Non di una Chiesa più "umana" abbiamo bisogno, ma di una Chiesa DIVINA (Ratzinger 1990)

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Caterina63
00domenica 23 agosto 2009 16:06
«Ratzinger. La Chiesa, una compagnia sempre riformanda»
Card Joseph Ratzinger

Illuminante intervento tento al Meeting di Rimini del 1990: " Non è di una chiesa più umana che abbiamo bisogno, bensì di una Chiesa più divina; solo allora essa sarà anche veramente umana".




Cari amici,


grazie per questa accoglienza così calorosa; conoscete il titolo della mia conferenza: "Una compagnia sempre riformanda".

Non c'è bisogno di molta immaginazione per indovinare che la compagnia di cui qui voglio parlare è la Chiesa. Forse si è evitato di menzionare nel titolo il termine "Chiesa", solo perché esso provoca spontaneamente, nella maggior parte degli uomini di oggi, reazioni di difesa.

Essi pensano: "Di Chiesa abbiamo già sentito parlare fin troppo e per lo più non si è trattato di niente di piacevole". La parola e la realtà della Chiesa sono cadute in discredito. E perciò anche una simile riforma permanente non sembra poter cambiare qualcosa. O forse il problema è solamente che finora non è stato scoperto il tipo di riforma che potrebbe fare della Chiesa una compagnia che valga davvero la pena di essere vissuta? Ma chiediamoci innanzitutto: perché la Chiesa riesce sgradita a così tante persone, e addirittura anche a credenti, anche a persone che fino a ieri potevano essere annoverate tra le più fedeli o che, pur tra sofferenze, lo sono in qualche modo ancora oggi? I motivi sono tra loro molto diversi, anzi opposti, a seconda delle posizioni.

Alcuni soffrono perché la Chiesa si è troppo adeguata ai parametri del mondo d'oggi; altri sono infastiditi perché ne resta ancora troppo estranea. Per la maggior parte della gente, la scontentezza nei confronti della Chiesa comincia col fatto che essa è un'istituzione come tante altre, e che come tale limita la mia libertà.

La sete di libertà è la forma in cui oggi si esprimono il desiderio di liberazione e la percezione di non essere liberi, di essere alienati.

L'invocazione di libertà aspira ad un'esistenza che non sia limitata da ciò che è già dato e che mi ostacola nel mio pieno sviluppo, presentandomi dal di fuori la strada che io dovrei percorrere. Ma dappertutto andiamo a sbattere contro barriere e blocchi stradali di questo genere, che ci fermano impedendoci di andare oltre.


Gli sbarramenti che la Chiesa innalza si presentano quindi come doppiamente pesanti, poiché penetrano fin nella sfera più personale e più intima. Le norme di vita della Chiesa sono infatti ben di più che una specie di regole del traffico, affinché la convivenza umana eviti il più possibile gli scontri. Esse riguardano il mio cammino interiore, e mi dicono come devo comprendere e configurare la mia libertà. Esse esigono da me decisioni, che non si possono prendere senza il dolore della rinuncia. Non si vuole forse negarci i frutti più belli del giardino della vita? Non è forse vero che con la ristrettezza di così tanti comandi e divieti ci viene sbarrata la strada di un orizzonte aperto? E il pensiero, non viene forse ostacolato nella sua grandezza, come pure la volontà? Non deve forse la liberazione essere necessariamente l'uscita da una simile tutela spirituale? E l'unica vera riforma, non sarebbe forse quella di respingere tutto ciò? Ma allora cosa rimane ancora di questa compagnia?

L'amarezza contro la Chiesa ha però anche un motivo specifico. Infatti, in mezzo ad un mondo governato da dura disciplina e da inesorabili costrizioni, si leva verso la Chiesa ancora e sempre una silenziosa speranza: essa potrebbe rappresentare in tutto ciò come una piccola isola di vita migliore, una piccola oasi di libertà, in cui di tanto in tanto ci si può ritirare.

L'ira contro la Chiesa o la delusione nei suoi confronti hanno perciò un carattere particolare, poiché silenziosamente ci si attende da essa di più che da altre istituzioni mondane. In essa si dovrebbe realizzare il sogno di un mondo migliore. Quanto meno, si vorrebbe assaporare in essa il gusto della libertà, dell'essere liberati: quell'uscir fuori dalla caverna, di cui parla Gregorio Magno ricollegandosi a Platone.

Tuttavia, dal momento che la Chiesa nel suo aspetto concreto si è talmente allontanata da simili sogni, assumendo anch'essa il sapore di una istituzione e di tutto ciò che è umano, contro di essa sale una collera particolarmente amara.

E questa collera non può venir meno, proprio poiché non si può estinguere quel sogno che ci aveva rivolti con speranza verso di essa. Siccome la Chiesa non è così come appare nei sogni, si cerca disperatamente di renderla come la si desidererebbe: un luogo in cui si possano esprimere tutte le libertà, uno spazio dove siano abbattuti i nostri limiti, dove si sperimenti quell'utopia che ci dovrà pur essere da qualche parte. Come nel campo dell'azione politica si vorrebbe finalmente costruire il mondo migliore, così si pensa, si dovrebbe finalmente (magari come prima tappa sulla via verso di esso) metter su anche la Chiesa migliore: una Chiesa di piena umanità, piena di senso fraterno, di generosa creatività, una dimora di riconciliazione di tutto e per tutti.

Riforma inutile

Ma in che modo dovrebbe accadere questo? Come può riuscire una simile riforma? Orbene; dobbiamo pur cominciare, si dice. Lo si dice spesso con l'ingenua presunzione dell'illuminato, il quale è convinto che le generazioni fino ad ora non abbiano ben compreso la questione, oppure che siano state troppo timorose e poco illuminate; noi però abbiamo ora finalmente nello stesso tempo sia il coraggio che l'intelligenza.

Per quanta resistenza possano opporre i reazionari e i "fondamentalisti" a questa nobile impresa, essa deve venir posta in opera. Almeno c'è una ricetta oltremodo illuminante per il primo passo.

La Chiesa non è una democrazia. [SM=g1740733]
Da quanto appare, essa non ha ancora integrato nella sua costituzione interna quel patrimonio di diritti della libertà che l'Illuminismo ha elaborato e che da allora è stato riconosciuto come regola fondamentale delle formazioni sociali e politiche. Così sembra la cosa più normale del mondo recuperare una buona volta quanto era stato trascurato e cominciare coll'erigere questo patrimonio fondamentale di strutture di libertà. Il cammino conduce - come si suol dire - da una Chiesa paternalistica e distributrice di beni ad una Chiesa-comunità.

Si dice che nessuno più dovrebbe rimanere passivo ricevitore dei doni che fanno esser cristiano. Tutti devono invece diventare attivi operatori della vita cristiana. La Chiesa non deve più venir calata giù dall'alto.
No! Siamo noi che "facciamo" la Chiesa, e la facciamo sempre nuova. Così essa diverrà finalmente la "nostra" Chiesa, e noi i suoi attivi soggetti responsabili. L'aspetto passivo cede a quello attivo. [SM=g1740729]

La Chiesa sorge attraverso discussioni, accordi e decisioni. Nel dibattito emerge ciò che ancora oggi può esser richiesto, ciò che oggi può ancora essere riconosciuto da tutti come appartenente alla fede o come linea morale direttiva. Vengono coniate nuove "formule di fede" abbreviate.

In Germania, a un livello abbastanza elevato, è stato detto che anche la Liturgia non deve più corrispondere ad uno schema previo, già dato, ma deve sorgere invece sul posto, in una data situazione ad opera della comunità per cui viene celebrata.

Anche essa non deve più essere niente di già precostituito, ma invece qualcosa di fatto da sé, qualcosa che sia espressione di se stessi. Su questa via si rivela essere un pò di ostacolo, per lo più, la parola della Scrittura, alla quale però non si può rinunciare del tutto. Si deve allora affrontarla con molta libertà di scelta. Non sono molti però i testi che si lasciano impiegare in modo tale da adattarsi senza disturbi a quell'auto-realizzazione, alla quale la liturgia ora sembra essere destinata.

In quest'opera di riforma, in cui ora finalmente anche nella Chiesa l'"autogestione" deve sostituire l'esser guidati da altri, sorgono però presto delle domande. Chi ha qui propriamente il diritto di prendere le decisioni? Su quale base ciò avviene? Nella democrazia politica, a questa domanda si risponde con il sistema della rappresentanza: nelle elezioni i singoli scelgono i loro rappresentanti, i quali prendono le decisioni per loro. Questo incarico è limitato nel tempo; è circoscritto anche contenutisticamente in grandi linee dal sistema partitico, e comprende solo quegli ambiti dell'azione politica che dalla Costituzione sono assegnati alle entità statali rappresentative. Anche a questo proposito rimangono delle questioni: la minoranza deve chinarsi alla maggioranza, e questa minoranza può essere molto grande.

Inoltre, non è sempre garantito che il rappresentante che ho eletto agisca e parli davvero nel senso da me desiderato, cosicché anche la maggioranza vittoriosa, osservando le cose più da vicino, ancora una volta non può considerarsi affatto interamente come soggetto attivo dell'evento politico. Al contrario, essa deve accettare anche "decisioni prese da altri", onde perlomeno non mettere in pericolo il sistema nella sua interezza.

Più importante per la nostra questione è però un problema generale. Tutto quello che gli uomini fanno, può anche essere annullato da altri. Tutto ciò che proviene da un gusto umano può non piacere ad altri. Tutto ciò che una maggioranza decide può venire abrogato da un'altra maggioranza.

Una Chiesa che riposi sulle decisioni di una maggioranza diventa una Chiesa puramente umana. [SM=g1740729] Essa è ridotta al livello di ciò che è plausibile, di quanto è frutto della propria azione e delle proprie intuizioni ed opinioni. L'opinione sostituisce la fede. Ed effettivamente, nelle formule di fede coniate da sé che io conosco, il significato dell'espressione "credo" non va mai al di là del significato "noi pensiamo". La Chiesa fatta da sé ha alla fine il sapore del "se stessi", che agli altri "se stessi" non è mai gradito e ben presto rivela la propria piccolezza. Essa si è ritirata nell'ambito dell'empirico, e così si è dissolta anche come ideale sognato.

