Notizie dalla Chiesa Cattolica da Cuba al Sud-America

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Caterina63
00lunedì 15 marzo 2010 12:31

Nicaragua: una Chiesa nel pantano (parte I)


Intervista al Vescovo ausiliario David Zywiec di Bluefields


BLUEFIELDS, Nicaragua, lunedì, 15 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il Nicaragua è stato devastato dalla guerra civile, dalle dittature e dalle catastrofi naturali. Oggi è uno dei Paesi più poveri del mondo occidentale.

Il francescano David Zywiec è il Vescovo ausiliario del Vicariato di Bluefields, e la sua giurisdizione abbraccia quasi l’intera metà orientale del Paese, compresa l’area nota come la Mosquito Coast.

Il presule di 62 anni, originario di East Chicago, nell’Indiana, ha recentemente parlato della vita della Chiesa in Nicaragua, al programma televisivo “Where God Weeps”, gestito da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre.

Ci può spiegare come un polacco-americano possa essere finito a Bluefields, nel Nicaragua?

Mons. Zywiec: Furono i miei nonni ad attraversare l’oceano, circa 100 anni fa, partendo dalla Polonia. Personalmente, sono diventato prete attratto dai francescani cappuccini, che mi sembravano un gruppo molto felice.

Sono andato in seminario e dopo aver ascoltato i racconti sulle loro missioni in Nicaragua mi sono offerto volontario. I miei superiori mi hanno risposto dicendo: “Abbiamo bisogno che tu vada lì”. Sono stato ordinato nel giugno del 1974, e nel gennaio dell’anno seguente ero già in Nicaragua.

Qual è stata la sua prima impressione al suo arrivo?

Mons. Zywiec: Quando sono arrivato ero un po’ sorpreso. Sono andato con un mio compagno di classe, guidando una jeep che era stata donata e che dovevamo portare in Nicaragua. Pensavo che avremmo ricevuto una specie di benvenuto da eroi.

Ma il fatto è che circa una settimana prima del nostro arrivo vi era stato un rapimento e il Presidente aveva imposto nel Paese la legge marziale e il coprifuoco. Noi non lo sapevamo. Così siamo arrivati verso le 9 di sera, attraversando la frontiera poco prima della chiusura.

L’accoglienza da parte degli altri missionari è stata: “Cosa? Arrivate a quest’ora? Non sapete che c’è il coprifuoco? I soldati avrebbero potuto spararvi e lasciarvi morti per strada”.

Abbiamo quindi subito preso atto della violenta realtà locale. Questa è stata la nostra prima impressione.

Siete stati mai minacciati o vi siete mai sentiti minacciati in Nicaragua?

Mons. Zywiec: Beh, una volta, mentre lavoravo nella giungla. Subito dopo il mio arrivo nel Paese, hanno inviato “i missionari più anziani ai villaggi e quelli più giovani nella giungla”.

Era il periodo sandinista, l’organizzazione che si ribellava al Governo. I guerriglieri erano nascosti nella giungla e sapevo che erano in corso dei bombardamenti lì; avevo un po’ paura.

Dicevo a me stesso: “I miei genitori stanno pagando le tasse al Governo USA e il Governo USA sta aiutando quello nicaraguense, e in questa area vengono sganciate bombe contro i guerriglieri”.

Io non ho mai visto una di queste bombe, però la cosa mi faceva un po’ paura. Ma Iddio è buono e ora sono qui a raccontarlo.

Qual è stata la cosa più difficile da superare o a cui adattarsi nella sua nuova vita in Nicaragua?

Mons. Zywiec: Io sono arrivato nel 1975, quindi subito dopo il Concilio Vaticano II. Quando ero in seminario, a studiare teologia, ero contento perché avevamo una teologia nuova e delle istruzioni pastorali. Mi sentivo aggiornato rispetto ai missionari più anziani.

Ma poi l’esercito del Governo ha arrestato delle persone e le ha torturate. Alcune sono “scomparse”, di altre abbiamo saputo in seguito che erano state uccise. Facendo i conti, nell’arco di un biennio le forze governative avevano sequestrato 300 persone.

Che si fa in una situazione del genere? Noi non eravamo stati addestrati a questo!

Non si sarebbe mai immaginato di doversi confrontare con questo.

Mons. Zywiec: No. Non si parlava di questo a lezione di teologia. Abbiamo avuto un po’ di istruzione pastorale, sugli apostolati giovanili, eccetera, ma questa era una situazione di crisi. L’unica cosa che ho potuto fare è stato riferire tutte le mie informazioni al vescovo – monsignor Schlaefer –, il quale mi ha molto rassicurato.

Nel Vicariato di Bluefields rientra quella che viene chiamata la “Mosquito Coast”. Da cosa deriva il nome?

Mons. Zywiec: La parte orientale del Nicaragua, che si trova all’interno del Vicariato di Bluefields, non è stata mai conquistata dagli spagnoli e gli indiani Miskito che la abitano sono rimasti autonomi.

Questa popolazione aveva in passato una sorta di impero che si estendeva dalla costa caraibica di Panama, attraverso il Costa Rica e il Nicaragua fino in Honduras. Erano molto potenti allora, nel XVIII secolo.

Il Vicariato apostolico di Bluefields si estende su un’area di più di 59 mila chilometri quadrati. È enorme! Ci può descrivere una tipica visita pastorale nei villaggi, tra i parrocchiani?

Mons. Zywiec: Solitamente chiedo alla gente quattro cose. Anzitutto del tempo per ascoltare le confessioni. Poi per celebrare la Messa, insieme a una cresima o altro sacramento come il battesimo o il matrimonio.

Poi chiedo di incontrare il direttivo della chiesa. Questo mi dà modo di instaurare un buon dialogo.

Infine dico: “vorrei qualcosa da mangiare”. Generalmente, quando viene il Vescovo, poiché non hanno l’elettricità, spesso macellano una mucca o un maiale perché non hanno modo di conservare il cibo. Così c’è da mangiare per tutti e tutti mangiano insieme!

Il Vicariato apostolico di Bluefields copre quasi la metà di tutto il Nicaragua. Voi siete 25 preti. Non siete un po’ oberati?

Mons. Zywiec: Sì, in effetti questo è un problema. Abbiamo circa 1.000 chiese e solo 14 parrocchie. Una piccola parrocchia può avere circa 30 chiese di cui doversi prendere cura. Un sacerdote del Milwaukee, che ha quasi 80 anni, visita più di 100 chiese.

Ogni domenica, nelle chiese, si svolge la celebrazione della Parola. Le persone che guidano queste celebrazioni sono i “Delegati della Parola”. Solitamente ne abbiamo due per ogni chiesa, di modo che se uno si ammala o ha altri impedimenti, l’altro sia pronto a sostituirlo.

Poi abbiamo un catechista per i battesimi, uno per le prime comunioni e le confessioni, un altro per la cresima e uno per i matrimoni.

Solitamente, una volta l’anno questi catechisti frequentano un corso di formazione. Alcune parrocchie hanno anche corsi per i musicisti. E poi ci sono i movimenti. Noi li chiamiamo movimenti per i ritiri. È un modo per aiutare a far crescere la fede, a formare veri leader. Dipendiamo molto dai laici.

Quanti missionari siete? Lei ha detto che molti di voi stanno diventando anziani. Da dove vengono le nuove leve? Ci sono vocazioni in Nicaragua?

Mons. Zywiec: I preti su cui possiamo contare sono quelli provenienti dal Vicariato di Bluefields; ci sono missionari e persone che ci aiutano, ma i nostri preti diocesani del luogo sono quelli su cui possiamo contare di più, e abbiamo visto che molte delle nostre vocazioni vengono dalle famiglie che sono leader in una comunità.

Per esempio, dove c’è un diacono sposato, o un delegato della Parola, si vive questo impegno cristiano, che è terreno fertile per le vocazioni, non solo al sacerdozio ma anche alla vita religiosa. Per esempio, in un villaggio di circa 10.000 anime, negli ultimi 20 anni, 15 ragazze sono entrate in convento. Credo che sia molto bello vedere una cosa del genere.

Che manifestazioni di fede popolare o di devozioni avete nel Vicariato?

Mons. Zywiec: Si fanno molte processioni. Per quanto ne so, negli Stati Uniti, le processioni si svolgevano solitamente all’interno. Ma in Nicaragua il clima è più caldo e le persone sono abituate a fare le processioni all’aperto, come quella per la Settimana Santa.

Per la Settimana Santa in alcuni villaggi ci sono processioni per la Via Crucis mentre per la Vigilia di Pasqua si fa la benedizione del cero pasquale all’aperto e poi l’ingresso in chiesa con una processione.

Anche per le feste patronali si fanno le processioni con la statua del santo patrono che attraversa il paese, cantando e pregando il rosario. Questo è normale. È una parte normale della vita della chiesa. L'unica cosa è che preghiamo anche che non piova troppo.

Oltre alle dimensioni del territorio, quale sarebbe secondo lei la maggiore difficoltà nell’evangelizzazione della popolazione miskito?

Mons. Zywiec: Sebbene il territorio sia vasto, forse non è tanto un problema di dimensioni, ma di trasporto e di comunicazione. Credo che in tutta l’area vi siano circa 100 chilometri di strade asfaltate, mentre il resto è formato da strade sterrate. Piove molto e spesso ci si ritrova impantanati.

Un altro elemento è che delle 1.000 chiese, 100 sono di lingua miskito; mentre nelle altre si parla spagnolo. Ci sono principalmente contadini che praticano un'agricoltura di sussistenza e sono impegnati quotidianamente nella coltivazione e nell’allevamento.

Forse una delle principali preoccupazioni è che la gente possa non solo ricevere i sacramenti – essere battezzati – ma che possa anche imparare di più sulla propria fede e su cosa significhi vivere quotidianamente una più profonda evangelizzazione. Credo anche che sia molto importante per noi promuovere le vocazioni, al fine di poter avere sacerdoti in futuro.

