Ma perchè il Matrimonio è un Sacramento ed è indissolubile?

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Caterina63
00mercoledì 8 maggio 2013 10:44
[SM=g1740758] Amici, dopo i tanti approfondimenti fatti in questo thread in cui si spiega del perchè la Chiesa non può dare la Comunione ai divorziati risposati, riteniamo interessante approfondire anche il perchè la Chiesa insiste sull'indissolubilità del Matrimonio e del perchè questo è un Sacramento irrinunciabile per chi voglia dirsi cristiano....

Prima di approfondire l'argomento, ci piace segnalarvi un passo dell'Enciclica MIRARI VOS di Papa Gregorio XVI del 15 agosto 1832 nella quale, oseremo dire profeticamente, egli metteva in guardia già all'epoca dai tentativi di minare questo Sacramento, leggiamo:

"Inoltre, l’onorando matrimonio dei Cristiani esige le Nostre comuni premure affinché in esso, chiamato da San Paolo "Sacramento grande in Cristo e nella Chiesa" (Eb 13,4), nulla s’introduca o si tenti introdurre di meno onesto che sia contrario alla sua santità o leda l’indissolubilità del suo vincolo. Vi aveva già raccomandato insistentemente questo nelle sue lettere il Nostro Predecessore Pio VIII di felice memoria: ma continuano a moltiplicarsi tuttavia contro di esso gli attentati dell’empietà.
È perciò necessario istruire accuratamente i popoli che il matrimonio, una volta legittimamente contratto, non può più sciogliersi, e che Dio ha ingiunto ai coniugati una perpetua unione di vita ed un tal legame che solo con la morte può rompersi. Rammentando che il matrimonio si annovera fra le cose sacre, e che per questo è soggetto alla Chiesa, essi abbiano di continuo presenti le leggi da questa stabilite in materia, e quelle adempiano santamente ed esattamente come prescrizioni, dalla cui osservanza fedele dipendono la forza, la validità e la giustizia del medesimo.
Si astenga ognuno dal commettere per qualsivoglia motivo atti che siano contrari alle canoniche disposizioni e ai decreti dei Concilii che lo riguardano, ben conoscendosi che esito infelicissimo sogliono avere quei matrimoni che o contro la disciplina della Chiesa o senza che sia stata implorata prima la benedizione del Cielo, o per solo bollore di cieca passione vengono celebrati senza che gli sposi si prendano alcun pensiero della santità del Sacramento e dei misteri che vi si nascondono".


veniamo ora ad ulteriori approfondimenti sull'argomento ricordando a tutti anche questa pagina sul Sacramento in questione.


Perché il matrimonio è indissolubile?


Di Gustave Thibon

L’istituto del matrimonio è il custode della fedeltà interiore, la legge cristiana non opprime ma approfondisce e purifica l'amore. Non è l'uomo ad esser fatto per il matrimonio, ma è bensi il matrimonio che è fatto per l’uomo. Una magistrale esposizione dei fondamenti «esistenziali» del matrimonio cristiano, una risposta alle obiezioni più diffuse al principio dell'indissolubilità.
 

 
 
[Da AA.VV., L'amore e il matrimonio, tr. it., Vita e Pensiero, Milano 1955, pp. 85-113]
 
Non è nostra intenzione esporre qui in tutti i suoi particolari l’insegnamento della teologia cattolica sulla indissolubilità del matrimonio. Supponendo che esso sia noto ai nostri lettori, ci limiteremo a ricordare i principi fondamentali e porremo in evidenza piuttosto l’aspetto psicologico ed «esistenziale» del problema. Su questo argomento come su molti altri il cattolicesimo, che pure possiede una teologia e una morale complete quanto equilibrate, non ha forse fatto quanto era necessario per giustificare i suoi principi sul terreno dell’esperienza psicologica e per rispondere a coloro che gli rimproverano per l’appunto di non tenere in considerazione l’uomo fatto di corpo e d’anima, né le condizioni concrete della sua esistenza.
 
 

Che l’uomo non divida...
 
Il principio dell’indissolubilità del matrimonio è contenuto per intero nel seguente passo del Vangelo: «I Farisei andarono da lui per tentarlo e gli dissero: “È lecito all’uomo di ripudiare per qualunque motivo la propria moglie?” Egli rispose: “Non avete letto che il creatore, al principio, creò l’uomo maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla sua donna e i due saranno una sola carne. Non divida pertanto l’uomo quel che Dio ha congiunto”» (Mt., XIX, 8-6). E S. Paolo, facendo eco all’insegnamento del Signore, così si esprime: «A coloro che sono sposati ordino (non io, ma il Signore) che la moglie non si separi dal marito. E se è separata rimanga senza maritarsi o si riconcilii col marito. E l’uomo non ripudii la moglie» (I Cor., VII, 10-11). Tale esigenza di indissolubilità si fonda su due motivi:
 
1 - Sul diritto naturale. — La procreazione, che secondo la teologia tradizionale è il fine principale del matrimonio, non può nella specie umana essere abbandonata al caso di un incontro senza domani come avviene nella specie animale. Perchè il bambino non ha soltanto bisogno di essere messo al mondo e allattato durante i primi mesi di vita; la sua educazione richiede ancora per lungo tempo l’assistenza continua del padre e della madre e il calore e la stabilità di un ambiente familiare fuori del quale egli non può armonicamente svilupparsi. Ora, la separazione degli sposi, pietre basilari dell’edificio familiare, compromette necessariamente l’educazione dei figli e, di conseguenza, l’equilibrio della società intera.
 
 
2 - Sul carattere sacramentale del matrimonio — L’unione dell’uomo e della donna è inseparabile quanto quella di Cristo e della Chiesa, suo modello e prototipo. I due «che sono una sola carne» devono tendere con la loro fedeltà alla grazia sacramentale, a divenire una sola anima; e l’uomo non ha il diritto di separare quello che Dio ha unito. Essendo dunque fondata su una esigenza essenziale della natura e sulla consacrazione divina, l’indissolubilità del matrimonio non ammette eccezione alcuna. La Chiesa cattolica non pronuncia sentenza di divorzio; in certi casi ben determinati (difetto di consenso, errore sull’identità della persona, consanguineità ecc.) essa si limita a constatare la nullità del vincolo matrimoniale. Null’altro essa può fare in questo campo, se non dissipare un errore: il sacramento conferito senza le condizioni necessarie alla sua validità non impegna né la Chiesa che lo amministra, né i fedeli che lo ricevono, e in tali casi le autorità religiose, anzichè separare quello che Dio ha unito, sciolgono un legame illusorio; in altri termini restituiscono di diritto ai pseudo-coniugi una libertà che non hanno mai perduta di fatto. Non si può parlare di divorzio nei casi in cui non vi fu vero matrimonio.
 
 
 
Le ragioni profonde dell’indissolubilità del matrimonio.
 
È ovvio constatare che l’unione dell’uomo e della donna consacrata dal matrimonio risponde a una duplice finalità. Essa permette anzitutto l’armonico e completo sviluppo fisico e morale dei due sposi. Iddio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo». E gli diede una compagna simile a lui. L’uomo e la donna sono due esseri complementari; sono fatti per vivere non solo insieme, ma l’uno per l’altro; e il loro reciproco amore, la fusione dei loro destini favorisce in pari tempo la sicurezza materiale e la pienezza spirituale di entrambi. Il matrimonio è ad un tempo la forma più elementare e la base indistruttibile di ogni vita sociale.
Con la procreazione esso assicura la continuità della specie umana e con l’influenza dell’ambiente familiare la sana educazione dei figli: due fini interdipendenti e paralleli. Da un lato la reciproca attrazione che unisce i due sessi ha per normale conseguenza la procreazione. «Non si sposa perchè la terra ha bisogno d’essere popolata, diceva Chesterton, si sposa perchè si è innamorati». Verissimo. Ma il comandamento: «Crescete e moltiplicatevi» è già contenuto in germe nella simpatia amorosa. E, reciprocamente, i nuovi legami che la procreazione crea tra gli sposi forniscono loro nuovi motivi di amarsi e di aiutarsi. Sembra tuttavia — almeno fin dove è possibile isolare due elementi così intimamente uniti nell’unità della vita concreta — che la Chiesa abbia voluto mettere l’accento sul primo proclamando l’irrevocabilità del matrimonio.
La teologia tradizionale afferma energicamente che la procreazione costituisce il fine primario dell’unione coniugale e che l’amore reciproco degli sposi viene al secondo posto. È notevole il fatto che nessun altro legame affettivo, nessun altro vincolo sociale — qualunque sia il suo grado di profondità e di spiritualità — è sanzionato e coronato da un sacramento. I vincoli che uniscono l’amico all’amico, il principe al suo popolo, ecc. non sono né sacramentali né irrevocabili; è perfino possibile, a rigore, essere sciolti dai voti religiosi, ma non dalle promesse del matrimonio. L’importanza eccezionale che la Chiesa attribuisce al legame coniugale deriva anzitutto dal fatto che lo considera la sorgente immediata della vita naturale e soprannaturale dei coniugi e la base necessaria della società umana. La Scrittura non ci lascia alcun dubbio su questo argomento: «Essi saranno una sola carne». Ora, che cos’è qui la carne se non, nel senso biblico del termine, «una persona rappresentata e rivelata dall’apparenza esteriore della nostra umanità?» (1).
Nel linguaggio moderno si direbbe: un solo essere di carne, una sola persona morale. Il che non significa una sola anima, un solo spirito. L’unione spirituale è prescritta come un dovere e un ideale; ma la semplice unione contratta con lo scambio dei consensi, anche senza amore, è sufficiente a creare la comunità coniugale e a renderne indissolubile il vincolo. Nemmeno questo vincolo è estraneo alla carne, poichè l’impotenza di uno dei coniugi genera automaticamente incapacità al matrimonio, ed ogni unione non consumata può essere sciolta su parere del Sommo Pontefice, in vista di un maggior bene spirituale. Ma ciò che costituisce in fondo la natura tutta particolare del vincolo coniugale è la sua partecipazione all’unione indissolubile di Cristo e della Chiesa; cosicchè una partecipazione imperfetta a tale unione, qual è quella dei pagani, lascia il loro matrimonio legittimo suscettibile di scioglimento (privilegio paolino), mentre la partecipazione totale al mistero nuziale di Cristo, qual è l’unione ratificata e consumata di due cristiani, rende il loro vincolo assolutamente infrangibile finché essi sono in vita. È chiaro che in ogni caso la Chiesa non prende in considerazione né l’assenza d’amore né «l’incompatibilità di carattere» per determinare il valore del legame e il suo grado di indissolubilità. E ciò perchè essa considera da un punto di vista assai alto l’individualismo e la sensibilità romantica, vede nel matrimonio ben più e ben altro che lo scambio passionale e sentimentale tra due individui, e la sua sollecitudine si estende, oltre la coppia effimera, all’insieme della Città temporale che è il corpo della Città divina. Unendosi, gli sposi non si impegnano soltanto l’uno verso l’altro, ma anche l’uno e l’altro verso una realtà di cui fanno parte e che li supera: la famiglia innanzi tutto, di cui sono la sorgente e il sostegno, e in seguito la Nazione e la Chiesa, corpi viventi di cui le famiglie sono le cellule.

Una istituzione di sì fondamentale importanza ha bisogno d’essere protetta contro le mille vicissitudini dell’istinto e dell’interesse personale. Se gli sposi non hanno il diritto di separarsi, ciò non riguarda tanto la coppia stessa quanto tutto quello che su di essa riposa. Il matrimonio costituisce il fondamento della comunità umana; se quello si spezza, questa si sfascia. La via che gli sposi intraprendono ha un senso unico: è la via stessa della vita temporale; l’unica uscita sta innanzi, e indietreggiare significherebbe urtare pericolosamente altri esseri trascinati dallo stesso irreversibile movimento. Il matrimonio dipende in un primo tempo dall’individuo; ma in un secondo tempo è l’individuo che dipende dal matrimonio. Ciascuno è libero di contrarre il legame secondo i propri gusti e la propria volontà, ma, dopo averlo contratto, non è più libero di infrangerlo.
 


Read more: http://sursumcorda-dominum.blogspot.com/2013/04/perche-il-matrimonio-e-indissolubile.html#ixzz2Sgm2Sx79

[SM=g1740771]  continua.....



Caterina63
00mercoledì 8 maggio 2013 10:51
[SM=g1740758] Compagni per l’eternità?
 
Le istituzioni sono per le persone quello che il letto di un flume è per le sue acque. La Chiesa nella sua eterna sapienza e nella sua esperienza millenaria sa che una corrente così impetuosa e intermittente qual è la passione carnale ha bisogno di un letto profondo e solido per non deviare dalla sua meta e non disperdersi in paludi fangose.
Quel letto essa lo trova nel matrimonio, considerato nel duplice aspetto di istituzione e di sacramento; e appunto su questo elemento formale e sociale del vincolo coniugale la teologia classica ha posto l’accento. Oggi noi assistiamo al sorgere, per reazione, di una specie di mistica del matrimonio, che si preoccupa più della qualità del vincolo personale tra gli sposi che delle sue conseguenze sociali. Si tende sempre più a considerare essenza del matrimonio l’atto d’amore consacrato da Dio, grazie al quale due esseri impegnano e uniscono per sempre i loro destini. Il resto — fedeltà reciproca, procreazione e educazione dei figli, inquadramento sodale, ecc. — scaturisce da questa sorgente come il temporale procede dall’eterno. È il mito dei «compagni per l’eternità... ».

Essendo l’uomo composto di spirito e di carne, di elementi personali e di elementi sociali, le due concezioni del matrimonio sopraccennate appaiono piuttosto complementari che opposte. È buona cosa presentare agli uomini un ideale altamente spirituale del matrimonio; ma è anche consigliabile, non foss’altro che per prevenire una esaltazione pericolosa seguita da amare delusioni, distinguere nettamente ciò che appartiene all’essenza del matrimonio e ciò che appartiene alla sua perfezione. È indubbiamente desiderabile che il vincolo matrimoniale sia di natura tale da trasformare gli sposi in compagni per l’eternità; ma ciò non toglie che un tale livello spirituale non sia richiesto dal matrimonio a titolo di elemento necessario e costitutivo.
L’unione coniugale in quanto tale s’instaura nel tempo, e le grazie che le sono inerenti, benché procedano dalla sorgente divina e mirino a procurare la vita eterna, sono date non soltanto nel tempo, ma per il tempo. Indipendentemente da tutte le sovrastrutture spirituali che possono formarsi nella coscienza dei soggetti, l’indissolubilità del matrimonio è essenzialmente legata alla sessualità e alla procreazione in quanto facoltà obiettive assunte dalla grazia di Cristo, che vuol fare dell’umanità redenta ii suo Corpo eterno.

Il fine dell’indissolubilità del matrimonio è dunque in relazione con la perpetuità della Chiesa, corpo di Cristo, assai più, o almeno altrettanto, che con la perpetuità dell’individuo.
Il fatto che un matrimonio senza amore sia del tutto valido agli occhi della Chiesa (2) ne è già prova sufficiente; e la legittimità delle seconde nozze conferisce maggior evidenza al carattere temporale e sociale dell’indissolubilità del matrimonio. Il vincolo sacramentale infatti è infranto dalla morte di uno dei coniugi, e il superstite prosciolto da qualsiasi obbligo è libero di contrarre una nuova unione. Gli sposi, in quanto tali, sono così poco compagni per l’eternità che il sacramento che li lega è cancellato nell’ora medesima in cui l’individuo lascia la vita temporale per entrare nella vita eterna. Lo afferma esplicitamente lo stesso Vangelo: «In quel giorno i Sadducei andarono da lui e lo interrogarono: Maestro, Mosè ha detto: se uno muore non avendo figlioli, il suo fratello sposi la moglie di lui e dia discendenza al fratello. Ora, c’erano tra noi sette fratelli; il primo era ammogliato e morì, e, non avendo prole, lasciò la moglie al fratello. Lo stesso fu del secondo e del terzo, fino al settimo. Finalmente ultima di tutti morì anche la donna. Alla risurrezione adunque, di quale dei sette sarà ella la moglie, se tutti l’hanno avuta? Ma Gesù rispose loro: Voi siete in errore, poichè non comprendete le Scritture né la potenza di Dio. Perché alla risurrezione né gli uomini prenderanno moglie né le donne marito, ma saranno come gli Angeli di Dio nel cielo» (Mt., XXII, 23-30).
 
Quanto alla legittimità delle seconde nozze la posizione di S. Paolo è più che chiara: «Una donna è legata per tutto ii tempo che ii marito è in vita; ma se il marito muore ella è libera di sposare chi vuole» (I Cor., VII, 39). E ancora: «Voglio che le giovani vedove prendano marito (I Tim., V, 14) e abbiano figli, e dirigano la loro casa».
Mi accadde di notare più di una volta come questa dottrina che limita al tempo e alla morte l’effetto del sacramento abbia il dono di ferire le anime amanti.
Com’è possibile, protestarono taluni sposi, che nulla debba rimanere oltre la tomba di quest’amore in cui sentiamo entrambi vibrare una promessa d’eternità? È qui il caso di ripetere le parole del Vangelo: Ciò che viene dalla carne è carne e ciò che viene dallo spirito è spirito.
La Chiesa istituì un sacramento valevole per tutti, ma una cosa è il sacramento propriamente detto e un’altra la qualità d’anima di coloro che lo ricevono. Il matrimonio non conferisce necessariamente l’amore spirituale, ma nemmeno lo esclude: anzi, l’intimità della vita coniugale e la fedeltà alle grazie sacramentali offrono un terreno particolarmente propizio al nascere e al fiorire di un simile amore.
«Essi saranno come gli Angeli di Dio nel Cielo», ha detto Cristo. Tutto quello che di angelico, di veramente spirituale noi avremo messo nel nostro amore lo ritroveremo in cielo. La morte distrugge il matrimonio come vincolo carnale e sociale (ed è forse altra cosa per la maggior parte degli sposi?); ma non distrugge l’amicizia spirituale che unisce due anime immortali. In questo senso soltanto è permesso di parlare di compagni per l’eternità. Quanto di immortale vi è nel matrimonio supera il matrimonio stesso; alla morte l’unione degli sposi, distrutta nei suoi elementi terreni e trasfigurata in quelli spirituali, diviene un aspetto della comunione del santi.
 
 
Obiezioni contro l'indissolubilità del matrimonio
 
Se taluni spiriti tormentati da una sete prematura di assoluto rimproverano alla Chiesa di limitare alla vita terrena l’indissolubilità del matrimonio e di permettere le seconde nozze, infinitamente più numerosi sono coloro che l’accusano di un rigore eccessivo per il fatto ch’essa proibisca il divorzio. Queste due critiche provengono da un’unica fonte: la ribellione delle inclinazioni soggettive contro una legge universale. Ignorando che un’istituzione come il matrimonio è fatta innanzi tutto per tutti, gli uni vorrebbero adeguarla alla misura della loro fedeltà e gli altri alla misura della loro incostanza; ma in entrambi i casi è sempre ii desiderio mdividuale che detta legge.

Gli avversari della indissolubilità del matrimonio si appellano in generale agli argomenti seguenti:
La Chiesa, affermano, dà prova in questa materia dl un rigore inumano; essa disconosce le aspirazioni e i diritti più legittimi dell’individuo. Protraendo sino alla morte unioni concluse senza amore o che l’amore ha abbandonato, essa subordina la realtà all’apparenza, la linfa interiore alla scorza sociale, la persona vivente a una legge morta.
Un’unione ha valore solo se l’amore la vivifica; e quando gli intimi legami dell’amore cedono il posto, tra due esseri, alle catene esteriori della legge, non esiste più in realtà il matrimonio.
Perchè dunque accanirsi a conservare ciò che è già morto con un’opera di imbalsamazione che procede in senso contrario alle leggi della vita?
La legge della Chiesa, interdicendo agli sposi separati di ricostruire la loro vita sulla base di un nuovo amore, intralcia o avveiena l’esercizio della più nobile facoltà dell’uomo; perchè o l’individuo accetta la legge e soffoca in germe il nuovo amore, vivendo in un deserto affettivo, oppure viola la legge, e allora il suo amore, tacciato di colpa e interdetto dalla morale e dall’opinione pubblica, trascina necessariamente un’esistenza di vergogna e di stenti.
È evidente che tanto l’ipocrisia dei falsi amori legali quanto la dissimulazione dei genuini amori illegittimi contribuiscono a creare un’atmosfera di farisaismo eminentemente sfavorevole alla virtù degli individui e all’armonia della società.
Quanto ai vantaggi sociali che si sogliono porre in attivo per la indissolubilità del matrimonio, non trovano forse la loro contropartita negativa in quel prevalere dell’astratto sul concreto, della lettera sullo spirito, in quel culto di una virtù vuota di carne e d’anima e ridotta a una scheletrica formalità, la quale, creando nella società un clima di costrizione e di menzogna, prepara automaticamente i contraccolpi distruttori della rivolta e dell’anarchia?
Non è forse in relazione a un conformismo troppo gretto che sorsero in ogni tempo le peggiori licenze?
E non converrebbe alla Chiesa, che già ammette la separazione dei corpi, lasciar agire in certi casi quella valvola di sicurezza che è il divorzio?

Concludendo, non si guadagna nulla a voler asservire la vita che è molteplice e mobile al giogo di una legge astratta e rigida, ma si rende bensì sterile la legge e si inaridisce la vita. Rispondendo a tali critiche, eviteremo la stoltezza e l’ipocrisia di contestare la parte di verità che esse contengono. L’evoluzione armoniosa dell’amore dell’uomo e della donna richiede il concorso degli elementi più disparati. La vita matrimoniale costituisce infatti il punto di convergenza delle esigenze più diverse, e talvolta più opposte, della natura umana: aspirazione dei due coniugi ad una pienezza carnale e spirituale, procreazione ed educazione dei figli, necessità sociale, ideale morale e religioso, ecc. Bisogna quindi ammettere che in questo campo la migliore soluzione non può essere che una specie di compromesso tra necessità così numerose e così divergenti.
La legge del miscuglio e del relativo, che è la legge centrale della creazione, gioca a fondo in quel focolare della vita temporale che è il matrimonio. Perciò il principio che deve guidarci in questo dedalo non è quello della perfezione assoluta, bensì il principio del bene maggiore, per non dire del minor male. Principio che troviamo, tutto sommato, nell’indissolubilità del matrimonio.


Read more: http://sursumcorda-dominum.blogspot.com/2013/04/perche-il-matrimonio-e-indissolubile.html#ixzz2Sgn8BccW


[SM=g1740771] continua..........


Caterina63
00mercoledì 8 maggio 2013 11:01
[SM=g1740758] La legge e la vita
 
«Quei contatti profondi tra sensibilità e intelletto che sono la caratteristica della nostra epoca...» disse qualcuno.
Questa specie di sondaggio della sensibilità (nel senso più esteso della parola) compiuto dall’intelletto ha avuto per risultato un approfondimento incontestabile delle nozioni psicologiche. Ma è una conquista che ha il suo prezzo. Il pensiero moderno centrato sull’esistenziale e sul soggettivo tende sempre più a disconoscere tutto quello che nella nostra natura e nel nostro destino non è riducibile all’esperienza vissuta e all’analisi psicologica.

Le leggi e le istituzioni, umane o divine, sono le prime vittime di questo atteggiamento mentale.

Si dimentica che hanno un’essenza e una dignità proprie, indipendentemente dalle persone che esse governano, e si giudica del loro valore, anzi della loro legittimità, unicamente in base agli effetti e alle risonanze che si possono riscontrare nella psiche e nell’esistenza degli individui. Ma se gli effetti sono invisibili; se l’auscultazione delle anime non permette di percepire le risonanze, l’istituzione si dissolve nel nulla... Applicato al matrimonio sacramentale, un metodo siffatto suscita il ragionamento seguente: «Quello che Dio ha unito... Questo sacramento è grande... ».
L’essenza ideale del matrimonio è espressa in queste parole; ma nell’esistenza reale che rimane?
Dove sono gli effetti di un sì grande sacramento nell’anima di quegli innumerevoli sposi uniti soltanto dall’istinto, dall’interesse e dall’abitudine, che vanno al matrimonio e non né escono più come la ruota resta fedele al solco in cui affonda?

Conclusione: ove non c’è amore intimamente vissuto non c’è matrimonio. Nietzsche, da quel grande esistenzialista che fu, riassunse questa concezione del matrimonio in un aforisma alquanto drastico: «Dicono che le loro unioni sono state suggellate in cielo. Ma io non voglio saperne di quel Dio dei superflui che viene zoppicando a benedire quello che non ha unito».

Quello che non ha unito... La parola va lontano soltanto in apparenza: essa non oltrepassa l’uomo e i suoi brividi soggettivi. Quello che Dio non ha unito sul piano dell’esperienza individuale può averlo unito su un altro piano. Ogni istituzione che miri immediatamente all’esistenza delle persone e alla salvaguardia del loro orientamento ultimo, quali per l’appunto ii vincolo comunitario tra i coniugi ed i fedeli, è trascendente alle persone o almeno s’identifica con la loro trascendenza.

Il pensiero di S. Tomaso su quest’argomento esclude ogni scappatoia.
Alla domanda se un matrimonio concluso per un motivo «disonesto» (per es. il desiderio puramente carnale o l’interesse materiale) costituisca un vero matrimonio, egli risponde che una tale unione è del tutto valida, sebbene il contraente sia in stato di peccato.
E a chi gli obbietta che il matrimonio, essendo un bene in sè e i’immagine terrestre dell’unione di Cristo e della Chiesa, non potrebbe legittimamente procedere da una causa impura, egli risponde che una cosa è il matrimonio e altra è l’intenzione dei contraenti...
(Sum. Theol. suppl. 48, 2).

Non è possibile distinguere più nettamente l’istituzione dalle disposizioni soggettive dell’individuo. Nell’edificio sociale gli individui sono le pietre e le istituzioni il cemento. Ai nostri giorni molte sono le pietre che si lamentano d’essere legate nei cemento senza risentirne gli effetti dentro di sè, sentendosi anzi sole nell’edificio; ma non per questo il cemento cessa di esistere e di perseguire i suoi fini. Se poi ogni singola pietra, ribellandosi a quel cemento inumano che unisce l’una all’altra senza impregnarle, rivendica la sua libertà personale, il risultato più evidente di quest’appello ai «diritti deil’individuo è il crollo dell’edificio» (ib.) (3).
Allora voi confessate, ritorcerà trionfalmente l’avversario, che il matrimonio sacramentale non ha senso che come inquadramento sociale e religioso e che esso rimane, per la sua stessa natura, estraneo all’amore. Perchè dunque non andare sino alla fine del vostro pensiero e non riconoscere con i trovatori che matrimonio e amore si escludono reciprocamente, perchè il primo implica l’obbligo e la costrizione, mentre il secondo è per sua essenza spontaneo e gratuito?

Prima di entrate nel vivo del dibattito esaminiamo un poco quello che si nasconde troppo spesso sotto il bel nome di amore.
Si grida allo scandalo perchè la Chiesa si accontenta del semplice consenso volontario, anche se dettato dai motivi più bassi, per incatenare per sempre due esseri l’uno all’altro. A noi invece questa condotta appare assai saggia; e le acquisizioni della moderna psicologia (esplorazione dell’inconscio, critica degli ideali e smascheramento della menzogna interiore, ecc.) la giustificano pienamente. Ma a parte il fatto che la Chiesa non può ingolfarsi nel mare mobile delle disposizioni soggettive e delle cause accidentali per definire la validità di una istituzione fissa e universale, bisognerebbe sapere se è sempre dalla parte dell’«amore» che sta il più alto coefficiente di realtà.
L’amore autentico è raro, mentre sono numerose le sue caricature. Già La Rochefoucauld diceva che «l’amore presta il suo nome a un’infinità di commerci in cui non ha parte più di quanta ne abbia il Doge in ciò che si fa a Venezia». La sincerità non significa gran cosa in questo campo; troppo spesso essa non è che l’arte di mentire spontaneamente a se stesso. Quanti uomini credono d’amare, ma il loro amore è soltanto ardore carnale, esaltazione illusoria e avara bramosia di conquista e di dominio! Un amore di tal genere non è forse ancor più irreale di un’istituzione? La passione è forse meno illusoria della legge, per il fatto d’essere un poco più calda e più inebriante?
E qui vorrei fare appello a tutti coloro che non hanno mai opposto barriera alla loro libertà d’amore: la cenere che i fuochi di paglia delle antiche passioni hanno deposto nel fondo della loro anima basterà a dimostrare loro il nulla dell’amore affrancato da ogni legge. Apparenza per apparenza, la norma che assicura la continuità della specie umana e l’equilibrio della società vale almeno quanto la passione che assicura soltanto la felicità egoista ed effimera dell’individuo. D’altra parte, quanto sopra vale unicamente a confutare gli argomenti dell’avversario; perchè non è vero che la legge sia soltanto apparenza, nè che sia contraria all’amore.

Tutto quello che possiamo concedere ai nostri avversari è che il sacramento del matrimonio non conferisce l’amore. Come il sacramento della penitenza rende la contrizione efficace ma non la sostituisce, così il sacramento del matrimonio corona e completa il consenso coniugale, ma non lo sostituisce in tutti i suoi elementi.

È lo stesso, d’altra parte, per tutte le forme del soprannaturale: Gratia supponit et perfecit naturam. Non basta presentarsi all’altare per trovarvi il consenso reciproco e ancor meno l’amore: la natura non ha bisogno per questo che di se stessa, e la grazia che appartiene a un altro ordine opera su un piano diverso. Diciamo piuttosto che è dovere di ciascun coniuge l’esaminarsi e il decidere in se stesso se ama abbastanza per presentarsi all’altare. Ma ciò posto, l’indissolubilità del matrimonio anzichè opporsi all’amore agisce piuttosto in suo favore. Prima del matrimonio, anzitutto. Sapendo che l’impegno che sta per contrarre è irrevocabile, l’individuo è indotto a non avventurarsi alla leggera in quel vicolo cieco che ha il muro di chiusura alle spalle. Come il conquistatore che brucia i suoi vascelli per togliersi prima della battaglia ogni possibilità di ritirata, i fidanzati che acconsentono a legarsi l’uno all’altro fino alla morte attingono a questa «idea-forza» una garanzia preliminare contro tutti gil eventi del destino che minacceranno il loro amore. Per contro, la sola idea del divorzio possibile prende dimora tacitamente nel profondo dell’anima, come un verme deposto da una mosca in un frutto in formazione e che ne divorerà un giorno la sostanza. Si è constatato che in talune circostanze, particolarmente nell’ora delle grandi prove, è sufficiente considerare una cosa come possibile perchè essa divenga necessaria. Questo dato psicologico elementare basta d’altronde a liquidare ii mito del «matrimonio di prova» proposto da taluni riformatori dell'istituto matrimoniale, più intenti a inventare paradossi che a fondarli su motivi validi.E in seguito dopo il matrimonio.
Il patto nuziale, situando una volta per sempre la sostanza dell’amore al di là delle contingenze, contribuisce necessariamente a decantare, a purificare l’amore; così come una diga non solo contiene il corso del fiume, ma rende le sue acque più limpide e più profonde. La necessità di subire e di superare la prova del tempo agisce sull’affetto degli sposi come vaglio che separa la pula dal chicco del frumento; essa lo spoglia a poco a poco dei suoi elementi accidentali e illusori e ne conserva solo il nocciolo incorruttibile, trasformando la passione in vero amore. Ma se all’inizio non v’è amore? insisterà l’avversario. Ripetiamo che il dovere di fedeltà, pur non mutando per nulla l’intima qualità di quel delicato frutto che è l’amore, scongiura ii pericolo delle dispersioni e della rottura del vincolo, e crea il terreno adatto a portarlo a una felice maturità.

