Le ragioni "laiche" per opporsi all'eutanasia...e ad ogni altra ingiustizia contro la morale e l'etica

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Caterina63
00martedì 30 giugno 2009 21:24
«La vita è uguale per tutti» di Paola Binetti

Le ragioni laiche per opporsi all'eutanasia


Viene presentato il primo luglio presso l'Istituto Luigi Sturzo a Roma il volume di Paola Binetti La vita è uguale per tutti. La legge italiana e la dignità della persona (Mondadori, Milano, 2009, pagine 132, euro 14). Tra gli interventi è previsto quello dell'arcivescovo Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita.
 

di Laura Palazzani

Sono molti i fatti di cronaca che hanno sollecitato l'opinione pubblica, oltre agli esperti del settore, a porsi interrogativi sulle questioni etiche e giuridiche relative al fine vita. I casi di Terri Schiavo, Piergiorgio Welby e Eluana Englaro hanno interpellato le nostre coscienze e messo concretamente in evidenza davanti ai nostri occhi la problematicità della questione bioetica del rifiuto delle terapie.

È lecito staccare il respiratore artificiale a un malato di sclerosi laterale amiotrofica, completamente paralizzato, ma capace di manifestare la propria volontà e di dare il consenso informato? È lecito sospendere alimentazione e idratazione a un paziente in stato vegetativo persistente?

Il volume di Paola Binetti, a partire da una rigorosa ricostruzione di tali casi emblematici, accompagna il lettore alla ricerca di risposte a queste domande ineludibili, complesse, laceranti. Nel testo sono esposte, con chiarezza e profondità, ma anche delicata sensibilità, le ragioni di chi ritiene legittimo, anzi doveroso, il rifiuto delle terapie in nome dell'autodeterminazione individuale, appellandosi al "diritto di morire" quando la vita è ritenuta "non degna di essere vissuta".

L'autrice discute criticamente ogni argomentazione delle teorie libertarie e utilitariste che, esaltando autonomia e qualità di vita, legittimano l'eutanasia:  a livello psicologico, mostrando che il desiderio di morire nasconde spesso la richiesta di aiuto a lenire le sofferenze e a essere accompagnati nel morire; sul piano etico, giustificando il dovere di vivere (per sé e per gli altri), essendo la vita un dono (in quanto data da altri) e un compito, proiettato verso la società e verso il futuro; sul piano giuridico, evidenziando le contraddizioni della esaltazione di un diritto che, negando la vita, nega la stessa libertà individuale.

Intorno al dibattito sul fine vita si gioca oggi lo scontro tra l'individualismo autoreferenziale e l'utilitarismo pragmatico da un lato e la solidarietà sociale dall'altro. Binetti intende mettere in evidenza, in questo libro, quali sono le ragioni laiche che sostengono la fede di chi crede, orientate al riconoscimento della dignità intrinseca della vita umana sino all'ultimo istante e alla giustificazione dell'aiuto a vivere e non invece a morire.

Ragioni filosofiche, nella direzione del recupero del senso della vita oltre le spinte volontaristiche e il calcolo utilitaristico; ragioni etiche, che riscoprono nell'uomo la natura relazionale, la propensione alla relazione di cura nei confronti di chi è fragile, vulnerabile e bisognoso; ragioni giuridiche, che richiamano il significato originario del diritto, a difesa della vita e non della morte.

In questa cornice teoretica, si possono cogliere - a parere dell'autrice - le chiavi interpretative dei casi di cronaca, che non possono essere vissuti solo emotivamente, ma devono anche indurre a riflessioni critiche razionali. Sospendere idratazione e alimentazione per individui (come Englaro) in stato vegetativo persistente - stato di cui non è dimostrabile scientificamente  con certezza la irreversibilità, ma semmai solo la scarsa probabilità di recupero della coscienza - è considerata una "eutanasia omissiva":  idratare e alimentare non costituiscono accanimento terapeutico, ossia cure sproporzionate (futili e gravose), ma una assistenza ordinaria dovuta a tutti i soggetti che si trovano in condizioni  analoghe.  Sospendere  la  respirazione artificiale a pazienti affetti da malattie neurodegenerative progressive a esito infausto (come Welby) è un'altra forma eutanasica, che mette in evidenza la priorità del volere del paziente rispetto alla responsabilità terapeutica del medico.

L'autrice sottolinea, attraverso i casi e l'analisi filosofica, come il "lasciar morire" rimandi a una responsabilità morale, sia per chi desidera morire anticipatamente rifiutando le cure, sia per chi omette di intervenire per salvare la vita, e cioè il medico. Questa linea di pensiero emerge in modo argomentato, critico, dialettico e dialogico nel costante confronto con il pluralismo che investe sia l'ambito scientifico, sia quello etico e giuridico, oltre che politico.

