la nascita e lo sviluppo della Chiesa. Ricordando il posto di Maria nella vita di Gesù, i fedeli ne scoprono ogni giorno l’efficace presenza anche nel proprio itinerario spirituale.

3. Sin dall’inizio, la Chiesa ha riconosciuto a Maria la maternità verginale. Come fanno intuire i Vangeli dell’infanzia, le stesse prime comunità cristiane hanno raccolto i ricordi di Maria sulle circostanze misteriose del concepimento e della nascita del Salvatore. In particolare, il racconto dell’Annunciazione risponde al desiderio dei discepoli di conoscere in modo più approfondito gli avvenimenti legati agli inizi della vita terrena del Cristo risorto. Maria è, in ultima analisi, all’origine della rivelazione circa il mistero del concepimento verginale ad opera dello Spirito Santo. Tale verità, mostrando l’origine divina di Gesù, dai primi cristiani è stata subito colta nella sua significativa rilevanza ed annoverata tra le affermazioni cardine della loro fede. Figlio di Giuseppe secondo la legge, in realtà Gesù, per un intervento straordinario dello Spirito Santo, nella sua umanità è unicamente figlio di Maria, essendo nato senza intervento di uomo. La verginità di Maria, assume così un valore singolare, gettando nuova luce sulla nascita e sul mistero della filiazione di Gesù, essendo la generazione verginale il segno che Gesù ha come Padre Dio stesso.

Riconosciuta e proclamata dalla fede dei Padri, la maternità verginale non potrà mai più essere separata dall’identità di Gesù, vero uomo e vero Dio, in quanto nato da Maria Vergine, come professiamo nel Simbolo Niceno-costantinopolitano. Maria è la sola Vergine che sia anche Madre. La compresenza straordinaria di questi due doni nella persona della fanciulla di Nazareth ha portato i cristiani a chiamare Maria semplicemente "la Vergine", anche quando celebrano la sua maternità.

La verginità di Maria inaugura così nella comunità cristiana la diffusione della vita verginale, abbracciata da quanti ad essa sono chiamati dal Signore. Tale speciale vocazione, che raggiunge il suo vertice nell’esempio di Cristo, costituisce per la Chiesa di tutti i tempi, che trova in Maria l’ispirazione e il modello, una ricchezza spirituale incommensurabile.

4. L’asserzione: "Gesù è nato da Maria Vergine" implica già la presenza in questo evento di un mistero trascendente, che soltanto nella verità della figliolanza divina di Gesù può trovare la sua espressione più completa. A tale formulazione centrale della fede cristiana è strettamente legata la verità della maternità divina di Maria: ella infatti è Madre del Verbo incarnato, il quale è "Dio da Dio... Dio vero da Dio vero". Il titolo di Madre di Dio, già testimoniato da Matteo nella formula equivalente di Madre dell’Emmanuele, Dio con noi (cfr. Mt 1,23), è stato attribuito esplicitamente a Maria solo dopo una riflessione che ha abbracciato circa due secoli. Sono i cristiani del terzo secolo che, in Egitto, iniziano ad invocare Maria come "Theotokos", Madre di Dio. Con questo titolo, che trova ampia eco nella devozione del popolo cristiano, Maria appare nella vera dimensione della sua maternità: è Madre del Figlio di Dio, che ha generato verginalmente secondo la natura umana e con il suo amore materno ha educato, contribuendo alla crescita umana della persona divina, venuta a trasformare il destino dell’umanità.

5. In maniera quanto mai significativa, la più antica preghiera a Maria ("Sub tuum praesidium..." "Sotto la tua protezione...") contiene l’invocazione: "Theotokos, Madre di Dio". Questo titolo non proviene anzitutto da una riflessione dei teologi, ma da un’intuizione di fede del popolo cristiano. Coloro che riconoscono Gesù come Dio si rivolgono a Maria come Madre di Dio e sperano di ottenere il suo potente soccorso nelle prove della vita.

Il Concilio di Efeso, nell’anno 431, definisce il dogma della divina maternità, attribuendo ufficialmente a Maria il titolo di "Theotokos", in riferimento all’unica persona di Cristo, vero Dio e vero Uomo.

Le tre espressioni con le quali la Chiesa ha illustrato lungo i secoli la sua fede nella maternità di Maria: "Madre di Gesù", "Madre verginale" e "Madre di Dio", manifestano dunque che la maternità di Maria appartiene intimamente al mistero dell’Incarnazione. Sono affermazioni dottrinali, connesse pure alla pietà popolare, che contribuiscono a definire l’identità stessa di Cristo.

 

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:33

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"IL RUOLO DELLA MADRE DEL REDENTORE"

 

Mercoledì, 25 Ottobre 1995

1. Dicendo che "Maria Vergine è riconosciuta e onorata come vera Madre di Dio, Madre del Redentore" (Lumen gentium, 53), il Concilio attira l’attenzione sul legame esistente tra la maternità di Maria e la redenzione.

Dopo aver preso coscienza del ruolo materno di Maria, venerata nella dottrina e nel culto dei primi secoli quale Madre verginale di Gesù Cristo e quindi Madre di Dio, nel Medioevo la pietà e la riflessione teologica della Chiesa approfondiscono la sua collaborazione all’opera del Salvatore.

Questo ritardo si spiega con il fatto che lo sforzo dei Padri della Chiesa e dei primi Concili ecumenici, incentrato com’era sul mistero dell’identità di Cristo, lasciò necessariamente nell’ombra altri aspetti del dogma. Sarà solo progressivamente che la verità rivelata potrà essere esplicitata in tutta la sua ricchezza. Nel corso dei secoli la Mariologia si orienterà sempre in funzione della Cristologia. La stessa divina maternità di Maria viene proclamata nel Concilio di Efeso soprattutto per affermare l’unità personale di Cristo. Analogamente avviene per l’approfondimento della presenza di Maria nella storia della salvezza.

2. Alla fine del secondo secolo sant’Ireneo, discepolo di Policarpo, pone già in evidenza il contributo di Maria all’opera della salvezza. Egli ha compreso il valore del consenso di Maria al momento dell’Annunciazione, riconoscendo nell’obbedienza e nella fede della Vergine di Nazaret al messaggio dell’angelo l’antitesi perfetta della disobbedienza e dell’incredulità di Eva, con effetto benefico sul destino dell’umanità. Infatti, come Eva ha causato la morte, così Maria, col suo "sì", è divenuta "causa di salvezza" per se stessa e per tutti gli uomini (cfr. Haer Adv. 3.22,4; SC 211,441). Ma si tratta di un’affermazione non sviluppata in modo organico e abituale dagli altri Padri della Chiesa.

Tale dottrina, invece, viene sistematicamente elaborata per la prima volta, alla fine del decimo secolo, nella "Vita di Maria" di un monaco bizantino, Giovanni il Geometra. Maria è qui unita a Cristo in tutta l’opera redentrice partecipando, secondo il piano divino, alla Croce e soffrendo per la nostra salvezza. Ella è rimasta unita al Figlio "in ogni azione, atteggiamento e volontà" (Vita di Maria, Bol. 196, f. 122 v.). L’associazione di Maria all’opera salvifica di Gesù avviene mediante il suo amore di Madre, un amore animato dalla grazia, che le conferisce una forza superiore: la più esente da passione si mostra la più compassionevole (cfr. ibid. Bol. 196, f. 123 v.).

3. In Occidente san Bernardo, morto nel 1153, rivolgendosi a Maria, così commenta la presentazione di Gesù al tempio: "Offri tuo Figlio, sacrosanta Vergine, e presenta al Signore il frutto del tuo seno. Per la nostra riconciliazione con tutti offri l’ostia santa, gradita a Dio" (Sermo 3 in Purif., 2, PL 183,370).

Un discepolo ed amico di san Bernardo, Arnaldo di Chartres, mette in luce in particolare l’offerta di Maria nel sacrificio del Calvario. Egli distingue nella Croce "due altari: uno nel cuore di Maria, l’altro nel corpo di Cristo. Il Cristo immolava la sua carne, Maria la sua anima". Maria s’immola spiritualmente in profonda comunione con Cristo e supplica per la salvezza del mondo: "Quello che la madre chiede il Figlio lo approva, il Padre lo dona" (De septem verbis Domini in cruce, 3: PL 189,1694).

Da questa epoca in poi altri autori espongono la dottrina della speciale cooperazione di Maria al sacrificio redentore.

4. Contemporaneamente, nel culto e nella pietà cristiana, si sviluppa lo sguardo contemplativo sulla "compassione" di Maria, significativamente rappresentata nelle immagini della Pietà. La partecipazione di Maria al dramma della Croce rende questo evento più profondamente umano ed aiuta i fedeli ad entrare nel mistero: la compassione della Madre fa scoprire meglio la Passione del Figlio. Con la partecipazione all’opera redentrice di Cristo, viene anche riconosciuta la maternità spirituale ed universale di Maria. In Oriente, Giovanni il Geometra, dice di Maria: "Tu sei nostra madre". Rendendo grazie a Maria "per le pene e le sofferenze sopportate per noi", egli ne mette in luce l’affetto materno e la qualità di madre nei confronti di tutti coloro che ricevono la salvezza (cfr. Discorso d’addio sulla Dormizione della gloriosissima Nostra Signora Madre di Dio, in A. Wenger, L’Assomption de la T.S. Vierge dans la tradition byzantine, 407).

Anche in Occidente la dottrina della maternità spirituale si sviluppa con sant’Anselmo, che afferma: "Tu sei la madre... della riconciliazione e dei riconciliati, la madre della salvezza e dei salvati" (cfr. Oratio 52,8: PL 158,957 A).

Maria non cessa di essere venerata come Madre di Dio, ma il fatto di essere nostra Madre, conferisce alla sua maternità divina un nuovo volto ed apre a noi la via per una più intima comunione con lei.

5. La maternità di Maria nei nostri confronti non consiste soltanto in un legame affettivo: per i suoi meriti e la sua intercessione ella contribuisce efficacemente alla nostra nascita spirituale e allo sviluppo della vita della grazia in noi. Per questo motivo Maria viene chiamata "Madre della grazia", "Madre della vita". Il titolo "Madre della vita" usato già da Gregorio Nisseno, è stato spiegato così da Guerrico d’Igny, morto nel 1157: "Ella è la Madre della Vita, di cui vivono tutti gli uomini: generando da se stessa questa vita, in un certo modo ha rigenerato tutti quelli che l’avrebbero vissuta. Uno solo fu generato, ma noi tutti fummo rigenerati" (In Assumpt. I,2, PL 185,188).

Un testo del tredicesimo secolo, il "Mariale", usando un’immagine ardita, attribuisce questa rigenerazione al "parto doloroso" del Calvario, con il quale "è diventata madre spirituale di tutto il genere umano"; infatti "nelle sue caste viscere ella concepì, per compassione, i figli della Chiesa" (Q. 29, par. 3).

6. Il Concilio Vaticano II, dopo aver affermato che Maria "cooperò in modo tutto speciale all’opera del Salvatore...", così conclude:

"Per questo diventò per noi Madre nell’ordine della grazia" (Lumen gentium, 61), confermando, in tal modo, il sentire ecclesiale che vede Maria accanto al Figlio come Madre spirituale dell’intera umanità. Maria è nostra Madre: questa consolante verità, offertaci in modo sempre più chiaro e profondo dall’amore e dalla fede della Chiesa, ha sostenuto e sostiene la vita spirituale di noi tutti e ci incoraggia, anche nella sofferenza, alla fiducia ed alla speranza.

 

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:36

Udienza generale di Giovanni Paolo II

" MARIA NELLA SACRA SCRITTURA E NELLA RIFLESSIONE TEOLOGICA"

 

Mercoledì, 8 novembre 1995

 

1. Nelle precedenti catechesi abbiamo visto come la dottrina della maternità di Maria dalla prima formulazione, "la Madre di Gesù", sia poi passata a quella più completa ed esplicita di "Madre di Dio", fino all’affermazione del suo coinvolgimento materno nella redenzione dell’umanità.

Anche per altri aspetti della dottrina mariana, sono stati necessari molti secoli per giungere alla definizione esplicita di verità rivelate riguardanti Maria. Casi tipici di questo cammino di fede per scoprire sempre più profondamente il ruolo di Maria nella storia della salvezza, sono i dogmi dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione, proclamati, com’è noto, da due miei venerati predecessori, rispettivamente dal Servo di Dio Pio IX nel 1854, e dal Servo di Dio Pio XII nel corso del Giubileo dell’anno 1950. La Mariologia è un campo di ricerca teologica particolare: in essa l’amore del popolo cristiano per Maria ha intuito non di rado con anticipo alcuni aspetti del mistero della Vergine, richiamando su di essi l’attenzione dei teologi e dei pastori.

2. Dobbiamo riconoscere che, a prima vista, i Vangeli offrono una scarsa informazione sulla persona e sulla vita di Maria. Avremmo certo desiderato al riguardo indicazioni più abbondanti, che ci avrebbero permesso di conoscere meglio la Madre di Gesù. Aspettativa, questa, che resta inappagata anche da parte degli altri scritti del Nuovo Testamento, dove manca uno sviluppo dottrinale esplicito su Maria. Le stesse lettere di san Paolo, che ci offrono un pensiero ricco su Cristo e sulla sua opera, si limitano a dire, in un passo molto significativo, che Dio ha mandato il suo Figlio, "nato da donna" (Gal 4,4).

Ben poco viene riferito sulla famiglia di Maria. Se escludiamo i racconti dell’infanzia, nei Vangeli sinottici troviamo solo due affermazioni che gettano qualche luce su Maria: una a proposito del tentativo dei "fratelli" o parenti che avrebbero voluto ricondurre Gesù a Nazaret (cfr. Mc 3,21; Mt 12,48); l’altra, in risposta all’esclamazione di una donna sulla beatitudine della Madre di Gesù (Lc 11,27).

Tuttavia, Luca nel Vangelo dell’infanzia, con gli episodi dell’Annunciazione, della Visitazione, della nascita di Gesù, della presentazione del Bambino al tempio, e del suo ritrovamento tra i Dottori all’età di dodici anni, non solo fornisce alcuni importanti dati, ma presenta una sorta di "protomariologia" di fondamentale interesse. I suoi dati vengono completati indirettamente da Matteo nel racconto sull’annuncio a Giuseppe (1,18-25), ma solo in relazione al concepimento verginale di Gesù.

Il Vangelo di Giovanni, inoltre, approfondisce il valore storico-salvifico del ruolo svolto dalla Madre di Gesù, quando registra la presenza di lei all’inizio ed alla fine della vita pubblica. Particolarmente significativo è l’intervento di Maria presso la Croce, dove riceve dal Figlio morente il compito di fare da madre del discepolo amato e, in lui, di tutti i cristiani (cfr. Gv 2,1-12 e Gv 19,25-27). Gli Atti degli Apostoli, infine, ricordano espressamente la Madre di Gesù fra le donne della prima comunità, in attesa della Pentecoste (cfr. At 1,14).

Nulla sappiamo, invece, in assenza di altre testimonianze neotestamentarie e di sicure notizie provenienti da fonti storiche, della vita di Maria dopo l’evento pentecostale, né della data e delle circostanze della sua morte. Possiamo solamente supporre che abbia continuato ad abitare con l’Apostolo Giovanni e che sia stata molto vicina allo sviluppo della prima comunità cristiana.

3. La scarsità dei dati sulla vicenda terrena di Maria è compensata dalla loro qualità e ricchezza teologica, che l’esegesi attuale pone attentamente in rilievo.

Del resto, dobbiamo ricordare che la prospettiva degli evangelisti è totalmente cristologica e intende interessarsi della Madre solo in relazione al lieto annuncio del Figlio. Come osserva già sant’Ambrogio, l’evangelista esponendo il mistero dell’Incarnazione "credette bene di non cercare ulteriori testimonianze sulla verginità di Maria, per non sembrare piuttosto il difensore della Vergine che il banditore del mistero" (Exp. in Lucam, 2,6: PL 15,1555). Possiamo riconoscere in questo fatto un’intenzione speciale dello Spirito Santo, il quale ha voluto suscitare nella Chiesa uno sforzo di ricerca che, conservando la centralità del mistero di Cristo, non si disperdesse sui particolari dell’esistenza di Maria, ma mirasse a scoprire soprattutto il suo ruolo nell’opera di salvezza, la sua santità personale e la sua missione materna nella vita cristiana.

4. Lo Spirito Santo guida lo sforzo della Chiesa, impegnandola ad assumere gli stessi atteggiamenti di Maria. Nel racconto della nascita di Gesù, Luca nota come sua madre serbasse tutte le cose "meditandole nel suo cuore" (2,19), sforzandosi cioè di "mettere insieme" (symballousa) con uno sguardo più profondo, tutti gli eventi di cui era stata testimone privilegiata.

Analogamente, anche il popolo di Dio è spinto dallo stesso Spirito a capire in profondità tutto ciò che è stato detto di Maria, per progredire nell’intelligenza della sua missione, intimamente legata al mistero di Cristo.

Emerge, nello sviluppo della Mariologia, un ruolo particolare del popolo cristiano. Esso coopera, con l’affermazione e la testimonianza della sua fede, al progresso della dottrina mariana, che normalmente non è solo opera dei teologi, anche se il loro compito rimane indispensabile per l’approfondimento e la chiara esposizione del dato di fede e della stessa esperienza cristiana.

La fede dei semplici è ammirata e lodata da Gesù, che vi riconosce una manifestazione meravigliosa della benevolenza del Padre (cfr. Mt 11,25; Lc 10,21). Essa continua nel corso dei secoli a proclamare le meraviglie della storia della salvezza, nascoste ai sapienti. Questa fede, in armonia con la semplicità della Vergine, ha fatto progredire il riconoscimento della sua santità personale e del valore trascendente della sua maternità.

Il mistero di Maria impegna ogni cristiano, in comunione con la Chiesa, a "meditare nel suo cuore" ciò che la rivelazione evangelica afferma della Madre di Cristo. Nella logica del Magnificat, ciascuno sperimenterà su di sé, al seguito di Maria, l’amore di Dio e scoprirà nelle meraviglie compiute dalla Santissima Trinità nella "Piena di grazia" un segno della tenerezza di Dio per l’uomo.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:37

Udienza generale di Giovanni Paolo II

" MARIA NELL’ESPERIENZA SPIRITUALE DELLA CHIESA"

 

Mercoledì, 15 novembre 1995

 

1. Dopo aver seguito nelle catechesi precedenti il consolidarsi della riflessione della Comunità cristiana sin dalle origini sulla figura e sul ruolo della Vergine nella storia della salvezza, ci soffermiamo oggi a meditare sull’esperienza mariana della Chiesa. Lo sviluppo della riflessione mariologica e del culto alla Vergine nel corso dei secoli ha contribuito a far apparire sempre meglio il volto mariano della Chiesa. Certamente, la Vergine Santissima è interamente riferita a Cristo, fondamento della fede e dell’esperienza ecclesiale, ed a lui conduce. Perciò obbedendo a Gesù, che ha riservato alla Madre un ruolo del tutto speciale nell’economia della salvezza, i cristiani hanno venerato, amato e pregato Maria in maniera particolarissima ed intensa. Essi le hanno attribuito una posizione di rilievo nella fede e nella pietà, riconoscendola via privilegiata verso Cristo, supremo Mediatore.

La dimensione mariana della Chiesa costituisce così un elemento innegabile nell’esperienza del popolo cristiano. Essa si rivela in numerose manifestazioni della vita dei credenti, testimoniando il posto assunto da Maria nel loro cuore. Non si tratta di un sentimento superficiale, ma di un vincolo affettivo profondo e consapevole, radicato nella fede, che spinge i cristiani di ieri e di oggi a ricorrere abitualmente a Maria, per entrare in più intima comunione con Cristo.

2. Dopo la più antica preghiera, formulata in Egitto dalle comunità cristiane del III secolo per implorare dalla "Madre di Dio" protezione nel pericolo, si sono moltiplicate le invocazioni rivolte a Colei che i battezzati ritengono molto potente nella sua intercessione presso il Signore.

Oggi, la preghiera più comune è l’Ave Maria, la cui prima parte è composta di parole tratte dal Vangelo (cfr. Lc 1,28.42). I cristiani imparano a recitarla tra le mura domestiche, sin dai teneri anni, ricevendola come un dono prezioso da custodire per tutta la vita. Questa stessa preghiera, ripetuta decine di volte nel Rosario, aiuta molti fedeli ad entrare nella contemplazione orante dei misteri evangelici e a rimanere talvolta per molto tempo in contatto intimo con la Madre di Gesù. Sin dal Medio Evo, l’Ave Maria è la preghiera più comune di tutti i credenti, che chiedono alla Santa Madre del Signore di accompagnarli e di proteggerli nel cammino della quotidiana esistenza (cfr. Esort. Ap. Marialis cultus, 42-55). Il popolo cristiano ha, inoltre, manifestato il suo amore a Maria moltiplicando le espressioni della sua devozione: inni, preghiere e composizioni poetiche, semplici o talora di grande pregio, pervase dal medesimo amore per Colei che dal Crocifisso è stata donata agli uomini come Madre. Tra queste talune, come l’inno "Akatistos" e la "Salve Regina", hanno profondamente contrassegnato la vita di fede del popolo credente.

Alla pietà mariana fa poi riscontro una ricchissima produzione artistica in Oriente e in Occidente, che ha fatto apprezzare ad intere generazioni la bellezza spirituale di Maria. Pittori, scultori, musicisti e poeti hanno lasciato dei capolavori che, mettendo in luce i diversi aspetti della grandezza della Vergine, aiutano a meglio capire il senso ed il valore del suo alto contributo all’opera della redenzione.

L’arte cristiana ha ravvisato in Maria la realizzazione di un’umanità nuova, rispondente al progetto di Dio e, perciò, un sublime segno di speranza per l’intera umanità.