Perchè l’amore non ci vien dato o rifiutato come un capitale immutabile; al pari di tutte le cose viventi esso è sottoposto a un’evoluzione che comporta prove, crisi e malattie. Minacciato all’interno dall’abitudine e all’esterno dalle lusinghe del cambiamento, esso può, secondo il modo con cui resiste a tali prove, uscirne più forte o morire. «Tutto quello che non mi fa morire mi rende più forte» diceva Nietzsche.
E la Chiesa, imponendo all’amore l’obbligo di non morire, contribuisce per l’appunto a trasformare in fasi purificatrici quelle crisi e quelle malattie che in un clima più molle e apparentemente più umano condurrebbero alla morte.
Il principio dell’indissolubilità del matrimonio mette il tempo, pietra di paragone del concreto, al servizio dell’amore. Ciò nondimeno vi sono unioni che rappresentano un fallimento totale e irrimediabile sul piano dell’amore.

Abbiamo conosciuto tutti degli sposi che per un’assoluta incompatibilità di sentimenti non riescono nè riusciranno mai a introdurre il più sottile filo di comprensione e di tenerezza nella catena inesorabile che li lega fino al trapasso. Siamo dunque costretti a confessare che in casi simili l’indissolubilità del matrimonio appare come una istituzione inumana. Perchè quei disgraziati sono costretti a trascinare per tutta la vita le conseguenze di un errore passeggero e spesso involontario? Perchè l’atto più assurdo del loro passato deve sembrar loro per sempre la via dell’avvenire?

La risposta è complessa e comporta diversi punti.
Può accadere innanzi tutto che queste deprecabili unioni comportino motivi validi di nullità (pazzia di uno dei coniugi, difetto di consenso, ecc.). In questi casi il problema è risolto. Ma se tali unioni psicologicamente catastrofiche adempiono alle condizioni formali di un autentico matrimonio, la risposta è chiara quanto crudele: la Chiesa domanda a questi «male amati» e male uniti una rinuncia assoluta sul piano dell’amore e della felicità umana.

A che cosa ii sacrifica? Semplicemente al bene comune che, quando la conciliazione è impossibile, dev’essere sempre preferito al bene dell’individuo. Il principio del matrimonio indissolubile è come una porta presa d’assalto dalla tempesta delle passioni e degli interessi personali: proviamo a socchiuderla, e l’uragano la scardinerà e irromperà all’interno. Le vittime del matrimonio meritano tutta la compassione possibile, ma non che si facciano delle eccezioni in loro favore; perchè di eccezione in eccezione (tutte le situazioni umane non sono forse eccezionali, vale a dire uniche e irriducibili?) si distrugge la regola che è la trave maestra dell’ediflcio sociale.

D’altro canto, la necessità di un sacrificio individuale in vista del bene generale non è solo peculiare del matrimonio: altre istituzioni, altre realtà sociali impongono agli individui la medesima rinuncia. Se si reputa scandaloso che due sposi disamorati immolino la loro felicità personale all’istituto universale che protegge la felicità degli altri, che si dirà del soldato che la Patria invita a morire per la salvezza di quel bene nazionale a cui egli non parteciperà più?
Contraddizioni simili fanno parte del destino dell’uomo, e bisognò arrivare alla nostra epoca di morbosa iperestesia dell’io e di ugualitarismo grossolano, che considera la felicità dell’ individuo un diritto «assoluto», per trovarvi materia di indignazione e di scandalo. E d’altra parte, sono forse esclusi definitivamente dal festino dell’amore e della gioia quegli sposi sfortunati? La stessa barriera che interdice loro la felicità umana li invita pure a cercare più in alto una felicità più pura.

Quando una strada terrestre è chiusa nell’una e nell’altra direzione rimane una sola via d’uscita; il cielo.
Vi furon tempi in cui le semplici istituzioni umane erano sufficienti a suscitare l’entusiasmo e la fedeltà: si poteva, ad esempio, servire sino alla morte un Principe che non si amava per pura fedeltà all’istituto monarchico; più che la persona, si vedeva in lui il rappresentante di una tradizione tutelare, l’anello di una catena che univa il passato all’avvenire.
Ma se la monarchia non si esaurisce nella persona del Principe, a maggior ragione il vincolo coniugale non si esaurisce nella persona degli sposi; come istituzione umana esso ricollega le generazioni passate a quelle future e come sacramento si conclude nell’eternità.Quello che Dio ha unito: nei casi estremi è sulla parola Dio che dobbiamo mettere l’accento e cercare in cielo quell’unione che in terra non ci fu concessa. Oltre la persona del coniuge che non possiamo amare rimane la persona di Dio che è amore; e ciò che fallisce nel tempo può sempre fiorire nell’eternità.

Per ciò che riguarda l’accusa di ipocrisia, che si suol pronunciare contro quegli sposi che rimangono uniti senza amore e la cui virtù si limita a «salvare le apparenze», faremo una duplice messa a punto.

Innanzi tutto le apparenze hanno il loro valore: da una parte esse costituiscono l’armatura della società, e dall’altra assicurano, press’a poco nella stessa guisa della carta-moneta, la continuità e l’armonia delle relazioni esteriori tra gli uomini. Pascal, ben più saggio degli attuali apostoli della sincerità ad ogni costo, aveva già osservato che senza il rispetto di quelle che sono le convenzioni e le «regole del giuoco» nessuna vita sociale sarebbe possibile.
In secondo luogo, converrebbe definire chiaramente quello che si intende dire con le parole ipocrisia e sincerità. Essere sinceri significa manifestare all’esterno ciò che abbiamo dentro di noi. E sta bene. Ma allora, dovunque esista dualismo e conflitto, dovunque l’uomo sia chiamato a scegliere tra un desiderio e un dovere vi è, in un certo senso, ipocrisia.

Tacceremo di insincerità ii viaggiatore assetato che, passando sotto l’albero altrui, si astiene per onestà dal cogliere il frutto che la sua sete reclama? Oppure il soldato che va all’assalto quando desidererebbe con tutte le sue forze fuggire e vivere? Lo stesso si dica degli sposi senza amore che rimangono fedeli ai doveri del matrimonio. Se tutto ciò che rappresenta una vittoria su se stessi è ipocrisia, che cos’è allora la sincerità? Forse che per essere d’accordo con se stessi bisognerà seguire ogni impulso e tradurre in atto ogni desiderio?
Ma l’incostanza e il tradimento che derivano necessariamente da questo principio sono anch’essi menzogne, e altrettanto profonde e infinitamente più deleterie della fedeltà formale. Finchè l’uomo non avrà raggiunto una perfetta unità interiore, sarà condannato all’ipocrisia nel senso etimologico della parola (ipo = al di sotto), cioè a dissimulare, a respingere nella oscurità e nel silenzio una parte di sé. Solo il bruto e il santo ignorano il conflitto interiore e impegnano interamente se stessi nell’azione, sottraendosi così alla ipocrisia: l’uno con la materialità perchè non è che istinto; l’altro con la spiritualità perchè non è che amore.

Riassumendo, l’indissolubilità del matrimonio presenta più vantaggi che inconvenienti, qualunque sia il punto di vista dal quale la si esamina. Dove l’unione è psicologicamente concreta, cioè fondata sull’amore, essa protegge e approfondisce l’amore. Dove l’unione è psicologicamente irreale, cioè priva di amore, essa salva almeno la realtà sociale del matrimonio. In tal modo, se non può sempre realizzare il meglio, essa evita almeno il peggio.


Read more: http://sursumcorda-dominum.blogspot.com/2013/04/perche-il-matrimonio-e-indissolubile.html#ixzz2SgoYpcq4

[SM=g1740771]  continua..........


Caterina63
00mercoledì 8 maggio 2013 11:07
[SM=g1740758] Il problema del libero amore
 
Esiste tuttavia un caso in cui il principio dell’indissolubilità del matrimonio sembra erigersi a nemico dell’amore: è il caso degli sposi male assortiti, ai quali la Chiesa interdice di contrarre una nuova unione e che espelle dal proprio seno sotto l’infamante epiteto di «peccatori pubblici» se osano sfidare la sua proibizione.

E non è dunque una barbara istituzione quella che respinge nella «clandestinità» - con tutto ciò che un tale stato comporta di degradazione e di sofferenza — gli affetti più genuini che potrebbero, in un regime meno rigoroso, liberamente espandersi? L’obbiezione ha la sua forza; ma noi crediamo di poter rispondere, senza cadere nel paradosso, che anche su questo punto il rigore della Chiesa giova all’amore sincero nella misura in cui esso condanna il falso amore.

Spieghiamoci meglio.
Non siamo così ingenui da pretendere che l’amore possa esistere solo nel matrimonio; innanzi tutto, l’amore che conduce alle nozze incomincia prima delle nozze (non ci si ama perchè si deve sposare, ma si sposa perchè ci si ama);
in secondo luogo, anche fuori del matrimonio si può incontrare un amore autentico.
Nessuno oserà contestare ad esempio che il peccato di Eloisa ed Abelardo non racchiuda maggior pienezza di umanità che non certe unioni legittime, cementate unicamente dalla comunità di interessi materiali o dalla forza inerte dell’abitudine.

Ma le grandi passioni, e più ancora i grandi amori, sono assai rari (4). Sarebbe troppo facile, sull’esempio di quanto fece Plisnier in un celebre romanzo, denunciare la vacuità di taluni matrimoni, dove sotto un velo di rispettabilità sociale brulicano le passioni più abbiette o sonnecchia la mediocrità più incurabile. Ma perchè non esporre la seconda anta del dittico? È vero che il grande amore è raro nell’unione matrimoniale; ma fuori di essa è forse più frequente? Considerino i detrattori del matrimonio la qualità della maggior parte delle unioni libere; vi troveranno senza fatica tutti i difetti dei cattivi matrimoni, con in più la rivolta contro l’ordine sociale e la legge religiosa. La Chiesa ha tutte le ragioni di difendere l’unità della famiglia e l’ordine della società contro gli assalti distruttori delle passioni individuali, che soggettivamente non valgono di più dei peggiori matrimoni e obbiettivamente corrodono le basi stessi del bene comune.
Il matrimonio non esclude, ahimè, né la cieca violenza dell’istinto né la voracità dell’egoismo, ma almeno assegna loro un’orbita e dei limiti; mentre la passione anarchica che nasconde sotto la maschera dell’amore le pretese divoratrici di una carne e di un io senza freni non merita davvero indulgenza alcuna.

Quanto al grande amore illegittimo, l’amore che si impone con tutto il peso della necessità e che impegna l’anima sino in fondo, la morale cattolica gli offre una doppia via d’uscita: o superare la legge sacrificando il lato carnale e terreno dell’amore ed innalzando questo sino alla regione ideale, dove il sentimento non ha altra legge che se stesso; oppure violare francamente la legge con tutte le responsabilità, tutti i rischi e tutte le pene che implica un simile atteggiamento.

I doveri normali del matrimonio (procreazione dei figli, fedeltà reciproca degli sposi) non esauriscono a priori e in tutti i casi la polarità sessuale dell’essere umano, la quale impregna pure le più alte regioni dell’anima e si manifesta nel nostro essere immortale. L’uomo e la donna possono dunque incontrare anche fuori del matrimonio il loro vero compagno per l’eternità. L’amore soffia dove vuole: Beatrice non fu moglie di Dante, nè Hölderlin sposò Diotima...
Un amore di questo genere, la morale più esigente non può pretendere di soffocarlo in germe, bensì di situarlo in alto, al di sopra del tempo e della carne, affinchè esso, non più minaccia all’ordine e al bene protetti dalla legge, non abbia a soffrire dei rigori di questa.

Attenti, però, a non lasciarci trasportare dall’immaginazione romantica; sottolineiamo ancora una volta il carattere affatto eccezionale di codeste grandi passioni trasfigurate. Fuori del matrimonio la donna è più di frequente Dalila che Beatrice, e l’essere nel quale crediamo di trovare «l’eterno femminino che ci attira verso l’alto» corre il rischio d’ essene in realta soltanto l’Eva sedotta dal Serpente che ci trascina con sè nella sua caduta...

Quanto all’unione libera propriamente detta — quella in cui gli amanti non temono di violare la legge — non neghiamo che non possa presentare, accanto a un grave disordine morale, un amore di qualità superiore. Ebbene: anche su questo terreno, che è proprio quello dell’avversario, noi osiamo affermare che le esigenze della legge cristiana contribuiscono ancora a nobilitare la qualità dell’amore.
Facciamo pure per un poco senza timore la parte dell’avvocato del diavolo; sarà sempre per la causa di Dio che lavoreremo, perchè tutto quel che di buono può rimanere nel diavolo procede sempre da Dio. È giusto che chi viola la legge subisca le conseguenze della sua ribellione. Non arriveremo a far nostro il proverbio spagnolo: «Fa ciò che vuoi, paga lo scotto, e Dio sarà contento»; ma è nostra convinzione che chi accetta tutte le conseguenze della propria colpa porti già in sé un germe di liberazione e di perdono. Siate piuttosto caldi o freddi...

Se il figliol prodigo, dopo aver abbandonato la casa paterna, avesse investito il suo capitale in valori di tutto riposo e si fosse dedicato a moderati piaceri, non sarebbe certamente mai ritornato tra le braccia del padre. Esiste qualcosa che è peggiore del peccato: il desiderio fraudolento di guadagnare due partite giocando un unico gioco; il voler accumulare il piacere della colpa e i vantaggi della virtù, l’ebbrezza dell’anarchia e i benefici dell’ordine.

In un giuoco siffatto si disperde quanto di nobile e di profondo può esistere anche nel peccato.

Ed è appunto per questo che l’intransigenza della Chiesa serve indirettamente l’amore libero, non certamente in quanto è libero, ma in quanto è amore. Essa lo limita nel numero e lo approfondisce nella qualità: duplice vantaggio. Inoltre, imponendo ai candidati al peccato forti barriere da superare e aspre sofferenze da sopportare, essa opera una selezione tra le passioni anarchiche ed eleva il livello di quelle che resistono alla prova.

Non dobbiamo dimenticare infatti che, qualunque sia l’epoca o l’ambiente, la qualità del peccato dipende dalla qualità della virtù: solo il buon vino dà un buon aceto. La purezza e la solidità dell’istituto matrimoniale purificano e consolidano di conseguenza l’amore libero: è in funzione degli ostacoli che le oppone una morale vigorosa che la passione anarchica conserva una certa forza e una certa grandezza. Il valore umano e l’energia dl chi riesce a infrangere un sistema difensivo si misurano alla solidità di questo sistema: non occorre nè forza nè coraggio per sfondare una porta aperta. Tant’è vero che le grandi passioni illegittime fiorirono in epoche in cui il principio dell’indissolubilità del matrimonio non soffriva eccezione alcuna: sia nella leggenda, come quella di Tristano e Isotta; sia nella storia, come quella di Abelardo ed Eloisa.

Ma dove il libero amore è praticato senza restrizioni, dove adulterio e divorzio non sono oggetto di alcuna sanzione da parte della legge o dell’opinione pubblica, chi ha mai incontrato quei patetici avventurieri dell’amore, degni di attirare gli sguardi e di far scorrere le lagrime delle generazioni a venire? Dove non c’è rischio non c’è più avventura, e l’amore illegittimo cade nella piattitudine nella misura stessa in cui si sottrae alla tragedia.
Quando Tristano e Isotta, invece di errare nella foresta inospite sostenuti soltanto dall’amore, consumano borghesemente l’adulterio senza pericolo nè castigo non c’ispirano più interesse alcuno. La facilità corrompe ogni cosa, compreso il disordine; e la peggior disgrazia che possa capitare al peccato è precisamente quella d’esser messo alla porta di tutti.

Quando non vi son più frutti proibiti rimangono soltanto frutti marci.

Concludiamo: vi è nel libero amore l’elemento amore e l’elemento libertà (e sarà meglio dire anarchia). Il primo è il frutto e il secondo è il verme. La legge della Chiesa, imponendo limiti e sanzioni a questa libertà divoratrice, protegge la sostanza del frutto contro le devastazioni del verme.
 
Se il seme non muore...
 
Vi furon tempi in cui le istituzioni guidavano gli individui; l’uomo spontaneamente faceva loro credito, e modellava il proprio destino sullo stampo che gli offrivano le leggi e i costumi. Nella nostra «età riflessa», invece, sono gli individui che guidano le istituzioni: l’uomo le accetta soltanto nella misura in cui, rivestite di una specie di consacrazione interiore, esse rispondono a un bisogno soggettivo, a una elezione personale.

Un tale atteggiamento ha il suo lato negativo e il suo lato positivo. Esso costituisce un pericolo gravissimo per la stabilità delle istituzioni, ma tende in pari tempo a eliminare il conformismo sociale e religioso. Nelle epoche in cui il disordine dilaga nel costume, l’obbedienza alla legge diventa espressione di amore e di libertà.

Si suol gemere sulla durezza del matrimonio indissolubile; ma è la legge che è troppo dura per l’uomo, o è l’uomo che è troppo molle per la legge? Per colui che non sa amare ogni legame è una catena; ma chi sa vivere in sè un amore immortale non ha timore di legarsi sino alla morte. È appunto a questo approfondimento e a questa purificazione dell’amore che la legge cristiana ci invita.
Considerato da questo punto di vista, l’istituto del matrimonio appare il custode della fedeltà interiore. Come non è fatto per il Sabba, l’uomo non è fatto nemmeno per il matrimonio; ma è bensi il matrimonio che è fatto per l’uomo.

Ma l’uomo è più che l’individuo: egli non realizza il suo vero destino che superando con l’amore e il sacrificio i limiti dell’io carnale e decaduto. Tale è il senso della parabola evangelica: se il seme non muore... Muore, ma in pari tempo accede alla vera vita quando, rinunciando alla sua durezza, alla sua egoistica solitudine, incomincia ad affondare le radici nella terra e ad alzare lo stelo verso il cielo: perfetta immagine del matrimonio con le sue propaggini nel tempo e la sua consacrazione divina... A questo livello l’esigenza di indissolubilità si confonde col voto più intimo della persona umana, perchè l’uno e l’altra ci stimolano egualmente a quel superamento di noi stessi che è l’essenza dell’ amore e l’aurora dell’eterna liberazione.
 
------------------------------------------------------------
(1) Bonsirven, Le divorce et le Nouveau Testament, Parigi-Bruxelles, 1948, p. 30.
(2) Cfr. S. Tomaso, Summa Theologica, supplemento 48-2.
(3) Il paragone è parzialmente inadeguato. Nell’edificio umano le pietre possono e devono essere impregnate dal cemento che le lega; in altre parole l’istituzione può e deve essere vissuta nell’interno dell’anima. Ma essa rimane valida anche senza di ciò.
(4) Non è giusto, d’altronde, opporre queste grandi passioni al matrimonio. L’amore extra-coniugale, quando è veramente amore, tende al matrimonio, cioè alla fusione irrevocabile di due esseri e di due destini; è una specie di matrimonio in potenza che l’ostilità delle circostanze ha fatto abortire.
 
 


Read more: http://sursumcorda-dominum.blogspot.com/2013/04/perche-il-matrimonio-e-indissolubile.html#ixzz2Sgqwdt8x


[SM=g1740733]




Caterina63
00mercoledì 27 novembre 2013 13:25

  Un sacerdote risponde

Chi ha divorziato o si è separato deve rimanere single per tutta la vita?

Quesito

Salve, 
mi chiamo …. Innanzitutto Le faccio i miei più sinceri complimenti per il servizio che offrite a tutti e specialmente a coloro che sono alla ricerca della strada che porta ad amare Dio, ad ottenere la Sua misericordia e quindi alla salvezza eterna, in un momento molto critico e difficile per la storia dell'uomo ed in generale del suo rapporto con Dio.
Io invece, avrei bisogno di alcuni chiarimenti/riflessioni riguardo ad un problema sul quale sto riflettendo da un po’ di tempo e che mi attanaglia non poco la mente...
Ho una parente (cattolica praticante, che va in chiesa regolarmente tutte le domeniche e che sino a poco tempo fa si confessava e faceva la comunione) che è separata da quattro anni ed ha ottenuto da poco ufficialmente il divorzio  Si era sposata in chiesa. Conoscendo molto bene la situazione che l'ha portata alla separazione posso tranquillamente affermare che "la causa del misfatto" è da ripartire al 50% con l'ex marito (non credente).
Da poco tempo, ha intrapreso una nuova relazione con un uomo celibe (che ha alle spalle due convivenze). 
La mia domanda è questa: questi soggetti, vivono in una situazione di peccato grave o no? Ed ancora, come dovrebbe comportarsi una persona cattolica (uomo o donna) che in età più o meno giovane cada vittima di un divorzio di fronte all'eventualità di rifarsi come si dice "una nuova vita" di coppia? Dovrebbe scegliere di rimanere single a vita?
La ringrazio anticipatamente e la prego di pregare per tutti coloro che hanno bisogno della misericordia di Dio e che si trovano a dovere affrontare scelte difficili nella loro vita.
Grazie


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. dove ci sono stati naufragi matrimoniali e le persone si sono nuovamente accoppiate con nozze civili, la Chiesa chiede in prima istanza che si verifichi la validità del matrimonio celebrato in Chiesa.
Molto spesso infatti vi sono motivi che rendono nullo il matrimonio.

2. Questo lo si può fare scambiando in maniera informale due chiacchiere con un giudice ecclesiastico per vedere se vale la pena iniziare un processo che porti ad una dichiarazione di nullità del matrimonio o di scioglimento super rato et non consumato.
Se da questo primo approccio si passa alla sentenza del tribunale ecclesiastico e se la sentenza è favorevole a chi ha presentato la domanda di dichiarazione di nullità si può regolarizzare la propria situazione in diversi modi: o attraverso una sanatio in radice oppure attraverso la celebrazione del rito del matrimonio.

3. Se invece il matrimonio che ha fatto naufragio è stato un vero matrimonio, allora non rimane altra soluzione che vivere da separati o divorziati senza passare a seconde nozze.
Accettare la separazione o il divorzio e non passare a nuove nozze sta dire che davanti a Dio si riconosce che il proprio matrimonio è stato un vero matrimonio, che perdura anche se si vive da separati o da divorziati e che nessuno sulla terra, neanche il papa, può sciogliere.

4. Le parole di Cristo sono chiare: “Ma dall'inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto». 
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio»” (Mc 10,6-12).

5. Molti si domandano perché la Chiesa non posa concedere la Santa Comunione ai divorziati risposati che fra loro vivono come marito e moglie oppure aspettano un papa che conceda questa possibilità.
Lo chiedono in nome della misericordia.
Ebbene, va  detto la Chiesa tratta con grande misericordia le persone divorziate risposate.
E la misericordia è questa: non le scomunica, chiede loro di partecipare attivamente alla vita della comunità cristiana, di pregare, di compiere atti di carità, di educare cristianamente i figli, di fare la S. Comunione spirituale, di sentirsi vicini al cuore di Cristo e della Chiesa.
Ma non può dimenticare le parole del Signore: chi lascia il proprio marito o la propria moglie e ne sposa un altro commette adulterio. E perciò vive in una situazione di adulterio permanente.

6. Inoltre se si pensa che la Santa Comunione è il cibo che viene dato per comunicare forza ed essere fedeli agli impegni assunti nel giorno del matrimonio, si vede subito la contraddizione: di fatto non si vive in conformità con gli impegni assunti.

7. Mi chiedi se la condizione giusta da vivere, dopo la separazione o il divorzio da un vero matrimonio, sia quella di vivere da single.
Più che da single mi viene da dire che si deve vivere in unione col Signore.
Il sacramento del matrimonio infatti radica l’amore umano nell’amore di Cristo e ne vuole essere un prolungamento.
Sicché si tratta di continuare ad amare il coniuge dal quale ci si è separati o divorziati col medesimo amore con cui Cristo ama la Chiesa.
E Gesù ama la Chiesa con un amore indefettibile, instancabile, anche se la chiesa o qualcuno dei suoi membri non rimane fedele.

8. Solo se si tiene presente l’obiettivo della santità e che non abbiamo di qua una abitazione permanente si può comprendere questo linguaggio, che è risultato duro anche agli apostoli, tanto che, rientrati in casa, interrogarono di nuovo il Signore su questa materia.
Ma il Signore come abbiamo visto su questo punto è stato chiaro.
Potrei dire che si è messo dalla parte del coniuge offeso, ripudiato, divorziato, leso nei suoi diritti: “Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio” (Mc 10,10-12).

Ti saluto, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo




Caterina63
00mercoledì 8 gennaio 2014 09:53

  Un sacerdote risponde

Ho scoperto di essere in peccato grave poiché sono stata in comunione con Gesù...

Quesito

Gentile padre,
Leggendo una sua risposta riguardante il matrimonio in cui sostiene che chi non è sposato in chiesa non può partecipare alla comunione eucaristica le sottopongo il mio caso, cercando di essere  chiara. Sono stata battezzata, comunicata e cresimata come molti, poi in età giovanile mi sono allontanata dalla chiesa ritenendola non rispondente alla povertà, rettitudine e amore di Cristo. Conservando una fede certa e forte che: Dio ci avesse creati e che Gesù, Suo figlio, si fosse fatto uomo per noi. Non sapevo decidere della mia vita ma la vita si è presentata a me.
Ho conosciuto mio marito sentendo immediatamente che lui era la mia metà mancante.
… Ho convissuto per circa 2 anni poi abbiamo deciso di sposarci civilmente, non tanto per una nostra esigenza ma, per non  provocare disagio alle nostre bambine che da lì a poco avrebbero dovuto frequentare l'asilo, non volendole fare sentire diverse dagli altri bimbi.
Questo non perchè non credessimo al matrimonio ma, al contrario, credevamo che l'unione tra due persone dovesse essere rinnovata giorno per giorno, scegliendo giorno per giorno di rimanerci al fianco, non dando l'altro per scontato; il matrimonio secondo noi poteva uccidere il sentimento forte tra noi proprio perchè si rischiava di dare per scontata la presenza dell'altro. Noi ci eravamo trovati e "sapevamo" di voler costruire una vita insieme al di là di firme o carte che lo comprovassero.
Non tradire questo amore non è stato un obbligo ma una scelta consapevole da parte di entrambi.
Nel mio matrimonio è stato sempre presente Dio. Abbiamo avuto una vita piena di difficoltà ma piena di amore, tre figli e tanti sacrifici. Abbiamo festeggiato i 25 anni di matrimonio. Il nostro scopo era l'unione familiare, ho deciso di essere mamma a tutto tondo, a tempo pieno, seguendo i miei figli e rinunciando a tutto ciò a cui una donna generalmente tiene. (…).
In tutto questo è sempre stata presente la preghiera continua a Dio di farmi trovare il modo a Lui gradito di onorarlo e adorarlo.
Sono sempre stata una persona serena con tanta pazienza (questo me lo hanno fatto notare gli altri, io ero così, non pensavo a come ero) ma a volte non è facile far capire a chi ci è vicino cosa è importante e cosa non lo è. Gli insegnamenti ai miei figli erano sempre volti al rispetto degli altri e di se stessi, con verità. Per verità intendo comportarci noi genitori, per primi come insegnavamo. (…)
Non dico con questo di essere stata perfetta, peccati ne ho commessi tantissimi, perchè anche se leggevo la parola di Dio non la capivo nella sua profondità e mi sono lasciata spaventare e di conseguenza ho peccato. Ora smetto di raccontare di me, ma le chiedo di credermi se le dico che  guardando indietro ho visto chiaramente la presenza di Dio nella mia vita.
Dopo una ricerca profonda della verità in cui non trovavo soluzione e risposta; da poco ho avuto disvelata la verità dell'amore, Gesù figlio di Dio, della stessa sostanza del Padre che è AMORE. L'Amore che tutto copre tutto crede, l'immenso amore di Dio ci ha creati. L'amore che ci fa morire piuttosto che fare il male degli altri, l'amore che ci fa perdonare, l'amore che ci aiuta ad accettare malattia o dolore, l'amore che ci fa aiutare chi è caduto e non riesce a rialzarsi da solo.
La Santissima Madre di Gesù mi ha fatto conoscere questo amore, ed era tanto grande che piangevo di felicità, mi sentivo sospinta da questo amore così grande, un amore che non avevo mai sentito per l'umanità tutta intera, si era presentato in me forte e presente come una cascata. Impossibile da ignorare. Molti non lo capiscono ma la risposta è Dio. Che è Amore, Amore purissimo, affidarsi all'Amore lasciarsi andare in Lui, confidarsi a Lui. Gioia immensa per chi lo trova, anche se lo abbiamo vicinissimo a volte non lo riconosciamo; è questa la causa prima del nostro dolore. Il bisogno di tornare alla S. Messa, alla Chiesa è stato un bisogno urgente di tornare alla fonte di vita con l'eucarestia, con la confessione. Ho fatto la comunione per 6 mesi, e stamattina dopo aver parlato con un frate francescano che mi ha chiesto del mio matrimonio, mi è venuto il dubbio. Ho cercato su internet informazioni sul matrimonio e l'eucarestia, ho trovato questo sito e ho scoperto di essere in peccato grave poiché sono stata in comunione con Gesù non essendo sposata in chiesa. Se lei mi dicesse che sono in peccato io le crederei ma non capirei in che modo ho peccato contro Dio.
Scusandomi per la lungaggine la ringrazio per l'attenzione e le auguro pace e bene in Gesù Cristo  nostro Salvatore
Lucia


Risposta del sacerdote

Carissima Lucia, 
1. la nostra vita è sempre nella mani di Dio che ci tratta come un Padre, anche se siamo peccatori.
La tua esperienza di madre e di sposa è molto bella. Posso dire che il Signore ti è sempre stato vicino. Del resto è vicino ad ogni persona perché “in lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17,28).

2. Non solo, ma ti è stato vicino anche con molte grazie, che i teologi chiamano attuali, perché avessi la forza di compiere i tuoi doveri.

3. Alla fine della tua lunga mail concludi: “ho scoperto di essere in peccato grave poiché sono stata in comunione con Gesù non essendo sposata in chiesa”.
Sebbene subito dopo tu dica “Se lei mi dicesse che sono in peccato io le crederei ma non capirei in che modo ho peccato contro Dio”.

4. Non tocca a me, soprattutto fuori della confessione, dire ad una persona se è in peccato, perché è sempre necessario distinguere tra il piano oggettivo e il piano soggettivo.
Ma la seconda domanda fa comprendere che è difficile fartelo comprendere, perché forse sei andata troppo lontano, come quando si vuole dire una cosa ad una persona, ma questa ormai non può più sentire perché è andata troppo oltre.

5. Tuttavia provo: tralascio l’istituzione del matrimonio che Dio ha voluto fin dall’alba della creazione.
Perché c’è pure un’intrinseca differenza tra lo stare insieme avendo dei figli – senza vincoli – anche di fronte alla società e lo stare insieme con vincoli. 
In tutte le società, indipendentemente dalla loro cultura, il matrimonio ha avuto un suo preciso significato ed è stato regolamentato dalle leggi civili.

6. Ma veniamo al sacramento del matrimonio.
Ebbene, per che cosa Gesù l’ha istituito?
Per chi l’ha istituito?
Lo sai che cosa è un Sacramento?
Allora sposando solo civilmente e facendo a meno del sacramento del Matrimonio puoi dire: “io sono in comunione con Gesù”?
Gesù ha detto: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv 14,21), “Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (Gv 14,23). 
Come vedi, ci si può ingannare dicendo “io sono in comunione con Gesù”.
Essere in comunione con Gesù non è la stessa cosa che essere coerenti con la propria coscienza, perché la coscienza si può annebbiare e anche sbagliare.
Si legge nella Sacra Scrittura: “chi dice: «Lo conosco» (che vuole dire: lo amo, sono in comunione), e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c'è la verità” (1 Gv 2,4). 
Non ti dico queste cose per rimproverarti, perché ti sei rivolta a me con tanta fiducia, ma per farti capire come possono stare le cose.