Ma l'originalità del volume, oltre all'intreccio tra astrazione filosofica e concretezza casistica, consiste nel metodo di approccio bioetico scelto:  un metodo induttivo e narrativo. Con un approccio che non vuole partire dall'enunciazione delle teorie astratte e dalla deduzione logica di principi, ma intende muoversi dalla storia e dall'esperienza delle persone, "mettendosi nei panni degli altri"; che si propone di mettere a fuoco non solo la razionalità dei principi, ma anche la disponibilità d'animo virtuosa, l'impegno personale e attivo ad agire nella concretezza della realtà.
 
Non basta enunciare la solidarietà in senso prescrittivo a priori, fondandola su un solido sistema filosofico che si oppone all'individualismo e all'utilitarismo, ma bisogna praticarla, viverla, sperimentarla in prima persona, a posteriori. Binetti stimola il lettore a comprendere che solo prendendosi concretamente cura degli altri - anche e soprattutto coloro che sono in condizioni di malattia e sofferenza, di dipendenza e debolezza - è possibile superare quella "frettolosa indifferenza" e quella "soffocante solitudine" che caratterizza la società in cui viviamo e che ci allontana dai valori autenticamente umani.

Questa è la via che può portare a prevenire l'eutanasia, la richiesta di morire e di essere aiutati a morire:  e la politica può dare un contributo nella direzione dell'incremento delle cure palliative - che anche se non guariscono, alleviano il dolore - nella moltiplicazione di luoghi e strutture di assistenza per pazienti in stato vegetativo o in condizioni di malattie inguaribili e per le loro famiglie, nella formazione del personale sanitario e della società al significato della solidarietà, della dedizione all'altro, della cura e del prendersi cura.



(©L'Osservatore Romano - 30 giugno 1 luglio 2009)

Caterina63
00lunedì 20 dicembre 2010 19:33
La commissione di bioetica della Conferenza dei vescovi svizzeri sull'assoluzione di un medico

Aiutare a morire
non è mai una necessità


Friburgo, 20. "No" a chi vuole estendere ulteriormente la pratica del suicidio assistito fino a far scomparire il limite che lo separa dall'eutanasia; "no" a chi ritiene che, in alcune circostanze, aiutare a morire sia una "necessità" e addirittura un compito dei medici.

L'"omicidio su richiesta" resta un omicidio e deve essere punito, poiché "il divieto di provocare la morte altrui o di esserne complice" fa parte dei fondamenti della vita di una società e "deve restare non negoziabile".

Sono questi, in sintesi, i punti fermi del comunicato con il quale la commissione di bioetica della Conferenza dei vescovi svizzeri ha reagito, nei giorni scorsi, alla sentenza di assoluzione emessa dal tribunale di Boudry, nel cantone di Neuchâtel, nei confronti del medico Daphné Berner, accusato di aver ucciso - iniettandole una sostanza letale - una donna affetta da una malattia incurabile, paralizzata a letto, che le aveva espresso il desiderio di morire.

Nonostante l'"omicidio su richiesta della vittima" sia punito dalla legge ai sensi dell'articolo 114 del Codice penale svizzero, i giudici, in questo caso, lo hanno giustificato riconoscendo uno "stato di necessità". Nel verdetto si ricorda che il Tribunale federale, in passato, ha già riconosciuto il carattere "scusabile" di un omicidio se esso risponde alla necessità di porre fine a un "martirio".

I vescovi si dicono preoccupati non tanto per la sentenza in sé quanto per i commenti dell'opinione pubblica favorevoli all'allargamento della pratica del suicidio assistito e alla modifica della legge sull'eutanasia, considerata obsoleta. Aiuto al suicidio ed eutanasia sono mossi dalla stessa logica - si legge nel documento, a firma del presidente della commissione di bioetica, Thierry Collaud - poiché in entrambi i casi "si contribuisce volontariamente alla morte di una persona per consentirle di sottrarsi a una condizione di vita considerata intollerabile".

Per il tribunale di Boudry, la diagnosi della paziente deceduta (sclerosi laterale amiotrofica) era così terribile da giustificare tale "omicidio compassionevole". Riguardo ciò, Collaud afferma che è "inquietante" vedere come la lista delle malattie che vengono giudicate incompatibili con una vita degna a poco a poco si allunghi. "Siamo convinti che non esistano situazioni di esistenza umana che per definizione siano indegne di essere vissute", è scritto nel comunicato, anche se sappiamo che "esistono situazioni individuali di sofferenza nelle quali la persona tocca i limiti della sopportazione". Situazioni, queste ultime, che "non devono essere affrontate con fatalismo e rassegnazione", ma con grande energia "per trovare insieme il cammino di una vita possibile malgrado questa sofferenza o attraverso essa".

Per questo - sottolinea la commissione di bioetica - "rigettiamo con forza l'idea che, in alcune circostanze, aiutare a morire sia "una necessità" e ancora di più quella che lo considera un compito dei medici. Se una necessità esiste, è quella di un accompagnamento nella solidarietà umana, che unisca la competenza e la sollecitudine. Le cure palliative ci mostrano che il dolore si calma con specifiche terapie, che la sofferenza psichica o esistenziale (solitudine, dipendenza, angoscia, disperazione) si allevia attraverso relazioni interpersonali calorose e autentiche, la presenza di persone portatrici di speranza" e - conclude il comunicato - tenendo aperta la dimensione spirituale che dà senso alla fine della vita.


