Notizie dalla Chiesa in Iraq

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Caterina63
00martedì 11 agosto 2009 18:07
Il cardinale Delly ritiene l'iniziativa del Governo iracheno un importante segnale

Restituite tre scuole cattoliche
alla Chiesa caldea dopo la lunga confisca

di Nicola Gori

chiesa  irachenaLa restituzione da parte del governo iracheno di tre scuole cattoliche alla Chiesa caldea è un episodio che segna un passo importante nelle relazioni tra Chiesa e istituzioni statali. Era, infatti, dagli anni Settanta, dopo la confisca operata dal regime di Saddam Hussein, che questi edifici erano stati sottratti ai legittimi proprietari. Solo adesso, a distanza di quasi quarant'anni, grazie all'intervento del cardinale Emmanuel iii Delly, Patriarca di Babilonia dei Caldei, e della buona volontà del primo ministro Nouri Al Maliki, si è giunti a una soluzione della vicenda.
"Sono tre scuole nazionalizzate negli anni Settanta dal regime di Saddam Hussein - ricorda il cardinale Delly spiegando a "L'Osservatore Romano"  com'è  andata  -.  Due  si  trovano  a Baghdad e una a Kerkûk. Sono state restituite alle suore caldee che le gestivano antecedentemente. La restituzione è avvenuta con il vincolo che questi edifici vengano usati per lo stesso scopo che avevano in precedenza e che siano diretti dalle suore o dal patriarcato. Abbiamo già la disponibilità di queste tre scuole, ma rimane ancora da perfezionare la registrazione a nome delle legittime proprietarie, le suore caldee. Attendiamo questo passaggio burocratico che sancirà la definitiva restituzione. Molti altri edifici di proprietà della Chiesa caldea sono stati requisiti negli anni di Saddam, ma a tutt'oggi devono esserci resi. Per questo stiamo facendo il possibile, affinché ciò avvenga quanto prima".

Come si è giunti a questo importante gesto?

Il risultato è stato ottenuto tramite una rete di amicizie e dopo aver parlato con il presidente, che ha dimostrato di aver capito il problema. Io ho presentato la domanda di restituzione delle scuole al primo ministro Al Maliki e lui ha deciso che questi immobili devono essere restituiti ai proprietari precedenti la confisca. Stiamo facendo il possibile anche perché si arrivi a registrare le tre scuole a nostro nome come era prima.

Come  viene  vissuto  dalla  Chiesa  caldea  questo evento?

La riconsegna degli immobili al loro legittimo proprietario dopo che erano stati presi con la forza è una cosa giusta nei confronti nostri e di tutti. Ringraziamo la buona volontà del primo ministro e del Governo nel restituire gli immobili ai proprietari. È un passo veramente importante, di cui siamo contenti, così come lo siamo per la maniera in cui il primo ministro ha detto che questi beni dovevano essere resi.

Chi frequentava queste strutture didattiche?

Erano scuole private al servizio di tutti:  musulmani e cristiani. Erano scuole cattoliche per tutto il popolo, ma la maggioranza degli alunni era composta da musulmani. Venivano gestite dalle suore caldee dipendenti dal patriarcato.


(©L'Osservatore Romano - 12 agosto)


per saperne di più clicca anche qui:

 [DOC]

Chiesa dell'Iraq, Chiesa dei martiri


La Chiesa dell'Iraq (o della Mesopotamia, dell'Assiria, di Babilonia) è sempre stata una Chiesa di martiri.


Caterina63
00martedì 11 agosto 2009 18:10
Chiesa dell'Iraq, Chiesa dei martiri

Le persecuzioni dei cristiani in Iraq
Don Pier Giorgio Giannazza, Missionario Salesiano in Palestina


La piccola fiamma è diventata un incendio.

Fino a qualche settimana fa, quale media parlava di persecuzione dei cristiani in Iraq? Ora varie riviste pongono in primo piano questo problema, con tanto di foto, titoli in copertina e di articoli. Si diffondono via internet video che ne mostrano dal vivo le scene tragiche. Chi poteva mai prevedere che i primi rari e orrendi attentati alla sicurezza dei cristiani iracheni, risalenti al dopo-guerra (2003) e al dopo-Saddam (2006), potessero assumere una proporzione tale da far parlare di persecuzione? Eppure i cristiani stessi ne avevano un certo presentimento già negli anni dell'era-Saddam, tanto che non raramente si sentiva pronunciare questa frase: "Della nostra situazione presente (come minoranza) non possiamo lamentarci. Ma l'incognita è proprio il dopo-Saddam. Temiamo che avverrà il peggio".

Sarà stata la paura della mano dura e impietosa del governo del raìs, sarà stato il riconoscimento dei diritti delle minoranze nel testo della costituzione, sarà stato soprattutto il senso umano di plurisecolare convivenza e buon vicinato tra cristiani e musulmani, fatto sta che la minoranza cristiana in Iraq, forte di 750.000 fedeli al passaggio del millennio, si sentiva sicura e tranquilla, per non dire prospera e stimata. Lo potevano testimoniare la cinquantina di chiese nella capitale Baghdad e la ventina a Mossùl, la più popolosa città del Nord. Solo il quartiere di Dora a Baghdad, chiamato orgogliosamente dai caldei "Vaticano dell'Iraq", contava sette chiese, cinque case religiose, il seminario, la facoltà di filosofia e teologia e migliaia di abitanti cristiani.