È importante anche una promozione umana, attraverso le scuole e i programmi sanitari, di modo che la gente non solo ascolti la Parola di Dio, ma possa anche vivere in modo più umano e partecipare consapevolmente alla vita nazionale, così da non essere dimenticata.

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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per "Where God Weeps", un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l'organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.

www.acs-italia.glauco.it



[La trascrizione dell’intervista è divisa in due parti. La seconda parte sarà pubblicata il 22 marzo prossimo]

Caterina63
00lunedì 22 marzo 2010 20:12

Nicaragua: Una Chiesa nel pantano (Parte II)


Intervista al vescovo ausiliare David Zywiec di Bluefields


BLUEFIELDS (Nicaragua), lunedì, 22 marzo 2010 (ZENIT.org).- È facile isolarsi nei problemi del proprio Paese, ma secondo un Vescovo impegnato per i poveri del Nicaragua è importante ricordarsi che viviamo in una comunità globale e che formiamo parte della Chiesa universale.

Il francescano David Zywiec, è il vescovo ausiliario del Vicariato di Bluefields, competente per quasi l’intera metà orientale del Paese, compresa quell'area nota come la Mosquito Coast.

Il presule di 62 anni, originario di East Chicago, nell’Indiana, ha recentemente parlato della vita della Chiesa in Nicaragua, al programma televisivo “Where God Weeps”, gestito dal Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre.

La trascrizione dell’intervista è divisa in due parti. La
prima parte è stata pubblicata il 15 marzo 2010.

Lei ha imparato la lingua dei miskito. Quanto tempo ci ha impiegato?

Mons. Zywiec: La sto ancora imparando! Si dice che per imparare una lingua occorrano circa mille ore. Una delle difficoltà che ho trovato è che ci si deve essere immere nel contesto e usare la lingua costantemente. Invece, la mia situazione mi porta a essere a volte nella zona dei miskito e a volte in quella spagnola.

Lei è uno dei pochi missionari che effettivamente parla la loro lingua.

Mons. Zywiec: È vero. E il Vicariato ha la grazia di avere cinque sacerdoti miskito, oltre ad alcuni giovani miskito in seminario. Penso quindi che sia una grazia di Dio, che ci indirizza alla costruzione di una Chiesa nativa.

Quale appello vorrebbe rivolgere, per il suo lavoro, per la diocesi, per il Vicariato?

Mons. Zywiec: La prima cosa sarebbe certamente la preghiera, perché siamo chiamati a pregare. Il Nicaragua è uno dei Paesi più poveri dell’America latina. Abbiamo attraversato guerre civili, uragani, e quindi la preghiera è importante.

Molto spesso, quando leggo un giornale in Nicaragua, vedo che si parla solo del Nicaragua... vado negli Stati Uniti e si parla solo degli Stati Uniti. Ma noi siamo parte di una comunità globale; siamo parte della Chiesa cattolica. Credo che anche questa sia una cosa importante.

Abbiamo avuto delle specie di partnership con diverse parrocchie e credo che questo sia un modo importante per non limitarsi a dire: “ok pregheremo per il Nicaragua”, oppure a dire di conoscere una certa persona o famiglia. Non si tratta quindi solo di aiutare qualche persona o un’area del tutto anonima, ma di aiutare questa persona particolare, questa famiglia particolare, con le loro necessità. Credo che questo colpisca il cuore e credo che sia un modo per vivere quella fratellanza a cui Dio ci chiama, che Gesù ci ha invitato a vivere, come suoi seguaci.

Stiamo parlando di una zona fortemente rurale, quella in cui lei vive, costituita da molte zone paludose e montagne. Come descriverebbe lo sviluppo sociale della popolazione? Sono ancora molto tradizionali nelle loro pratiche o si stanno modernizzando, per così dire?

Mons. Zywiec: Direi che molte cose sono cambiate nella zona rurale. Quando ero appena arrivato, lavoravo negli insediamenti di lingua spagnola, con i contadini di lingua spagnola. I missionari più anziani dicevano che queste zone vedevano un sacerdote una volta l’anno o ogni sei mesi.

Vi erano donne che non erano in grado di comprendere un altro uomo che rivolgeva loro la parola, perché vivevano così isolate che l’unica voce maschile che sentivano era quella del marito. E oggi in alcune zone esistono, non solo le radio a batteria, ma grazie ai pannelli solari anche le televisioni.

Quindi le cose sono cambiate, lentamente, non tutto insieme, non dalla mattina alla sera. Un’altra cosa che ho notato è che quando arrivai lì 30 anni fa, i bambini, in segno di rispetto, giungevano le mani e dicevano “Santito”. Adesso non lo fanno più ed è un piccolo segno di come le cose siano cambiate.

Ma d’altra parte vi sono stati alcuni cambiamenti positivi. Per esempio, la gente è diventata molto brava nella musica. Quando sono arrivato lì per la prima volta, era un eccezione trovare qualcuno che suonasse la chitarra in chiesa. Adesso nelle chiese abbiamo chitarre, guitaro (piccole chitarre), fisarmoniche e trombe, e talvolta tastiere. Le cose quindi sono cambiate: cose negative e cose positive. Ma credo che queste cose qui diano maggiore vita alle nostre celebrazioni nelle zone rurali.

Lei ha prima accennato alle sfide sociali, in particolare alle scuole. Lei ha lavorato duramente per lo sviluppo di un sistema scolastico elementare per i giovani delle zone rurali che altrimenti non avrebbero accesso all’istruzione. Perché l'ha considerato una priorità?

Mons. Zywiec: Se vuoi vivere nel mondo di oggi, devi saper leggere e scrivere. D’altra parte noi vediamo spesso un certo flusso migratorio dalla campagna alle città. Per esempio, uno dei nostri seminaristi viene da una famiglia rurale. È uno di 16 fratelli. Con ogni probabilità molti di loro si trasferiranno nelle città e se non sanno leggere e scrivere cosa faranno? Potranno fare lavori umili oppure potrebbero essere tentati dal furto. Così, almeno, una persona ha la capacità di guadagnarsi da vivere in modo onesto e dignitoso.

Quali altre priorità e progetti considera importanti per questo Vicariato?

Mons. Zywiec: Credo che la Chiesa debba impegnarsi nell’istruzione. Vi è stato un passato troppo lungo di disinteresse da parte dello Stato circa l’istruzione in quest’area. Stiamo parlando di 40 o 50 anni. Oggi esiste un sistema scolastico con più di 400 scuole elementari e più di 20.000 alunni. Credo che un altro passo sia quello di avviare una scuola superiore, una scuola tecnica, che consenta ai giovani di lavorare nell’agricoltura...

Per acquisire capacità, formazione professionale...?


Mons. Zywiec: Esatto. Formazione professionale. ... Un’altra sfida, nel generale sforzo di promozione umana, è quella della salute, perché i medici sono pochissimi. Normalmente vogliono restare nelle città. Non vogliono doversi spostare nelle campagne. E quindi abbiamo spesso piccole cliniche... anche questa è una sfida.

Come ho accennato, siamo molto impegnati nell’evangelizzazione – è una priorità fondamentale – con i nostri leader laici, nello sforzo di formarli bene. Tanto più alta è la loro istruzione, tanto più sono in grado di offrire una leadership di qualità e di spiegare la fede con maggiore efficacia. E credo anche che una delle cose da fare sia quella di lavorare per il bene comune, per il senso di comunità.

Spesso la gente si trova in certe situazioni, nella politica o nell’economia, o persino nella Chiesa, in cui si pensa: “Bene, ho questo lavoro, vediamo quanto riesco a trarne per me stesso”, piuttosto che dire: “Sono qui a servizio della comunità, a servizio di Dio”. Come ha detto Gesù: “Sono venuto non per essere servito ma per servire”. Questo dello spirito di servizio è una delle grandi sfide che abbiamo. Avere una mentalità di servizio, un atteggiamento di servizio come quello di Gesù. Tutto questo fa parte dell’evangelizzazione. Cedo sia una delle importanti sfide che abbiamo in America latina e nel Vicariato di Bluefields.

Un’altra cosa ancora, come si accennava, riguardo alla zona miskito, è tutta la questione dell’inculturazione della fede: essere in grado di esprimere la fede che è presente tra i miskito. Per esempio, oggi abbiamo la Bibbia in miskito, un libro di canti, e siamo in grado di aiutare i miskito ad esprimere la loro fede, i loro sentimenti e il loro amore per Dio, a modo loro. E se tutto questo diventa parte integrante della loro Chiesa – anche nelle zone rurali – diventa pare del loro modo di esprimere la fede e il loro amore per Dio.


[Per maggiori informazioni: www.acs-italia.glauco.it]

Caterina63
00martedì 6 aprile 2010 21:16
Giunto il 6 aprile a Santiago, rientrerà mercoledì 14

Il cardinale Bertone
in Cile per il bicentenario dell'indipendenza



Nel bicentenario dell'indipendenza del Cile, il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, compie una visita ufficiale nel Paese andino dove è giunto martedì 6 aprile.
Dopo essersi recato nel 2007 in Perú e in Argentina, nel 2008 a Cuba e nel 2009 in Messico, il cardinale Bertone torna nel continente ibero-americano, a poco più di un mese dal devastante terremoto che il 27 febbraio scorso ha sconvolto il Cile. La capitale Santiago, Punta Arenas, Concepción, nella zona dell'epicentro del terribile sisma, Talcahuano e Maipú, le tappe del viaggio che si protrarrà fino al 14 aprile.
Nel fitto calendario di appuntamenti, spicca mercoledì 7, al palazzo presidenziale de La Moneda, l'incontro con il nuovo capo dello Stato, Sebastián Piñera. Nel pomeriggio il volo verso Punta Arenas, dove giovedì 8 il segretario di Stato visiterà il museo della Patagonia e il museo salesiano, prima di celebrare la messa in cattedrale. Venerdì 9, il porporato giungerà a Concepción, dove celebrerà l'Eucaristia nell'atrio della cattedrale. Seguiranno la visita alla vicina Università Cattolica della Santísima Concepción e una sosta per salutare i giovani riuniti intorno alla statua di san Giovanni Bosco lungo la strada per Talcahuano. Qui, nel pomeriggio, il cardinale visiterà il villaggio Libertad e benedirà la cappella Nuestra Señora de la Paz.