3. Tale messaggio non poteva non essere colto dai cristiani chiamati ad una vocazione di speciale consacrazione. Infatti, negli ordini e nelle congregazioni religiose, negli istituti o associazioni di vita consacrata, Maria è particolarmente venerata. Numerosi istituti soprattutto, ma non soltanto, femminili, portano nel loro titolo il nome di Maria. Al di là tuttavia delle manifestazioni esterne, la spiritualità delle famiglie religiose, nonché di molti movimenti ecclesiali, alcuni dei quali specificamente mariani, pone in luce un loro legame speciale con Maria, a garanzia di un carisma vissuto in autenticità e pienezza.

Tale riferimento mariano nella vita di persone particolarmente favorite dallo Spirito Santo ha sviluppato anche la dimensione mistica, che mostra come il cristiano possa sperimentare nel più profondo del suo essere l’intervento di Maria. Il riferimento a Maria accomuna non solo i cristiani impegnati, ma anche i credenti dalla fede semplice e persino i "lontani" per i quali, spesso, esso costituisce forse l’unico legame con la vita ecclesiale. Segno di questo comune sentire del popolo cristiano verso la Madre del Signore sono i pellegrinaggi ai santuari mariani, che attirano, durante tutto l’arco dell’anno, numerose folle di fedeli. Alcuni di questi baluardi della pietà mariana sono molto conosciuti, come Lourdes, Fatima, Loreto, Pompei, Guadalupe, Czestochowa! Altri sono noti solo a livello nazionale o locale. In tutti la memoria di eventi legati al ricorso a Maria, trasmette il messaggio della sua materna tenerezza, aprendo il cuore alla grazia divina. Questi luoghi di preghiera mariana sono testimonianza stupenda della misericordia di Dio, che arriva all’uomo per intercessione di Maria. Miracoli di guarigione corporale, di riscatto spirituale e di conversione, sono il segno evidente che Maria continua, con Cristo e nello Spirito, la sua opera di soccorritrice e di madre.

4. Spesso i santuari mariani diventano centri di evangelizzazione: infatti, anche nella Chiesa di oggi, come nella comunità in attesa della Pentecoste, la preghiera con Maria spinge molti cristiani all’apostolato ed al servizio dei fratelli. Desidero qui ricordare, in special modo, il grande influsso della pietà mariana sull’esercizio della carità e delle opere di misericordia. Incoraggiati dalla presenza di Maria, i credenti hanno spesso sentito il bisogno di dedicarsi ai poveri, ai diseredati, ai malati per essere per gli ultimi della terra il segno della materna protezione della Vergine, icona viva della misericordia del Padre.

Da tutto ciò appare con evidenza come la dimensione mariana attraversi l’intera vita della Chiesa. L’annuncio della Parola, la liturgia, le varie espressioni caritative e cultuali trovano nel riferimento a Maria un’occasione di arricchimento e di rinnovamento. Il Popolo di Dio, sotto la guida dei suoi Pastori, è chiamato a discernere in questo fatto l’azione dello Spirito Santo, che ha spinto la fede cristiana sulla via della scoperta del volto di Maria. E’ lui che opera meraviglie nei luoghi di pietà mariana. E’ lui che stimolando la conoscenza e l’amore per Maria, conduce i fedeli a porsi alla scuola della Vergine del Magnificat, per imparare a leggere i segni di Dio nella storia e ad acquisire la sapienza che rende ogni uomo e ogni donna costruttori di una nuova umanità.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:38

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"INFLUSSO DI MARIA NELLA VITA DELLA CHIESA"

 

Mercoledì, 22 novembre 1995

1. Dopo aver riflettuto sulla dimensione mariana della vita ecclesiale, ci accingiamo ora a mettere in luce l’immensa ricchezza spirituale che Maria comunica alla Chiesa con il suo esempio e la sua intercessione.

Desideriamo innanzitutto fermarci a considerare brevemente alcuni aspetti significativi della personalità di Maria, che offrono a ciascun fedele indicazioni preziose per accogliere e realizzare pienamente la propria vocazione.

Maria ci ha preceduto sulla via della fede: credendo al messaggio dell’angelo, ella accoglie per prima e in modo perfetto il mistero dell’Incarnazione (cfr. Redemptoris Mater, 13). Il suo itinerario di credente inizia ancor prima dell’avvio della maternità divina e si sviluppa ed approfondisce durante tutta la sua esperienza terrena. La sua è una fede audace che nell’Annunciazione crede all’umanamente impossibile e a Cana spinge Gesù a compiere il primo miracolo provocando la manifestazione dei suoi poteri messianici (cfr. Gv 2,1-5).

Maria educa i cristiani a vivere la fede come cammino impegnativo e coinvolgente, che, in tutte le età e le situazioni della vita, richiede audacia e perseveranza costante.

2. Alla fede di Maria è legata la sua docilità alla volontà divina.

Credendo alla Parola di Dio, ha potuto accoglierla pienamente nella sua esistenza e, mostrandosi disponibile al sovrano disegno divino, ha accettato tutto ciò che le era richiesto dall’Alto. La presenza della Vergine nella Chiesa incoraggia così i cristiani a mettersi ogni giorno in ascolto della Parola del Signore, per comprenderne nelle diverse vicende quotidiane il disegno di amore, cooperando fedelmente alla sua realizzazione.

3. Maria educa in tal modo la comunità dei credenti a guardare verso il futuro con pieno abbandono in Dio. Nell’esperienza personale della Vergine, la speranza si arricchisce di motivazioni sempre nuove. Sin dalla Annunciazione, Maria concentra nel Figlio di Dio incarnato nel suo seno verginale le attese dell’antico Israele. La sua speranza si rafforza nelle fasi successive della vita nascosta di Nazaret e del ministero pubblico di Gesù. La sua grande fede nella parola di Cristo, che aveva annunciato la sua risurrezione il terzo giorno, non l’ha fatta vacillare neppure di fronte al dramma della Croce: ella ha conservato la speranza nel compimento dell’opera messianica, attendendo senza tentennamenti, dopo le tenebre del Venerdì santo, il mattino della risurrezione.

Nel suo faticoso incedere nella storia, tra il "già" della salvezza ricevuta e il "non ancora" della sua piena realizzazione, la comunità dei credenti sa di poter contare sull’aiuto della "Madre della Speranza" che, avendo sperimentato la vittoria di Cristo sulle potenze della morte, le comunica una capacità sempre nuova di attesa del futuro di Dio e di abbandono alle promesse del Signore.

4. L’esempio di Maria fa meglio apprezzare alla Chiesa il valore del silenzio. Il silenzio di Maria non è solo sobrietà nel parlare, ma soprattutto capacità sapienziale di fare memoria e di raccogliere in uno sguardo di fede il mistero del Verbo fatto uomo e gli eventi della sua esistenza terrena.

E’ questo silenzio-accoglienza della Parola, questa capacità di meditare sul mistero di Cristo, che Maria trasmette al popolo credente. In un mondo pieno di frastuono e di messaggi d’ogni genere, la sua testimonianza fa apprezzare un silenzio spiritualmente ricco e promuove lo spirito contemplativo.

Maria testimonia il valore di un’esistenza umile e nascosta. Tutti esigono normalmente, e quasi talora pretendono, di poter valorizzare appieno la propria persona e le proprie qualità. Tutti sono sensibili alla stima e all’onore. I Vangeli riferiscono a più riprese che gli Apostoli ambivano i primi posti nel regno, discutevano tra loro chi fosse il più grande e che Gesù dovette dar loro in proposito lezioni sulla necessità dell’umiltà e del servizio (cfr. Mt 18,1-5; 20,20-28;

Mc 9,33-37; 10,35-45; Lc 9,46-48; 22,24-27). Maria, al contrario, non ha mai desiderato gli onori e i vantaggi di una posizione privilegiata; ha sempre cercato di compiere la volontà divina conducendo un’esistenza secondo il piano salvifico del Padre. A quanti non di rado sentono il peso di un’esistenza apparentemente insignificante, Maria svela quanto possa essere preziosa la vita, se vissuta per amore di Cristo e dei fratelli.

5. Maria, inoltre, testimonia il valore di una vita pura e piena di tenerezza per tutti gli uomini. La bellezza della sua anima, totalmente donata al Signore, è oggetto di ammirazione per il popolo cristiano. In Maria la comunità cristiana ha sempre visto un ideale di donna, piena di amore e di tenerezza, perché ha vissuto nella purezza del cuore e della carne.

Di fronte al cinismo di una certa cultura contemporanea che, troppo spesso, sembra non riconoscere il valore della castità e banalizza la sessualità separandola dalla dignità della persona e dal progetto di Dio, la Vergine Maria propone la testimonianza di una purezza che illumina la coscienza e conduce ad un amore più grande per le creature e per il Signore.

6. E ancora: ai cristiani di tutti i tempi, Maria appare come colei che prova per le sofferenze dell’umanità una viva compassione. Tale compassione non consiste soltanto in una partecipazione affettiva, ma si traduce in un aiuto efficace e concreto di fronte alle miserie materiali e morali dell’umanità.

La Chiesa, seguendo Maria, è chiamata ad assumere un identico atteggiamento verso i poveri e tutti i sofferenti della terra. L’attenzione materna della Madre del Signore alle lacrime, ai dolori ed alle difficoltà degli uomini e delle donne di tutti i tempi, deve stimolare i cristiani, in particolar modo all’avvicinarsi del terzo millennio, a moltiplicare i segni concreti e visibili di un amore che faccia partecipare gli umili e i sofferenti di oggi alle promesse e alle speranze del mondo nuovo che nasce dalla Pasqua.

7. L’affetto e la devozione degli uomini per la Madre di Gesù travalicano i confini visibili della Chiesa e spingono gli animi a sentimenti di riconciliazione. Come una madre, Maria vuole l’unione di tutti i suoi figli. La sua presenza nella Chiesa costituisce un invito a conservare l’unanimità di cuore che regnava nella prima comunità (cfr. At 1,14) e, in conseguenza, a cercare anche le vie dell’unità e della pace tra tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Nella sua intercessione presso il Figlio, Maria chiede la grazia dell’unità del genere umano, in vista della costruzione della civiltà dell’amore, superando le tendenze alla divisione, le tentazioni della vendetta e dell’odio, e il fascino perverso della violenza.

8. Il sorriso materno della Vergine, riprodotto in tanta parte dell’iconografia mariana, manifesta una pienezza di grazia e di pace che vuole comunicarsi. Tale manifestazione di serenità dello spirito contribuisce efficacemente a conferire un volto gioioso alla Chiesa. Accogliendo nell’Annunciazione l’invito dell’angelo a rallegrarsi, (chàire=rallegrati: Lc 1,28), Maria partecipa per prima alla gioia messianica, già predetta dai profeti per la "figlia di Sion" (cfr. Is 12,6; Sof 3,14-15; Zac 9,8) e la trasmette all’umanità di ogni tempo. Il popolo cristiano, invocandola come "causa nostrae laetitiae", scopre in lei la capacità di comunicare la gioia che nasce dalla speranza, anche in mezzo alle prove della vita, e di guidare chi a lei si affida alla letizia che non avrà fine.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:38

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"MARIA E IL VALORE DELLA DONNA"

Mercoledì 29 Novembre 1995

 

1. La dottrina mariana, ampiamente sviluppata nel nostro secolo sotto l’aspetto teologico e spirituale, ha assunto recentemente nuova importanza sotto l’aspetto sociologico e pastorale, anche per la miglior comprensione del ruolo della donna nella comunità cristiana e nella società, come emerge da non pochi, significativi interventi del Magistero.

Sono note le parole del messaggio che, a conclusione del Concilio Vaticano II, l’8 dicembre 1965, i Padri indirizzarono alle donne di tutto il mondo: "Viene l’ora, l’ora è venuta, in cui la vocazione della donna si svolge con pienezza, l’ora in cui la donna acquista nella società un’influenza, un irradiamento, un potere finora mai registrato" (Ench. Vat. 1, 307).

Ho ribadito tali affermazioni, qualche anno più tardi, nell’Enciclica Mulieris dignitatem: "La dignità della donna e la sua vocazione - oggetto costante della riflessione umana e cristiana - hanno assunto un rilievo tutto particolare negli anni più recenti" (n. 1).

Il ruolo e la dignità della donna sono stati particolarmente rivendicati, in questo secolo, dal movimento femminista, che ha inteso reagire, talora in forme vibrate, contro tutto ciò che, nel passato e nel presente, ha ostacolato la valorizzazione e il pieno sviluppo della personalità femminile, nonché la sua partecipazione alle molteplici manifestazioni della vita sociale e politica. Si tratta di istanze, in gran parte legittime, che hanno contribuito ad una più equilibrata visione della questione femminile nel mondo contemporaneo. Verso tali istanze la Chiesa, soprattutto in epoca recente, ha mostrato singolare attenzione, incoraggiata anche dal fatto che la figura di Maria, se letta alla luce della sua vicenda evangelica, costituisce una valida risposta al desiderio di emancipazione della donna: Maria è l’unica persona umana che realizza in maniera eminente il progetto d’amore divino riguardo all’umanità.

2. Tale progetto si manifesta già nell’Antico Testamento, con il racconto della creazione, che presenta la prima coppia creata ad immagine di Dio stesso: "Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò" (Gn 1,27). La donna, quindi, non meno dell’uomo, porta in sé la somiglianza con Dio. Vale anche per lei, dal suo apparire sulla terra come risultato dell’opera divina, l’apprezzamento: "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona" (Gn 1,31). Secondo tale prospettiva, la diversità fra l’uomo e la donna non implica inferiorità di questa, né ineguaglianza, ma costituisce un elemento di novità che arricchisce il disegno divino, manifestandosi come cosa "molto buona". Eppure l’intento divino va ben al di là di quello che rivela il Libro della Genesi. In Maria, infatti, Dio ha fatto sorgere una personalità femminile che supera di molto la condizione ordinaria della donna, così come emerge nella creazione di Eva. L’eccellenza unica di Maria nel mondo della grazia e la sua perfezione sono frutti della particolare benevolenza divina che vuole elevare tutti, uomini e donne, alla perfezione morale ed alla santità proprie dei figli adottivi di Dio. Maria è la "benedetta fra tutte le donne"; tuttavia, della sua sublime dignità nel piano divino partecipa, in qualche modo, ogni donna.

3. Il dono singolare fatto alla Madre del Signore non soltanto testimonia quello che potremmo chiamare il rispetto di Dio per la donna, ma evidenzia, altresì, la considerazione profonda che vi è nei disegni divini per il suo ruolo insostituibile nella storia dell’umanità.

Le donne hanno bisogno di scoprire questa stima divina per prendere sempre più coscienza della loro elevata dignità. La situazione storica e sociale che ha provocato la reazione del femminismo era caratterizzata da una mancanza di apprezzamento per il valore della donna, costretta spesso ad un ruolo di secondo piano o addirittura marginale. Questo non le ha permesso di esprimere pienamente le ricchezze di intelligenza e di saggezza che racchiude la femminilità. Nel corso della storia, infatti, le donne non di rado hanno sofferto di scarsa considerazione per quanto concerne le loro capacità e, talora, persino di disprezzo e di ingiusti pregiudizi. Si tratta di uno stato di cose che, nonostante significative modifiche, permane purtroppo anche oggi in non poche Nazioni e in non pochi ambienti del mondo.

4. La figura di Maria manifesta una tale stima di Dio per la donna da privare di fondamento teoretico ogni forma di discriminazione. L’opera mirabile compiuta dal Creatore in Maria offre agli uomini ed alle donne la possibilità di scoprire dimensioni prima non abbastanza percepite della loro condizione. Guardando alla Madre del Signore, le donne potranno meglio comprendere la loro dignità e la grandezza della loro missione. Ma anche gli uomini, alla luce della Vergine Madre, potranno avere una visione più completa ed equilibrata della loro identità, della famiglia e della società. L’attenta considerazione della figura di Maria, così come ce la presenta la Sacra Scrittura letta nella fede dalla Chiesa, è ancora più necessaria di fronte alla svalutazione che, talora, ne è stata fatta da alcune correnti femministe. La Vergine di Nazaret è stata presentata, in alcuni casi, come il simbolo della personalità femminile racchiusa in un orizzonte domestico ristretto ed angusto. Maria, al contrario, costituisce il modello del pieno sviluppo della vocazione della donna, avendo esercitato, nonostante i limiti oggettivi posti dalla sua condizione sociale, un influsso immenso sul destino dell’umanità e sulla trasformazione della società.

5. La dottrina mariana, inoltre, può mettere in luce i molteplici modi con cui la vita della grazia promuove la bellezza spirituale della donna.

Dinanzi al vergognoso sfruttamento di chi talvolta rende la donna oggetto senza dignità, destinato alla soddisfazione di turpi passioni, Maria riafferma il senso sublime della bellezza femminile, dono e riflesso della bellezza di Dio.

E’ vero che la perfezione della donna, così come si è realizzata appieno in Maria, può sembrare a prima vista un caso eccezionale, senza possibilità d’imitazione, un modello troppo alto per essere imitato. Di fatto, la santità unica di Colei che dal primo istante ha ricevuto il privilegio della concezione immacolata, è stata considerata talvolta come segno di una distanza invalicabile. Ma, al contrario, l’eccelsa santità di Maria, lungi dall’essere un freno sulla via della sequela del Signore, è destinata, nel disegno divino, a incoraggiare tutti i cristiani ad aprirsi alla potenza santificatrice della grazia di Dio, cui nulla è impossibile. In Maria, pertanto, tutti sono chiamati a una fiducia totale nell’onnipotenza divina, che trasforma i cuori, guidandoli verso una disponibilità piena al suo provvidenziale progetto d’amore.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:39

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"RUOLO DELLA DONNA ALLA LUCE DI MARIA"

Mercoledì 6 Dicembre 1995

1. Come ho già avuto modo di illustrare nelle precedenti catechesi, il ruolo affidato dal disegno divino di salvezza a Maria, illumina la vocazione della donna nella vita della Chiesa e della società, definendone la differenza rispetto all’uomo. Il modello costituito in Maria, infatti, mostra chiaramente ciò che è specifico della personalità femminile.

In tempi recenti, alcune correnti del movimento femminista, nell’intento di favorire l’emancipazione della donna, hanno mirato ad assimilarla in tutto all’uomo. Ma l’intenzione divina manifestata nella creazione, pur volendo la donna uguale all’uomo per dignità e valore, ne afferma nel contempo con chiarezza la diversità e la specificità. L’identità della donna non può consistere nell’essere una copia dell’uomo, essendo dotata di qualità e prerogative proprie, che le conferiscono una sua autonoma peculiarità, sempre da promuovere e da incoraggiare.

Queste prerogative e peculiarità della personalità femminile hanno raggiunto in Maria il pieno sviluppo. La pienezza della grazia divina infatti favoriva in lei ogni capacità naturale tipica della donna. Il ruolo di Maria nell’opera della salvezza è totalmente dipendente da quello di Cristo. Si tratta di una funzione unica, richiesta dal compimento del mistero della Incarnazione: la maternità di Maria era necessaria per dare al mondo il Salvatore, vero Figlio di Dio, ma anche perfettamente uomo.

L’importanza della cooperazione della donna alla venuta di Cristo viene posta in evidenza nell’iniziativa di Dio che, mediante l’angelo, comunica alla Vergine di Nazaret il suo disegno di salvezza, affinché essa vi possa cooperare in modo consapevole e libero, esprimendo il proprio consenso generoso.

Si realizza qui il modello più alto della collaborazione responsabile della donna alla redenzione dell’uomo - di tutto l’uomo -, che costituisce il riferimento trascendente per ogni affermazione sul ruolo e la funzione della donna nella storia.

2. Nel realizzare tale sublime forma di cooperazione, Maria indica anche lo stile attraverso il quale la donna deve concretizzare la sua missione.

Di fronte all’annuncio dell’angelo, la Vergine non manifesta alcun atteggiamento di orgogliosa rivendicazione, né intende soddisfare personali ambizioni. Luca ce la presenta desiderosa soltanto di offrire il suo umile servizio con totale e fiduciosa disponibilità al disegno divino di salvezza. E’ questo il senso della risposta:

"Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38).

Non si tratta infatti di un’accoglienza puramente passiva, dal momento che il suo consenso viene dato solo dopo aver manifestato la difficoltà che nasce dal suo proposito di verginità, ispirato dalla volontà di appartenere più integralmente al Signore. Ricevuta la risposta dell’angelo, Maria esprime immediatamente la sua disponibilità, conservando un atteggiamento di umile servizio. E’ l’umile, prezioso servizio che tante donne, sull’esempio di Maria, hanno offerto e continuano ad offrire nella Chiesa per lo sviluppo del regno di Cristo.

3. La figura di Maria ricorda alle donne di oggi il valore della maternità. Non sempre nel mondo contemporaneo si dà a tale valore l’opportuno ed equilibrato rilievo. In alcuni casi, la necessità del lavoro femminile per provvedere alle accresciute esigenze della famiglia e un erroneo concetto di libertà, che vede nella cura dei figli un ostacolo alla autonomia ed alle possibilità di affermazione della donna, hanno offuscato il significato della maternità per lo sviluppo della personalità femminile. In altri casi, al contrario, l’aspetto della generazione biologica diventa talmente rilevante da porre in ombra le altre significative possibilità che la donna ha di esprimere la sua innata vocazione ad essere madre. In Maria, ci è dato di capire il vero significato della maternità che, all’interno del disegno divino di salvezza, raggiunge la sua dimensione più alta. Per lei l’essere madre non solo dona alla personalità femminile, fondamentalmente orientata verso il dono della vita, il suo pieno sviluppo, ma costituisce, altresì, una risposta di fede alla vocazione propria della donna, che assume il suo valore più vero solo alla luce dell’alleanza con Dio (cfr. Mulieris dignitatem, 19).

4. Guardando attentamente a Maria, noi scopriamo in lei anche il modello della verginità vissuta per il Regno. Vergine per eccellenza, nel suo cuore ella ha maturato il desiderio di vivere in tale stato per raggiungere una intimità sempre più profonda con Dio.

Per le donne chiamate alla castità verginale, Maria, rivelando l’alto significato di così speciale vocazione, attira l’attenzione sulla fecondità spirituale che essa comporta nel piano divino: una maternità di ordine superiore, una maternità secondo lo Spirito (cfr. Mulieris dignitatem, 21).