Ora le chiese sono un ammasso di rovine per gli attentati subiti, i conventi sono rimasti in balia di bande criminali che hanno costretto le suore ad abbandonarli, il seminario si è trasferito ad Ankawa nel Nord, gli edifici della facoltà sono occupati dalle truppe statunitensi, le famiglie cristiane, sottoposte ad ogni sorta di sopruso e violenza (minacce, pressioni, furti, estorsioni, tasse, rapimenti, riscatti) e sopravvissute agli attacchi (non pochi infatti hanno pagato con la vita la loro fedeltà a Cristo), hanno abbandonato ogni cosa e cercato rifugio altrove, più spesso nella regione del Kurdistan iracheno e nei villaggi della Piana di Ninive (Mossùl) o anche nella forzata emigrazione verso i Paesi limitrofi (Giordania, Siria, Turchia o anche Libano) o in nazioni molto più lontane. Si calcola che nell'intero Paese siano rimasti solo circa metà dei cristiani presenti prima dell'ultima guerra lanciata dall'offensiva americana. In pochi anni crolla e svanisce una presenza cristiana antichissima, che si gloria di avere origini apostoliche per il passaggio di san Tommaso e la predicazione di Addai e Mari, due dei 72 discepoli di Gesù.

A ben considerare tutta la spaventosa realtà dell'odierno Iraq, la sorte dei cristiani è in parte comune a quella dei vari gruppi di maggioranze e minoranze religiose o etniche.
Basta riferirsi a tutti gli attentati e alle stragi di sangue ed eccidi di folla perpetrati vicendevolmente da gruppi estremisti sunniti e sciiti: né piazze, né moschee, né mercati né caserme né quartieri popolari sono stati risparmiati. Basti pensare che dei quattro milioni di rifugiati iracheni (all'interno o all'estero) degli ultimi anni oltre tre milioni sono musulmani.

E come commentare l'orribile strage di yaziditi di metà agosto, che ha lasciato sul campo oltre 500 vittime innocenti, colpevoli solo di esser una minoranza religiosa pre-islamica? Anche contro di loro è in atto una spietata persecuzione religiosa. E si teme anche per altre minoranze, come i turcomanni, gli shabak, i sabei o mandei.
Ma i cristiani sono i più deboli tra i deboli e i più indifesi. Cristo insegna loro il perdono, L'amore ai nemici, il non vendicarsi con le stesse misure, il non uso del terrorismo. E certo i loro nemici giurati contano di poter far leva su questa "debolezza" dei cristiani per imporre ogni tipo di sopruso e usare violenza. Entrano impunemente nelle case dei cristiani ed esigono il pagamento di una tassa (gìzya) dagli "infedeli" e “protetti” (dhimmi) per il neo-proclamato "Stato islamico dell'Iraq". Impongono alle donne l'uso del velo e l'adeguamento all'abbigliamento islamico, pena lo sfregio o le bruciature. Chiedono spudoratamente una o più figlie in sposa come pegno. Rapiscono un figlio o una figlia ed esigono somme enormi come riscatto. Minacciano di bruciare la casa, se non l'abbandonano. Pongono il dilemma: o ti fai musulmano o vattene da qui, tu e la tua famiglia! Spesso non danno neppure il tempo di raccogliere i documenti, i risparmi, il minimo necessario per sopravvivere. Vai in chiesa, torni e non sai se trovi la tua casa libera o occupata.

Termini la celebrazione della santa messa domenicale con l'annuncio "andate in pace", esci di chiesa e sei falciato a morte dalle armi implacabili di fanatici estremisti. Povero padre Raghid Ganni! Così il giovane sacerdote caldeo è stato freddato e crivellato di colpi a Mossùl, insieme con tre suddiaconi. Ma perché povero? Il patriarca Emmanuel III Delly non ha esitato a chiamarlo martire di Cristo. E lo stesso titolo si può dare a padre Poulos Iskàndar, sacerdote siro ortodosso, barbaramente decapitato e mozzato delle mani a soli due giorni dopo il suo sequestro. Lo stesso si deve dire d'un membro della comunità protestante ucciso a Mossùl.
E le centinaia di cristiani che hanno pagato col sangue la strenua fedeltà al Signore Gesù?

Ma a chi si possono attribuire simili azioni di terrorismo religioso e di fanatismo estremista? Spontaneamente viene da puntare il dito contro i musulmani. Ma quali musulmani? A sentire lo stesso patriarca Emmanuel Delly, in una sua intervista concessa a 30 Giorni, non sono i musulmani normali, semplici, abituati a convivere coi cristiani nelle zone miste e persino contenti di avere un vicino cristiano, considerato onesto, fedele, amico, magnanime.

Non è la gente comune a commettere simili delitti: essa desidera solo vivere in pace in casa propria e nel suo quartiere. Gli aggressori sono invece gente imbevuta di fanatismo religioso, che vede nell'Islam il rimedio di ogni male, la soluzione per ogni problema e il ristabilimento di ogni bene.

Ogni mezzo è lecito per imporre questa visione. I "diritti di Dio" hanno il sopravvento sui "diritti dell'uomo". La violenza rientra nelle regole per portare la pax islamica. E gli approfittatori e mestatori si mescolano con loro o vestono la loro maschera. Non pochi combattenti fanatici s'infiltrano dall'esterno, dall'Arabia Saudita, dall'Iran, dalla Giordania. E con loro portano i piani destabilizzanti da imporre anche col terrore: al Centro-Nord (feudo dei sunniti) non solo uno stato islamico, ma anche un califfato, che si estenderebbe poi a tutti i paesi islamici; e al Sud (feudo degli sciiti) uno stato islamico parallelo che prepari la venuta dell'imam Al-Mahdi. Sono le due ideologie che caratterizzano e separano i due maggiori gruppi musulmani.

