Nel volume «L'Evangeliario di San Marco» ricostruite le vicende del Codex Forojuliensis

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Caterina63
00martedì 20 aprile 2010 20:00
Nel volume «L'Evangeliario di San Marco» ricostruite le vicende del Codex Forojuliensis

La storia del codice conteso da tre città


Mercoledì 21 aprile nella sala conferenze dei Musei Vaticani viene presentato il volume L'evangeliario di San Marco (Udine, Gaspari, 2009, pagine 142). Pubblichiamo un articolo del curatore, direttore dei Civici Musei di Pordenone.


di Gilberto Ganzer

In occasione del Giubileo del 2000 si vollero riunire a Pordenone le tre parti - distribuite tra Cividale, Venezia e Praga - nelle quali era stato diviso il Codex Forojuliensis, un codice del VI secolo, dal quale in epoca non bene precisata fu estrapolato il vangelo di Marco per presentarlo quale autografo dello stesso evangelista.

Un oggetto dalla storia complessa, custodito nel Tesoro della basilica di Aquileia, smembrato per onorare la devozione del sacro romano imperatore Carlo iv di Lussemburgo in visita nel Patriarcato quando discese per la prima volta in Italia, nel 1354. I fogli donati all'imperatore furono inviati con corriere speciale a Praga, dove ancora oggi appartengono al Tesoro della cattedrale.

Quando poi il Patriarcato cadde sotto il dominio della Repubblica di Venezia (1420), l'autografo evangelico fu una delle principali preoccupazioni del nuovo principe:  impossessarsene per riporlo vicino "alla mano che lo aveva scritto", così da diventare vera icona delle fortune della Repubblica; e ancora oggi è custodito nel Tesoro della basilica di San Marco.

La pubblicazione incentrata sul Codex Forojuliensis costituisce perciò un ulteriore passo verso la conoscenza di uno dei capitoli più complessi e affascinanti della storia della Chiesa in un territorio di confine tra Occidente e Oriente, quella metropoli di Aquileia dove si confrontavano le politiche ecclesiastiche dell'impero dei carolingi e dell'impero di Bisanzio e dove si giocava una grande partita tra il Patriarcato di Costantinopoli e la Curia romana avente per posta l'evangelizzazione delle popolazioni slave.

Resta problematico trovare il momento e la ragione del suo trasferimento nel Patriarcato di Aquileia, dove continuò la sua prodigiosa storia. Ecco allora emergere un collegamento notevole con una funzione nuova che il Quadrievangelo ebbe al suo arrivo ad Aquileia, cioè di liber vitae. Il saggio di Uwe Ludwig dà conto delle migliaia di sottoscrizioni che compaiono ai margini dei fogli, ne individua gli autori e quindi spiega la ragione di quella che pare una pratica devozionale collegata proprio al ruolo politico ed ecclesiastico del Patriarcato. Tra le sottoscrizioni compaiono nomi non soltanto di imperatori carolingi, come Ludovico ii, ma numerosi nomi di principi e sovrani del vasto mondo slavo, recentemente convertiti al cristianesimo e sempre in bilico tra la fedeltà a Roma e la fedeltà a Costantinopoli. Re Boris-Michele di Bulgaria, Sondoke, Pribina:  sono soltanto alcuni dei nomi del codice che hanno segnato la storia dei regni balcanici nello snodo decisivo tra IX e X secolo.

Quello che meraviglia maggiormente è proprio il delicato ruolo che la Chiesa di Aquileia cercò di svolgere in quel gioco politico ed ecclesiastico, nel quale i principi neo-convertiti erano attratti da Roma, ma anche intimoriti dall'abbraccio con l'ancora potente impero carolingio, che continuava a mostrare il Papa come cappellano dell'imperatore. Il Patriarca di Aquileia lo era senz'altro, ma era anche conscio del suo ruolo pastorale, come dimostrò la coraggiosa difesa delle popolazioni avaro-slave, minacciate da Carlo Magno di conversione forzata e di schiavizzazione, elevata dal Patriarca Paolino ii durante la conferenza sul Danubio nel 797. La Chiesa di Aquileia doveva mediare gli interessi a tratti in conflitto della curia imperiale e del papato, nonché l'esigenza di ricostruire dal nulla la vita cristiana nelle regioni danubiane.
 
Fu forse il Patriarca Teodemaro (855-873?) a introdurre la prassi di ospitare i numerosi ambasciatori e principi in transito tra Oriente balcanico e Occidente e a far fare loro tappa in un monasterium dove potessero rendere devozione ai martiri aquileiesi i cui corpi erano là conservati; poi, a segno del loro atto di omaggio, quegli ospiti illustri apponevano la loro sottoscrizione nel liber vitae per essere ricordati presso i santi martiri. Spetta a Scalon l'aver corroborato l'identificazione del monasterium con la chiesa martiriale ritrovata a San Canziano d'Isonzo, pochi chilometri fuori Aquileia.

In tal modo la Chiesa aquileiese intendeva rifondare una grande metropoli danubiana sulle spoglie dei suoi martiri, legando a essi le popolazioni che via via andavano convertendosi.

Ma la storia del Quadrievangelo non finì così:  dimenticato per lunghissimo tempo nella cattedrale dopo la distruzione ungarica del monasterium di San Canziano, qualcuno, attorno alla seconda metà del XII secolo, pensò bene di riesumarlo per estrapolarne il solo vangelo di Marco, presentandolo quindi alla ammirazione e alla devozione del popolo quale chirografo dello stesso evangelista, reliquia eccezionale che dimostrava la presenza di san Marco ad Aquileia, di cui avrebbe fondato la Chiesa, e la stesura del suo vangelo nella città.

Tanta era la venerazione per la reliquia, assurta a simbolo della stessa Chiesa di Aquileia, testimonianza venerabile del suo retaggio apostolico, che nel XIII o XIV secolo si provvide a ricoprire il preteso chirografo con una coperta preziosa e artisticamente mirabile: 
Quando il secolo della critica fece a pezzi la leggenda dell'autografo marciano una lunga pagina della storia della Chiesa fu chiusa; a questo sepolcro il positivismo storicistico dell'Otto-Novecento non fece altro che aggiungere l'epitaffio dell'antistoricità della fondazione marciana del cristianesimo altoadriatico.

Eppure storici come Guglielmo Biasutti e Giorgio Fedalto, che ha contribuito a questa pubblicazione, hanno pensato bene di abbandonare l'approccio semplicistico del documentarismo per affrontare piuttosto il terreno difficile ma fruttuoso della simbolica:  dietro alla leggenda della fondazione marciana e dell'autografo evangelico c'è una realtà molto più profonda delle "fole da gente semplice" con le quali i positivisti liquidavano la storia della mentalità e della politica dei secoli cosiddetti "bui". Nelle fitte trame di quella leggenda, infatti, giace un capitolo dalla storia della Chiesa assai complesso e articolato, soltanto parzialmente riscoperto anche per merito dei saggi raccolti ne L'Evangeliario di san Marco, un capitolo che ci riporta alla dolorosa battaglia che la verità evangelica ha sempre dovuto combattere contro la gnosi dei filosofi e dei "perfetti".



(©L'Osservatore Romano - 21 aprile 2010)

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