Densa di impegni anche la giornata di sabato 10, con la visita mattutina al santuario di Santa Teresa de Los Andes in Auco, il pranzo a Las Termas del Corazón e il trasferimento pomeridiano al santuario di Sant'Alberto Hurtado per la messa con le comunità di vita consacrata.

L'11 aprile a Santiago sono in programma le tradizionali celebrazioni del Quasimodo, che nella prima domenica dopo Pasqua rinnovano un antico rituale eucaristico, risalente al XVI secolo. Il cardinale vi prenderà parte a Colina, poi nel pomeriggio presiederà nella cattedrale metropolitana la messa concelebrata dai presuli cileni e consegnerà solennemente alla Chiesa e al popolo la statua della Madonna del Carmine, patrona della Nazione:  l'immagine mariana, che sarà portata in tutte le diocesi del Paese, è stata benedetta dal Papa all'udienza generale del 24 marzo.
La mattina di lunedì 12 è in agenda la partecipazione alla sessione inaugurale della 99ª assemblea plenaria della Conferenza episcopale cilena. Nel pomeriggio il cardinale Bertone terrà una conferenza alla Pontificia Università Cattolica del Cile sul tema "La Chiesa e lo Stato a 200 anni dall'Indipendenza nazionale. Storia e prospettive".
La giornata di martedì 13 è dedicata a incontri con gli imprenditori del Paese, con gli organizzatori della visita, con le comunità salesiane e con i vescovi emeriti e i preti anziani.
L'ultimo giorno, mercoledì 14, il porporato si recherà a Maipú per la messa nel Tempio votivo nazionale. Poi  in nunziatura festeggerà il v anniversario  di  pontificato  di Benedetto XVI, prima di ripartire per Roma.


(©L'Osservatore Romano - 6-7 aprile 2010)
Caterina63
00venerdì 9 aprile 2010 21:43
La quarta giornata della visita del cardinale Bertone in Cile

Tra i terremotati di Concepción
per portare la solidarietà del Papa



Tra le rovine di Concepción per portare il conforto e l'incoraggiamento di Benedetto XVI. È il senso della quarta giornata della visita del cardinale Tarcisio Bertone in Cile, interamente trascorsa in questa illustre città cilena tra le più colpite dal terremoto dello scorso febbraio.
 
Il segretario di Stato, lasciata Punta Arenas, è giunto all'aeroporto di Concepción a inizio mattina di venerdì 9. Dopo una breve cerimonia di accoglienza si è recato direttamente in cattedrale dove ha celebrato la messa, alla quale hanno preso parte tra gli altri gli arcivescovi Ricardo Ezzati Andrello, di Concepción, e Giuseppe Pinto, nunzio apostolico in Cile. Trasmessi i sentimenti di vicinanza del Papa, la sua esortazione a guardare avanti con fiducia e il suo invito a restare uniti nello sforzo per la ricostruzione, il cardinale ha ricordato il significato della resurrezione di Cristo. L'ha inserita nel mistero della morte che diviene occasione per scoprire la forza dell'amore salvifico.
 
Prendendo poi spunto dal brano del Vangelo che descrive la pesca miracolosa, il porporato ha ribadito il ruolo della Chiesa missionaria, cioè quello di distribuire "il pane e i pesci che riceve dalle mani del Signore, creando vincoli di solidarietà e di fraternità tra gli uomini e, soprattutto, offrendo il Pane di vita eterna e il Calice della salvezza eterna". Per fare ciò la Chiesa si avvale dei presbiteri. "Preghiamo insistentemente per i nostri sacerdoti - ha chiesto ai fedeli il cardinale Bertone - e ringraziamo Dio per il dono che hanno ricevuto a beneficio di tutto il popolo cristiano e di tutta l'umanità. Aiutiamoli con le nostre preghiere a passare dalla mera amministrazione dei compiti pastorali a una decisa azione missionaria, che apra porte e finestre affinché molti, oggi allontanatisi, possano tornare con amore al gregge di Cristo.

Aiutiamoli a passare dall'impegno per la propria comunità alla comunione reale con tutti i membri, gruppi e comunità ecclesiali, anche al di là dei confini diocesani. Aiutiamoli a passare dalla mera preoccupazione per le attività all'accompagnamento sereno delle persone che Dio ha posto lungo il loro cammino di vita. Aiutiamoli affinché all'obbedienza sommino la fiducia filiale nel proprio vescovo. Così potranno esercitare essi stessi un'autorità esemplare sul Popolo di Dio, un'autorità colma dei sentimenti di Cristo, il Buon Pastore".

"Se la Chiesa perde questo entusiasmo missionario - ha proseguito - se smette di predicare Gesù Cristo Risorto e di offrire il suo Corpo e il suo Sangue, persino a coloro che lo rifiutano, non ha ragione d'essere. Il migliore tesoro che la Chiesa può offrire al Cile in questo anno del bicentenario della sua indipendenza è Gesù Cristo. Il miglior servizio che gli può prestare è portargli la luce della sua Parola, la grazia dei sacramenti e la forza della sua carità". È quello che intende fare per i cileni continuando a seminare nei loro cuori l'amore per Cristo, senza lasciarsi distrarre dai toni roboanti delle sfide che si presentano nella quotidianità. Anzi la Chiesa affronta le difficoltà in maniera diretta e decisa per riaffermare il messaggio d'amore di cui è portatrice.

Un concetto che il segretario di Stato aveva già rilanciato giovedì pomeriggio a Punta Arenas, al termine della visita al museo etnico della Patagonia, rispondendo alle domande di un'agenzia di stampa, ancora una volta sul tema degli abusi sessuali. "È la Chiesa che non nasconde i suoi peccati" ha detto Bertone; mentre tutto ciò che accade altrove "resta nascosto. E questo è molto grave". Deve essere "una sfida per gli Stati - ha aggiunto - ma anche per tutte le categorie di persone" e dunque ovunque si commettono o si sono commessi questi atti "si deve reagire".
"Nessuna istituzione ha fatto tanto come la Chiesa - ha poi precisato - per conoscere e combattere tale realtà, a partire da un progetto di vita che sia rispettoso della dignità di ogni persona, soprattutto del bambino".

Al termine della messa il cardinale ha raggiunto la sede dell'università cattolica della Santísima Concepción, dove ha incontrato gli studenti e il personale docente. Nel discorso pronunciato nell'ateneo ha innanzitutto voluto ricordare le vittime del sisma e quanti continuano a soffrire per la grave situazione che oggi devono affrontare. Per tutti costoro ha rinnovato i sentimenti di solidarietà e la vicinanza del Papa. Soffermandosi poi sulle rovine causate dal terremoto nella loro "dinamica e laboriosa città" il porporato ha evidenziato come il Cile sia una terra che già da tempo deve confrontarsi con gravi catastrofi naturali. Ma proprio per questo ha già avuto modo di sperimentare quello che significa la solidarietà nello sforzo per la ricostruzione.

In questa opera sarà di sicuro sostegno "la grande tradizione religiosa della nazione - ha aggiunto -, il fermento spirituale delle popolazioni e un'attiva vita cristiana". Una certezza, quella espressa dal cardinale, che affonda le radici nell'esemplarità di figure rilevanti "per la storia, per la cultura e per la Chiesa in Cile". "Questa luminosa eredità spirituale - ha concluso - riscoperta e alimentata, non può che rappresentare un punto di riferimento sicuro per continuare nell'impegno per il bene comune, nel servizio reso a tutti e nel consolidamento di un progresso giusto e armonico".

Nel pomeriggio il trasferimento in macchina a Talcahuano per visitare il villaggio Libertad e benedire la ricostruita cappella di Nuestra Señora de la Paz. Lungo la strada il cardinale si è fermato alcuni momenti per salutare un gruppo di giovani che lo attendevano per mostrargli la statua di san Giovanni Bosco ai piedi della quale sono soliti riunirsi.

Durante la cerimonia della benedizione della cappella il cardinale ha confessato ai fedeli presenti di provare gli stessi sentimenti che provava quando arcivescovo di Vercelli e di Genova, durante le visite pastorali si trovava nel cuore delle comunità parrocchiali alle quali si presentava come testimone di Cristo e messaggero della buona notizia della sua resurrezione. Riferendosi poi al momento specifico che stavano vivendo il cardinale ha detto di essere consapevole degli sforzi che sono stati necessari per realizzare la cappella e l'annesso centro dedicato a san Damiano di Molokai "esempio vivo di amore verso Dio e verso i fratelli".

Si tratta, ha aggiunto, "di segni luminosi che invogliano tutti a edificare continuamente la vita personale, familiare e sociale fondandola su Cristo". Opere che "sono andate aumentando grazie alla solidarietà e alla fraternità mostrata da tanti". Da qui l'augurio di continuare "a crescere anche nella fede, nella speranza e nella carità al seguito del Cristo, nostro maestro". In questi sforzi li seguirà da vicino Benedetto XVI i cui sentimenti nei loro confronti sono stati espressi dal cardinale Bertone. Il Papa "ha nel cuore questi luoghi - ha detto - e tutti i loro abitanti, in particolare quanti hanno sofferto per il recente terremoto e per le sue gravi conseguenze".

Conclusa la cerimonia il segretario di Stato è partito alla volta di Santiago dove in nunziatura trascorre la notte. La giornata di sabato sarà dedicata alla visita a due santuari. In mattinata a quello di Auco, dedicato a santa Teresa de Los Andes; nel pomeriggio, poi, il segretario di Stato celebrerà la messa nel santuario di sant'Alberto Hurtado, dove tra l'altro incontrerà le comunità di vita consacrata e i superiori e le superiore maggiori del Paese.


