Omelie del Papa nella Messa delle 7 del mattino a Santa Marta (4)

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Caterina63
00giovedì 8 gennaio 2015 14:28
 lasciandoci alle spalle il 2014 con la raccolta delle Omelie del Papa, del mattino, che troverete qui:
Omelie del Papa nella Messa delle 7 del mattino a Santa Marta (3)

veniamo ora al 2015.......

Il Santo Padre Francesco: è l’amore la via per conoscere Dio, non basta l’intelletto

Papa Francesco a Casa S. Marta - OSS_ROM

08/01/2015 

Dio ci precede sempre nell’amore. E’ uno dei passaggi dell’omelia di Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta con un gruppo di fedeli, la prima dell’anno 2015. Il Pontefice ha sottolineato che l’amore cristiano è fatto di opere concrete, non parole. Ed ha ribadito che per conoscere Dio non basta l’intelletto, è necessario l’amore. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Solo per la strada dell’amore si conosce Dio
In questi giorni dopo Natale, ha rilevato Francesco, la parola chiave nella liturgia è “manifestazione”. Gesù si manifesta: nella festa dell’Epifania, nel Battesimo e ancora alle nozze di Cana. Ma, si è chiesto il Papa, “come possiamo conoscere Dio?”. E’ proprio questo, ha annotato, il tema da cui parte l’Apostolo Giovanni nella Prima Lettura, sottolineando che per conoscere Dio il nostro “intelletto”, “la ragione” è “insufficiente”. Dio, ha soggiunto, “si conosce totalmente nell’incontro con Lui e per l’incontro la ragione non basta”. Ci vuole qualcosa di più:

“Dio è amore! E soltanto per la strada dell’amore, tu puoi conoscere Dio. Amore ragionevole, accompagnato dalla ragione. Ma amore! 'Ma come posso amare quello che non conosco?'; 'Ama quelli che tu hai vicino'. E questa è la dottrina di due Comandamenti: Il più importante è amare Dio, perché Lui è amore; Ma il secondo è amare il prossimo, ma per arrivare al primo dobbiamo salire per gli scalini del secondo: cioè attraverso l’amore al prossimo arriviamo a conoscere Dio, che è amore. Soltanto amando ragionevolmente, ma amando, possiamo arrivare a questo amore”.

L’amore di Dio non è una telenovela
Ecco perché, ha esortato, dobbiamo amarci “gli uni gli altri”, perché “l’amore è da Dio” e “chiunque ama è stato generato da Dio”. E ancora, ha soggiunto, per conoscere Dio bisogna amare:

“Chi ama conosce Dio; chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. Ma non amore di telenovela. No, no! Amore solido, forte; amore eterno, amore che si manifesta – la parola di questi giorni, manifestazione – nel suo Figlio, che è venuto per salvarci. Amore concreto; amore di opere e non di parole. Per conoscere Dio ci vuole tutta una vita; un cammino, un cammino di amore, di conoscenza, di amore per il prossimo, di amore per quelli che ci odiano, di amore per tutti”.

L’amore di Dio è come il fiore del mandorlo
Francesco ha così osservato che non siamo stati noi a dare l’amore a Dio, ma è stato “Lui che ha amato noi e ha mandato suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”. Nella persona di Gesù, è stata la sua riflessione, “possiamo contemplare l’amore di Dio” e seguendo il suo esempio “arriviamo – scalino per scalino – all’amore di Dio, alla conoscenza di Dio che è amore”. Richiamando poi il profeta Geremia, il Papa ha detto che l’amore di Dio ci “precede”, ci ama prima ancora che noi lo cerchiamo. L’amore di Dio, ha sottolineato, è come “il fiore del mandorlo”, che è “il primo a fiorire in primavera”. Il Signore “ci ama per primo”, “sempre avremo questa sorpresa”. Ed ha osservato che “quando noi ci avviciniamo a Dio attraverso le opere di carità, la preghiera, nella Comunione, nella Parola di Dio”, “troviamo che Lui è lì, per primo, aspettandoci, così ci ama”.