L'essenza della vera riforma

L'attivista, colui che vuole costruire tutto da sé, è il contrario di colui che ammira (l'"ammiratore"). Egli restringe l'ambito della propria ragione e perde così di vista il Mistero. Quanto più nella Chiesa si estende l'ambito delle cose decise da sé e fatte da sé, tanto più angusta essa diventa per noi tutti. In essa la dimensione grande, liberante, non è costituita da ciò che noi stessi facciamo, ma da quello che a noi tutti è donato. Quello che non proviene dal nostro volere e inventare, bensì è un precederci, un venire a noi di ciò che è inimmaginabile, di ciò che "è più grande del nostro cuore". La reformatio, quella che è necessaria in ogni tempo, non consiste nel fatto che noi possiamo rimodellarci sempre di nuovo la "nostra" Chiesa come più ci piace, che noi possiamo inventarla, bensì nel fatto che noi spazziamo via sempre nuovamente le nostre proprie costruzioni di sostegno, in favore della luce purissima che viene dall'alto e che è nello stesso tempo l'irruzione della pura libertà.

Lasciatemi dire con un'immagine ciò che io intendo, un'immagine che ho trovato in Michelangelo, il quale riprende in questo da parte sua antiche concezioni della mistica e della filosofia cristiane. Con lo sguardo dell'artista, Michelangelo vedeva già nella pietra che gli stava davanti l'immagine-guida che nascostamente attendeva di venir liberata e messa in luce. Il compito dell'artista - secondo lui - era solo quello di toglier via ciò che ancora ricopriva l'immagine. Michelangelo concepiva l'autentica azione artistica come un riportare alla luce, un rimettere in libertà, non come un fare.

La stessa idea applicata però all'ambito antropologico, si trovava già in san Bonaventura, il quale spiega il cammino attraverso cui l'uomo diviene autenticamente se stesso, prendendo lo spunto dal paragone con l'intagliatore di immagini, cioè con lo scultore. Lo scultore non fa qualcosa, dice il grande teologo francescano. La sua opera è invece una ablatio: essa consiste nell'eliminare, nel togliere via ciò che è inautentico. In questa maniera, attraverso la ablatio, emerge la nobilis forma, cioè la figura preziosa. Così anche l'uomo, affinché risplenda in lui l'immagine di Dio, deve soprattutto e prima di tutto accogliere quella purificazione, attraverso la quale lo scultore, cioè Dio, lo libera da tutte quelle scorie che oscurano l'aspetto autentico del suo essere, facendolo apparire solo come un blocco di pietra grossolano, mentre invece inabita in lui la forma divina.

Se la intendiamo giustamente, possiamo trovare in questa immagine anche il modello guida per la riforma ecclesiale.

Certo, la Chiesa avrà sempre bisogno di nuove strutture umane di sostegno, per poter parlare e operare ad ogni epoca storica. Tali istituzioni ecclesiastiche, con le loro configurazioni giuridiche, lungi dall'essere qualcosa di cattivo, sono al contrario, in un certo grado, semplicemente necessarie e indispensabili. Ma esse invecchiano, rischiano di presentarsi come la cosa più essenziale, e distolgono così lo sguardo da quanto è veramente essenziale. Per questo esse devono sempre di nuovo venir portate via, come impalcature divenute superflue. Riforma è sempre nuovamente una ablatio: un toglier via, affinché divenga visibile la nobilis forma, il volto della Sposa e insieme con esso anche il volto dello Sposo stesso, il Signore vivente.

Una simile ablatio, una simile "teologia negativa", è una via verso un traguardo del tutto positivo. Solo così il Divino penetra, e solo così sorge una congregatio, un'assemblea, un raduno, una purificazione, quella comunità pura a cui aneliamo: una comunità in cui un "io" non sta più contro un altro "io", un "sé" contro un altro "sé". Piuttosto quel donarsi, quell'affidarsi con fiducia, che fa parte dell'amore, diventa il reciproco ricevere tutto il bene e tutto ciò che è puro. E così per ciascuno vale la parola del Padre generoso, il quale al figlio maggiore invidioso richiama alla memoria quanto costituisce il contenuto di ogni libertà e di ogni utopia realizzata: "Tutto ciò che è mio è tuo..." (Lc 15,31; cfr. Gv 17,1).

La vera riforma è dunque una ablatio, che come tale diviene congregatio. Cerchiamo di afferrare in modo un po' più concreto quest'idea di fondo. [SM=g1740733]
In un primo approccio avevamo contrapposto all'attivista l'ammiratore, e ci eravamo espressi in favore di quest'ultimo. Ma che cosa esprime questa contrapposizione? L'attivista, colui che vuol sempre fare, pone la sua propria attività al di sopra di tutto. Ciò limita il suo orizzonte all'ambito del fattibile, di ciò che può diventare oggetto del suo fare. Propriamente parlando egli vede soltanto degli oggetti. Non è affatto in grado di percepire ciò che è più grande di lui, poiché ciò porrebbe un limite alla sua attività. Egli restringe il mondo a ciò che è empirico. L'uomo viene amputato. L'attivista si costruisce da solo una prigione, contro la quale poi egli stesso protesta ad alta voce.

Invece l'autentico stupore è un "No" alla limitazione dentro ciò che è empirico, dentro ciò che è solamente l'aldiqua. Esso prepara l'uomo all'atto della fede, che gli spalanca d'innanzi l'orizzonte dell'Eterno, dell'Infinito. E solamente ciò che non ha limiti è sufficientemente ampio per la nostra natura, solamente l'illimitato è adeguato alla vocazione del nostro essere. Dove questo orizzonte scompare, ogni residuo di libertà diventa troppo piccolo e tutte le liberazioni, che di conseguenza possono venir proposte, sono un insipido surrogato, che non basta mai. La prima, fondamentale ablatio, che è necessaria per la Chiesa, è sempre nuovamente l'atto della fede stessa. Quell'atto di fede che lacera le barriere del finito e apre così lo spazio per giungere sino allo sconfinato. La fede ci conduce "lontano, in terre sconfinate", come dicono i Salmi. Il moderno pensiero scientifico ci ha sempre più rinchiusi nel carcere del positivismo, condannandoci così al pragmatismo.

Per merito suo si possono raggiungere molte cose; si può viaggiare fin sulla luna e ancora più lontano, nell'illimitatezza del cosmo. Tuttavia, nonostante questo, si rimane sempre allo stesso punto, perché la vera e propria frontiera, la frontiera del quantitativo e del fattibile, non viene oltrepassata. Albert Camus ha descritto l'assurdità di questa forma di libertà nella figura dell'imperatore Caligola: tutto è a sua disposizione, ma ogni cosa gli è troppo stretta. Nella sua folle bramosia di avere sempre di più, e cose sempre più grandi, egli grida: Voglio avere la luna, datemi la luna! Ora, nel frattempo, è divenuto per noi possibile avere in qualche modo anche la luna. Ma finché non si apre la vera e propria frontiera, la frontiera fra terra e cielo, tra Dio e il mondo, anche la luna è solamente un ulteriore pezzetto di terra, e il raggiungerla non ci porta neanche di un passo più vicini alla libertà e alla pienezza che desideriamo.

La fondamentale liberazione che la Chiesa può darci è lo stare nell'orizzonte dell'Eterno, è l'uscir fuori dai limiti del nostro sapere e del nostro potere. La fede stessa, in tutta la sua grandezza e ampiezza, è perciò sempre nuovamente la riforma essenziale di cui noi abbiamo bisogno; a partire da essa noi dobbiamo sempre di nuovo mettere alla prova quelle istituzioni che nella Chiesa noi stessi abbiamo fatto.

Ciò significa che la Chiesa deve essere il ponte della fede, e che essa - specialmente nella sua vita associazionistica intramondana - non può divenire fine a se stessa. diffusa oggi qua e là, anche in ambienti ecclesiastici elevati, l'idea che una persona sia tanto più cristiana quanto più è impegnata in attività ecclesiali.

Si spinge ad una specie di terapia ecclesiastica dell'attività, del darsi da fare; a ciascuno si cerca di assegnare un comitato o, in ogni caso, almeno un qualche impegno all'interno della Chiesa. In un qualche modo, così si pensa, ci deve sempre essere un'attività ecclesiale, si deve parlare della Chiesa o si deve fare qualcosa per essa o in essa.

Ma uno specchio che riflette solamente se stesso non è più uno specchio; una finestra che invece di consentire uno sguardo libero verso il lontano orizzonte, si frappone come uno schermo fra l'osservatore ed il mondo, ha perso il suo senso.

Può capitare che qualcuno eserciti ininterrottamente attività associazionistiche ecclesiali e tuttavia non sia affatto un cristiano. Può capitare invece che qualcun altro viva solo semplicemente della Parola e del Sacramento e pratichi l'amore che proviene dalla fede, senza essere mai comparso in comitati ecclesiastici, senza essersi mai occupato delle novità di politica ecclesiastica, senza aver fatto parte di sinodi e senza aver votato in essi, e tuttavia egli è un vero cristiano.

Non è di una Chiesa più umana che abbiamo bisogno, bensì di una Chiesa più divina; solo allora essa sarà anche veramente umana. E per questo tutto ciò che è fatto dall'uomo, all'interno della Chiesa, deve riconoscersi nel suo puro carattere di servizio e ritrarsi davanti a ciò che più conta e che è l'essenziale. [SM=g1740722] [SM=g1740721] [SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740734]

La libertà, che noi ci aspettiamo con ragione dalla Chiesa e nella Chiesa non si realizza per il fatto che noi introduciamo in essa il principio della maggioranza. Essa non dipende dal fatto che la maggioranza più ampia possibile prevalga sulla minoranza più esigua possibile. Essa dipende invece dal fatto che nessuno può imporre il suo proprio volere agli altri, bensì tutti si riconoscono legati alla parola e alla volontà dell'Unico, che è il nostro Signore e la nostra libertà.

Nella Chiesa l'atmosfera diventa angusta e soffocante se i portatori del ministero dimenticano che il Sacramento non è una spartizione di potere, ma è invece espropriazione di me stesso in favore di Colui, nella persona del quale io devo parlare ed agire.

Dove alla sempre maggiore responsabilità corrisponde la sempre maggiore autoespropriazione, lì nessuno è schiavo dell'altro; lì domina il Signore e perciò vale il principio che: "Il Signore è lo Spirito. Dove però c'è lo Spirito del Signore ivi c'è la libertà" (2Cor 3, 17).

Quanti più apparati noi costruiamo, siano anche i più moderni, tanto meno c'è spazio per lo Spirito, tanto meno c'è spazio per il Signore, e tanto meno c'è libertà. lo penso che noi dovremmo, sotto questo punto di vista, iniziare nella Chiesa a tutti i livelli un esame di coscienza senza riserve.