(©L'Osservatore Romano - 10 aprile 2010)
Caterina63
00domenica 11 aprile 2010 23:44
Prosegue la visita ufficiale del cardinale Tarcisio Bertone nel Paese latinoamericano

Nel cuore della santità cilena


L'esemplarità delle grandi figure ecclesiali cilene è stata riproposta dal cardinale Tarcisio Bertone, nella quinta giornata trascorsa nel Paese. Il segretario di Stato infatti, sabato 10 aprile, ha visitato in mattinata il santuario di Santa Teresa delle Ande e, nel pomeriggio, quello di Sant'Alberto Hurtado.

In entrambe le occasioni il porporato ha voluto attualizzare il messaggio dei grandi santi cileni in un momento particolarmente difficile della vita del Paese, a causa del terribile terremoto del febbraio scorso, ma anche per il protrarsi di alcune questioni che ne hanno caratterizzato le vicende in questo ultimo scorcio di tempo. Naturalmente la santità di questi testimoni è stata offerta come modello di vita innanzitutto ai cristiani, a cominciare da sacerdoti e religiosi.
 
Opportuno in questo senso l'incontro pomeridiano con i membri delle società di vita consacrata e con i superiori e le superiore maggiori del Paese nel santuario di Santiago dedicato ad Alberto Hurtado "il cui sacerdozio - ha detto nell'omelia della messa celebrata nel tempio votivo - si trasforma in un modello per vivere la fede in questo momento della storia durante il quale il Cile celebra il suo bicentenario". Effettivamente sant'Alberto è giunto all'incontro personale con il Signore "attraverso una vita non sempre facile - ha ricordato il porporato - a causa della perdita prematura del padre, delle ristrettezze economiche della sua famiglia e a causa della sofferenza per l'incomprensione del suo ministero da parte di molti suoi coetanei i quali non seppero valorizzare l'ardore che la sua vita cercava di risvegliare nei giovani. Nonostante  tutto  egli  continuò  a  pregare,  a  predicare sorridendo e a rendere concreta l'enorme creatività che Dio risvegliava nel suo cuore di credente".

Dunque egli è stato un modello per tutti "ma lo è in modo speciale per quelli che sono chiamati al ministero sacerdotale e alla vita consacrata". Il cardinale ha poi allargato il discorso anche agli altri grandi santi della Chiesa mettendone in rilievo le caratteristiche che accomunano la loro testimonianza a quella di sant'Alberto:  soprattutto l'intensità dell'amore a Dio e agli uomini, la profondità della preghiera, l'attenzione ai poveri.

"Potremmo continuare ancora - ha concluso il cardinale Bertone - ma l'importante è domandarsi:  forse non sono questi i tratti che devono caratterizzare un buon sacerdote nel momento attuale? Certamente, sono tratti che vorremmo sottolineare in un buon pastore in questo Anno sacerdotale. Ma anche qualità proprie di ogni discepolo e missionario di Cristo, che la figura di padre Hurtado propone a tutti con vigore, affinché vivano con entusiasmo il proprio impegno cristiano. È una proposta molto attuale, in un'epoca in cui alcuni credono che la fede non produca risposte vitali o non riescono a vedere cosa ha a che vedere con il Signore Dio nella vita pubblica di un popolo. Che l'esempio di padre Hurtado, con quella fede tanto salda che lo ha portato a intraprendere tante iniziative senza scoraggiarsi e senza temere le difficoltà, illumini anche oggi i cileni nei compiti di ricostruzione, dopo la grave situazione creata dal terribile movimento sismico che ha colpito di recente questa amata terra".

"Dobbiamo rendere grazie a Dio - ha aggiunto - per il tesoro di avere un santuario nella città, dove in mezzo al trambusto e al viavai della vita moderna, può nascere la preghiera, invocando la presenza viva del Signore per ognuno dei suoi abitanti, per ognuna delle sue famiglie. Un luogo dove quanti cercano Dio possono trovare un momento di conforto e che è diventato un centro emblematico di solidarietà per il Paese. In esso, tutti possono riconoscere che sant'Alberto Hurtado è un Padre per il Cile, un Padre per i fedeli e per i cittadini. Così lo vediamo in questo bicentenario del Cile".

Anche durante la visita compiuta in mattinata ad Auco, nel santuario dedicato a Teresa delle Ande, il cardinale aveva riproposto l'attualità del messaggio dei santi cileni. Rivolgendosi alla comunità locale, dopo aver ancora una volta assicurato la vicinanza spirituale del Papa a quanti ancora oggi soffrono le conseguenze del terremoto, e riferendosi alla devozione del popolo cileno per la piccola santa delle Ande, ha confidato che Benedetto XVI "apre il suo cuore a questo Paese, ogni volta che passa davanti alla statua di santa Teresa delle Ande, collocata sulla facciata esterna della basilica di San Pietro, e in lei contempla proprio il grande frutto della santità nato in queste terre".

Dopo aver rimarcato la grande devozione che guida migliaia di fedeli "sul cammino di santità che si dipana tra Chacabuco e le Ande" attraverso le terre che videro "l'allegra fanciullezza di Juanita", il cardinale si è posto una domanda:  "Cosa hanno visto in questa figura i cileni, che non finiscono mai di visitare questo santuario? Perché santa Teresina attira tanta gente e molti giovani la sentono come propria? La risposta la dà lei stessa, con i suoi scritti e con la sua stessa vita:  conobbe l'amore infinito del Signore, e si legò con tutta la sua anima a lui". La sua è stata una testimonianza che "un cuore limpido, che non si accontenta delle banalità o di certe soddisfazioni momentanee, può comprendere molto bene. Talvolta lo capiscono soprattutto i giovani che sono alla costante ricerca di ciò che è autentico e di ciò su cui vale veramente la pena progettare la propria vita".

"Santa Teresina - ha proseguito il cardinale Bertone - ci insegna che questo tipo di amore non ci allontana dalla vita quotidiana, anzi la illumina e la rende più grande". Prima di congedarsi il cardinale ha rivolto particolari espressioni augurali alle suore della comunità delle carmelitane scalze "che ha visto fiorire nel suo seno questa gioia di santità e può contare su un chiaro esempio di totale consacrazione a Dio, che vale più di ogni altra cosa", e alle carmelitane missionarie teresiane "che con la loro particolare cura del santuario aiutano i pellegrini e i fedeli più devoti a scoprire il tesoro della santità che qui si custodisce". Un pensiero infine il segretario di Stato lo ha riservato ai padri carmelitani "testimoni del torrente di grazia che il Signore ha voluto dispensare in questo singolare tempio".

La visita del cardinale proseguirà, domenica 11, con la partecipazione a due eventi significativi nell'arcidiocesi di Santiago:  il "Quasimodo", un antico rituale eucaristico risalente al XVI secolo e, nel pomeriggio, la messa in cattedrale con tutti i presuli della Conferenza episcopale cilena. Durante la celebrazione il porporato consegnerà al popolo e alla Chiesa in Cile la statua della Madonna del Carmine, patrona della nazione.


(©L'Osservatore Romano - 11 aprile 2010)
Caterina63
00lunedì 12 aprile 2010 18:39
Il cardinale Bertone ha consegnato ai cileni l'immagine mariana benedetta dal Papa

Nelle mani della Vergine del Carmen
la ricostruzione del Cile


"Santissima Vergine del Carmen, intercedi presso il tuo Figlio Gesù affinché aiuti il Cile in questi momenti difficili della sua storia, e benedica le famiglie, soprattutto le più afflitte". Sono alcuni versi della supplica alla patrona del Paese latino-americano, riecheggiata domenica pomeriggio, 11 aprile, nella cattedrale di Santiago. È stata elevata dal cardinale Tarcisio Bertone, al termine dell'omelia pronunciata durante la concelebrazione della messa con i cardinali Francisco Javier Errázuriz Ossa, arcivescovo di Santiago, e Jorge Arturo Medina Estévez, il nunzio apostolico arcivescovo Giuseppe Pinto, il vescovo Alejandro Goic Karmelic, presidente della Conferenza episcopale del Cile e altri presuli del Paese.

Il cardinale ha pregato dinanzi all'immagine di Nostra Signora del Carmen, benedetta dal Papa il 24 marzo scorso. "È con grande piacere - ha detto spiegando ai presenti il significato di questo momento particolare della sua visita al Paese - che consegno oggi questa bella immagine di Nostra Signora del Carmine, tanto cara al popolo cileno, benedetta solennemente a Roma da Benedetto XVI lo scorso 24 marzo, come segno del suo amore e della sua sollecitudine per questa Nazione, nella celebrazione del bicentenario dell'inizio della sua indipendenza.

Lei, come Madre dei missionari che annunciano con fedeltà Cristo, che è la nostra verità, la nostra roccia e la nostra gioia, pellegrinerà in questo Paese, tanto presente nel cuore del Successore di Pietro, offrendo a tutti conforto e forza, specialmente a quanti hanno subito le terribili conseguenze del recente sisma. Giungerà in molti luoghi, portando il Vangelo del Cile, scritto personalmente dal Papa e da tanti figli di questa terra benedetta, che hanno così mostrato di essere disposti a imprimere il messaggio del Salvatore nella loro vita e nel loro cuore, nelle loro iniziative familiari, professionali e sociali, con la certezza che Cristo è il tesoro più grande della storia del Cile".


Poco prima aveva ricordato l'impegno della comunità ecclesiale cilena nel seguire il mandato della Conferenza di Aparecida nella missione continentale. "La Chiesa in Cile - aveva detto in proposito - ha intrapreso con decisione la grande iniziativa della Missione continentale proposta ad Aparecida dagli Episcopati dell'America Latina e dei Caraibi, al fine di "confermare, rinnovare e rivitalizzare la novità del Vangelo radicata nella nostra storia, a partire da un incontro personale e comunitario con Gesù Cristo che susciti discepoli e missionari". È una grande sfida per questo popolo dalla forte identità cristiana, chiamato ora a riaffermarla e a darle nuovo impulso mediante un incontro profondo e personale con Cristo, rafforzando così la fede, la speranza e l'amore che fanno rinverdire la vita delle persone e trasformano le culture dei popoli. Ciò è particolarmente importante dinanzi al rischio di una vita cristiana passiva, superficiale e frammentaria, che continua talvolta ad affermare le verità della fede, dimenticando però, in alcune occasioni, la bellezza e la profondità del suo significato più genuino, e anche l'impegno cristiano e umano che comportano".