Certamente qualche potente organizzazione (chi non pensa ad Al-Qa'edah?), se non qualche governo, sta loro dietro per rifornirli di armi, per dar sfogo alla loro violenta passione missionaria e per amplificare il loro impatto.

Ma in un Iraq ormai immerso nel caos e paralizzato nell'azione politica e nella protezione dei cittadini, chi mai può fermare queste bande fanatiche? Per questi conta l'obiettivo: fare pulizia, annientando gli altri.

La Chiesa dell'Iraq (o della Mesopotamia, dell'Assiria, di Babilonia) è sempre stata una Chiesa di martiri. Dai tempi delle persecuzioni dei re parti e persiani nei primi secoli, e successivamente lungo la dominazione musulmana araba, poi mongola e infine turca, la popolazione cristiana della regione ha conosciuto periodicamente strettezze, attacchi, dispersioni, esodi e massacri. E le vittime si contavano a migliaia più che a centinaia! Nessuno può prevedere lo sbocco della persecuzione odierna in Iraq contro i cristiani. Le autorità religiose, per primo il patriarca caldeo, capo della comunità più numerosa accanto ad altre undici comunità cristiane, invitano i fedeli a restare, nonostante tutto, forti di un'invincibile speranza, fondata su Cristo, Signore della storia.

(fonte da: Un Mondo Possibile, novembre 2007)


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Caterina63
00giovedì 26 novembre 2009 18:44

 Imbarazzato

Distrutta la chiesa di Sant'Efrem e danneggiata la Casa madre delle suore domenicane di Santa Caterina

Gli attentati a Mossul
colpiscono
tutti i cristiani



Baghdad, 26. "Ci dispiace, dispiace a tutti i cristiani dell'Iraq, dispiace a tutto il mondo l'attentato che ha raso al suolo la chiesa di Sant'Efrem a Mossul e colpito la Casa madre delle suore domenicane di Santa Caterina". Con queste parole fonti cristiane in Iraq hanno comunicato nel primo pomeriggio al nostro giornale lo sconcerto e il turbamento per gli attacchi dinamitardi compiuti questa mattina nella città. Nel darne notizia, l'agenzia AsiaNews ha aggiunto di non avere notizie di morti o feriti.

Un commando di una decina di persone - riferisce l'agenzia - ha fatto irruzione nella chiesa caldea di Sant'Efrem, situata nel quartiere di al-Jadida, nella parte nuova della città. Gli attentatori hanno fatto uscire le persone che si trovavano all'interno del luogo di culto. Poi hanno posizionato gli ordigni e sono fuggiti. La chiesa è andata completamente distrutta. Successivamente il commando si è diretto alla Casa madre delle suore domenicane di Santa Caterina.

Ricorda la France Presse che sin dal 2008 una campagna sistematica di violenze ha provocato più di quaranta morti tra i cristiani a Mossul, determinando la fuga di più di dodicimila di essi. Inoltre, in un rapporto pubblicato il 10 novembre, l'organizzazione umanitaria Human Rights Watch sottolinea che le minoranze, in particolare quella cristiana, che vivono nel nord dell'Iraq sono le vittime collaterali del conflitto fra arabi e curdi per il controllo del territorio.



(©L'Osservatore Romano - 27 novembre 2009)
Caterina63
00sabato 27 febbraio 2010 15:16

Patriarca siro cattolico in Iraq: autorità “complici” nei fatti di Mossul


“Quando è troppo è troppo”, scrive al Premier iracheno


ROMA, giovedì, 25 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Un duro atto di accusa contro le autorità irachene “complici” di non fare nulla per frenare il bagno di sangue a Mossul è quello contenuto nella lettera inviata questo mercoledì dal Patriarca della Chiesa siro cattolica in Iraq, Sua Beatitudine Mar Ignatius III Joseph Younan, al Primo ministro del Paese Nouri Al-Maliki.

“Mentre vi scriviamo – esordisce il Patriarca – il nostro cuore sanguina per le tragiche notizie che ci giungono ogni giorno da Mosul dove i cristiani sono continuamente attaccati da criminali 'sconosciuti'. Vengono uccisi, massacrati, molestati nelle strade, nelle scuole e anche a casa e solo per il fatto che appartengono a una religione differente da quella della maggioranza degli abitanti della città”.

Negli ultimi dieci giorni la città di Mossul è stata teatro dell'assassinio di ben otto cristiani. L'ultimo omicidio si è verificato il 23 febbraio quando un commando armato ha fatto irruzione nella casa di un cristiano uccidendo l’uomo e i suoi due figli maschi sotto gli occhi della moglie e della figlia, risparmiate dai criminali.

“Peggio ancora – si legge nella lettera – non c'è nessuno che fa domande sulla questione della giustizia, né sulla questione del diritto e nemmeno vi è nessuno che punisce gli aggressori. Credeteci: quando è troppo è troppo!”.

“Non vi è nessuna coscienza umana che possa accettare questa mancanza di sicurezza a Mossul, dove è diventato lecito uccidere innocenti e indifesi – osserva il Patriarca –. Siamo sorpresi dalle ragioni addotte dai funzionari del governo e dal loro fallimento non possiamo che dedurre una loro complicità nel processo di svuotamento della città di Mossul dai cristiani che ci vivono da secoli dove anche le pietre grondano del sudore dei loro antenati”.