L’amore di Dio ci aspetta sempre
Il Papa ha così rivolto il pensiero al Vangelo odierno che narra della moltiplicazione dei pani e dei pesci da parte di Gesù. Il Signore, ha affermato, “ebbe compassione” della tanta gente che era andata ad ascoltarlo, perché “erano pecore che non avevano pastore, disorientate”. Ed ha rilevato che anche oggi tanta gente è “disorientata” nelle “nostre città, nei nostri Paesi”. Per questo, Gesù insegna loro la dottrina e la gente lo ascolta. Quando poi si fa tardi e chiede di dare loro da mangiare, però, i discepoli rispondono “un po’ innervositi”. Ancora una volta, ha commentato il Papa, Dio è arrivato “primo, i discepoli non avevano capito niente”:

“Così è l’amore di Dio: sempre ci aspetta, sempre ci sorprende. E’ il Padre, è nostro Padre che ci ama tanto, che sempre è disposto a perdonarci. Sempre! Non una volta, 70 volte 7. Sempre! Come un padre pieno di amore e per conoscere questo Dio che è amore dobbiamo salire per lo scalino dell’amore per il prossimo, per le opere di carità, per le opere di misericordia, che il Signore ci ha insegnato. Che il Signore, in questi giorni che la Chiesa ci fa pensare alla manifestazione di Dio, ci dia la grazia di conoscerLo per la strada dell’amore”.



Il Papa: chi ama Dio è libero, solo lo Spirito apre il cuore

Papa Francesco sull'altare di Casa S. Marta - OSS_ROM

09/01/2015 

Soltanto lo Spirito Santo rende il cuore docile a Dio e alla libertà. Lo ha affermato Papa Francesco durante l’omelia della Messa del mattino, celebrata nella cappella di Casa S. Marta. I dolori della vita, ha detto il Papa, possono chiudere una persona, mentre l’amore la rende libera. Il servizio diAlessandro De Carolis:

Una seduta di yoga non potrà insegnare a un cuore a “sentire” la paternità di Dio, né un corso di spiritualità zen lo renderà più libero di amare. Questo potere ce l’ha solo lo Spirito Santo. Papa Francesco prende l’episodio del giorno del Vangelo di Marco – quello che segue la moltiplicazione dei pani e nel quale i Discepoli si spaventano nel vedere Gesù camminare verso di loro sull’acqua – che termina con una considerazione sul perché di quello spavento: gli Apostoli non avevano capito il miracolo dei pani perché “il loro cuore era indurito”.

Vita dura e muri di protezione
Un cuore può essere di pietra per tanti motivi, osserva il Papa. Per esempio, a causa di “esperienze dolorose”. Capita ai discepoli di Emmaus, timorosi di illudersi “un’altra volta”. Accade a Tommaso che rifiuta di credere alla Risurrezione di Gesù. E “un altro motivo che indurisce  il cuore – indica Francesco – è la chiusura in se stesso”:

“Fare un mondo in se stesso, chiuso. In se stesso, nella sua comunità o nella sua parrocchia, ma sempre chiusura. E la chiusura può girare intorno a tante cose: ma pensiamo all’orgoglio, alla sufficienza, pensare che io sono meglio degli altri, anche alla vanità, no? Ci sono l’uomo e la donna-specchio, che sono chiusi in se stessi per guardare se stessi continuamente, no? Questi narcisisti religiosi, no? Ma, hanno il cuore duro, perché sono chiusi, non sono aperti. E cercano di difendersi con questi muri che fanno intorno a sé”.

La sicurezza della prigione
C’è pure chi si barrica dietro la legge, aggrappandosi alla “lettera” di ciò che i comandamenti stabiliscono. Qui, afferma Papa Francesco, a indurire il cuore è un problema di “insicurezza”. E chi cerca solidità nel dettato della legge è sicuro – dice il Papa con una punta di ironia – come “un uomo o una donna nella cella di un carcere dietro la grata: è una sicurezza senza libertà”. Cioè l’opposto, soggiunge, di ciò “che è venuto a portarci Gesù”, la libertà:

“Il cuore, quando si indurisce, non è libero e se non è libero è perché non ama: così finiva Giovanni apostolo nella prima Lettura. L’amore perfetto scaccia il timore: nell’amore non c’è timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore. Non è libero. Sempre ha il timore che succeda qualcosa di doloroso, di triste, che mi faccia andare male nella vita o rischiare la salvezza eterna…  Ma tante immaginazioni, perché non ama. Chi non ama non è libero. E il loro cuore era indurito, perché ancora non avevano imparato ad amare”.