A tutti i livelli questo esame di coscienza dovrebbe avere conseguenze assai concrete, e recare con sé una ablatio che lasci di nuovo trasparire il volto autentico della Chiesa. Esso potrebbe ridare a noi tutti il senso della libertà e del trovarsi a casa propria in maniera completamente nuova.

Morale, perdono ed espiazione: il centro personale della riforma

Guardiamo un attimo, prima di andare avanti, a quanto fin qui abbiamo messo in luce. Abbiamo parlato di un doppio "toglimento", di un atto di liberazione, che è un duplice atto: di purificazione e di rinnovamento. Da prima il discorso ha toccato la fede, che infrange le mura del finito e libera lo sguardo verso le dimensioni dell'Eterno, e non solo lo sguardo, ma anche la strada. La fede è infatti non soltanto riconoscere ma operare; non soltanto una frattura nel muro, ma una mano che salva, che tira fuori dalla caverna. Da ciò abbiamo tratto la conseguenza, per le Istituzioni, che l'essenziale ordinamento di fondo della Chiesa ha sì bisogno sempre di nuovi sviluppi concreti e di concrete configurazioni - affinché la sua vita si possa sviluppare in un tempo determinato - ma che però queste configurazioni non possono diventare la cosa essenziale.
La Chiesa infatti non esiste allo scopo di tenerci occupati come una qualsiasi associazione intramondana e di conservarsi in vita essa stessa, ma esiste invece per divenire in noi tutti accesso alla vita eterna. [SM=g1740722] [SM=g1740721]

Ora dobbiamo compiere un passo ulteriore, e applicare tutto questo non più al livello generale e oggettivo quale era finora, ma all'ambito personale. Infatti anche qui, nella sfera personale, è necessario un "toglimento" che ci liberi. Sul piano personale non è sempre e senz'altro la "forma preziosa", cioè l'immagine di Dio inscritta in noi, a balzare all'occhio. Come prima cosa noi vediamo invece soltanto l'immagine di Adamo, l'immagine dell'uomo non del tutto distrutto, ma pur sempre decaduto. Vediamo le incrostazioni di polvere e sporcizia, che si sono posate sopra l'immagine. Noi tutti abbiamo bisogno del vero Scultore, il quale toglie via ciò che deturpa l'immagine, abbiamo bisogno del perdono, che costituisce il nucleo di ogni vera riforma.
Non è certamente un caso che nelle tre tappe decisive del formarsi della Chiesa, raccontate dai Vangeli, la remissione dei peccati giochi un ruolo essenziale.

C'è in primo luogo la consegna delle chiavi a Pietro. La potestà a lui conferita di legare e sciogliere, di aprire e chiudere, di cui qui si parla, è, nel suo nucleo, incarico di lasciar entrare, di accogliere in casa, di perdonare (Mt 16,19).

La stessa cosa si trova di nuovo nell'Ultima Cena, che inaugura la nuova comunità a partire dal corpo di Cristo e nel corpo di Cristo. Essa diviene possibile per il fatto che il Signore versa il suo sangue "per i molti, in remissione dei peccati" (Mt 26,28). Infine il Risorto, nella sua prima apparizione agli Undici, fonda la comunione della sua pace nel fatto che egli dona loro la potestà di perdonare (Gv 20,19-23). La Chiesa non è una comunità di coloro che "non hanno bisogno del medico", bensì una comunità di peccatori convertiti, che vivono della grazia del perdono, trasmettendola a loro volta ad altri.

Se leggiamo con attenzione il Nuovo Testamento, scopriamo che il perdono non ha in sé niente di magico; esso però non è nemmeno un far finta di dimenticare, non è "un fare come se non", ma invece un processo di cambiamento del tutto reale, quale lo Scultore lo compie.

Il toglier via la colpa rimuove davvero qualcosa; l'avvento del perdono in noi si mostra nel sopraggiungere della penitenza. Il perdono è in tal senso un processo attivo e passivo: la potente parola creatrice di Dio su di noi opera il dolore del cambiamento e diventa così un attivo trasformarsi. Perdono e penitenza, grazia e propria personale conversione non sono in contraddizione, ma sono invece due facce dell'unico e medesimo evento. Questa fusione di attività e passività esprime la forma essenziale dell'esistenza umana. Infatti tutto il nostro creare comincia con l'essere creati, con il nostro partecipare all'attività creatrice di Dio.

Qui siamo giunti ad un punto veramente centrale: credo infatti che il nucleo della crisi spirituale del nostro tempo abbia le sue radici nell'oscurarsi della grazia del perdono. [SM=g1740722]

Notiamo però dapprima l'aspetto positivo del presente: la dimensione morale comincia nuovamente a poco a poco a venir tenuta in onore. Si riconosce, anzi è divenuto evidente, che ogni progresso tecnico è discutibile e ultimamente distruttivo, se ad esso non corrisponde una crescita morale. Si riconosce che non c'è riforma dell'uomo e dell'umanità senza un rinnovamento morale. Ma l'invocazione di moralità rimane alla fine senza energia, poiché i parametri si nascondono in una fitta nebbia di discussioni. In effetti l'uomo non può sopportare la pura e semplice morale, non può vivere di essa: essa diviene per lui una "legge", che provoca il desiderio di contraddirla e genera il peccato.

Perciò là dove il perdono, il vero perdono pieno di efficacia, non viene riconosciuto o non vi si crede, la morale deve venir tratteggiata in modo tale che le condizioni del peccare per il singolo uomo non possano mai propriamente verificarsi.

A grandi linee si può dire che l'odierna discussione morale tende a liberare gli uomini dalla colpa, facendo sì che non subentrino mai le condizioni della sua possibilità. Viene in mente la mordace frase di Pascal: "Ecce patres, qui tollunt peccata mundi!". Ecco i padri, che tolgono i peccati del mondo. Secondo questi "moralisti", non c'è semplicemente più alcuna colpa. Naturalmente, tuttavia, questa maniera di liberare il mondo dalla colpa è troppo a buon mercato. Dentro di loro, gli uomini così liberati sanno assai bene che tutto questo non è vero, che il peccato c'è, che essi stessi sono peccatori e che deve pur esserci una maniera effettiva di superare il peccato. Anche Gesù stesso non chiama infatti coloro che si sono già liberati da sé e che perciò - come essi ritengono - non hanno bisogno di Lui, ma chiama invece coloro che si sanno peccatori e che perciò hanno bisogno di Lui.

La morale conserva la sua serietà solamente se c'è il perdono, un perdono reale, efficace; altrimenti essa ricade nel puro e vuoto condizionale. Ma il vero perdono c'è solo se c'è il "prezzo d'acquisto", l'"equivalente nello scambio", se la colpa è stata espiata, se esiste l'espiazione.

La circolarità che esiste tra "morale - perdono -espiazione" non può essere spezzata; se manca un elemento cade anche tutto il resto. Dall'indivisa esistenza di questo circolo dipende se per l'uomo c'è redenzione oppure no. Nella Torah, nei cinque libri di Mosé, questi tre elementi sono indivisibilmente annodati l'uno all'altro e non è possibile perciò da questo centro compatto appartenente al Canone dell'Antico Testamento scorporare, alla maniera illuminista, una legge morale sempre valida, abbandonando tutto il resto alla storia passata. Questa modalità moralistica di attualizzazione dell'Antico Testamento finisce necessariamente in un fallimento; in questo punto preciso stava già l'errore di Pelagio, il quale ha oggi molti più seguaci di quanto non sembri a prima vista. Gesù ha invece adempiuto a tutta la Legge, non solamente ad una parte di essa e così l'ha rinnovata dalla base. Egli stesso, che ha patito espiando ogni colpa, è espiazione e perdono contemporaneamente, e perciò è anche l'unica sicura e sempre valida base della nostra morale.

Non si può disgiungere la morale dalla cristologia, poiché non la si può separare dall'espiazione e dal perdono. In Cristo tutta quanta la Legge è adempiuta, e quindi la morale è diventata una vera, adempibile esigenza rivolta nei nostri confronti. A partire dal nucleo della fede, si apre così sempre di nuovo la via del rinnovamento per il singolo, per la Chiesa nel suo insieme e per l'umanità.

La sofferenza, il martirio e la gioia della Redenzione

Su questo ci sarebbe ora molto da dire. Cercherò però solo, molto brevemente, di accennare come conclusione, ancora a ciò che nel nostro contesto mi appare come la cosa più importante. Il perdono e la sua realizzazione in me, attraverso la via della penitenza e della sequela, è in primo luogo il centro del tutto personale di ogni rinnovamento. Ma proprio perché il perdono concerne la persona nel suo nucleo più intimo, esso è in grado di raccogliere in unità, ed è anche il centro del rinnovamento della comunità.

Se infatti vengono tolte via da me la polvere e la sporcizia, che rendono irriconoscibile in me l'immagine di Dio, allora in tal modo io divengo davvero anche simile all'altro, il quale è anche lui immagine di Dio, e soprattutto io divengo simile a Cristo, che è l'immagine di Dio senza limite alcuno, il modello secondo il quale noi tutti siamo stati creati. Paolo esprime questo processo in termini assai drastici: "La vecchia immagine è passata, ecco ne è sorta una nuova; non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2,20). Si tratta di un processo di morte e di nascita. Io sono strappato al mio isolamento e sono accolto in una nuova comunità-soggetto; il mio "io" è inserito nell'io" di Cristo e così è unito a quello di tutti i miei fratelli. Solamente a partire da questa profondità di rinnovamento del singolo nasce la Chiesa, nasce la comunità che unisce e sostiene in vita e in morte. Solamente quando prendiamo in considerazione tutto ciò, vediamo la Chiesa nel suo giusto ordine di grandezza.

La Chiesa: essa non è soltanto il piccolo gruppo degli attivisti che si trovano insieme in un certo luogo per dare avvio ad una vita comunitaria. La Chiesa non è nemmeno semplicemente la grande schiera di coloro che alla domenica si radunano insieme per celebrare l'Eucarestia. [SM=g1740721] [SM=g1740722]

E infine, la Chiesa è anche di più che Papa, vescovi e preti, di coloro che sono investiti del ministero sacramentale. Tutti costoro che abbiamo nominato fanno parte della Chiesa, ma il raggio della compagnia in cui entriamo mediante la fede, va più in là, va persino al di là della morte.