7. Ma andiamo avanti e lasciami parlare con franchezza.
Se uno dicesse a Gesù: “io non so che farmene del tuo sacramento, sono vissuto bene anche senza il tuo sacramento” è la stessa cosa che rendergli onore ed essere in comunione con  Gesù?
Certo tu non sapevi che cosa significasse sacramento. 
Ma intanto hai rifiutato il sacramento che Cristo ci ha donato.
Rifiutare il suo sacramento è un segno di amicizia, di comunione?
Allora vedi che non puoi dire: “ho scoperto di essere in peccato grave poiché sono stata in comunione con Gesù”.

9. Ma andiamo ancora avanti, perché fin qui mi sono fermato a dire che Gesù ha istituto il sacramento.
Perché sposarsi celebrando il sacramento e perché per due battezzati il matrimonio che non è sacramento è nullo?
Ho già risposto altre volte su questo argomento (ad esempio: ? Perchè tra battezzati è valido solo il matrimonio... www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=2260

?La differenza tra matrimonio civile e quello...
www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=1324).

10. Ma desidero richiamare qui due soli concetti.
Il primo: i cristiani sono persuasi che Cristo ha istituito il sacramento del matrimonio per innestarci nel suo amore divino e darci la capacità di essere l’uno per l’altro e davanti a tutti un segno di come Lui ama l’uomo e come Cristo ama la Chiesa
Nel momento in cui si sposano i cristiani sanno che Gesù è presente e costituisce ognuno di loro come segno dell’amore di Dio per l’uomo e di Cristo per la Chiesa.
Come vedi, si tratta di un cammino di santificazione mai concluso perché ci si scopre sempre un po’ lontani dall’amare il coniuge come Dio ama l’uomo e come Gesù ama la Chiesa.

11. Un secondo concetto è il seguente. 
San Paolo dice del Matrimonio: “Questo mistero è grande, lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa” (Ef 5,32).
Mistero significa realtà nascosta. 
Dunque per i cristiani sotto la celebrazione del matrimonio vi è una realtà nascosta che va scoperta e resa visibile.
La realtà nascosta è Cristo, il primo e perenne sposo della nostra anima. 
Gli sposi cristiani svelano questa realtà nascosta, la rendono presente.
La svelano vivendo insieme con Cristo e ascoltando la sua Parola. Il suo Magistero è cercato, amato, ha un posto di preminenza nella vita di famiglia. Le sue parole le ascoltano con avidità perché sono la gioia e la letizia del loro cuore (Ger 15,16)
Inoltre gli sposi cristiani svelano la realtà nascosta offrendo il suo sacrificio (la Messa) per le necessità del mondo, ma anzitutto della famiglia stessa. 
E offrendo il suo sacrificio si offrono con Lui a Dio Padre per la vita dei propri cari e del mondo intero. E così attingono la loro santificazione.

12. L’ultima cosa che ti dico perché tu possa fare la tua confessione e la tua Comunione: rivolgiti al tuo parroco perché ti ottenga dal Vescovo una sanatio in radiceper il tuo matrimonio, che è canonicamente nullo e per la cui nullità non puoi accedere ai sacramenti della Chiesa.

13. La Chiesa rimane sempre la Sposa di Cristo, anche se talvolta alcuni dei suoi ministri non sono esemplari.
Ma per la cattiva condotta di qualche sacerdote, è cosa saggia privarsi dei tesori di grazia che Cristo mette a nostra disposizione? Sarebbe solo assurdo pensarlo.
Tuttavia anche questo è stato un episodio ormai lontano della tua vita, del quale certamente sei pentita

Assicuro la mia preghiera per te e per la tua famiglia perché viva e progredisca sempre nelle vie di Dio.
Vi benedico.
Padre Angelo


Pubblicato 08.01.2014





Caterina63
00domenica 8 giugno 2014 11:18



Pur separato resta fedele al matrimonio e trova la fede nella Chiesa.




31 maggio 2014 alle ore 10.57



«Il mio nome è Luca, mi sono separato nel 2007, ho due figli un maschietto ed una femminuccia di rispettivamente 12 e 10 anni e sono Vigile del Fuoco a Roma. Premetto che quando mi sono separato non credevo, non avevo in nessun modo a che fare con la religione e quindi con la Chiesa. All'inizio ho provato a conoscere altre donne con l'intenzione di "rifarmi una vita", allora tutte le voci di conoscenti e parenti consigliavano in tal senso, ero spinto a farlo perché "oggi è normale”, “lo fanno tutti”, “i tempi sono cambiati" e ancora "chiusa una porta si apre un portone”, “quando il vaso è rotto rimane rotto". Le donne che ho conosciuto, non poche, erano brave donne, premurose, disponibili, ma guardandole bene non vedevo nulla che potesse farci vivere  insieme.


 


«I giorni passavano e non mi sentivo soddisfatto, mancava sempre qualcosa dentro di me, la progettualità, l'interesse per i figli, l'affetto, il calore della mia famiglia, ciò in cui ero cresciuto, insomma era solo un uscire, un andare a letto, un parlare superficiale e un vivere insipido e sciapo, poi nella mente e nel cuore c'era sempre lei, mia moglie, la vedevo come l' unica persona che poteva dare un senso al tutto, progettare non solo per noi ma per i nostri figli.


«Ho sofferto molto, non riuscivo razionalmente a dare una risposta a questo malessere, mi trovavo in una vita che non era la mia, non mi piaceva, non la volevo e quindi cambiavo sempre partner prima una, poi un'altra e così via, questo per un paio di anni dove le voci e i consigli degli altri ti riferivano, “evidentemente non hai ancora trovato quella giusta”.


 


«Tutto questo tormento e tribolazione interiore mi hanno condotto verso la Fede e la Chiesa, in Lei ho trovato qualcuno che pensava finalmente come me, il suo concetto di amore era quello che cercavo, sulla famiglia eravamo all'unisono, quindi la conversione è arrivata così. Infatti tanti familiari e colleghi spesso mi accusano, ingiustamente, di rimanere da solo, fedele alla mia famiglia, perché me lo dice la Chiesa ed io rispondo sempre che non lo faccio per la Chiesa ma perché nel mio cuore il mio amore è sempre per mia moglie e la mia famiglia e non vedo altre possibilità che abbiano un senso, anche solo da un punto di vista umano.Nella mia ricerca di dare un senso alle mie domande interiori sull'amore, sulla famiglia e sulla vita ho trovato risposta nell'insegnamento della Chiesa, dove morire per l'altro, credere nell' amore (Dio Amore, origine di ogni amore) e quindi nel matrimonio dove nasce la vera ed unica famiglia possibile, madre, padre e figli, la fedeltà nella debolezza dell'altro, il sacrificio per amore per un qualcosa che va oltre l'umano, ti fa incontrare, avvicinare a Colui che ha dato se stesso per gli altri».


 


 


www.iltimone.org  
















Caterina63
00lunedì 9 giugno 2014 12:05




Ratzinger Benedetto XVI sui divorziati-risposati: Eureka!

 

 quando Ratzinger aveva già trovato come fare una seria pastorale

sull'astenersi dal Sacramento, spiegando il perchè...




Forse, se non è possibile l’assoluzione nella Confessione, tuttavia un contatto permanente con un sacerdote, con una guida dell’anima, è molto importante perché possano vedere che sono accompagnati, guidati.

Poi è anche molto importante che sentano che l’Eucaristia è vera e partecipata se realmente entrano in comunione con il Corpo di Cristo.

Anche senza la ricezione «corporale» del Sacramento, possiamo essere spiritualmente uniti a Cristo nel suo Corpo. E far capire questo è importante.

Che realmente trovino la possibilità di vivere una vita di fede, con la Parola di Dio, con la comunione della Chiesa e possano vedere che la loro sofferenza è un dono per la Chiesa, perché servono così a tutti anche per difendere la stabilità dell’amore, del Matrimonio; e che questa sofferenza non è solo un tormento fisico e psichico, ma è anche un soffrire nella comunità della Chiesa per i grandi valori della nostra fede.

Penso che la loro sofferenza, se realmente interiormente accettata, sia un dono per la Chiesa.

Devono saperlo, che proprio così servono la Chiesa, sono nel cuore della Chiesa.

 

Nostra Premessa: per comprendere l'ultimo paragrafo che spiega perché i divorziati risposati non possono ricevere l'Eucaristia, è necessario leggere anche quanto segue, buona meditazione.

 

Per mettere a buon fine il testo che segue, vi ricordiamo di procedere con gli approfondimenti sul tema Divorziati-risposati e i Sacramenti che troverete, qui, nell'elenco del nostro Dossier

 

Abbiate pazienza di leggere, integralmente, fino alla fine per comprendere come l'allora cardinale Ratzinger aveva trovato la soluzione per i Sacramenti ai Divorziati-Risposati. Certo, l'astensione dai Sacramenti, quando non si è in regola con i Dieci Comandamenti, è già dottrina, ma Ratzinger va ben oltre aiutando a comprendere perchè l'astenersi, alla fine, è anche più fruttuoso per la condizione in cui si vive!

 

GUARDARE AL CROCEFISSO  da pag 79 a 87

card. J. Ratzinger

 

La comunione tra la natura divina e umana in Cristo

 

Con un secondo passo noi dobbiamo ora definire in modo ancora più chiaro il fondamento cristologico dell’esistenza cristiana per toccare in questo modo tanto il nucleo della spiritualità eucaristica come quello di una spiritualità della Chiesa. Gesù Cristo — come abbiamo riconosciuto nelle precedenti riflessioni —apre la strada all’impossibile, alla comunione tra Dio e l’uomo, poiché egli, la Parola incarnata, è questa comunione.

In Lui troviamo realizzata quell’«alchimia» che introduce la natura umana nella natura divina fondendola con essa. Ricevere il Signore nell’eucarestia significa perciò entrare in una comunione ontologica con Cristo, entrare in quell’apertura della natura umana a Dio che è nello stesso tempo la condizione dell’apertura più profonda di ciascun uomo per l’altro.

La strada per la comunione reciproca dell’uomo passa attraverso la comunione con Dio. Per cogliere il contenuto spirituale dell’eucarestia dobbiamo dunque comprendere la tensione spirituale del Dio incarnato: solo in una cristologia spirituale si dischiude anche la spiritualità del sacramento.

A causa del suo interesse prevalentemente metafisico e storico la teologia dell’occidente ha un po’ trascurato questo punto di vista che in realtà rappresenta proprio il legame tra diverse parti della teologia come anche tra la riflessione teologia e l’attuazione concreta, spirituale del cristianesimo.

 

Il terzo concilio di Costantinopoli (il cui 1300° anniversario nel 1981 è stato significativamente quasi ignorato insieme con il ricordo del primo concilio di Costantinopoli e del concilio di Efeso) offre a tal riguardo i punti di riferimento decisivi che, secondo me, sono indispensabili per la stessa interpretazione del concilio di Calcedonia.

Una dettagliata interpretazione dei problemi non è evidentemente possibile; cerchiamo di cogliere, per lo meno in sintesi, ciò che qui ci riguarda .

 

Il concilio di Calcedonia aveva descritto il contenuto teologico dell’incarnazione con la sua nota formula delle due nature in una persona. Il terzo concilio di Costantinopoli però si trovò — in conformità a tutta la disputa che questa ontologia aveva provocato — di fronte alla domanda: qual è il contenuto spirituale di tale ontologia? o più concretamente: che cosa significa praticamente ed esistenzialmente l’espressione «una persona in due nature»? Come può una persona vivere con due volontà e con un intelletto duplice?

 

Non si trattava affatto di questioni legate a pura curiosità intellettuale; qui siamo in gioco proprio noi stessi, è in gioco la domanda: come possiamo vivere da battezzati, e dunque da persone per le quali, come afferma Paolo, deve valere: «non sono più io che vivo, ma Cristo che vive in me» (Gal 2, 20)?

 

È noto che allora, nel VII secolo, si presentavano, come del resto anche oggi, due soluzioni in egual misura inaccettabili.

Gli uni affermavano: in Cristo non c’era propriamente alcuna volontà umana. Il terzo concilio di Costantinopoli respinge questa immagine del Cristo come quella di un «Cristo senza volontà e senza forza». In modo esattamente opposto l’altra soluzione poneva due sfere della volontà completamente divise. Ma, in questo modo, si finiva in una sorta di schizofrenia, in una concezione mostruosa ed altrettanto inaccettabile.

La risposta del concilio suona: l'unione ontologica di due capacità di volere autonomamente presenti nell’unità della persona significa, sul piano dell’esistenza, comunione (koinonia) di due volontà. Interpretando l’unione come comunione il concilio delinea un’ontologia della libertà. Le due «volontà» sono unite in modo che volontà e volontà possono unirsi in un comune "sì" ad un valore comune.

 

In altre parole le due volontà sono unite nel sì della volontà umana di Cristo alla volontà divina del Logos. Così concretamente — «esistenzialmente» — entrambe le volontà diventano un’unica volontà e tuttavia rimangono ontologicamente due realtà autonome.

Riguardo a questo il concilio afferma: come la carne del Signore può essere detta carne della parola, così anche la sua volontà umana può essere definita volontà propria del Logos. In questo frangente il concilio applica di fatto (nella dovuta differenza analogica) il modello trinitario alla cristologia: la suprema unità esistente — l’unità di Dio — non è un’unità senza articolazione e distinzione, ma unità al modo della comunione — unità che è creata dall’amore ed è amore.

 

Così il Logos assume in sé l’essere dell’uomo Gesù e ne parla con il proprio io: «sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 6, 38) . Nell’obbedienza del Figlio, nella unificazione della duplice volontà in un unico sì alla volontà del Padre, si compie la comunione tra essere umano e divino. Lo «scambio meraviglioso», l'«alchimia dell’essere» si realizza qui come comunicazione liberatrice e conciliatrice, che diviene comunione tra Creatore e creatura. Nel dolore di questo scambio, e soltanto qui, si compie la fondamentale e unicamente redentrice trasformazione dell’uomo che muta le condizioni del mondo. Qui ha la sua nascita la comunione, qui nasce la Chiesa. In quanto vero mutamento dell’uomo, l’atto di partecipazione all’obbedienza del Figlio è ad un tempo l’unico atto efficace e operativo al fine di rinnovare e mutare la società ed il mondo: solo dove questo atto ha luogo, accade un mutamento che porta alla salvezza — al regno di Dio .

 

Mi sembra necessaria un’ulteriore osservazione per completare le nostre riflessioni.

Noi abbiamo sinora stabilito: l’incarnazione del Figlio crea la comunione tra Dio e l’uomo e spalanca in tal modo anche la possibilità d’una nuova comunione degli uomini tra di loro. Questa comunione tra Dio e l’uomo, la quale è realizzata nella persona di Gesù Cristo, ora diviene, a sua volta, comunicabile nel mistero della Pasqua, ossia nella morte e nella resurrezione del Signore. L’Eucarestia è la nostra partecipazione al mistero pasquale e così costituisce la Chiesa, il corpo di Cristo.

Da qui deriva la necessità salvifica dell’eucarestia. La necessità dell’eucarestia coincide con la necessità della Chiesa; e viceversa.

Con questo significato deve essere intesa la parola del Signore: «se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita» (Gv 6, 53).

Si mostra, allora, anche la necessità di una Chiesa visibile e di un’unità visibile, concreta (si potrebbe dire: istituzionale).

Il profondo mistero della comunione tra Dio e l’uomo è accessibile nel sacramento del corpo del risorto: il mistero, al contrario, richiede il nostro corpo e di nuovo si realizza in un corpo. Costituita dal sacramento del corpo di Cristo, anche la Chiesa, da parte sua, deve essere un corpo, ed invero un unico corpo corrispondentemente all’unicità di Gesù Cristo. Tale unicità appare di nuovo nell’unità e nella permanenza nell’unica dottrina apostolica.

 

Il problema degli scomunicati

 

Che cosa dobbiamo però dire, se le cose stanno così, dei molti scomunicati che credono nel Signore ed in lui sperano, e desiderano il dono del suo corpo, ma non possono ricevere il sacramento?

 

Io penso alle forme del tutto diverse di esclusione dalla comunione sacramentale. Da una parte vi è anzitutto l’impossibilità materiale di ricevere il sacramento in periodi di persecuzione o a causa della mancanza di sacerdoti.

Dall’altra parte ci sono esclusioni giuridicamente fondate dalla comunione, come nel caso dei divorziati risposati.

In un certo senso, qui viene toccato anche il problema ecumenico, la mancanza di comunione tra i cristiani separati.

 

Naturalmente è impossibile chiarire questioni tanto diverse e tanto ampie nell’ambito del nostro tema. Tralasciarle del tutto, tuttavia, sarebbe una mancanza d’onestà. Benché una risposta sia qui impossibile, almeno vorrei tentare un breve richiamo ad un importante punto di vista.

Nel suo libro L'Église est une communion Hamer mostra che la teologia medievale, la quale, a sua volta, non poteva certo trascurare il problema degli scomunicati, s’è confrontata con esso in un modo molto accurato.

Per i pensatori medioevali non era più possibile — come lo era nell’epoca patristica — identificare semplicemente l’appartenenza alla comunione visibile della Chiesa col rapporto con il Signore.

Graziano aveva ancora scritto: cari, un cristiano che è escluso dalla comunione dai sacerdoti, è consegnato al diavolo. Perché? Poiché fuori della Chiesa vi è il diavolo, come all’interno della Chiesa Cristo .

 

Rispetto a ciò, i teologi del XIII secolo si trovavano davanti al compito, da una parte, di mantenere il collegamento indispensabile tra interno ed esterno, tra segno e realtà, tra corpo e spirito, ma, ad un tempo, dovevano anche tener conto della diversità di entrambi. Così, ad esempio, troviamo in Guglielmo di Auvergne la distinzione in base alla quale comunione esterna e comunione interna sono in relazione l’una con l’altra come segno e realtà. Egli spiega allora che mai la Chiesa vorrebbe privare qualcuno della comunione interna.

Quando essa usa la spada della scomunica, accade, secondo lui, solo ed unicamente per salvare con questa medicina la comunione spirituale.

A questo aggiunge un pensiero altrettanto consolante e stimolante.

A lui sarebbe noto — così dice — che per non pochi il peso dell'esclusione dalla comunione è tanto difficile da portare quanto il martirio. Ma talvolta uno da scomunicato procede nella pazienza e nell’umiltà più che nella situazione di partecipazione esterna alla comunione .

 

Bonaventura ha approfondito ulteriormente questa concezione. Contro il diritto di esclusione della Chiesa egli si imbattè in un’obiezione assolutamente moderna, che così diceva: scomunicare è separare dalla comunione. La comunione cristiana, però, per natura è costituita dall’amore, anzi è comunione d’amore. Nessuno ha il diritto di escludere qualsivoglia persona dall’amore, dunque non esiste il diritto di scomunicare qualcuno (cfr Hamer) .

A questa obiezione Bonaventura risponde con la distinzione di tre livelli di comunione; in questo modo egli può tener fermi la disciplina ecclesiastica ed il diritto ecclesiastico, e ad un tempo da teologo dire in piena responsabilità: «Io concludo che nessuno né può né deve essere escluso dalla comunione d’amore, sino a quando vive sulla terra. La scomunica non è esclusione da questa comunione» .

 

Da tali riflessioni, che oggi dovrebbero essere di nuovo accolte ed approfondite, non si può evidentemente concludere che sia superflua o meno importante la concreta, sacramentale appartenenza alla comunità fondata nella comunione. Lo «scomunicato» viene sostenuto dall’amore del corpo vivente di Cristo, dalle sofferenze dei santi che si uniscono alla sua sofferenza così come alla sua fame spirituale, poiché ambedue sono circondati dalle sofferenze, dalla fame, dalla sete di Gesù Cristo, che sopporta e sostiene noi tutti. D’altra parte la sofferenza dell’escluso, il suo tendere alla comunione — (sacramentale e di coloro che sono parte vivente di Cristo)—  rappresenta il legame che lo tiene unito all’amore salvifico di Cristo.

 

In entrambe le prospettive, dunque, si impongono e sono irrinunciabili il sacramento e la comunità che, da lui edificata e visibile, è fondata nella comunione.

Anche qui ha luogo, dunque, il «salvataggio dell’amore» che è l’ultima mira della croce di Cristo, del sacramento, della Chiesa. Diviene allora comprensibile come, nella sofferenza per la lontananza, nel dolore pieno di desiderio e nell’amore che nella sofferenza cresce, l’impossibilità della comunione sacramentale possa condurre paradossalmente al progresso spirituale.

 

La ribellione invece — come afferma Guglielmo d’Auvergne — necessariamente dissolve il fine positivo, costruttivo della scomunica.

La ribellione non salva, ma distrugge l’amore.

 

In questo contesto mi si impone una riflessione che ha un più forte carattere di pastorale generale. Quando Agostino sentì avvicinarsi la morte, «scomunicò» se stesso, prese su di sé la penitenza della Chiesa. Nei suoi ultimi giorni si pose in solidarietà con i pubblici peccatori che cercano perdono e grazia mediante la sofferenza per la rinuncia alla comunione . Egli volle incontrare il suo Signore nell’umiltà di chi ha fame e sete di giustizia, di Lui, il giusto e il misericordioso. Sullo sfondo delle sue prediche e dei suoi scritti che descrivono grandiosamente il mistero della Chiesa come comunione con il corpo di Cristo e come corpo di Cristo a partire dall’eucarestia, questo gesto ha in sé qualcosa di commovente. Esso mi rende tanto più pensoso quanto più spesso vi rifletto.

 

Noi, oggi, non riceviamo spesso con eccessiva facilità il santissimo sacramento?

Talvolta questo digiuno spirituale non sarebbe utile o addirittura necessario al fine di approfondire e rinnovare il nostro rapporto col corpo di Cristo?

 

In questa direzione la Chiesa antica conosceva una pratica di grande capacità espressiva: già a partire dall’epoca apostolica il digiuno eucaristico del venerdì santo era frutto della spiritualità comunionale della Chiesa. Proprio la rinuncia alla comunione in uno dei giorni più santi dell’anno liturgico, trascorso senza messa e senza comunione ai fedeli, era un modo particolarmente profondo di partecipare alla passione del Signore: il lutto della sposa alla quale è tolto lo sposo (cfr. Mc. 2, 20) .

 

Io penso che anche oggi un tale digiuno eucaristico, nel caso fosse determinato da riflessione e sofferenza, avrebbe un notevole significato in determinate occasioni, da ponderare con cura, come nei giorni di penitenza (perché non, ad esempio, di nuovo il venerdì santo?) o in modo del tutto particolare durante le grandi messe pubbliche in cui addirittura il numero dei partecipanti spesso non rende più possibile una dignitosa distribuzione del sacramento.

 

In tal caso la rinuncia potrebbe veramente esprimere maggiore riverenza ed amore al sacramento di una partecipazione materiale che si trova ad essere in contraddizione con la grandezza dell’evento.

Un tale digiuno — che naturalmente non può essere arbitrario, ma deve ordinarsi all’orientamento della Chiesa — potrebbe favorire un approfondimento del rapporto personale col Signore nel sacramento; potrebbe essere anche un atto di solidarietà con tutti coloro che hanno desiderio del sacramento, ma non lo possono ricevere.

 

Mi sembra che il problema dei divorziati risposati, ma anche quello della intercomunione (ad esempio nei matrimoni misti) risulterebbe molto meno gravoso se tale volontario digiuno spirituale riconoscesse ed esprimesse visibilmente che noi tutti dipendiamo da quel «salvataggio dell’amore» che il Signore ha compiuto nell’estrema solitudine della croce.

 

Naturalmente, con questo non vorrei proporre un ritorno ad una specie di giansenismo: il digiuno presuppone una condizione normale del mangiare tanto nella vita spirituale come in quella biologica. Ma talvolta abbiamo bisogno d’una medicina contro la caduta nella semplice abitudine e nella sua assenza di spiritualità. Talvolta abbiamo bisogno della fame — fisicamente e spiritualmente — per capire di nuovo i doni del Signore e per comprendere la sofferenza dei nostri fratelli che hanno fame. La fame tanto spirituale come fisica può essere uno strumento dell’amore.

 

Considerazione conclusiva

 

Tentiamo una sintesi che possa condurre ad un’ultima osservazione. Il termine biblico e patristico koinonia riunisce in sé due significati: «eucarestia» e «comunità» (comunione). Con questa sintesi semantica, esso non rimanda semplicemente al centro di ogni ecclesiologia correttamente intesa; chiarisce in pari tempo la necessaria sintesi di Chiesa particolare e Chiesa universale.

 

La celebrazione eucaristica si compie infatti in un determinato luogo e lì edifica una cellula della fraternità cristiana. La «comunità» locale cresce in virtù della presenza viva ed efficace del Signore nell’eucarestia. Ma ad un tempo va detto che il Signore è uno in tutti i luoghi e in ogni Eucarestia. La presenza indivisibile dell’unico ed identico Signore, che è in pari tempo la parola del Padre, presuppone perciò che ogni singola comunità rimanga nell’intero ed unico corpo di Cristo; solo così essa può celebrare l’eucarestia. Qui è incluso — come abbiamo visto — il permanere nella «dottrina apostolica», la cui presenza trova il suo segno e la sua garanzia nella istituzione della «sequela apostolica».

 

Al di fuori di questo grande tessuto la «comunità» diventa vuota, un gesto romantico di desiderio di protezione all’interno di piccoli gruppi, che tuttavia manca di reale contenuto .

Solo un potere ed un amore che è più forte di tutte le nostre iniziative, può edificare una comunione feconda e sicura, e dare ad essa la dinamica della missione feconda.

 

L’unità della Chiesa, che è fondata sull’amore dell’unico Signore, non distrugge ciò che è proprio ad una singola comunità, ma la costruisce e mantiene nella forma di reale comunione con il Signore e tra i membri. L’amore di Cristo, che è presente per tutte le epoche nel sacramento del suo corpo, risveglia il nostro amore, salva il nostro amore: l’eucarestia è il fondamento tanto della comunione come della missione, giorno per giorno.

 

Un discorso che, come Benedetto XVI poi, aveva ripreso a Milano per l'incontro con le famiglie il 2 giugno 2012

leggiamo l'ultima domanda e la risposta di Benedetto XVI

 

5. FAMIGLIA ARAUJO (Famiglia brasiliana di Porto Alegre)

 

MARIA MARTA: Santità, come nel resto del mondo, anche nel nostro Brasile i fallimenti matrimoniali continuano ad aumentare.

Mi chiamo Maria Marta, lui è Manoel Angelo. Siamo sposati da 34 anni e siamo già nonni. In qualità di medico e psicoterapeuta familiare incontriamo tante famiglie, notando nei conflitti di coppia una più marcata difficoltà a perdonare e ad accettare il perdono, ma in diversi casi abbiamo riscontrato il desiderio e la volontà di costruire una nuova unione,qualcosa di duraturo, anche per i figli che nascono dalla nuova unione.

 

MANOEL ANGELO: Alcune di queste coppie di risposati vorrebbero riavvicinarsi alla Chiesa, ma quando si vedono rifiutare i Sacramenti la loro delusione è grande. Si sentono esclusi, marchiati da un giudizio inappellabile.

Queste grandi sofferenze feriscono nel profondo chi ne è coinvolto; lacerazioni che divengono anche parte del mondo, e sono ferite anche nostre, dell'umanità tutta.

Santo Padre, sappiamo che queste situazioni e che queste persone stanno molto a cuore alla Chiesa: quali parole e quali segni di speranza possiamo dare loro?

 

SANTO PADRE: Cari amici, grazie per il vostro lavoro di psicoterapeuti per le famiglie, molto necessario.

Grazie per tutto quello che fate per aiutare queste persone sofferenti. In realtà, questo problema dei divorziati risposati è una delle grandi sofferenze della Chiesa di oggi.

E non abbiamo semplici ricette.

La sofferenza è grande e possiamo solo aiutare le parrocchie, i singoli ad aiutare queste persone a sopportare la sofferenza di questo divorzio. Io direi che molto importante sarebbe, naturalmente, la prevenzione, cioè approfondire fin dall’inizio l’innamoramento in una decisione profonda, maturata; inoltre, l’accompagnamento durante il matrimonio, affinché le famiglie non siano mai sole ma siano realmente accompagnate nel loro cammino.

 

E poi, quanto a queste persone, dobbiamo dire – come lei ha detto – che la Chiesa le ama, ma esse devono vedere e sentire questo amore.

Mi sembra un grande compito di una parrocchia, di una comunità cattolica, di fare realmente il possibile perché esse sentano di essere amate, accettate, che non sono «fuori» anche se non possono ricevere l’assoluzione e l’Eucaristia: devono vedere che anche così vivono pienamente nella Chiesa.

Forse, se non è possibile l’assoluzione nella Confessione, tuttavia un contatto permanente con un sacerdote, con una guida dell’anima, è molto importante perché possano vedere che sono accompagnati, guidati.

 

Poi è anche molto importante che sentano che l’Eucaristia è vera e partecipata se realmente entrano in comunione con il Corpo di Cristo.

Anche senza la ricezione «corporale» del Sacramento, possiamo essere spiritualmente uniti a Cristo nel suo Corpo. E far capire questo è importante.

Che realmente trovino la possibilità di vivere una vita di fede, con la Parola di Dio, con la comunione della Chiesa e possano vedere che la loro sofferenza è un dono per la Chiesa, perché servono così a tutti anche per difendere la stabilità dell’amore, del Matrimonio; e che questa sofferenza non è solo un tormento fisico e psichico, ma è anche un soffrire nella comunità della Chiesa per i grandi valori della nostra fede.

Penso che la loro sofferenza, se realmente interiormente accettata, sia un dono per la Chiesa.

Devono saperlo, che proprio così servono la Chiesa, sono nel cuore della Chiesa.

 

Grazie per il vostro impegno.

 

Si tenga anche presente il Discorso che Benedetto ha fatto ad Ancona all'incontro con i Fidanzati, in chiusura  del XXV Congresso Eucaristico, 11.9.2011.

 

Ancora una volta il Papa metteva non a confronto, ma come uno sguardo d'insiemi l'Eucaristia e l'Uomo e la Donna in procinto di formare una Famiglia, fidanzati o già sposati l'Eucaristia resta il cuore di questa unione sponsale.

 

Tema dell’incontro "Ti fidanzerò a me"(Os 2,22).

 

Cari fidanzati!

 

Sono lieto di concludere questa intensa giornata, culmine del Congresso Eucaristico Nazionale, incontrando voi, quasi a voler affidare l’eredità di questo evento di grazia alle vostre giovani vite. Del resto, l’Eucaristia, dono di Cristo per la salvezza del mondo, indica e contiene l’orizzonte più vero dell’esperienza che state vivendo: l’amore di Cristo quale pienezza dell’amore umano. ....  grazie anche per le domande che mi avete rivolto e che io accolgo confidando nella presenza in mezzo a noi del Signore Gesù: Lui solo ha parole di vita eterna, parole di vita per voi e per il vostro futuro!

 

Quelli che ponete sono interrogativi che, nell’attuale contesto sociale, assumono un peso ancora maggiore. Vorrei offrirvi solo qualche orientamento per una risposta. Per certi aspetti, il nostro è un tempo non facile, soprattutto per voi giovani. La tavola è imbandita di tante cose prelibate, ma, come nell’episodio evangelico delle nozze di Cana, sembra che sia venuto a mancare il vino della festa. Soprattutto la difficoltà di trovare un lavoro stabile stende un velo di incertezza sull’avvenire. Questa condizione contribuisce a rimandare l’assunzione di decisioni definitive, e incide in modo negativo sulla crescita della società, che non riesce a valorizzare appieno la ricchezza di energie, di competenze e di creatività della vostra generazione.