In mattinata il cardinale aveva partecipato alla tradizionale processione eucaristica del "Quasimodo". Si tratta di una pratica liturgica che risale al sedicesimo secolo e che si rinnova la seconda domenica di Pasqua. Si tratta di una "splendida manifestazione della devozione popolare - aveva detto nelle parole pronunciate al termine della celebrazione - tanto radicata nella vostra terra al punto che Giovanni Paolo ii l'aveva definita "un vero tesoro del popolo di Dio"".

Densa di appuntamenti la giornata di lunedì 12. A cominciare dal Pontificio seminario maggiore di Santiago, dove il porporato ha presieduto alla sessione inaugurale della novantanovesima assemblea plenaria della Conferenza episcopale cilena. Dopo aver portato il saluto e l'augurio di Benedetto XVI ai partecipanti, ha sottolineato l'importanza particolare in cui cade questa plenaria, vista la situazione difficile che sta vivendo il Paese. Anzi, il cardinale ha ricordato in proposito proprio quanto gli stessi vescovi cileni scrissero in un messaggio ai loro fedeli all'indomani del tragico terremoto:  "Un paese non si ricostruisce con la pura somma delle volontà umane. Un paese ha necessità della parte migliore della sua gente. Per questo confidiamo in Cristo, fonte di vita. È lui il miglior tesoro che possiamo offrire". Quindi, richiamando la missionarietà della Chiesa, ha ripetuto ai presuli quanto sia importante, anzi "cruciale in questi momenti difficili", segnati da cambiamenti sociali e culturali, dare "testimonianza di comunione effettiva tra i vescovi e con il Successore di Pietro, con i sacerdoti, i religiosi e con tutti i membri del popolo di Dio".

Prima di lasciare il seminario il cardinale Bertone si è intrattenuto con educatori e seminaristi. Ha ricordato loro che "essere sacerdoti è un dono immenso e un compromesso straordinario. Per questo permettetemi di invitarvi a rispondere con un grande senso di responsabilità alla grazia della vocazione per arrivare a essere, senza limitazione alcuna, il migliore strumento nelle mani di Dio". E ai formatori ha affidato l'altrettanto grave responsabilità di accompagnare i giovani nel discernere la loro vera vocazione.

Infine nel pomeriggio il cardinale, nell'aula magna della Pontificia università cattolica del Cile, ha tenuto una conferenza dal titolo "La Chiesa e lo Stato a duecento anni dall'indipendenza nazionale. Storia e prospettive", della quale daremo ampi stralci nell'edizione di mercoledì 14.


(©L'Osservatore Romano - 12-13 aprile 2010)
Caterina63
00martedì 13 aprile 2010 18:51
A duecento anni dall'indipendenza nazionale del Cile

Le culture autentiche
non sono chiuse in se stesse


Nell'ambito della sua visita in Cile, il cardinale segretario di Stato ha tenuto, nella Pontificia Università Cattolica del Cile, una conferenza su "La Chiesa e lo stato a duecento anni dall'indipendenza nazionale. Storia e prospettive". Ne pubblichiamo ampi stralci.

di Tarcisio Bertone

La celebrazione del bicentenario rappresenta un'opportunità per guardare con gratitudine al passato, per crescere nell'amore per la patria e nella concordia nazionale, per rinnovarsi nell'impegno al servizio del bene comune del popolo cileno e del bene comune della comunità internazionale, al quale il Cile, a partire dalla sua ricca cultura ed esperienza, ha tanto da offrire. Pensare all'indipendenza è anche pensare all'identità nazionale, ripercorrendo gli inizi della vita politica nazionale e considerando i diversi fattori che hanno configurato la nazionalità culturale cilena. Non vi è dubbio che il cattolicesimo è uno di quegli elementi che hanno contribuito notevolmente a conformare l'identità nazionale cilena e che oggi continua a costituire un valore di primissimo ordine.

A tale proposito, non vorrei perdere l'occasione di ricordare qui tutte quelle nazioni latinoamericane, come l'Argentina, la Bolivia, la Colombia, l'Ecuador o il Messico, che celebrano sempre quest'anno il bicentenario della loro indipendenza. Come in Cile, anche in esse la Chiesa ha svolto un ruolo importante in quel momento tanto significativo, contribuendo a forgiare sin dall'inizio una cultura e un'identità nazionale ispirate ai più alti valori umani ed evangelici.

Il punto di partenza della formazione dell'amata nazione cilena è l'incontro degli spagnoli con i popoli autoctoni, che avviò un ambivalente processo di fondazione di alcune società nuove, nel quale l'evangelizzazione fu un fattore importante, insieme ad altri d'indole molto diversa, per la definizione del modo di essere di queste società. Come ha messo in evidenza Papa Benedetto XVI nel suo storico viaggio in Brasile:  "dall'incontro di quella fede con le etnie originarie è nata la ricca cultura cristiana di questo continente espressa nell'arte, nella musica, nella letteratura e, soprattutto, nelle tradizioni religiose e nel modo di essere delle sue genti" (Discorso inaugurale della v Conferenza Dell'Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, Aparecida, 13 maggio 2007). In effetti, con l'arrivo a metà del XVI secolo della piccola e amata immagine della Virgen del Socorro, che portò con sé Pedro de Valdivia, dei primi chierici secolari e di missionari domenicani, francescani e mercedari, e, dal 1593, dei gesuiti e, due anni dopo, degli agostiniani, cominciò l'annuncio del Vangelo in questa nobile terra.

Il bene spirituale e materiale degli abitanti originari del Cile fu sin dal primo momento una delle grandi preoccupazioni della Chiesa locale. Come precoci esempi della ricerca della giustizia possiamo menzionare il virtuoso parroco Cristóbal de Molina, che intercedette dinanzi al re per gli indios e i meticci, il focoso domenicano frate Gil González de San Nicolás, primo protettore degli indios in questa terra, e il vescovo Antonio de san Miguel, frate francescano, che nel 1572 convinse il re a ordinare che si sostituisse il lavoro personale degli indigeni con un tributo moderato.

Fu merito di vari membri della Compagnia di Gesù, principalmente di Padre Luis de Valdivia, e del vescovo Juan Pérez de Espinosa, se questo ordine del re non restò lettera morta e se, anni dopo, portò all'esenzione dal lavoro almeno per le donne e per i minorenni. Inoltre, l'opera educativa del clero e, in particolare, della Compagnia di Gesù, fu sin dall'inizio di capitale importanza per il Paese. Detto questo, bisogna aggiungere anche che non si possono ignorare le ombre che hanno accompagnato l'opera di evangelizzazione del continente latinoamericano.

Come ha ricordato Papa Benedetto XVI, "non è possibile dimenticare le sofferenze e le ingiustizie inflitte dai colonizzatori alle popolazioni indigene, spesso calpestate nei loro diritti umani fondamentali. Ma la doverosa menzione di tali crimini ingiustificabili - crimini peraltro già allora condannati da missionari come Bartolomeo de Las Casas e da teologi come Francesco da Vitoria dell'Università di Salamanca - non deve impedire di prendere atto con gratitudine dell'opera meravigliosa compiuta dalla grazia divina tra quelle popolazioni nel corso di questi secoli" (Udienza generale, 23 maggio 2007).

In tal senso, la celebrazione del bicentenario, come avviene anche in altre nazioni del continente, suscita in Cile un'importante riflessione circa le condizioni delle popolazioni indigene e la loro integrazione nella vita nazionale. Il coraggio e l'eroismo con cui il popolo araucano difese la sua libertà di fronte all'avanzare della conquista suscitò profonda ammirazione negli spagnoli, e restò immortalato nel poema epico La araucana, di Alonso de Ercilla y Zúñiga, che ancora oggi è motivo di orgoglio per la memoria nazionale cilena. Le culture indigene sono chiamate a continuare ad arricchire con l'apporto delle loro tradizioni il bagaglio degli autentici valori nazionali del presente e del futuro. Ricordo qui l'ordine del padre della patria Bernardo O'Higgins, del 3 giugno 1818, affinché nei libri parrocchiali non si usassero più i termini "spagnolo" e "indio", ma tutti venissero chiamati indistintamente cileni. La promozione del bene comune obiettivo, quello che corrisponde alla verità dell'essere umano e della società, passa per il cammino della conoscenza e della stima reciproca, del rispetto, del dialogo e della collaborazione fra tutti i settori del popolo, senza escludere o dimenticare nessuna minoranza. Così come ci segnala il Santo Padre Benedetto XVI nella sua ultima enciclica, la cooperazione per lo sviluppo "deve diventare una grande occasione di incontro culturale e umano" (Caritas in veritate, n. 59), cercando tutti insieme di fare la "verità nella carità" (Efesini, 4, 15), conformemente all'insegnamento di san Paolo.
 
Per trattare questo tema occorrono grande discernimento e saggezza. Papa Benedetto XVI, nel sopracitato viaggio in Brasile, ha detto:  "Le autentiche culture non sono chiuse in se stesse né pietrificate in un determinato momento della storia, ma sono aperte, più ancora, cercano l'incontro con altre culture, sperano di raggiungere l'universalità nell'incontro e nel dialogo con altre forme di vita e con gli elementi che possono portare ad una nuova sintesi nella quale si rispetti sempre la diversità delle espressioni e della loro realizzazione culturale concreta" (Discorso inaugurale della v Conferenza dell'Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, 13 maggio 2007). Sorprenderebbe ancora il voler ridare vita alle religioni precolombiane, separando i gruppi indigeni da Cristo e dalla Chiesa universale, come se il passato non preparasse all'incontro con Cristo, nel quale trova il suo significato e la sua pienezza, o come se le persone fossero al servizio delle espressioni culturali invece che queste ultime al servizio delle persone. In realtà, ciò sarebbe un'involuzione verso un momento storico ancorato al passato. Piuttosto, si deve cercare di preservare e anche di far risplendere la purezza del Vangelo e la saggezza dei popoli indigeni in un processo di autentica inculturazione della fede cristiana.