“Leviamo la nostra voce e ci chiediamo: se le forze di sicurezza in Iraq non hanno potuto proteggere i cittadini innocenti e vulnerabili perché, in nome di Dio, non si danno agli innocenti delle armi per difendersi piuttosto che lasciarli macellare come percore”.

“Non c'è nessuno, né nessuna ragione, né elezioni, né occupazione, né conflitti tra partiti che possano giustificare quanto sta accadendo a Mossul ”.

“E' risaputo che i cristiani iracheni non hanno mai ambito al potere, non hanno mai assalito nessuno e non si sono mai vendicati contro i colpevoli. Non è arrivato forse il momento per il vostro governo in uno Stato di diritto di usare il pugno di ferro e di punire i criminali e i loro complici a Mossul?”.

“Noi ce ne rendiamo conto – continua – e vi diciamo chiaramente che il dolore che opprime il cuore dei cristiani in Iraq si tramuterà in rabbia al di fuori dell'Iraq, dove vi saranno manifestazioni davanti a tutte le ambasciate irachene per condannare lo stato di insicurezza in cui si trovano i cristiani innocenti a Mossul”.

“Fiduciosi nella vostra saggezza e imparzialità, vi ringraziamo”, conclude infine.

[Con il contributo di Tony Assaf]

Caterina63
00lunedì 26 aprile 2010 20:38
Conclusi i lavori ad Ankawa

Il raduno sacerdotale in Iraq


Baghdad, 26. Tre giorni di intensi lavori hanno caratterizzato il raduno sacerdotale tenutosi ad Ankawa e organizzato dal seminario patriarcale caldeo di "San Pietro" e dal "Babel College", l'unica facoltà di filosofia e teologia in Iraq. Presieduto dal Patriarca di Baghdad dei Caldei, cardinale Emmanuel iii Delly, il raduno ha visto centosettantadue partecipanti che hanno seguito i venti interventi tenuti da vescovi, sacerdoti, personale docente e laureandi del Babel College.

La riunione - riferisce Baghdadhope - ha avuto come temi principali il sacerdozio nella realtà irachena della violenza, dell'emigrazione e degli attacchi ai luoghi di culto cristiani e la necessità della formazione dei sacerdoti e della preparazione per le future vocazioni.
Ai lavori del raduno sacerdotale hanno preso parte, oltre ai vescovi relatori, monsignor Mikha Pola Maqdassi, vescovo di Alquoch dei Caldei, monsignor Rabban Al-Qas, vescovo di Amadiyah dei Caldei e amministratore patriarcale di Arbil dei Caldei, e il dottor Abdallah Al Naufali, capo dell'Ufficio governativo per le minoranze non musulmane.

Alla chiusura dei lavori, affidati al nunzio apostolico in Giordania e Iraq, arcivescovo Francis Assisi Chullikat, i partecipanti alla riunione hanno espresso alcune raccomandazioni. In particolare - hanno sottolineato padre Salem Saka e padre Bashar Warda - l'organizzazione di riunioni biennali incentrate su temi biblici, teologici o pastorali affidata al Babel College che le annuncerà con sei mesi di anticipo e alle quale saranno invitati tutti i sacerdoti iracheni che concorderanno la propria partecipazione con i propri vescovi.

Svolgimento di due ritiri spirituali per i sacerdoti della durata di tre giorni l'uno, organizzati dal seminario caldeo di San Pietro e che saranno annunciati, anch'essi con sei mesi di anticipo per dare ai sacerdoti la possibilità di organizzare i propri impegni pastorali. facilitare la preparazione pastorale dei sacerdoti attraverso testi e opuscoli dedicati; coordinamento tra i vescovi e il comitato per le vocazioni del seminario di San Pietro per l'organizzazione di riunioni spirituali e di conoscenza con le famiglie e con i giovani sul tema della vocazione sacerdotale e della vita consacrata; preparazione di personale specializzato per la formazione sacerdotale; necessità della riapertura del seminario minore e preparazione di personale qualificato per la sua gestione. Infine, un coordinamento con il Consiglio delle Chiese cristiane in Iraq per la realizzazione delle sopracitate raccomandazioni da estendere a tutte le denominazioni cristiane del Paese.



(©L'Osservatore Romano - 26-27 aprile 2010)
Caterina63
00sabato 3 luglio 2010 00:44
l discorso di Benedetto XVI al nuovo ambasciatore della Repubblica dell'Iraq presso la Santa Sede

Musulmani e cristiani insieme
per la pace e la riconciliazione


Le antiche comunità devono poter rimanere nella loro terra ancestrale

Benedetto XVI ha ricevuto nella mattina di venerdì 2 luglio, alle ore 11, in solenne udienza, Sua Eccellenza il Signor Habbeb Mohammed Hadi Ali Al-Sadr, nuovo ambasciatore della Repubblica dell'Iraq presso la Santa Sede, il quale ha presentato le Lettere con le quali viene accreditato nell'alto ufficio. Rilevato alla sua residenza da un Gentiluomo di Sua Santità e da un Addetto di Anticamera, il diplomatico è giunto alle 10.45 al Cortile di San Damaso, nel Palazzo Apostolico Vaticano, ove un reparto della Guardia Svizzera Pontificia rendeva gli onori. Al ripiano degli ascensori, era ricevuto da un Gentiluomo di Sua Santità e subito dopo saliva alla seconda Loggia, dove si trovavano ad attenderlo gli Addetti di Anticamera e i Sediari. Dalla seconda Loggia il corteo si dirigeva alla Sala Clementina, dove l'ambasciatore veniva ricevuto dal prefetto della Casa Pontificia, l'arcivescovo James Michael Harvey, il quale lo introduceva alla presenza del Pontefice nella Biblioteca privata. Dopo la presentazione delle Credenziali da parte dell'ambasciatore avevano luogo lo scambio dei discorsi e, quindi, il colloquio privato. Al termine dell'udienza, nella Sala Clementina il diplomatico prendeva congedo dal prefetto della Casa Pontificia e discendeva nel Cortile di San Damaso, dove si congedava dai Dignitari che lo avevano accompagnato, prima di far ritorno alla sua residenza.