 

Manca il vino della festa anche a una cultura che tende a prescindere da chiari criteri morali: nel disorientamento, ciascuno è spinto a muoversi in maniera individuale e autonoma, spesso nel solo perimetro del presente. La frammentazione del tessuto comunitario si riflette in un relativismo che intacca i valori essenziali; la consonanza di sensazioni, di stati d’animo e di emozioni sembra più importante della condivisione di un progetto di vita. Anche le scelte di fondo allora diventano fragili, esposte ad una perenne revocabilità, che spesso viene ritenuta espressione di libertà, mentre ne segnala piuttosto la carenza. Appartiene a una cultura priva del vino della festa anche l’apparente esaltazione del corpo, che in realtà banalizza la sessualità e tende a farla vivere al di fuori di un contesto di comunione di vita e d’amore.

 

Cari giovani, non abbiate paura di affrontare queste sfide! Non perdete mai la speranza. Abbiate coraggio, anche nelle difficoltà, rimanendo saldi nella fede. Siate certi che, in ogni circostanza, siete amati e custoditi dall’amore di Dio, che è la nostra forza. Dio è buono. Per questo è importante che l’incontro con Dio, soprattutto nella preghiera personale e comunitaria, sia costante, fedele, proprio come è il cammino del vostro amore: amare Dio e sentire che Lui mi ama. Nulla ci può separare dall’amore di Dio! Siate certi, poi, che anche la Chiesa vi è vicina, vi sostiene, non cessa di guardare a voi con grande fiducia. Essa sa che avete sete di valori, quelli veri, su cui vale la pena di costruire la vostra casa! Il valore della fede, della persona, della famiglia, delle relazioni umane, della giustizia. Non scoraggiatevi davanti alle carenze che sembrano spegnere la gioia sulla mensa della vita. Alle nozze di Cana, quando venne a mancare il vino, Maria invitò i servi a rivolgersi a Gesù e diede loro un’indicazione precisa: "Qualsiasi cosa vi dica, fatela" (Gv 2,5). Fate tesoro di queste parole, le ultime di Maria riportate nei Vangeli, quasi un suo testamento spirituale, e avrete sempre la gioia della festa: Gesù è il vino della festa!

 

Come fidanzati vi trovate a vivere una stagione unica, che apre alla meraviglia dell’incontro e fa scoprire la bellezza di esistere e di essere preziosi per qualcuno, di potervi dire reciprocamente: tu sei importante per me. Vivete con intensità, gradualità e verità questo cammino. Non rinunciate a perseguire un ideale alto di amore, riflesso e testimonianza dell’amore di Dio! Ma come vivere questa fase della vostra vita, testimoniare l’amore nella comunità? Vorrei dirvi anzitutto di evitare di chiudervi in rapporti intimistici, falsamente rassicuranti; fate piuttosto che la vostra relazione diventi lievito di una presenza attiva e responsabile nella comunità. Non dimenticate, poi, che, per essere autentico, anche l’amore richiede un cammino di maturazione: a partire dall’attrazione iniziale e dal "sentirsi bene" con l’altro, educatevi a "volere bene" all’altro, a "volere il bene" dell’altro. L’amore vive di gratuità, di sacrificio di sé, di perdono e di rispetto dell’altro.

 

Cari amici, ogni amore umano è segno dell’Amore eterno che ci ha creati, e la cui grazia santifica la scelta di un uomo e di una donna di consegnarsi reciprocamente la vita nel matrimonio. Vivete questo tempo del fidanzamento nell’attesa fiduciosa di tale dono, che va accolto percorrendo una strada di conoscenza, di rispetto, di attenzioni che non dovete mai smarrire: solo a questa condizione il linguaggio dell’amore rimarrà significativo anche nello scorrere degli anni.

Educatevi, poi, sin da ora alla libertà della fedeltà, che porta a custodirsi reciprocamente, fino a vivere l’uno per l’altro.

Preparatevi a scegliere con convinzione il "per sempre" che connota l’amore: l’indissolubilità, prima che una condizione, è un dono che va desiderato, chiesto e vissuto, oltre ogni mutevole situazione umana. E non pensate, secondo una mentalità diffusa, che la convivenza sia garanzia per il futuro.

Bruciare le tappe finisce per "bruciare" l’amore, che invece ha bisogno di rispettare i tempi e la gradualità nelle espressioni; ha bisogno di dare spazio a Cristo, che è capace di rendere un amore umano fedele, felice e indissolubile.

La fedeltà e la continuità del vostro volervi bene vi renderanno capaci anche di essere aperti alla vita, di essere genitori: la stabilità della vostra unione nel Sacramento del Matrimonio permetterà ai figli che Dio vorrà donarvi di crescere fiduciosi nella bontà della vita. Fedeltà, indissolubilità e trasmissione della vita sono i pilastri di ogni famiglia, vero bene comune, patrimonio prezioso per l’intera società. Fin d’ora, fondate su di essi il vostro cammino verso il matrimonio e testimoniatelo anche ai vostri coetanei: è un servizio prezioso!

Siate grati a quanti con impegno, competenza e disponibilità vi accompagnano nella formazione: sono segno dell’attenzione e della cura che la comunità cristiana vi riserva. Non siete soli: ricercate e accogliete per primi la compagnia della Chiesa.

 

Vorrei tornare ancora su un punto essenziale: l’esperienza dell’amore ha al suo interno la tensione verso Dio. Il vero amore promette l’infinito! Fate, dunque, di questo vostro tempo di preparazione al matrimonio un itinerario di fede: riscoprite per la vostra vita di coppia la centralità di Gesù Cristo e del camminare nella Chiesa. Maria ci insegna che il bene di ciascuno dipende dall’ascoltare con docilità la parola del Figlio. In chi si fida di Lui, l’acqua della vita quotidiana si muta nel vino di un amore che rende buona, bella e feconda la vita. Cana, infatti, è annuncio e anticipazione del dono del vino nuovo dell’Eucaristia, sacrificio e banchetto nel quale il Signore ci raggiunge, ci rinnova e trasforma. E non smarrite l’importanza vitale di questo incontro: l’assemblea liturgica domenicale vi trovi pienamente partecipi: dall’Eucaristia scaturisce il senso cristiano dell’esistenza e un nuovo modo di vivere (cfr Esort. ap. postsin. Sacramentum caritatis, 72-73). Non avrete, allora, paura nell’assumere l’impegnativa responsabilità della scelta coniugale; non temerete di entrare in questo "grande mistero", nel quale due persone diventano una sola carne (cfr Ef 5,31-32).

 

Carissimi giovani, vi affido alla protezione di San Giuseppe e di Maria Santissima; seguendo l’invito della Vergine Madre – "Qualsiasi cosa vi dica, fatela" – non vi mancherà il gusto della vera festa e saprete portare il "vino" migliore, quello che Cristo dona per la Chiesa e per il mondo. Vorrei dirvi che anch’io sono vicino a voi e a tutti coloro che, come voi, vivono questo meraviglioso cammino  di amore.

Vi benedico con tutto il  cuore!

 

***

 

vi ricordiamo di procedere con gli approfondimenti sul tema Divorziati-risposati e i Sacramenti che troverete, qui, nell'elenco del nostro Dossier

 





Caterina63
00domenica 14 settembre 2014 11:27


















    segue l'Omelia del Papa

FESTA DELL'ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

SANTA MESSA CON IL RITO DEL MATRIMONIO

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO


Basilica Vaticana
Domenica, 14 settembre 2014

Video

 

La prima Lettura ci parla del cammino del popolo nel deserto. Pensiamo a quella gente in marcia, guidata da Mosè; erano soprattutto famiglie: padri, madri, figli, nonni; uomini e donne di ogni età, tanti bambini, con i vecchi che facevano fatica… Questo popolo fa pensare alla Chiesa in cammino nel deserto del mondo di oggi, fa pensare al Popolo di Dio, che è composto in maggior parte da famiglie.

Questo fa pensare alle famiglie, le nostre famiglie, in cammino sulle strade della vita, nella storia di ogni giorno… E’ incalcolabile la forza, la carica di umanità contenuta in una famiglia: l’aiuto reciproco, l’accompagnamento educativo, le relazioni che crescono con il crescere delle persone, la condivisione delle gioie e delle difficoltà… Le famiglie sono il primo luogo in cui noi ci formiamo come persone e nello stesso tempo sono i “mattoni” per la costruzione della società.

Ritorniamo al racconto biblico. A un certo punto «il popolo non sopportò il viaggio» (Nm 21,4). Sono stanchi, manca l’acqua e mangiano solo la “manna”, un cibo prodigioso, donato da Dio, ma che in quel momento di crisi sembra troppo poco. Allora si lamentano e protestano contro Dio e contro Mosè: “Perché ci avete fatto partire?...” (cfr Nm 21,5). C’è la tentazione di tornare indietro, di abbandonare il cammino.

Viene da pensare alle coppie di sposi che “non sopportano il viaggio”, il viaggio della vita coniugale e familiare. La fatica del cammino diventa una stanchezza interiore; perdono il gusto del Matrimonio, non attingono più l’acqua dalla fonte del Sacramento. La vita quotidiana diventa pesante, e tante volte, “nauseante”.

In quel momento di smarrimento – dice la Bibbia – arrivano i serpenti velenosi che mordono la gente, e tanti muoiono. Questo fatto provoca il pentimento del popolo, che chiede perdono a Mosè e gli domanda di pregare il Signore perché allontani i serpenti. Mosè supplica il Signore ed Egli dà il rimedio: un serpente di bronzo, appeso ad un’asta; chiunque lo guarda, viene guarito dal veleno mortale dei serpenti.

Che cosa significa questo simbolo? Dio non elimina i serpenti, ma offre un “antidoto”: attraverso quel serpente di bronzo, fatto da Mosè, Dio trasmette la sua forza di guarigione che è la sua misericordia, più forte del veleno del tentatore.

Gesù, come abbiamo ascoltato nel Vangelo, si è identificato con questo simbolo: il Padre, infatti, per amore ha «dato» Lui, il Figlio Unigenito, agli uomini perché abbiano la vita (cfr Gv 3,13-17); e questo amore immenso del Padre spinge il Figlio, Gesù, a farsi uomo, a farsi servo, a morire per noi e a morire su una croce; per questo il Padre lo ha risuscitato e gli ha dato la signoria su tutto l’universo. Così si esprime l’inno della Lettera di san Paolo ai Filippesi (2,6-11). Chi si affida a Gesù crocifisso riceve la misericordia di Dio che guarisce dal veleno mortale del peccato.

Il rimedio che Dio offre al popolo vale anche, in particolare, per gli sposi che “non sopportano il cammino” e vengono morsi dalle tentazioni dello scoraggiamento, dell’infedeltà, della regressione, dell’abbandono... Anche a loro Dio Padre dona il suo Figlio Gesù, non per condannarli, ma per salvarli: se si affidano a Lui, li guarisce con l’amore misericordioso che sgorga dalla sua Croce, con la forza di una grazia che rigenera e rimette in cammino sulla strada della vita coniugale e familiare.

L’amore di Gesù, che ha benedetto e consacrato l’unione degli sposi, è in grado di mantenere il loro amore e di rinnovarlo quando umanamente si perde, si lacera, si esaurisce. L’amore di Cristo può restituire agli sposi la gioia di camminare insieme; perché questo è il matrimonio: il cammino insieme di un uomo e di una donna, in cui l’uomo ha il compito di aiutare la moglie ad essere più donna, e la donna ha il compito di aiutare il marito ad essere più uomo. Questo è il compito che avete tra voi. “Ti amo, e per questo ti faccio più donna” – “Ti amo, e per questo ti faccio più uomo”.

E’ la reciprocità delle differenze. Non è un cammino liscio, senza conflitti: no, non sarebbe umano. E’ un viaggio impegnativo, a volte difficile, a volte anche conflittuale, ma questa è la vita! E in mezzo a questa teologia che ci dà la Parola di Dio sul popolo in cammino, anche sulle famiglie in cammino, sugli sposi in cammino, un piccolo consiglio. E’ normale che gli sposi litighino, è normale. Sempre si fa. Ma vi consiglio: mai finire la giornata senza fare la pace. Mai. E’ sufficiente un piccolo gesto. E così si continua a camminare. Il matrimonio è simbolo della vita, della vita reale, non è una “fiction”! E’ sacramento dell’amore di Cristo e della Chiesa, un amore che trova nella Croce la sua verifica e la sua garanzia. Auguro a tutto voi un bel cammino: un cammino fecondo; che l’amore cresca. Vi auguro felicità. Ci saranno le croci, ci saranno. Ma sempre il Signore è lì per aiutarci ad andare avanti. Che il Signore vi benedica!



 




ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 14 settembre 2014

Video

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Il 14 settembre la Chiesa celebra la festa dell’Esaltazione della Santa Croce. Qualche persona non cristiana potrebbe domandarci: perché “esaltare” la croce? Possiamo rispondere che noi non esaltiamo una croce qualsiasi, o tutte le croci: esaltiamo la Croce di Gesù, perché in essa si è rivelato al massimo l’amore di Dio per l’umanità. È quello che ci ricorda il Vangelo di Giovanni nella liturgia odierna: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio Unigenito» (3,16). Il Padre ha “dato” il Figlio per salvarci, e questo ha comportato la morte di Gesù, e la morte in croce. Perché? Perché è stata necessaria la Croce? A causa della gravità del male che ci teneva schiavi. La Croce di Gesù esprime tutt’e due le cose: tutta la forza negativa del male, e tutta la mite onnipotenza della misericordia di Dio. La Croce sembra decretare il fallimento di Gesù, ma in realtà segna la sua vittoria. Sul Calvario, quelli che lo deridevano gli dicevano: “Se sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce” (cfr Mt 27,40). Ma era vero il contrario: proprio perché era il Figlio di Dio Gesù stava lì, sulla croce, fedele fino alla fine al disegno d’amore del Padre. E proprio per questo Dio ha «esaltato» Gesù (Fil2,9), conferendogli una regalità universale.

E quando volgiamo lo sguardo alla Croce dove Gesù è stato inchiodato, contempliamo il segno dell’amore, dell’amore infinito di Dio per ciascuno di noi e la radice della nostra salvezza. Da quella Croce scaturisce la misericordia del Padre che abbraccia il mondo intero. Per mezzo della Croce di Cristo è vinto il maligno, è sconfitta la morte, ci è donata la vita, restituita la speranza. Questo è importante: per mezzo della Croce di Cristo ci è restituita la speranza. La Croce di Gesù è la nostra unica vera speranza! Ecco perché la Chiesa “esalta” la santa Croce, ed ecco perché noi cristiani benediciamo con il segno della croce. Cioè, noi non esaltiamo le croci, ma la Croce gloriosa di Gesù, segno dell’amore immenso di Dio, segno della nostra salvezza e cammino verso la Risurrezione. E questa è la nostra speranza.

Mentre contempliamo e celebriamo la santa Croce, pensiamo con commozione a tanti nostri fratelli e sorelle che sono perseguitati e uccisi a causa della loro fedeltà a Cristo. Questo accade specialmente là dove la libertà religiosa non è ancora garantita o pienamente realizzata. Accade però anche in Paesi e ambienti che in linea di principio tutelano la libertà e i diritti umani, ma dove concretamente i credenti, e specialmente i cristiani, incontrano limitazioni e discriminazioni. Perciò oggi li ricordiamo e preghiamo in modo particolare per loro.

Sul Calvario, ai piedi della croce, c’era la Vergine Maria (cfr Gv 19,25-27). E’ la Vergine Addolorata, che domani celebreremo nella liturgia. A Lei affido il presente e il futuro della Chiesa, perché tutti sappiamo sempre scoprire ed accogliere il messaggio di amore e di salvezza della Croce di Gesù. Le affido in particolare le coppie di sposi che ho avuto la gioia di unire in matrimonio questa mattina, nella Basilica di San Pietro.


Dopo l'Angelus:

Cari fratelli e sorelle,

domani, nella Repubblica Centroafricana, avrà inizio ufficialmente la Missione voluta dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per favorire la pacificazione del Paese e proteggere la popolazione civile, che sta gravemente soffrendo le conseguenze del conflitto in corso. Mentre assicuro l’impegno e la preghiera della Chiesa cattolica, incoraggio lo sforzo della Comunità internazionale, che viene in aiuto dei Centroafricani di buona volontà. Quanto prima la violenza ceda il passo al dialogo; gli opposti schieramenti lascino da parte gli interessi particolari e si adoperino perché ogni cittadino, a qualsiasi etnia e religione appartenga, possa collaborare per l’edificazione del bene comune. Che il Signore accompagni questo lavoro per la pace!

Ieri sono andato a Redipuglia, al Cimitero Austro-Ungarico e al Sacrario. Là ho pregato per i morti a causa della Grande Guerra. I numeri sono spaventosi: si parla di circa 8 milioni di giovani soldati caduti e di circa 7 milioni di persone civili. Questo ci fa capire quanto la guerra sia una pazzia! Una pazzia dalla quale l’umanità non ha ancora imparato la lezione, perché dopo di essa ce n’è stata una seconda mondiale e tante altre che ancora oggi sono in corso. Ma quando impareremo, noi, questa lezione? Invito tutti a guardare Gesù Crocifisso per capire che l’odio e il male vengono sconfitti con il perdono e il bene, per capire che la risposta della guerra fa solo aumentare il male e la morte!

Ed ora saluto cordialmente tutti voi, fedeli romani e pellegrini provenienti dall’Italia e da vari Paesi.

 

Vi chiedo, per favore, di pregare per me. A tutti auguro buona domenica 



   

 

Caterina63
00martedì 16 settembre 2014 10:18

[SM=g1740722] Omelia Papa Francesco rito Sacramento Matrimonio


gloria.tv/media/k8Zd58fLiBr



[SM=g1740717]


[SM=g1740750] [SM=g1740752]

Caterina63
00domenica 21 settembre 2014 10:02

 Papa crea Commissione riforma del processo matrimoniale canonico

2014-09-21 Radio Vaticana


Una Commissione speciale di studio per la riforma del processo matrimoniale canonico, con l'obiettivo di "semplificarne la procedura, rendendola più snella e salvaguardando il principio di indissolubilità del matrimonio". A istituirla oggi è stato Papa Francesco, che ha chiamato a presiederla - informa una nota della Sala Stampa vaticana - mons. Pio Vito Pinto, decano del Tribunale della Rota Romana.

Il nuovo organismo avrà tra i suoi componenti il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, S.I., segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, mons. Dimitrios Salachas, esarca apostolico per i cattolici greci di rito bizantino. Ne faranno parte anche i monsignori Maurice Monier, Leo Xavier MichaelArokiaraj e Alejandro W. Bunge, prelati uditori del Tribunale della Rota Romana, nonché padre Nikolaus Schöch, O.F.M., promotore di Giustizia Sostituto del Supremo Tribunale dellaSegnatura Apostolica, padre Konštanc Miroslav Adam, O.P., rettore magnifico della Pontificia Università San Tommaso d’Aquino (Angelicum), padre Jorge Horta Espinoza, O.F.M., decano della Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Antoniamum, e il prof. Paolo Moneta, già docente di Diritto Canonico presso l’Università di Pisa.

"I lavori della Commissione speciale - conclude la nota - inizieranno quanto prima e avranno come scopo di preparare una proposta di riforma del processo matrimoniale, cercando di semplificarne la procedura, rendendola più snella e salvaguardando il principio di indissolubilità del matrimonio".

(Da Radio Vaticana)






  seguiremo qui i futuri sviluppi della Commissione... e si capisca bene: la Commissione non è istituita per modificare il Sacramento.... ma lo snellimento DEI PROCESSI di annullamento....






LO RIPETIAMO PER TUTTI   Non è possibile che il Sinodo possa ignorare questa AFFERMAZIONE DOTTRINALE, PONTIFICIA E MAGISTERIALE della Chiesa..... se ciò accadesse, sarebbe lo scisma... chi seguirà il cardinale Kasper farà lo scisma... 

ECCO L'INSEGNAMENTO UFFICIALE DELLA CHIESA:

"Una questione particolarmente dolorosa, come sappiamo, è quella dei divorziati risposati. La Chiesa, che non può opporsi alla volontà di Cristo, conserva con fedeltà il principio dell’indissolubilità del matrimonio, pur circondando del più grande affetto gli uomini e le donne che, per ragioni diverse, non giungono a rispettarlo. Non si possono dunque ammettere le iniziative che mirano a benedire le unioni illegittime. L’Esortazione apostolica Familiaris consortio ha indicato il cammino aperto da un pensiero rispettoso della verità e della carità..."

(Benedetto XVI alla Conferenza Episcopale Francese)



 






Caterina63
00venerdì 24 ottobre 2014 23:05

Gesù ha detto che chi ripudia la propria moglie TRANNE IN CASO DI CONCUBINATO commette adulterio. E' scritto chiaro chiaro nei Vangeli. Mò, perchè la Chiesa non consente lo scioglimento del matrimonio solo in questi casi? E perchè nessuno fa mai riferimento a questo pezzettino quando si fa riferimento a quelle parole di Gesù? Grazie.

Risposta: la traduzione dice letteralmente "fornicazione- fornicationem-impudicizia" (Vangeli in greco, latino e italianoa fronte, della paoline), la nota tenendo a mente la traduzione greca e latina in sostanza dice: si precisa dunque "se non per impudicizia; all'infuori del caso di impudicizia" il verso fa riferimento ad un altro passo di Mt. cap.5, 31 "Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto di ripudio; 32 ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all'adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio."
La risposta dei discepoli mette a nudo la superbia dell'uomo nei confronti della donna, il cui ripudio era facile e quasi mai con un processo giusto, l'uomo poteva tradire la propria moglie, ma la donna se lo faceva veniva anche lapidata.
Gesù affronta un caso delicato e naturalmente mette in crisi i suoi interlocutori, ma le sue parole sono chiare, i giochi sono finiti e la donna posta al suo fianco non è un gioco e non può essere ripudiata a proprio piacimento.
Interverrà San Paolo sulla vicenda più volte, qui in particolare in 1Cor.7,1; 2, 7-9
La Chiesa accoglie letteralmente le parole di Gesù in Matteo e le spiegazioni di San Paolo: l'uomo può anche ripudiare la donna in caso di fornicationem-impudicizia, ma non può sposarne un altra, perciò i discepoli dicono "se le cose stanno così, meglio non sposarsi", perchè Gesù ha inteso dire che il matrimonio è fino alla morte. - qui finisce la Nota - non dimentichiamo che una pezza la Chiesa ce la mise con il ricorso alla Sacra Rota, di più non può fare.


Un sacerdote risponde

Nel Vangelo di Matteo 5,32 Gesù Cristo parla di concubinato


Quesito

Buongiorno Padre,
Le porgo una domanda che è spesso dibattuta in molti siti internet, ho provato a chiarirmi le idee, ma non ne vengo a capo.
Nel Vangelo di Matteo 5,32 Gesù Cristo parla di concubinato (tradotto anche in "fornicazione" o "unione illegittima").
Volevo capire bene questo versetto del Vangelo, sembra quasi che Gesù Cristo possa concedere un solo motivo per separarsi ad una coppia di sposi, il motivo sarebbe appunto solo in caso di unione illegittima da parte di uno dei coniugi con terze persone. Se fosse così, la Chiesa dovrebbe valutare caso per caso prima di considerare come "peccatore" i nostri fratelli separati e/o divorziati?
Confidando in una sua risposta, La ringrazio in anticipo e La saluto con affetto.
Francesco

  Risposta del sacerdote

Caro Francesco,
1. Gesù non concede alcuna possibilità di rompere il vincolo agli sposi. Diversamente cadrebbe in contraddizione con se stesso.
La sua volontà è ben chiara da Mt 19,3-7: “Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «E' lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?». Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi»”
e da Mc 10,9-12: “«L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto». Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio»”.

2. Rimane l’inciso di Mt 5,32: “ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all'adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio”
e di Mt 19.9: “Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un'altra commette adulterio”.

3. Ci si domanda giustamente a che cosa alluda il Signore inserendo quella clausola “eccetto il caso di concubinato”.
Questa parola concubinato nel testo greco è detta porneia.

4. È illuminante il commento prestigioso della Bibbia di Gerusalemme che fornisce tre interpretazioni.
La prima: “Data la forma assoluta dei testi paralleli (Mc 10,11s; Lc 16,18 e 1 Cor 7,10s), è poco verosimile che tutti e tre abbiano soppresso una clausola restrittiva di Gesù; è più probabile invece che uno degli ultimi redattori del primo Vangelo l'abbia aggiunta per rispondere a una problematica rabbinica (discussione tra Hillel e Shammai sui motivi che legittimano il divorzio), evocata già dal contesto (v. 3), e che poteva preoccupare l'ambiente giudeo-cristiano per il quale egli scriveva.
Si avrebbe dunque qui una decisione ecclesiastica diportata locale e temporanea, come fu quella del decreto di Gerusalemme riguardante la regione di Antiochia (At 15,23-29).
Il significato di porneia orienta la ricerca, nella stessa direzione.
Alcuni vogliono vedervi la fornicazione nel matrimonio, cioè l'adulterio, e trovano qui il permesso di divorziare in un caso simile; così le Chiese ortodosse e protestanti. Ma in questo senso ci si sarebbe aspettati un altro termine, moicheia”.

5. La seconda: sembra più verosimilmente che porneia indichi i matrimoni contratti tra ebrei e pagani, che erano proibiti secondo il Levitico. Ai tempi di Gesù era facile trovare una donna ebrea che aveva abbandonato il marito per mettersi insieme con un soldato romano, il cui patrimonio economico era più consistente.
La legge consentiva di ripudiare la moglie qualora si vedesse in lei qualcosa di brutto.
Ma ai tempi di Gesù la legge veniva interpretata anche a favore della moglie, qualora vedesse nel marito qualcosa di brutto. Questo qualcosa di brutto poteva consistere nel patrimonio esiguo del marito a confronto con quello del soldato romano diventato proselito, simpatizzante del giudaismo.
Ma tale unione era considerata illegittima, alla pari delle unioni incestuose e pertanto non dava origine ad un matrimonio, ma ad un concubinato. Porneia avrebbe qui il senso tecnico di zenüt o «prostituzione» degli scritti rabbinici.
Qui allora si troverebbe “l'ordine di rompere tali unioni irregolari che erano solo falsi matrimoni”.
Ques’interpretazione è la più comune.

6. La Bibbia di Gerusalemme accenna anche ad una terza interpretazione.
Essa “ritiene che la licenza accordata dalla clausola restrittiva non sia quella del divorzio, ma della «separazione» senza seconde nozze. Una tale istituzione era sconosciuta al giudaismo, ma le esigenze di Gesù hanno richiesto più di una soluzione nuova e questa è già chiaramente supposta da Paolo in 1 Cor 7,11”.

7. Trattandosi in ogni caso di unioni illegittime, non capisco la tua conclusione sebbene posta in termini interrogativi: “Se fosse così, la Chiesa dovrebbe valutare caso per caso prima di considerare come "peccatore" i nostri fratelli separati e/o divorziati?

Ti saluto, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo

Pubblicato 30.01.2011



«Divorziata, risposata e senza comunione. Giusto così»
di Renzo Puccetti05-11-2014

L'eucarestia ai divorziati? Il magistero dice no

«Il giorno in cui la mia anima diventò cattolica fu il giorno in cui scoprii che come donna divorziata risposata non potevo ricevere la Comunione. Sgorgarono lacrime di dolore e di gioia. Dolore perché avevo finalmente compreso la verità della transustanziazione soltanto per scoprire di non poterla ricevere, e gioia perché avevamo finalmente trovato il fondamento della vera autorità, la sua Chiesa, quella che lui aveva fondato, quella il cui scopo era conservare tutto ciò che lui aveva insegnato agli Apostoli».

Comincia così un articolo di Luma Simms comparso sulla rivistacattolica FIrst Things (clicca qui) L'autrice, con un background di studi in fisica ed esperienze nell'ambito del diritto, ha scritto Gospel Amnesia, un libro che racconta la sindrome che affligge l'uomo moderno: ricevere il Vangelo, dimenticarlo e marginalizzarlo nella vita. Luma Simms, cresciuta in Iraq e in Grecia, prima di trasferirsi negli Stati Uniti dove ora vive nella città di Phoenix conducendo la vita di casalinga, moglie, mamma di cinque figli e blogger, racconta la sua stessa esperienza dolorosa di ammalata di quella amnesia per il Vangelo.

Durante il Sinodo straordinario sulla famiglia abbiamo ascoltato il mantra di non pochi prelati convinti che per convertire al Vangelo c'è bisogno di offrirne alla gente una versione inconsistente e insipida. L'esperienza sta a dimostrare l'esatto contrario. E così è avvenuto per Luma Simms, cresciuta nel calvinismo, diventata cattolica dopo la lettura dell'insegnamento cattolico più scandaloso, contestato, contro-culturalmente connotato dell'ultimo secolo: Humanae vitae, l'enciclica di Paolo VI che ribadiva XX secoli di condanna (parola mi rendo conto sconveniente per un cattolico che voglia mostrarsi accettabile) della contraccezione. Quella lettura, anziché allontanare la Simms, le sciolse il cuore, spingendola ad approfondire il tema attraverso la teologia del corpo, Familiaris consortio e Mulieris dignitatem. Divorziata lei stessa e toccata dal divorzio di un membro della propria famiglia dopo 43 anni di matrimonio, Luma Simms racconta dei dubbi e delle domande dei figli sul matrimonio fino a quando uno di loro attorno al tavolo di cucina disse ai fratelli in presenza dei genitori: «non potrete mai sapere» se entrambi mamma e papà saranno lì per voi mentre crescete.

Queste parole, così chiare, forti, pronunciate da un figlio, hanno fatto comprendere l'importanza, la bellezza, il dono di una Chiesa che non tentenni sulla indissolubilità del matrimonio, di una fedeltà che rifletta quella di Dio per la sua sposa, la Chiesa. Certo, racconta Luma Simms, nel viaggio ci sono alti e bassi, c'è la certezza e il dubbio, si avverte la presenza e ci si sente come abbandonati e sopraffatti cercando risposte nel Santissimo Sacramento. 

«Tante volte mi sono svegliata di notte pensando: come posso prendere in considerazione il cattolicesimo? Ma poi la mattina successiva alla Messa quotidiana pregando la liturgia faccio esperienza della profonda presenza di Dio anche se non prendo l'Eucaristia. Dal momento che ora non posso ricevere l'Eucaristia, è attraverso la comunione spirituale che sono nutrita spiritualmente dal Signore. Questo atto della volontà di riceverla non è, come qualcuno può pensare, una Comunione di seconda classe. Lungi da esso, credere in questo modo è sminuire uno dei modi con cui Cristo nutre il suo popolo».

Quando parla della comunione spirituale, Luma Simms racconta di non provare l'assenza di qualcosa, ma piuttosto la presenza del Signore; ha la certezza che Dio non vuole che nutra risentimento per il sacerdote che non le dà la Comunione, non si piange addosso con autocommiserazione. No, Luma Simms è testimone potente e credibile di quanto siano farlocche le soluzioni pastorali "creative" applicate da episcopati fallimentari che hanno consegnato milioni di cattolici del Nord Europa all'agnosticismo e nel Sud America agli evangelici. 

C'è tanta più etica della responsabilità in quanto afferma questa donna, di quanta se ne possa trovare in una pila di tomi di teologia dei liberale. «Prima che vi rattristiate per me, ricordatevi che non è stata la Chiesa a farmi questo. Sono stata io a farlo a me stessa quando ho disobbedito al mio Dio allontanandomi dal mio primo matrimonio. Ero giovane e immatura? Sì. Sono state le circostanze a condurmi a misure così drastiche? Certo. E sì, sto procedendo in un decreto di nullità affidandomi a Dio per una giusta decisione. Qualsiasi sia l'esito non posso né voglio allontanarmi dalla Chiesa perché voglio rimanere salda negli insegnamenti di Cristo». 