Il cuore materno di Maria, aperto a tutte le miserie umane, ricorda altresì alle donne che lo sviluppo della personalità femminile richiede l’impegno nella carità. Più sensibile ai valori del cuore, la donna mostra un’alta capacità di dono personale. A quanti nella nostra epoca, propongono modelli egoistici per l’affermazione della personalità femminile, la figura luminosa e santa della Madre del Signore mostra come solo nel donarsi e nel dimenticarsi per gli altri è possibile raggiungere la realizzazione autentica del progetto divino sulla propria vita. La presenza di Maria, pertanto, incoraggia nelle donne i sentimenti di misericordia e di solidarietà per le situazioni umane dolorose, e suscita la volontà di alleviare le pene di coloro che soffrono: i poveri, gli infermi e quanti hanno bisogno di soccorso. In virtù del particolare legame con Maria, la donna nel corso della storia ha rappresentato spesso la vicinanza di Dio alle attese di bontà e di tenerezza dell’umanità ferita dall’odio e dal peccato, seminando nel mondo i germi di una civiltà che sa rispondere alla violenza con l’amore.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:40

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"PRESENZA DI MARIA NEL CONCILIO VATICANO II"

 

Mercoledì, 13 dicembre 1995

 

1. Vorrei oggi soffermarmi a riflettere sulla particolare presenza della Madre della Chiesa in un evento ecclesiale che è sicuramente il più importante del nostro secolo: il Concilio Ecumenico Vaticano II, iniziato da Papa Giovanni XXIII, la mattina dell’11 ottobre 1962, e concluso da Paolo VI, l’8 dicembre 1965.

Una singolare intonazione mariana caratterizza in effetti l’Assise conciliare, sin dalla sua indizione. Già nella Lettera Apostolica "Celebrandi Concilii Oecumenici", il mio venerato predecessore, il Servo di Dio, Giovanni XXIII aveva raccomandato il ricorso alla potente intercessione di Maria, "Madre della grazia e patrona celeste del Concilio" [11 aprile 1961, AAS 53 (1961) 242]. Successivamente, nel 1962, nella festa della Purificazione di Maria, Papa Giovanni fissava l’apertura del Concilio all’11 ottobre, spiegando di aver scelto questa data in ricordo del grande Concilio di Efeso, che, proprio in tale data, aveva proclamato Maria "Theotokos", Madre di Dio [Motu proprio Concilium; AAS 54 (1962) 67-68]. Alla "Soccorritrice dei Cristiani, Soccorritrice dei Vescovi" il Papa affidava poi, nel discorso di apertura, il Concilio stesso implorando la sua materna assistenza per il felice compimento dei lavori conciliari [AAS 54 (1962) 795].

A Maria rivolgono espressamente il loro pensiero anche i Padri del Concilio che, nel messaggio al mondo, all’apertura delle sessioni conciliari, affermano: "Noi, successori degli Apostoli, tutti quanti uniti in preghiera con Maria, Madre di Gesù, formiamo un solo corpo apostolico" (Acta Synodalia, I,I,254), ricollegandosi in tal modo, nella comunione con Maria, alla Chiesa primitiva in attesa dello Spirito Santo (cfr. At 1,14).

2. Nella seconda sessione del Concilio fu proposto di introdurre la trattazione sulla beata Vergine Maria nella Costituzione sulla Chiesa. Iniziativa che, anche se espressamente raccomandata dalla Commissione teologica, suscitò diversità di pareri.

Alcuni, considerandola insufficiente per evidenziare la specialissima missione della Madre di Gesù nella Chiesa, sostenevano che solo un documento separato avrebbe potuto esprimerne la dignità, la preminenza, l’eccezionale santità e il ruolo singolare di Maria nella Redenzione operata dal Figlio. Ritenendo, inoltre, Maria in un certo modo al di sopra della Chiesa, manifestavano il timore che la scelta di inserire la dottrina mariana nella trattazione sulla Chiesa, non mettesse sufficientemente in evidenza i privilegi di Maria, riducendo la sua funzione al livello degli altri membri della Chiesa (Acta Synodalia, II,III,338-342).

Altri, invece, si esprimevano in favore della proposta della Commissione teologica, mirante ad inserire in un unico documento l’esposizione dottrinale su Maria e sulla Chiesa. Secondo questi ultimi, tali realtà non potevano essere separate in un Concilio che, prefiggendosi la riscoperta della identità e della missione del Popolo di Dio, doveva mostrarne la connessione intima con Colei che è tipo ed esempio della Chiesa nella verginità e nella maternità. La Beata Vergine, infatti, nella sua qualità di membro eminente della Comunità ecclesiale, occupa un posto speciale nella dottrina della Chiesa. Inoltre, ponendo l’accento sul nesso fra Maria e la Chiesa, si rendeva più comprensibile ai cristiani della Riforma la dottrina mariana proposta dal Concilio (Acta Synodalia, II,III,343-345). I Padri conciliari, animati dal medesimo amore per Maria, tendevano così a privilegiare, esprimendo posizioni dottrinali differenti, aspetti diversi della sua figura. Gli uni contemplavano Maria principalmente nel suo rapporto a Cristo, gli altri la consideravano piuttosto in quanto membro della Chiesa.

3. Dopo un confronto denso di dottrina e attento alla dignità della Madre di Dio ed alla sua particolare presenza nella vita della Chiesa, si decise di inserire la trattazione mariana all’interno del documento conciliare sulla Chiesa (cfr. AS II,III,627).

Il nuovo schema sulla Beata Vergine, elaborato per essere integrato nella Costituzione Dogmatica sulla Chiesa, manifesta un reale progresso dottrinale. L’accento posto sulla fede di Maria e una preoccupazione più sistematica di fondare la dottrina mariana sulla Scrittura, costituiscono elementi significativi ed utili ad arricchire la pietà e la considerazione del popolo cristiano per la benedetta Madre di Dio.

Col passare del tempo, inoltre, i pericoli di riduzionismo, paventati da alcuni Padri, si sono rivelati infondati: la missione e i privilegi di Maria sono stati ampiamente riaffermati; la sua cooperazione al piano divino di salvezza è stata posta in rilievo; l’armonia di tale cooperazione con l’unica mediazione di Cristo è apparsa più evidente.

Per la prima volta, inoltre, il Magistero conciliare proponeva alla Chiesa una esposizione dottrinale sul ruolo di Maria nell’opera redentiva di Cristo e nella vita della Chiesa. Dobbiamo, quindi, ritenere l’opzione dei Padri conciliari, rivelatasi molto feconda per il successivo lavoro dottrinale, una decisione veramente provvidenziale.

4. Nel corso delle sessioni conciliari, emerse il voto di molti Padri di arricchire ulteriormente la dottrina mariana con altre affermazioni sul ruolo di Maria nell’opera della salvezza. Il particolare contesto in cui si svolse il dibattito mariologico del Vaticano II non permise l’accoglienza di tali desideri, pur consistenti e diffusi, ma il complesso della elaborazione conciliare su Maria rimane vigorosa ed equilibrata e gli stessi temi, non pienamente definiti, hanno ottenuto significativi spazi nella trattazione complessiva.

Così, le esitazioni di alcuni Padri dinanzi al titolo di Mediatrice non hanno impedito al Concilio di usare una volta tale titolo, e di affermare in altri termini la funzione mediatrice di Maria dal consenso all’annuncio dell’angelo alla maternità nell’ordine della grazia (cfr. LG, 62). Inoltre, il Concilio afferma la sua cooperazione "in modo tutto speciale" all’opera che restaura la vita soprannaturale delle anime (LG, 61). Infine, anche se evita di usare il titolo di "Madre della Chiesa", il testo della "Lumen gentium" chiaramente sottolinea la venerazione della Chiesa verso Maria come Madre amantissima.

Dall’intera esposizione del Capitolo VIII della Costituzione dogmatica sulla Chiesa, risulta chiaro che le cautele terminologiche non hanno intralciato l’esposizione di una dottrina di fondo molto ricca e positiva, espressione della fede e dell’amore per Colei che la Chiesa riconosce Madre e Modello della sua vita. D’altro canto, i differenti punti di vista dei Padri, emersi nel corso del dibattito conciliare, si sono rivelati provvidenziali, perché fondendosi in armonica composizione hanno offerto alla fede ed alla devozione del Popolo cristiano una presentazione più completa ed equilibrata della mirabile identità della Madre del Signore e del suo ruolo eccezionale nell’opera della redenzione.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:41

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"SCOPO E METODO DELL’ESPOSIZIONE DELLA DOTTRINA MARIANA"

 

 

Mercoledì, 3 gennaio 1996

 

1. Seguendo la Costituzione dogmatica "Lumen Gentium" che, nel capitolo VIII, ha inteso "illustrare attentamente sia la funzione della beata Vergine nel mistero del Verbo Incarnato e del Corpo mistico, sia i doveri degli uomini redenti verso la Madre di Dio", vorrei offrire in queste mie catechesi una sintesi essenziale della fede della Chiesa su Maria, pur riaffermando col Concilio di non volere "proporre una dottrina esauriente", né "dirimere questioni dai teologi non ancora pienamente illustrate" (LG, 54).

È mio intento descrivere, innanzitutto, "la funzione della beata Vergine nel mistero del Verbo Incarnato e del Corpo Mistico" (LG, 54), ricorrendo ai dati della Scrittura e della Tradizione apostolica e tenendo conto dello sviluppo dottrinale che si è prodotto nella Chiesa fino ai nostri giorni.

Essendo, inoltre, il ruolo di Maria nella storia della salvezza strettamente collegato al mistero di Cristo e della Chiesa, non perderò di vista tali riferimenti essenziali che, offrendo alla dottrina mariana la giusta collocazione, permettono di scoprirne la vasta ed inesauribile ricchezza.

L’esplorazione del mistero della Madre del Signore è veramente molto ampia ed ha impegnato nel corso dei secoli molti pastori e teologi. Alcuni, nel tentativo di mettere in risalto gli aspetti centrali della mariologia, l’hanno talvolta trattata insieme alla cristologia o alla ecclesiologia. Ma, pur tenendo conto della sua relazione con tutti i misteri della fede, Maria merita una trattazione specifica che ne metta in evidenza la persona e la funzione nella storia della salvezza alla luce della Bibbia e della tradizione ecclesiale.

2. Sembra inoltre utile, seguendo le indicazioni conciliari, esporre accuratamente "i doveri degli uomini redenti verso la Madre di Dio, Madre di Cristo e Madre degli uomini, specialmente dei fedeli" (LG, 54).

Il ruolo assegnato a Maria dal disegno divino di salvezza richiede, infatti, ai cristiani non solo accoglienza ed attenzione, ma anche scelte concrete che traducano nella vita gli atteggiamenti evangelici di Colei che precede la Chiesa nella fede e nella santità. La Madre del Signore è destinata così ad esercitare un influsso speciale sul modo di pregare dei fedeli. La stessa liturgia della Chiesa ne riconosce il posto singolare nella devozione e nell’esistenza di ogni credente.

Occorre sottolineare che la dottrina e il culto mariano non sono frutti del sentimentalismo. Il mistero di Maria è una verità rivelata che s’impone all’intelligenza dei credenti ed esige da coloro che nella Chiesa hanno il compito dello studio e dell’insegnamento un metodo di riflessione dottrinale non meno rigoroso di quello usato in tutta la teologia.

Del resto, Gesù stesso aveva invitato i suoi contemporanei a non lasciarsi guidare dall’entusiasmo nel considerare sua madre, riconoscendo in Maria soprattutto colei che è beata perché ascolta la parola di Dio e la mette in pratica (cf. Lc 11,28).

Non solo l’affetto, ma soprattutto la luce dello Spirito deve guidarci a capire la Madre di Gesù e il suo contributo all’opera di salvezza.

3. Sulla misura e sull’equilibrio da salvaguardare nella dottrina come nel culto mariano, il Concilio esorta caldamente i teologi ed i predicatori della parola divina, "ad astenersi con ogni cura da qualunque falsa esagerazione..." (LG, 67).

Queste provengono da quanti incorrono in un atteggiamento massimalistico, che pretende di estendere sistematicamente a Maria le prerogative di Cristo e tutti i carismi della Chiesa.

È necessario, invece, salvaguardare sempre, nella dottrina mariana l’infinita differenza esistente fra la persona umana di Maria e la persona divina di Gesù. Attribuire a Maria il "massimo" non può diventare una norma della mariologia, che deve fare costante riferimento a quanto la Rivelazione testimonia circa i doni fatti da Dio alla Vergine a motivo della sua eccelsa missione.

Analogamente, il Concilio esorta teologi e predicatori ad "astenersi dalla grettezza di mente" (LG, 67), cioè dal pericolo del minimalismo che può manifestarsi in posizioni dottrinali, in interpretazioni esegetiche e in atti di culto, tendenti a ridurre e quasi a vanificare l’importanza di Maria nella storia della salvezza, la sua verginità perpetua e la sua santità.

Conviene sempre evitare simili posizioni estreme in virtù di una coerente e sincera fedeltà alla verità rivelata, così come è espressa nella Scrittura e nella Tradizione apostolica.

4. Lo stesso Concilio ci offre un criterio che permette di discernere l’autentica dottrina mariana: "Nella Chiesa, Maria occupa, dopo Cristo, il posto più alto e il più vicino a noi" (LG, 54).

Il posto più alto: dobbiamo scoprire questa altezza conferita a Maria nel mistero della salvezza. Si tratta, però, di una vocazione totalmente riferita a Cristo.

Il posto più vicino a noi: la nostra vita è profondamente influenzata dall’esempio e dall’intercessione di Maria. Dobbiamo però interrogarci sul nostro sforzo di essere vicini a lei. L’intera pedagogia della storia della salvezza ci invita a guardare alla Vergine. L’ascesi cristiana di ogni epoca invita a pensare a lei come a modello di perfetta adesione alla volontà del Signore. Modello eletto di santità, Maria guida i passi dei credenti nel cammino verso il Paradiso.

Mediante la sua prossimità alle vicende della nostra storia quotidiana Maria ci sostiene nelle prove, ci incoraggia nelle difficoltà, sempre additandoci la meta dell’eterna salvezza. Emerge in tal modo sempre più evidente il suo ruolo di Madre: Madre del suo Figlio Gesù, Madre tenera e vigile per ognuno di noi, ai quali dalla Croce il Redentore l’ha affidata perché l’accogliessimo come figli nella fede.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:41

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"MARIA IN PROSPETTIVA TRINITARIA"

 

Mercoledì, 10 gennaio 1996

 

1. Il capitolo VIII della Costituzione Lumen Gentium indica nel mistero di Cristo il riferimento necessario e imprescindibile della dottrina mariana. Significative sono, in proposito, le prime parole del Proemio: "Volendo Dio misericordiosissimo e sapientissimo compiere la redenzione del mondo, quando venne la pienezza del tempo, mandò il suo Figlio, nato da donna... affinché ricevessimo l’adozione in figliuoli (Gal 4,4-5)" (LG, 52). Questo Figlio è il Messia, atteso dal popolo dell’Antica Alleanza, mandato dal Padre in un momento decisivo della storia, la "pienezza del tempo" (Gal 4,4), che coincide con la sua nascita nel nostro mondo da una donna. Colei che ha introdotto nell’umanità il Figlio eterno di Dio non potrà mai essere separata da Colui che si trova al centro del disegno divino attuato nella storia.

Il primato di Cristo è manifestato nella Chiesa, suo mistico Corpo: in essa infatti "i fedeli aderiscono a Cristo Capo e sono in comunione con tutti i suoi santi" (cf. LG, 52). È Cristo che attrae a sé tutti gli uomini. Essendo, nel suo ruolo materno, intimamente unita a suo Figlio, Maria contribuisce ad orientare verso di lui lo sguardo e il cuore dei credenti.

Ella è la via che conduce a Cristo: infatti, Colei che "all’annuncio dell’angelo accolse nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio" (LG, 53) ci mostra come accogliere nella nostra esistenza il Figlio disceso dal cielo, educandoci a fare di Gesù il centro e la "legge" suprema della nostra esistenza.

2. Maria ci aiuta, altresì, a scoprire, all’origine di tutta l’opera della salvezza, l’azione sovrana del Padre che chiama gli uomini a diventare figli nell’unico Figlio. Evocando le bellissime espressioni della Lettera agli Efesini: "Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo" (Ef 2,4), il Concilio attribuisce a Dio il titolo di "misericordiosissimo": il Figlio "nato da donna" appare, così, come frutto della misericordia del Padre, e fa capire meglio come questa Donna sia "madre di misericordia".

Nel medesimo contesto, il Concilio chiama pure Dio "sapientissimo", suggerendo una particolare attenzione allo stretto legame esistente fra Maria e la sapienza divina che, nel suo arcano disegno, ha voluto la maternità della Vergine.

3. Il testo conciliare ci ricorda altresì il singolare vincolo che unisce Maria allo Spirito Santo, con le parole del Simbolo Niceno-costantinopolitano che recitiamo nella Liturgia eucaristica: "Egli per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso dal cielo, e si incarnò per opera dello Spirito Santo da Maria Vergine".

Esprimendo l’immutata fede della Chiesa, il Concilio ci ricorda che la prodigiosa incarnazione del Figlio è avvenuta nel seno della Vergine Maria senza concorso di uomo, per opera dello Spirito Santo.

Il Proemio del capitolo VIII della Lumen Gentium indica, così, nella prospettiva trinitaria una dimensione essenziale della dottrina mariana. Tutto, infatti, viene dalla volontà del Padre, che ha inviato il Figlio nel mondo, manifestandolo agli uomini e costituendolo Capo della Chiesa e centro della storia. Si tratta di un disegno che si è compiuto con l’Incarnazione, opera dello Spirito Santo, ma con il concorso essenziale di una donna, Maria Vergine, entrata così ad essere parte integrante nella economia della comunicazione della Trinità al genere umano.

4. La triplice relazione di Maria con le Persone divine è ribadita con parole precise anche nella illustrazione del tipico rapporto che lega la Madre del Signore alla Chiesa: "È insignita del sommo officio e dignità di Madre del Figlio di Dio, e perciò figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito Santo" (LG, 53).

La dignità fondamentale di Maria è quella di "Madre del Figlio", che viene espressa nella dottrina e nel culto cristiano con il titolo di "Madre di Dio".

Si tratta di una qualifica sorprendente, che manifesta l’umiltà del Figlio unigenito di Dio nella sua Incarnazione, e, in connessione con questa, il sommo privilegio concesso alla creatura chiamata a generarlo nella carne.

Madre del Figlio, Maria è "figlia prediletta del Padre" in modo unico. A lei è concessa una somiglianza del tutto speciale tra la sua maternità e la paternità divina.

E ancora: ogni cristiano è "Tempio dello Spirito Santo", secondo l’espressione dell’apostolo Paolo (1Cor 6,19). Ma questa affermazione assume un significato eccezionale in Maria: in lei, infatti, la relazione con lo Spirito Santo si arricchisce della dimensione sponsale. L’ho ricordato nella Enciclica Redemptoris Mater: "Lo Spirito Santo è già sceso su di lei, che è diventata la fedele sua sposa nella annunciazione, accogliendo il Verbo di Dio vero..." (n. 26).

5. La relazione privilegiata di Maria con la Trinità le conferisce pertanto una dignità che supera di molto quella di tutte le altre creature. Lo ricorda espressamente il Concilio: per questo "dono di grazia esimia" Maria "precede di gran lunga tutte le altre creature" (LG, 53). Eppure, tale dignità altissima non impedisce che Maria sia solidale con ciascuno di noi. Prosegue infatti la Costituzione Lumen Gentium: "Insieme però è congiunta nella stirpe di Adamo con tutti gli uomini bisognosi di salvezza" ed è stata "redenta in modo sublime in considerazione dei meriti del Figlio suo" (LG, 53).

Emerge qui il significato autentico dei privilegi di Maria e dei suoi rapporti eccezionali con la Trinità: essi hanno lo scopo di renderla idonea a cooperare alla salvezza del genere umano. La grandezza incommensurabile della Madre del Signore rimane, pertanto, un dono dell’amore di Dio a tutti gli uomini. Proclamandola "beata" (Lc 1,48), le generazioni esaltano le "grandi cose" (Lc 1,49) che l’Onnipotente ha fatto in lei per l’umanità "ricordandosi della sua misericordia" (Lc 1,54).

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:42

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"MARIA NEL PROTOVANGELO"

 

Mercoledì, 24 gennaio 1996

 

1. "I libri dell’Antico Testamento descrivono la storia della salvezza, nella quale lentamente viene preparandosi la venuta di Cristo nel mondo. E questi primi documenti, come sono letti nella Chiesa e sono capiti alla luce dell’ulteriore e piena rivelazione, passo passo mettono sempre più chiaramente in luce la figura di una donna: la madre del Redentore" (Lumen Gentium, 55).

Con queste affermazioni il Concilio Vaticano II ci ricorda come la figura di Maria si sia venuta delineando fin dagli inizi della storia della salvezza. Essa si intravede già nei testi dell’Antico Testamento, ma si comprende pienamente solo quando questi "sono letti nella Chiesa" e capiti alla luce del Nuovo Testamento.

Lo Spirito Santo, infatti, ispirando i diversi autori umani, ha orientato la Rivelazione anticotestamentaria verso Cristo, che sarebbe venuto al mondo dal grembo della Vergine Maria.

2. Fra le parole bibliche che hanno preannunziato la Madre del Redentore, il Concilio cita anzitutto quelle con le quali Dio, dopo la caduta di Adamo ed Eva, rivela il suo piano di salvezza. Il Signore dice al serpente, figura dello spirito del male: "Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe; questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno" (Gen 3,15).

Tali espressioni, denominate dalla tradizione cristiana, fin dal secolo XVI, "Protovangelo", cioè prima Buona Novella, lasciano intuire la volontà salvifica di Dio sin dalle origini dell’umanità. Infatti, di fronte al peccato, secondo la narrazione dell’autore sacro, la prima reazione del Signore non è quella di castigare i colpevoli, ma di aprire loro una prospettiva di salvezza e di coinvolgerli attivamente nell’opera redentrice, mostrando la sua grande generosità anche verso chi lo aveva offeso.