Questo è il testo del discorso del Papa.

Your Excellency,
I am pleased to welcome you at the start of your mission and to accept the Letters accrediting you as Ambassador Extraordinary and Plenipotentiary of the Republic of Iraq to the Holy See. I thank you for your kind words, and I ask you to convey to President Jalal Talabani my respectful greetings and the assurance of my prayers for the peace and well-being of all the citizens of your country.
On 7 March 2010, the people of Iraq gave a clear sign to the world that they wish to see an end to violence and that they have chosen the path of democracy, through which they aspire to live in harmony with one another within a just, pluralist and inclusive society. Despite attempts at intimidation on the part of those who do not share this vision, the people showed great courage and determination by presenting themselves at the polling stations in large numbers. It is to be hoped that the formation of a new Government will now proceed swiftly so that the will of the people for a more stable and unified Iraq may be accomplished. Those who have been elected to political office will need to show great courage and determination themselves, in order to fulfil the high expectations that have been placed in them. You may be assured that the Holy See, which has always valued its excellent diplomatic relations with your country, will continue to provide whatever assistance it can, so that Iraq may assume its rightful place as a leading nation in the region with much to contribute to the international community.
The new Government will need to give priority to measures designed to improve security for all sectors of the population, particularly the various minorities. You have spoken of the difficulties faced by Christians and I note your comments about the steps taken by the Government to afford them greater protection. The Holy See naturally shares the concern you have expressed that Iraqi Christians should remain in their ancestral homeland, and that those who have felt constrained to emigrate will soon consider it safe to return. Since the earliest days of the Church, Christians have been present in the land of Abraham, a land which is part of the common patrimony of Judaism, Christianity and Islam. It is greatly to be hoped that Iraqi society in the future will be marked by peaceful coexistence, as is in keeping with the aspirations of those who are rooted in the faith of Abraham. Although Christians form a small minority of Iraq's population, they have a valuable contribution to make to its reconstruction and economic recovery through their educational and healthcare apostolates, while their engagement in humanitarian projects provides much-needed assistance in building up society. If they are to play their full part, however, Iraqi Christians need to know that it is safe for them to remain in or return to their homes, and they need assurances that their properties will be restored to them and their rights upheld.
Recent years have seen many tragic acts of violence committed against innocent members of the population, both Muslim and Christian, acts which as you have pointed out are contrary to the teachings of Islam as well as those of Christianity. This shared suffering can provide a deep bond, strengthening the determination of Muslims and Christians alike to work for peace and reconciliation. History has shown that some of the most powerful incentives to overcome division come from the example of those men and women who, having chosen the courageous path of non-violent witness to higher values, have lost their lives through cowardly acts of violence. Long after the present troubles have receded into the past, the names of Archbishop Paulos Faraj Rahho, Father Ragheed Ganni and many more will live on as shining examples of the love that led them to lay down their lives for others. May their sacrifice, and the sacrifice of so many others like them, strengthen within the Iraqi people the moral determination that is necessary if political structures for greater justice and stability are to achieve their intended effect.
You have spoken of your Government's commitment to respect human rights. Indeed, it is of the utmost importance for any healthy society that the human dignity of each of its citizens be respected both in law and in practice, in other words that the fundamental rights of all should be recognized, protected and promoted. Only thus can the common good be truly served, that is to say those social conditions which allow people, either as groups or as individuals, to flourish, to attain their full stature, and to contribute to the good of others (cf. Compendium of the Social Doctrine of the Church, 164-170). Among the rights that must be fully respected if the common good is to be effectively promoted, the rights to freedom of religion and freedom of worship are paramount, since it is they that enable citizens to live in conformity with their transcendent dignity as persons made in the image of their divine Creator. I therefore hope and pray that these rights will not only be enshrined in legislation, but will come to permeate the very fabric of society - all Iraqis have a part to play in building a just, moral and peaceable environment.
You begin your term of office, Mr Ambassador, in the months leading up to a particular initiative of the Holy See for the support of the local Churches throughout the region, namely the Special Assembly for the Middle East of the Synod of Bishops. This will provide a welcome opportunity to explore the role and the witness of Christians in the lands of the Bible, and will also give an impetus to the important task of inter-religious dialogue, which has so much to contribute to the goal of peaceful coexistence in mutual respect and esteem among the followers of different religions. It is my earnest hope that Iraq will emerge from the difficult experiences of the past decade as a model of tolerance and cooperation among Muslims, Christians and others in the service of those most in need.
Your Excellency, I pray that the diplomatic mission that you begin today will further strengthen the bonds of friendship between the Holy See and your country. I assure you that the various departments of the Roman Curia are always ready to offer help and support in the fulfilment of your duties. With my sincere good wishes, I invoke upon you, your family, and all the people of the Republic of Iraq, abundant divine blessings.