Di essa fanno parte tutti i Santi, a partire da Abele e da Abramo e da tutti i testimoni della speranza di cui racconta l'Antico Testamento, passando attraverso Maria, la Madre del Signore, e i suoi apostoli, attraverso Thomas Becket e Tommaso Moro, per giungere fino a Massimiliano Kolbe, a Edith Stein, a Piergiorgio Frassati. Di essa fanno parte tutti gli sconosciuti e i non nominati, la cui fede nessuno conobbe tranne Dio; di essa fanno parte gli uomini di tutti i luoghi e tutti i tempi, il cui cuore si protende sperando e amando verso Cristo, "l'autore e perfezionatore della fede", come lo chiama la lettera agli Ebrei (12,2).

Non sono le maggioranze occasionali che si formano qui o là nella Chiesa a decidere il suo e il nostro cammino. Essi, i Santi, sono la vera, determinante maggioranza secondo la quale noi ci orientiamo. Ad essa noi ci atteniamo! Essi traducono il divino nell'umano, l'eterno nel tempo. Essi sono i nostri maestri di umanità, che non ci abbandonano nemmeno nel dolore e nella solitudine, anzi anche nell'ora della morte camminano al nostro fianco.

Qui noi tocchiamo qualcosa di molto importante. Una visione del mondo che non può dare un senso anche al dolore e renderlo prezioso non serve a niente. Essa fallisce proprio là dove fa la sua comparsa la questione decisiva dell'esistenza. Coloro che sul dolore non hanno nient'altro da dire se non che si deve combatterlo, ci ingannano. Certamente bisogna fare di tutto per alleviare il dolore di tanti innocenti e per limitare la sofferenza. Ma una vita umana senza dolore non c'è, e chi non è capace di accettare il dolore, si sottrae a quelle purificazioni che sole ci fanno diventar maturi.

Nella comunione con Cristo il dolore diventa pieno di significato, non solo per me stesso, come processo di ablatio, in cui Dio toglie da me le scorie che oscurano la sua immagine, ma anche al di là di me stesso esso è utile per il tutto, cosicché noi tutti possiamo dire con San Paolo: "Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo Corpo che è la Chiesa" (Col 1,24). Thomas Becket, che insieme con l'Ammiratore e con Einstein ci ha guidato nelle riflessioni di questi giorni, ci incoraggia ancora ad un ultimo passo. La vita va più in là della nostra esistenza biologica. Dove non c'è più motivo per cui vale la pena morire, là anche la vita non val più la pena.

Dove la fede ci ha aperto lo sguardo e ci ha reso il cuore più grande, ecco che qui acquista tutta la sua forza di illuminazione anche quest'altra frase di San Paolo: "Nessuno di noi vive per se stesso, e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore" (Rom 14,7-8).

Quanto più noi siamo radicati nella compagnia con Gesù Cristo e con tutti coloro che a Lui appartengono, tanto più la nostra vita sarà sostenuta da quella irradiante fiducia cui ancora una volta San Paolo ha dato espressione: "Di questo io sono certo: né morte né vita, né angeli né potestà, né presente né futuro, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù nostro Signore" (Rom 8,38-39).

Cari amici, da simile fede noi dobbiamo lasciarci riempire! Allora la Chiesa cresce come comunione nel cammino verso e dentro la vera vita, e allora essa si rinnova di giorno in giorno. Allora essa diventa la grande casa con tante dimore; allora la molteplicità dei doni dello Spirito può operare in essa. Allora noi vedremo "com'è buono e bello che i fratelli vivano insieme. È come rugiada dell'Ermon, che scende sul monte di Sion; là il Signore dona benedizione e vita in eterno" (Sal 133,1.3).


(Joseph Ratzinger, Meeting di Rimini 1990)
Il Sussidiario, 13 agosto 2009

www.internetica.it/Ratz-ChiesaRiformanda.htm
Caterina63
00venerdì 2 aprile 2010 01:22
[SM=g28002] STUPENDO AUDIO di padre Tomas Tyn O.P. servo di Dio, su una

Conferenza sull'Eucarestia del 1986 e sulla formazione dei Sacerdoti nel valore dei SACRAMENTI


[SM=g27998]



it.gloria.tv/?media=63945


[SM=g1740722]
Caterina63
00giovedì 6 maggio 2010 11:06

Prof. Ratzinger: "La chiesa non è per lo più là dove si organizza, si riforma, si dirige, bensì è presente in coloro che credono con semplicità"(1968)

                                          

Cari amici, grazie alla sapiente trascrizione di Gemma possiamo leggere un testo che oso definire, senza giri di parole, "profetico".
Si tratta di un brano tratto da
"Introduzione al Cristianesimo", libro scritto dall'allora professor Joseph Ratzinger nel 1968.
Dalla lettura di questo testo apprendiamo che cosa intenda il Santo Padre per "sopportazione attiva" (ce ne ha parlato Rodari nella
prima parte della sua inchiesta).
Quella dell'allora professor Ratzinger potrebbe sembrare, ad una prima lettura, un'analisi impietosa dell'atteggiamento di alcuni uomini di Chiesa, ma si tratta, in verita', di un testo altamente positivo: e' la speranza che domina tutta l'attivita' del Santo Padre, e' la consapevolezza che la Chiesa e' santa e cattolica indipendentemente dai possibili sbandamenti dei suoi membri.
Quanto e' importante leggere questo brano proprio in questo preciso momento storico!
Benedetto XVI dimostra anche in questo caso una lungimiranza eccezionale di cui i lettori piu' attenti devono tenere conto.
Grazie ancora per questo bel regalo
.
Raffaella

Introduzione al cristianesimo

Parte terza. Lo Spirito e la Chiesa

2- 1. “La Santa Chiesa Cattolica

Va da sé che non può essere nostra intenzione sviluppare in questa sede una dottrina completa sulla chiesa, vogliamo solo tentare, lasciando da parte le singole questioni specificamente teologiche, di enucleare brevemente l’autentico scandalo in cui ci imbattiamo ogni qual volta pronunciamo la parola “la santa chiesa cattolica” e ci sforziamo di rispondere secondo le intenzioni del Simbolo.
A questo riguardo diamo per presupposto ciò che abbiamo detto in precedenza circa il luogo spirituale e il contesto interno di queste parole, le quali, da un lato, si riferiscono alla professione di fede nell’agire potente dello Spirito Santo nella storia e, dall’altro, vengono spiegate nelle parole relative alla remissione dei peccati e alla comunione dei santi, le quali indicano battesimo, penitenza ed eucaristia come i pilastri su cui è costruita la chiesa, come il suo genuino contenuto e la sua vera modalità di esistere.
Forse, molto di ciò che ci disturba nel confessare di credere la chiesa è già spazzato via non appena riflettiamo su questo duplice contesto. Ma diciamo tuttavia subito che cosa oggi ci assilla, a questo proposito.

Se non vogliamo nasconderci nulla, siamo senz’altro tentati di dire che la chiesa non è né santa, né cattolica: lo stesso concilio Vaticano II è arrivato a parlare non più soltanto della chiesa santa, ma della chiesa peccatrice; se a questo riguardo gli si è rimproverato qualcosa, è per lo più di essere rimasto ancora troppo timido, tanto profonda è nella coscienza di noi tutti la sensazione della peccaminosità della chiesa.

Può, certo, qui influire la teologia luterana del peccato e quindi, nuovamente, anche un presupposto derivante da decisioni dogmatiche precedenti. Ma ciò che rende così perspicace questa ‘dogmatica’ è il suo essere in sintonia con la nostra esperienza. I secoli della storia della chiesa sono così pieni di fallimenti umani che possiamo comprendere la terrificante visione di Dante, che vide assisa sul carro trionfale della chiesa la grande meretrice babilonese, e possiamo capire le tremende parole del vescovo di Parigi Guglielmo d’Alvernia (del XIII secolo), il quale riteneva che chiunque vedesse la depravazione della chiesa dovrebbe allibire dallo spavento: “Essa non è più la sposa, bensì un mostro d’orrendo aspetto e di selvaggia belluinità...”.
Al pari della santità, anche la cattolicità della chiesa ci appare problematica.

L’unica tunica del Signore è lacerata fra diversi partiti litiganti; l’unica chiesa è frazionata in molte chiese, ognuna della quali accampa più o meno intensamente la pretesa di essere l’unica in regola. Sicchè oggi la chiesa è divenuta per molti l’ostacolo principale della fede.

Non riescono più a vedere in essa altro che l’ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini i quali, con la loro pretesa di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano per lo più ostacolare il vero spirito del cristianesimo.

Non esiste alcuna teoria in grado di controbattere in maniera convincente queste idee di fronte alla semplice ragione, ma bisogna anche ammettere, d’altra parte, che questi pensieri non provengono semplicemente dalla ragione, bensì da un’amarezza del cuore che forse è rimasto disilluso in qualche elevata aspirazione e ora, nel suo amore offeso e ferito, non sa più cogliere altro fuorché la distruzione della sua speranza.

Come, dunque, risponderemo? In definitiva, non ci resta che riconoscerlo apertamente, perché nonostante ciò si possa ancora, nella fede, amare questa chiesa, perché anche in quel volto sfigurato si osi pur sempre riconoscere il volto della chiesa santa.
Ma incominciamo, cionostante, dagli elementi oggettivi:
L’aggettivo ‘santo’, come abbiamo avuto modo di vedere, in tutte queste affermazioni non intende in primo luogo la santità delle persone umane, ma si riferisce al dono divino, al dono della santità in mezzo alla non santità umana.

Nel Simbolo la chiesa viene chiamata ‘santa’ non perché i suoi membri siano, insieme e singolarmente, santi, uomini senza peccato.

Questo pio sogno, che rispunta in ogni secolo, non trova assolutamente posto nel vigile mondo del nostro testo, per quanto esprima in maniera commovente un anelito dell’uomo, che non può abbandonarlo sinchè un nuovo e una nuova terra non gli doneranno realmente ciò che il tempo presente non gli concederà mai.

Già qui potremmo dire che i critici più duri della chiesa, nel nostro tempo, si nutrono sotto sotto proprio di questo sogno e, siccome lo trovano deludente, sbattono la porta di casa in faccia e lo denunziano come ingannatore.