Lo Spirito rende liberi e docili
Allora, “chi ci insegna ad amare? Chi ci libera da questa durezza?”, si domanda Francesco. “Soltanto lo Spirito Santo”, è la sua risposta:

“Tu puoi fare mille corsi di catechesi, mille corsi di spiritualità, mille corsi di yoga, zen e tutte queste cose. Ma tutto questo non sarà mai capace di darti la libertà di figlio. Soltanto è lo Spirito Santo che muove il tuo cuore per dire ‘Padre’. Soltanto lo Spirito Santo è capace di scacciare, di rompere questa durezza del cuore e fare un cuore… morbido?… Non so, non mi piace la parola… “Docile”. Docile al Signore. Docile alla libertà dell’amore”.


   

 

Papa: salvezza e intercessione di Gesù più importanti di guarigioni

Il Papa a Santa Marta - OSS_ROM

22/01/2015

La cosa più importante non è la grazia di una guarigione fisica, ma il fatto che Gesù ci salva e intercede per noi: è quanto ha detto il Papa riprendendo a Santa Marta le Messe mattutine con i gruppi di fedeli. Ce ne parla Sergio Centofanti:

Il popolo vede in Gesù una speranza
Commentando il Vangelo del giorno che mostra la folla accorrere a Gesù da ogni regione, il Papa osserva che il popolo di Dio trova nel Signore “una speranza, perché il suo modo di agire, di insegnare, tocca il loro cuore, arriva al cuore, perché ha la forza della Parola di Dio”: 

“Il popolo sente questo e vede che in Gesù si compiono le promesse, che in Gesù c’è una speranza. Il popolo era un po’ annoiato dal modo di insegnare la fede, dai dottori della legge di quel tempo, che caricavano sulle spalle tanti comandamenti, tanti precetti, ma non arrivavano al cuore della gente. E quando vede Gesù e sente Gesù, le proposte di Gesù, le beatitudini… ma sente dentro qualcosa che si muove - è lo Spirito Santo che sveglia quello! - e va a trovare Gesù”.

Purezza d'intenzione nel cercare Dio
La folla va da Gesù per essere guarita: cioè, cerca il proprio bene: “Mai – afferma il Papa - possiamo seguire Dio con purezza di intenzione dall’inizio, sempre un po’ per noi, un po’ per Dio … E il cammino è purificare questa intenzione. E la gente va, sì, cerca Dio, ma anche cerca la salute, la guarigione. E si gettavano su di Lui per toccarlo, perché venisse fuori quella forza e li guarisse”.

Gesù salva
Ma la cosa più importante “non è che Gesù guarisca” – spiega Papa Francesco – questo “è un segno di un’altra guarigione”; e nemmeno è il fatto che “Gesù dica parole che arrivino al cuore”: questo, certamente aiuta per incontrare Dio. La cosa più importante la dice la Lettera agli Ebrei: “Cristo può salvare perfettamente quelli che per mezzo di Lui si avvicinano a Dio. Egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore”. “Gesù salva e Gesù è l’intercessore – commenta il Pontefice - Queste sono le due parole chiave”:

“Gesù salva! Queste guarigioni, queste parole che arrivano al cuore sono il segno e l’inizio di una salvezza. Il percorso della salvezza di tanti che incominciano ad andare a sentire Gesù o a chiedere una guarigione e poi tornano da Lui e sentono la salvezza. Ma quello che è più importante di Gesù è che guarisca? No, non è il più importante. Che ci insegni? Non è il più importante. Che salvi! Lui è il Salvatore e noi siamo salvati da Lui. E questo è più importante. E questa è la forza della nostra fede”.

Gesù intercede
Gesù è salito al Padre “e di là intercede ancora, tutti i giorni, tutti i momenti per noi”:

“E questa è una cosa attuale. Gesù davanti al Padre, offre la sua vita, la redenzione, fa vedere al Padre le piaghe, il prezzo della salvezza. E tutti i giorni, così, Gesù intercede. E quando noi, per una cosa o l’altra, siamo un po’ giù, ricordiamo che è Lui che prega per noi, intercede per noi continuamente. Tante volte dimentichiamo questo: ‘Ma Gesù …sì, è finito, se ne è andato in Cielo, ci ha inviato lo Spirito Santo, finita la storia’. No! Attualmente, ogni momento, Gesù intercede. In questa preghiera: ‘Ma, Signore Gesù, abbi pietà di me’. Intercede per me. Rivolgersi al Signore, chiedendo questa intercessione”.