Ed è proprio l'autentico sensus fidei, così tante volte evocato a sproposito e deformato da impresentabili pastorali accecate da demolatria che, quasi come un istinto, allerta questa convertita americana circa l'intrinseca connessione che da un mutamento della prassi, porterebbe ad uno stravolgimento della dottrina: «Qualcuno può essere sconvolto all'idea di sottomettermi ad una Chiesa che mi dice che non posso ricevere la Comunione perché sono divorziata e risposata. Ma a meno che non si dimostri altrimenti, qualsiasi alterazione della Comunione per i divorziati risposati corromperà la dottrina del matrimonio e (abbassando l'immagine della Chiesa come la sposa di Cristo) svilirà la Chiesa. Le ho corso incontro in cerca di riparo. Ora prego (per la salvezza mia e dei miei figli) che la Chiesa non vacilli». Anch'io prego con Luma Simms che i pastori trovino forza e coraggio per scacciare i lupi, soprattutto quelli vestiti da agnelli, in assoluto i più letali.

   

 


Caterina63
00martedì 17 marzo 2015 13:12
  > La pastorale del matrimonio deve fondarsi sulla verità






Da uno scritto poco conosciuto del cardinale Joseph Ratzinger pubblicato nel 1998 ·

A proposito di alcune obiezioni contro la dottrina della Chiesa circa la recezione della Comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati

Nel 1998 il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, introdusse il volume intitolato Sulla pastorale dei divorziati risposati, pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana in una collana del dicastero («Documenti e Studi», 17). Per l’attualità e l’ampiezza di prospettive di questo scritto poco conosciuto, ne riproponiamo la terza parte, con l’aggiunta di tre note. Il testo è disponibile sul sito del nostro giornale (www.osservatoreromano.va), oltre che in italiano, anche in francese, inglese, portoghese, spagnolo e tedesco. 

La Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede circa la recezione della Comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati del 14 settembre 1994 ha avuto una vivace eco in diverse parti della Chiesa. Accanto a molte reazioni positive si sono udite anche non poche voci critiche. Le obiezioni essenziali contro la dottrina e la prassi della Chiesa sono presentate qui di seguito in forma per altro semplificata.

Alcune obiezioni più significative — soprattutto il riferimento alla prassi ritenuta più flessibile dei Padri della Chiesa, che ispirerebbe la prassi delle Chiese orientali separate da Roma, così come il richiamo ai principi tradizionali dell’ epikèia e della aequitas canonica — sono state studiate in modo approfondito dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Gli articoli dei professori Pelland, Marcuzzi e Rodriguez Luño (1) sono stati elaborati nel corso di questo studio. I risultati principali della ricerca, che indicano la direzione di una risposta alle obiezioni avanzate, saranno ugualmente qui brevemente riassunti. 

1. Molti ritengono, adducendo alcuni passi del Nuovo Testamento, che la parola di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio permetta un’applicazione flessibile e non possa essere classificata in una categoria rigidamente giuridica. 

Alcuni esegeti rilevano criticamente che il Magistero in relazione all’indissolubilità del matrimonio citerebbe quasi esclusivamente una sola pericope — e cioè Marco , 10, 11-12 — e non considererebbe in modo sufficiente altri passi del Vangelo di Matteo e della prima Lettera ai Corinzi. Questi passi biblici menzionerebbero una qualche “eccezione” alla parola del Signore sull’indissolubilità del matrimonio, e cioè nel caso di pornèia Matteo , 5, 32; 19, 9) e nel caso di separazione a motivo della fede ( 1 Corinzi , 7, 12-16). Tali testi sarebbero indicazioni che i cristiani in situazioni difficili avrebbero conosciuto già nel tempo apostolico un’applicazione flessibile della parola di Gesù.

A questa obiezione si deve rispondere che i documenti magisteriali non intendono presentare in modo completo ed esaustivo i fondamenti biblici della dottrina sul matrimonio. Essi lasciano questo importante compito agli esperti competenti. Il Magistero sottolinea però che la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio deriva dalla fedeltà nei confronti della parola di Gesù. Gesù definisce chiaramente la prassi veterotestamentaria del divorzio come una conseguenza della durezza di cuore dell’uomo. Egli rinvia — al di là della legge — all’inizio della creazione, alla volontà del Creatore, e riassume il suo insegnamento con le parole: «L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto» ( Marco , 10, 9). Con la venuta del Redentore il matrimonio viene quindi riportato alla sua forma originaria a partire dalla creazione e sottratto all’arbitrio umano — soprattutto all’arbitrio del marito, per la moglie infatti non vi era in realtà la possibilità del divorzio. La parola di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio è il superamento dell’antico ordine della legge nel nuovo ordine della fede e della grazia. Solo così il matrimonio può rendere pienamente giustizia alla vocazione di Dio all’amore ed alla dignità umana e divenire segno dell’alleanza di amore incondizionato di Dio, cioè «Sacramento» (cfr. Efesini , 5, 32).

La possibilità di separazione, che Paolo prospetta in 1 Corinzi , 7, riguarda matrimoni fra un coniuge cristiano e uno non battezzato. La riflessione teologica successiva ha chiarito che solo i matrimoni tra battezzati sono «sacramento» nel senso stretto della parola e che l’indissolubilità assoluta vale solo per questi matrimoni che si collocano nell’ambito della fede in Cristo. Il cosiddetto «matrimonio naturale» ha la sua dignità a partire dall’ordine della creazione ed è pertanto orientato all’indissolubilità, ma può essere sciolto in determinate circostanze a motivo di un bene più alto — nel caso la fede. Così la sistematizzazione teologica ha classificato giuridicamente l’indicazione di san Paolo comeprivilegium paulinum , cioè come possibilità di sciogliere per il bene della fede un matrimonio non sacramentale. L’indissolubilità del matrimonio veramente sacramentale rimane salvaguardata; non si tratta quindi di una eccezione alla parola del Signore. Su questo ritorneremo più avanti.

A riguardo della retta comprensione delle clausole sulla pornèia esiste una vasta letteratura con molte ipotesi diverse, anche contrastanti. Fra gli esegeti non vi è affatto unanimità su questa questione. Molti ritengono che si tratti qui di unioni matrimoniali invalide e non di eccezioni all’indissolubilità del matrimonio. In ogni caso la Chiesa non può edificare la sua dottrina e la sua prassi su ipotesi esegetiche incerte. Essa deve attenersi all’insegnamento chiaro di Cristo. 

2. Altri obiettano che la tradizione patristica lascerebbe spazio per una prassi più differenziata, che renderebbe meglio giustizia alle situazioni difficili; la Chiesa cattolica in proposito potrebbe imparare dal principio di «economia» delle Chiese orientali separate da Roma. 

Si afferma che il Magistero attuale si appoggerebbe solo su di un filone della tradizione patristica, ma non su tutta l’eredità della Chiesa antica. Sebbene i Padri si attenessero chiaramente al principio dottrinale dell’indissolubilità del matrimonio, alcuni di loro hanno tollerato sul piano pastorale una certa flessibilità in riferimento a singole situazioni difficili. Su questo fondamento le Chiese orientali separate da Roma avrebbero sviluppato più tardi accanto al principio della akribìa , della fedeltà alla verità rivelata, quello della oikonomìa , della condiscendenza benevola in singole situazioni difficili. Senza rinunciare alla dottrina dell’indissolubilità del matrimonio, essi permetterebbero in determinati casi un secondo e anche un terzo matrimonio, che d’altra parte è differente dal primo matrimonio sacramentale ed è segnato dal carattere della penitenza. Questa prassi non sarebbe mai stata condannata esplicitamente dalla Chiesa cattolica. Il Sinodo dei Vescovi del 1980 avrebbe suggerito di studiare a fondo questa tradizione, per far meglio risplendere la misericordia di Dio.

Lo studio di padre Pelland mostra la direzione, in cui si deve cercare la risposta a queste questioni. Per l’interpretazione dei singoli testi patristici resta naturalmente competente lo storico. A motivo della difficile situazione testuale le controversie anche in futuro non si placheranno. Dal punto di vista teologico si deve affermare:

a. Esiste un chiaro consenso dei Padri a riguardo dell’indissolubilità del matrimonio. Poiché questa deriva dalla volontà del Signore, la Chiesa non ha nessun potere in proposito. Proprio per questo il matrimonio cristiano fu fin dall’inizio diverso dal matrimonio della civiltà romana, anche se nei primi secoli non esisteva ancora nessun ordinamento canonico proprio. La Chiesa del tempo dei Padri esclude chiaramente divorzio e nuove nozze, e ciò per fedele obbedienza al Nuovo Testamento.

b. Nella Chiesa del tempo dei Padri i fedeli divorziati risposati non furono mai ammessi ufficialmente alla sacra comunione dopo un tempo di penitenza. È vero invece che la Chiesa non ha sempre rigorosamente revocato in singoli Paesi concessioni in materia, anche se esse erano qualificate come non compatibili con la dottrina e la disciplina. Sembra anche vero che singoli Padri, ad esempio Leone Magno, cercarono soluzioni “pastorali” per rari casi limite.

c. In seguito si giunse a due sviluppi contrapposti:

— Nella Chiesa imperiale dopo Costantino si cercò, a seguito dell’intreccio sempre più forte di Stato e Chiesa, una maggiore flessibilità e disponibilità al compromesso in situazioni matrimoniali difficili. Fino alla riforma gregoriana una simile tendenza si manifestò anche nell’ambito gallico e germanico. Nelle Chiese orientali separate da Roma questo sviluppo continuò ulteriormente nel secondo millennio e condusse a una prassi sempre più liberale. Oggi in molte Chiese orientali esiste una serie di motivazioni di divorzio, anzi già una «teologia del divorzio», che non è in nessun modo conciliabile con le parole di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio. Nel dialogo ecumenico questo problema deve essere assolutamente affrontato.

— Nell’Occidente fu recuperata grazie alla riforma gregoriana la concezione originaria dei Padri. Questo sviluppo trovò in qualche modo una sanzione nel concilio di Trento e fu riproposto come dottrina della Chiesa nel concilio Vaticano II.

La prassi delle Chiese orientali separate da Roma, che è conseguenza di un processo storico complesso, di una interpretazione sempre più liberale — e che si allontanava sempre più dalla parola del Signore — di alcuni oscuri passi patristici così come di un non trascurabile influsso della legislazione civile, non può per motivi dottrinali essere assunta dalla Chiesa cattolica. Al riguardo non è esatta l’affermazione che la Chiesa cattolica avrebbe semplicemente tollerato la prassi orientale. Certamente Trento non ha pronunciato nessuna condanna formale. I canonisti medievali nondimeno ne parlavano continuamente come di una prassi abusiva. Inoltre vi sono testimonianze secondo cui gruppi di fedeli ortodossi, che divenivano cattolici, dovevano firmare una confessione di fede con un’indicazione espressa dell’impossibilità di un secondo matrimonio. 

3. Molti propongono di permettere eccezioni dalla norma ecclesiale, sulla base dei tradizionali principi dell’ epikèia e della aequitas canonica 

Alcuni casi matrimoniali, così si dice, non possono venire regolati in foro esterno. La Chiesa potrebbe non solo rinviare a norme giuridiche, ma dovrebbe anche rispettare e tollerare la coscienza dei singoli. Le dottrine tradizionali dell’ epikèia e della aequitas canonica potrebbero giustificare dal punto di vista della teologia morale ovvero dal punto di vista giuridico una decisione della coscienza, che si allontani dalla norma generale. Soprattutto nella questione della recezione dei sacramenti la Chiesa dovrebbe qui fare dei passi avanti e non soltanto opporre ai fedeli dei divieti.

I due contributi di don Marcuzzi e del professor Rodríguez Luño illustrano questa complessa problematica. In proposito si devono distinguere chiaramente tre ambiti di questioni:

a. Epikèia ed aequitas canonica sono di grande importanza nell’ambito delle norme umane e puramente ecclesiali, ma non possono essere applicate nell’ambito di norme, sulle quali la Chiesa non ha nessun potere discrezionale. L’indissolubilità del matrimonio è una di queste norme, che risalgono al Signore stesso e pertanto vengono designate come norme di «diritto divino». La Chiesa non può neppure approvare pratiche pastorali — ad esempio nella pastorale dei Sacramenti —, che contraddirebbero il chiaro comandamento del Signore. In altre parole: se il matrimonio precedente di fedeli divorziati risposati era valido, la loro nuova unione in nessuna circostanza può essere considerata come conforme al diritto, e pertanto per motivi intrinseci non è possibile una recezione dei sacramenti. La coscienza del singolo è vincolata senza eccezioni a questa norma. (2)

b. La Chiesa ha invece il potere di chiarire quali condizioni devono essere adempiute, perché un matrimonio possa essere considerato come indissolubile secondo l’insegnamento di Gesù. Nella linea delle affermazioni paoline in 1 Corinzi , 7 essa ha stabilito che solo due cristiani possano contrarre un matrimonio sacramentale. Essa ha sviluppato le figure giuridiche del privilegium paulinum e del privilegium petrinum . Con riferimento alle clausole sulla pornèia in Matteo e in Atti , 15, 20 furono formulati impedimenti matrimoniali. Inoltre furono individuati sempre più chiaramente motivi di nullità matrimoniale e furono ampiamente sviluppate le procedure processuali. Tutto questo contribuì a delimitare e precisare il concetto di matrimonio indissolubile. Si potrebbe dire che in questo modo anche nella Chiesa occidentale fu dato spazio al principio della oikonomìa , senza toccare tuttavia l’indissolubilità del matrimonio come tale.

In questa linea si colloca anche l’ulteriore sviluppo giuridico nel Codice di Diritto Canonico del 1983, secondo il quale anche le dichiarazioni delle parti hanno forza probante. Di per sé, secondo il giudizio di persone competenti, sembrano così praticamente esclusi i casi, in cui un matrimonio invalido non sia dimostrabile come tale per via processuale. Poiché il matrimonio ha essenzialmente un carattere pubblico-ecclesiale e vale il principio fondamentale nemo iudex in propria causa («Nessuno è giudice nella propria causa»), le questioni matrimoniali devono essere risolte in foro esterno. Qualora fedeli divorziati risposati ritengano che il loro precedente matrimonio non era mai stato valido, essi sono pertanto obbligati a rivolgersi al competente tribunale ecclesiastico, che dovrà esaminare il problema obiettivamente e con l’applicazione di tutte le possibilità giuridicamente disponibili.

c. Certamente non è escluso che in processi matrimoniali intervengano errori. In alcune parti della Chiesa non esistono ancora tribunali ecclesiastici che funzionino bene. Talora i processi durano in modo eccessivamente lungo. In alcuni casi terminano con sentenze problematiche. Non sembra qui in linea di principio esclusa l’applicazione della epikèia in “foro interno”. Nella Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1994 si fa cenno a questo, quando viene detto che con le nuove vie canoniche dovrebbe essere escluso «per quanto possibile» ogni divario tra la verità verificabile nel processo e la verità oggettiva (cfr. Lettera, 9). Molti teologi sono dell’opinione che i fedeli debbano assolutamente attenersi anche in “foro interno” ai giudizi del tribunale a loro parere falsi. Altri ritengono che qui in “foro interno” sono pensabili delle eccezioni, perché nell’ordinamento processuale non si tratta di norme di diritto divino, ma di norme di diritto ecclesiale. Questa questione esige però ulteriori studi e chiarificazioni. Dovrebbero infatti essere chiarite in modo molto preciso le condizioni per il verificarsi di una “eccezione”, allo scopo di evitare arbitri e di proteggere il carattere pubblico — sottratto al giudizio soggettivo — del matrimonio. 

4. Molti accusano l’attuale Magistero di involuzione rispetto al Magistero del Concilio e di proporre una visione preconciliare del matrimonio. 

Alcuni teologi affermano che alla base dei nuovi documenti magisteriali sulle questioni del matrimonio starebbe una concezione naturalistica, legalistica del matrimonio. L’accento sarebbe posto sul contratto fra gli sposi e sullo ius in corpus . Il Concilio avrebbe superato questa comprensione statica e descritto il matrimonio in un modo più personalistico come patto di amore e di vita. Così avrebbe aperto possibilità per risolvere in modo più umano situazioni difficili. Sviluppando questa linea di pensiero alcuni studiosi pongono la domanda se non si possa parlare di «morte del matrimonio», quando il legame personale dell’amore fra due sposi non esiste più. Altri sollevano l’antica questione se il Papa non abbia in tali casi la possibilità di sciogliere il matrimonio.

Chi però legga attentamente i recenti pronunciamenti ecclesiastici riconoscerà che essi nelle affermazioni centrali si fondano su Gaudium et spes e con tratti totalmente personalistici sviluppano ulteriormente sulla traccia indicata dal Concilio la dottrina ivi contenuta. È tuttavia inadeguato introdurre una contrapposizione fra la visione personalistica e quella giuridica del matrimonio. Il Concilio non ha rotto con la concezione tradizionale del matrimonio, ma l’ha sviluppata ulteriormente. Quando ad esempio si ripete continuamente che il Concilio ha sostituito il concetto strettamente giuridico di “contratto” con il concetto più ampio e teologicamente più profondo di “patto”, non si può dimenticare in proposito che anche nel “patto” è contenuto l’elemento del “contratto” pur essendo collocato in una prospettiva più ampia. Che il matrimonio vada molto al di là dell’aspetto puramente giuridico affondando nella profondità dell’umano e nel mistero del divino, è già in realtà sempre stato affermato con la parola “sacramento”, ma certamente spesso non è stato messo in luce con la chiarezza che il Concilio ha dato a questi aspetti. Il diritto non è tutto, ma è una parte irrinunciabile, una dimensione del tutto. Non esiste un matrimonio senza normativa giuridica, che lo inserisce in un insieme globale di società e Chiesa. Se il riordinamento del diritto dopo il Concilio tocca anche l’ambito del matrimonio, allora questo non è tradimento del Concilio, ma esecuzione del suo compito.

Se la Chiesa accettasse la teoria che un matrimonio è morto, quando i due coniugi non si amano più, allora approverebbe con questo il divorzio e sosterrebbe l’indissolubilità del matrimonio in modo ormai solo verbale, ma non più in modo fattuale. L’opinione, secondo cui il Papa potrebbe eventualmente sciogliere un matrimonio sacramentale consumato, irrimediabilmente fallito, deve pertanto essere qualificata come erronea. Un tale matrimonio non può essere sciolto da nessuno. Gli sposi nella celebrazione nuziale si promettono la fedeltà fino alla morte.

Ulteriori studi approfonditi esige invece la questione se cristiani non credenti — battezzati, che non hanno mai creduto o non credono più in Dio — veramente possano contrarre un matrimonio sacramentale. In altre parole: si dovrebbe chiarire se veramente ogni matrimonio tra due battezzati è ipso facto un matrimonio sacramentale. Di fatto anche il Codice indica che solo il contratto matrimoniale «valido» fra battezzati è allo stesso tempo sacramento (cfr. Codex iuris canonici , can. 1055, § 2). All’essenza del sacramento appartiene la fede; resta da chiarire la questione giuridica circa quale evidenza di «non fede» abbia come conseguenza che un sacramento non si realizzi. (3) 

5. Molti affermano che l’atteggiamento della Chiesa nella questione dei fedeli divorziati risposati è unilateralmente normativo e non pastorale. 

Una serie di obiezioni critiche contro la dottrina e la prassi della Chiesa concerne problemi di carattere pastorale. Si dice ad esempio che il linguaggio dei documenti ecclesiali sarebbe troppo legalistico, che la durezza della legge prevarrebbe sulla comprensione per situazioni umane drammatiche. L’uomo di oggi non potrebbe più comprendere tale linguaggio. Gesù avrebbe avuto un orecchio disponibile per le necessità di tutti gli uomini, soprattutto per quelli al margine della società. La Chiesa al contrario si mostrerebbe piuttosto come un giudice, che esclude dai sacramenti e da certi incarichi pubblici persone ferite.

Si può senz’altro ammettere che le forme espressive del Magistero ecclesiale talvolta non appaiano proprio come facilmente comprensibili. Queste devono essere tradotte dai predicatori e dai catechisti in un linguaggio, che corrisponda alle diverse persone e al loro rispettivo ambiente culturale. Il contenuto essenziale del Magistero ecclesiale in proposito deve però essere mantenuto. Non può essere annacquato per supposti motivi pastorali, perché esso trasmette la verità rivelata. Certamente è difficile rendere comprensibili all’uomo secolarizzato le esigenze del Vangelo. Ma questa difficoltà pastorale non può condurre a compromessi con la verità. Giovanni Paolo II nella Lettera EnciclicaVeritatis splendor ha chiaramente respinto le soluzioni cosiddette «pastorali», che si pongono in contrasto con le dichiarazioni del Magistero (cfr. ibidem , 56).

Per quanto riguarda la posizione del Magistero sul problema dei fedeli divorziati risposati, si deve inoltre sottolineare che i recenti documenti della Chiesa uniscono in modo molto equilibrato le esigenze della verità con quelle della carità. Se in passato nella presentazione della verità talvolta la carità forse non risplendeva abbastanza, oggi è invece grande il pericolo di tacere o di compromettere la verità in nome della carità. Certamente la parola della verità può far male ed essere scomoda. Ma è la via verso la guarigione, verso la pace, verso la libertà interiore. Una pastorale, che voglia veramente aiutare le persone, deve sempre fondarsi sulla verità. Solo ciò che è vero può in definitiva essere anche pastorale. «Allora conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» ( Giovanni , 8,32). 

Note: 

1 Cfr. Ángel Rodríguez Luño, L’epicheia nella cura pastorale dei fedeli divorziati risposati , in Sulla pastorale dei divorziati risposati , Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1998, («Documenti e Studi», 17), pp. 75-87; Piero Giorgio Marcuzzi, s.d.b., Applicazione di «aequitas et epikeia» ai contenuti della Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede del 14 settembre 1994 ibidem , pp. 88-98; Gilles Pelland, s. j., La pratica della Chiesa antica relativa ai fedeli divorziati risposati ibidem , pp. 99-131.

2 A tale riguardo vale la norma ribadita da Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica postsinodale Familiaris consortio , n. 84: «La riconciliazione nel sacramento della penitenza — che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico — può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi — quali, ad esempio, l’educazione dei figli — non possono soddisfare l’obbligo della separazione, “assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi”». Cfr. anche Benedetto XVI, Lettera apostolica postsinodaleSacramentum caritatis , n. 29.

3 Durante un incontro con il clero della diocesi di Aosta, svoltosi il 25 luglio 2005, Papa Benedetto XVI ha affermato in merito a questa difficile questione: «Particolarmente dolorosa è la situazione di quanti erano sposati in Chiesa, ma non erano veramente credenti e lo hanno fatto per tradizione, e poi trovandosi in un nuovo matrimonio non valido si convertono, trovano la fede e si sentono esclusi dal Sacramento. Questa è realmente una sofferenza grande e quando sono stato prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ho invitato diverse Conferenze episcopali e specialisti a studiare questo problema: un sacramento celebrato senza fede. Se realmente si possa trovare qui un momento di invalidità perché al sacramento mancava una dimensione fondamentale non oso dire. Io personalmente lo pensavo, ma dalle discussioni che abbiamo avuto ho capito che il problema è molto difficile e deve essere ancora approfondito.

Inglese Spagnolo Francese Tedesco Portoghese ]

- See more at: http://www.osservatoreromano.va/it/news/la-pastorale-del-matrimonio-deve-fondarsi-sulla-ve#sthash.vZKeOsnf.dpuf 





e così lo spiegava bene Sandro Magister nel 2011:






Nella quinta e ultima parte del saggio, infine, papa Benedetto mette di nuovo in guardia dall'"annacquare" in nome della misericordia quella verità rivelata che è l'indissolubilità del matrimonio.

E conclude:

"Certamente la parola della verità può far male ed essere scomoda. Ma è la via verso la guarigione, verso la pace, verso la libertà interiore. Una pastorale, che voglia veramente aiutare le persone, deve sempre fondarsi sulla verità. Solo ciò che è vero può in definitiva essere anche pastorale. 'Allora conoscerete la verità e la verità vi farà liberi' (Giovanni, 8, 32)".

*

Fin qui il pensiero di Benedetto XVI sulla comunione ai cattolici divorziati e risposati, che egli ha voluto ribadire con la ripubblicazione di questo suo saggio del 1998.

Le "aperture" indicate dal papa nel saggio e nella nota aggiunta sono almeno due.

La prima è il possibile ampliamento dei riconoscimenti canonici di nullità dei matrimoni celebrati "senza fede" da almeno uno dei coniugi, pur battezzato.

La seconda è il possibile ricorso a una decisione "in foro interno" di accedere alla comunione, da parte di un cattolico divorziato e risposato, qualora il mancato riconoscimento di nullità del suo precedente matrimonio (per effetto di una sentenza ritenuta erronea o per l'impossibilità di provarne la nullità in via processuale) contrasti con la sua ferma convinzione di coscienza che quel matrimonio era oggettivamente nullo.

Di fatto, questo secondo è un comportamento che tende ad essere messo in pratica molto al di là dei suddetti limiti, da parte di cattolici divorziati e risposati che neppure sono mai ricorsi ai tribunali canonici per regolarizzare la loro posizione, né intendono farlo, ma ugualmente fanno la comunione per loro volontà, con o senza l'approvazione del confessore.

Sia sull'una che sull'altra pista Benedetto XVI auspica che l'approfondimento proceda.

E fa capire di sperare in un esito positivo in entrambi i casi, "senza compromettere la verità in nome della carità".



del resto Benedetto XVI ha riformulato chiaramente la posizione della Chiesa nella Sacramentum Caritatis, Esortazione Apostolica, nella quale ha ribadito:




n.29: Il Sinodo dei Vescovi ha confermato la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr Mc 10,2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell'Eucaristia. I divorziati risposati, tuttavia, nonostante la loro situazione, continuano ad appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale attenzione, nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile cristiano di vita attraverso la partecipazione alla santa Messa, pur senza ricevere la Comunione, l'ascolto della Parola di Dio, l'Adorazione eucaristica, la preghiera, la partecipazione alla vita comunitaria, il dialogo confidente con un sacerdote o un maestro di vita spirituale, la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza, l'impegno educativo verso i figli.
(...)

È necessario, tuttavia, evitare di intendere la preoccupazione pastorale come se fosse in contrapposizione col diritto. Si deve piuttosto partire dal presupposto che fondamentale punto d'incontro tra diritto e pastorale è l'amore per la verità: questa infatti non è mai astratta, ma « si integra nell'itinerario umano e cristiano di ogni fedele ». Infine, là dove non viene riconosciuta la nullità del vincolo matrimoniale e si danno condizioni oggettive che di fatto rendono la convivenza irreversibile, la Chiesa incoraggia questi fedeli a impegnarsi a vivere la loro relazione secondo le esigenze della legge di Dio, come amici, come fratello e sorella; così potranno riaccostarsi alla mensa eucaristica, con le attenzioni previste dalla provata prassi ecclesiale. Tale cammino, perché sia possibile e porti frutti, deve essere sostenuto dall'aiuto dei pastori e da adeguate iniziative ecclesiali, evitando, in ogni caso, di benedire queste relazioni, perché tra i fedeli non sorgano confusioni circa il valore del Matrimonio.






















Caterina63
00giovedì 2 aprile 2015 14:35

  Un sacerdote risponde

Sono un ragazzo praticante che ha sempre difeso il Magistero della Chiesa e il Papa; ma in questi ultimi tempi sta accadendo in me qualcosa di sbagliato

Quesito

Carissimo padre Angelo,
sono un ragazzo praticante che ha sempre difeso il Magistero della Chiesa e il Papa. Ricordo gli accesi dibattiti ai tempi del liceo nei quali difendevo l'insegnamento della Chiesa riguardo le coppie di fatto, la comunione ai divorziati risposati, il celibato sacerdotale. Tuttavia in questi ultimi tempi, legati al nuovo pontificato di Papa Francesco, sta accadendo in me qualcosa di sbagliato: non riesco a sostenere alcune affermazioni del Papa sebbene io mi sforzi di farlo; le parlo per esempio dell'ammiccamento del Papa verso la prassi della Chiesa Ortodossa della benedizione delle seconde nozze, chiaramente dimostrata nell'intervista televisiva tenutasi durante il viaggio di ritorno dalla GMG. Inoltre guardo con particolare timore il prossimo Sinodo sulla famiglia la cui relazione introduttiva del Cardinale Kasper ed elogiata dal Santo Padre ha fatto vacillare alcuni miei punti fermi.
Dal momento che io non sono nessuno per criticare il Papa mi chiedo se io mi sia sbagliato negli anni addietro nell'affermare che le convivenze e i riaccompagnamenti post-divorzio fossero fuori dal progetto di Dio. Anche qui però noto che il Magistero dice proprio questo. Non so quindi  creare una continuità tra questi insegnamenti. Da quel che ho capito l'attenzione è posta non tanto sui matrimoni nulli (dei quali sarebbe conveniente accelerare i tempi di annullamento) quanto su quelli validi ai quali sia seguito il divorzio ed una nuova unione. Anche per quest'ultimo caso la Chiesa Cattolica ha la soluzione del vivere come fratello e sorella e penso che tra cadute e confessioni alcune coppie si sforzino di percorrere questa strada. Da quello che ho appreso però lo stesso Cardinale in questione afferma che quest'ultimo sia un comportamento eroico non adatto a tutti e che la Chiesa debba proporre un cammino che per queste persone sia percorribile pur non rappresentando il meglio. Quindi qui non si parla tanto di restare fedeli al proprio coniuge nonostante il divorzio ma di "benedire" delle nuove nozze come male minore. 
Ecco quindi il mio problema non è di tipo moralista, non sono il tipo e non mi scandalizzo; è piuttosto un problema di ordine logico, riaccompagnarsi è peccato o meno? Si vuole forse introdurre una via di mezzo tra peccato e non peccato? Pur essendo appassionato e studioso di teologia a livello amatoriale non sono un teologo quindi aspetto sue risposte.
Le ripeto, mi sforzo di essere in sintonia con il Papa e con i Cardinali ma spesso non ci riesco.
Daniele


Risposta del sacerdote

Caro Daniele,
1. tutto quello che hai difeso ai tempi del liceo sei chiamato a difenderlo sempre.
La dottrina della Chiesa non muta, come del resto non muta l’insegnamento di Cristo.
La dottrina della Chiesa si evolve, ma in maniera omogenea, e cioè senza contraddirsi. Si evolve per ulteriore comprensione, sviluppo e precisone.

2. Quando comparirà questa risposta sul nostro sito (la sto elaborando in data 20 agosto 2014) sarà già conclusa la prima fase del sinodo dei vescovi
Bisognerà attendere la seconda e poi il documento del Papa che non apparirà presumibilmente prima del 2916. 
Il sinodo infatti ha carattere consultivo.
Solo quando avremo in mano il documento del Papa potremo dire con precisione qual è il suo pensiero e conformarvi la nostra fede.

3. Intanto nella discussione che si è creata, nonostante qualche confusione alimentata qua o là, la dottrina della Chiesa è stata ulteriormente approfondita ed esposta.
Penso ad esempio al lungo e preciso documento elaborato da un gruppo di teologi domenicani statunitensi.
Di questo studio se ne è parlato nel luglio scorso e ha avuto larga eco.
Di fronte alla sua precisione dottrinale si rimane stupiti e penso che ne rimanga stupito anche qualche cardinale.

4. Le parole che il Papa ha detto sulla relazione del cardinale Kasper non sponsorizzano tutto quello che il cardinale ha detto.
Lo ha elogiato, è vero. E che cosa doveva fare?
Anch’io quando nel mio piccolo invito una persona a fare una conferenza e poi alla fine devo dire qualche parola, non mi metto certo a dire che la relazione non mi è piaciuta. Sarebbe di cattivo gusto, soprattutto dopo aver invitato il conferenziere. Insisto sui punti buoni ed elogio. E così, mi pare, ha fatto anche il papa.