Ma facciamo un passo indietro: la santità della chiesa sta in quel potere di santificazione che Dio esercita in essa malgrado la peccaminosità umana. C’imbattiamo qui nella caratteristica propria della ‘Nuova Alleanza’: in Cristo, Dio si è spontaneamente legato agli uomini, si è lasciato legare da loro.
La Nuova Alleanza non poggia più sulla mutua osservanza del patto stipulato, ma viene invece donata da Dio come grazia che permane anche a dispetto dell’infedeltà dell’uomo.
E’ l’espressione dell’amore di Dio, che non si lascia vincere dall’incapacità dell’uomo. Dio continua, nonostante tutto, a essere buono con lui, non cessa di accoglierlo, proprio in quanto peccatore, si volge verso di lui, lo santifica e lo ama.
In virtù del dono del Signore, mai ritrattato, la chiesa continua ad essere quella che egli ha santificato, in cui la santità del Signore si rende presente fra gli uomini. Ma è sempre realmente la santità del Signore che si fa qui presente e che si sceglie continuamente come contenitore della sua presenza, con amore paradossale, anche e proprio le sporche mani degli uomini. E’ santità che risplende come santità di Cristo in mezzo al peccato della chiesa.
Questa è la figura paradossale della chiesa, nella quale il divino si presenta così spesso in mani indegne, nella quale il divino è sempre presente solo nella forma del ‘nonostante tutto’, per i fedeli un segno del ‘nonostante tutto’ dell’amore di Dio, sempre più grande.

Lo sconcertante intreccio di fedeltà di Dio e infedeltà dell’uomo, che caratterizza la struttura della chiesa, è per così dire la drammatica figura della grazia, tramite la quale la realtà della grazia si rende di continuo visibilmente presente nella storia, come concessione della grazia a chi è per sé indegno.

Di conseguenza, si potrebbe dire addirittura che la chiesa, proprio nella sua paradossale struttura di santità e di miseria, sia la figura della grazia in questo mondo.

Facciamo ancora un passo avanti. Nel sogno umano di un mondo salvato la santità viene immaginata come un non essere toccati dal peccato e dal male, un non mescolarsi con esso; a questo riguardo continua in certo qual modo un pensiero secondo lo schema bianco-nero, che esclude e rigetta inesorabilmente la relativa forma del negativo (che logicamente può venire intesa in maniera assai diversa). Nell’odierna critica della società e nelle azioni in cui essa sfocia questo tratto spietato, che molto spesso contraddistingue gi ideali umani, è anche troppo evidente.

Ciò che veniva percepito come scandaloso della santità di Cristo, già agli occhi dei suoi contemporanei, era perciò il fatto che a essa mancava del tutto questo aspetto di giudizio: il fatto che né faceva cadere fuoco su chi era indegno, né veniva permesso agli zelanti di strappare dal campo la zizzania che vi vedevano crescere.

Al contrario, questa santità si manifestava proprio come mescolarsi con i peccatori, che Gesù attirava a sé; un mescolarsi fino al punto di farsi egli stesso ‘peccato’, accettando la maledizione della legge nel supplizio capitale: piena comunanza di destino coi perduti (cfr 2Cor 5,21; Gal 3,13). Egli ha preso su di sé il peccato, se ne è fatto carico, rivelando così che cosa sia la vera ‘santità’: non separazione, bensì unificazione; non giudizio, bensì amore redentivi.
Orbene, la chiesa non è forse semplicemente la prosecuzione di questo abbandonarsi di Dio alla miseria umana? Non è forse la continuazione della comunione di mensa di Gesù con i peccatori, del suo mescolarsi con la povertà del peccato, tanto da sembrare addirittura di affondare in esso? Nella santità della chiesa, ben poco santa rispetto all’aspettativa umana di assoluta purezza, non si rivela forse la vera santità di Dio che è amore, amore però che non si tiene arroccato nel nobile distacco dell’intangibile purezza, ma si mescola con la sporcizia del mondo per così ripulirla?

Tenendo presente questo, la santità della chiesa può mai essere qualcosa di diverso dal portare gli uni i pesi degli altri, che ovviamente scaturisce per tutti dal fatto che tutti vengono sorretti da Cristo?

Lo ammetto: per me, proprio la santità ben poco santa della chiesa ha in sé qualcosa di infinitamente consolante.
Infatti, non ci si dovrebbe forse scoraggiare di fronte a una santità senza macchia alcuna, che su di noi avesse solo l’effetto di giudicare e bruciare?


E chi mai potrebbe affermare di non aver bisogno di essere sopportato, anzi sorretto dagli altri? Ora, come potrebbe rifiutare di sopportare uno che vive perché sopportato da parte degli altri? Questo non è forse l’unico contraccambio che egli può offrire, l’unica consolazione che gli resta, il fatto che sopporti così come egli stesso viene sopportato? La santità nella chiesa comincia col sopportare e conduce al sorreggere; qualora, però, il sopportare venga meno, cessa anche il sorreggere e, l’esistenza privata di sostegno, finisce per precipitare nel vuoto.
Si può tranquillamente affermare che in queste parole si esprime un’esistenza debole, ma essere cristiani comporta accettare l’impossibilità dell’autarchia e la propria debolezza.

In fondo, è sempre all’opera un malcelato orgoglio quando la critica alla chiesa assume quel tono di aspra amarezza che oggi incomincia ormai a diventare un gergo usuale.
A essa, purtroppo, si aggiunge poi sin troppo sovente un vuoto spirituale, in cui non si scorge assolutamente più lo specifico della chiesa, sicchè essa viene considerata soltanto come una formazione politica che persegue i suoi interessi e se ne percepisce l’organizzazione come miseranda o brutale, quasi che la peculiarità della chiesa non stia oltre l’organizzazione, nella consolazione della parola e dei sacramenti che essa assicura nei giorni lieti e tristi.
I veri credenti non danno mai eccessivo peso alla lotta per la riorganizzazione delle forme ecclesiali.
Essi vivono di ciò che la chiesa è sempre.

E se si vuole sapere che cosa realmente sia la chiesa, bisogna andare da loro. La chiesa, infatti, non è per lo più là dove si organizza, si riforma, si dirige, bensì è presente in coloro che credono con semplicità, ricevendo in essa il dono della fede che diviene per loro fonte di vita.

Solo chi ha sperimentato come la chiesa , al di là del mutare dei suoi servitori e delle sue forme, dia coraggio alle persone, offrendo loro una patria e una speranza, una patria che è speranza, vale a dire una vita che conduce alla vita eterna, solo costui sa che cosa sia la chiesa, in passato e anche oggi.

Ciò non vuol dire che bisogna lasciare sempre tutto così com’è e sopportarlo così com’è.

Il sopportare può essere anche un processo altamente attivo, un lottare per far sì che la chiesa diventi sempre più lei stessa capace di sorreggere e sopportare.

La chiesa, infatti, non vive che in noi, vive della lotta di chi non è santo per la santità, come del resto tale lotta vive, a sua volta, del dono di Dio, senza il quale non sarebbe nemmeno possibile.
Ma la lotta risulterà fruttuosa, costruttiva, soltanto se sarà animata dallo spirito del sopportare, da un autentico e reale amore.
Eccoci così arrivati anche al criterio al quale deve sempre commisurarsi la lotta critica per una migliore santità: questa lotta non solo non è in contrasto con il sopportare , ma è da esso esigita.
Questo criterio è il costruire.
Una critica amara, capace solo di distruggere, si condanna da sé.

Una porta violentemente sbattuta può si essere un segnale che scuote coloro che sono dentro, ma l’illusione che nell’isolamento si possa costruire di più che attraverso la collaborazione è appunto un’illusione, esattamente come l’idea di una chiesa dei ‘santi’ invece di una ‘chiesa santa’, la quale è santa perché il Signore elargisce in essa il dono della santità, senza alcun merito da parte nostra.
Siamo così giunti all’altro aggettivo con cui il Credo qualifica la chiesa: esso la chiama ‘cattolica’. Le sfumature di significato assunte da questa parola, nel lungo cammino percorso dalle sue origini a oggi, sono molteplici.
Tuttavia, un’idea fondamentale è documentabile, sin dal principio, come determinante: con questa parola si allude all’unità della chiesa in un duplice senso.
Innanzitutto, ci si riferisce all’unità di luogo: solamente la comunità unita al vescovo è ‘chiesa cattolica’, non i gruppi parziali che, per qualsiasi motivo, se ne sono staccati.

In secondo luogo, è qui richiamata l’unità delle chiese locali fra loro, le quali non possono rinchiudersi in se stesse, ma possono rimanere chiesa solo mantenendosi aperte l’una verso l’altra, formando un’unica chiesa nella comune testimonianza della Parola e nella comunione della mensa eucaristica , che è aperta a tutti in ogni luogo.

Nelle antiche spiegazioni del Credo, la chiesa ‘cattolica’ viene contrapposta a quelle “chiese che sussistono soltanto nelle loro rispettive province”, contraddicendo così la vera natura della chiesa.
Come si vede, nell’aggettivo ‘cattolica’ si esprime la struttura episcopale della chiesa e la necessità dell’unità di tutti i vescovi fra loro; il Simbolo non contiene alcuna allusione alla cristallizzazione di questa unità nella sede episcopale di Roma... Sarebbe senz’altro sbagliato dedurne che un tale orientamento per l’unità rappresenti solo uno sviluppo secondario.
A Roma, dove il nostro Simbolo si è formato, quest’idea è stata subito sottintesa come ovvia. Esatto è, però, che questa affermazione non va annoverata fra gli elementi primari del concetto di chiesa e non può nemmeno pretendere di rappresentare la sua genuina base di costruzione.
Elementi fondamentali della chiesa appaiono piuttosto il perdono, la conversione, la penitenza, la comunione eucaristica e, a partire da questa, la pluralità e l’unità: pluralità delle chiese locali, che però restano chiesa unicamente tramite il loro inserimento nell’organismo dell’unica chiesa.
Quale contenuto dell’unità sono fondamentali innanzitutto la Parola e il Sacramento: la chiesa forma un tutto unico grazie all’unica Parola e all’unico Pane. La costituzione episcopale compare sullo sfondo come un mezzo di questa unità. Essa non esiste per se stessa, ma rientra nella categoria dei mezzi; la sua posizione può essere sintetizzata con la preposizione ‘per’: serve alla realizzazione dell’unità delle chiese locali, in esse e fra di loro.
Un ulteriore stadio, sempre nell’ordine dei mezzi, sarà poi costituito dal servizio del vescovo di Roma.
Una cosa è chiara: la chiesa non va pensata partendo dalla sua organizzazione, ma è l’organizzazione che va compresa partendo dalla chiesa.
Tuttavia è al contempo chiaro che, per la chiesa visibile, l’unità visibile è qualcosa di più della semplice ‘organizzazione’.
La concreta unità della fede comune, che si manifesta nella Parola, e della comune mensa di Gesù Cristo costituisce essenzialmente il segno che la chiesa deve elevare nel mondo.