Avendo come fondamento questa ricca base storica e la molteplicità di sfumature, il Cile deve continuare a lavorare, come sta facendo da molto tempo, affinché i nostri fratelli delle popolazioni originarie possano ricevere pienamente, come membri attivi e decisivi dello sviluppo nazionale, tutti i benefici che sono propri di uno Stato moderno, assumendo allo stesso tempo gli obblighi e le responsabilità che esso comporta. Come ha lasciato scritto  Papa Giovanni Paolo ii nel suo libro Memoria e identità:  "La patria è un bene comune di tutti i cittadini e, come tale, anche un grande dovere".

Nel celebrare il bicentenario e nel ricordare la storia nazionale, bisogna essere consapevoli che lo sguardo al passato comporta sempre il rischio di riaprire vecchie ferite. Non tutti i membri di una società condividono gli stessi punti di vista riguardo al loro passato comune, né tutti hanno vissuto gli eventi allo stesso modo nella propria carne e nel proprio spirito. Il rispetto per questa legittima diversità di sensibilità storiche è un requisito per ogni riflessione matura sulla storia patria, che, come memoria collettiva, è e deve essere patrimonio di tutti i figli della nazione cilena. Sarebbe, pertanto, un deplorevole errore se la contemplazione del passato servisse ad approfondire le distanze e se le differenze di sensibilità storica degenerassero nell'inasprirsi di antiche rivalità.

Se la domanda sulla storia è sempre una domanda sull'identità, la risposta deve essere sempre un richiamo alla responsabilità, all'impegno nel presente per la costruzione del futuro. Il Cile, come molte altre nazioni della terra, ha vissuto antagonismi interni. Alcuni sono stati difficili da superare, condizionando dopo decenni la concordia nella Nazione. Al dovuto e legittimo anelito di giustizia, e di riparazione per i danni subiti, si deve aggiungere il, a sua volta dovuto, desiderio di concordia, ossia di cancellare rancori e di superare animavversioni. A questa autentica riconciliazione vuole contribuire anche la Chiesa. La nazione cilena, come ogni nazione, ha bisogno e merita gli sforzi di tutti i suoi membri per offrire alle nuove generazioni un futuro di giustizia e di amore.

La relazione fra lo Stato e la Chiesa nei primi tempi di vita indipendente non fu facile. Ebbene, il Cile ha il privilegio di essere stata la prima nazione fra tutte quelle dell'America indipendente a inviare un rappresentante a Roma. L'allora canonico Cienfuegos giunse alla città eterna nell'agosto del 1822 al fine di sollecitare a Papa Pio vii un legato pontificio per il Cile che potesse ristabilire l'organizzazione ecclesiastica. La richiesta fu accolta e il 3 gennaio 1824 giungeva in Sud America il vescovo monsignor Giovanni Muzi, in qualità di vicario apostolico, accompagnato da Giovanni Maria Mastai Ferretti, futuro Papa Pio ix, che si sarebbe sempre interessato molto all'America Latina, e del sacerdote Giuseppe Sallustri. La loro missione, pur non ottenendo molto in quanto a ricostruzione della vita ecclesiastica, resta come testimonianza di un precoce e reciproco interesse fra il Cile e la Santa Sede a mantenere qualche tipo di relazione a beneficio del popolo cileno.

Nelle relazioni fra lo Stato e la Chiesa in Cile durante il primo secolo dopo l'indipendenza, constatiamo che era frequente e persino normale l'ingerenza di un'istituzione nelle questioni proprie dell'altra, spiegabile in parte per le condizioni specifiche della società e dell'epoca in cui si viveva; tuttavia, questo non portò, se non raramente, a situazioni di conflitto. Ciò dimostra che il Cile ebbe fra le sue autorità civili ed ecclesiastiche uomini capaci di dialogo che seppero anteporre il bene comune agli interessi di parte. A tale proposito, i vescovi del Cile, nel 1925, dopo che fu stabilita la separazione fra la Chiesa e lo Stato, scrissero che la Chiesa "resterà pronta a servirlo; ad occuparsi del bene del popolo; a ricercare l'ordine sociale, ad accorrere in aiuto di tutti, senza escludere i propri avversari nei momenti di angoscia in cui tutti sono soliti, durante le grandi agitazioni sociali, ricordarsi di essa e chiederle aiuto" (Pastoral Colectiva sobre la separación de la Iglesia y el Estado, 22 settembre 1925).

Un'analisi storica seria, serena e obiettiva sull'interazione fra politica e religione ai tempi della lotta per l'indipendenza e per l'instaurazione di un nuovo ordine politico nella nazione, come pure nel successivo susseguirsi degli eventi, può validamente contribuire alla purificazione della memoria storica e all'assimilazione di questa esperienza storica collettiva.

La speranza è che, in sintonia con la tradizione della buona intesa reciproca, continui e s'intensifichi sempre la sana collaborazione fra lo Stato e la Chiesa in linea con gli auspici espressi dal concilio Vaticano II (Gaudium et spes, n. 76). Una collaborazione fondata sul riconoscimento e sul rispetto reciproco dell'autonomia propria di ogni istituzione e volta sempre al servizio della persona umana, la quale ha diritto a vedere garantita la sua libertà religiosa (Dignitatis humanae). In effetti, che esista la separazione fra Stato e Chiesa non significa che vi sia ignoranza reciproca, e tanto meno inimicizia. È fondamentale distinguere fra la sana laicità dello Stato, in base alla quale questo si mantiene neutrale nelle questioni religiose, facendo sì che siano i cittadini a esprimere liberamente il proprio sentimento religioso nella vita sociale, e il laicismo dello Stato, in base al quale questo si arrogherebbe la facoltà di limitare l'espressione sociale della vita religiosa, interferendo pertanto in essa.

In tal senso, la Chiesa, come insegna Papa Benedetto XVI, è consapevole che:  "non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile, Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia. Deve inserirsi in essa per la via dell'argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunce, non può affermarsi e prosperare" (Deus caritas est, n. 28).

Credo che questa visione che ci offre il Papa, in linea con gli insegnamenti del concilio Vaticano II, debba illuminare il cammino delle relazioni fra la Chiesa e lo Stato in una nazione come quella cilena, dove la fede cristiana è radicata nella stragrande maggioranza del suo popolo e la Chiesa gode di stima, essendo la sua presenza, il suo lavoro e la sua parola rispettati. Non passa inosservato a chi si avvicina alla storia dell'indipendenza cilena l'impegno con cui molti dei protagonisti di allora ricercarono la giustizia, e la convinzione che questa esigesse che Dio fosse in qualche modo riconosciuto nella sfera pubblica. Una delle conseguenze più gravi dell'organizzare la vita sociale voltando le spalle a Dio è il relativismo, poiché, una volta accantonato Dio, non ci si mette molto ad accantonare anche la ragione naturale.

Negando la possibilità di conoscere la verità e, di conseguenza, ignorando ogni esigenza che da essa proviene, si farebbe del relativismo il fondamento filosofico della democrazia. "Questa, in effetti, si edificherebbe sulla base secondo la quale nessuno può avere la pretesa di conoscere la via vera, e si nutrirebbe del fatto che tutti i cammini si riconoscono reciprocamente come frammenti dello sforzo verso ciò che è migliore (...) Una società liberale sarebbe, quindi, una società relativista; solo a questa condizione potrebbe rimanere libera e aperta al futuro" (cardinale Joseph Ratzinger, Conferenza nell'incontro dei presidenti delle commissioni episcopali dell'America Latina per la dottrina della fede, Guadalajara,Messico, novembre 1996).

Tuttavia, l'impossibilità di accedere alla verità e di formulare pertanto norme etiche universalmente valide, potrebbe condurre, in virtù della sua stessa logica interna, alla situazione paradossale di ammettere l'immoralità come qualcosa di moralmente accettabile, disprezzando il giudizio della stessa ragione naturale. Ciò, a sua volta, porterebbe a quello che sia Giovanni Paolo ii sia Benedetto XVI hanno chiamato "dittatura del relativismo", "che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie" (Omelia nella messa "Pro Eligendo Pontifice", 18 aprile 2005).
 
Tutto resta allora alla mercé della forza dei voti, delle pressioni dei potenti, degli interessi di parte, facendo così trionfare la ragione della forza e non la forza della ragione; allora, afferma Papa Benedetto XVI, "le nostre società non diventeranno più ragionevoli o tolleranti o duttili, ma saranno piuttosto più fragili e meno inclusive, e dovranno faticare sempre di più per riconoscere quello che è vero, nobile e buono" (Incontro con il Mondo Accademico della Repubblica Ceca, 27 settembre 2009). Il Cile, negli ultimi decenni, ha vissuto uno sviluppo economico e sociale accelerato, che è motivo di gioia e di speranza, e sono certo che l'impegno e la laboriosità di questo amato popolo non permetteranno che si oscurino, nonostante le dolorose vicissitudini delle scorse settimane. Allo stesso tempo però, è necessario restare vigili affinché questo sviluppo non vada contro l'identità propria della nazione o gli aspetti che riguardano essenzialmente la dignità della persona e della famiglia.

Bisogna tener presente che possiamo parlare di autentico sviluppo solo quando questo risponde alle esigenze morali più profonde della persona. È auspicabile che il popolo cileno, per tanti motivi esemplare, abbia il coraggio di evitare i cammini sbagliati che oggi si deplorano in altre latitudini. Ciò dipenderà in buona parte dall'agire responsabile e coerente dei cattolici nella vita pubblica, difendendo quei valori "non negoziabili" che fanno parte della propria e intrinseca dignità della persona e che non sono pertanto esclusivi di una concezione cristiana dell'uomo.