Le parole del Protovangelo rivelano, inoltre, il singolare destino della donna che, pur avendo preceduto l’uomo nel cedere alla tentazione del serpente, diventa poi, in virtù del piano divino, la prima alleata di Dio. Eva era stata l’alleata del serpente per trascinare l’uomo nel peccato. Dio annuncia che, capovolgendo questa situazione, Egli farà della donna la nemica del serpente.

3. Gli esegeti sono ormai concordi nel riconoscere che il testo della Genesi, secondo l’originale ebraico, attribuisce l’azione contro il serpente non direttamente alla donna, ma alla stirpe di lei. Il testo dà comunque un grande risalto al ruolo che ella svolgerà nella lotta contro il tentatore: il vincitore del serpente sarà, infatti, sua progenie.

Chi è questa donna? Il testo biblico non riferisce il suo nome personale, ma lascia intravedere una donna nuova, voluta da Dio per riparare la caduta di Eva: ella è chiamata, infatti, a restaurare il ruolo e la dignità della donna e a contribuire al cambiamento del destino dell’umanità, collaborando mediante la sua missione materna alla vittoria divina su satana.

4. Alla luce del Nuovo Testamento e della tradizione della Chiesa, sappiamo che la donna nuova annunciata dal Protovangelo è Maria, e riconosciamo nella "sua stirpe" (Gen 3,15), il figlio, Gesù, trionfatore nel mistero della Pasqua sul potere di satana.

Osserviamo altresì che l’inimicizia, posta da Dio fra il serpente e la donna, si realizza in Maria in duplice modo. Alleata perfetta di Dio e nemica del diavolo, ella fu sottratta completamente al dominio di satana nell’immacolato concepimento, quando fu plasmata nella grazia dallo Spirito Santo e preservata da ogni macchia di peccato. Inoltre, associata all’ opera salvifica del Figlio, Maria è stata pienamente coinvolta nella lotta contro lo spirito del male.

Così, i titoli di Immacolata Concezione e di Cooperatrice del Redentore, attribuiti dalla fede della Chiesa a Maria per proclamare la sua bellezza spirituale e la sua intima partecipazione all’opera mirabile della redenzione, manifestano l’opposizione irriducibile fra il serpente e la nuova Eva.

5. Esegeti e teologi ritengono che la luce della nuova Eva, Maria, dalle pagine della Genesi si proietti su tutta l’economia della salvezza, e vedono già in quel testo il legame tra Maria e la Chiesa. Noi qui rileviamo con gioia che il termine "donna", usato in forma generica dal testo della Genesi, spinge ad associare alla Vergine di Nazaret e al suo compito nell’opera della salvezza specialmente le donne, chiamate, secondo il disegno divino, ad impegnarsi nella lotta contro lo spirito del male.

Le donne che, come Eva, potrebbero cedere alla seduzione di satana, dalla solidarietà con Maria ricevono una forza superiore per combattere il nemico, diventando le prime alleate di Dio sulla via della salvezza.

Questa alleanza misteriosa di Dio con la donna si manifesta in forme molteplici anche ai nostri giorni: nell’assiduità delle donne alla preghiera personale e al culto liturgico, nel servizio della catechesi e nella testimonianza della carità, nelle numerose vocazioni femminili alla vita consacrata, nell’educazione religiosa in famiglia...

Tutti questi segni costituiscono una attuazione molto concreta dell’oracolo del Protovangelo. Esso, infatti, suggerendo un’estensione universale del vocabolo "donna", entro e oltre i confini visibili della Chiesa, mostra che la vocazione unica di Maria è inseparabile dalla vocazione dell’umanità e, in particolare, da quella di ogni donna, che s’illumina alla missione di Maria, proclamata prima alleata di Dio contro satana e il male.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:42

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"ANNUNCIO DELLA MATERNITA’ MESSIANICA"

 

 

Mercoledì, 31 gennaio 1996

1. Trattando della figura di Maria nell’Antico Testamento, il Concilio (Lumen Gentium, 55) fa riferimento al noto testo di Isaia, che ha attirato in maniera particolare l’attenzione dei primi cristiani: "Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele" (Is 7,14).

Nel contesto dell’annuncio dell’angelo che invita Giuseppe a prendere con sé Maria, sua sposa, "perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo", Matteo attribuisce un significato cristologico e mariano all’oracolo. Infatti aggiunge: "Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi" (Mt 1,22-23).

2. Tale profezia nel testo ebraico non annuncia esplicitamente la nascita verginale dell’Emmanuele: il vocabolo usato (almah), infatti, significa semplicemente "una giovane donna", non necessariamente una vergine. Inoltre, è noto che la tradizione giudaica non proponeva l’ideale della verginità perpetua, né aveva mai espresso l’idea di una maternità verginale.

Nella traduzione greca, invece, il vocabolo ebraico fu reso col termine "parthenos", "vergine". In questo fatto, che potrebbe apparire semplicemente una particolarità di traduzione, dobbiamo riconoscere un misterioso orientamento dato dallo Spirito Santo alle parole di Isaia, per preparare la comprensione della nascita straordinaria del Messia. La traduzione col termine "vergine" si spiega in base al fatto che il testo di Isaia prepara con grande solennità l’annuncio del concepimento e lo presenta come un segno divino (Is 7,10-14), suscitando l’attesa di un concepimento straordinario. Orbene, che una giovane donna concepisca un figlio dopo essersi unita al marito non costituisce un fatto straordinario. D’altra parte, l’oracolo non accenna per niente al marito. Una simile formulazione suggeriva quindi l’interpretazione data poi nella versione greca.

3. Nel contesto originale, l’oracolo di Is 7, 14 costituiva la risposta divina a una mancanza di fede del re Achaz, il quale, dinanzi alla minaccia di una invasione degli eserciti dei re vicini, cercava la salvezza sua e del suo regno nella protezione dell’Assiria. Nel consigliargli di riporre la fiducia soltanto in Dio, rinunciando al temibile intervento assiro, il profeta Isaia lo invita da parte del Signore a un atto di fede nella potenza divina: "Chiedi un segno dal Signore tuo Dio...". Al rifiuto del re, che preferisce cercare la salvezza nei soccorsi umani, il profeta pronuncia il celebre oracolo: "Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta di stancare la pazienza degli uomini, perché ora vogliate stancare anche quella del mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele" (Is 7,13-14).

L’annuncio del segno dell’Emmanuele, "Dio-con-noi", implica la promessa della presenza divina nella storia che troverà pienezza di significato nel mistero dell’Incarnazione del Verbo.

4. Nell’annuncio della nascita prodigiosa dell’Emmanuele, l’indicazione della donna che concepisce e partorisce mostra una certa intenzione di associare la madre al destino del figlio un principe destinato a stabilire un regno ideale, il regno "messianico" e fa intravedere un disegno divino particolare, che pone in evidenza il ruolo della donna.

Il segno, infatti, non è soltanto il bambino, ma il concepimento straordinario, rivelato poi nel parto stesso, evento pieno di speranza, che sottolinea il ruolo centrale della madre.

L’oracolo dell’Emmanuele va compreso, inoltre, nella prospettiva aperta dalla promessa rivolta a David, promessa che si legge nel secondo Libro di Samuele. Qui il profeta Natan promette al re il favore divino per il suo discendente: "Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno. Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio" (2Sam 7,13-14).

Nei confronti della stirpe davidica, Dio vuole assumere un ruolo paterno, che manifesterà il suo pieno ed autentico significato nel Nuovo Testamento, con l’incarnazione del Figlio di Dio nella famiglia di Davide (cf. Rm 1,3).

5. Lo stesso profeta Isaia, in un altro testo molto conosciuto, ribadisce il carattere eccezionale della nascita dell’Emmanuele. Ecco le sue parole: "Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace" (9, 5). Il profeta esprime così, nella serie di nomi dati al bambino, le qualità del suo compito regale: sapienza, potenza, benevolenza paterna, azione pacificatrice.

La madre qui non è più indicata, ma l’esaltazione del figlio, che porta al popolo tutto ciò che può essere sperato nel regno messianico, si riversa anche sulla donna che lo ha concepito e partorito.

6. Anche un famoso oracolo di Michea allude alla nascita dell’Emmanuele. Dice il profeta: "E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui fino a quando colei che deve partorire partorirà..." (Mi 5,1-2). In queste parole risuona l’attesa di un parto ricolmo di speranza messianica, nel quale si evidenzia, ancora una volta, il ruolo della madre, esplicitamente ricordata e nobilitata dal mirabile evento che reca gioia e salvezza.

7. La maternità verginale di Maria è stata preparata in un modo più generale dal favore concesso da Dio agli umili e ai poveri (cf. Lumen Gentium, 55).

Questi, ponendo ogni loro fiducia nel Signore, anticipano col loro atteggiamento il significato profondo della verginità di Maria, che, rinunciando alla ricchezza della maternità umana, ha atteso da Dio tutta la fecondità della propria vita.

L’Antico Testamento non contiene, dunque, un annuncio formale della maternità verginale, rivelata pienamente solo dal Nuovo Testamento. Tuttavia l’oracolo di Isaia (Is 7,14) prepara la rivelazione di questo mistero ed è stato precisato in questo senso nella traduzione greca dell’Antico Testamento. Citando l’oracolo così tradotto, il Vangelo di Matteo ne proclama il perfetto adempimento per mezzo del concepimento di Gesù nel grembo verginale di Maria.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:43

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"LA MATERNITA’ VIENE DA DIO"

Mercoledì, 6 marzo 1996

 

1. La maternità è un dono di Dio. "Ho acquistato un uomo dal Signore" (Gn 4,1), esclama Eva dopo aver partorito Caino, il suo primogenito. Con queste parole il libro della Genesi presenta la prima maternità della storia dell’umanità come grazia e gioia che scaturiscono dalla bontà del Creatore.

2. Analogamente viene illustrata la nascita di Isacco, all’origine del popolo eletto.

Ad Abramo, privo di discendenza e ormai avanzato negli anni, Dio promette una posterità numerosa come le stelle del cielo (cf. Gen 15,5). La promessa è accolta dal patriarca con la fede che dischiude all’uomo il disegno di Dio: "Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia" (Gen 15,6).

Tale promessa è confermata dalle parole pronunciate dal Signore in occasione del Patto stabilito con Abramo: "Eccomi: la mia alleanza è con te e sarai padre di una moltitudine di popoli" (Gen 17,4).

Eventi straordinari e misteriosi sottolineano come la maternità di Sara sia soprattutto frutto della misericordia di Dio, che dona la vita al di là di ogni umana previsione: "Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni e re di popoli nasceranno da lei" (Gen 17,15-16).

La maternità è presentata come un dono decisivo del Signore: il patriarca e sua moglie riceveranno un nome nuovo per significare l’inattesa e meravigliosa trasformazione che Dio opererà nella loro vita.

3. La visita di tre misteriosi personaggi, nei quali i Padri della Chiesa hanno visto una prefigurazione della Trinità, annuncia in modo più concreto ad Abramo il compimento della promessa: "Il Signore apparve [ad Abramo] alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui" (Gen 18,1-2). Abramo obietta: "Ad uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età di novanta anni potrà partorire?" (Gen 17,17; cf. Gen 18,11-13). L’ospite divino risponde: "C’è forse qualche cosa impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te alla stessa data e Sara avrà un figlio" (Gen 18,14; cf. Lc 1,37).

Il racconto sottolinea l’effetto della visita divina che rende feconda un’unione coniugale, rimasta fino a quel momento sterile. Credendo nella promessa, Abramo diviene padre contro ogni speranza, e "padre nella fede" perché dalla sua fede "discende" quella del popolo eletto.

4. La Bibbia riporta altri racconti di donne liberate dalla sterilità e allietate dal Signore col dono della maternità. Si tratta di situazioni spesso angosciose, che l’intervento di Dio trasforma in esperienze di gioia accogliendo la preghiera accorata di chi umanamente è senza speranza. Rachele, ad esempio, "vedendo che non le era concesso di procreare figli a Giacobbe, divenne gelosa della sorella Lia e disse a Giacobbe: "Dammi dei figli, se no io muoio!". Giacobbe s’irritò contro di lei e disse: "Tengo forse io il posto di Dio, il quale ti ha negato il frutto del grembo?" (Gen 30,1-2).

Ma il testo biblico aggiunge subito che "Dio si ricordò anche di Rachele; Dio la esaudì e la rese feconda. Essa concepì e partorì un figlio" (Gen 30,22-23). Questo figlio, Giuseppe, svolgerà un ruolo molto importante per Israele al momento della trasmigrazione in Egitto.

In questo come in altri racconti, sottolineando la condizione di sterilità iniziale della donna, la Bibbia intende porre in risalto il carattere meraviglioso dell’intervento divino in questi casi particolari, ma lascia al tempo stesso intendere la dimensione di gratuità insita in ogni maternità.

5. Analogo procedimento troviamo nel racconto della nascita di Sansone. La moglie di Manoach, che non aveva mai potuto generare figli, riceve l’annuncio dall’angelo del Signore: "Ecco, tu sei sterile e non hai avuto figli, ma concepirai e partorirai un figlio" (Gdc 13,3). Il concepimento, inatteso e prodigioso, annuncia le grandi cose che il Signore compirà per mezzo di Sansone.

Nel caso di Anna, la madre di Samuele, viene sottolineato il ruolo particolare della preghiera. Anna vive l’umiliazione della sterilità, ma è animata da una grande fiducia in Dio, al quale si rivolge con insistenza perché l’aiuti a superare quella prova. Un giorno, recatasi al Tempio, esprime un voto: "Signore degli eserciti... se non dimenticherai la tua schiava e darai alla tua schiava un figlio maschio, io lo offrirò al Signore per tutti i giorni della sua vita... " (1Sam 1,11).

La sua preghiera venne esaudita: "Il Signore si ricordò di lei", che "concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele" (1Sam 1,19-20). Adempiendo il suo voto, Anna offrì suo figlio al Signore: "Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho chiesto. Perciò anch’io lo do in cambio al Signore: per tutti i giorni della sua vita egli è ceduto al Signore" (1Sam 1,27-28). Dato da Dio ad Anna e poi dato da Anna a Dio, il piccolo Samuele diventa un legame vivo di comunione tra Anna e Dio.

La nascita di Samuele è quindi esperienza di gioia e occasione di rendimento di grazie. Il primo Libro di Samuele riporta un inno, detto il "Magnificat" di Anna, che sembra anticipare quello di Maria: "Il mio cuore esulta nel Signore, la mia fronte s’innalza grazie al mio Dio..." (1Sam 2,1).

La grazia della maternità concessa ad Anna da Dio per la sua incessante preghiera, provoca in lei nuova generosità. La consacrazione di Samuele è la risposta riconoscente di una madre che, ravvisando nel suo bambino il frutto della misericordia divina, ricambia il dono affidando quel figlio tanto atteso al Signore.

6. Nel racconto delle maternità straordinarie che abbiamo rievocato, è facile scoprire il posto importante che la Bibbia assegna alle madri nella missione dei figli. Nel caso di Samuele, Anna svolge un ruolo determinante con la decisione di donarlo al Signore. Una funzione ugualmente decisiva è svolta da un’altra madre, Rebecca, che procura l’eredità a Giacobbe (Gen 27). In quell’intervento materno, descritto dalla Bibbia, si può leggere il segno di una elezione a strumento del disegno sovrano di Dio. È Lui che sceglie il figlio più giovane, Giacobbe, come portatore della benedizione e dell’eredità paterna, e quindi come pastore e guida del suo popolo. È Lui che con decisione gratuita e sapiente fissa e regge il destino di ogni uomo (Sap 10,10-12).

Il messaggio della Bibbia sulla maternità rivela aspetti importanti e sempre attuali: ne mette in luce, infatti, la dimensione di gratuità, che si manifesta soprattutto nel caso delle sterili, la particolare alleanza di Dio con la donna e il legame speciale fra il destino della madre e quello del figlio.

Al tempo stesso, l’intervento di Dio che, in momenti importanti della storia del suo popolo, rende feconde alcune donne sterili, prepara la fede nell’intervento di Dio che, nella pienezza dei tempi, renderà feconda una Vergine per l’incarnazione del suo Figlio.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:43

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"DONNE IMPEGNATE NELLA SALVEZZA DEL POPOLO"

 

Mercoledì, 27 marzo 1996

1. L’Antico Testamento ci fa ammirare alcune donne straordinarie che, sotto l’impulso dello Spirito di Dio, partecipano alle lotte e ai trionfi d’Israele o contribuiscono alla sua salvezza. La loro presenza nelle vicende del popolo non è né marginale né passiva: esse appaiono come autentiche protagoniste della storia della salvezza. Ecco gli esempi più significativi.

Dopo il passaggio del mar Rosso, il testo sacro mette in rilievo l’iniziativa di una donna ispirata per celebrare festosamente questo evento decisivo: "Maria, la profetessa, sorella di Aronne, prese in mano un timpano: dietro a lei uscirono le donne con i timpani, formando cori di danze. Maria fece loro cantare il ritornello: Cantate al Signore perché ha mirabilmente trionfato: ha gettato in mare cavallo e cavaliere" (Es 15,20-21).

Questa menzione della intraprendenza femminile in un contesto celebrativo pone in risalto non solo la rilevanza del ruolo della donna, ma anche la sua particolare attitudine a lodare e ringraziare Dio.

2. Un’azione ancora più importante svolge, al tempo dei Giudici, la profetessa Debora. Dopo aver ordinato al capo dell’esercito di radunare degli uomini e di scendere in campo, ella con la sua presenza assicura il successo dell’esercito di Israele, annunciando che un’altra donna, Giaele, ucciderà il capo dei nemici.

Inoltre, per celebrare la grande vittoria, Debora intona un lungo cantico con il quale loda l’azione di Giaele: "Sia benedetta fra le donne Giaele, ...benedetta fra le donne della tenda!" (Gdc 5,24). A questa lode fanno eco, nel Nuovo Testamento, le parole che, nel giorno della Visitazione, Elisabetta rivolge a Maria: Tu sei benedetta fra le donne... (Lc 1,42).

Il ruolo significativo delle donne nella salvezza del popolo, messo in luce dalle figure di Debora e di Giaele, è riproposto nella vicenda di un’altra profetessa di nome Culda, vissuta al tempo del re Giosia.

Interrogata dal sacerdote Chelkia, essa pronuncia degli oracoli che annunciano una manifestazione d’indulgenza per il re che temeva l’ira divina. Culda diventa così messaggera di misericordia e di pace (cf. 2Re 22,14-20).

3. I libri di Giuditta e di Ester, che hanno lo scopo di esaltare, in modo ideale, l’apporto positivo della donna nella storia del popolo eletto, presentano - in un contesto culturale di violenza - due figure di donne che procurano vittoria e salvezza agli Israeliti.

Il libro di Giuditta, in particolare, riferisce di un temibile esercito inviato da Nabucodonosor a conquistare Israele. Guidata da Oloferne, l’armata nemica è pronta ad impadronirsi della città di Betulia, tra la disperazione degli abitanti che, ritenendo inutile ogni resistenza, chiedono ai capi di arrendersi. Ma agli anziani della città, che, in assenza di aiuti immediati, si dichiarano pronti a consegnare Betulia al nemico, Giuditta rimprovera la mancanza di fede, professando piena fiducia nella salvezza che viene dal Signore.

Dopo aver a lungo invocato Dio, lei che è simbolo della fedeltà al Signore, dell’umile preghiera e della volontà di mantenersi casta, si reca presso Oloferne, il generale nemico, orgoglioso, idolatra e dissoluto.

Rimasta sola con lui, Giuditta, prima di colpirlo, si rivolge a Jahvè dicendo: "Dammi forza, Signore Dio d’Israele, in questo momento" (Gdt 13,7). Poi, presa la scimitarra di Oloferne, gli taglia la testa.

Anche qui, come nel caso di Davide di fronte a Golia, il Signore si serve della debolezza per trionfare sulla forza. In questa circostanza, però, a riportare la vittoria è una donna: Giuditta, senza farsi frenare dalla pusillanimità e dall’incredulità dei capi del popolo, raggiunge ed uccide Oloferne, meritando il ringraziamento e la lode del Sommo Sacerdote e degli anziani di Gerusalemme. Questi, rivolti alla donna che ha vinto il nemico, esclamano: "Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu magnifico vanto d’Israele, tu splendido onore della nostra gente. Tutto questo hai compiuto con la tua mano, egregie cose hai operato per Israele, di esse Dio si è compiaciuto. Sii sempre benedetta dall’onnipotente Signore" (Gdt 15,9-10).

4. In un’altra situazione di grave difficoltà per gli Ebrei si svolge la vicenda narrata dal Libro di Ester. Nel regno di Persia, Amàn, l’intendente del re, decreta lo sterminio degli Ebrei. Per allontanare il pericolo, Mardocheo, un giudeo che vive nella cittadella di Susa, ricorre alla nipote Ester, che vive nel palazzo del re dove ha raggiunto il rango di regina. Essa, contro la legge vigente, presentandosi al re senza essere stata convocata, e rischiando la pena di morte, ottiene la revoca del decreto di sterminio. Amàn viene giustiziato, Mardocheo accede al potere, e i giudei, liberati dalla minaccia, hanno così ragione dei loro nemici.

Giuditta ed Ester mettono ambedue a repentaglio la vita per procurare la salvezza al loro popolo. I due interventi però sono molto diversi: Ester non uccide il nemico, ma, fungendo da mediatrice, intercede in favore di coloro che sono minacciati di sterminio.

5. Questa funzione di intercessione è attribuita poi ad un’altra figura di donna, Abigail, moglie di Nabal, dal primo Libro di Samuele. Anche qui, è grazie al suo intervento che si realizza un altro caso di salvezza.

Ella va incontro a Davide, che ha deciso di annientare la famiglia di Nabal, chiedendo perdono per le colpe di suo marito, e libera così la sua casa da sicura sciagura (1Sam 25).

