ORIGENE: brani scelti

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°Teofilo°
00giovedì 30 luglio 2009 23:10

L`umiltà del cuore

Dice il Salvatore: "Imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo alle anime vostre" (Mt 11,29). E se vuoi conoscere il nome di questa virtù, cioè come essa è chiamata dai filosofi, sappi che l`umiltà su cui Dio rivolge il suo sguardo è quella stessa virtù che i filosofi chiamano atyfìa, oppure metriòtes. Noi possiamo peraltro definirla con una perifrasi: l`umiltà è lo stato di un uomo che non si gonfia, ma si abbassa. Chi infatti si gonfia, cade, come dice l`Apostolo, "nella condanna del diavolo" - il quale appunto ha cominciato col gonfiarsi di superbia -; l`Apostolo dice: "Per non incappare, gonfiato d`orgoglio, nella condanna del diavolo" (1Tm 3,6).

(Origene, In Luc. 8, 5)


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 30/08/2002 20.26

1. - Comunità civile e comunità ecclesiale

Con Gesù la natura umana e quella divina hanno cominciato ad essere intimamente connesse, affinché la natura umana, per la sua unione a quella divina, si facesse divina, non solo in Gesù ma anche in tutti coloro che, credendo, abbracciano la vita insegnata da Gesù: vita che conduce all`amicizia con Dio e all`unione con lui, chiunque vive secondo i precetti di Gesù... Dio, che ha inviato Gesù, sventò tutte le insidie dei demoni e fece sì che ovunque sulla terra trionfasse il Vangelo di Gesù, a conversione e correzione degli uomini, e ovunque sorgessero comunità che si reggono in modo profondamente diverso da quello delle comunità degli uomini superstiziosi, intemperanti e ingiusti: poiché di tal fatta è ovunque la massa dei cittadini nelle comunità civili. Invece, le comunità di Dio, ammaestrate da Cristo, sono al confronto delle comunità dei popoli, tra cui vivono come pellegrine, quasi astri in questo mondo (cf. Fil 2,15) Chi non ammetterà infatti che anche i membri peggiori della Chiesa, anche quelli che sono inferiori a confronto dei buoni cristiani, superano senz`altro di molto i membri delle comunità civili?

       Si consideri l`esempio della comunità di Dio ad Atene: vive nella pace e nell`ordine, perché vuole piacere al sommo Iddio; invece la comunità dei cittadini ateniesi è turbolenta e non può certo venir paragonata alla Chiesa di Dio di quella città. Lo stesso si può dire della comunità ecclesiale di Corinto e del popolo di quella città; e anche, per esempio, di quella di Alessandria e del popolo alessandrino. Se qualcuno ascolta con intelligenza ciò che dico ed esamina le cose con amore per la verità, certamente ammira colui che volle e riuscì a far sorgere ovunque comunità di Dio in seno alle comunità civili d`ogni città. Allo stesso modo, se confronti il consiglio delle comunità ecclesiali con quello d`ogni città, trovi che non pochi consiglieri della Chiesa sono degni, se ciò è mai possibile al mondo, di governare la città di Dio; dappertutto, invece, i consiglieri delle città non presentano nel loro comportamento nulla che sia degno della dignità loro attribuita, per la quale sembrano sovrastare i loro concittadini. Così devi mettere a paragone il capo della Chiesa di ogni città con il capo politico della stessa città, per riconoscere che anche gli stessi consiglieri e capi della Chiesa di Dio, che sono lontani dalla perfezione e si mostrano indolenti a confronto dei loro colleghi più impegnati, sono tuttavia in generale superiori nel progresso in virtù rispetto ai consiglieri e ai governatori delle città.

       Origene, Contro Celso, 3,28-30 


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 23/11/2002 17.07

Dall'opuscolo «La preghiera» di Origène, sacerdote
(Cap. 25; PG 11, 495-499)

Il regno di Dio, secondo la parola del nostro Signore e Salvatore, non viene in modo da attirare l'attenzione e nessuno dirà: Eccolo qui o eccolo là; il regno di Dio è in mezzo a noi (cfr. Lc 16, 21), poiché assai vicina è la sua parola sulla nostra bocca e nel nostro cuore (cfr. Rm 10, 8). Perciò, senza dubbio, colui che prega che venga il regno di Dio, prega in realtà che si sviluppi, produca i suoi frutti e giunga al suo compimento quel regno di Dio che egli ha in sé. Dio regna nell'anima dei santi ed essi obbediscono alle leggi spirituali di Dio che in lui abita. Così l'anima del santo diventa proprio come una città ben governata. Nell'anima dei giusti è presente il Padre e col Padre anche Cristo, secondo quell'affermazione: «Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23).