Solo in quanto ‘cattolica’, ossia visibilmente una pur nella molteplicità, essa corrisponde a quanto richiede il Simbolo.

Nel mondo dilaniato e diviso la chiesa deve essere segno e strumento di unità, deve superare barriere e riunire nazioni, razze e classi.

Sino a che punto anche in questo compito essa sia venuta meno, lo sappiamo assai bene: già nell’antichità le riuscì oltremodo difficile essere al contempo chiesa dei barbari e dei romani, nell’evo moderno non è stata in grado di impedire il conflitto fra le nazioni cristiane, e ai nostri giorni non riesce a conciliare fra loro ricchi e poveri, in modo che il superfluo degli uni possa saziare gli altri. Sicchè il segno della comunione di mensa rimane ampiamente incompiuto.
Eppure, nonostante tutto, non si può nemmeno qui disconoscere quali decisi imperativi abbia continuato a generare la rivendicazione della cattolicità; invece di limitarci a denigrare il passato, dovremmo soprattutto mostrarci pronti ad accogliere l’appello del presente, cercando di non limitarci a confessare la cattolicità nel Credo, ma di realizzarla nella vita del nostro mondo dilaniato
.

Da
Joseph Ratzinger, "Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul Simbolo apostolico", Edizioni Queriniana 2005


Caterina63
00giovedì 6 maggio 2010 22:59

Credo la Santa Chiesa Cattolica

                           Credo la Santa Chiesa Cattolica thumbnail
By Redazione
Published: maggio 6, 2010

La santità della Chiesa sta in quel potere di santificazione che Dio esercita malgrado la peccaminosità umana. Ci imbattiamo qui nella caratteristica propria della Nuova Alleanza: in Cristo, Dio si è spontaneamente legato agli uomini, si è lasciato legare da loro. La Nuova Alleanza non poggia più sulla mutua osservanza di un patto, ma viene invece donata da Dio come grazia, che permane anche a dispetto dell’infedeltà dell’uomo. Dio continua, nonostante tutto, a essere buono con lui, non cessa di accoglierlo proprio in quanto peccatore, si volge verso di lui, lo santifica e lo ama.


In virtù del dono del Signore, mai ritrattato, la Chiesa continua a essere quella che egli ha santificato, in cui la santità del Signore si rende presente tra gli uomini. Ma è sempre realmente la santità del Signore che si fa qui presente, e sceglie anche e proprio le sporche mani degli uomini come contenitore della sua presenza. Questa è la figura paradossale della Chiesa, nella quale il divino si presenta così spesso in mani indegne. [...] Lo sconcertante intreccio di fedeltà di Dio e infedeltà dell’uomo, che caratterizza la struttura della Chiesa, è la drammatica figura della grazia. [...] Si potrebbe dire addirittura che la Chiesa, proprio nella sua paradossale struttura di santità e di miseria, sia la figura della grazia in questo mondo.

Invece, nel sogno umano di un mondo salvato, la santità viene immaginata come un non essere toccati dal peccato e dal male, un non mescolarsi con esso. [...] Nell’odierna critica della società e nelle azioni in cui essa sfocia, questo tratto spietato, che molto spesso contraddistingue gli ideali umani, è anche troppo evidente. Ciò che veniva percepito come scandaloso della santità di Cristo, già agli occhi dei suoi contemporanei, era proprio il fatto che ad essa mancava del tutto questo aspetto di condanna: il fatto che egli non faceva scendere il fuoco su chi era indegno, né permetteva agli zelanti di strappare dal campo la zizzania che vi vedevano crescere. Al contrario, la santità di Gesù si manifestava proprio come mescolarsi con i peccatori, che egli attirava a sé; un mescolarsi fina al punto di farsi egli stesso “peccato”, accettando la maledizione della legge nel supplizio capitale: piena comunanza di destino con i perduti (cfr. 2 Corinzi 5, 21; Galati 3, 13). Egli ha preso su di sé il peccato, se ne è fatto carico, rivelando così che cosa sia la vera santità: non separazione ma unificazione; non giudizio ma amore redentivo.

Ebbene, la Chiesa non è forse semplicemente la prosecuzione di questo abbandonarsi di Dio alla miseria umana? Non è forse la continuazione della comunione di mensa di Gesù con i peccatori, del suo mescolarsi con la povertà del peccato, tanto da sembrare addirittura di affondare in esso? Nella santità della Chiesa, ben poco santa rispetto all’aspettativa umana di assoluta purezza, non si rivela forse la vera santità di Dio che è amore, amore però che non si tiene arroccato nel nobile distacco dell’intangibile purezza, ma si mescola con la sporcizia del mondo per così ripulirla? Tenendo presente questo, la santità della Chiesa può mai essere qualcosa di diverso dal portare gli uni i pesi degli altri, che ovviamente scaturisce per tutti dal fatto che tutti vengono sorretti da Cristo? [...]

In fondo, è sempre all’opera un malcelato orgoglio quando la critica alla Chiesa assume quel tono di aspra amarezza che oggi incomincia ormai a diventare un gergo usuale. A essa, purtroppo, si aggiunge poi sin troppo sovente un vuoto spirituale, in cui non si scorge assolutamente più lo specifico della Chiesa, sicché essa viene considerata soltanto come una formazione politica che persegue i suoi interessi, e se ne percepisce l’organizzazione come miseranda o brutale, quasi che la peculiarità della Chiesa non stia oltre l’organizzazione: nella consolazione della Parola di Dio e dei sacramenti che essa assicura nei giorni lieti e tristi. I veri credenti non danno mai eccessivo peso alla lotta per la riorganizzazione delle forme ecclesiali. essi vivono di ciò che la Chiesa è sempre. E se si vuole sapere che cosa sia realmente la Chiesa, bisogna andare da loro. La Chiesa, infatti, non è per lo più là dove si organizza, si riforma, si dirige, bensì è presente in coloro che credono con semplicità, ricevendo in essa il dono della fede, che diviene per loro fonte di vita. [...]

Ciò non vuol dire che bisogna lasciare sempre tutto così com’è e sopportarlo così com’è. Il sopportare può essere anche un processo altamente attivo, un lottare per far sì che la Chiesa sempre più diventi essa stessa capace di sorreggere e sopportare. La Chiesa, infatti, non vive che in noi, vive della lotta di chi non è santo per la santità, come del resto tale lotta vive, a sua volta, del dono di Dio, senza il quale non sarebbe nemmeno possibile. Ma la lotta risulterà fruttuosa, costruttiva, soltanto se sarà animata dallo spirito del sopportare, da un autentico e reale amore.

Eccoci così arrivati anche al criterio al quale deve sempre commisurarsi la lotta critica per una migliore santità: questa lotta non solo non è in contrasto con il sopportare, ma è da esso esigita. Questo criterio è il costruire. Una critica amara, capace solo di distruggere, si condanna da sé.

Una porta violentemente sbattuta può sì essere un segnale che scuote coloro che sono dentro, ma l’illusione che si possa costruire più nell’isolamento che attraverso la collaborazione è appunto un’illusione, esattamente come l’idea di una Chiesa “dei santi” invece di una Chiesa “santa”, la quale è santa perché il Signore elargisce in essa il dono della santità, senza alcun merito da parte nostra. 

Joseph Ratzinger

chiesa.espressonline.it


***


Vedi anche J. Ratzinger, “La chiesa non è per lo più là dove si organizza, si riforma, si dirige, bensì è presente in coloro che credono con semplicità”, 1968 in “Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul Simbolo apostolico“, Ed. Queriniana, Brescia 2005.

Caterina63
00sabato 18 giugno 2011 00:25
[SM=g1740722]

PRIMA DELL'EPILOGO SINODALE, LA PAROLA A RATZINGER: «ECCO I PADRI CHE TOLGONO I PECCATI DEL MONDO»

da «Una compagnia sempre riformanda», discorso tenuto dal cardinale Joseph Ratzinger al Meeting di Rimini del 1990


Ratzinger, Meeting di Rimini 1990//Discorso di Sua Eminenza il Card. Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

"Gli sbarramenti che la Chiesa innalza si presentano quindi come doppiamente pesanti, poiché penetrano fin nella sfera più personale e più intima. Le norme di vita della Chiesa sono infatti ben di più che una specie di regole del traffico, affinché la convivenza umana eviti il più possibile gli scontri. Esse riguardano il mio cammino interiore, e mi dicono come devo comprendere e configurare la mia libertà. Esse esigono da me decisioni, che non si possono prendere senza il dolore della rinuncia. Non si vuole forse negarci i frutti più belli del giardino della vita? Non è forse vero che con la ristrettezza di così tanti comandi e divieti ci viene sbarrata la strada di un orizzonte aperto? E il pensiero, non viene forse ostacolato nella sua grandezza, come pure la volontà? Non deve forse la liberazione essere necessariamente l'uscita da una simile tutela spirituale? E l'unica vera riforma, non sarebbe forse quella di respingere tutto ciò? Ma allora cosa rimane ancora di questa compagnia?

L'amarezza contro la Chiesa ha però anche un motivo specifico. Infatti, in mezzo ad un mondo governato da dura disciplina e da inesorabili costrizioni, si leva verso la Chiesa ancora e sempre una silenziosa speranza: essa potrebbe rappresentare in tutto ciò come una piccola isola di vita migliore, una piccola oasi di libertà, in cui di tanto in tanto ci si può ritirare. "


il testo è il primo che trovate in questo thread [SM=g1740733]


«Là dove il perdono, il vero perdono pieno di efficacia, non viene riconosciuto o non vi si crede, la morale deve venir tratteggiata in modo tale che le condizioni del peccare per il singolo uomo non possano mai propriamente verificarsi.
A grandi linee si può dire che l’odierna discussione morale tende a liberare gli uomini dalla colpa, facendo sì che non subentrino mai le condizioni della sua possibilità. Viene in mente la mordace frase di Pascal: “Ecce patres, qui tollunt peccata mundi”! Ecco i padri, che tolgono i peccati del mondo. Secondo questi “moralisti”, non c’è semplicemente più alcuna colpa. Naturalmente, tuttavia, questa maniera di liberare il mondo dalla colpa è troppo a buon mercato. Dentro di loro, gli uomini così liberati sanno assai bene che tutto questo non è vero, che il peccato c’è, che essi stessi sono peccatori e che deve pur esserci una maniera effettiva di superare il peccato.