Come è facile notare, la tradizione veterotestamentaria pone in evidenza più volte, soprattutto negli scritti più vicini all’avvento di Cristo, l’azione determinante della donna per la salvezza di Israele. In tal modo lo Spirito Santo, attraverso le vicende delle donne dell’Antico Testamento, tratteggiava con sempre maggiore precisione le caratteristiche della missione di Maria nell’opera della salvezza dell’intera umanità.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:44

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"NOBILITA’ MORALE DELLA DONNA "

 

Mercoledì, 10 aprile 1996

 

1. L’Antico Testamento e la tradizione giudaica sono pieni di riconoscimenti per la nobiltà morale della donna, che si manifesta soprattutto nell’atteggiamento di fiducia verso il Signore, nella preghiera per ottenere il dono della maternità, nella supplica a Dio per la salvezza d’Israele dagli assalti dei suoi nemici. Talora, come nel caso di Giuditta, queste qualità vengono celebrate dall’intera comunità, divenendo oggetto di ammirazione per tutti.

Accanto agli esempi luminosi delle eroine bibliche, non mancano le testimonianze negative di alcune donne, quali Dalila, la seduttrice che rovina l’attività profetica di Sansone (Gdc 16,4-21), le donne straniere che, nella vecchiaia di Salomone, allontanano il cuore del re dal Signore e gli fanno venerare altri dei (1Re 11,1-8), Gezabele che stermina "tutti i profeti del Signore" (1Re 18,13) e fa uccidere Nabot per dare la sua vigna ad Acab (1Re 21), la moglie di Giobbe che lo insulta nella sua sfortuna, spingendolo alla ribellione (Gb 2,9).

In questi casi, il comportamento della donna ricorda quello di Eva. La prospettiva predominante nella Bibbia rimane però quella ispirata al Protovangelo che vede nella donna l’alleata di Dio.

2. Infatti, se le donne straniere sono accusate di avere allontanato Salomone dal culto del vero Dio, nel Libro di Rut ci viene proposta invece una figura molto nobile di donna straniera: Rut, la Moabita, esempio di pietà per i parenti e di umiltà sincera e generosa. Condividendo la vita e la fede di Israele, ella diventerà la bisnonna di Davide e l’antenata del Messia. Matteo, inserendola nella genealogia di Gesù (Gb 1,5), ne fa un segno di universalismo e un annuncio della misericordia di Dio che si estende a tutti gli uomini.

Tra le antenate di Gesù, il primo evangelista ricorda anche Tamar, Racab e la moglie di Uria, tre donne peccatrici, ma non perfide, annoverate tra le progenitrici del Messia per proclamare la bontà divina più grande del peccato. Dio, mediante la sua grazia, fa contribuire ai suoi disegni di salvezza la loro situazione matrimoniale irregolare, preparando anche in questo modo il futuro.

Un altro modello di umile dedizione, diverso da quello di Rut, è rappresentato dalla figlia di Jefte, che accetta di pagare con la propria morte la vittoria del padre sugli Ammoniti (Gdc 11,34-40). Piangendo il suo crudele destino, non si ribella, ma si consegna alla morte in adempimento del voto sconsiderato fatto dal genitore nel contesto di costumi ancora primitivi (cf. Ger 7,31; Mi 6,6-8).

3. La letteratura sapienziale, anche se spesso allude ai difetti della donna, vede in lei un tesoro nascosto: "Chi ha trovato una moglie ha trovato una fortuna, ha ottenuto il favore del Signore" (Pr 18,22), dice il Libro dei Proverbi esprimendo apprezzamento convinto per la figura femminile, prezioso dono del Signore.

Alla fine dello stesso Libro, viene tracciato il ritratto della donna ideale che, lungi dal rappresentare un modello irraggiungibile, costituisce una proposta concreta, nata dall’esperienza di donne di grande valore: "Una donna perfetta chi potrà trovarla? Ben superiore alle perle è il suo valore..." (Pr 31,10).

La letteratura sapienziale indica nella fedeltà della donna all’alleanza divina il culmine delle sue possibilità e la fonte più grande di ammirazione. Infatti, se talora può deludere, la donna supera tutte le attese quando il suo cuore è fedele a Dio: "Fallace è la grazia e vana è la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare" (Pr 31,30).

4. In tale contesto, il Libro dei Maccabei, nella vicenda della madre dei sette fratelli martirizzati nella persecuzione di Antioco Epifane, ci presenta l’esempio più mirabile di nobiltà nella prova.

Dopo aver descritto la morte dei sette fratelli, l’autore sacro aggiunge: "La madre era soprattutto ammirevole e degna di gloriosa memoria, perché vedendo morire sette figli in un sol giorno, sopportava tutto serenamente per le speranze poste nel Signore. Esortava ciascuno di essi nella lingua paterna, piena di nobili sentimenti, e sostenendo la tenerezza femminile con un coraggio virile", così esprimeva la sua speranza in una futura risurrezione: "Senza dubbio il creatore del mondo, che ha plasmato all’origine l’uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo lo spirito e la vita, come voi ora per le sue leggi non vi curate di voi stessi" (2Mac 7,20-23).

La madre, esortando il settimo figlio ad accettare di essere ucciso piuttosto che trasgredire la legge divina, esprime la sua fede nell’opera di Dio che crea dal nulla tutte le cose: "Ti scongiuro, figlio, contempla il cielo e la terra, osserva quanto vi è e sappi che Dio li ha fatti non da cose preesistenti; tale è anche l’origine del genere umano. Non temere questo carnefice ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la morte, perché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli nel giorno della misericordia" (2Mac 7,28-29).

Si avvia, infine, anch’essa alla morte cruenta, dopo aver subito sette volte il martirio del cuore, testimoniando una fede incrollabile, una speranza senza limiti ed un coraggio eroico.

In queste figure di donna, nelle quali si manifestano le meraviglie della grazia divina, si intravvede Colei che sarà la donna più grande: Maria, la Madre del Signore.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:44

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"LA FIGLIA DI SION"

Mercoledì, 24 aprile 1996

 

1. La Bibbia usa spesso l’espressione "figlia di Sion", per indicare gli abitanti della città di Gerusalemme, della quale il monte Sion costituisce la parte storicamente e religiosamente più significativa (cf. Mi 4,10-13; Sof 3,14-18; Zc 2,14; 9,9-10).

Questa personalizzazione al femminile rende più agevole l’interpretazione sponsale delle relazioni d’amore tra Dio e Israele, indicato spesso con i termini di "fidanzata" o di "sposa".

La storia della salvezza è la storia dell’amore di Dio, ma spesso anche dell’infedeltà dell’essere umano. La Parola del Signore rimprovera sovente la sposa-popolo che infrange l’alleanza nuziale stabilita con Dio: "Come una donna è infedele al suo amante, così voi, casa di Israele, siete stati infedeli a me" (Ger 3,20), e invita i figli d’Israele ad accusare la loro madre: "Accusate vostra madre, accusatela, perché essa non è più mia moglie e io non sono più suo marito!" (Os 2,4).

In che cosa consiste il peccato di infedeltà di cui si macchia Israele, la "sposa" di Jahvè? Esso consiste soprattutto nell’idolatria: secondo il testo sacro, per il Signore, il ricorso agli idoli da parte del popolo eletto equivale ad un adulterio.

2. È il profeta Osea che sviluppa, con immagini forti e drammatiche, il tema dell’alleanza sponsale tra Dio e il suo popolo e del tradimento da parte di quest’ultimo: la sua stessa vicenda personale ne diventa simbolo eloquente. Alla nascita della prole, infatti, egli riceve l’ordine: "Chiamala Non-amata, perché non amerò più la casa d’Israele, non ne avrò più compassione", e ancora: "Chiamalo Non-mio-popolo, perché voi non siete mio popolo e io non esisto per voi" (Os 1,6.9).

Il richiamo del Signore e la deludente esperienza del culto agli idoli faranno rinsavire la sposa infedele che, pentita, dirà: "Ritornerò al mio marito di prima, perché ero più felice di ora" (Os 2,9). Ma Dio stesso desidera ristabilire l’alleanza, e allora la sua Parola si fa memoria, misericordia e tenerezza: "Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore" (Os 2,16). Il deserto, infatti, è il luogo in cui Dio, dopo la liberazione dalla schiavitù, ha stabilito l’alleanza definitiva con il suo popolo.

Attraverso queste immagini di amore, che ripropongono il difficile rapporto tra Dio e Israele, il profeta illustra il grande dramma del peccato, l’infelicità della via dell’infedeltà e gli sforzi dell’amore divino per parlare al cuore degli uomini e riportarli all’alleanza.

3. Nonostante le difficoltà del presente, Dio annuncia, per bocca del profeta, un’alleanza più perfetta per il futuro: "E avverrà in quel giorno - oracolo del Signore - mi chiamerai: Marito mio, e non mi chiamerai più: Mio padrone... Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore" (Os 2,18.21-22).

Il Signore non si scoraggia di fronte alle debolezze umane, ma risponde alle infedeltà degli uomini proponendo una unione più stabile e più intima: "Io li seminerò di nuovo per me nel paese e amerò Non-amata; e a Non-mio-popolo dirò: Popolo mio, ed egli mi dirà: Mio Dio" (Os 2,25).

La stessa prospettiva di una nuova alleanza, viene riproposta da Geremia al popolo in esilio: ""In quel tempo - oracolo del Signore - io sarò Dio per tutte le tribù d’Israele ed esse saranno il mio popolo". Così dice il Signore: "Ha trovato grazia nel deserto un popolo di scampati alla spada; Israele si avvia a una quieta dimora". Da lontano gli è apparso il Signore: "Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà. Ti edificherò di nuovo e tu sarai riedificata, vergine di Israele"" (Ger 31,1-4).

Nonostante le infedeltà del popolo, l’amore eterno di Dio è sempre pronto a ristabilire il patto d’amore e a donare una salvezza che supera ogni attesa.

4. Anche Ezechiele ed Isaia fanno riferimento all’immagine della donna infedele perdonata.

Attraverso Ezechiele il Signore dice alla sposa: "Ma io mi ricorderò dell’alleanza conclusa con te al tempo della tua giovinezza e stabilirò con te un’alleanza eterna" (Ez 16,60).

Il Libro di Isaia riporta un oracolo pieno di tenerezza: "Tuo Sposo è il tuo Creatore... Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti riprenderò con immenso amore. In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore, il Signore" (Is 54,5.7-8).

Quello promesso alla figlia di Sion è un amore nuovo e fedele, una magnifica speranza che supera l’abbandono della sposa infedele: "Dite alla figlia di Sion: Ecco, arriva il tuo salvatore; ecco ha con sé la sua mercede, la sua ricompensa è davanti a lui. Li chiameranno popolo santo, redenti dal Signore. E tu sarai chiamata Ricercata, Città non abbandonata" (Is 62,11-12).

Il profeta precisa: "Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma tu sarai chiamata Mio compiacimento e la tua terra, Sposata, perché il Signore si compiacerà di te e la tua terra avrà uno sposo. Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo creatore; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te" (Is 62,4-5).

Immagini e atteggiamenti d’amore che il Cantico dei Cantici sintetizza nell’espressione: "Io sono per il mio diletto, e il mio diletto è per me" (Ct 6,3). È così riproposto in termini ideali il rapporto tra Jahvè e il suo popolo.

5. Quando ascoltava la lettura degli oracoli profetici, Maria doveva far riferimento a questa prospettiva, che alimentava nel suo cuore la speranza messianica.

I rimproveri rivolti al popolo infedele dovevano suscitare in lei un impegno più ardente di fedeltà all’alleanza, aprendo il suo spirito alla proposta di una definitiva comunione sponsale con il Signore nella grazia e nell’amore. Da quella nuova alleanza sarebbe venuta la salvezza del mondo intero.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:46

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"LA NUOVA FIGLIA DI SION"

 

Mercoledì, 1º maggio 1996

 

1. Al momento dell’Annunciazione, Maria, "eccelsa figlia di Sion" (LG 55), viene salutata dall’angelo come la rappresentante dell’umanità, chiamata a dare il proprio consenso all’Incarnazione del Figlio di Dio.

La prima parola che l’angelo le rivolge è un invito alla gioia: chaire, cioè "rallegrati". Il termine greco è stato tradotto in latino con "Ave", una semplice espressione di saluto, che non sembra corrispondere pienamente alle intenzioni del divino messaggero e al contesto in cui l’incontro si svolge.

Certo, chaire era anche una formula di saluto, usata spesso dai Greci, ma le circostanze straordinarie in cui viene qui pronunciata esulano dal clima di un incontro abituale. Non dobbiamo, infatti, dimenticare che l’angelo è consapevole di recare un annuncio unico nella storia dell’umanità: un saluto semplice e usuale, pertanto, sarebbe fuori luogo. Più confacente alla circostanza eccezionale sembra, invece, il riferimento all’originario significato dell’espressione chaire, che è "rallegrati".

Come hanno costantemente rilevato soprattutto i Padri greci citando diversi oracoli profetici, l’invito alla gioia conviene particolarmente all’annuncio della venuta del Messia.

2. Il pensiero va innanzitutto al profeta Sofonia. Con il suo oracolo il testo dell’Annunciazione presenta un significativo parallelismo: "Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il tuo cuore, figlia di Gerusalemme!..." (Sof 3,14). Vi è l’invito alla gioia: "Rallegrati con tutto il cuore" (v. 14). Vi è l’accenno alla presenza del Signore: "Re d’Israele è il Signore in mezzo a te" (v. 15). Vi è l’esortazione a non aver paura: "Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia" (v. 16). Vi è infine la promessa dell’intervento salvifico di Dio: "Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente" (v. 17). I riscontri sono tanto numerosi e puntuali da indurre a riconoscere in Maria la nuova "figlia di Sion", che ha pieno motivo di rallegrarsi perché Dio ha deciso di realizzare il suo piano di salvezza.

Un analogo invito alla gioia, anche se in un contesto diverso, viene dalla profezia di Gioele: "Non temere, terra, ma rallegrati e gioisci, poiché cose grandi ha fatto il Signore... Voi riconoscerete che io sono in mezzo ad Israele..." (Gl 2,21.27).

3. Significativo è inoltre l’oracolo di Zaccaria, citato a proposito dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme (cf. Mt 21,5; Gv 12,15). In esso il motivo della gioia è visto nella venuta del re messianico: "Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile... annunzierà la pace alle genti" (Zc 9,9-10).

Infine, dalla numerosa posterità, segno di benedizione divina, il libro di Isaia fa scaturire l’annuncio di gioia per la nuova Sion: "Esulta, o sterile che non hai partorito, prorompi in grida di giubilo e di gioia, tu che non hai provato i dolori, perché più numerosi sono i figli dell’abbandonata che i figli della maritata, dice il Signore" (Is 54,1).

I tre motivi dell’invito alla gioia: la presenza salvifica di Dio in mezzo al suo popolo, la venuta del re messianico e la fecondità gratuita e sovrabbondante, trovano in Maria la loro piena attuazione. Essi legittimano il significato pregnante, attribuito dalla tradizione al saluto dell’angelo. Questi, invitandola a dare il suo assenso alla realizzazione della promessa messianica e annunciandole l’altissima dignità di Madre del Signore, non poteva non esortarla a rallegrarsi. Infatti, come ci ricorda il Concilio, "con lei, la eccelsa figlia di Sion, dopo la lunga attesa della promessa, si compiono i tempi e si instaura la nuova Economia, quando il Figlio di Dio assunse da Lei la natura umana, per liberare coi misteri della sua carne l’uomo dal peccato" (LG 55).

4. Il racconto dell’Annunciazione ci consente di riconoscere in Maria la nuova "figlia di Sion", invitata da Dio a una grande gioia. Esprime il suo ruolo straordinario di madre del Messia, anzi, di madre del Figlio di Dio. La Vergine accoglie il messaggio a nome del popolo di Davide, ma possiamo dire che l’accoglie a nome dell’intera umanità, perché l’Antico Testamento estendeva a tutte le nazioni il ruolo del Messia davidico (cf. Sal 2,8; 71[72],8). Nell’intenzione divina, l’annuncio a lei rivolto mira alla salvezza universale.

A conferma di tale prospettiva universale del disegno divino, possiamo ricordare alcuni testi dell’Antico e del Nuovo Testamento che paragonano la salvezza a un grande banchetto di tutti i popoli sul monte Sion (cf. Is 25,6s), e che annunciano il convito finale del Regno di Dio (cf. Mt 22,1-10).

Come "figlia di Sion", Maria è la Vergine dell’alleanza che Dio stabilisce con l’intera umanità. È chiaro il ruolo rappresentativo di Maria in tale evento. Ed è significativo che sia una donna a svolgere una tale funzione.

5. Come nuova "figlia di Sion", Maria è, infatti, particolarmente idonea ad entrare nell’alleanza sponsale con Dio. Più e meglio di qualsiasi membro del Popolo eletto, ella può offrire al Signore un vero cuore di Sposa.

Con Maria, la "figlia di Sion" non è più semplicemente un soggetto collettivo, ma una persona che rappresenta l’umanità e, al momento dell’Annunciazione, risponde alla proposta dell’amore divino con il proprio amore sponsale. Ella accoglie, così, in modo tutto particolare, la gioia preannunciata dagli oracoli profetici, una gioia che qui, nel compimento del disegno divino, tocca il suo vertice.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:46

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"LA PIENA DI GRAZIA"

Mercoledì, 8 maggio 1996

 

1. Nel racconto dell’Annunciazione, la prima parola del saluto angelico: "Rallegrati", costituisce un invito alla gioia che richiama gli oracoli dell’Antico Testamento rivolti alla "figlia di Sion". Lo abbiamo rilevato nella precedente catechesi, enucleando anche i motivi su cui tale invito si fonda: la presenza di Dio in mezzo al suo popolo, la venuta del re messianico e la fecondità materna. Questi motivi trovano in Maria pieno compimento.

L’angelo Gabriele, rivolgendosi alla Vergine di Nazaret, dopo il saluto chaire, "rallegrati", la chiama kecharitoméne, "piena di grazia". Le parole del testo greco chaire e kecharitoméne presentano tra loro una profonda connessione: Maria è invitata a gioire soprattutto perché Dio l’ama e l’ha colmata di grazia in vista della divina maternità!

La fede della Chiesa e l’esperienza dei santi insegnano che la grazia è fonte di gioia e che la vera gioia viene da Dio. In Maria, come nei cristiani, il dono divino genera una profonda letizia.

2. Kecharitoméne: questo termine rivolto a Maria appare come una qualifica propria della donna destinata a diventare la madre di Gesù. Lo ricorda opportunamente la Lumen gentium, quando afferma: "La Vergine di Nazaret è, per ordine di Dio, salutata dall’angelo nunziante quale "piena di grazia"" (LG 56).

Il fatto che il messaggero celeste la chiami così conferisce al saluto angelico un valore più alto: è manifestazione del misterioso piano salvifico di Dio nei riguardi di Maria. Come ho scritto nell’Enciclica Redemptoris Mater: "La pienezza di grazia indica tutta l’elargizione soprannaturale, di cui Maria beneficia in relazione al fatto che è stata scelta e destinata ad essere Madre di Cristo" (n. 9).

"Piena di grazia", è il nome che Maria possiede agli occhi di Dio. L’angelo, infatti, secondo il racconto dell’evangelista Luca, lo usa ancor prima di pronunciare il nome di "Maria", ponendo così in evidenza l’aspetto prevalente che il Signore coglie nella personalità della Vergine di Nazaret.

L’espressione "piena di grazia" traduce la parola greca kecharitoméne, la quale è un participio passivo. Per rendere con più esattezza la sfumatura del termine greco, non si dovrebbe quindi dire semplicemente "piena di grazia", bensì "resa piena di grazia" oppure "colmata di grazia", il che indicherebbe chiaramente che si tratta di un dono fatto da Dio alla Vergine. Il termine, nella forma di participio perfetto, accredita l’immagine di una grazia perfetta e duratura che implica pienezza. Lo stesso verbo, nel significato di "dotare di grazia", è adoperato nella Lettera agli Efesini per indicare l’abbondanza di grazia, concessa a noi dal Padre nel suo Figlio diletto (Ef 1,6). Maria la riceve come primizia della redenzione (cf. Redemptoris Mater, 10).

3. Nel caso della Vergine l’azione di Dio appare certo sorprendente. Maria non possiede alcun titolo umano per ricevere l’annuncio della venuta del Messia. Ella non è il sommo sacerdote, rappresentante ufficiale della religione ebraica, e neppure un uomo, ma una giovane donna priva d’influsso nella società del suo tempo. Per di più, è originaria di Nazaret, villaggio mai citato nell’Antico Testamento. Esso non doveva godere di buona fama, come traspare dalle parole di Natanaele riportate dal vangelo di Giovanni: "Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?" (Gv 1,46).

Il carattere straordinario e gratuito dell’intervento di Dio risulta ancora più evidente dal raffronto con il testo lucano, che riferisce la vicenda di Zaccaria. Di questi è messa infatti in evidenza la condizione sacerdotale, come pure l’esemplarità della vita che rende lui e la moglie Elisabetta modelli dei giusti dell’Antico Testamento: essi "osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore" (Lc 1,6).

L’origine di Maria, invece, non viene neppure indicata: l’espressione "della casa di Davide" (Lc 1,27) si riferisce, infatti, soltanto a Giuseppe. Non si fa cenno poi del comportamento di Maria. Con tale scelta letteraria, Luca evidenzia che in lei tutto deriva da una grazia sovrana. Quanto le è concesso non proviene da nessun titolo di merito, ma unicamente dalla libera e gratuita predilezione divina.

4. Così facendo, l’evangelista non intende certo ridimensionare l’eccelso valore personale della Santa Vergine. Vuole piuttosto presentare Maria come puro frutto della benevolenza di Dio, il quale ha preso talmente possesso di lei da renderla, secondo l’appellativo usato dall’Angelo, "piena di grazia". Proprio l’abbondanza di grazia fonda la nascosta ricchezza spirituale in Maria.