(©L'Osservatore Romano - 20-21 dicembre 2010)

Caterina63
00sabato 22 gennaio 2011 19:36
Da Ippocrate a Giovanni Paolo II

Le preghiere del medico



di José María Simón Castellví
Presidente della Federazione internazionale
delle associazioni mediche cattoliche


Il giuramento di Ippocrate è un documento, noto non solo nel campo della medicina, che in alcune università i nuovi medici leggono solennemente durante una cerimonia al termine della carriera universitaria. Si tratta di un testo molto valido dal punto di vista dell'etica professionale, salvo in alcune versioni che in malafede eliminano la tutela della vita nascente:  il non dover dare prodotti abortivi scompare o viene sostituito con una frase anodina, a discapito della professione o della verità storica.

Tuttavia l'invocazione di Apollo, Asclepio, Igea, Panacea e di altre divinità, nonostante sia suggestiva e non comporti un grande pericolo di politeismo in occidente, non mi convince del tutto. Il Signore è l'unico Dio. Ma esistono tre preghiere specifiche che il medico cristiano può recitare, e che richiamano prepotentemente la mia attenzione per la loro bellezza, devozione e dottrina.

La prima è un giuramento anonimo cristiano dei primi secoli, scritto in greco e conservato in un manoscritto vaticano medievale, ma il cui uso è attestato sin dal IV secolo. Il testo inizia con una benedizione a Dio, Padre, e continua affermando che il medico non macchierà la sua scienza, che a nessuno somministrerà un veleno anche se ne sarà richiesto, che non provocherà mai un aborto, che agirà secondo scienza e coscienza sempre a favore dei malati, in santità, evitando l'erotismo, custodendo il segreto ("come un segreto sacro"). La preghiera si conclude invocando l'aiuto di Dio e il rispetto degli uomini, con un monito:  il medico non si salverà se giurerà il falso. Si tratta di uno stupendo compendio dei comandamenti e della legge naturale per l'esercizio della professione medica.

Un'altra preghiera che mi colpisce sempre è quella attribuita a Mosè Maimonide, il medico ebreo nato a Córdoba, in Spagna, nel XII secolo. In essa chiede a Dio che ci riempia di amore per l'arte medica e per tutte le creature, che ci allontani dalla sete di guadagno e dal desiderio di gloria, che ci dia forza per servire il povero e il ricco, l'amico e il nemico, il buono e il cattivo, che non ci faccia distrarre, che ci faccia apprezzare il progresso della medicina e che i pazienti abbiano fiducia in noi.
 
Contiene quindi alcune parole che suonano decisamente attuali, applicabili al campo medico e a quasi ogni altro ambito, e specialmente alla cosiddetta tv spazzatura:  "Allontana dai miei pazienti i ciarlatani, l'esercito di parenti che danno mille consigli e portano molte volte alla morte. Se gli ignoranti mi scherniscono, concedimi, Signore, la corazza dell'amore della mia arte. Dammi pazienza dinanzi ai maleducati e agli appassionati". Si vede da queste espressioni che l'homo sapiens è lo stesso in ogni epoca.

Nella preghiera si chiedono anche forza di volontà e l'opportunità di ampliare sempre più le proprie conoscenze, cioè l'equivalente attuale della formazione permanente, tanto elogiata dalla comunità internazionale. Non posso non ricordare l'opera che per secoli gli ebrei sefarditi hanno realizzato per la diffusione della lingua spagnola e della medicina su base scientifica.

La terza grande preghiera del medico è quella che Giovanni Paolo II, prossimo alla beatificazione, scrisse il 29 giugno del 2000 ai medici cattolici, consegnata alla Federazione internazionale delle associazioni mediche cattoliche. Si tratta di un vero e proprio gioiello che in molti recitiamo spesso, in diverse lingue.

Papa Wojtyla inizia con un'invocazione al Signore Gesù, medico divino, che nella sua vita terrena ha prediletto quanti soffrono e ha affidato ai suoi discepoli il ministero della guarigione. Parla poi della nostra grande missione, del servizio quotidiano, dello strumento dell'amore di Dio. Ci chiede di saper scoprire negli altri il volto di Cristo.

Parla della verità, della sapienza, della scienza, delle cause e dei rimedi, della verità e della vita:  che l'annuncio, la testimonianza, l'impegno a favore di quanti hanno più bisogno, sull'esempio dei santi medici, ci aiutino a rinnovare le strutture sanitarie. Che Dio benedica il nostro studio, illumini la nostra ricerca e i nostri insegnamenti. E "che al termine del nostro pellegrinaggio terreno possiamo contemplare il tuo volto glorioso e provare la gioia dell'incontro con te nel tuo regno di gioia e di pace infinite".



(©L'Osservatore Romano - 23 gennaio 2011)
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 22:05.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com