Il fiuto del popolo di Dio
Questo è il punto centrale, afferma il Papa: che Gesù è “Salvatore e Intercessore. Ti farà bene ricordare questo”. “Così la folla cerca Gesù con quel fiuto della speranza del popolo di Dio, che aspettava il Messia, e cerca di trovare in Lui la salute, la verità, la salvezza, perché Lui è il Salvatore e come Salvatore ancora oggi, in questo momento, intercede per noi. Che la nostra vita cristiana – è la preghiera conclusiva del Papa - ogni volta sia più convinta che noi siamo stati salvati, che abbiamo un Salvatore, Gesù alla destra del Padre, che intercede. Il Signore, lo Spirito Santo, ci faccia capire queste cose”. 






Caterina63
00lunedì 26 gennaio 2015 13:09

Papa: la fede è dono dello Spirito Santo trasmesso soprattutto dalle donne




Il Papa a Santa Marta - OSS_ROM





26/01/2015 



Sono principalmente le donne a trasmettere la fede: è quanto ha affermato il Papa nella Messa presieduta a Santa Marta nel giorno in cui la Chiesa celebra la memoria dei Santi Timoteo e Tito, commentando in particolare la seconda Lettera di San Paolo al discepolo Timoteo. Il servizio di Sergio Centofanti:


Sono le mamme e le nonne che trasmettono la fede
Paolo ricorda a Timoteo da dove viene la sua “schietta fede”: l’ha ricevuta dallo Spirito Santo “tramite la mamma e la nonna”. “Sono le mamme, le nonne” – afferma il Papa – che trasmettono la fede. E aggiunge: “Una cosa è trasmettere la fede e altra cosa è insegnare le cose della fede. La fede è un dono. La fede non si può studiare. Si studiano le cose della fede, sì, per capirla meglio, ma con lo studio mai tu arrivi alla fede. La fede è un dono dello Spirito Santo, è un regalo, che va oltre ogni preparazione”. Ed è un regalo che passa attraverso il “bel lavoro delle mamme e delle nonne, il bel lavoro di quelle donne” in una famiglia, “può essere anche una domestica, può essere una zia”, che trasmettono la fede:

“Mi viene in mente: ma perché sono principalmente le donne a trasmettere la fede? Semplicemente perché quella che ci ha portato Gesù è una donna.  E’ la strada scelta da Gesù. Lui ha voluto avere una madre: anche il dono della fede passa per le donne, come Gesù per Maria”.

Custodire il dono della fede perché non si annacqui
“E dobbiamo pensare oggi – sottolinea il Papa - se le donne … hanno questa coscienza del dovere di trasmettere la fede”. Paolo invita poi Timoteo a custodire la fede, il deposito, evitando “le vuote chiacchiere pagane, le vuote chiacchiere mondane”. “Tutti noi – afferma - abbiamo ricevuto il dono della fede. Dobbiamo custodirlo, perché almeno non si annacqui, perché continui a essere forte con la potenza dello Spirito Santo che ce lo ha regalato”. E la fede si custodisce ravvivando questo dono di Dio:

“Se noi non abbiamo questa cura, ogni giorno, di ravvivare questo regalo di Dio che è la fede, ma la fede si indebolisce, si annacqua, finisce per essere una cultura: ‘Sì, ma, sì, sì, sono cristiano, sì, sì…’, una cultura, soltanto. O una gnosi, una conoscenza: ‘Sì, io conosco bene tutte le cose della fede, conosco bene il catechismo’. Ma come tu vivi la tua fede? E questa è l’importanza di ravvivare ogni giorno questo dono, questo regalo: di farlo vivo”.