Nell’Antico Testamento Jahweh manifesta la sovrabbondanza del suo amore in molti modi e in tante circostanze. In Maria, all’alba del Nuovo Testamento, la gratuità della divina misericordia raggiunge il grado supremo. In lei la predilezione di Dio testimoniata al popolo eletto, ed in particolare agli umili e ai poveri, raggiunge il suo culmine.

Alimentata dalla Parola del Signore e dall’esperienza dei santi, la Chiesa esorta i credenti a tenere lo sguardo rivolto verso la Madre del Redentore e a sentirsi come lei amati da Dio. Li invita a condividerne l’umiltà e la povertà affinché, seguendo il suo esempio e grazie alla sua intercessione, possano perseverare nella grazia divina che santifica e trasforma i cuori.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:47

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"LA PERFETTA SANTITA’ DI MARIA"

Mercoledì, 15 maggio 1996

1. In Maria, "piena di grazia", la Chiesa ha riconosciuto "la tutta santa e immune da ogni macchia di peccato", "adornata fin dal primo istante della sua concezione dagli splendori di una santità del tutto singolare" (LG 56).

Questo riconoscimento ha richiesto un lungo itinerario di riflessione dottrinale, che ha portato infine alla proclamazione solenne del dogma dell’Immacolata Concezione.

L’appellativo "resa piena di grazia", rivolto dall’angelo a Maria nell’Annunciazione, accenna all’eccezionale favore divino concesso alla giovane di Nazaret in vista della maternità annunciata, ma indica più direttamente l’effetto in Maria della grazia divina; Maria è stata intimamente e stabilmente permeata dalla grazia e dunque santificata. La qualifica kecharitoméne ha un significato densissimo, che lo Spirito Santo non ha mai smesso di far approfondire dalla Chiesa.

2. Nella precedente catechesi ho rilevato che nel saluto dell’angelo l’espressione "piena di grazia" ha quasi valore di nome: è il nome di Maria agli occhi di Dio. Nell’uso semitico, il nome esprime la realtà delle persone e delle cose cui si riferisce. Di conseguenza, il titolo "piena di grazia" manifesta la dimensione più profonda della personalità della giovane donna di Nazaret: a tal punto plasmata dalla grazia e oggetto del favore divino, da poter essere definita da questa speciale predilezione.

Il Concilio ricorda che a tale verità alludevano i Padri della Chiesa quando chiamavano Maria "la tutta santa", affermando nel contempo che ella era stata "dallo Spirito Santo quasi plasmata e resa nuova creatura" (LG 56).

La grazia, intesa nel significato di "grazia santificante" che opera la santità personale, ha realizzato in Maria la nuova creazione, rendendola pienamente conforme al progetto di Dio.

3. Così la riflessione dottrinale ha potuto attribuire a Maria una perfezione di santità che, per essere completa, doveva necessariamente investire l’origine della sua vita.

Nella direzione di questa purezza originale sembra essersi mosso un Vescovo della Palestina, vissuto tra il 550 e il 650, Theoteknos di Livias. Egli, presentando Maria come "santa e tutta bella", "pura e senza macchia", allude alla sua nascita in questi termini: "Nasce come i cherubini, colei che è di un’argilla pura e immacolata" (Panegirico per la festa dell’Assunzione, 5-6).

Quest’ultima espressione, ricordando la creazione del primo uomo, plasmato da un’argilla non macchiata dal peccato, attribuisce alla nascita di Maria le stesse caratteristiche: anche l’origine della Vergine è stata "pura e immacolata", cioè senza nessun peccato. Il paragone con i cherubini, inoltre, ribadisce l’eccellenza della santità che ha caratterizzato la vita di Maria sin dai primordi della sua esistenza.

L’affermazione di Theoteknos segna una tappa significativa della riflessione teologica sul mistero della Madre del Signore. I Padri greci ed orientali avevano ammesso una purificazione operata dalla grazia in Maria sia prima dell’Incarnazione (S. Gregorio Nazianzeno, Oratio 38,16), sia al momento stesso dell’Incarnazione (S. Efrem, Saveriano di Gabala, Giacomo di Sarug). Theoteknos di Livias sembra richiedere per Maria una purezza assoluta fin dall’inizio della sua vita. Infatti, Colei che è stata destinata a diventare la Madre del Salvatore non poteva non avere una origine perfettamente santa, senza macchia alcuna.

4. Nell’VIII secolo, Andrea di Creta, è il primo teologo che vede nella natività di Maria una nuova creazione. Egli così argomenta: "Oggi l’umanità, in tutto il fulgore della sua nobiltà immacolata, riceve la sua antica bellezza. Le vergogne del peccato avevano oscurato lo splendore e il fascino della natura umana; ma quando nasce la Madre del Bello per eccellenza, questa natura recupera, nella sua persona, i suoi antichi privilegi ed è plasmata secondo un modello perfetto e veramente degno di Dio... Oggi la riforma della nostra natura comincia e il mondo invecchiato, sottomesso a una trasformazione tutta divina, riceve le primizie della seconda creazione" (Serm. I sulla Natività di Maria).

Riprendendo poi l’immagine dell’argilla primitiva, egli afferma: "Il corpo della Vergine è una terra che Dio ha lavorato, le primizie della massa adamitica divinizzata nel Cristo, l’immagine veramente somigliante alla bellezza primitiva, l’argilla impastata dalle mani dell’Artista divino" (Serm. I sulla Dormizione di Maria).

La Concezione pura e immacolata di Maria appare così come l’inizio della nuova creazione. Si tratta di un privilegio personale concesso alla donna scelta per essere la Madre di Cristo, che inaugura il tempo della grazia abbondante, voluto da Dio per l’intera umanità.

Questa dottrina, ripresa nel medesimo VIII secolo da san Germano di Costantinopoli e da san Giovanni Damasceno, illumina il valore della santità originale di Maria, presentata come l’inizio della redenzione del mondo.

In tal modo la riflessione ecclesiale recepisce ed esplicita il senso autentico del titolo "piena di grazia", attribuito dall’angelo alla Santa Vergine. Maria è piena di grazia santificante, ed è tale fin dal primo momento della sua esistenza. Questa grazia, secondo la Lettera agli Efesini (Ef 1,6), viene conferita in Cristo a tutti i credenti. L’originale santità di Maria costituisce il modello insuperabile del dono e della diffusione della grazia di Cristo nel mondo.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:48

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"L’IMMACOLATA CONCEZIONE DI MARIA"

Mercoledì, 29 maggio 1996

 

1. Nella riflessione dottrinale della Chiesa di Oriente, l’espressione "piena di grazia", come abbiamo visto nelle precedenti catechesi, fu interpretata, sin dal VI secolo, nel senso di una singolare santità che investe Maria in tutta la sua esistenza. Ella inaugura così la nuova creazione.

Accanto al racconto lucano dell’Annunciazione, la Tradizione ed il Magistero hanno indicato nel cosiddetto Protovangelo (Gen 3,15) una fonte scritturale della verità dell’Immacolata Concezione di Maria. Questo testo ha ispirato, a partire dall’antica versione latina: "Ella ti schiaccerà la testa", molte rappresentazioni dell’Immacolata che schiaccia il serpente sotto i suoi piedi.

Abbiamo già avuto modo di ricordare in precedenza come questa versione non corrisponda al testo ebraico, nel quale non è la donna, bensì la sua stirpe, il suo discendente, a calpestare la testa del serpente. Tale testo attribuisce quindi, non a Maria, ma a suo Figlio la vittoria su Satana. Tuttavia, poiché la concezione biblica pone una profonda solidarietà tra il genitore e la sua discendenza, è coerente con il senso originale del passo la rappresentazione dell’Immacolata che schiaccia il serpente, non per virtù propria ma della grazia del Figlio.

2. Nel medesimo testo biblico viene inoltre proclamata l’inimicizia tra la donna e la sua stirpe da una parte e il serpente e la sua discendenza dall’altra. Si tratta di un’ostilità espressamente stabilita da Dio, che assume un rilievo singolare se consideriamo il problema della santità personale della Vergine. Per essere l’inconciliabile nemica del serpente e della sua stirpe, Maria doveva essere esente da ogni dominio del peccato. E questo fin dal primo momento della sua esistenza.

In proposito, l’Enciclica Fulgens corona, pubblicata da Papa Pio XII nel 1953 per commemorare il centenario della definizione del dogma dell’Immacolata Concezione, così argomenta: "Se in un determinato momento la Beatissima Vergine Maria fosse rimasta privata della grazia divina, perché contaminata nel suo concepimento dalla macchia ereditaria del peccato, tra lei e il serpente non ci sarebbe stata più - almeno durante questo periodo di tempo, per quanto breve fosse - quell’eterna inimicizia di cui si parla dalla tradizione primitiva fino alla solenne definizione dell’Immacolata Concezione, ma piuttosto un certo asservimento" (AAS 45[1953], 579).

L’assoluta ostilità stabilita da Dio tra la donna e il demonio postula quindi in Maria l’Immacolata Concezione, cioè una assenza totale di peccato, sin dall’inizio della vita. Il Figlio di Maria ha riportato la vittoria definitiva su Satana e ne ha fatto beneficiare in anticipo la Madre, preservandola dal peccato. Di conseguenza il Figlio le ha concesso il potere di resistere al demonio, realizzando così nel mistero dell’Immacolata Concezione il più notevole effetto della sua opera redentrice.

3. L’appellativo "piena di grazia" ed il Protovangelo, attirando la nostra attenzione sulla speciale santità di Maria e sulla sua completa sottrazione all’influsso di Satana, fanno intuire, nel privilegio unico concesso a Maria dal Signore, l’inizio di un nuovo ordine, che è frutto dell’amicizia con Dio e che comporta, di conseguenza, una inimicizia profonda fra il serpente e gli uomini.

Come testimonianza biblica a favore dell’Immacolata Concezione di Maria, si cita spesso anche il capitolo XII dell’Apocalisse, nel quale si parla della "donna vestita di sole" (12,1). L’attuale esegesi converge nel vedere in tale donna la comunità del popolo di Dio, che partorisce nel dolore il Messia risorto. Ma, accanto alla interpretazione collettiva, il testo ne suggerisce una individuale nell’affermazione: "Essa partorirà un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro" (12,5). Si ammette così, con il riferimento al parto, una certa identificazione della donna vestita di sole con Maria, la donna che ha dato alla luce il Messia. La donna-comunità è descritta infatti con le sembianze della donna-Madre di Gesù.

Caratterizzata dalla sua maternità, la donna "era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto" (12,2). Questa annotazione rimanda alla Madre di Gesù presso la Croce (cf. Gv 19,25), dove Ella partecipa con l’anima trafitta dalla spada (cf. Lc 2,35) al travaglio del parto della comunità dei discepoli. Nonostante le sue sofferenze, è "vestita di sole" - porta, cioè, il riflesso dello splendore divino -, e appare come "segno grandioso" del rapporto sponsale di Dio con il suo popolo.

Queste immagini, pur non indicando direttamente il privilegio dell’Immacolata Concezione, possono essere interpretate come espressione della cura amorosa del Padre che avvolge Maria della grazia di Cristo e dello splendore dello Spirito.

L’Apocalisse, infine, invita a riconoscere più particolarmente la dimensione ecclesiale della personalità di Maria: la donna vestita di sole rappresenta la santità della Chiesa, che si realizza pienamente nella Santa Vergine, in virtù di una grazia singolare.

4. Alle affermazioni scritturistiche, cui fanno riferimento la Tradizione e il Magistero per fondare la dottrina dell’Immacolata Concezione, sembrerebbero opporsi i testi biblici che affermano l’universalità del peccato.

L’Antico Testamento parla di un contagio peccaminoso che investe ogni "nato di donna" (Sal 50,7); (Gb 14,2). Nel Nuovo Testamento, Paolo dichiara che, a seguito della colpa di Adamo, "tutti hanno peccato", e che "per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna" (Rm 5,12.18). Dunque, come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica, il peccato originale "intacca la natura umana", che si trova così "in una condizione decaduta". Il peccato viene perciò trasmesso "per propagazione a tutta l’umanità, cioè con la trasmissione di una natura umana privata della santità e della giustizia originali" (n. 404). A questa legge universale Paolo ammette però un’eccezione: Cristo, colui "che non aveva conosciuto peccato" (2Cor 5,21), e così ha potuto far sovrabbondare la grazia "laddove è abbondato il peccato" (Rm 5,20).

Queste affermazioni non portano necessariamente a concludere che Maria è coinvolta nell’umanità peccatrice. Il parallelo, istituito da Paolo fra Adamo e Cristo, è completato da quello fra Eva e Maria: il ruolo della donna, rilevante nel dramma del peccato, lo è altresì nella redenzione dell’umanità.

Sant’Ireneo presenta Maria come la nuova Eva che, con la sua fede e la sua obbedienza, ha controbilanciato l’incredulità e la disobbedienza di Eva. Un tale ruolo nell’economia della salvezza richiede l’assenza di peccato. Era conveniente che come Cristo, nuovo Adamo, anche Maria, nuova Eva, non conoscesse il peccato e fosse così più atta a cooperare alla redenzione.

Il peccato, che quale torrente travolge l’umanità, s’arresta dinanzi al Redentore e alla sua fedele Collaboratrice. Con una sostanziale differenza: Cristo è tutto santo in virtù della grazia che nella sua umanità deriva dalla persona divina; Maria è tutta santa in virtù della grazia ricevuta per i meriti del Salvatore.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:51

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"IMMACOLATA: REDENTA PER PRESERVAZIONE"

 

Mercoledì, 5 giugno 1996

 

1. La dottrina della perfetta santità di Maria fin dal primo istante del suo concepimento ha trovato qualche resistenza in Occidente, e ciò in considerazione delle affermazioni di san Paolo sul peccato originale e sulla universalità del peccato, riprese ed esposte con particolare vigore da sant’Agostino.

Il grande dottore della Chiesa si rendeva senz’altro conto che la condizione di Maria, madre di un Figlio completamente santo, esigeva una purezza totale ed una santità straordinaria. Per questo, nella controversia con Pelagio, ribadiva che la santità di Maria costituisce un dono eccezionale di grazia, ed affermava in proposito: "Facciamo eccezione per la Santa Vergine Maria, di cui, per l’onore del Signore, voglio che in nessun modo si parli quando si tratta di peccati: non sappiamo forse perché le è stata conferita una grazia più grande in vista di vincere completamente il peccato, lei che ha meritato di concepire e di partorire Colui che manifestamente non ebbe alcun peccato?" (De natura et gratia, 42).

Agostino ribadì la perfetta santità di Maria e l’assenza in lei di ogni peccato personale a motivo della eccelsa dignità di Madre del Signore. Egli tuttavia non riuscì a cogliere come l’affermazione di una totale assenza di peccato al momento della concezione potesse conciliarsi con la dottrina dell’universalità del peccato originale e della necessità della redenzione per tutti i discendenti di Adamo. A tale conseguenza giunse, in seguito, l’intelligenza sempre più penetrante della fede della Chiesa, chiarendo come Maria abbia beneficiato della grazia redentrice di Cristo fin dal suo concepimento.

2. Nel secolo IX venne introdotta anche in Occidente la festa della Concezione di Maria, prima nell’Italia meridionale, a Napoli, e poi in Inghilterra.

Verso il 1128 un monaco di Canterbury, Eadmero, scrivendo il primo trattato sull’Immacolata Concezione, lamentava che la relativa celebrazione liturgica, gradita soprattutto a coloro "nei quali si trovava una pura semplicità e una devozione più umile a Dio" (Tract. de conc. B.M.V., 1-2), era stata accantonata o soppressa. Desiderando promuovere la restaurazione della festa, il pio monaco respinge l’obiezione di sant’Agostino al privilegio dell’Immacolata Concezione, fondata sulla dottrina della trasmissione del peccato originale nella generazione umana. Egli ricorre opportunamente all’immagine della castagna "che è concepita, nutrita e formata sotto le spine, ma che tuttavia resta al riparo dalle loro punture" (Tract., 10). Anche sotto le spine di una generazione che per sé dovrebbe trasmettere il peccato originale, argomenta Eadmero, Maria è rimasta al riparo da ogni macchia, per esplicito volere di Dio che "l’ha potuto, manifestamente, e l’ha voluto. Se dunque l’ha voluto, lo ha fatto" (Ivi).

Nonostante Eadmero, i grandi teologi del XIII secolo fecero ancora proprie le difficoltà di sant’Agostino, così argomentando: la redenzione operata da Cristo non sarebbe universale se la condizione di peccato non fosse comune a tutti gli esseri umani. E Maria, se non avesse contratto la colpa originale, non avrebbe potuto essere riscattata. La redenzione consiste in effetti nel liberare chi si trova nello stato di peccato.

3. Duns Scoto, al seguito di alcuni teologi del XII secolo, offrì la chiave per superare queste obiezioni circa la dottrina dell’Immacolata Concezione di Maria. Egli sostenne che Cristo, il mediatore perfetto, ha esercitato proprio in Maria l’atto di mediazione più eccelso, preservandola dal peccato originale.

In tal modo egli introdusse nella teologia il concetto di redenzione preservatrice, secondo cui Maria è stata redenta in modo ancor più mirabile: non per via di liberazione dal peccato, ma per via di preservazione dal peccato.

L’intuizione del beato Duns Scoto, chiamato in seguito il "Dottore dell’Immacolata", ottenne, sin dall’inizio del XIV secolo, una buona accoglienza da parte dei teologi, soprattutto francescani. Dopo l’approvazione da parte di Sisto IV, nel 1477, della Messa della Concezione, tale dottrina fu sempre più accettata nelle scuole teologiche.

Tale provvidenziale sviluppo della liturgia e della dottrina preparò la definizione del privilegio mariano da parte del Supremo Magistero. Questa avvenne solo dopo molti secoli, sotto la spinta di una intuizione di fede fondamentale: la Madre di Cristo doveva essere perfettamente santa sin dall’origine della sua vita.

4. A nessuno sfugge come l’affermazione dell’eccezionale privilegio concesso a Maria pone in evidenza che l’azione redentrice di Cristo non solo libera, ma anche preserva dal peccato. Tale dimensione di preservazione, che è totale in Maria, è presente nell’intervento redentivo attraverso il quale Cristo, liberando dal peccato, dona all’uomo anche la grazia e la forza per vincerne l’influsso nella sua esistenza.

In tal modo il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria non offusca, ma anzi contribuisce mirabilmente a mettere meglio in luce gli effetti della grazia redentiva di Cristo nella natura umana.

A Maria, prima redenta da Cristo, che ha avuto il privilegio di non essere sottoposta neppure per un istante al potere del male e del peccato, guardano i cristiani, come al perfetto modello ed all’icona di quella santità (cf. LG 65), che sono chiamati a raggiungere, con l’aiuto della grazia del Signore, nella loro vita.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:51

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"IMMACOLATA: LA DEFINIZIONE DOGMATICA DEL PRIVILEGIO"

 

Mercoledì, 12 giugno 1996

 

1. La convinzione che Maria fu preservata da ogni macchia di peccato sin dal suo concepimento, sì da essere chiamata tutta santa, andò nei secoli imponendosi progressivamente nella liturgia e nella teologia. Tale sviluppo suscitò, all’inizio del XIX secolo, un movimento di petizioni in favore di una definizione dogmatica del privilegio della Immacolata Concezione.

Nell’intento di accogliere questa istanza, verso la metà di quel secolo, il Papa Pio IX, dopo aver consultato i teologi, interpellò tutti i vescovi sull’opportunità e sulla possibilità di tale definizione, convocando quasi un "concilio per iscritto". Il risultato fu significativo: l’immensa maggioranza dei 604 vescovi rispose positivamente al quesito.

Dopo una così vasta consultazione, che mette in risalto la preoccupazione del mio venerato Predecessore di esprimere, nella definizione del dogma, la fede della Chiesa, con altrettanta cura si pose mano alla redazione del documento.

La Commissione speciale di teologi, istituita da Pio IX ai fini dell’accertamento della dottrina rivelata, attribuì un ruolo essenziale alla prassi ecclesiale. E questo criterio influì sulla formulazione del dogma, che privilegiò le espressioni del vissuto ecclesiale, della fede e del culto del popolo cristiano, rispetto alle determinazioni scolastiche.

Finalmente, nel 1854, Pio IX, con la Bolla Ineffabilis, proclamò solennemente il dogma dell’Immacolata Concezione: "... Noi dichiariamo, pronunciamo e definiamo che la dottrina con cui si afferma che la beatissima Vergine Maria, nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in considerazione dei meriti di Gesù Cristo, Salvatore del genere umano, è stata preservata immune da ogni macchia di colpa originale, è una dottrina rivelata da Dio, e dev’essere, per questa ragione, fermamente e costantemente creduta da tutti i fedeli" (DS 2803).

2. La proclamazione del dogma dell’Immacolata esprime l’essenziale dato di fede. Il Papa Alessandro VII, nella Bolla Sollicitudo, del 1661, parlava di preservazione dell’anima di Maria "nella sua creazione e nell’infusione nel corpo" (DS 2017). La definizione di Pio IX, invece, prescinde da tutte le spiegazioni circa il modo di infusione dell’anima nel corpo ed attribuisce alla persona di Maria, nel primo istante del suo concepimento, l’essere preservata da ogni macchia di colpa originale.

L’immunità "da ogni macchia di colpa originale" comporta come positiva conseguenza l’immunità totale da ogni peccato, e la proclamazione della perfetta santità di Maria, dottrina alla quale la definizione dogmatica offre un fondamentale contributo. Infatti, la formulazione negativa del privilegio mariano, condizionata dalle precedenti controversie sviluppatesi in Occidente sulla colpa originale, deve sempre essere completata dalla enunciazione positiva della santità di Maria, più esplicitamente sottolineata nella tradizione orientale.

La definizione di Pio IX si riferisce solo all’immunità dal peccato originale e non comprende esplicitamente l’immunità dalla concupiscenza. Tuttavia la completa preservazione di Maria da ogni macchia di peccato, ha come conseguenza in lei l’immunità anche dalla concupiscenza, tendenza disordinata che, secondo il Concilio di Trento, viene dal peccato e inclina al peccato (DS 1515).