Questa la traduzione del discorso del Papa all'ambasciatore della Repubblica dell'Iraq.

Eccellenza,
sono lieto di accoglierla all'inizio della sua missione e di accettare le Lettere che la accreditano quale Ambasciatore straordinario e plenipotenziario dell'Iraq presso la Santa Sede.

La ringrazio per le sue gentili parole e le chiedo di trasmettere al Presidente Jalal Talabani i miei saluti rispettosi e l'assicurazione delle miei preghiere per la pace e per il benessere di tutti i cittadini del suo Paese.

Il 7 marzo 2010 i membri del popolo iracheno hanno manifestato chiaramente al mondo il desiderio di vedere la fine della violenza e di aver scelto la via della democrazia, attraverso la quale aspirano a vivere in armonia reciproca, in una società giusta, pluralista e inclusiva. Nonostante i tentativi d'intimidazione da parte di quanti non condividono questa visione, le persone hanno mostrato grande coraggio e determinazione presentandosi, numerose, alle urne. Bisogna sperare che la formazione di un nuovo governo proceda ora velocemente per soddisfare la volontà delle persone di un Iraq stabile e unificato.

Quanti sono stati eletti dovranno mostrare grande coraggio e determinazione per soddisfare le elevate aspettative che le persone riversano su di loro. Sia certo che la Santa Sede, che ha sempre apprezzato le proprie eccellenti relazioni diplomatiche con il suo Paese, continuerà a offrire tutta l'assistenza possibile affinché l'Iraq possa assumere il suo giusto ruolo di nazione guida nella regione, contribuendo molto alla comunità internazionale. Il nuovo governo dovrà accordare priorità a misure volte a migliorare la sicurezza di tutti i settori della popolazione, in particolare delle varie minoranze.

Lei ha parlato delle difficoltà affrontate dai cristiani e noto i suoi commenti sulle misure intraprese dal Governo per concedere loro maggiore protezione. La Santa Sede naturalmente condivide l'opinione da Lei espressa sul fatto che i cristiani iracheni dovrebbero rimanere nella loro patria ancestrale e che quanti si sono sentiti costretti a emigrare dovrebbero presto giudicare sicuro tornare.

Fin dagli inizi della Chiesa, i cristiani sono stati presenti nella terra di Abramo, una terra che è parte del patrimonio comune di ebraismo, cristianesimo e Islam. Bisogna sperare che, in futuro, la società irachena sia caratterizzata da coesistenza pacifica, in sintonia con le aspirazioni di quanti sono radicati nella fede di Abramo. Sebbene i cristiani siano un'esigua minoranza della popolazione irachena, possono rendere un contributo prezioso alla ricostruzione e alla ripresa economica del Paese attraverso i loro apostolati educativi e sanitari, mentre il loro impegno nei progetti umanitari offre un'assistenza molto necessaria nell'edificare la società. Se devono svolgere la loro parte, però, i cristiani iracheni devono sapere che è sicuro per loro restare o tornare nelle loro case, e devono ricevere l'assicurazione che le loro proprietà saranno restituite loro e i loro diritti rispettati.

Negli ultimi anni si sono verificati molti atti tragici di violenza commessa contro membri innocenti della popolazione, sia musulmani sia cristiani, atti che come lei ha evidenziato sono contrari agli insegnamenti dell'Islam nonché a quelli del cristianesimo. Questo dolore condiviso può costituire un vincolo profondo, rafforzando la determinazione dei musulmani e dei cristiani a lavorare per la pace e per la riconciliazione.

La storia ha dimostrato che alcuni degli incentivi più potenti per superare la divisione derivano dall'esempio di quegli uomini e di quelle donne che, avendo scelto la via coraggiosa della testimonianza non violenta di valori più elevati, sono morti a causa di atti codardi di violenza. Quando i problemi attuali saranno ormai una cosa del passato, i nomi dell'Arcivescovo Paulos Faraj Rahho, Padre Ragheed Ganni e molti altri ancora vivranno come esempi luminosi dell'amore che li ha condotti a sacrificare la propria vita per gli altri. Che i loro sacrifici e quelli di così tanti altri come loro rafforzino nel popolo iracheno la determinazione morale che è necessaria se le strutture politiche per maggiore giustizia e stabilità devono raggiungere l'effetto voluto.

Ha parlato dell'impegno del Governo per rispettare i diritti umani. Infatti, è della massima importanza per qualsiasi società sana che la dignità umana di ognuno dei suoi cittadini venga rispettata sia nel diritto sia nella pratica, in altre parole che i diritti fondamentali di tutti vengano riconosciuti, tutelati e promossi. Soltanto in questo modo si può servire veramente il bene comune, ovvero quelle condizioni sociali che permettono alle persone, sia a gruppi sia a singoli individui, di prosperare, di raggiungere la loro piena statura morale e di contribuire al bene degli altri (cfr. Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, 164-170).

Fra i diritti che devono essere pienamente rispettati se il bene comune deve essere effettivamente promosso, i diritti di religione e di libertà di culto sono fondamentali perché sono quelli che permettono ai cittadini di vivere in conformità con la loro dignità trascendente, come persone fatte a immagine del loro divino Creatore. Quindi, spero e prego affinché questi diritti non solo siano consacrati nella legislazione, ma permeino il tessuto stesso della società. Tutti gli iracheni hanno un ruolo da svolgere nella creazione di un ambiente giusto, morale e pacifico.