Permettetemi di segnalare fra i principi fondamentali di ogni azione politica e sociale la tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal momento del concepimento fino alla morte naturale, poiché mai sarà lecito in una società moderna che aspira alla giustizia e alla verità, introdurre norme legali che permettano di porre fine a una vita umana già concepita. Desidero sottolineare anche la tutela del diritto dei genitori a educare i propri figli in sintonia con le loro convinzioni morali e religiose. Ciò implica che l'autorità politica provveda e predisponga gli spazi necessari affinché questo diritto sia davvero effettivo. È necessario riconoscere il servizio sociale che la Chiesa in Cile realizza nell'ambito dell'educazione, contribuendo così non solo all'esercizio positivo di un diritto dei genitori, ma anche allo sviluppo dell'intera società.


(©L'Osservatore Romano - 14 aprile 2010)
Caterina63
00martedì 18 maggio 2010 20:07
Un male i cui effetti colpiscono i più bisognosi

Appello dei vescovi del Perú
contro la corruzione


Lima, 18. "Nelle ultime settimane abbiamo assistito tutti agli scandali di corruzione che hanno interessato vari livelli dell'amministrazione pubblica e privata. La società civile ha chiesto di porre fine a questo grave problema che riguarda noi come società; tuttavia le parole spesso non diventano realtà. Pertanto dalla Conferenza episcopale ribadiamo il nostro appello, e invitiamo a praticare un'etica pubblica e a recuperare i valori ancestrali che devono guidare il destino di tutte le istituzioni del Paese".

Inizia così il documento della Conferenza episcopale del Perú sulla situazione che il Paese vive ormai da tempo. Un contesto sociale, politico e culturale quello del Perú segnato da forti conflittualità ideologiche, da violenze di varia natura - prime fra tutte quelle legate al traffico della droga - da povertà vecchie e nuove.

"L'uso illegale delle risorse statali e l'uso dell'autorità pubblica a beneficio di coloro che la esercitano - prosegue il documento - piuttosto che servire il popolo, danneggiano soprattutto i più poveri".
La lotta alla corruzione è dunque per il Paese un'urgente necessità. A tale riguardo i presuli si domandano quale organismo statale abbia assunto l'iniziativa di combattere la corruzione "dopo la disattivazione dell'apposito ufficio nazionale".

Alla fine del documento i vescovi auspicano l'unione di tutti i soggetti sociali e istituzionali:  "La corruzione è difficile da contrastare, perché - sottolineano - assume forme diverse:  quando diminuisce in un settore, a volte rinasce e si incrementa in un altro. Il fatto stesso di denunciare richiede coraggio, unità, rinnovamento etico e morale".

Per eliminare, o almeno arginare il fenomeno della corruzione, secondo i presuli peruviani, è necessaria "insieme con la tenace volontà delle autorità, la generosa collaborazione, a ogni livello sociale, di tutti i peruviani, sostenuti da una salda coscienza morale che non si deve mai perdere nella prospettiva del bene comune, specialmente per il bene dei più bisognosi".
Il messaggio dei vescovi viene pubblicato dopo diversi casi di corruzione venuti alla luce tra esponenti del Governo e della pubblica amministrazione.

Il documento dei vescovi è firmato da monsignor Héctor Miguel Cabrejos Vidarte, arcivescovo di Trujillo e Presidente della Conferenza episcopale del Perú. Il presule, sulla linea del documento della Conferenza episcopale, ha ribadito che "la lotta contro la corruzione costituisce un'urgenza nazionale e, al tempo stesso, un imperativo che i dirigenti più alti del Governo devono assumere come compito istituzionale". "Nelle ultime settimane - prosegue la nota dell'arcivescovo - tutti siamo stati testimoni di scandali di corruzione che riguardano sia le istituzioni pubbliche sia quelle private. La società ha chiesto di mettere fine a questo grave problema che ci colpisce come comunità".
Per questa ragione, osserva il presule, rinnoviamo "con forza, come pastori il nostro appello, la nostra invocazione, in favore di un'etica pubblica che necessariamente deve poggiare su un autentico rinnovamento morale personale".

In questo cammino verso un mutamento di rotta è indispensabile, però, "recuperare quei valori profondi, irrinunciabili che devono permeare l'azione, il servizio di coloro ai quali è affidato il governo delle istituzioni e del Paese".
Il presidente della Conferenza episcopale del Perú ricorda inoltre che "l'uso illegale delle risorse dello Stato e l'utilizzo dei poteri pubblici a beneficio di chi esercita un'autorità politica, e non al servizio dei cittadini, comporta un grave danno per l'intero popolo, ma soprattutto per i più bisognosi ed emarginati".

Questi, ricorda il presule, a causa della diffusa corruzione, "perdono e vedono diminuire il loro accesso alla salute, agli alloggi, all'educazione; vedono affievolirsi il diritto a una vita degna della persona umana".
Infatti - evidenzia ancora - quando si erode la legittimità delle istituzioni, "si favoriscono gli abusi di poteri e tutto ciò offende la dignità della persona umana, indebolisce la governabilità democratica del Paese". L'arcivescovo riconosce inoltre che non è facile combattere la corruzione poiché agisce come una metastasi che invade il corpo sociale:  "Essa, allora, va sradicata con la volontà tenace delle autorità, con la collaborazione generosa di tutti i peruviani".


(©L'Osservatore Romano - 19 maggio 2010)
Caterina63
00mercoledì 7 luglio 2010 19:10
Dopo gli attacchi al cardinale Urosa Savino

Libertà d'espressione
per la Chiesa in Venezuela


Caracas, 7. La Chiesa cattolica in Venezuela respinge con determinazione l'inqualificabile aggressione verbale di cui è stato fatto oggetto il cardinale arcivescovo di Caracas, Jorge Liberato Urosa Savino, da parte del presidente della Repubblica, Hugo Chávez. Quest'ultimo nei giorni scorsi ha infatti gettato benzina sul fuoco nei rapporti tra Stato e Chiesa.
 
Lo ha fatto in due occasioni, approfittando anche delle celebrazioni per il bicentenario dell'indipendenza nazionale. Proprio il 5 luglio, parlando all'Assemblea nazionale nel corso della solenne seduta commemorativa, Chávez ha rivolto insulti pesantissimi al porporato, che recentemente aveva denunciato la chiusura di molti media dell'opposizione e aveva invitato il Governo a rispettare i diritti democratici sanciti dalla Costituzione. Insulti ribaditi anche in una trasmissione televisiva.

La reazione della Chiesa non si è fatta attendere. Per le prossime ore è stata annunciata una dichiarazione ufficiale dell'episcopato, mentre a caldo sono intervenuti il segretario generale della Conferenza episcopale, il vescovo Jesús González de Zárate Salas, e il consiglio presbiterale dell'arcidiocesi di Caracas.

In un'intervista alla rete Globovisión, il segretario generale dell'episcopato ha respinto con forza le accuse, facendosi anche portavoce delle numerosissime espressioni di solidarietà al cardinale giunte da tutto il Paese. "Purtroppo - ha detto il presule - il presidente ritiene essere un attacco personale tutto ciò che non è in linea con il suo modo di pensare". Ma la "posizione dei vescovi" - ha assicurato il segretario generale dell'episcopato - non è politica, ma ha lo scopo esclusivo di "illuminare la coscienza dei venezuelani". Da parte del presule, si stigmatizza poi la decisione di utilizzare per simili attacchi un "atto solenne" come la cerimonia per l'indipendenza nazionale.

Sulla stessa lunghezza d'onda anche il comunicato diffuso dal consiglio presbiterale dell'arcidiocisi di Caracas. Nel testo, infatti, "si deplora profondamente" che il presidente della Repubblica, "il presidente di tutti i venezuelani", utilizzi i mezzi di comunicazione e della televisione nazionale in una data così significativa come il 5 luglio, "che dovrebbe servire a riunire tutti i venezuelani", per "offendere e ridicolizzare" un cittadino che è anche pastore della Chiesa cattolica.

Dopo aver ricordato che il cardinale Urosa, in quanto cittadino, ha il diritto a esprimere la propria opinione per contribuire al bene comune del Paese, il comunicato sottolinea ancora che come arcivescovo di Caracas il porporato "ha tutto il diritto, anzi, ha il sacro dovere di orientare tutti i cattolici all'esercizio dei principi e dei valori della morale religiosa nel contesto dell'attuale situazione sociale e politica del nostro Paese". E respingendo ogni ingerenza nell'organizzazione interna della Chiesa, si fa notare, inoltre, che tutti gli interventi del porporato su temi inerenti il bene comune sono stati ispirati ai principi del Vangelo e della dottrina sociale della Chiesa.


(©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2010)

Caterina63
00lunedì 8 novembre 2010 09:42

Cuba, riapre il Seminario dopo 50 anni


I primi 100 giovani

Giornata storica per la Chiesa cattolica di Cuba: nel tardo pomeriggio di mercoledì, nella capitale L’Avana è stato inaugurato il nuovo Seminario arcidiocesano. Presenti alla cerimonia il presidente della Repubblica Raul Castro, accompagnato dai ministri degli Esteri e della Cultura, e numerosi vescovi tra cui il cardinale dell’Avana Jaime Ortega y Alamino e il presidente della Conferenza episcopale cubana, monsignor Dionisio Guillermo García Ibáñez.

L’eccezionalità dell’evento è stata illustrata da monsignor José Félix Perez, segretario esecutivo della Conferenza episcopale cubana secondo cui «si è trattato di un evento molto significativo perché questo è il primo edificio di una certa ampiezza ad essere costruito dai tempi della Rivoluzione», ovvero dal 1959 quando Fidel Castro prese il potere. Da lì un periodo di sofferenza per la Chiesa: Castro espulse dal Paese un centinaio di preti, altri sacerdoti – tra i quali il futuro cardinale Ortega – vennero mandati nei campi di rieducazione e i beni ecclesiastici furono confiscati. L’inaugurazione del Seminario – «anticipata» nel 1998 dalla benedizione della prima pietra dell’istituto da parte di Giovanni Paolo II durante il suo viaggio nell’isola (21-26 gennaio) – rappresenta, secondo diversi osservatori, un ulteriore segno del miglioramento dei rapporti tra il governo cubano e la Chiesa cattolica. Da qualche mese, ad esempio, è in corso la liberazione dal carcere di 52 dissidenti proprio grazie alla mediazione della Conferenza episcopale.