3. Concessa "per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente", tale preservazione dal peccato originale costituisce un favore divino assolutamente gratuito, che Maria ha ottenuto sin dal primo momento della sua esistenza.

La definizione dogmatica non dice che questo singolare privilegio è unico, lo lascia però intuire. L’affermazione di tale unicità si trova invece enunciata esplicitamente nell’Enciclica Fulgens Corona, del 1953, dove il Papa Pio XII parla di "privilegio molto singolare che non è mai stato accordato ad altra persona" (AAS 45 [1953] 580), escludendo così la possibilità, sostenuta da qualcuno, ma con poco fondamento, di attribuirlo anche a san Giuseppe.

La Vergine Madre ha ricevuto la singolare grazia dell’immacolato concepimento "in considerazione dei meriti di Gesù Cristo, Salvatore del genere umano", cioè della sua universale azione redentrice.

Nel testo della definizione dogmatica non viene espressamente dichiarato che Maria è stata redenta, ma la stessa Bolla IneffabilisFulgens Corona: AAS 45 [1953] 581), sin dal primo momento dell’esistenza. Il Concilio Vaticano II ha proclamato che la Chiesa "ammira ed esalta in Maria il frutto più eccellente della Redenzione" (Sacrosanctum Concilium, 103). afferma altrove che "è stata riscattata nel modo più sublime". Questa è la straordinaria verità: Cristo fu il redentore di sua Madre ed esercitò in lei la sua azione redentiva "nel modo perfettissimo" (

4. Tale dottrina solennemente proclamata, viene espressamente qualificata come "dottrina rivelata da Dio". Il Papa Pio IX aggiunge che essa dev’essere "fermamente e costantemente creduta da tutti i fedeli". Di conseguenza, colui che non la fa sua, o conserva un’opinione ad essa contraria "naufraga nella fede" e "si stacca dall’unità cattolica".

Nel proclamare la verità di tale dogma dell’Immacolata Concezione, il venerato mio Predecessore era consapevole di esercitare il suo potere d’insegnamento infallibile come Pastore universale della Chiesa, che qualche anno dopo sarebbe stato solennemente definito durante il Concilio Vaticano I. Egli metteva così in atto il suo magistero infallibile come servizio alla fede del popolo di Dio; ed è significativo che ciò sia avvenuto nel definire il privilegio di Maria.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:52

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"SANTA DURANTE TUTTA LA VITA"

 

Mercoledì, 19 giugno 1996

 

1. La definizione del dogma dell’Immacolata Concezione considera in modo diretto unicamente il primo momento dell’esistenza di Maria, a partire dal quale Ella è stata "preservata immune da ogni macchia di colpa originale". Il Magistero pontificio ha voluto così definire solo la verità che era stata oggetto di controversie nel corso dei secoli: la preservazione dal peccato originale, senza preoccuparsi di definire la santità permanente della Vergine Madre del Signore.

Tale verità appartiene già al sentire comune del popolo cristiano. Esso attesta infatti che Maria, esente dal peccato originale, è stata preservata anche da ogni peccato attuale e la santità iniziale le è stata concessa perché riempisse la sua intera esistenza.

2. La Chiesa ha costantemente riconosciuto Maria santa ed immune da ogni peccato o imperfezione morale. Il Concilio di Trento esprime tale convinzione affermando che nessuno "può evitare, nella sua vita intera, ogni peccato anche veniale, se non in virtù di un privilegio speciale, come la Chiesa ritiene nei riguardi della beata Vergine" (DS 1573). La possibilità di peccare non risparmia neppure il cristiano trasformato e rinnovato dalla grazia. Questa infatti non preserva da ogni peccato per tutta la vita, a meno che, come afferma il Concilio tridentino, uno speciale privilegio assicuri tale immunità dal peccato. È quanto è avvenuto in Maria.

Il Concilio tridentino non ha voluto definire questo privilegio, ha però dichiarato che la Chiesa lo afferma con vigore: "Tenet", cioè lo ritiene fermamente. Si tratta di una scelta che, lungi dal relegare tale verità tra le pie credenze o le opinioni devozionali, ne conferma il carattere di solida dottrina, ben presente nella fede del Popolo di Dio. Del resto, tale convinzione si fonda sulla grazia attribuita a Maria dall’angelo, al momento dell’Annunciazione. Chiamandola "piena di grazia", kecharitoméne, l’angelo riconosce in lei la donna dotata di una perfezione permanente e di una pienezza di santità, senza ombra di colpa, né d’imperfezione d’ordine morale o spirituale.

3. Alcuni Padri della Chiesa dei primi secoli, non avendo ancora acquisito la convinzione della sua perfetta santità hanno attribuito a Maria delle imperfezioni o dei difetti morali. Anche qualche recente autore ha fatto propria tale posizione. Ma i testi evangelici citati per giustificare queste opinioni non permettono in nessun caso di fondare l’attribuzione di un peccato, o anche solo di una imperfezione morale, alla Madre del Redentore.

La risposta di Gesù a sua madre, all’età di 12 anni: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" (Lc 2,49), è stata, talvolta, interpretata come un velato rimprovero. Un’attenta lettura dell’episodio fa invece capire che Gesù non ha rimproverato sua madre e Giuseppe di cercarlo, dal momento che avevano la responsabilità di vegliare su di lui.

Incontrando Gesù dopo una sofferta ricerca, Maria si limita a chiedergli soltanto il "perché" del suo comportamento: "Figlio, perché ci hai fatto così?" (Lc 2,48). E Gesù risponde con un altro "perché", astenendosi da ogni rimprovero e riferendosi al mistero della propria filiazione divina.

Neppure le parole pronunciate a Cana: "Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora" (Gv 2,4), possono essere interpretate come un rimprovero. Di fronte al probabile disagio che avrebbe provocato agli sposi la mancanza di vino, Maria si rivolge a Gesù con semplicità, affidandogli il problema. Gesù, pur cosciente di essere il Messia tenuto ad obbedire solo al volere del Padre, accede alla richiesta implicita della Madre. Soprattutto, risponde alla fede della Vergine e dà in tal modo inizio ai miracoli, manifestando la sua gloria.

4. Alcuni poi hanno interpretato in senso negativo la dichiarazione fatta da Gesù, quando, all’inizio della vita pubblica, Maria e i parenti chiedono di vederlo. Riferendoci la risposta di Gesù a chi gli diceva: "Tua madre e i tuoi fratelli sono qui fuori e desiderano vederti", l’evangelista Luca ci offre la chiave di lettura del racconto, che va compreso a partire dalle disposizioni intime di Maria, ben diverse da quelle dei "fratelli" (cf. Gv 7,5). Gesù rispose: "Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica" (Lc 8,21). Nel racconto dell’Annunciazione, infatti, Luca ha mostrato come Maria è stata il modello dell’ascolto della Parola di Dio e della generosa docilità. Interpretato secondo tale prospettiva, l’episodio propone un grande elogio di Maria, che ha compiuto perfettamente nella propria vita il disegno divino. Le parole di Gesù, mentre si oppongono al tentativo dei fratelli, esaltano la fedeltà di Maria alla volontà di Dio e la grandezza della sua maternità, da lei vissuta non solo fisicamente ma anche spiritualmente.

Nel tessere questa lode indiretta, Gesù usa un metodo particolare: evidenzia la nobiltà del comportamento di Maria, alla luce di affermazioni di portata più generale, e mostra meglio la solidarietà e la vicinanza della Vergine all’umanità nel difficile cammino della santità.

Infine, le parole: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola di Dio e la osservano!" (Lc 11,28), pronunciate da Gesù per rispondere alla donna che dichiarava beata sua Madre, lungi dal mettere in dubbio la perfezione personale di Maria, mettono in risalto il suo adempimento fedele della Parola di Dio: così le ha intese la Chiesa, inserendo tale espressione nelle celebrazioni liturgiche in onore di Maria.

Il testo evangelico, infatti, suggerisce che con questa dichiarazione Gesù ha voluto rivelare proprio nell’intima unione con Dio, e nell’adesione perfetta alla Parola divina, il motivo più alto della beatitudine di sua Madre.

5. Lo speciale privilegio concesso da Dio alla "tutta santa", ci conduce ad ammirare le meraviglie operate dalla grazia nella sua vita. Ci ricorda inoltre che Maria è stata sempre e tutta del Signore, e che nessuna imperfezione ha incrinato la perfetta armonia tra Lei e Dio.

La sua vicenda terrena, pertanto, è caratterizzata dallo sviluppo costante e sublime della fede, della speranza e della carità. Per questo, Maria è per i credenti il segno luminoso della Misericordia divina e la guida sicura verso le alte vette della perfezione evangelica e della santità.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:53
COLEI CHE HA CREDUTO

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"COLEI CHE HA CREDUTO "

 

Mercoledì, 3 luglio 1996

1. Nel racconto evangelico della Visitazione, Elisabetta "piena di Spirito Santo", accogliendo in casa Maria, esclama: "Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore" (Lc 1,45). Questa beatitudine, la prima riferita dal Vangelo di Luca, presenta Maria come colei che con la sua fede precede la Chiesa nella realizzazione dello spirito delle beatitudini.

L’elogio tessuto da Elisabetta alla fede di Maria è rafforzato dal confronto con l’annuncio dell’angelo a Zaccaria. Una lettura superficiale delle due annunciazioni potrebbe considerare simili le risposte di Zaccaria e di Maria al messaggero divino: "Come posso conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanzata negli anni", dice Zaccaria; e Maria: "Come avverrà questo? Non conosco uomo" (Lc 1,18.34). Ma la profonda differenza tra le disposizioni intime dei protagonisti delle due vicende emerge dalle parole stesse dell’angelo, che rivolge a Zaccaria un rimprovero per la sua incredulità, mentre offre immediatamente una risposta alla domanda di Maria. A differenza dello sposo di Elisabetta, Maria aderisce pienamente al progetto divino, non subordinando il suo consenso alla concessione di un segno visibile.

All’angelo che le propone di diventare madre, Maria fa presente il suo proposito di verginità. Ella, credendo nella possibilità del compimento dell’annuncio, interpella il messaggero divino solo sulle modalità della sua realizzazione, per meglio adempiere la volontà di Dio, alla quale intende aderire ed affidarsi con totale disponibilità. "Cercò il modo, non dubitò dell’onnipotenza di Dio", commenta sant’Agostino (Sermo 291).

2. Anche il contesto in cui si realizzano le due annunciazioni contribuisce ad esaltare l’eccellenza della fede di Maria. Nel racconto di Luca cogliamo la situazione più favorevole di Zaccaria e la inadeguatezza della sua risposta. Egli riceve l’annuncio dell’angelo nel tempio di Gerusalemme, all’altare davanti al "Santo dei Santi" (cf. Es 30,6-8); l’angelo gli si rivolge mentre offre l’incenso, durante quindi il compimento della sua funzione sacerdotale, in un momento saliente della sua vita; la decisione divina gli viene comunicata durante una visione. Queste particolari circostanze favoriscono una più facile comprensione dell’autenticità divina del messaggio e costituiscono un motivo d’incoraggiamento ad accoglierlo prontamente.

L’annuncio a Maria avviene, invece, in un contesto più semplice e feriale, senza gli elementi esterni di sacralità che accompagnano quello fatto a Zaccaria. Luca non indica il luogo preciso in cui avviene l’Annunciazione della nascita del Signore: riferisce solo che Maria si trovava a Nazaret, villaggio poco importante, che non appare predestinato all’evento. Inoltre, l’evangelista non attribuisce singolare rilevanza al momento in cui l’angelo si rende presente, non precisandone le circostanze storiche. Nel contatto con il messaggero celeste l’attenzione verte sul contenuto delle sue parole, che esigono da Maria un ascolto intenso e una fede pura.

Quest’ultima considerazione ci permette di apprezzare la grandezza della fede in Maria, soprattutto se confrontata con la tendenza a chiedere con insistenza, ieri come oggi, segni sensibili per credere. L’assenso della Vergine alla Volontà divina è motivato, invece, solo dal suo amore per Dio.

3. A Maria è proposto di aderire ad una verità molto più alta di quella annunciata a Zaccaria. Questi è invitato a credere in una nascita meravigliosa che si realizzerà all’interno di un’unione matrimoniale sterile, che Dio vuole rendere feconda: intervento divino analogo a quelli di cui avevano beneficiato alcune donne dell’Antico Testamento: Sara (Gen 17,15-21; 18,10-14), Rachele (Gen 30,22), la madre di Sansone (Gdc 13,1-7), Anna, madre di Samuele (1Sam 1,11-20).In tali episodi viene sottolineata soprattutto la gratuità del dono di Dio.

Maria è chiamata a credere in una maternità verginale, di cui l’Antico Testamento non ricorda nessun precedente. In realtà il noto oracolo di Isaia: "Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele" (Is 7,14), pur non escludendo tale prospettiva, è stato esplicitamente interpretato in questo senso soltanto dopo la venuta di Cristo, e alla luce della rivelazione evangelica.

A Maria è richiesto di aderire ad una verità mai enunciata nel tempo precedente. Ella l’accoglie con animo semplice e audace. Con la domanda: "Come avverrà questo?" esprime la fede nel potere divino di conciliare la verginità con la sua eccezionale ed unica maternità.

Rispondendo: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo" (Lc 1,35), l’angelo offre l’ineffabile soluzione di Dio all’interrogativo posto da Maria. La verginità, che sembrava un ostacolo, diviene il contesto concreto nel quale lo Spirito Santo opererà in lei il concepimento del Figlio di Dio incarnato. La risposta angelica apre la via alla cooperazione della Vergine con lo Spirito Santo nella generazione di Gesù.

4. Nella realizzazione del disegno divino si attua la libera collaborazione della persona umana. Maria, credendo alla Parola del Signore, coopera all’adempimento della maternità annunciata.

I Padri della Chiesa sottolineano spesso questo aspetto del concepimento verginale di Gesù. Soprattutto sant’Agostino, commentando il Vangelo dell’Annunciazione, afferma: "L’angelo annunzia, la Vergine ascolta, crede e concepisce" (Sermo 13 in Nat. Dom.). Ed ancora: "Il Cristo è creduto e concepito mediante la fede. Prima si verifica la venuta della fede nel cuore della Vergine, e in seguito viene la fecondità nel seno della Madre" (Sermo 293).

L’atto di fede di Maria ricorda la fede di Abramo, che ai primordi dell’Antica Alleanza ha creduto in Dio, divenendo così capostipite di una posterità numerosa (cf. Gen 15,6; Redemptoris Mater, 14). All’inizio della Nuova Alleanza anche Maria con la sua fede esercita un influsso decisivo sul compimento del mistero dell’Incarnazione, inizio e compendio di tutta la missione redentrice di Gesù.

Lo stretto rapporto tra fede e salvezza, posto in risalto da Gesù nella sua vita pubblica (cf. Mc 5,34; 10,52; ecc.), aiuta a comprendere anche il fondamentale ruolo che la fede di Maria ha esercitato e continua ad esercitare nei confronti della salvezza del genere umano.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:54

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"LA VERGINITA’ DI MARIA, VERITA’ DI FEDE"

 

Mercoledì, 10 luglio 1996

1. La Chiesa ha costantemente ritenuto la verginità di Maria una verità di fede, accogliendo ed approfondendo la testimonianza dei Vangeli di Luca, di Matteo e, probabilmente, anche di Giovanni.

Nell’episodio dell’Annunciazione, l’evangelista Luca chiama Maria "vergine", riferendo sia della sua intenzione di perseverare nella verginità come del disegno divino che concilia tale proposito con la sua prodigiosa maternità. L’affermazione del concepimento verginale, dovuto all’azione dello Spirito Santo, esclude ogni ipotesi di partenogenesi naturale e rigetta i tentativi di spiegare il racconto lucano come esplicitazione di un tema giudaico o come derivazione di una leggenda mitologica pagana.

La struttura del testo lucano (cf. Lc 1,26-38; 2,19.51) resiste ad ogni interpretazione riduttiva. La sua coerenza non permette di sostenere validamente mutilazioni dei termini o delle espressioni che affermano il concepimento verginale operato dallo Spirito Santo.

2. L’evangelista Matteo, riferendo l’annuncio dell’angelo a Giuseppe, afferma al pari di Luca il concepimento operato "dallo Spirito Santo" (Mt 1,20), con esclusione di relazioni coniugali.

La generazione verginale di Gesù, inoltre, è comunicata a Giuseppe in un secondo momento: non si tratta per lui di un invito a dare un assenso previo al concepimento del Figlio di Maria, frutto dell’intervento soprannaturale dello Spirito Santo e della cooperazione della sola madre. Egli è soltanto chiamato ad accettare liberamente il suo ruolo di sposo della Vergine e la missione paterna nei riguardi del bambino.

Matteo presenta l’origine verginale di Gesù come compimento della profezia di Isaia: "Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi" (Mt 1,23; cf. Is 7,14). In tal modo Matteo porta a concludere che il concepimento verginale è stato oggetto di riflessione nella prima comunità cristiana, che ne ha compreso la conformità al disegno divino di salvezza e il nesso con l’identità di Gesù, "Dio con noi".

3. A differenza di Luca e di Matteo, il Vangelo di Marco non parla del concepimento e della nascita di Gesù; tuttavia, è degno di nota che Marco non menzioni mai Giuseppe, sposo di Maria. Gesù è chiamato "il figlio di Maria" dalla gente di Nazaret oppure, in altro contesto, "il Figlio di Dio" a più riprese (Mc 3,11; 5,7; cf. 1,1.11; 9,7; 14,61-62; 15,39). Questi dati sono in armonia con la fede nel mistero della sua generazione verginale. Tale verità, secondo una recente riscoperta esegetica, sarebbe esplicitamente contenuta anche nel versetto 13 del Prologo del Vangelo di Giovanni, che alcune autorevoli voci antiche (ad esempio, Ireneo e Tertulliano) presentano, non nella usuale forma plurale, ma al singolare: "Lui, che non da sangue né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio fu generato". Questa versione al singolare farebbe del Prologo giovanneo una delle maggiori attestazioni della generazione verginale di Gesù, inserita nel contesto del mistero dell’Incarnazione.

L’affermazione paradossale di Paolo: "Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna... perché ricevessimo l’adozione a figli" (Gal 4,4-5), apre la via all’interrogativo circa la personalità di tale Figlio e quindi circa la sua nascita verginale.

Questa uniforme testimonianza dei Vangeli attesta come la fede nel concepimento verginale di Gesù sia saldamente radicata in diversi ambienti della Chiesa primitiva. E ciò destituisce di ogni fondamento alcune interpretazioni recenti, che intendono il concepimento verginale in senso non fisico o biologico, ma soltanto simbolico o metaforico: esso designerebbe Gesù come dono di Dio all’umanità. La stessa cosa va detta per l’opinione avanzata da altri, secondo i quali il racconto del concepimento verginale sarebbe invece un theologoumenon, cioè un modo di esprimere una dottrina teologica, quella della filiazione divina di Gesù, o sarebbe una sua rappresentazione mitologica.

Come abbiamo visto, i Vangeli contengono l’esplicita affermazione di un concepimento verginale di ordine biologico, operato dallo Spirito Santo, e tale verità è stata fatta propria dalla Chiesa fin dalle prime formulazioni della fede (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 496).

4. La fede espressa nei Vangeli viene confermata, senza interruzioni, nella tradizione successiva. Le formule di fede dei primi autori cristiani postulano l’asserzione della nascita verginale: Aristide, Giustino, Ireneo, Tertulliano convengono con sant’Ignazio d’Antiochia, che proclama Gesù "veramente nato da una vergine" (Smirn., 1,2). Questi autori intendono parlare di una reale e storica generazione verginale di Gesù, e sono lontani dall’affermare una verginità solo morale o un vago dono di grazia, manifestatosi nella nascita del bambino.

Le solenni definizioni di fede dei Concili ecumenici e del Magistero Pontificio, che fanno seguito alle prime brevi formule di fede, sono in perfetta consonanza con tale verità. Il Concilio di Calcedonia (451), nella sua professione di fede, accuratamente redatta e dal contenuto infallibilmente definito, afferma che Cristo è stato "generato […] secondo l’umanità, negli ultimi giorni, per noi e per la nostra salvezza, da Maria Vergine, Madre di Dio" (DS 301). Allo stesso modo il III Concilio di Costantinopoli (681) proclama che Gesù Cristo è stato "generato […] secondo l’umanità, dallo Spirito Santo e da Maria Vergine, colei che è propriamente e in tutta verità Madre di Dio" (DS 555). Altri Concili ecumenici (Costantinopolitano II, Lateranense IV e Lionese II) dichiarano Maria "sempre vergine", sottolineandone la verginità perpetua (DS 423, 801, 852). Tali affermazioni sono state riprese dal Concilio Vaticano II, evidenziando il fatto che Maria "per la sua fede e la sua obbedienza... generò sulla terra lo stesso Figlio del Padre, senza conoscere uomo, ma sotto l’ombra dello Spirito Santo" (LG 63).

Alle definizioni conciliari vanno poi aggiunte quelle del Magistero Pontificio, relative all’immacolata concezione della "Beatissima Vergine Maria" (DS 2803) e all’Assunzione della "Immacolata Madre di Dio sempre Vergine" (DS 3903).

5. Anche se le definizioni del Magistero, ad eccezione del Concilio Lateranense del 649, voluto da Papa Martino I, non precisano il senso dell’appellativo "vergine", è chiaro che tale termine viene usato nel suo senso abituale: l’astensione volontaria dagli atti sessuali e la preservazione dell’integrità corporale. In ogni caso l’integrità fisica è ritenuta essenziale alla verità di fede del concepimento verginale di Gesù (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 496).

La designazione di Maria come "Santa, sempre Vergine, Immacolata" suscita l’attenzione sul legame fra santità e verginità. Maria ha voluto una vita verginale, perché animata dal desiderio di dare tutto il suo cuore a Dio.