5. Certo il punto debole della relazione del cardinale Kasper non riguarda a mio parere la benedizione delle nuove nozze. Perché di questo evidentemente neanche se ne parla. Il matrimonio, se è valido, resta indissolubile.
Neanche gli ortodossi danno la benedizione alle nuove nozze. Le accettano, ma non vengono benedette.
Nessuno può stravolgere il Vangelo e anche il cardinale Kasper lo riconosce.

6. Il punto vulnerabile della sua relazione sta nel fatto che darebbe la possibilità di accedere ai sacramenti – pur con tutte le cautele che ha presentato - anche se si vive in maniera uxoria pur non essendo sposati.
Infatti questi divorziati riaccompagnati talvolta sono risposati civilmente e talvolta sono divorziati conviventi. 
Ora se è lecito dare l’assoluzione e la santa comunione a questi che vivono in maniera uxoria pur non essendo sposati col matrimonio sacramento perché non darla anche alle coppie di conviventi non ancora sposati?

7. Senza dire che il problema della contraccezione qui è stato del tutto dimenticato.
Anche questo è un altro punto debole.
La Chiesa non si è sbagliata nel suo insegnamento non solo secolare, ma anche recente. Penso a quello degli ultimi pontefici che diverse molte e in maniera molto autorevole si sono espressi su questo tema: Paolo VI, Giovanni Paolo II  e Benedetto XVI.
Inoltre rimane ferma la dottrina di Cristo nel caso dei divorziati in qualunque modo riaccompagnati: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio” (Mc 10,11-12). Si tratta di un rapporto adulterino continuato, come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Il divorzio è una grave offesa alla legge naturale…. Il fatto di contrarre un nuovo vincolo nuziale, anche se riconosciuto dalla legge civile, accresce la gravità della rottura: il coniuge risposato si trova in tal caso in una condizione di adulterio pubblico e permanente” (CCC 2384).

8. Dispiace che il cardinale Kasper non abbia tenuto conto di questo.
Ma la sua relazione non ha valore magisteriale. Né quello che potrebbero dire anche altri cardinali ha valore magisteriale.
Per cui non perderti d’animo.
Gesù Cristo ha fissato la sua Chiesa su salda roccia (è Lui stesso questa salda roccia).
Per questo devi essere certo che la Chiesa non sbaglierà nel suo insegnamento né dichiarerà sbagliato o sorpassato quello che finora ha insegnato in materia di fede o di morale con l’assistenza stessa di Cristo.

9. Pertanto continua a combattere la tua buona battaglia, come dice san Paolo a Timoteo (1 Tm 6,12). 
È la dottrina di Cristo che sei chiamato a presentare, la dottrina di Colui che in forza della sua persona divina ha detto: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12).

Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo







Caterina63
00sabato 25 aprile 2015 11:21

 La questione della prassi penitenziale




micheletIn una recente intervista (vedi qui) il domenicano Thomas Michelet, uno degli autori dello studio apparso su Nova et Vetera, che stiamo pubblicando a puntate sul nostro Osservatorio (qui in Difendere lo abbiamo postato qui, e lo riproponiamo a fine di questo testo), ha fatto delle importanti affermazioni.


«La vera difficoltà non è la comunione eucaristica, ma l’assoluzione, che presuppone la rinuncia al peccato. E’ questo che spiega l’impossibilità di ammettere alla comunione eucaristica non solo i divorziati-risposati, ma “tutti coloro che persistono con ostinazione nel peccato grave e manifesto” (CIC, can. 915)». Per il domenicano francese è di fondamentale importanza ribadire ciò, per non dare l’idea che si tratti di una problematica legata solo ai divorziati-risposati. Il problema invece è ben più ampio. Pastoralmente occorre porsi la questione di come affrontare l’impenitenza, che abbraccia sempre più persone. L’impenitenza è infatti un ostacolo che impedisce di ricevere l’assoluzione, che richiede – ricorda il teologo francese – «il pentimento (contrizione), a dichiarazione dei propri peccati (confessione) e la riparazione (soddisfazione), con il fermo proposito di distaccarsene, se non è già stato fatto, di non più commetterlo e di fare penitenza».


In verità la penitenza, nell’antichità, era considerata non tanto in vista della riparazione, ma come condizione preliminare, per disporsi alla contrizione. La penitenza antica abbracciava molto più tempo e comprendeva tappe liturgiche. Il teologo francese ripropone questa prassi anche per la categoria degli impenitenti, cioè tutti coloro «che fanno fatica a staccarsi completamente dal loro peccato e perciò necessitano di un percorso più lungo», percorso che nella forma attuale del sacramento della penitenza non trova spazio. La proposta di p. Michelet è perciò quella di arricchire l’attuale Rituale, che prevede tre forme sacramentali per il rito della penitenza (1) , con un’altra forma “straordinaria”, radicata nella tradizione di unordo paenitentium.


La discussione sui divorziati-risposati potrebbe perciò divenire un’occasione per arricchire la prassi penitenziale della Chiesa ed accompagnare tanti fratelli in un cammino che conduca alla vera contrizione, senza la quale la misericordia di Dio non può risanare il cuore dell’uomo.


_______________________________


(1) Ricordiamo che le tre attuali forme sono: il rito per l’assoluzione dei singoli penitenti (quella più consueta); il rito per la riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione individuale; il rito per la riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione generale (possibile solo in caso di imminente pericolo di morte, per cui il sacerdote non avrebbe tempo di ascoltare le singole confessioni o per grave necessità come disposto dal can. 961 § 1)



 

"A tale riguardo scrivevo nella Lettera Enciclica Dominum et vivificantem [LE 5192]: «La coscienza non è una fonte autonoma ed esclusiva per decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo; invece, in essa è inscritto profondamente un principio di obbedienza nei riguardi della norma oggettiva, che fonda e condiziona la corrispondenza delle sue decisioni con i comandi e i divieti che sono alla base del comportamento umano».

E nell’enciclica Veritatis splendor [LE 5521] ho aggiunto: «L’autorità della Chiesa, che si pronuncia sulle questioni morali, non intacca in nessun modo la libertà di coscienza dei cristiani.. . anche perché il Magistero non porta alla coscienza cristiana verità ad essa estranee, bensì manifesta le verità che dovrebbe già possedere sviluppandole a partire dall’atto originario della fede.

La Chiesa si pone solo e sempre al servizio della coscienza, aiutandola a non essere portata qua e là da qualsiasi vento di dottrina secondo l’inganno degli uomini, a non sviarsi dalla verità circa il bene dell’uomo, ma, specialmente nelle questioni più difficili, a raggiungere con sicurezza la verità e a rimanere in essa». 

Un atto aberrante dalla norma o dalla legge oggettiva è, dunque, moralmente riprovevole e come tale deve essere considerato: se è vero che l’uomo deve agire in conformità con il giudizio della propria coscienza, è altrettanto vero che il giudizio della coscienza non può pretendere di stabilire la legge; può soltanto riconoscerla e farla propria".

(Giovanni Paolo II Discorso al Tribunale della Sacra Rota 10 febbraio 1995

 

Da Il Timone 22 luglio 2014

 

Dicevamo giorni fa che aumentano le voci autorevoli o autorevolissime che denunciano l’inaccettabilità del “teorema Kasper”, ossia la possibilità per i divorziati risposati di accedere al sacramento dell’Eucaristia, proposta illustrata dal cardinale Walter Kasper all’ultimo concistoro e che sarà uno dei punti chiave del prossimo Sinodo sulla famiglia. Finora la lista (sommaria) comprendeva:

il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller; l’ex presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, il cardinale Walter Brandmüller; uno dei teologi più impegnati e apprezzati da Giovanni Paolo II negli studi su matrimonio e famiglia, il cardinale Carlo Caffarra; uno dei più stimati canonisti della Curia romana, il cardinale Velasio De Paolis; un astro nascente del collegio cardinalizio, come l’ha definito Sandro Magister, ossia il cardinale Thomas Collins; una delle voci più significative dell’attuale teologia australiana, Adam G. Cooper, membro dell’Associazione internazionale di studi patristici.

A questi nomi va aggiunto un gruppo di otto teologi statunitensi di punta: sette domenicani, di cui sei docenti in quello che oggi è il migliore centro teologico dell’Ordine dei Predicatori negli Usa, la Pontificia Facoltà dell’Immacolata Concezione di Washington (si tratta dei padri John Corbett,  Andrew Hofer,Dominic LangevinDominic LeggeThomas PetriThomas Joseph White) uno, il padre Paul J. Keller, docente all’Ateneo Cattolico dell’Ohio (promosso dalla diocesi di Cincinnati); oltre a loro un laico,Kurt Martens, docente di diritto canonico alla Catholic University of America, sempre di Washington.

Insieme hanno steso un importante testo che verrà pubblicato in agosto su Nova et Vetera, storica rivista teologica fondata nel 1926 e vicina al mondo domenicano. Il documento sarà diffuso in più lingue, versioni che sono però già filtrate su internet. Qui si può scaricare quella in italiano. Una confutazione sintetica e magistrale, dal punto di vista dottrinale e storico, della tesi kasperiana.

 

Divorziati-risposati una valutazione teologica
I Domenicani scendono in campo e rispondono alle stravaganti affermazioni di Kasper
Recenti-proposte-Una-valutazione-teologica (1).pdf [101.45 KB]
Download


Alcuni passi del testo:

 

"La proibizione del divorzio e di un nuovo matrimonio è chiara già nei più antichi pronunciamenti ufficiali della Chiesa cattolica . Dalla Riforma, inoltre, i papi l’hanno ripetutamente riaffermata. 
Per esempio, nel 1595 papa Clemente VIII emanò un’istruzione sui cattolici di rito orientale in Italia, sottolineando che i vescovi non dovevano in alcun modo tollerare il divorzio. 
Altri insegnamenti come questo, sull’impossibilità del divorzio per i cattolici di rito orientale, furono ribaditi da Urbano VIII (1623-1644) e Benedetto XIV (1740- 1758) . 
Nella Polonia del XVIII secolo, l’abuso di sentenze di nullità era particolarmente diffuso, il che spinse Benedetto XIV ad inviare ai vescovi polacchi tre lettere apostoliche dai toni piuttosto forti per porvi rimedio. 
Nella seconda di queste, nel 1741, il Pontefice emanò la costituzione Dei miseratione, in cui si richiede un difensore canonico del vincolo per ciascun caso matrimoniale . 
Nel 1803, Pio VII ricordò ai vescovi tedeschi che i sacerdoti non potevano in alcun modo celebrare seconde nozze, anche se era loro richiesto dalla legge civile, poiché con ciò “tradiranno il loro sacro ministero”. Quindi decretò: “Finché perdura l’impedimento [derivante da un precedente vincolo matrimoniale], se un uomo si unisce ad una donna è adulterio” . Pratiche permissive poste in essere dai vescovi di rito orientale in Transilvania diedero origine ad un decreto del 1858 della Congregazione de Propaganda Fide, in cui si sottolinea l’indissolubilità del matrimonio sacramentale . 
Infine, l’insegnamento di Leone XIII contro il divorzio nel 1880, in Arcanum, la sua enciclica sul matrimonio, non potrebbe essere più incisivo.
Come questo excursus storico dimostra, l’affermazione dell’insegnamento di Cristo sull’adulterio e sul divorzio è sempre stata complicata e richiama ogni epoca alla conversione. Che sia così anche nel nostro tempo non deve sorprendere. Una ragione di più, per la Chiesa, per testimoniare tale verità ancora oggi".

 

La castità e' un dogma della dottrina proclamata ed insegnata da Gesù Cristo

 

"L’indissolubilità di questa unione non solo è fondamentale per il progetto divino di Dio per l’uomo e per la donna (Mt 19, 3-10), bensì consente all’amore perpetuo e fedele tra loro di servire come segno sacramentale dell’amore di Cristo e della Sua fedeltà per la Sua sposa, la Chiesa (Ef 5, 32).
La Chiesa rappresenta ormai una delle poche voci rimaste, nella cultura occidentale, a proclamare fedelmente la verità a proposito del matrimonio. La sua teologia, il suo diritto e la sua pratica liturgica sottolineano l’importanza del matrimonio e della famiglia nella società e nella Chiesa medesima. Le coppie sposate collaborano con Dio nella creazione di nuove vite, sono le prime maestre della fede e dunque generano nuovi figli e figlie adottivi a Dio, destinati a condividerne l’eredità eterna. Nella loro fedeltà, i coniugi sono testimoni pubblici dell’incrollabile fedeltà di Cristo al Suo popolo".

 

"Il cuore delle recenti proposte è una sfiducia sulla castità. In effetti, l’eliminazione dell’obbligo della castità per i divorziati costituisce la principale innovazione delle proposte medesime, dato che la Chiesa permette già ai divorziati risposati, che per un motivo grave (come la crescita dei figli) continuano a vivere insieme, di ricevere la Comunione qualora accettino di vivere come fratello e sorella e se non vi è pericolo di scandalo. Sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI si sono espressi chiaramente su tale aspetto.


L’assunto delle attuali proposte, ad ogni modo, è che tale castità sia impossibile per i divorziati. Forse che ciò non evidenzia una velata disperazione nei confronti della castità e del potere della grazia di sconfiggere il peccato ed il vizio? Cristo chiama ognuno alla castità secondo la propria condizione di vita, sia essa quella di persona non sposata, celibe, sposata o separata. Egli promette la grazia di vivere castamente. Nei Vangeli, Gesù ribadisce questa chiamata e questa promessa, insieme con un fermo avvertimento: ciò che causa il peccato dovrebbe essere “tagliato” e “gettato via” perché “conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna” (Mt 5:27-32). Infatti, nel Discorso della Montagna, la castità è il cuore e l’anima dell’insegnamento di Gesù sul matrimonio, sul divorzio e sull’amore coniugale.


Tale castità è frutto della grazia e non una mortificazione o una privazione. Essa si riferisce non alla repressione della propria sessualità, bensì al suo corretto utilizzo. La castità è la virtù attraverso cui si sottomettono i desideri sessuali alla ragione, cosicché la propria sessualità sia al servizio della propria reale finalità anziché della lussuria. Da ciò consegue che la persona casta domina le proprie passioni più che esserne asservita e diviene, quindi, capace di un dono di sé totale e continuo. In breve, la castità è indispensabile per seguire la via di Cristo, la quale è l’unica strada per la gioia, la libertà e la felicità".

"La cultura contemporanea sostiene che la castità non sia solamente impossibile, ma addirittura dannosa. Questo dogma secolare si oppone direttamente all’insegnamento del Signore. Se lo accettassimo, sarebbe arduo non domandarsi perché esso dovrebbe applicarsi solamente ai divorziati. Non sarebbe ugualmente irrealistico chiedere alle persone celibi di rimanere caste fino al matrimonio? Non dovrebbero essere ammesse anch’esse alla Santa Comunione? Gli esempi potrebbero essere molteplici.
Alcune coppie risposate civilmente provano davvero a vivere in castità come fratello e sorella. Esse possono anche trovarlo difficile, magari cadere di tanto in tanto, e tuttavia, mosse dalla grazia, si rialzano, si confessano e ricominciano. Se le proposte in oggetto venissero accettate, quante di queste coppie si arrenderebbero nella lotta per rimanere caste?


D’altro canto, molti divorziati risposati non vivono castamente. Ciò che li distingue da coloro che tentano di farlo (e non sempre vi riescono) è che i primi non riconoscono ancora l’incontinenza come un problema serio, o almeno non hanno ancora intenzione di vivere in castità. Se si permette loro di ricevere l’Eucaristia, anche se prima si sono recate in confessionale, pur con l’intenzione di continuare a vivere in modo non casto (una palese contraddizione), vi è il serio pericolo che essi siano confermati nel proprio vizio presente. E’ improbabile, infatti, che essi crescano nella consapevolezza dell’obiettiva immoralità e gravità della loro comportamento non casto. E’ lecito domandarsi, piuttosto, se la condotta morale di costoro, anziché migliorare, non verrebbe più verosimilmente perturbata o addirittura deformata.


Cristo insegna che la castità è possibile, persino nei casi più difficili, poiché la grazia di Dio è più potente del peccato. La pastorale dei divorziati dovrebbe essere basata su tale promessa. Se i divorziati stessi non udranno la Chiesa proclamare le parole di speranza di Cristo, e cioè che essi possono realmente essere casti, non tenteranno mai di esserlo".

 

Chiarimenti sulla prassi ortodossa mai accettata dalla Chiesa

 

"Inoltre, la Chiesa cattolica ha più volte ribadito di non poter ammettere la prassi ortodossa.

Il Secondo Concilio di Lione (1274), che si indirizzava nello specifico alla consuetudine della Chiesa ortodossa d’oriente, proclamò che “non è permesso a un uomo di avere contemporaneamente più mogli, né a una donna di avere più mariti. Sciolto invece il matrimonio per la morte dell’uno o dell’altro dei coniugi, essa [la Chiesa romana] dice che sono lecite successivamente le seconde e quindi le terze nozze” .


In più, le proposte più recenti invocano ciò che neanche gli ortodossi d’oriente accetterebbero: la Comunione per coloro che contraggono unioni civili non consacrate (adulterine). Nella Chiesa ortodossa si ammettono alla Comunione i divorziati risposati solo se, per questi ultimi, le nozze successive alla prima sono state benedette nel rito della medesima Chiesa.

 

In altre parole, ammettere alla Comunione richiederebbe inevitabilmente che la Chiesa cattolica riconoscesse e benedicesse i secondi matrimoni dopo il divorzio, il che è evidentemente contrario alla dottrina cattolica già stabilita e a quanto espressamente insegnato da Cristo".

 

"E’ semplicemente impossibile ammettere alla Santa Comunione coloro che perseverano nell’adulterio e allo stesso tempo affermare queste dottrine conciliari. Le definizioni tridentine di adulterio, giustificazione (il che implica la carità così come la fede) oppure il significato e l’importanza dell’Eucaristia sarebbero altrimenti modificate.

La Chiesa, inoltre, non può trattare il matrimonio come un affare privato, né permettere che esso ricada sotto la giurisdizione dello Stato e neppure che esso sia qualcosa di risolvibile in base ad arbitrari giudizi di coscienza. Dopo un lungo dibattito, tali questioni sono state chiaramente risolte all’interno di un concilio ecumenico e nel modo più solenne. Queste dichiarazioni sono state poi più volte ribadite dal Magistero contemporaneo, anche nel Concilio Vaticano II e nel Catechismo della Chiesa Cattolica" .

 

Conclusione

 

"La Chiesa è sostenuta in ogni epoca dallo Spirito Santo, che le è stato promesso da Cristo stesso (Gv 15, 26). Perciò, ogniqualvolta si trova ad affrontare grandi sfide nell’evangelizzazione, essa sa anche che Dio le concederà certamente le grazie necessarie per la sua missione. Molti uomini e donne della nostra epoca si trovano a dover subire grandi sofferenze.

La rivoluzione sessuale ha provocato milioni di vittime. Tanti hanno profonde ferite, difficili da guarire. Per quanto problematica sia tale situazione, essa rappresenta altresì un importante opportunità apostolica per la Chiesa. L’essere umano è spesso consapevole dei propri fallimenti e pure delle proprie colpe, ma non del rimedio offerto dalla grazia e dalla misericordia di Cristo. Soltanto il Vangelo può realmente soddisfare i desideri del cuore umano e guarire le gravissime ferrite presenti oggi nella nostra cultura.


L’insegnamento della Chiesa sul matrimonio, sul divorzio, sulla sessualità umana e sulla castità è certamente difficile da accogliere. Cristo stesso ne era consapevole quando l’ha proclamato. Tuttavia, questa verità porta con sé un autentico messaggio di libertà e speranza: esiste una via d’uscita dal vizio e dal peccato. Esiste una via che conduce verso la felicità e l’amore. Richiamando queste verità, la Chiesa può accettare il compito dell’evangelizzazione nel nostro tempo con gioia e speranza".

 
Caterina63
00martedì 26 maggio 2015 19:25

XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO B

Dal Vangelo secondo Marco (10,2 - 12)

E avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: “È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?”. Ma egli rispose loro: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?”. Dissero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla”. Gesù disse loro: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto”. Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”.

Il capitolo 10 del Vangelo di Marco ha una sua caratteristica particolare. Chiarisce meglio il concetto di sequela di Gesù, indicando alcune condizioni per essere suoi discepoli; in merito fa riferimento a tre situazioni di grande importanza: il matrimonio, la ricchezza e l’autorità.
Nel brano odierno l’attenzione è concentrata sul matrimonio. La trattazione del tema è provocata dalla domanda insidiosa dei farisei, volta a mettere alla prova Gesù. Infatti essi sanno bene che secondo il piano di Dio (cf Gen 1,27; 2,24) il ripudio della moglie non è consentito. Ma con astuzia si richiamano ad una prescrizione mosaica, la quale in alcuni casi permetteva il divorzio (cf Dt 24,1-4).
Gesù nel rispondere precisa il motivo della concessione da parte di Mosè: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto”. Gesù quindi porta la questione alla sorgente: alla volontà originaria di Dio, al momento della creazione dell’uomo e della donna. La disposizione divina e la disposizione di Mosè non possono essere messe sullo stesso piano. I cuori duri, sclerotizzati possono trovare scappatoie alla legge divina.
Gesù ribadisce la volontà divina circa l’indissolubilità ai suoi discepoli, allorché rientrati in casa, lo interrogano sul tema. Egli esclude il divorzio non solo per la donna, come era prima, ma anche per l’uomo ed aggiunge che non soltanto il divorzio, sia da parte dell’uomo che della donna, si oppone al piano divino, ma che anche un nuovo matrimonio è da ritenersi adulterio: l’impegno precedente permane sempre.

Il Vangelo di oggi ci ricorda che l’indissolubilità per espressa volontà divina è una proprietà essenziale del matrimonio. E ciò vale per qualsiasi matrimonio, non solamente per quello dei cristiani. Essa è un’esigenza intrinseca all’amore coniugale. Questo vincolo sacro in vista del bene dei coniugi, della prole e della società non dipende dall’arbitrio dell’uomo. L’uomo non può separare ciò che Dio congiunge. Il matrimonio è una realtà sacra, della quale Dio è geloso.
L’indissolubilità pertanto non può essere ritenuta un fatto puramente privato, che ciascuno gestisce come vuole. Il matrimonio indissolubile, la famiglia sono realtà socialmente rilevanti; vanno difesi da parte non soltanto delle singole persone, ma anche dello Stato. L’educazione della prole, il bene dei coniugi, il bene della società possono essere garantiti in modo sicuro e completo soltanto nella comunità costante della famiglia. Non è raro costatare che nei figli dei divorziati si riscontrano turbe psicologiche. I figli hanno bisogno della presenza di ambedue i genitori, di una comunità stabile di amore per potersi sviluppare armonicamente.
Gesù ha riaffermato espressamente con chiarezza l’ordine della creazione sull’indissolubilità ed ha elevato il matrimonio a sacramento, partecipando agli sposi che lo celebrano il suo amore indissolubile verso la Chiesa sua sposa.
Con riferimento agli sposi è da precisare che l’indissolubilità non deve essere soltanto accettata, voluta al momento della celebrazione del matrimonio; essa richiede un impegno costante giornaliero da parte di entrambi i coniugi. Si esige la crescita nell’indissolubilità, come è necessaria la crescita nell’amore. A tale riguardo occorre andare controcorrente nei confronti di una mentalità divorzista che oggi è diffusa, evitando stampa, films, compagnie pericolose che favoriscono il divorzio, coltivando il senso della famiglia. La famiglia non è un albergo, dove si va per dormire. Essa è un luogo dove si sente la gioia di stare e di vivere assieme con il proprio coniuge e con i figli. Gli sposi cristiani coltivano l’indissolubilità particolarmente con la preghiera comune giornaliera. La famiglia che prega unita, vive unita. La preghiera comune tra i coniugi e con i figli fa superare le possibili difficoltà o tensioni della giornata. L’assistenza divina per gli sposi è potente.
Bisogna sempre tenere presente che se ogni giorno si coltiva l’amore, se si cresce in esso non ci sono avventure. Se si prega assieme non ci sono rimpianti.


Preghiera

Dio, che hai creato l’uomo e la donna,
perché i due siano una vita sola,
principio dell’armonia libera e necessaria
che si realizza nell’amore;
per opera del tuo Spirito riporta i figli di Adamo
alla santità delle prime origini,
e dona loro un cuore fedele,
perché nessun potere umano osi dividere
ciò che tu stesso hai unito.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…







Caterina63
00giovedì 30 luglio 2015 18:23

 


LETTERA

Matrimonio cristiano

 


 

 




Una coppia non sposata ha un figlio, la vita di tanti. Ma poi l'incontro con la fede, un lungo cammino di preparazione e infine la grande gioia del matrimonio cristiano. E noi abbiamo visto accogliere con meraviglia il “mistero” nascosto ai dotti e agli intelligenti, ma rivelato ai piccoli e ai poveri.



di Margherita Garrone

Caro direttore,


vorrei proporti alcune breve riflessioni a proposito della recente celebrazione di un matrimonio di amici, che mi ha fatto pensare in ordine al prossimo Sinodo. La cosa necessaria per curare la moria di famiglie e il disfacimento del matrimonio cristiano e comunque del matrimonio, è annunciare che l’Amore degli Sposi è dono della Trinità, e che la via è Cristo.


8 agosto 2015


“Chi è colei che sale dal deserto … vieni dal Libano, mia sposa, vieni… vieni…”


Le brave signore escono dalla chiesa sconcertate, e io colgo una osservazione molto logica e riconducibile a quel “O tempora o mores” di latina memoria perché “una volta prima ci si sposava e poi si avevano i figli, ora …”, e così di seguito: “Tutto a rovescio! Tutto sbagliato!”


Mamma mia quanto sono lontane queste due care signore dalla gioia e dall’allegrezza che ho provato io a questo matrimonio. Ho perfino battuto le mani (ben sapendo che il nostro parroco non lo gradisce), ma veramente il giubilo che sta dentro si ripercuote nell’atteggiamento e nel bisogno di condividere e coinvolgere.


“Vieni dal Libano, mia sposa”: niente marcia nuziale ma questo dolcissimo invito dello sposo del Cantico e la risposta di lei, sposa e sorella, che ha raggiunto l’atteso del suo cuore. “Cercai l’amore dell’anima mia… l’ho trovato e non lo lascerò mai”: quale più completa dichiarazione d’amore! Chi non si lascia trasportare da tanto sincero bene! Questo Cantico dei Cantici è davvero una manifestazione profondamente umana di chi nel cuore non ha altro desiderio che unirsi al proprio amato!


Non c’è nulla di profano in questo, anzi è tutto donato nel sacramento delle origini, il matrimonio, che il Genesi proclama come il disegno di Dio sull’uomo e la donna: “Lei è osso delle mie ossa … e i due saranno una sola carne”.


Ma non basta, non è tutto qui, c’è dell’altro, molto più grande e divino. Se lo avessero intuito le nostre buone signore avrebbero, forse, gioito con chi cantava e batteva le mani. Se avessero intuito che a cantare con la tenerezza dello sposo “Vieni dal Libano, mia sposa” non era Mikol ma Gesù, il Crocifisso Risorto, che abbraccia la sua Chiesa uscita dal deserto della vita senza senso, appoggiata a Lui, suo diletto. La sua Chiesa così tanto corteggiata, cercata, perduta e ritrovata e finalmente fatta sposa nell’amore e nella libertà. Forse le nostre due buone signore non si sarebbero lasciate andare alle loro pessimistiche considerazioni.


Signore, aprici gli occhi per vedere le tue meraviglie e godere della tua presenza in mezzo a noi! Il tuo Santo Spirito avvolge la nostra esistenza e noi rischiamo di non accorgercene! Sì, perché sono belli gli sposi, di una purezza rigenerata.  Ciò che è stato prima non importa al Signore Gesù che li ha amati tanto da dare la sua vita per loro. Egli ha allargato le sue braccia e non chiede altro che stringerli a sé e farli nuovi. Egli è lo sposo, questa coppia è la sposa bella, senza ruga  e senza macchia.


Ecco perché io non potevo che esultare e scoppiare di gioia, perché io ho visto l’opera del Signore, lo sposo: “una meraviglia ai nostri occhi”. Ho visto anche l’ardente desiderio della sposa: sedersi a questo banchetto preparato per lei, finalmente. Cristo si è fatto cibo e bevanda per la sposa che è vestita come una regina per l’incontro con lui. 


Noi che abbiamo camminato con questa coppia, anzi con questa famiglia (il figlioletto di otto anni li ha seguiti nel percorso condividendo), testimoniamo di quale predilezione siano stati oggetto, venendo da una situazione di assenza totale di alfabetizzazione della fede. Abbiamo visto accogliere con meraviglia il “mistero” nascosto ai dotti e agli intelligenti, ma rivelato ai piccoli e ai poveri.


Il desiderio vivissimo dell’Eucarestia, della comunione di vita con Cristo, nasce da questa attesa, da questa scoperta. La rivelazione del “mistero” passa attraverso l’opera della Chiesa madre e maestra, che conosce i tempi e i modi perché questo dono inestimabile giunga in un cuore pronto ad accoglierlo e conservarlo come il bene supremo. “che, se tu dessi tutti i beni della tua casa (per comprarlo), solo troveresti il disprezzo”. 



_____________________________________



Un sacerdote risponde

Sono sposata solo civilmente e penso di sposarmi in Chiesa in un'unica cerimonia col Battesimo del bambino che ardentemente desideriamo

Quesito

Salve,
ho scoperto stamane il Vostro sito, e ho visto che date dei riscontri a domande spirituali che Vi vengono poste.
Ieri sono rimasta profondamente scossa da due notizie ricevute durante la confessione in preparazione della messa e dell'Eucarestia, ossia che non posso ne accostarmi alla confessione ne ricevere Gesù visto che al momento sono solo spostata civilmente.
Sono rimasta tremendamente ferita da questa notizia, visto che specialmente la confessione la reputo uno dei sacramenti più importanti per l'anima della persona nei confronti di Dio.
Dico al momento solo sposata al comune perchè abbiamo comprato con mio "marito", da pochi mesi casa e visto che il mio nonno con la quale sono cresciuta e abitavo non era d'accordo con la convivenza non accettava che andavo a  vivere se non ero almeno sposata in Comune (ovviamente con il matrimonio in Chiesa anche il prima possibile).
La nostra intenzione sarebbe quella di festeggiare il battesimo di nostro figlio quando verrà e il nostro matrimonio in una sola celebrazione anche per condividere questa gioia non solo per la nostra unione davanti a Dio, ma anche con i partenti ed amici, visto che al momento con tutte le spese del caso non abbiamo possibilità di organizzare nulla.
Faccio inoltre uso della pillola anticoncezionale, in via principale per delle problematiche curative e poi per contraccezione momentanea.
Ho avuto purtroppo l'anno scorso un aborto di due gemellini ad un mese di gravidanza che mi ha scioccato, sopratutto perchè prego e sto male quando sento persone che praticano l'aborto.
Spero comunque che quelle due anime che ho portato in grembo siano ora degli angioletti in paradiso.
Sono molto confusa in questo momento perchè comunque sento che Gesù mi ama e mi sta vicino sempre, ho avuto una vita travagliata ma sempre ricompensata per opera Sua. (L'altra notte ho sognato la Vergine Maria che mi ha fatto il Segno della Croce sulla fronte).
Per questo volevo ringraziarlo facendo anche la partecipazione ai cinque Venerdì di ogni mese, ma non credo che potrò partecipare in pieno visto che non posso ricevere l'Eucarestia.
Non mi abbatto comunque, voglio tenere sempre Gesù dentro di me pregando, impegnandomi a non peccare per non ferirlo e spero di sposarmi al più presto in Chiesa per viverlo al meglio.
Vorrei che questa mia mail, fosse di incoraggiamento a tutte le persone che non credono nell'amore di Dio e della Sua infinita Misericordia.
Sono sempre più convinta che non dobbiamo abbatterci Mai, Dio ci Ama uno per uno e guarda con gli occhi dell'amore il nostri cuore, dobbiamo vivere con la sola intenzione di guadagnarci il Regno dei Cieli perchè è l'unico scopo importante in questo cammino terreno.
Grazie per avermi dato l'opportunità di esprimermi.
Saluti.