Signor Ambasciatore comincia il suo mandato nei mesi che precedono una particolare iniziativa della Santa Sede per il sostegno delle Chiese locali nella regione, ovvero l'Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi. Sarà un'opportunità importante per esaminare il ruolo e la testimonianza dei cristiani che abitano nelle terre bibliche e darà anche impulso al compito importante del dialogo interreligioso, che può contribuire così tanto all'obbiettivo della coesistenza pacifica nel rispetto e nella stima reciproche fra i seguaci di differenti religioni. Spero sinceramente che l'Iraq emerga dalle esperienze difficili dello scorso decennio come modello di tolleranza e di cooperazione fra musulmani, cristiani e altri al servizio dei bisognosi.

Eccellenza, prego affinché la missione diplomatica che comincia oggi rafforzi i vincoli di amicizia fra la Santa Sede e il suo Paese. La assicuro che i vari dicasteri della Curia Romana saranno sempre pronti a porgere aiuto e sostegno nello svolgimento dei suoi doveri. Con i miei sinceri buoni auspici, invoco su di lei, sulla sua famiglia e su tutto il popolo della Repubblica dell'Iraq, abbondanti benedizioni divine.


(©L'Osservatore Romano - 3 luglio 2010)

Caterina63
00mercoledì 8 settembre 2010 12:53

Rapito in Iraq: “date voi ai poveri, al posto mio”


Intervista all’Arcivescovo di Mosul


MOSUL (Iraq), lunedì 6 settembre 2010 (ZENIT.org).- Qualche anno fa, l’Arcivescovo di Mosul è stato vittima di violenze in Iraq. Rapito da sconosciuti, è stato prima minacciato di morte e poi infine rilasciato.

Rispondendo ai suoi rapitori, che gli avevano chiesto quanti soldi avesse, l’Arcivescovo ha detto che nel caso l’avessero ucciso: “allora dovrete distribuire voi questi soldi ai poveri, al posto mio”.

Monsignor Basile Georges Casmoussa, 71 anni, è Arcivescovo di Mosul per i cattolici siriani. Quando parla della sua terra, gli spunta subito un sorriso perché – afferma – rafforza la sua speranza nell’umanità.

In questa intervista rilasciata al programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, il presule riflette sull’urgenza della pace per la sua nazione in subbuglio.

Vorrebbe che i soldati americani andassero via dall’Iraq il prima possibile?

Monsignor Casmoussa: Mi fa la domanda migliore all’inizio. Sì, certamente, ogni soldato normalmente desidererebbe tornare a casa. Ciò di cui abbiamo bisogno e ciò che auspichiamo è la pace per il nostro Paese. Credo che sia una buona cosa quella di studiare le modalità del rientro, per costruire la pace e la tranquillità, e consolidare l’amicizia tra i due popoli: quello dell’Iraq e quello degli Stati Uniti.

I cristiani sono penalizzati in Iraq dalla presenza dei soldati americani?

Monsignor Casmoussa: Non la metterei in questi termini. Tutti gli iracheni sono penalizzati dalla presenza di un esercito straniero. I cristiani, una minoranza, sentono di esserne più influenzati di altri, ma la realtà è che tutte le persone soffrono a causa della situazione della guerra.

Vivere in Iraq è ancora molto pericoloso e forse anche nella regione in cui lei vive. Lei stesso è stato rapito nel 2005. Ci può dire chi l’ha rapito e perché?

Monsignor Casmoussa: Sì. Non so chi fossero, ma so di essere stato rapito. Ad oggi ancora non so se erano fondamentalisti, un gruppo politico o altri. Sono stato trattenuto per 20 ore. Direi che mi hanno trattato in modo corretto. Ero tranquillo con loro, parlavo e rispondevo alle loro domande.

Cosa le hanno chiesto?

Monsignor Casmoussa: Per esempio mi hanno chiesto perché diciamo che Cristo è il Figlio di Dio, perché noi sacerdoti non ci sposiamo, quale è il significato del matrimonio nel Cristianesimo, e così via.

Ma l’hanno rapita perché pensavano che fosse una spia americana, o per quale ragione?

Monsignor Casmoussa: No, nulla di tutto questo. Non mi hanno accusato di nulla. Questo talvolta viene usato come pretesto ma non è vero e non mi hanno accusato di questo. Dicono sempre qualcosa sul legame con le forze d’occupazione.

Ci può dire cosa le è successo? Come è stato rapito, se era per strada o in chiesa?

Monsignor Casmoussa: Stavo visitando una famiglia e dopo la visita ho benedetto la loro nuova casa. Alcuni giovani hanno buttato giù un albero per bloccarmi e mi hanno messo nel portabagagli della loro macchina.

Ha temuto per la sua vita?

Monsignor Casmoussa: Quando ero nel portabagagli pregavo Dio di darmi la grazia di restare calmo e di avere speranza fino alla fine, e che fosse fatta la sua volontà. Chiedevo anche che mi desse la grazia di rimanere tranquillo e di non dire nulla di pregiudizievole. Sono rimasto molto calmo quando uno di rapitori mi ha chiesto quanti soldi avessi. Gli ho risposto quanti soldi avevo e che ce l’avevo scritto nel mio quaderno, e che i soldi erano per i poveri. Lui mi ha detto: “Sarai ucciso”. Io ho risposto: “Va bene, allora dovrete distribuire voi questi soldi ai poveri, al posto mio”.