Timidezza e vergogna non fanno crescere la fede
Contrastano “questa fede viva” – dice San Paolo - due cose: “lo spirito di timidezza e la vergogna”:

“Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza. Lo spirito di timidezza va contro il dono della fede, non lascia che cresca, che vada avanti, che sia grande. E la vergogna è quel peccato: ‘Sì, ho la fede, ma la copro, che non si veda tanto…’. E’ un po’ di qua, un po’ di là: quella fede, come dicono i nostri antenati, all’acqua di rose, così. Perché mi vergogno di viverla fortemente. No. Questa non è la fede: né timidezza, né vergogna. Ma cosa è? E’ uno spirito di forza, di carità e di prudenza. Questa è la fede”.

La fede non si negozia
Lo spirito di prudenza – spiega Papa Francesco - è “sapere che noi non possiamo fare tutto quello che vogliamo”, significa cercare “le strade, il cammino, le maniere” per portare avanti la fede, ma con prudenza.

“Chiediamo al Signore la grazia – conclude il Papa - di avere una fede schietta, una fede che non si negozia secondo le opportunità che vengono. Una fede che ogni giorno cerco di ravvivarla o almeno chiedo allo Spirito Santo che la ravvivi e così dia un frutto grande”.

 




Francesco: chiedere a Dio la “voglia” di fare la sua volontà

Papa Francesco celebra la Messa a casa S. Marta - OSS_ROM

27/01/2015 

Bisogna pregare Dio e chiedere ogni giorno la grazia di capire la sua volontà, la grazia di seguirla e la grazia di compierla fino in fondo. È questo l’insegnamento ricavato da Papa Francesco dalla liturgia del giorno e spiegato all’omelia della Messa del mattino, presieduta in Casa S. Marta. Il servizio diAlessandro De Carolis:

C’era una volta la legge fatta di prescrizioni e divieti, di sangue di tori e capri, “sacrifici antichi” che non avevano né la “forza” di “perdonare i peccati”, né di dare “giustizia”. Poi nel mondo venne Cristo e con il suo salire sulla Croce – l’atto “che una volta per sempre ci ha giustificato” – Gesù ha dimostrato quale fosse il “sacrificio” più gradito a Dio: non l’olocausto di un animale, ma l’offerta della propria volontà per fare la volontà del Padre.

Volontà di Dio, strada di santità
Letture e Salmo del giorno indirizzano la riflessione del Papa su uno dei fulcri della fede: l’“obbedienza alla volontà di Dio”. Questa, afferma Francesco, “è la strada della santità, del cristiano”, cioè che “il piano di Dio venga fatto”, che “la salvezza di Dio venga fatta”:

“Il contrario incominciò in Paradiso, con la non obbedienza di Adamo. E quella disobbedienza ha portato il male a tutta l’umanità. E anche i peccati sono atti di non obbedire a Dio, di non fare la volontà di Dio. Invece, il Signore ci insegna che questa è la strada, non ce n’è un’altra. E incomincia con Gesù, sì, nel Cielo, nella volontà di obbedire al Padre. Ma in terra incomincia con la Madonna: lei, cosa ha detto all’Angelo? ‘Che si faccia quello che tu dici’, cioè che si faccia la volontà di Dio. E con quel ‘sì’ al Signore, il Signore ha incominciato il suo percorso fra noi”.

Tante opzioni sul vassoio
“Non è facile”. Questa espressione torna diverse volte sulle labbra del Papa quando parla del compiere la volontà di Dio. Non è stato facile per Gesù che, ricorda, su questo fu tentato nel deserto e anche nell’Orto degli Ulivi con lo strazio nel cuore accettò il supplizio che lo attendeva. Non fu facile per alcuni discepoli, che lo lasciarono perché non capirono cosa volesse dire “fare la volontà del Padre”. Non lo è per noi, dal momento che – nota il Papa – “ogni giorno ci presentano su un vassoio tante opzioni”. E allora, si chiede, come “faccio per fare la volontà di Dio?”. Chiedendo “la grazia” di volerla fare:

“Io prego, perché il Signore mi dia la voglia di fare la sua volontà, o cerco i compromessi perché ho paura della volontà di Dio? Un’altra cosa: pregare per conoscere la volontà di Dio su di me e sulla mia vita, sulla decisione che devo prendere adesso… tante cose. Sul modo di gestire le cose… La preghiera per voler fare la volontà di Dio, e preghiera per conoscere la volontà di Dio. E quando conosco la volontà di Dio, anche la preghiera, per la terza volta: per farla. Per compiere quella volontà, che non è la mia, è quella di Lui. E non è facile”.