Risposta del sacerdote

Carissima,
1. sono contento che tu abbia avuto l’opportunità di imbatterti nel nostro sito e forse nelle nostre risposte avrai trovato le ragioni per cui il giorno precedente ti era stato detto che non potevi accostarti alla confessione e all’Eucaristia.
Sono contento anche che il Signore ti dia dei segni della sua vicinanza perché, a quanto mi dici, finora la tua vita è stata parecchio travagliata.

2. Comprendo il dispiacere che hai provato nel sentirti dire che non potevi confessarti dal momento che giustamente reputi “specialmente la confessione uno dei sacramenti più importanti per l'anima della persona nei confronti di Dio”.
Sì, è vero. Non c’è esigenza più grande per una persona che quella di essere perdonata da Dio.

3. Il perdono di Dio è diverso e più profondo di quello che danno gli uomini.
Gli uomini possono perdonare, ma la colpa rimane e nessuno la può togliere.
Possono far finta che non sia stata compiuta, possono dimenticarla, ma non possono far sì che essa non sia stata compiuta.
Il perdono di Dio invece cancella il passato, lo lava nel Sangue Redentore di Cristo.
Come il Battesimo rende “nuova creatura”, così anche la confessione - che dai Santi Padri (gli Autori cristiani dei primi secoli) veniva definita come un secondo Battesimo - rende nuovi.
E come il Battesimo è di necessità per la salvezza, così è ugualmente necessaria la confessione per salvarsi per chi si trova in peccato mortale.

4. Vengo però adesso al motivo per cui chi è sposato solo civilmente non può accostarsi ai sacramenti della confessione e della S. Comunione.
Gesù Cristo ha elevato il matrimonio, già voluto da Dio all’alba della creazione, a dignità di sacramento, e cioè di segno sacro dell’amore di Dio per l’uomo e di Gesù Cristo per la Chiesa.
Chi è battezzato, e cioè innestato in Cristo come tralcio alla vite (Gv 15,1 e ss.), deve studiarsi di attingere dall’infinito amore di Cristo l’instancabile capacità di amare nella buona e nella cattiva sorte e di essere fedele per sempre.
Il sacramento comunica questa forza e impegna ad esserne testimoni.

5. Inoltre chi si sposa col sacramento del matrimonio sa che il marito e la moglie sono, sì, una realtà, ma nello stesso tempo sono un segno che rimanda ad un’altra realtà, anzi ad un’altra Persona ancora più importante, Gesù Cristo che costituisce come l’obiettivo principale e ultimo del proprio matrimonio.
Si tratta dunque di vivere con sempre maggiore intimità con Cristo, che è il nostro vero Sposo per sempre.
Il matrimonio dunque è un segno o una metafora attraverso la quale Cristo  vuole introdurre gli uomini ad un’altra intimità, ad un’altra sponsalità: quella per la quale diventiamo a Lui intimi e sposi, con tutti i diritti e i doveri che vi sono connessi.
Questo, come puoi vedere, tocca il senso ultimo non solo del nostro sposarsi, ma anche del nostro vivere su questa terra.

6. Sposarsi solo civilmente, sebbene rappresenti un impegno che ci si assume pubblicamente nei confronti del proprio coniuge, per un cristiano è come un fare a meno e anzi un disprezzo del di più che Gesù Cristo è venuto a portare.
Questo di più consiste in due cose: la prima è quella che ti ho detto or ora e che consiste nell’essere introdotti in un’altra Sponsalità, che dà significato alla sponsalità umana e che va vissuta sempre, per non cercare da uno sposo umano ciò che solo lo Sposo Celeste può dare.
La seconda consiste in una serie di grazie che il Signore dà ai coniugi cristiani affinché fedelmente, santamente e con perseveranza fino alla fine possiamo compiere i loro doveri.
Pertanto si può comprendere come mai i battezzati che non accettano di sposarsi col sacramento non innestano il loro matrimonio in Cristo e pertanto come cristiani non sono sposati.

7. Questo è il motivo per cui secondo la Chiesa è valido tra battezzati solo il matrimonio sacramento.
Questo è ugualmente il motivo per cui due battezzati sposati solo civilmente non possono accedere ai sacramenti della confessione e della Santa Comunione: è come se fossero conviventi, anche se davanti allo stato si sono assunti gli impegni matrimoniali.
E questo infine è il motivo per cui se rompono le nozze contratte civilmente possono poi celebrare il matrimonio sacramento con un’altra persona.

8. Mi dici che hai intenzione di sposarti in Chiesa facendo una cosa sola col Battesimo del figlio.
Che in alcuni casi si faccia così per mettere una pezza a una situazione irregolare è un conto.
Ma di per sé questo non è il criterio.
Quando ci si sposa si deve avere la mente orientata a quello che si sta per fare e cioè celebrare la Sponsalità con Cristo.
Quando si celebra il Battesimo si deve vivere la festa di un bambino che in quel giorno diventa figlio di Dio, viene purificato dal peccato originale e sottratto dall’influsso del maligno, viene santificato dalla grazia e aggregato alla Chiesa. Tutta la famiglia, insieme con lui, viene ricolmata di grazia.
Si tratta pertanto di due momenti molto grandi da vivere intensamente uno per uno.

9. Da quello che sembra emergere dalla tua mail pare che il criterio principale sia quello economico, per poter fare tutto anche esternamente con un certo dispendio e splendore esteriore.
Non so quale grave ammontare economico ci sarebbe stato se ti fossi sposata in Chiesa chiedendo un rito molto semplice al parroco: voi due, i testimoni, i familiari stretti e qualche altro.
Per il matrimonio civile avrete fatto così, anche in quello che è seguito al rito.
Ma sposandovi col Sacramento vi sareste portati dietro molta grazia, molta benedizione, molta protezione, cose tutte alle quali invece vi siete sottratti, purtroppo, per vostra volontà.
Certo, non ci avete pensato. Ma le cose stanno così.

10. Il mio consiglio pertanto è che vi sposiate al più presto in Chiesa, magari anche solo voi due con i vostri due testimoni. 
Perché è più preziosa la grazia che la vita (Sal 63,2) e avete più bisogno di questo che di tutto il resto.
Così potrai finalmente confessarti.
E poi potrai fare la Santa Comunione e donare alla tua famiglia questo tesoro così grande. È un tesoro di cui ne avete bisogno per tutte le sue necessità!

11. Quando poi verrà il bambino, vi preparerete spiritualmente all’evento molto grande del suo battesimo e la vostra mente sarà immersa in una nuova grazia che investirà tutta la vostra famiglia.
Fate dunque ogni cosa in maniera ordinata, come vuole il Signore.
Non c’è sapienza migliore della sua.

Ti auguro ogni bene, vi ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo








Caterina63
00venerdì 23 ottobre 2015 20:16

 Padre Pio, il santo della famiglia



matrimonio



Estratto del libro “Padre Pio nella sua interiorità. Figlio di Maria, francescano, stigmatizzato, sacerdote, apostolo, guida spirituale”, di Don Nello Castello, Don Attilio Negrisolo e Padre Stefano M. Manelli (San Paolo Edizioni, 1997).


Il Quarto Comandamento: “Onora il padre e la madre”


Doveri verso i figli


La materia circa il quarto comandamento è vastissima. Riguarda i figli, ma implica anche i doveri dei genitori verso i figli. Proprio la categoria genitori rappresenta, indubbiamente, la fascia più ampia tra coloro che si sono inginocchiati in quella chiesina per il sacramento della riconciliazione.


Ai genitori, Padre Pio insegnava la fedeltà a Dio e tra loro: è la chiave dell’educazione dei figli. Dio guida, illumina, sostiene i genitori fedeli al sacramento del matrimonio.


Le testimonianze di una madre possono dare una sintesi profonda, completa e interessante sul problema dei doveri dei genitori e sulla formazione dei figli secondo Padre Pio. La mamma si chiama Lucia Manelli, che scrive:


Una volta, in un momento di buio, mi capitò di trovarmi a San Giovanni Rotondo e di potermi confessare dal Padre. Ne approfittai per presentargli la mia stanchezza a causa dell’assillo quotidiano nella cura della numerosa famiglia: otto figli, allora. Il Padre mi ascoltò, e poi, con tono forte e insieme affabile, mi disse: «Ma tu che cosa vuoi… Lo sai che madre è sinonimo di martire?». Era un rimprovero e un conforto nello stesso tempo. Mi richiamava illuminandomi e consolandomi: il buio che avevo dentro si dissolse alla luce della missione eroica di madre; lo sconforto si trasformò in gioia nell’intravedere l’aureola del martirio sul mio compimento dei doveri materni. Non c’è bisogno di dire che il Signore e la Madonna mi hanno sempre sostenuto in questo martirio quotidiano, tanto più quando i figli diventarono tredici. Questo aiuto mi divenne così naturale che non ci facevo più caso, e facevo tutto da me. Una volta il Padre mi richiamò anche su questo: “Figlia mia, non credere alle tue forze, perché è tutto l’aiuto di Dio che ti sostiene, altrimenti non ce la faresti per nulla a portare avanti la famiglia con i tuoi dieci figli”. Allora erano dieci. “Padre, io prego tanto poco, perché mi tocca affannarmi di tante cose. So che dovrei pregare molto, ma come devo fare?”… La risposta di Padre Pio mi venne svelta e sorprendente: “Figlia mia, dalla mattina alla sera stai sempre a pregare i tuoi dieci figli di comportarsi bene, di fare questo e di non fare quello…: non è preghiera quella? Come fai a dire che non preghi?”. Così conclude la signora: “Sì, solo il Signore è la nostra forza. Ce lo ha detto lui stesso”: “Senza di me non potete fare nulla”.


Ecco ancora la stessa madre, che prosegue nella sua testimonianza:


La Provvidenza divina e la povertà erano carissime a Padre Pio. Non le separava mai e cercava di farle amare sempre insieme. La Provvidenza fa chinare Dio verso le creature. La povertà fa elevare i cuori delle creature a Dio. La Provvidenza assicura il pane quotidiano, la salute necessaria, il lavoro indispensabile per la vita. La povertà assicura il distacco da questo esilio, la speranza nella patria dei cieli, il guadagno dei beni celesti, come disse Gesù. Queste riflessioni mi sono venute spontanee ripensando a una lontana confessione con Padre Pio. Si era allora nei tempi più tristi dell’ultima guerra mondiale. La scarsità dei mezzi di sostentamento pesava dolorosamente su tutti. Nella nostra famiglia si era ridotti persino a dormire su tavole, coperti alla meglio, senza molte delle cose ritenute necessarie. In quella confessione, me ne lamentai col Padre, esprimendo la mia grande pena nel vedere, soprattutto i bambini, dormire a quel modo, senza poter provvedere in nessun modo. Ricordo che Padre Pio prima mi ascoltò attentamente, poi mi chiese deciso: “Ma i tuoi bambini stanno tutti bene, sì o no?”. “Sì, Padre stanno veramente tutti bene”. “E allora? Ci sono di quelli che tengono i loro figli nell’ovatta, con tutte le comodità, e ne hanno sempre una addosso; i tuoi bambini, invece, non hanno dove dormire, ma stanno sempre bene: che vuoi di più?”… Conclude la signora: “Giusto. Povertà e Provvidenza, ossia ricchezza di grazia e di salute. Che cosa volere di più?”.


In altra circostanza la signora chiede al Padre come comportarsi per far pregare i figli: “Padre, come debbo fare, mi accorgo che pregano male, si distraggono con facilità; c’è chi scappa da una parte, chi fugge dall’altra; i più grandi tendono a sfuggire alla preghiera; chi pensa a scherzare. Padre come fare, che fare?”. “Tienili stretti! Tienili stretti!”. La signora Lucia conclude e commenta: “La natura dei figli segue la sua china comoda degli istinti ciechi e i ragazzi ne sono vittime inesperte, se non vengono tenuti a freno con la disciplina. Responsabili siamo noi genitori a cui tocca questo vigile sforzo di “tenerli stretti”. Compito duro, è vero, ma doveroso quanto mai, poiché si tratta della salute primaria dei nostri figli”.


La catechesi di Padre Pio a mille mamme era quella della sacra famiglia di Nazaret e quella del testo di Matteo, per cui quando si fa la volontà del Padre celeste nella famiglia, ogni donna diventa sorella e madre di Cristo come Maria e quindi ricca dell’arte dell’educazione dei figli. Era il cammino della perfezione a cui egli indirizzava.


Non era uscito Padre Pio da genitori che avevano onorato i loro doveri verso i figli?


La pedagogia attuale nella formazione dei figli, molto legata alla cultura corrente, frutto di una psicologia senza Dio, è ben lontana dalla scuola di Padre Pio. A tal proposito vale la pena di ricordare un lamento profetico di Padre Pio che risale agli anni trenta:



“Avremo una generazione di mamme che non sapranno educare i loro figli”.


Ancora, nei primi anni sessanta ripeteva:



“I nostri figli non avranno lagrime per piangere gli errori dei genitori… Non vorrei trovarmi nei panni dei vostri figli e dei vostri nipoti”.


Quali situazioni familiari vedeva il suo sguardo che si spingeva lontano? Vedeva la situazione della famiglia odierna, di questa nostra civiltà del peccato, vera e propria anticiviltà.


Un giovane coniuge padovano, da pochi giorni divenuto padre, si reca a San Giovanni Rotondo. Non era la prima volta. Subito al mattino, durante la messa, col pensiero gli raccomanda la sua creatura. Poi durante la giornata, mentre il Padre passa tra la folla, ripete mentalmente la sua raccomandazione. Finalmente il giorno dopo si confessa e poi gli dice: “Padre, sono papà da pochi giorni. Sono felice, vi raccomando mio figlio, lo affido a voi, Padre”. Padre Pio risponde: “Figlio mio, è la terza volta che me lo dici. Preoccupati tu, piuttosto, di vivere da buon cristiano!”.


Padre Pio orientava i genitori alla missione essenziale della famiglia, quella di trasmettere la vita, di allevare i figli come figli di Dio e di condurli in Paradiso. Questa missione esige dai genitori una vita veramente cristiana. Il peccato personale nei coniugi è il primo nemico della formazione ed educazione dei figli.


Doveri verso i genitori


Il quarto comandamento si estende nei due versanti, genitori e figli, chiamati ad amarsi e onorarsi.


Ecco un esempio di figli che onorano genitori veramente cristiani: “Noi 13 viventi…”: così inizia la Prefazione a un opuscolo dal titolo Questa è la mia famiglia. Sono pagine di omaggio di figli e nipoti in occasione delle nozze d’oro dei genitori. È la testimonianza di una famiglia germinata dalla santità del Padre: sbocciata, coltivata, fiorita, ramificata, assistita da lui, il Padre, e da genitori che hanno santificato il sacramento come liturgia dell’altare e della vita quotidiana. Quella Prefazione continua:


Papà e Mamma. Cinquant’anni di matrimonio. Ventun figli, di cui tredici viventi. Questa è la famiglia Manelli, nata e cresciuta attorno a Padre Pio da Pietrelcina, lo stigmatizzato del Gargano. «Questa è la mia famiglia», disse Padre Pio a mamma, sposa novella al suo primo incontro col santo cappuccino. “Supererete i venti figli”, profetizzò P. Pio a papà, che fu uno dei suoi primi figli spirituali (1924). 15 luglio 1926-1976: siamo alla nozze d’oro. Dopo cinquant’anni di matrimonio, la famiglia si ritrova moltiplicata e arricchita: papà e mamma, tredici figli viventi, un figlio sacerdote francescano, sette figli laureati, undici sposati, circa quaranta nipoti, fino a ora. Quanta festa della vita!


Relativamente ai doveri dei genitori verso i figli un particolare interessante riguarda l’ammissione dei bambini alla prima comunione. Da tener presente che attualmente le situazioni pastorali hanno portato a elevare l’età dei bimbi per la prima comunione.


Comunque va detto che Padre Pio ci teneva che i bimbi ricevessero presto la Comunione, appena avessero imparato a distinguere il pane della tavola da quello eucaristico. Diceva:



«Facciamo entrare Gesù prima del peccato».


Era per la comunione in tenera età, anche a cinque, sei anni. Sono una meraviglia le foto di Padre Pio che dà la prima comunione ai fanciulli. L’ultima di queste foto risale all’ultima messa. E com’erano incisive le parole di augurio che rivolgeva loro a fine messa, in sacrestia. Eccone un’espressione:



«La purezza e la grazia della prima Comunione possa tu conservarle fino alla fine della vita!».


Però non transigeva sulla preparazione del fanciullo. È capitato che Padre Pio prima della prima comunione amministrasse anche la prima confessione. Era fermo anche con i fanciulli.


Un signore di Roma testimonia che, quand’era bambino, Padre Pio non solo gli rifiutò l’assoluzione, ma anche rinviò la sua prima comunione, già programmata. Il motivo?Perché non recitava le preghiere al mattino. “Da allora, ogni mattina e ogni sera, accanto al mio letto in ginocchio, le dico ogni giorno”. A volte Padre Pio usava la terapia preventiva.




Il Sesto Comandamento: Non commettere atti impuri


I peccati della carne sono quelli che impediscono all’intelletto di conoscere Dio, e conseguentemente di amarlo e di seguirlo; ingigantiscono le altre passioni, come l’orgoglio, e accentuano l’egoismo; creano divisioni in ogni genere di rapporti; soffocano il cuore; animalizzano e portano a ogni tipo di violenza; diventano idolo della vita; hanno un ventaglio molto variegato di pensieri, parole, atti. Sono la categoria più ricca di colpe.


Vorremmo restringere il tema ai problemi della famiglia, per rimanere nel concreto, anche se tale comandamento meriterebbe una trattazione specifica poiché Padre Pio ha dimostrato, da vero profeta, di conoscere a fondo malattie e terapie dei peccati della carne e della vita coniugale, di cui egli è stato quotidianamente modello di restauro e di santificazione.


Il nostro secolo è il secolo dell’edonismo imperante. Nel cuore dell’uomo manca la luce della speranza, il calore del sentimento, la gioia del donarsi. L’amore inteso come dono e come serena accettazione dell’altro ha ceduto il posto all’edonismo spinto all’esasperazione e, nell’accezione corrente, è divenuto sinonimo di piacere carnale.


C’è da chiedersi se l’attività pastorale riuscirà a incidere positivamente nel cuore e nella mente dell’uomo e della donna di questa generazione insoddisfatta e infelice. La famiglia cristiana di oggi è, in linea di massima, ferma al secondo figlio. Ci si chiede se esiste ancora la cultura della famiglia numerosa.


I giovani sanno che esiste un preciso comandamento di non commettere atti impuri? La catechesi e la predicazione domenicale affrontano queste problematiche? In che modo?


a84285_50a8f2c90531760acd599be3310451f3.png_srz_435_335_85_22_0.50_1.20_0.00Padre Pio è stato un grande, un vero maestro in questo campo. Egli riusciva a vincere, mediando fermezza e dolcezza, ogni resistenza; sapeva essere incisivo, illuminante, trainante e i suoi penitenti lo seguivano fino all’eroismo.


Carismi particolari a parte, il metodo di Padre Pio può essere a portata di ogni sacerdote. Ci si deve rifare al concetto fondamentale per la famiglia: l’uomo e la donna una carne sola, realizzata nel comandamento del “crescete e moltiplicatevi”.


La vita di Padre Pio è trascorsa nell’impegno di redimere la famiglia degradata, nel conferirle dignità, nello sforzo costante di rinnovare le famiglie prive di valori autentici. Padre Pio riportava il matrimonio alle radici, rinnovava la potenza divina del sacramento, dava senso cristiano alla vita dei coniugi. Il suo stile nel confessionale si rivelava drammatico e sconvolgente, ma anche dolce, amabile e incoraggiante, a seconda delle varie situazioni di chi gli stava innanzi.


In sintesi, la sua pastorale si imperniava sulle componenti essenziali del matrimonio: unità, fecondità, santità.


Giovanni Paolo II, dagli inizi del suo pontificato, si è particolarmente impegnato per ridare dignità alla famiglia e per educare i giovani di oggi al riconoscimento dei valori autentici del matrimonio.


Padre Pio gridava forte contro i peccati del sesto e nono comandamento. Il professor L., che ha speso la vita accanto a Padre Pio e ne seguiva gli insegnamenti, riporta alcune sue espressioni:



I peccati contro il matrimonio sono quelli che Dio perdona più difficilmente. Sai perché? Perché il Signore avrebbe potuto creare continuamente uomini e donne, come aveva fatto con Adamo ed Eva. Si è spogliato di questa prerogativa dando mandato all’uomo e alla donna di crescere e moltiplicarsi. Ma come aveva fatto Lucifero, così l’uomo e la donna gli gridano il loro non serviam, non vogliamo servirti, e impediscono così il progetto di Dio sulla creazione delle anime.


In concreto, l’istituto della famiglia esprime la forza creativa di Dio: Dio crea e trasmette vita attraverso i coniugi, ma resta sempre lui il protagonista, mediante il sacramento vissuto nell’ottica cristiana.


La famiglia secondo Padre Pio


Sul matrimonio Padre Pio ha sempre applicato l’insegnamento dei Sommi Pontefici: da Pio XI a Pio XII, da Paolo VI a Giovanni Paolo II. Padre Pio è sempre stato sulla linea morale codificata da Paolo VI nell’Humanae vitae e successivamente convalidata da Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio e, recentemente, nel Catechismo della Chiesa Cattolica e nell’enciclica Veritatis splendor ed Evangelium Vitae.


È nota la sua lettera personale (12 settembre 1968) inviata a Paolo VI per compiacersi dell’enciclica Humanae vitae, per sostenerlo, quasi volesse apporvi il suo suggello.


Spesso, in confessionale, citava ai coniugi encicliche e discorsi di Pio XII, al quale si sentiva particolarmente legato.


[…] A proposito della regolazione delle nascite col metodo naturale – riferisce sempre il nostro professore L. – così si è espresso Padre Pio:



«La continenza periodica è accettabile, come mezzo della regolazione delle nascite, purché oltre all’accordo tra marito e moglie, esista una ragione seria, un motivo concreto di difficoltà. Se è vero che non sunt facienda mala ut veniant bona, non si possono fare cose cattive anche se lo scopo è buono, così non si può neppure usare un metodo consentito per fini esclusivi di comodo e di egoismo».


Padre Pio vedeva il matrimonio come sacramento per la santificazione dei coniugi. La sua formula era questa:



«Quando ti sei sposato Dio ha deciso quanti figli ti deve dare».


La “sua famiglia” era quella numerosa, quella benedetta nella Bibbia. Rifiutare, a ragion veduta, di collaborare con Dio, non è cristiano.


I coniugi che si sono affidati alla guida del suo confessionale hanno vissuto il sacramento con fede e soddisfazione. Padre Pio ha donato alla Chiesa una lunga serie di famiglie numerose, proprio quando la famiglia andava incontro alla sua peggiore crisi, con la denatalità e poi con le separazioni, il libero amore, la convivenza, i matrimoni civili e il divorzio che egli considerava «la creazione di Dio distrutta».


Infatti Dio crea la vita attraverso i coniugi, che, separandosi, distruggono il progetto creativo stabilito per loro:



«Il divorzio è la strada dritta per l’inferno».


Testimonianze


La pastorale di Padre Pio sulla vita familiare trova una vasta gamma di testimonianze che spesso sono state offerte per la pubblicazione o per l’archiviazione al Centro delle Opere di Padre Pio o del convento dei padri cappuccini. Scrive un signore di Roma:


In quel tempo (1927) la casa mia era un inferno. Avevo perduto una bambina, mia moglie era  sottocura col pneumatorace con esito incerto. A mezzo di Francesco Morcaldi, sindaco di San Giovanni Rotondo, incontrai Padre Pio e gli dissi: “Sono venuto da lei perché ho mia moglie in queste condizioni: non si sa se guarirà. Non posso più avere figli: i medici me l’hanno assolutamente proibito”. Egli mi fa un bel sorriso e mi dice: «Figlio mio, con l’aiuto di Dio tutto si ottiene». Mi diede una coroncina e mi congedò. Strada facendo verso il paese feci un proposito: “Non bestemmierò” più. Mia moglie quasi subito rimase incinta e l’11 maggio del 1928 nacque un figlio. Della sua malattia non se parlò più: “Con l’aiuto di Dio tutto si ottiene”.


Un’altra testimonianza riguarda gli anni cinquanta, quando avanzavano i discorsi su “pillola e regolazione delle nascite”. Maria Ravagnani Malaguti racconta:


Sposata, mi ritenevo ben preparata in coscienza sui doveri del matrimonio cristiano. Nel ’51 la prima bambina, con parto difficile, ma superato bene. Nel ’53 la seconda con blocco renale, e complicazioni per cui il medico prescrive: “Niente figli, perché un terzo figlio può costare la vita”. Si viene col marito a San Giovanni Rotondo da Padre Pio, che mentre mi passa accanto mi pone la mano sulla testa. “Padre – gli dico – Padre, ho due bambine, i medici mi dicono che se ne avrò un terzo morirò. Io non voglio peccare, ma non voglio morire”. Padre Pio risponde: «Prendete tutti quelli che il Signore vi manda».


Il racconto termina con la notizia che i figli diventarono cinque.


Nel 1947 a Emanuele Bufradeci, sessantenne, che confessa di avere volontariamente evitato altri figli, dopo il terzo, Padre Pio dice: «Se tuo padre avesse fatto come te, tu non saresti al mondo, perché tu sei il decimo dei figli». Lo vedeva per la prima volta.


Il signor Carlo Z. aveva incontrato Padre Pio fin da giovane. Innamoratosi poi di una ragazza, in confessione così si confida col Padre: “Padre, ho una ragazza… ma non va troppo in chiesa”. Risposta: “Lasciala!”. “Padre, io le voglio bene”. “Lasciala! Per il tuo bene”. “Ma Padre, lei lo sa cosa vuol dire voler bene a una persona?”. “Figliolo, amor con amor si paga. Non è male volersi bene, anzi è Gesù che ce lo insegna. Trovatene una santa che ce ne sta ancora”. “Se me la mandate voi, Padre”. Va a casa e decide ad ascoltare Padre Pio. Dopo un po’ di tempo viene a conoscere una ragazza veramente praticante. Dopo qualche anno, Padre Pio accetta di sposare Carlo Z. con questa ragazza e celebra il sacramento.


Tutti conosciamo la formula del rito. Il celebrante domanda dapprima allo sposo se è contento di ricevere in matrimonio lei, poi ripete la domanda alla sposa. Qui il caso diventa singolare. Il Padre fa la domanda di rito e lei risponde “Sì”. Il Padre allora la ferma e le dice: “Devi rispondere: sì, lo voglio”. E di nuovo ripete la domanda; lei, emozionata, risponde ancora: “Sì”. E il Padre ancora le ripete che deve dire: “Sì, lo voglio”. Finalmente, alla terza volta, Licia risponde: “Sì, lo voglio”. Ebbene, la famiglia, così benedetta, conta ben 14 figli, tutti vivi, sani e gloria di Carlo e Licia. E che dire, se si aggiunge che dopo il primo figlio i medici avevano diagnosticato a Licia, donna fragile e sottile, che doveva evitare ulteriori maternità? Chi può contare quanti sono i battezzati col nome di Pio proprio perché a lui devono la vita?


Padre Pio accettava con gioia di celebrare le nozze dei suoi figli spirituali. Aveva per le coppie che lo accostavano per la benedizione parole significative per il futuro della loro famiglia. Ecco un esempio:



«Il Signore vi benedica, e vi renda meno pesante il giogo della famiglia. Siate sempre buoni. Ricordate che il matrimonio comporta doveri difficili, che solo la divina grazia può aiutare a rendere facili. Meritate sempre questa grazia, e il Signore vi conservi fino alla quarta generazione».


Padre Pio incitava sempre all’esatta osservanza della legge divina. Era fermo con rigore contro gli sposi che, nel peccato, venivano meno agli obblighi coniugali, all’unità, alla fedeltà e al compito della procreazione.


Il Padre inoltre esigeva l’applicazione della stessa dottrina da lui insegnata da parte dei sacerdoti. Scrive don Domenico Labellarte, barese, uno dei sacerdoti più intimi di Padre Pio, fin dagli anni del seminario:


Eravamo nel 1947, un giorno mi chiamò in disparte, sulla terrazzina adiacente alla sua cella n. 1 e mi lesse un passo del secondo notturno dell’ufficio delle letture nell’ottava del Corpus Domini, tratta da un commento di san Giovanni Crisostomo. Ecco il passo:Sanguis Eius exquiretur ex manibus eorum. E proseguì: «Hai capito, figlio mio? Il Sangue di Gesù sarà richiesto dalle mani di noi sacerdoti se avremo dato l’assoluzione a chi non dovrebbe riceverla, in particolare a chi impedisce la prole. Attento, figlio mio!».


Egli non solo educava alla legge divina ma elevava all’ascesi matrimoniale, alla spiritualità della vita coniugale, orientava alla sacramentalità che porta alla santità comune, all’abbandono fiducioso al disegno di Dio, al comportamento fedele nei doveri della famiglia: doveri tra i coniugi, verso i figli e la società. Inculcava che la vocazione coniugale si realizza solo se la famiglia diventa una piccola Chiesa.


Padre Pio assumeva nella sua vita mistica i coniugi che si affidavano a lui con la loro relativa
famiglia. Egli intercedeva e avvenivano svolte prodigiose, guarigioni autentiche, cambiamenti dei quadri clinici nel concepimento dei figli, nel periodo di gravidanza, nel parto. Diventava evidente la guida effettiva di Dio nei singoli momenti delle vicende familiari, quando gli sposi si abbandonavano, da ministri fedeli, al piano programmato da Dio nel sacramento.

newsletter29Nella crescita della famiglia, Padre Pio metteva in evidenza che tutto è regolato dalla Provvidenza divina nelle vicissitudini umane, inoltre che Dio è protagonista sia della salute che dell’avvenire dei figli. Infatti i figli appartengono a lui. Pensare a educare bene i figli è liturgia del sacramento vissuto. L’ansia dei genitori per i figli, per il loro vero bene, diventa per loro martirio santificante.

Ci si può chiedere qual era il metodo pratico di Padre Pio per innalzare il livello della famiglia a tale altezza di vita morale e santificante. Gli strumenti erano due: fede forte e preghiera con i sacramenti. Dapprima coltivava nei coniugi la preghiera, il rosario e la sensibilità all’eucaristia, pressoché quotidiana, e contemporaneamente li guidava all’abbandono alla Provvidenza e alla volontà di Dio. È così che ancor oggi vengono formate le famiglie che seguono la spiritualità di Padre Pio, famiglie controcorrente, ma serene, con figli sani moralmente e non mancano le vocazioni.

Fidanzati

Padre Pio, come curava gli sposi e li aiutava a risolvere i loro problemi, così si comportava con i fidanzati. Faceva propri i loro problemi.

Un giovane, nativo di Rovigo, di circa 25 anni, orfano di padre e con la madre miracolata da Padre Pio, decide di sposarsi, ne parla con la madre che lo consiglia di avvicinare prima Padre Pio e di consigliarsi sulla ragazza. Scese allora da Padre Pio, si confessò, presentò la foto della ragazza e si sentì dire: “Questa non fa per te”. Risposta amara da digerire. Con fatica la lascia e successivamente parla a sua madre di una seconda ragazza, “conosciuta in chiesa”, iscritta all’associazione cattolica. La madre ancora lo convince a ritornare da Padre Pio. Dapprima resiste ma poi va e Padre Pio ripete la prima sentenza. Il giovane è sconvolto: “Allora, Padre, se mi devo fare frate, me lo dica subito”. “No, la tua famiglia te la formerai”.