L’espressione usata nella definizione dell’Assunzione, "l’Immacolata Madre di Dio sempre vergine" suggerisce anche la connessione fra la verginità e la maternità di Maria: due prerogative miracolosamente unite nella generazione di Gesù, vero Dio e vero uomo. Così la verginità di Maria è intimamente legata alla sua divina maternità e perfetta santità.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:54

Udienza generale di Giovanni Paolo II

"IL PROPOSITO DI VERGINITA’"

Mercoledì, 24 luglio 1996

 

1. All’angelo che le annuncia il concepimento e la nascita di Gesù, Maria rivolge una domanda: "Come avverrà questo? Non conosco uomo" (Lc 1,34). Un tale quesito risulta, a dir poco, sorprendente se andiamo con la mente ai racconti biblici che riportano l’annuncio di una nascita straordinaria ad una donna sterile. In quei casi si tratta di donne sposate, naturalmente sterili, alle quali il dono del figlio è offerto da Dio attraverso la normale vita coniugale (cf. 1Sam 1,19-20), in risposta ad accorate preghiere (cf. Gen 15,2; 30,22-23; 1Sam 1,10; Lc 1,13).

Diversa è la situazione in cui Maria riceve l’annuncio dell’angelo. Ella non è una donna maritata che abbia problemi di sterilità; per scelta volontaria intende restare vergine. Questo suo proposito di verginità, frutto di amore per il Signore, sembra, quindi, costituire un ostacolo alla maternità annunciata.

A prima vista le parole di Maria sembrerebbero esprimere soltanto il suo stato presente di verginità: Maria affermerebbe di non "conoscere" uomo, cioè di essere vergine. Tuttavia il contesto nel quale viene posta la domanda "come avverrà questo?" e l’affermazione seguente "non conosco uomo", mettono in evidenza sia l’attuale verginità di Maria, sia il suo proposito di rimanere vergine. L’espressione da lei usata, con la forma verbale al presente, lascia trasparire la permanenza e la continuità del suo stato.

2. Facendo presente questa difficoltà, Maria, lungi dall’opporsi al progetto divino, manifesta l’intenzione di adeguarvisi totalmente. Del resto, la fanciulla di Nazaret è vissuta sempre in piena sintonia con la volontà divina ed ha optato per una vita verginale nell’intento di piacere al Signore. In realtà il suo proposito di verginità la disponeva ad accogliere il volere divino "con tutto il suo "io" umano, femminile, ed in tale risposta di fede erano contenute una perfetta cooperazione con la grazia di Dio, che previene e soccorre, ed una perfetta disponibilità all’azione dello Spirito Santo" (Redemptoris Mater, 13).

Ad alcuni, le parole e intenzioni di Maria sono apparse inverosimili, poiché nell’ambiente giudaico la verginità non era ritenuta un valore, né un ideale da perseguire. Gli stessi scritti dell’Antico Testamento lo confermano in taluni noti episodi ed espressioni. Nel libro dei Giudici, ad esempio, si narra della figlia di Iefte che, dovendo affrontare la morte mentre è ancora una ragazza non maritata, piange la sua verginità, cioè si rammarica di non essersi potuta sposare (Gdc 11,38). Il matrimonio, inoltre, in virtù del precetto divino: "Siate fecondi e moltiplicatevi" (Gen 1,28), è considerato come la naturale vocazione della donna, che comporta le gioie e le sofferenze proprie della maternità.

3. Per meglio comprendere il contesto in cui matura la decisione di Maria, occorre tener presente come, nel tempo che precede immediatamente l’inizio dell’era cristiana, in alcuni ambienti giudaici si comincia a manifestare un certo orientamento positivo verso la verginità. Ad esempio, gli Esseni, dei quali sono state ritrovate numerose ed importanti testimonianze storiche a Qumran, vivevano nel celibato o limitavano l’uso del matrimonio, a motivo della vita comune e della ricerca di una maggiore intimità con Dio.

In Egitto, inoltre, esisteva una comunità di donne che, in collegamento con la spiritualità essena, osservavano la continenza. Tali donne, le Terapeute, appartenenti a una setta descritta da Filone Alessandrino (De Vita Contemplativa, 21-90), si dedicavano alla contemplazione e ricercavano la sapienza.

Non sembra che Maria sia venuta a conoscenza di questi gruppi religiosi giudaici che praticavano l’ideale del celibato e della verginità. Ma il fatto che Giovanni Battista vivesse probabilmente una vita celibataria, e che nella comunità dei suoi discepoli questa fosse tenuta in alta considerazione, potrebbe far supporre che anche il proposito verginale di Maria rientri in tale nuovo contesto culturale e religioso.

4. La straordinaria vicenda della Vergine di Nazaret non deve però farci cadere nell’errore di legare completamente le sue disposizioni intime alla mentalità dell’ambiente, svuotando l’unicità del mistero avvenuto in lei. In particolare, non dobbiamo dimenticare che Maria aveva ricevuto, dall’inizio della sua vita, una grazia sorprendente riconosciutale dall’angelo al momento dell’Annunciazione. "Piena di grazia" (Lc 1,28), Maria fu arricchita di una perfezione di santità che, secondo l’interpretazione della Chiesa, risale al primo momento della sua esistenza: il privilegio unico dell’Immacolata concezione ha esercitato un influsso su tutto lo sviluppo della vita spirituale della giovane donna di Nazaret.

Si deve dunque ritenere che a guidare Maria verso l’ideale della verginità è stata un’ispirazione eccezionale di quello stesso Spirito Santo che, nel corso della storia della Chiesa, spingerà tante donne sulla via della consacrazione verginale.

La presenza singolare della grazia nella vita di Maria, porta a concludere per un impegno della giovane nella verginità. Colma di doni eccezionali del Signore dall’inizio della sua esistenza, ella è orientata ad una dedizione di tutta se stessa - anima e corpo - a Dio nell’offerta verginale.

Inoltre, l’aspirazione alla vita verginale era in armonia con quella "povertà" dinanzi a Dio, a cui l’Antico Testamento attribuisce un grande valore. Impegnandosi pienamente in questa via, Maria rinuncia anche alla maternità, ricchezza personale della donna, tanto apprezzata in Israele. In tal modo "Ella primeggia tra gli uomini e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza" (LG 55). Ma, presentandosi a Dio come povera, e mirando ad una fecondità solo spirituale, frutto dell’amore divino, al momento dell’Annunciazione Maria scopre che la sua povertà è trasformata dal Signore in ricchezza: Ella sarà la Madre Vergine del Figlio dell’Altissimo. Più tardi scoprirà anche che la sua maternità è destinata ad estendersi a tutti gli uomini che il Figlio è venuto a salvare (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 501).

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 07:55

Udienza generale di Giovanni Paolo II

" VALORE DEL CONCEPIMENTO VERGINALE DI GESU’ "

 

Mercoledì, 31 luglio 1996

 

1. Nel suo disegno salvifico Dio ha voluto che il Figlio unigenito nascesse da una Vergine. Tale decisione divina postula un profondo rapporto tra la Verginità di Maria e l’Incarnazione del Verbo. "Lo sguardo della fede può scoprire, in connessione con l’insieme della Rivelazione, le ragioni misteriose per le quali Dio, nel suo progetto salvifico, ha voluto che suo Figlio nascesse da una Vergine. Queste ragioni riguardano tanto la persona e la missione redentrice di Cristo, quanto l’accettazione di tale missione da parte di Maria in favore di tutti gli uomini" (Catechismo della Chiesa Cattolica, 502).

Il concepimento verginale, escludendo una paternità umana, afferma che il solo padre di Gesù è il Padre celeste e che nella generazione temporale del Figlio si riflette la generazione eterna: il Padre, che aveva generato il Figlio nell’eternità, lo genera anche nel tempo come uomo.

2. Il racconto dell’Annunciazione pone in risalto lo stato di "Figlio di Dio", conseguente all’intervento divino nel concepimento. "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio" (Lc 1,35).

Colui che nasce da Maria è già, in virtù della generazione eterna, Figlio di Dio; la sua generazione verginale, operata per intervento dell’Altissimo, manifesta che, anche nella sua umanità, egli è il Figlio di Dio.

La rivelazione della generazione eterna nella generazione verginale è suggerita anche dalle espressioni contenute nel Prologo del Vangelo di Giovanni, che mettono in relazione la manifestazione del Dio invisibile, ad opera dell’"Unigenito che è nel seno del Padre" (Gv 1,18), con la sua venuta nella carne: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità" (Gv 1,14).

Narrando la generazione di Gesù, Luca e Matteo affermano anche il ruolo dello Spirito Santo. Questi non è il padre del Bambino: Gesù è Figlio unicamente dell’Eterno Padre (cf. Lc 1,32.35) che, per mezzo dello Spirito, opera nel mondo e genera il Verbo nella natura umana. Infatti, nell’Annunciazione l’angelo nomina lo Spirito "potenza dell’Altissimo" (Lc 1,35), in sintonia con l’Antico Testamento che lo presenta come la divina energia operante nell’esistenza umana, rendendola capace di azioni meravigliose. Manifestandosi al grado supremo nel mistero dell’Incarnazione, questa potenza, che nella vita trinitaria di Dio è Amore, ha il compito di donare il Verbo Incarnato all’umanità.

3. Lo Spirito Santo, in particolare, è la persona che comunica le divine ricchezze agli uomini e partecipa loro la vita di Dio. Egli, che nel mistero trinitario è l’unità del Padre e del Figlio, operando la generazione verginale di Gesù, unisce l’umanità a Dio.

Il mistero dell’Incarnazione mette in luce anche l’incomparabile grandezza della maternità verginale di Maria: il concepimento di Gesù è frutto della sua generosa cooperazione all’azione dello Spirito d’Amore, fonte di ogni fecondità.

Nel piano divino della salvezza, il concepimento verginale è pertanto annunzio della nuova creazione: per opera dello Spirito Santo, in Maria è generato colui che sarà l’uomo nuovo. Come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica, "Gesù è concepito per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine Maria, perché egli è il nuovo Adamo che inaugura la nuova creazione" (n. 504).

Nel mistero di tale nuova creazione risplende il ruolo della verginale maternità di Maria. Chiamando Cristo "primogenito della Vergine" (Adv. Haer., 3,16,4), sant’Ireneo ricorda che, dopo Gesù, molti altri nascono dalla Vergine, nel senso che ricevono la vita nuova di Cristo. "Gesù è l’unico Figlio di Maria. Ma la maternità spirituale di Maria si estende a tutti gli uomini che egli è venuto a salvare: Ella ha dato alla luce un Figlio che Dio ha fatto "il primogenito di una moltitudine di fratelli" (Rm 8,29), cioè dei fedeli, e alla cui nascita e formazione ella coopera con amore di madre" (Catechismo della Chiesa Cattolica, 501).

4. La comunicazione della vita nuova è trasmissione della figliolanza divina. Possiamo qui ricordare la prospettiva aperta da Giovanni nel Prologo del suo Vangelo: colui che da Dio è stato generato dà ai credenti il potere di diventare figli di Dio (cf. Gv 1,12-13). La generazione verginale consente l’estensione della paternità divina: gli uomini sono resi figli adottivi di Dio in Colui che è Figlio della Vergine e del Padre.

La contemplazione del mistero della generazione verginale ci fa dunque intuire che Dio ha scelto per suo Figlio una Madre Vergine, per offrire più ampiamente all’umanità il suo amore di Padre.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 10:26

Udienza generale di Giovanni Paolo II

" MARIA MODELLO DI VERGINITA’ "

 

Mercoledì, 7 agosto 1996

 

1. Il proposito di verginità, che traspare dalle parole di Maria al momento dell’Annunciazione, è stato tradizionalmente considerato come l’inizio e l’evento ispiratore della verginità cristiana nella Chiesa.

Sant’Agostino riconosce in tale proponimento non l’adempimento di un precetto divino, ma un voto liberamente emesso. In tal modo si è potuto presentare Maria come esempio alle "sante vergini" nel corso di tutta la storia della Chiesa. Maria "ha dedicato la sua verginità a Dio, quando non sapeva ancora ciò che doveva concepire, affinché l’imitazione della vita celeste nel corpo terreno e mortale si faccia per voto, non per precetto, per scelta d’amore, non per necessità di servizio" (De Sancta Virg., IV, 4; PL 40,398).

L’angelo non chiede a Maria di rimanere vergine; è Maria che liberamente rivela la sua intenzione di verginità. In tale impegno si colloca la sua scelta d’amore che la porta a dedicarsi totalmente al Signore con una vita verginale.

Sottolineando la spontaneità della decisione di Maria, non dobbiamo dimenticare che all’origine di ogni vocazione c’è l’iniziativa di Dio. Orientandosi verso la vita verginale, la fanciulla di Nazaret rispondeva a una vocazione interiore, cioè ad una ispirazione dello Spirito Santo che l’illuminava sul significato e sul valore del dono verginale di se stessa. Nessuno può accogliere tale dono senza sentirsi chiamato e senza ricevere dallo Spirito Santo la luce e la forza necessarie.

2. Anche se sant’Agostino usa la parola "voto" per mostrare a coloro che chiama "sante vergini" il primo modello del loro stato di vita, il Vangelo non testimonia che Maria abbia espressamente formulato un voto, che è la forma di consacrazione e di offerta della propria vita a Dio, in uso sin dai primi secoli della Chiesa. Dal Vangelo risulta che Maria ha preso la personale decisione di rimanere vergine, offrendo il suo cuore al Signore. Ella desidera essere sua fedele sposa, realizzando la vocazione della "figlia di Sion". Con la sua decisione però ella diventa l’archetipo di tutti coloro che nella Chiesa hanno scelto di servire il Signore con cuore indiviso nella verginità.

Né i Vangeli, né altri scritti del Nuovo Testamento ci informano circa il momento in cui Maria ha assunto la decisione di rimanere vergine. Tuttavia dalla domanda rivolta all’angelo emerge con chiarezza che, al momento dell’Annunciazione, tale deliberazione era molto ferma. Maria non esita ad esprimere il suo desiderio di conservare la verginità anche nella prospettiva della maternità proposta, manifestando di avere a lungo maturato la sua intenzione.

Infatti, la scelta della verginità non è stata assunta da Maria nella prospettiva, imprevedibile, di diventare Madre di Dio, ma è maturata nella sua coscienza prima del momento dell’Annunciazione. Possiamo supporre che tale orientamento sia stato sempre presente nel suo cuore: la grazia che la preparava alla maternità verginale ha certamente influito su tutto lo sviluppo della sua personalità, mentre lo Spirito Santo non ha mancato d’ispirare, sin dai più giovani anni, il desiderio dell’unione più completa con Dio.

3. Le meraviglie che Dio opera, anche oggi, nel cuore e nella vita di tanti ragazzi e ragazze, sono state realizzate innanzitutto nell’anima di Maria. Anche nel nostro mondo, pur così distratto dalle suggestioni di una cultura spesso superficiale e consumistica, non pochi adolescenti raccolgono l’invito che proviene dall’esempio di Maria e consacrano la loro giovinezza al Signore ed al servizio dei fratelli.

Tale decisione, più che rinunzia a valori umani, è scelta di valori più grandi. A tale proposito, il mio venerato Predecessore Paolo VI, nell’Esortazione apostolica Marialis cultus, sottolinea come colui che guarda con animo aperto alla testimonianza del Vangelo "si renderà conto che la scelta dello stato verginale da parte di Maria... non fu un atto di chiusura ad alcuno dei valori dello stato matrimoniale, ma costituì una scelta coraggiosa, compiuta per consacrarsi totalmente all’amore di Dio" (n. 37).

La scelta dello stato verginale, in definitiva, è motivata dalla piena adesione a Cristo. Ciò risulta particolarmente evidente in Maria. Benché prima dell’Annunciazione non ne sia cosciente, lo Spirito Santo ispira la sua dedizione verginale in vista di Cristo: ella rimane vergine per accogliere con tutta se stessa il Messia Salvatore. La verginità iniziata in Maria rivela così la propria dimensione cristocentrica, essenziale anche per la verginità vissuta nella Chiesa, che trova nella Madre di Cristo il suo sublime modello. Se la sua verginità personale, legata alla divina maternità, rimane un fatto eccezionale, essa illumina e dà senso ad ogni dono verginale.

4. Nella storia della Chiesa, quante giovani donne, contemplando la nobiltà e la bellezza del cuore verginale della Madre del Signore, si sono sentite incoraggiate a rispondere generosamente alla chiamata di Dio, abbracciando l’ideale della verginità! "Proprio tale verginità - come ho ricordato nell’Enciclica Redemptoris Mater - sull’esempio della Vergine di Nazaret, è fonte di una speciale fecondità spirituale: è fonte della maternità nello Spirito Santo" (n. 43).

La vita verginale di Maria suscita in tutto il popolo cristiano la stima per il dono della verginità e il desiderio che si moltiplichi nella Chiesa come segno del primato di Dio su ogni realtà e come anticipazione profetica della vita futura. Ringraziamo insieme il Signore per coloro che ancor oggi generosamente consacrano la loro vita nella verginità al servizio del Regno di Dio.

Al tempo stesso, mentre in diverse regioni di antica evangelizzazione l’edonismo e il consumismo sembrano distogliere non pochi giovani dall’abbracciare la vita consacrata, occorre chiedere incessantemente a Dio, per intercessione di Maria, una nuova fioritura di vocazioni religiose. Così il volto della Madre di Cristo, riflesso in molte vergini che si sforzano di seguire il divino Maestro, continuerà ad essere per l’umanità il segno della misericordia e della tenerezza divina.

(Gino61)
00sabato 29 agosto 2009 10:28
L'UNIONE VERGINALE DI MARIA E GIUSEPPE

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 21 agosto 1996

 

1. Presentando Maria come “vergine”, il Vangelo di Luca aggiunge che era “promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe” (Lc 1, 27). Queste informazioni appaiono, a prima vista, contraddittorie.

Occorre notare che il termine greco usato in questo passo non indica la situazione di una donna che ha contratto il matrimonio e vive pertanto nello stato matrimoniale, ma quella del fidanzamento. A differenza di quanto avviene nelle culture moderne, però, nel costume giudaico antico l’istituto del fidanzamento prevedeva un contratto e aveva normalmente valore definitivo: introduceva, infatti, i fidanzati nello stato matrimoniale, anche se il matrimonio si compiva in pienezza allorché il giovane conduceva la ragazza nella sua casa.

Al momento dell’Annunciazione, Maria si trova dunque nella situazione di promessa sposa. Ci si può domandare perché mai abbia accettato il fidanzamento, dal momento che aveva fatto il proposito di rimanere vergine per sempre. Luca è consapevole di tale difficoltà, ma si limita a registrare la situazione senza apportare spiegazioni. Il fatto che l’Evangelista, pur evidenziando il proposito di verginità di Maria, la presenti ugualmente come sposa di Giuseppe costituisce un segno della attendibilità storica di ambedue le notizie.

2. Si può supporre che tra Giuseppe e Maria, al momento del fidanzamento, vi fosse un’intesa sul progetto di vita verginale. Del resto, lo Spirito Santo, che aveva ispirato a Maria la scelta della verginità in vista del mistero dell’Incarnazione e voleva che questa avvenisse in un contesto familiare idoneo alla crescita del Bambino, poté ben suscitare anche in Giuseppe l’ideale della verginità.

L’angelo del Signore, apparendogli in sogno, gli dice: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo” (Mt 1, 20). Egli riceve così la conferma di essere chiamato a vivere in modo del tutto speciale la via del matrimonio. Attraverso la comunione verginale con la donna prescelta per dare alla luce Gesù, Dio lo chiama a cooperare alla realizzazione del suo disegno di salvezza.

Il tipo di matrimonio verso cui lo Spirito Santo orienta Maria e Giuseppe è comprensibile solo nel contesto del piano salvifico e nell’ambito di un’alta spiritualità. La realizzazione concreta del mistero dell’Incarnazione esigeva una nascita verginale che mettesse in risalto la filiazione divina e, al tempo stesso, una famiglia che potesse assicurare il normale sviluppo della personalità del Bambino.

Proprio in vista del loro contributo al mistero dell’Incarnazione del Verbo, Giuseppe e Maria hanno ricevuto la grazia di vivere insieme il carisma della verginità e il dono del matrimonio. La comunione d’amore verginale di Maria e Giuseppe, pur costituendo un caso specialissimo, legato alla realizzazione concreta del mistero dell’Incarnazione, è stata tuttavia un vero matrimonio (cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris custos, 7).

La difficoltà di accostarsi al mistero sublime della loro comunione sponsale ha indotto alcuni, sin dal II secolo, ad attribuire a Giuseppe un’età avanzata e a considerarlo il custode, più che lo sposo di Maria. È il caso di supporre, invece, che egli non fosse allora un uomo anziano, ma che la sua perfezione interiore, frutto della grazia, lo portasse a vivere con affetto verginale la relazione sponsale con Maria.

3. La cooperazione di Giuseppe al mistero dell’Incarnazione comprende anche l’esercizio del ruolo paterno nei confronti di Gesù.

Tale funzione gli è riconosciuta dall’angelo che, apparendogli in sogno, lo invita a dare il nome al Bambino: “Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1, 21).

Pur escludendo la generazione fisica, la paternità di Giuseppe fu una paternità reale, non apparente. Distinguendo tra padre e genitore, un’antica monografia sulla verginità di Maria - il De Margarita (IV sec.) - afferma che “gli impegni assunti dalla Vergine e da Giuseppe come sposi fecero sì che egli potesse essere chiamato con questo nome (di padre); un padre tuttavia che non ha generato”. Giuseppe dunque esercitò nei confronti di Gesù il ruolo di padre, disponendo di un’autorità a cui il Redentore si è liberamente “sottomesso” (Lc 2, 51), contribuendo alla sua educazione e trasmettendogli il mestiere di carpentiere.

Sempre i cristiani hanno riconosciuto in Giuseppe colui che ha vissuto un’intima comunione con Maria e Gesù, deducendo che anche in morte ha goduto della loro presenza consolante ed affettuosa. Da tale costante tradizione cristiana si è sviluppata in molti luoghi una speciale devozione alla Santa Famiglia ed in essa a san Giuseppe, Custode del Redentore. Il Papa Leone XIII gli affidò, com’è noto, il patrocinio su tutta la Chiesa.

 

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