“Volere” la volontà di Dio
Dunque, riassume Francesco, “pregare per avere la voglia di seguire la volontà di Dio, pregare per conoscere la volontà di Dio e pregare – una volta conosciuta – per andare avanti con la volontà di Dio”:

“Il Signore ci dia la grazia, a tutti noi, che un giorno possa dire di noi quello che ha detto di quel gruppo, di quella folla, che lo seguiva, quelli che erano seduti attorno a Lui, come abbiamo sentito nel Vangelo: ‘Ecco mia madre e i miei fratelli. Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre”. Fare la volontà di Dio ci fa essere parte della famiglia di Gesù, ci fa madre, padre, sorella, fratello”.




Francesco: memoria e speranza, i "parametri" del cristiano

30/01/2015 

Un cristiano deve sempre custodire in sé la “memoria” del suo primo incontro con Cristo e la “speranza” in Lui, che lo spinge ad andare avanti nella vita con il “coraggio” della fede. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa del mattino, presieduta nella cappella di Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

 

Non ama sul serio chi non ricorda “i giorni del primo amore”. E un cristiano senza più memoria del suo primo incontro con Gesù è una persona svuotata, spiritualmente inerte, come solo sanno essere i “tiepidi”.

Cristiani tiepidi, un fallimento
A orientare l’omelia di Francesco è anzitutto la frase iniziale della Lettera agli Ebrei, nella quale l'autore invita tutti a richiamare “alla memoria quei primi giorni”, quelli in cui avete ricevuto, dice, “la luce di Cristo”. Quello in particolare, il “giorno dell’incontro con Gesù” – osserva il Papa – non va mai dimenticato perché è il giorno di “una gioia grande”, di “una voglia di fare cose grandi”. E assieme alla memoria, mai smarrire il “coraggio dei primi tempi” e l’“entusiasmo”, la “franchezza” che nascono dal ricordo del primo amore:

“La memoria è tanto importante per ricordare la grazia ricevuta, perché se noi cacciamo via questo entusiasmo che viene dalla memoria del primo amore, questo entusiasmo che viene dal primo amore, viene quel pericolo tanto grande per i cristiani: il tepore. I cristiani 'tiepidi'. Eh, ma stanno lì, fermi, e sì, sono cristiani, ma hanno perso la memoria del primo amore. E, sì, hanno perso l’entusiasmo. Anche, hanno perso la pazienza, quel 'tollerare' le cose della vita con lo spirito dell’amore di Gesù; quel 'tollerare', quel 'portare sulle spalle' le difficoltà… I cristiani tiepidi, poverini, sono in grave pericolo”.

Attenzione al male che bussa
Quando pensa ai cristiani tiepidi, due immagini tanto incisive quanto sgradevoli all’apparenza colpiscono Francesco. Quella evocata da Pietro, del “cane che torna al suo vomito”, e l’altra di Gesù, per il quale ci sono persone che nel decidere di seguire il Vangelo hanno, sì, cacciato via da sé il demonio, ma quando questi torna in forze gli aprono la porta senza stare in guardia e così il demonio “prende possesso di quella casa” inizialmente pulita e bella. Che è come dire, tornare al “vomito” di quel male in un primo tempo rifiutato. Viceversa, afferma Francesco:

“Il cristiano ha questi due parametri: la memoria e la speranza. Richiamare la memoria per non perdere quella esperienza tanto bella del primo amore, che alimenta la speranza. Tante volte è buia, la speranza, ma va avanti. Crede, va, perché sa che la speranza non delude, per trovare Gesù. Questi due parametri sono proprio la cornice nella quale possiamo custodire questa salvezza dei giusti che viene dal Signore”.

Memoria e speranza uguale fede
Una salvezza afferma il Papa, citando il passo del Vangelo, che va protetta “perché il piccolo grano di senape cresca e dia il suo frutto”:

“Danno pena, fanno male al cuore tanti cristiani – tanti cristiani! – a metà cammino, tanti cristiani falliti in questa strada verso l’incontro con Gesù, partendo dall’incontro con Gesù. Questa strada nella quale hanno perso la memoria del primo amore e non hanno la speranza".

"Chiediamo al Signore - è la preghiera conclusiva del Papa - la grazia di custodire il regalo, il dono della salvezza”.