Come proseguirono le sue vicende? La prima fidanzata, due anni dopo, morì. La seconda si sposò, ma poi disfece la sua famiglia. Lui, con una terza ragazza, formò la propria famiglia allietata da soddisfazioni, lavoro e dalla nascita di diversi figli.

Talvolta il Padre, ai fidanzati, svelava ciò che il suo occhio spirituale vedeva in Dio, oppure si limitava a dare indicazioni. Cercava sempre di coscientizzarli sulla vocazione alla famiglia, mentre oggi solitamente si punta di più all’amore umano. Regola d’oro era che l’uno e l’altra dovevano essere:

  • di vita cristiana, credenti e praticanti;
  • che lui avesse lavoro garantito e che lei fosse amante della casa;
  • che godessero buona salute;
  • che si volessero veramente bene scambievolmente.

Padre Pio aiutava, guidava, guariva, incanalava verso il bene, senza mai stancarsi, infondendo fiducia, pur difendendo e presentando la legge divina in tutta la sua ampiezza. Non può essere dimenticato, infine, che proprio per la sua fedeltà alla difesa della legge di Dio contro i corrotti e i corruttori, Padre Pio subì quella che, dagli storici, viene definita la prima persecuzione (1922-1933). Egli mai permetteva al penitente di venire a compromesso con ciò che è intrinsecamente perverso.

Il Nono Comandamento: Non desiderare la donna d’altri

L’adulterio del pensiero

Se la vita cristiana non viene protetta nel pensiero, se non la si difende a livello intellettuale si scompone e si spegne. Il peccato trova la sua radice sempre nell’intelligenza della persona. L’individuo pecca sempre perché è un essere pensante. Gesù insegna: «Chi guarda una donna e la desidera, in cuor suo commette adulterio» (Mt 5, 28). Da qui trae origine la rottura dell’unità coniugale, che poi scende nel cuore e nel corpo, e travolge nella spirale delle colpe della carne e del sesso. A questo proposito si veda quanto afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica (nn. 1853, 2520).

Al penitente che confessava pensieri contro il nono comandamento chiedeva: “Li hai scacciati, li hai assecondati?”. E quando la risposta era negativa e c’era la recidività, la trascuratezza nell’uso dei mezzi, Padre Pio era inesorabile: rimandava. Giustificava il suo comportamento con queste parole di fronte a chi tentava una difesa:

«L’inferno è nato da un solo peccato di pensiero».

Per Padre Pio la televisione era “il diavolo in casa”. Come pure era severo contro la moda indecente. Da profeta vedeva lontano; per questo ha lottato, con metodi duri, contro la moda, che proprio negli anni sessanta ha iniziato il processo spudorato che oggi ha distrutto ogni etica. A una donna, che si confessava con un vestito a maniche appena sotto il gomito, disse: «Vedi, io ti segherei il braccio, soffriresti meno di quanto ne soffrirai in purgatorio».

Padre Pio non aveva paura della chiesa vuota.

Ai primi anni sessanta, durante la sua campagna contro la moda indecente che avanzava, tra l’indifferenza generale, con un anno di anticipo rispetto alla comparsa della minigonna, Padre Pio aveva cominciato a esigere dalle donne la gonna lunga, al polpaccio. Metodo che applicava pure alle ragazzine. Comportamento che sembrava strano, ma un anno dopo venne la spiegazione: era arrivata la minigonna.

In quel tempo, accadeva, talvolta, che prima di entrare in chiesa la penitente abbassasse la gonna. Ma per il Padre non vi era spazio per il fariseismo, per cui la poveretta si sentiva dire che la chiesa non era un teatro, oppure: «Vattene, pagliaccio».

Nel 1964 il Guardiano gli fece incontrare nella sala di san Francesco una principessa di una famiglia reale spodestata che risiedeva in Grecia. Ovviamente si era presentata con gonne lunghe, ma Padre Pio trovò modo di evitare l’incontro. Al Guardiano che se ne lamentava, rispose che solo per quell’occasione la principessa portava la gonna lunga.

Il suo comportamento suscitava lamenti non solo nelle penitenti che poi finivano per capire, ma anche negli altri. Un giorno il padre cappuccino P. M., che lo accompagnava, dice a Padre Pio: «Ma, Padre, se continuate così, voi svuotate la chiesa». Risposta:

«Meglio una chiesa vuota che profanata».

E altra volta:

«Meglio la chiesa vuota che piena di diavoli».

Non è forse la regola tracciata da Gesù stesso, quando ha cacciato i profanatori dal tempio di Gerusalemme? Padre Pio ha dato prova che alla fine è l’autenticità della morale a vincere.


 


Caterina63
00domenica 13 marzo 2016 18:18

Il paesino di Siroki Brijeg dovrebbe essere il centro del mondo

sirokibrijegConoscete la città di Siroki Brijeg in Bosnia ed Erzegovina? Si trova a 40 minuti da Medjugorje, ma non è questa la sua caratteristica principale.

La piccola città, dal nome impronunciabile, vanta uno straordinario primato in tutta l’Europa: non è mai stato registrato un solo divorzio a memoria d’uomo tra i suoi 20mila parrocchiani (su 30mila abitanti), nessuna famiglia si è mai divisa.

Il segreto è un forte cattolicesimo popolare unito alla serietà con cui si vive la tradizione croata -che coinvolge moltissimi paesi bosniaci- verso il matrimonio (dove la difesa della famiglia, come unione tra uomo e donna, è stata scritta nella Costituzione per volontà popolare). C’è anche una grande storia didolore alle spalle della gente di Siroki Brijeg, la cui fede è stata a lungo tempo minacciata dai musulmani turchi, prima, e dal comunismo poi. Il 7 febbraio 1945 divenne la sede della terribile strage di 66 frati francescani, ad opera di partigiani comunisti durante la Seconda Guerra Mondiale. L’essere costretti a richiamare i motivi della propria fede porta sempre ad una saggezza ed una certezza personale che permette anche di non essere “ingannati” dalla menzogna del progresso.

Le fonti che parlano di questa cittadina spiegano che il matrimonio viene vissuto come indissolubilmente unito alla croce di Cristo ed infatti, secondo la tradizione croata, alla coppia che si prepara al matrimonio non viene insegnato a guardare al partner come alla persona perfetta, come colui/colei che compie il destino dell’altro, in senso platonico. No! Il sacerdote dice loro: «Hai trovato la tua croce! Una croce da amare, da portare con te per sempre».
La croce, nel cristianesimo, è la condizione per la salvezza personale, così il marito non ha la capacità di compiere la moglie, o viceversa, ma entrambi sono la condizione reciproca che permette la realizzazione della propria vocazione. Se uno abbandona l’altro, abbandona Cristo. Tradisce il compito da Lui affidatogli. Questa è la visione cristiana del matrimonio, che viene ancora autenticamente vissuta e insegnata a Siroki Brijeg.

Per la semplice gente di quel sperduto paesino bosniaco non esistono avvocati, psicologi di coppia, maghi o astrologi. Se c’è un problema, tra i due sposi c’è solo la preghiera comune, in ginocchio entrambi davanti al crocifisso si trova la forza di perdonarsi, di superare l’orgoglio, di piangere, di gridare le proprie sofferenze e di tornare ad abbracciarsi. Di sentirsi perdonati da un Altro per la propria piccolezza. Per farlo seriamente serve, chiaramente, la viva coscienza di Chi è che tiene assieme nel sacramento i due sposi. Perché la vera unità è impossibile all’uomo.

Gli abitanti di Siroki Brijeg educano così, da decenni, i loro figli, a loro danno questa testimonianza di amore. Il mistero di Dio è anche questo, la scelta dei piccoli come testimoni ai grandi. Il figlio di un umile falegname di Nazareth sconvolge la storia divenendo la via, la verità e la vita. I poveri e ignoranti pastorelli di Lourdes e Fatima diventano strumento per la conversione di milioni di persone, sapienti ed intellettuali. Allo stesso modo, un piccolo e sconosciuto paesino europeo diviene silenzioso testimone dell’amore indissolubile, realtà ormai sconosciuta alle grandi città occidentali, i cui abitanti sono sempre più lontani gli uni agli altri. Schiacciati dalle macerie e da quel che rimane dei loro progetti matrimoniali.

La redazione
(articolo inserito nell’archivio dedicato al tema della famiglia)





I rapporti coniugali fanno meritare agli sposi una ricompensa eterna

 
Nel libro "L'uomo nel matrimonio" (Edizioni Paoline, 1957), Pierre Dufoyer mette in risalto il fatto che i rapporti coniugali non solo sono leciti (se compiuti nel rispetto della Legge naturale che Dio ha scolpito nei nostri cuori) ma sono anche opere buone che fanno ottenere meriti per il paradiso (ovviamente, per ottenere una ricompensa eterna, le opere buone, oltre che con retta intenzione, vanno compiute in stato di grazia, mentre se si è in peccato mortale fanno meritare ricompense materiali o anche le grazie necessarie alla conversione). 
 
 
 
L'unione dei corpi deve derivare dalla pienezza dell'amore. (Thibon)
 
(...) I Manichei, e in modo meno esagerato ma ugualmente eccessivo i Giansenisti, hanno colpito con l'anatema la vita sessuale. Secondo il modo di vedere di queste sette, l'attività sessuale è intrinsecamente malvagia e sorgente di ogni male. Tutto quello che è carnale, il corpo e le sue attività, il matrimonio e l'esercizio dei suoi diritti, sono ritenuti come un qualche cosa di demoniaco e di detestabile. Ai nostri giorni viene propugnato un modo di vedere diametralmente opposto: tutto quello che appartiene al nostro istinto è buono e, perciò, gli si deve lasciare libero corso. (...) Si sostiene che il piacere è fine a se stesso; che è lecito cercarlo per se stesso ed impedire, con tutti gli astuti raggiri, che il rapporto coniugale abbia le sue conseguenze normali, cioè la fecondità, che sarebbero non solo permessi, ma anche perfettamente autorizzate la libera convivenza dei due sessi, l'adulterio, l'uso di mezzi antifecondativi, l'aborto procurato, il divorzio.
Questa esaltazione della voluttà, la giustificazione di tutte le sue pratiche, di tutti i suoi misfatti e di tutte le sue aberrazioni, costituiscono il tema prediletto di un largo settore della letteratura, teatro e cinematografia moderni. Ben diversa è la posizione assunta dalla concezione cristiana di fronte a questo problema; essa si rifiuta egualmente sia di disprezzare la attività sessuale come di sopravvalutarla. L'universo intero è creazione di Dio; pure opera sua sono la distinzione degli uomini in maschi e femmine e l'attività sessuale, per cui sono possibili il piacere e la gioia. Le condizioni richieste, tra le quali primeggia l'unione dei corpi, sono, in misura eguale, opera del Suo Intelletto e del Suo Volere. 
Cristo ha elevato il matrimonio a sacramento e del rapporto sessuale genuino ha fatto uno strumento per comunicare la grazia; perciò è un'opera meritoria a cui è riservata una ricompensa eterna.
 
(...) L'unione dei corpi è lecita soltanto nel matrimonio. L'unione secondo la carne significa un dono totale di sé, che deve essere protetto da ogni profanazione. Nello stesso tempo però deve essere assicurato alla moglie e ai figli anche un appoggio stabile, che permetta loro di affrontare la vita. Questo appoggio, la moglie lo trova nel marito, il quale si occupa di lei e l'aiuta a portare, vita naturale durante, i pesi, cioè le preoccupazioni economiche ed educative che sono connesse con la maternità; i figli invece l'hanno nel padre, il quale coadiuva e completa l'opera della educazione materna. Poiché l'atto generativo nel matrimonio ha un'importanza decisiva per la donna, per i figli e per la società, Dio vuole che sia effettuato nell'ambiente più favorevole possibile. Solo in questo modo si provvede alla sicurezza di tutti gli interessati.
 
(...)
 
Tentiamo di capire ora tutta la portata e di scoprire il vero significato che Dio ha dato al dono coniugale. In esso l'uomo si concede con tutto il suo essere, e per sempre, ad un altro essere amato. Se l'atto coniugale è visto solo dal lato fisico, le espressioni che ne esaltano la nobiltà e la bellezza, non hanno alcun valore. Esse sono valide solo quando si intende questo dono, innanzi tutto, come un atteggiamento spirituale. È nel dono più estremo e più intimo che è riposto quell'elemento che differenzia l'amore dall'amicizia. È nell'unione sessuale che la fusione di due persone umane raggiunge il suo punto culminante. L'amore coniugale esige per la sua stessa natura, nella misura consentita dal dono generoso, che non venga esclusa nessuna intimità e che non si rinunci a nessun mezzo espressivo, capace di manifestarlo esternamente. Perciò mira di continuo alla totalità dell'unione.
Alla triplice unione di cuore, anima e spirito, che sono le basi su cui si regge ogni amore autentico, l'amore coniugale vuole che sia aggiunta ancora un'ultima unione, quella dei corpi. L'unione sessuale, realizzata secondo questi principi, viene spiritualizzata e nobilitata, conducendo così ad un atteggiamento straordinariamente bello e nobile del cuore e dell'anima, che ha riflessi sul corpo. Nelle relazioni coniugali si riscontrano questi potenti fattori che possono creare rapidamente l'armonia tra gli sposi e ristabilire i rapporti quando fossero turbati.
L'esperienza attesta che gli urti tra marito e moglie, nella vita quotidiana, sono inevitabili e, perciò, non costituiscono nulla di straordinario. Le cause di tali urti possono essere enumerate a migliaia: diversità di carattere, di concezioni, di gusti personali, inoltre suscettibilità e nervosismo, dovuti a stanchezza e a dispiaceri.
Ma quando sopraggiunge il dono reciproco in un clima di gioia e di amore, quale suggello ardente dell'affetto profondo ed intenso tra uomo e donna, in quel momento si verifica un cambiamento; i germi nocivi della discordia svaniscono, l'astio segreto si dissolve in un nulla, la distensione placa i nervi e l'irritazione si acquieta. Se nell'amplesso degli sposi è messa fortemente e magnificamente in evidenza l'omogeneità dei due coniugi, come appaiono piccoli e meschini tutti i conflitti quotidiani! Per garantire il matrimonio e assicurare il buon accordo non vi è mezzo più efficace che quell'unione in cui l'uomo e la donna si donano l'uno all'altra senza riserve.
Il rapporto intimo dei due sessi serve anche a mostrare, in modo misterioso, il posto che nel matrimonio spetta al marito. In una famiglia sana e ben impostata l'uomo agisce come capo, forte ed energico. Questa naturale superiorità appare già nei rapporti coniugali, nei quali lo sposo ha la parte principale, a lui spetta l'iniziativa, è lui che conduce la donna alla comune gioia dei sensi, anche quando è lei che per prima desidera il rapporto intimo. È nella tenerezza piena di riguardi del marito, che la moglie spera di trovare la chiave per scoprire la propria personalità; è attraverso lui che essa crede di arrivare a conoscere e a prendere coscienza di se stessa.
 
Nel dono reciproco dei corpi i coniugi raggiungono ancora un'ulteriore conoscenza, cioè la chiara coscienza della loro dipendenza reciproca. In una intuizione luminosa essi vedono come l'uno abbia bisogno dell'altro, ma, anche più, come il loro buon accordo, la loro armonia rappresentino le condizioni preliminari indispensabili per raggiungere la pienezza della loro gioia. Queste verità conservano il loro valore di attualità durante tutto il corso della vita coniugale. Ma è nel momento dell'unione che esse acquistano un pregio tutto particolare. Per poter raggiungere la pienezza della gioia umana, i coniugi devono mostrarsi entrambi pieni di premure.
Il marito disciplini se stesso, regoli l'impetuosità del suo sentimento e si preoccupi del piacere della moglie; questa però gioisca assieme al marito. Solo allora l'unione raggiungerà il suo pieno effetto, costituirà l'espressione più elevata possibile dei valori spirituali e sarà ricca di piacere e di amore. Nel momento del dono reciproco risplende più chiaramente che mai il vero volto dell'anima; si dischiudono insospettate profondità del cuore e appaiono qualità nascoste del carattere. In quel momento l'intensità dell'amore tra i due coniugi e la loro ricchezza interiore si rivelano in modo oltremodo chiaro. In queste ore si dimostra se esiste amore vero, come esso è costituito quando sia puro, sincero e vero nella sua essenza. Certamente durante la vita coniugale, si presentano molte altre occasioni di manifestare l'amore e di metterne in evidenza la vera natura.
Per lo più i motivi in questione si riscontrano al di fuori della sfera sessuale e si manifestano con azioni che rivelano un'abnegazione disinteressata. Però, ben difficilmente si presenta un'occasione più favorevole e più naturale, per manifestare il vero carattere dell'amore coniugale, che l'unione vera e propria dei corpi.








Caterina63
00mercoledì 7 dicembre 2016 15:26

  Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture per la XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B), 4 ottobre 2015.


Come di consueto l’autore offre anche una lettura patristica.***


LECTIO DIVINA


Rito Romano


Gen 2,18-24; Sal 127; Eb 2,9-11; Mc 10,2-16


Rito Ambrosiano


Is 45,20-24a; Sal 64; Ef 2,5c-13; Mt 20,1-16
VI Domenica dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore.

1) Il Vangelo dell’amore che dura.

I vari brani del Vangelo, che la liturgia ci sta proponendo in queste domeniche, ci mostrano Gesù in cammino verso Gerusalemme e verso la Croce. In questo contesto, l’Evangelista San Marco raggruppa gran parte degli insegnamenti di Gesù ai discepoli. A questi il Messia, dopo averli istruiti sul servizio, sull’accoglienza e sullo scandalo (cfr il Vangelo di domenica scorsa), dona il suo insegnamento sul matrimonio e sui piccoli.

Cosa insegna oggi Gesù sul matrimonio?

Oggi come circa duemila anni fa, Cristo ci dice che un matrimonio indissolubile non è una norma difficile da osservare, ma un “vangelo”, cioè la buona e lieta notizia che l’amore duraturo è possibile e che ha il suo nido nel cuore divino. Infatti, dicendo che “dall’inizio” c’era la stabilità della coppia, Gesù si riferisce al piano di Dio creatore, che sta all’origine di tutto. Non è solo il rinvio ad un passato, ma alla verità che permane nel tempo, perché è l’origine di ogni cosa, secondo la sapienza creatrice di Dio. E questa è già una buona notizia: esiste un piano amoroso di Dio sulla famiglia. Essa fa parte del disegno sapiente del Creatore, non è un prodotto storico delle contingenze. E’ in questo piano di Dio, dunque, che possiamo trovare la sua identità permanente.

Il nido della fedeltà è il cuore di Dio, che accoglie i cuori umani così che il loro amore non è più effimero (che dura un giorno solo), che come un sogno svanisce all’alba. L’amore umano duraturo tra uomo e donna è secondo il cuore e l’intelligenza di Dio.

Vediamo il perché, commentando brevemente il Vangelo di oggi.

Come tutte le altre volte in cui i farisei cercano di coinvolgerlo in un dibattito per metterlo in trappola, il Messia va oltre i termini angusti in cui gli uomini gli pongono un problema e va alla radice. Infatti a coloro che gli domandavano come interpretare la legge mosaica sul divorzio, Gesù non dice come debba essere interpretata di preciso la norma di Mosè a questo riguardo, ma ricorda qual è l’intenzione che all’inizio Dio ha avuto circa il matrimonio e la sua indissolubilità.

2) L’inizio.

Strettamente collegata al testo del Vangelo di oggi è la prima lettura tratta dal Libro della Genesi, dove si parla dell’inizio.

Che cos’è l’inizio? Letteralmente e prima di tutto è il racconto della creazione, che troviamo nel libro della Genesi, soprattutto il primo capitolo. Questo capitolo culmina nella creazione dell’uomo e della donna “a immagine e somiglianza” di Dio. L’immagine di Dio nella sua totalità non è nell’uomo solo o nella donna sola, ma in entrambi come comunione di persone. Per questo la prima lettura di questa domenica è presa dal libro della Genesi ed è strettamente legata al vangelo. Nel primo libro della Bibbia si parla appunto della creazione dell’uomo e della nascita della famiglia, basata sul matrimonio, che è un’istituzione naturale. La coppia, l’unione, la collaborazione entrano a pieno titolo nel progetto della creazione, tant’è vero che si parla di procreazione. Già all’inizio della Bibbia il concetto di coppia, relazione, di interdipendenza, di comunione, di fecondità, di dono della vita e di condivisione nel matrimonio è espresso in modo chiaro e significativo. Noi siamo fatti gli uni per gli altri. La solitudine, l’individualismo non trovano riscontro in una visione autenticamente cristiana. La comunione feconda e altruista (oblativa) prevale sulla concezione materialistica ed edonistica dell’amore e del matrimonio. Capire questo nel nostro mondo significa fare scelte di vita capaci di reggere agli urti devastanti del valore famiglia.

Per questo il riferimento all’inizio, alla creazione, indica che la comprensione del matrimonio non si basa su una teoria fisica o biologica, ma su una categoria personale, quella di vocazione1.

Il riferimento “all’inizio”, ci rimanda anche all’inizio del Vangelo di Giovanni: “In principio era il Verbo” (Gv 1, 1), che si riferisce a Cristo stesso, “per mezzo del quale tutto fu fatto”. Lui, il Figlio, è l’immagine perfetta del Padre, che si manifesta alle nozze di Cana anche come Sposo. Quindi, per trovare l’identità del matrimonio dobbiamo guardare non solo alla creazione, ma soprattutto al Figlio e al mistero della Ss.ma Trinità, mistero di amore e di relazione: la relazione del Padre infinitamente Amante col Figlio infinitamente Amato e lo Spirito Santo infinitamente Amore.

Infine il rimando “all’inizio” o allude anche al cuore dell’uomo, che è il principio degli atti umani, come ricorda il Signore Gesù stesso (Mc 7, 21-23). L’identità personale di ciascuno è scritta nel suo cuore, da dove provengono le parole e le azioni. Quindi manteniamo un cuore da bambini per accogliere Cristo ed essere in sintonia con il suo Cuore.

3) Si diventa chi si accoglie.

Nel Vangelo di questa domenica oltre all’invito all’accoglienza duratura, reciproca e fedele tra uomo e donna, Cristo parla anche dell’accoglienza dei bambini. A differenza dei suoi discepoli, Gesù accoglie i bambini. Con questo non soltanto si oppone alla mentalità del tempo, ma addirittura anche alla mentalità dei discepoli: l’episodio tradisce infatti uno scontro: “I discepoli li sgridarono… Gesù vedendo ciò, si indignò…”. Con grande meraviglia dei discepoli, Gesù accoglie i bambini: perde tempo con loro. La serietà del suo cammino verso Gerusalemme non distrae Gesù dai piccoli. Li considera capaci di seguirlo, sempre e dovunque, Croce compresa. A questo riguardo si pensi ai Santi Innocenti.

“Al vedere che i discepoli allontanavano i bambini, Cristo “s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.” (Mc 10, 14-16). E’ curioso l’atteggiamento dei discepoli. Si avvicinano i farisei, per mettere alla prova Gesù. Si avvicinano i bambini per ricevere da Gesù carezze e benedizioni. I discepoli non impediscono ai farisei di accostarsi, sgridano invece i bambini. Il regno di Dio ha ingressi solo per i bambini e per chi diventa come loro. A meglio dire per chi diventa come il Bambino Gesù, che si è fatto davvero bambino per servire e salvare.

L’importante è accogliere perché diventiamo Chi accogliamo: Dio.

Gesù si arrabbia con i suoi discepoli perché non hanno capito nulla sulle cose più profonde di quello che Lui sta insegnando e dice: “Lasciate che i bambini vengano a me”. Venire da Gesù. L’andare da lui e con lui è la salvezza, andare con Lui, il Figlio: “Lasciateli che vengano, non impediteli, perché il Regno è di chi è come loro”. Diventare come bambini è accettare che siamo figli e che la nostra appartenenza al Padre è libertà. Il bisogno di essere figli è il bisogno di essere di Dio, Padre da sempre e per sempre. Padre misericordioso che sempre ci accoglie.

Il Messia ha detto ai suoi discepoli di accogliere i bambini perché questi uomini adulti accettino di essere piccoli. Diede questo insegnamento che oggi ripete a noi, perché anche noi accogliamo Lui che si fa piccolo per noi. Lui chiede il nostro amore: perciò si fa bambino. Nient’altro vuole da noi se non il nostro amore. Stando vicino a Lui con la semplicità dei bambini possiamo imparare a vivere con Lui e a praticare con Lui anche l’umiltà della rinuncia che fa parte dell’essenza dell’amore. Dio si è fatto piccolo affinché noi potessimo comprenderLo, accoglierLo, amarLo.

Un modo significativo di vivere questo essere spiritualmente bambini è quello delle Vergini consacrate nel mondo.

Il bambino è pura recettività, quindi diventa quello che gli si dà e gli si dice. Così queste donne con la loro consacrazione, si fidano e affidano completamente a Cristo. La loro “attività” è di vivere ricevendo tutto da Dio. La verginità è fanciullezza evangelica alla quale appartiene il Regno di Dio.

Un bambino come accoglie il Regno di Dio? Con stupore e occhi “nuovi”, perché puri: occhi che riflettono il cielo.

Come bambini, le persone vergini hanno occhi nuovi, capaci di uno sguardo che sa stupirsi, entusiasmarsi, gioire, possono veramente entrare nella casa del Padre Buono.

Sull’esempio dei bambini e di chi vive la fanciullezza evangelica, a qualsiasi età sapremo conservare la capacità di guardare alla vita, alle persone, al mondo, con occhi capaci di sgranarsi pieni di meraviglia, interesse, curiosità, attesa, slancio… allora saremo capaci di ridiventare bambini. E quindi sapremo accogliere veramente il Regno di Dio.

*

LETTURA PATRISTICA

Sant’Ambrogio da Milano
Exp. in Luc., 8, 4-7

È Dio l’autore dell’unione coniugale

Non ripudiare quindi la tua sposa: significherebbe negare che Dio è l’autore della tua unione. Infatti se è tuo compito sopportare e correggere i costumi degli estranei, a maggior ragione lo è nei riguardi di tua moglie.

Ascolta quanto dice il Signore: “Chi ripudia la sposa ne fa un’adultera” (Mt 5,32). Colei infatti che, finché vive il marito, non può sposarsi di nuovo, può essere soggetta alla lusinga del peccato. Così colui che è responsabile dell’errore lo è anche della colpa, quando la madre è ripudiata con i suoi bambini, quando, già anziana e col passo ormai stanco, è messa alla porta. Ed è male scacciare la madre e trattenere i suoi figli: perché si aggiunge, all’oltraggio fatto al suo amore, la ferita nei suoi affetti materni. Ma più crudele è scacciare anche i figli per causa della madre, in quanto i figli dovrebbero piuttosto riscattare agli occhi del padre il torto della madre. Quale rischio esporre all’errore la debole età di un adolescente! E quale durezza di cuore scacciare la vecchiaia, dopo aver deflorato la giovinezza! Sarebbe lo stesso se l’imperatore scacciasse un soldato veterano senza compensarlo per i suoi servigi, togliendogli gli onori e il comando che ha; o che un agricoltore scacciasse dal suo campo il contadino spossato dalla fatica! Ciò che è vietato fare nei confronti dei sudditi, sarebbe dunque permesso nei riguardi dei congiunti?

Tu invece ripudi la tua sposa quasi fosse nel tuo pieno diritto, senza temere di commettere un’ingiustizia; tu credi che ciò ti sia permesso perché la legge umana non lo vieta. Ma lo vieta la legge di Dio: e se obbedisci agli uomini, devi temere Dio. Ascolta la legge del Signore cui obbediscono anche quelli che fanno le leggi: “Ciò che Dio ha unito, l’uomo non divida” (Mt 19,6).

Ma non è soltanto un precetto del cielo che tu violi: tu in certo modo distruggi un’opera di Dio.

Tu permetteresti – ti prego – che, te vivente, i tuoi figli dipendessero da un patrigno, oppure che, mentre è viva la loro madre, essi vivessero sotto una matrigna? E supponi che la sposa che hai ripudiata non torni a sposarsi: ebbene, ti era sgradita, quando eri suo marito, questa donna che si mantiene fedele a te, ora che sei adultero? Supponi invece che torni a sposarsi: la sua necessità è un tuo crimine, e ciò che tu credi un matrimonio in realtà è un adulterio. E senza importanza che tu commetta adulterio pubblicamente, oppure che tu lo commetta sembrando marito; c’è solo il fatto che la colpa commessa per principio è più grave di quella commessa furtivamente.

Forse qualcuno potrà dire: “Ma allora perché Mosè ha comandato di dare il libello di divorzio e di licenziare la moglie?” (Mt 19,7 Dt 24,1). Chi parla in questo modo è giudeo, non è cristiano: egli obietta ciò che fu obiettato al Signore, e perciò lasciamo al Signore il compito di rispondergli: “Per la durezza del vostro cuore” –dice – “Mosè vi permise di dare il libello del divorzio e di ripudiare le mogli; ma all’inizio non era così” (Mt 19,8). Cioè egli dice che Mosè lo ha permesso, ma Dio non lo ha ordinato: all’inizio valeva la legge di Dio. Qual è la legge di Dio? “L’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla sua sposa, e saranno due in una carne sola” (Gn 2,24 Mt 19,5). Dunque chi ripudia la sposa, dilania la sua carne, divide il suo corpo.

*

NOTE

1 Ce lo ricorda questo brano della Esortazione apostolica di S. Giovanni Paolo II Familiaris consortio: “Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza: chiamandolo all’esistenza per amore, nello stesso tempo lo ha chiamato all’amore. Dio è amore e vive in se stesso un mistero di comunione personale di amore. creandola a sua immagine e somiglianza e conservandola continuamente nell’essere, Dio iscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la vocazione e di conseguenza anche la capacità e la responsabilità dell’amore e della comunione. L’amore è, pertanto, la vocazione fondamentale e nativa di ogni essere umano”(n. 11).





Caterina63
00venerdì 20 gennaio 2017 08:51
[SM=g1740717] [SM=g1740720] Preghiera ai Santi Sposi Maria e Giuseppe

Come Dio Padre, nella Sua infinita Sapienza e immenso Amore, affidò qui in terra il Suo Unigenito Figlio Gesù Cristo a Te, Maria Santissima, e a te, San Giuseppe, sposi della Santa Famiglia di Nazareth, così noi, divenuti per il Battesimo figli di Dio, con umile fede ci affidiamo e consacriamo a Voi.
Abbiate per noi, per i nostri figli, per le nostre famiglie, le stesse premure e tenerezze avute per Gesù.
Aiutateci a conoscere, amare e servire Gesù come voi l'avete conosciuto, amato e servito.
Otteneteci di amarVi con lo stesso amore con il quale Gesù Vi ha amato qui in terra.
Proteggete le nostre persone, difendeteci da ogni pericolo e da ogni male.
Accrescete la nostra fede, custoditeci nella fedeltà alla nostra vocazione e alla nostra missione: fateci santi.
Al termine di questa vita, accoglieteci con Voi in cielo, dove già regnate con Cristo nella Gloria eterna. Amen

gloria.tv/video/bjc1CKKueiyP1N2D2ppPpR9BX





[SM=g1740738] [SM=g1740750] [SM=g1740752]

[SM=g1740758] CATECHESI DI DON MINUTELLA IN DIRETTA DA AREZZO PRESSO L'ASSOCIAZIONE "DIFESA DEI VALORI". 13 MARZO 2017

SUL MATRIMONIO

www.youtube.com/watch?v=fq8p2bCBXos





[SM=g1740738]

Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 12:43.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com