E in questa occasione così significativa Benedetto XVI non ha mancato di far sentire la sua presenza con un messaggio apposito, firmato dal segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone. Nel testo il Pontefice si è augurato che «che questo solenne evento possa essere un segno e uno stimolo per un rinnovato vigore in favore di un’accurata preparazione umana, spirituale e accademica dei futuri sacerdoti». Nel ringraziare per il loro «generoso contributo» quanti hanno reso possibile tale iniziativa, tra i quali va annoverata la Pontificia Commissione per l’America latina. Benedetto XVI invita i seminaristi di Cuba ad «identificarsi ogni giorno di più con i sentimenti di Cristo buon pastore» e ad essere al tempo stesso «testimoni audaci» dell’amore di Cristo come «autentici discepoli e missionari del Vangelo della salvezza».

Presenti all’evento dell’apertura della nuova struttura ecclesiale vi erano numerose delegazioni di vescovi da Stati Uniti (tra cui l’arcivescovo di Miami Thomas Wenski), ma anche di Messico, Porto Rico, Italia e Bahamas. Tra loro anche il presidente dei vescovi cubani, monsignor Dionisio Garcia, il nunzio apostolico a L’Avana, monsignor Giovanni Angelo Becciu, e una delegazione dei Cavalieri di Colombo, guidata dal responsabile internazionale Carl Anderson.

Situato a circa 17 chilometri a sud est di L’Avana, il Seminario, intitolato a San Carlo e a Sant’Ambrogio, ospiterà un centinaio di seminaristi e aprirà i battenti il 14 gennaio. Disposto su una superficie di quasi 22 ettari, la struttura – riferisce Radio Vaticana – conta su otto fabbricati predisposti come sedi dei corsi di teologia e filosofia oltre al rettorato, la biblioteca, l’aula magna e la cappella. I lavori per costruirli erano iniziati nel 2006 grazie ad alcuni finanziamenti da alcune chiese locali straniere, tra le quali la Conferenza episcopale italiana e quella statunitense.

Lorenzo Fazzini

fonte: Avvenire

Caterina63
00martedì 8 febbraio 2011 00:37

Cardinal Cipriani: “C'è un'agenda occulta contro il matrimonio”


ROMA, lunedì, 7 febbraio 2011 (ZENIT.org).- Il Cardinale peruviano Juan Luis Cipriani ha spiegato nel suo programma “Dialogo di Fede” gli insegnamenti della Chiesa in relazione al matrimonio tra un uomo e una donna per tutta la vita, nel contesto dei dibattiti sulla proposta dell'“unione civile tra persone dello stesso sesso”.

L'Arcivescovo di Lima ha espresso ciò che significano per la società la famiglia e il matrimonio tra un uomo e una donna, istituzione di complementarietà incaricata della procreazione e della formazione dei figli, e che obbedisce all'ordine naturale.

“A livello anatomico e psicologico, l'uomo e la donna sono fatti in modo da complementarsi meravigliosamente”, ha segnalato.

Di fronte alla proposta di legalizzare le unioni tra omosessuali, ha affermato che la società peruviana si definisce pluralista e tollerante, per cui sorprendono le dure critiche quando questa stessa società “pluralista e tollerante” dice alla Chiesa di non esprimersi su certi concetti.

“Non è un tema su cui la Chiesa deve tacere, non  può tacere!”, ha esclamato. “Non dico che dobbiamo essere d'accordo, ma il pastore della Chiesa deve dire ai suoi fedeli che il matrimonio è sempre stato tra un uomo e una donna e deve essere indissolubile, per tutta la vita”.

“Se oggi si vuole promuovere qualcosa di simile, anche se si dice che non è un matrimonio, commento che le istituzioni giuridiche di tipo economico già esistono; ma quando si dà carattere di unione o di nozze, si sta favorendo un'agenda occulta contro qualcosa che è di diritto naturale”.

“Chi vuole che ci siano aborti lo dica; chi vuole che ci siano matrimoni tra omosessuali lo dica. Si chiarisca tutto per sapere chi stiamo votando”, ha chiesto riferendosi ai dibattiti in corso in vista delle prossime elezioni alla Presidenza del Perù.



Caterina63
00venerdì 13 maggio 2011 11:33
Nicaragua: iniziata la Crociata nazionale di preghiera del Rosario per la pace



Con grande entusiasmo e devozione, i fedeli cattolici di Rivas hanno accolto gli 11 vescovi della Conferenza episcopale del Nicaragua giunti in questa località che si trova circa 113 km a sud di Managua, dove ha avuto inizio questa settimana la “Crociata nazionale di preghiera del Rosario”, che si prolungherà fino al primo luglio, giorno dichiarato dalla Chiesa cattolica del Nicaragua come “giornata nazionale di digiuno per la pace”. La nota pervenuta all'agenzia Fides dalla Conferenza episcopale del Nicaragua, riporta che oltre un centinaio di fedeli hanno accolto i vescovi, che si sono recati dal sindaco della città di Rivas, Wilfredo Lopez, il quale ha voluto rivolgere loro un discorso politicizzato, che nulla aveva a che fare con la circostanza.
Il sindaco è stato interrotto dai fischi e dalle contestazioni dei presenti, che lo hanno costretto a concludere il suo intervento.

Il presidente della Conferenza episcopale, mons. Leopoldo Brenes, arcivescovo di Managua, ha quindi ringraziato i fedeli per le dimostrazioni di affetto nei confronti dei vescovi e li ha invitati ad accompagnarli in corteo fino alla parrocchia di San Pedro, dove i vescovi e il clero della diocesi di Granada hanno concelebrato la Santa Messa. Nella sua omelia mons. Brenes, dopo i ringraziamenti, ha osservato: "abbiamo camminato insieme, come Chiesa è una delle esperienze più belle che portiamo nel nostro cuore, perché siamo una Chiesa missionaria. Ricordiamo che il beato Giovanni Paolo II ci ha dato questa grande testimonianza di andare per il mondo a condividere la Buona Novella di Gesù, e Papa Benedetto XVI ci ha detto che la nostra identità di Chiesa è di essere una Chiesa missionaria". Mons. Brenes ha invitato tutti i fedeli a partecipare alla Crociata nazionale di preghiera del Rosario davanti al Santissimo Sacramento, ricordando ai fedeli che "i vescovi della Conferenza episcopale del Nicaragua, come reso noto nel mese di novembre dello scorso anno, hanno proposto l'anno 2011 come Anno della Parola e Anno di preghiera per il Nicaragua, ed hanno organizzato diverse attività nel contesto del nostro essere Chiesa".

I vescovi hanno invitato tutti i fedeli nel mese di maggio ad unirsi recitando la preghiera del Rosario chiedendo la pace per il Nicaragua. Il Paese andrà alle elezioni il prossimo 6 novembre, i nicaraguensi dovranno eleggere il presidente, il vicepresidente, 90 deputati dell’Assemblea Nazionale e 20 rappresentanti al Parlamento Centroamericano (R.P.)

Radio Vaticana 12.5.2011

Caterina63
00martedì 21 giugno 2011 00:29
[SM=g1740717] [SM=g1740720]




Aiutiamo i bambini di Cuba a conoscere Gesù


Aiuto alla Chiesa che Soffre finanzia il dono del Catechismo


 

ROMA, lunedì, 20 giugno 2011 (ZENIT.org).- Aiutare i bambini di Cuba a conoscere Gesù è la sfida alla quale ha risposto l'associazione caritativa internazionale “Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS) dopo l'appello lanciato dalla Chiesa nel Paese caraibico.

Il responsabile della Sezione per la Catechesi della Conferenza Episcopale Cubana, il Vescovo Manuel García Menocal, ha infatti scritto una lettera all'associazione chiedendo aiuto “per un'iniziativa davvero straordinaria”, come ricorda ACS: “attraverso le parrocchie, regalare a 90.000 bambini dagli 8 ai 10 anni un Catechismo, scritto in linguaggio semplice e con immagini a colori”.

“Essere cattolici a Cuba significa avere grande tenacità e coraggio perché, a causa del mancato riconoscimento della piena libertà religiosa, la pastorale della Chiesa è penalizzata nei mezzi e negli spazi”, sottolinea l'associazione di diritto pontificio, nata con una campagna di aiuto lanciata nel 1947 dal monaco premonstratense Werenfried van Straaten.

“Da quando però, durante lo storico viaggio compiuto a Cuba nel 1998, l'allora Papa Giovanni Paolo II esortò i cubani a riscoprire la fede - 'Non abbiate paura di aprire il vostro cuore a Cristo!' -, l'interesse per la religione cattolica è andato risvegliandosi”.

“La Chiesa ha rinvigorito la sua opera di rievangelizzazione e la gente risponde con entusiasmo, riempie le chiese, a migliaia partecipano alle processioni, anche gli adulti frequentano le catechesi per prepararsi a ricevere i Sacramenti”.

Il Catechismo sarà distribuito nelle parrocchie, e i catechisti riceveranno un apposito sussidio per spiegarlo al meglio.

Per ACS, si tratta di “un grande progetto” con il quale la Chiesa “vuole far scoprire la fede ai bambini”.

“Sono figli di famiglie nelle quali Dio è rimasto uno sconosciuto – sottolinea –. Ma oggi la situazione sta cambiando, non lasciamo che questo desiderio di conoscere Gesù si spenga”.

Con una donazione di 25 euro è possibile donare 40 copie del Catechismo, con 50 euro 80, con 100 euro 160, con 150 euro 320 copie.

Per ulteriori informazioni, è possibile contattare l'Amministrazione ACS al numero 06.6989.3929 oppure scrivere un'email all'indirizzo gz@acs-italia.org

 



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