Anche Gesù stesso non chiama infatti coloro che si sono già liberati da sé e che perciò, come essi ritengono, non hanno bisogno di lui, ma chiama invece coloro che si sanno peccatori e che perciò hanno bisogno di lui. La morale conserva la sua serietà solamente se c’è il perdono, un perdono reale, efficace; altrimenti essa ricade nel puro e vuoto condizionale. Ma il vero perdono c’è solo se c’è il “prezzo d’acquisto”, l’“equivalente nello scambio”, se la colpa è stata espiata, se esiste l’espiazione. La circolarità che esiste tra “morale-perdono-espiazione” non può essere spezzata; se manca un elemento cade anche tutto il resto.

E proprio per la circolarità tra “morale-perdono-espiazione”, pur nella difficoltà di comunicare, ricorda che alla Chiesa non basta rimettere tutto alla giustizia terrena, perché il proprio della Chiesa è l’ordine della grazia, che va al di là della legge, e significa “fare penitenza, riconoscere ciò che si è sbagliato, aprirsi al perdono, lasciarsi trasformare”».

www.youtube.com/watch?v=DAfBfpOSIok

sopra troverete il testo integrale










[SM=g1740736]

Caterina63
00sabato 2 luglio 2011 20:05

Il Papa: Vediamo che realmente la Parola di Dio ha creato un popolo, una comunità, ha creato una comune gioia, un pellegrinaggio comune verso il Signore. L’essere Chiesa quindi non viene solo da una forza organizzativa nostra, umana, ma trova la sua sorgente e il suo vero significato nella comunione d’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: questo amore eterno è la fonte dalla quale viene la Chiesa e la Trinità Santissima è il modello di unità nella diversità e genera e plasma la Chiesa come mistero di comunione

UDIENZA AI PARTECIPANTI AL PELLEGRINAGGIO DELLA DIOCESI DI ALTAMURA-GRAVINA-ACQUAVIVA DELLE FONTI (ITALIA), 02.07.2011

Alle ore 12 di questa mattina, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti al Pellegrinaggio della Diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti (Italia) e rivolge loro il discorso che pubblichiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Eccellenza,
Cari fratelli e sorelle!

Sono realmente lieto di accogliervi così numerosi e pieni dell’entusiasmo della fede. Grazie a voi! Ringrazio il Vescovo Mons. Mario Paciello per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti. Saluto le Autorità civili, i Sacerdoti, i Religiosi e le Religiose, i Seminaristi e ciascuno di voi, estendendo il mio pensiero e il mio affetto alla vostra Comunità diocesana, in particolare a coloro che vivono situazioni di sofferenza e di disagio. Sono grato al Signore perché la vostra visita mi offre la possibilità di condividere un momento del cammino sinodale della Chiesa che è in Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti. Il Sinodo è un evento che fa vivere concretamente l’esperienza di essere "Popolo di Dio" in cammino, di essere Chiesa, comunità pellegrina nella storia verso il suo compimento escatologico in Dio. Questo significa riconoscere che la Chiesa non possiede in se stessa il principio vitale, ma dipende da Cristo, di cui è segno e strumento efficace. Nella relazione con il Signore Gesù essa trova la propria identità più profonda: essere dono di Dio all’umanità, prolungando la presenza e l’opera di salvezza del Figlio di Dio per mezzo dello Spirito Santo. In quest’orizzonte comprendiamo che la Chiesa è essenzialmente un mistero d’amore a servizio dell’umanità in vista della sua santificazione. Il Concilio Vaticano II ha affermato su questo punto: "Piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e santamente lo servisse" (Lumen gentium n. 9).

Vediamo qui che realmente la Parola di Dio ha creato un popolo, una comunità, ha creato una comune gioia, un pellegrinaggio comune verso il Signore. L’essere Chiesa quindi non viene solo da una forza organizzativa nostra, umana, ma trova la sua sorgente e il suo vero significato nella comunione d’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: questo amore eterno è la fonte dalla quale viene la Chiesa e la Trinità Santissima è il modello di unità nella diversità e genera e plasma la Chiesa come mistero di comunione.

È necessario ripartire sempre e in modo nuovo da questa verità per comprendere e vivere più intensamente l’essere Chiesa, "Popolo di Dio", "Corpo di Cristo", "Comunione". Altrimenti si corre il rischio di ridurre il tutto ad una dimensione orizzontale, che snatura l’identità della Chiesa e l’annuncio della fede e farebbe più povera la nostra vita e la vita della Chiesa. E’ importante sottolineare che la Chiesa non è un’organizzazione sociale, filantropica, come ve ne sono molte: essa è la Comunità di Dio, è la Comunità che crede, che ama, che adora il Signore Gesù e apre le "vele" al soffio dello Spirito Santo, e per questo è una Comunità capace di evangelizzare e di umanizzare. La relazione profonda con Cristo, vissuta e alimentata dalla Parola e dall’Eucaristia, rende efficace l’annuncio, motiva l’impegno per la catechesi e anima la testimonianza della carità.

Molti uomini e donne del nostro tempo hanno bisogno di incontrare il Dio, di incontrare Cristo o di riscoprire la bellezza del Dio vicino, del Dio che in Gesù Cristo ha mostrato il suo volto di Padre e chiama a riconoscere il senso e il valore dell’esistenza. Far capire che è bene vivere da uomo. L’attuale momento storico è segnato, lo sappiamo, da luci e ombre. Assistiamo ad atteggiamenti complessi: ripiegamento su se stessi, narcisismo, desiderio di possesso e di consumo, sentimenti e affetti slegati dalla responsabilità. Tante sono le cause di questo disorientamento, che si manifesta in un profondo disagio esistenziale, ma al fondo di tutto si può intravedere la negazione della dimensione trascendente dell’uomo e della relazione fondante con Dio. Per questo è decisivo che le comunità cristiane promuovano percorsi validi e impegnativi di fede.

Cari amici, particolare attenzione va posta al modo di considerare l’educazione alla vita cristiana, affinché ogni persona possa compiere un autentico cammino di fede, attraverso le diverse età della vita; un cammino nel quale – come la Vergine Maria – la persona accoglie profondamente la Parola di Dio e la mette in pratica, diventando testimone del Vangelo. Il Concilio Vaticano II, nella Dichiarazione Gravissimum educationis, afferma: "L’educazione cristiana tende soprattutto a far sì che i battezzati, iniziati gradualmente alla conoscenza del mistero della salvezza, prendano sempre maggiore coscienza del dono della fede, che hanno ricevuto…si preparino a vivere la propria vita secondo l’uomo nuovo, nella giustizia e nella santità della verità" (n. 2). In questo impegno educativo la famiglia resta la prima responsabile. Cari genitori, siate i primi testimoni della fede! Non abbiate paura delle difficoltà in mezzo alle quali siete chiamati a realizzare la vostra missione. Non siete soli! La comunità cristiana vi sta vicino e vi sostiene. La catechesi accompagna i vostri figli nella loro crescita umana e spirituale, ma essa va considerata come una formazione permanente, non limitata alla preparazione per ricevere i Sacramenti; dobbiamo in tutta la nostra vita crescere nella conoscenza di Dio, così nella conoscenza di che cosa significhi essere un uomo. Sappiate attingere sempre forza e luce dalla Liturgia: la partecipazione alla Celebrazione eucaristica nel Giorno del Signore è decisiva per la famiglia, per l’intera Comunità, è la struttura del nostro tempo.

Ricordiamo sempre che nei Sacramenti, soprattutto nell’Eucaristia, il Signore Gesù opera per la trasformazione degli uomini assimilandoci a Sé. E’ proprio grazie all’incontro con Cristo, alla comunione con Lui, che la comunità cristiana può testimoniare la comunione, aprendosi al servizio, accogliendo i poveri e gli ultimi, riconoscendo il volto di Dio nell’ammalato e in ogni bisognoso. Vi invito, quindi, partendo dal contatto con il Signore nella preghiera quotidiana e soprattutto nell’Eucaristia, a valorizzare in modo adeguato le proposte educative e i percorsi di volontariato esistenti in diocesi, per formare persone solidali, aperte e attente alle situazioni di disagio spirituale e materiale. In definitiva, l’azione pastorale deve mirare a formare persone mature nella fede, per vivere in contesti nei quali spesso Dio viene ignorato; persone coerenti con la fede, perché si porti in tutti gli ambienti la luce di Cristo; persone che vivono con gioia la fede, per trasmettere la bellezza di essere cristiani.

Un pensiero speciale desidero rivolgerlo infine a voi, cari sacerdoti. Siate sempre riconoscenti del dono ricevuto, perché possiate servire, con amore e dedizione, il Popolo di Dio affidato alle vostre cure. Annunciate con coraggio e fedeltà il Vangelo, siate testimoni della misericordia di Dio e, guidati dallo Spirito Santo, sappiate indicare la verità, non temendo il dialogo con la cultura e con coloro che sono in ricerca di Dio.

Cari fratelli e sorelle, affidiamo il cammino della vostra Comunità diocesana a Maria Santissima, Madre del Signore e Madre della Chiesa, Madre nostra. In lei contempliamo quello che la Chiesa è ed è chiamata ad essere. Con il suo "sì" ha dato al mondo Gesù ed ora partecipa pienamente della gloria di Dio. Anche noi siamo chiamati a donare il Signore Gesù all’umanità, non dimenticando di essere sempre suoi discepoli. Vi ringrazio ancora molto della vostra bella visita e di tutto cuore vi ringrazio della vostra fede e vi accompagno con la preghiera e imparto a tutti voi e all’intera Diocesi la Benedizione Apostolica.

Pope Benedict  XVI attends an audience to the diocese of Altamura, Gravina, and Aquaviva delle Fonti, at the Paolo VI hall in the Vatican on July 2, 2011.

Pope Benedict  XVI  leaves the Paolo VI hall in the Vatican after an audience in the diocese of Altamura, Gravina, and Aquaviva delle Fonti, on July 2, 2011.Pope Benedict  XVI  leaves after an audience to the diocese of Altamura, Gravina, and Aquaviva delle Fonti, at the Paolo VI hall in the Vatican on July 2, 2011.