Ma questo regno di Dio, che è in noi, col nostro instancabile procedere giungerà al suo compimento, quando si avvererà ciò che afferma l'Apostolo del Cristo. Quando cioè egli, dopo aver sottomesso tutti i suoi nemici, consegnerà il regno a Dio Padre, perché Dio sia tutto in tutti (cfr. 1 Cor 15, 24. 28). Perciò preghiamo senza stancarci. Facciamolo con una disposizione interiore sublimata e come divinizzata dalla presenza del
Verbo. Diciamo al nostro Padre che è in cielo: «Sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno» (Mt 6, 9-10). Ricordiamo che il regno di Dio non può accordarsi con il regno del peccato, come non vi è rapporto tra la giustizia e l'iniquità né unione tra la luce e le tenebre né intesa tra Cristo e Beliar (cfr. 2 Cor 6, 14-15).

Se vogliamo quindi che Dio regni in noi, in nessun modo «regni il peccato nel nostro corpo mortale» (Rm 6, 12). Mortifichiamo le nostre « membra che appartengono alla terra» ( Col 3, 5). Facciamo frutti nello Spirito, perché Dio possa dimorare in noi come in un paradiso spirituale. Regni in noi solo Dio Padre col suo Cristo. Sia in noi Cristo assiso alla destra di quella potenza spirituale che pure noi desideriamo ricevere. Rimanga finché tutti i suoi nemici, che si trovano in noi, diventino «sgabello dei suoi piedi» (Sal 98, 5), e così sia allontanato da noi ogni loro dominio, potere ed influsso. Tutto ciò può avvenire in ognuno di noi. Allora, alla fine, «ultima nemica sarà distrutta la morte» (1 Cor 25, 26). Allora Cristo potrà dire dentro di noi: «Dov'è , o morte, il tuo pungiglione? Dov'è , o morte, la tua vittoria? » ( Os 13, 14; 1 Cor 15, 55). Fin d'ora perciò il nostro «corpo corruttibile» si rivesta di santità e di « incorruttibilità; e ciò che è mortale cacci via la morte, si ricopra dell'immortalità» del Padre (1 Cor 15, 54). Così regnando Dio in noi, possiamo già godere dei beni della rigenerazione e della risurrezione.


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Da: Soprannome MSN7978PergamenaInviato: 28/11/2002 22.00
Nella Trinità non c’è alcuna differenza - Origene, I princìpi 1,3,7
La grazia dello Spirito santo è comunicata a chi ne è degno, viene trasmessa da Cristo e viene operata dal Padre secondo il merito di coloro che diventano meritevoli di riceverla.
Lo indica esplicitamente l'Apostolo dimostrando che una e identica è l’attività della Trinità, quando dice:
«Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore;
vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.
A ciascuno è concessa la rivelazione dello Spirito secondo quanto gli conviene» (1Cor 12,4-7).
Questo significa in modo chiaro che nella Trinità non c’è nessuna differenza, ma quello che è detto dello Spirito viene trasmesso mediante il Figlio ed è prodotto per opera del Padre: «Tutte queste cose è l’unico e medesimo Spirito a operarle, distribuendo a ciascuno come vuole » (1Cor 12,11).

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Da: Soprannome MSN°Gino¹Inviato: 24/01/2004 18.07
Origene - L'annuncio solo dopo la pienezza della rivelazione di Cristo.
Se si predica Gesù Cristo, è necessario annunciano crocifisso. Incompleto è l’annuncio che non parla della sua croce! Non così incompleto, mi pare, dire che Gesù è il Cristo tralasciando qualcuno del suoi prodigi, come Invece il tralasciare la sua crocifissione!

Perciò, nel riservare la predicazione più perfetta su di lui ai suoi apostoli, egli diede loro ordine di non dire a nessuno che era il Cristo crocifisso e risorto dai morti. Da quel momento cominciò non solo a dire, e si spinse fino ad insegnare, ma anche a mostrare ai discepoli che egli doveva andare a Gerusalemme, ecc. (Mt 16,21). Fa’ attenzione al verbo «mostrare» perché, come nel caso delle cose sensibili si dice che sono mostrate, così pure nel caso di quelle che Gesù dice ai discepoli, è detto che sono «mostrate».
Non penso che a coloro che l’hanno visto subire fisicamente molte sofferenze da parte degli anziani del popolo, Gesù abbia mostrato ciascuna delle realtà che vedevano, allo stesso modo in cui mostrava ai discepoli la sua manifestazione come logos.