E cosa le hanno risposto? Sebbene i soldi fossero destinati ai poveri, magari loro li volevano per se stessi o per fini terroristici...

Monsignor Casmoussa: Può darsi. Io non lo so. Ma il secondo giorno, quando sono stato minacciato di essere ucciso, uno mi ha chiesto se avevo qualcosa da dire ai miei cari. Ho detto: “Sì”. Mi sono messo a pregare, abbandonandomi nelle mani di Dio e poi ho detto: “Offro la mia vita come sacrificio per la pace in Iraq e perché tutti i figli del popolo iracheno, musulmani e cristiani, uniscano le mani per costruire il Paese”. Lui mi ha detto: “No, voglio avere qualcosa di speciale da te, personalmente”. Gli ho risposto: “Non ho nient’altro”. Il modo di parlare era cambiato e il problema era risolto.

Quindi lei è amato sia dai cristiani che dai musulmani?

Monsignor Casmoussa: Forse è un dono di Dio. Quando sono tornato all’Arcivescovado, una signora anziana mi ha detto: “Eccellenza, ho pregato che Dio rompesse loro il collo”. È un’espressione araba. Ma io le ho risposto: “Se Dio gli rompe il collo, aumenta il numero degli handicappati. Chiediamo a Dio di rompere il loro cuore per un miracolo”.

Molti iracheni cristiani stanno abbandonando il Paese. E lei è ancora a Mosul. Cosa la trattiene qui?

Monsignor Casmoussa: Credo che un modo per far rimanere i cristiani in Iraq sia quello di tornare ad una situazione di pace, perché hanno lì la propria casa, il proprio lavoro, la propria storia. Come è noto, noi cristiani in Iraq non proveniamo da altri Paesi. Siamo qui da duemila anni, ovvero sin dall’inizio del Cristianesimo, e qui abbiamo le nostre case. Abbiamo la nostra storia, la nostra identità. Abbiamo le nostre chiese, i nostri monasteri. Non è facile abbandonare la propria identità.

Lei stesso è nato nei pressi di Mosul?

Monsignor Casmoussa: Sì, a Kirkuk. In tutte queste zone attorno a Mosul e nel parte nord, che ora chiamate Kurdistan, vi sono terre cristiane. Abbiamo migliaia e migliaia di chiese e monasteri. Abbiamo manoscritti e libri che parlano della storia del Cristianesimo in questa terra. L’Islam è arrivato nel 632 d.C., nel VII secolo, ma prima, il Cristianesimo era organizzato con chiese, monasteri e ordini.

Ma ora i musulmani vengono importati nei villaggi cristiani. È in atto una sorta di pulizia etnica per il fatto che famiglie musulmane vengono inserite nei villaggi cristiani?

Monsignor Casmoussa: Sì, vi sono alcuni quartieri di Baghdad da cui sono stati eliminati i cristiani. Ma alcuni quartieri, principalmente a Baghdad, sono stati anche ripuliti dai sunniti e rimpiazzati da sciiti. Non so; ci ridiamo sopra, ma il problema è diverso per i villaggi cristiani. I villaggi cristiani della piana di Ninive sono lì da sempre. Lì hanno la loro casa. Quando si portano migliaia di famiglie musulmane in queste aree a maggioranza cristiana, i cristiani diventano minoranza e cambia la composizione demografica. E anche la questione culturale: oggi tutti possono frequentare liberamente le nostre scuole e le nostre chiese, perché sono aperte. Se diventiamo una minoranza, in questi luoghi storici, perdiamo tutto.

Questo significa che perdete le chiese o le scuole?

Monsignor Casmoussa: No, non le perdiamo come edifici, ma perdiamo la nostra libertà, la nostra cultura e la nostra personalità (la nostra identità), e veniamo diluiti nella maggioranza, come è stato per le grandi città come Baghdad. Quando si ha un regime democratico e il Paese è libero per tutti, ciascuno ha i propri diritti come individuo e come comunità, cristiani e non cristiani. Per esempio, nelle nostre scuole ora, se c’è uno studente musulmano, quel musulmano ha diritto all’insegnamento islamico, cosa che va bene e noi siamo d’accordo, ma per i cristiani si deve invece raggiungere il 51% per avere il diritto all’insegnamento cristiano.

Quindi è ingiusto?

Monsigno Casmoussa: Sì. Se si hanno gli stessi diritti per tutti i cittadini, non si avranno speciali privilegi. I privilegi esistono quando non si assicurano ai cittadini eguali diritti. Negli Stati Uniti, gli immigrati dall’Iraq, dalla Cina, dal Giappone, dall’Europa e dall’Irlanda possono mantenere la loro lingua e la loro cultura, ma vengono considerati americani, cittadini americani con gli stessi diritti. Noi chiediamo questo. Finché non lo avremo, continueremo a pretendere il riconoscimento della nostra identità e della nostra cultura.

Ma come riesce a stare qui, seduto, così sorridente e amichevole, sapendo della gravità dei problemi e che rischia di perdere la propria identità a casa?

Monsignor Casmoussa: Lei mi chiede di piangere, ma questa è la vita e noi manteniamo la speranza nel futuro. Abbiamo speranza nell’uomo. Per quanto sia inospitale il nostro Paese per la nostra gente, se ci accordassimo per un governo democratico, gli Stati Uniti potrebbero trovare una soluzione ragionevole alla questione.



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Questa intervista è stata condotta da Marie-Pauline Meyer per "Where God Weeps", un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l'organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.



[Per maggiori informazioni:
www.WhereGodWeeps.org]


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