Caterina63
00domenica 7 agosto 2011 09:12
La Chiesa e il mondo
Pensieri del beato cardinale J.H.Newman

tratto da "De vita Contemplativa" piccola Rivista mensile per i Monasteri delle Suore Francescane dell'Immacolata - Anno V N.8 Agosto 2011 - per richiedere la Rivista, mandando una offerta, è possibile farlo attraverso:
e-mail francescanecittacastello@interfree.it

L'unico dovere della Santa Chiesa Cattolica è quello di salvare le anime, liberarle dal male, proteggerle, perfezionarle.
Essa tutto subordina alla salvezza dell'anima immortale e preferirebbe - ammonisce il cardinale Newman - " che la terra rovinasse e tutti i suoi milioni di abitanti morissero di fame in estremo spasimo, sempre nell'ordine delle afflizioni terrene, piuttosto che un'anima non dico andasse perduta, ma commettesse un solo peccato veniale".

Pensieri del beato cardinale J.H.Newman

Come il suo Divino Autore, la Chiesa medita, lavora e fatica per l'anima individuale, si occupa e si preoccupa delle anime per le quali è morto il Cristo e ch'Egli le ha affidato.
Il suo scopo supremo, al quale tutto sacrifica, apparenze, reputazione, successo terreno, è di assolvere questa immane tremenda responsabilità. Madre tenerissima, incompresa e mal giudicata dal mondo che la crede, com'esso è, preoccupata sempre e soli di guadagni e successi materiali, la Chiesa invece, proprio per la sua profonda veduta delle cose spirituali e per il suo amore alle Anime, rimane ostacolata e inceppata nelle sue operazioni in questo freddo, arido mondo, luogo del suo soggiorno.
Per essa, il bene ed il male non sono luci ed ombre che si proiettano dall'estremo su questa nostra società, ma sono forze viventi che scaturiscono dalle profondità dell'anima.
Le azioni non sono semplici operazioni o espressioni esteriori, a fatti e a parole, compiute dalla mano o dalla lingua e riverberatisi sopra una sfera d'influenza più o meno estesa, secondo i casi, ma sono i pensieri, i desideri dello spirito e le attuazioni dei suoi propositi.

La Chiesa non mira a dare uno spettacolo, ma a compiere un'opera!
In confronto  del valore di un'anima sola, questo mondo, con tutto ciò ch'esso contiene, le appare come un'ombra, come polvere e cenere e nulla di più.
Essa considera l'azione di questo mondo e l'azione dell'anima assolutamente sproporzionate, osservate nelle loro sfere rispettive.
Preferirebbe salvar l'anima di un solo bandito o dell'infimo dei mendicanti, piuttosto che impiantare cento linee ferroviarie, per quanto utili, o effettuare una vasta riforma igienico-sanitaria, per quanto provvidenziale, a meno che queste grandiose opere sociali non mirassero o tendessero a qualche vantaggio spirituale.

Tale è la Chiesa, o uomini del mondo! Ora la conoscete .
Tale è e tale sarà. Per quanto essa tenda al bene vostro, vi tende a modo suo, secondo le sue vedute, e se voi le opponete resistenza, essa vi sfida.

Si trovi in miseria, o in auge, sia essa in  cenci o in vesti suntuose, in portamento dimesso o tra le raffinatezze e gli onori, essa ha una missione da compiere, e la compirà, per mezzo d' intelligenze incolte o attraverso tutti i doni della Grazia e dell'intelletto.
Non vogliamo dire che in realtà la Chiesa non sia anche la sorgente d'innumerevoli benefici temporali e morali per voi, la storia dei secoli lo attesta; ma essa non promette nulla in quel campo. Fu mandata a cercare le anime smarrite, è quello il suo scopo principale, e lo perseguirà, a qualunque costo.
(...)
Vorrei dire questo solo al mondo:
tenete per voi le vostre teorie, non imponetele ovunque ai figli di Adamo, non misurate il Cielo e la terra con le vostre vedute chiuse e ristrette che non potranno mai essere cattoliche.
I vostri sistemi sono forse più pratici e certo più commerciali, ma noi lavoriamo in modo infinitamente più umano e benefico.

Alla povertà umana noi andiamo come gli Angeli di Dio, voi come poliziotti.

Guardate i vostri ricoveri di mendicità, manicomi, ospedali, prigioni; come sono perfetti esternamente! Quale abilità e ingegnosità si rivelano nella loro struttura, nella loro organizzazione economica e amministrativa! Il loro aspetto è così ordinato, bello e decoroso, che richiama alla mente ciò che Nostro Signore ebbe a dire dei "sepolcri dei morti".
Si, hanno davvero tutto quello che il mondo può dare: tutto, fuorchè la vita, tutto, fuorchè un cuore.
Voi sapete inchiodare una bara, sapete chiudere una tomba, siete gli impresari funebri della natura umana, ma non sapete fabbricarle una Casa che sia focolare e Patria. Voi non potete nutrirla veramente, né risanarla: essa giace come Lazzaro, e coperta di piaghe.
La vedete ansante e languente per tante pene e privazioni, e voi danzate e cantate per lei, le mostrate le immagini dei vostri libri, le date spettacolo coi vostri serragli o col lancio dei vostri fuochi d'artifizio.

O filosofi superficiali! questo modo d'agire è forse avvincente e persuasivo che dobbiamo imitarlo noi pure?
Mi direte che lo stato politico e sociale delle nazioni cattoliche è inferiore a quello di nazioni protestanti.
Io risponderò che, quand'anche voi lo dimostraste, vi resterebbe altro ancora da provare: che, cioè (se questo è un argomento a favore della vostra tesi) il grado massimo di prosperità civile o di espansione politica sia proprio la garanzia più sicura della Grazia e la vera misura della salvezza.


Caterina63
00martedì 25 settembre 2012 21:14

La Nuova Evangelizzazione e l'Anno della Fede passano anche attraverso un buon catechismo. Un parroco si inventa un "giuramento cattolico" per i suoi catechisti

Ci scrive don Pierangelo Rigon, della Parrocchia di San Pancrazio di Ancignano (a Sandrigo, Vi) che ci invia una sorta di "giuramento cattolico" che egli da quest'anno propone (e non impone, -per ora?-) da firmare alle catechiste all'atto del conferimento dell'incarico.
L'iniziativa è lodevole, viste le condizioni in cui versano il catechismo e le modalità di insegnamento (relativizzato) della dottrina cattolica ai fanciulli.

Il contenuto poi è curato, serio e completo: impegno a rispettare la dottrina della Chiesa Cattolica e a dare l'esempio con la preghiera e la frequentazione delle SS. Messe in parrocchia.

Fin ora solo alcune catechieste hanno firmato... (e le altre? cosa non piace loro? il punto 2 o gli altri?).
Il parrocco ci ha dato la facoltà di pubblicare quest "accettazione di incarico di catechiesta" (equivalente un po' al giuramento dei sacerdoti-vescovi per l'assunzione degli uffici ecclesiastici) per dare l'esempio ed esortare i suoi confratelli, se non proprio a fare firmare una dichiarazione come la seguente, ma almeno a ricordare loro di vigilare sui catechisti e sull'insegnamento del catechismo (quello della Chiesa, e non quello personale del catechista) ai ragazzi.

Ci piace la coincidenza dell'inaugurazione di questo "Giuramento/impegno" per  l'anno pastorale 2012-2013 con l'inizio dell'anno della Fede. Anche da qui passa la Nuova Evangelizzazione. Se finalmente si tornerà a insegnare ai ragazzi la Dottrina Cattolica trasmessa e e insegnata dalla Chiesa (e non opinioni personali, punti di vista ecc...), si ricomincerà a trasmettere i veri valori del cattolicesimo (da applicare anche nella scuola, in famiglia, società, nel lavoro ecc) e i ragazzi se li porteranno dietro crescendo. E' il primo passo, forse piccolo ma bisognava pur farlo. Bravo don Pierangelo. Bella idea! Speriamo altri sacerdoti seguano l'esempio.

Ma quando si ritornerà a: Domanda - "Chi è Dio?"; Risposta - "Dio è l'Essere perfettissimo, Creatore e Signore del cielo e della terra". ?
 
Prendiamo in prestito un bel commento che ha lasciato un lettore sul "giuramento" seguente. Vale la pena proporlo a tutti i lettori perchè con poche ma chiare parole tesse un bell'elogio (schietto ma non melenso) al testo di don Rigon.
Spero non ce ne voglia per il plagio.
"Il testo proposto non è semplicemente rigoroso, ma anche umano e, direi, qualcosa di più: espressione di carità. Sono perfino previsti i contrasti " affrontando eventuali difficoltà nello stile della carità e della franchezza evangelica" ( secondo quanto indicato nel "Discorso della Montagna" ). Ci sono termini e concetti che il "neoclericalese" sembrava non contemplare più: "UMILE ossequio della mente e del CUORE": "e per l'EDIFICAZIONE nella fede". Da notare anche l'impegno alla preparazione con la preghiera e CON LO STUDIO ( indice della più grande serietà ). Tutto il testo indica un insieme di solidità, delicatezza, spiritualità. Insomma, c'è buona e santa stoffa."
 
***
ACCETTAZIONE DEL MINISTERO DI CATECHISTA
 PER L’ANNO 2012 – 2013

Nella piena consapevolezza di quanto comporta il servizio di catechista che la Chiesa Cattolica mi affida tramite il parroco, accetto liberamente questo compito, impegnandomi in particolare:
- a prepararmi convenientemente con la preghiera e lo studio personale e intervenendo agli incontri formativi proposti in Parrocchia o fuori di essa;
- ad insegnare e trasmettere, in materia di fede e di morale, non mie opinioni personali, o quelle che sento comunemente circolare, ma soltanto ciò che la Chiesa Cattolica insegna e trasmette e che io accetto con umile ossequio della mente e del cuore;
- a dare buon esempio di vita cristiana con la parola, con il comportamento, con la partecipazione all’Eucaristia domenicale, per quanto possibile nella propria Comunità Parrocchiale;
- a collaborare con il sacerdote e gli altri catechisti, affrontando eventuali difficoltà nello stile della carità e della franchezza evangelica, solo ed esclusivamente per il bene dei ragazzi a me affidati e per l’edificazione nella fede dell’intera Comunità;

Nel presente Anno Catechistico - Pastorale seguirò i ragazzi di _____________________   (indicare la classe)

_____________________________ (firma leggibile)


* * *
DICHIARAZIONE DEL SACERDOTE RESPONSABILE DELLA COMUNITÀ PARROCCHIALE DI ANCIGNANO

Preso atto di questa disponibilità, conferisco il ministero di catechista a ______________________

per l’anno ____________________ e m’impegno a sostenerlo/a con la preghiera, il consiglio, la formazione individuale e collettiva.
Che Dio ci aiuti!
 _____________________________________________  (firma del parroco e timbro parrocchiale)

 Ancignano, li _________________________


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