Allora cominciò a mostrare (Mt 16,21). Forse in seguito, con quelli che ne erano capaci, lo fece in modo ancora più chiaro, e non restò più agli inizi del mostrare, come si fa coi principianti, ma avanzò nel modo di mostrare. E se per altro è ragionevole pensare che Gesù, quel che aveva iniziato lo aveva portato compiutamente a termine, deve aver pur dato assoluto compimento a ciò che aveva iniziato a mostrare ai discepoli sul suo dover soffrire le cose descritte. Nel momento, infatti, in cui si apprende dal logos la conoscenza perfetta di questi misteri, in quel momento - si deve dire -, contemplando la mente le realtà mostrate per una manifestazione del logos, si è compiuta la manifestazione per chi questi misteri ha volontà e capacità di contemplarli, e li contempla.

Ma, poiché non era possibile che un profeta perisse fuori di Gerusalemme, un perire che implica che chi perde la sua vita a causa mia la troverà (Mt 10,39), per questo doveva andare a Gerusalemme, perché soffrendo molto e messo a morte in quella città, offrisse le primizie della risurrezione dai morti (cf. 1 Cor 15,20), quella che avverrà nella Gerusalemme di lassù (cf. Gal 4,26), abbandonando, abolendo e dissolvendo la Gerusalemme terrena con ogni suo culto. Fino a quando, infatti, il Cristo non è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti (cf. 1 Cor 15,20) e finché non sono risorti con lui coloro che sono diventati conformi alla sua morte e risurrezione (cf. Rm 6,5; 8,28), si ricercavano quaggiù la città di Dio, il tempio, le purificazioni e tutte le altre realtà. Ma una volta che tutto questo si è realizzato, sono da cercare non più le cose di quaggiù, bensì quelle di lassù! [.. .] Occorreva che fosse ucciso nella Gerusalemme di quaggiù, per regnare da risorto sul monte di Sion e nella città del Dio vivente, nella Gerusalemme celeste (cf. Eb 12,22).

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Da: Soprannome MSN°Gino¹Inviato: 24/01/2004 18.08
Il Magnificat

4.
"Orbene dapprima «l’anima» di Maria «magnifica il Signore», e, dopo, «il suo spirito esulta in Dio»; cioè, se non siamo dapprima cresciuti, non possiamo esultare.

Ella dice: «Perché ha guardato l’umiltà della sua ancella» (Lc 1, 48). Su quale umiltà di Maria il Signore ha volto il suo sguardo? Che cosa aveva, la madre del Signore, di umile e di basso, ella che portava nel seno il Figlio di Dio? Dicendo: «Ha guardato l’umiltà della sua ancella», è come se dicesse: ha guardato la giustizia della sua ancella, ha guardato la sua temperanza, ha guardato la sua fortezza e la sua sapienza. È giusto infatti che Dio rivolga il suo sguardo sulle virtù. Qualcuno potrebbe dire: capisco che Dio guardi la giustizia e la sapienza della sua ancella; ma non è troppo chiaro perché volge il suo sguardo sull’umiltà. Chi pone questa domanda si ricordi che proprio nelle Scritture l’umiltà è considerata come una delle virtù.

5. Dice il Salvatore: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo alle anime vostre» (Mt 11, 29). E se vuoi conoscere il nome di questa virtù, cioè come essa è chiamata dai filosofi, sappi che l’umiltà su cui Dio rivolge il suo sguardo è quella stessa virtù che i filosofi chiamano atyphía oppure metriótês. Noi possiamo peraltro definirla con una perifrasi: l’umiltà è lo stato di un uomo che non si gonfia, ma si abbassa. Chi infatti si gonfia, cade, come dice l’Apostolo, «nella condotta del diavolo» - il quale appunto ha cominciato col gonfiarsi di superbia -; l’Apostolo dice: «Per non incappare, gonfiato d’orgoglio, nella condanna del diavolo» (I Tm 3, 6).

«Ha guardato l’umiltà della sua ancella»: Dio mi ha guardato dice Maria - perché sono umile e perché ricerco la virtù della mitezza e del nascondimento.

6. «Ecco che sin d’ora tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1, 48). Se intendo «tutte le generazioni» secondo il più semplice significato, ritengo che si faccia allusione ai credenti. Ma se cerco di vedere il significato più profondo, capirò quanto sia preferibile aggiungere: «Perché fece grandi cose per me colui che è potente» (Lc 1, 49). Proprio perché chiunque si umilia sarà esaltato» (Lc 14, 11), Dio ha guardato l’umiltà» della beata Maria; per questo ha fatto per lei grandi «cose colui che è potente e il cui nome è santo».

E «la sua misericordia si estende di generazione in generazione» (Lc 1, 50). Non è su una generazione, né su due, né su tre, e neppure su cinque che si estende «la misericordia» di Dio; essa si estende eternamente «di generazione in generazione».

«Per coloro che lo temono ha dispiegato la potenza del suo braccio». Anche se sei debole, se tu ti accosti al Signore, se avrai timore di lui, potrai udire la promessa con la quale il Signore risponde al tuo timore."

ORIGENE, Omelie su Luca, VIII, 4-6.
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