Caterina63
00martedì 3 febbraio 2015 14:48

Il Santo Padre Francesco: ascoltare Vangelo non telenovele, Gesù è speranza





 

03/02/2015 

La contemplazione quotidiana del Vangelo ci aiuta ad avere la vera speranza. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha nuovamente esortato i fedeli a prendere il Vangelo ogni giorno, anche solo 10 minuti, per dialogare con il Signore, piuttosto che perdere tempo guardando una telenovela o ascoltando le chiacchiere del vicino. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Qual è il nocciolo della speranza? Tenere “fisso lo sguardo su Gesù”. Francesco ha svolto la sua omelia muovendo dal passo della Lettera agli Ebrei che si sofferma proprio sulla speranza. Il Papa ha sottolineato che senza ascoltare il Signore possiamo forse “avere ottimismo, essere positivi”, ma la speranza “si impara guardando Gesù”. Di qui, ha incentrato la sua riflessione sulla “preghiera di contemplazione”. Francesco ha osservato che “è buono pregare il Rosario tutti i giorni”, parlare “col Signore, quando ho una difficoltà, o con la Madonna o con i Santi..”. Ma, ha soggiunto, è importante fare la “preghiera di contemplazione” e questa si può fare solo “col Vangelo in mano”:

La preghiera di contemplazione
“‘Come faccio la contemplazione col Vangelo di oggi? Vedo che Gesù era in mezzo alla folla, attorno a lui era molta folla. Cinque volte dice questo brano la parola ‘folla’. Ma Gesù non si riposava? Io posso pensare: 'Sempre con la folla...'. Ma la maggior parte della vita di Gesù è passata sulla strada, con la folla. Ma non riposava? Sì, una volta, dice il Vangelo, che dormiva sulla barca ma è venuta la tempesta e i discepoli lo hanno svegliato. Gesù era continuamente tra la gente. E si guarda Gesù così, contemplo Gesù così, mi immagino Gesù così. E dico a Gesù quello che mi viene in mente di dirgli”.

Gesù, ha detto ancora volgendo lo sguardo al Vangelo odierno, si accorge di una donna malata che in mezzo alla folla lo ha toccato. Gesù, ha detto il Papa, “non solo capisce la folla, sente la folla”, “sente il battere del cuore di ognuno di noi, di ognuno. Ha cura di tutti e di ciascuno, sempre!” Lo stesso, ha soggiunto, quando il capo della sinagoga va “a raccontargli della figliuola ammalata gravemente: e Lui lascia tutto e si occupa di questo”. Francesco ha continuato a immaginare quanto succede in quei momenti: Gesù arriva nella casa, le donne piangono perché la bambina è morta, ma il Signore dice loro di stare tranquille e la gente lo deride. Qui, ha detto il Papa, si vede “la pazienza di Gesù”. E poi dopo la resurrezione della bambina, Gesù invece di dire “Forza Iddio!”, dice loro: “Per favore datele da mangiare”. “Gesù – ha annotato il Pontefice – ha sempre i piccoli dettagli davanti a Lui”. “Quello che io ho fatto, con questo Vangelo - è stata la riflessione del Papa - è proprio la preghiera di contemplazione: prendere il Vangelo, leggere e immaginarmi nella scena, immaginarmi cosa succede e parlare con Gesù, come mi viene dal cuore":

Tenere fisso lo sguardo su Gesù
"E con questo noi facciamo crescere la speranza, perché abbiamo fisso, teniamo fisso lo sguardo su Gesù. Fate questa preghiera di contemplazione. ‘Ma ho tanto da fare!’. ‘Ma a casa tua, 15 minuti, prendi il Vangelo, un brano piccolo, immagina cosa è successo e parla con Gesù di quello. Così il tuo sguardo sarà fisso su Gesù e non tanto sulla telenovela, per esempio. Il tuo udito sarà fisso sulle parole di Gesù e non tanto sulle chiacchiere del vicino, della vicina…”.

“E così – ha ribadito – la preghiera di contemplazione ci aiuta nella speranza. Vivere della sostanza del Vangelo. Pregare sempre!”. Francesco ha invitato a “pregare le preghiere, pregare il Rosario, parlare col Signore, ma anche fare questa preghiera di contemplazione per tenere il nostro sguardo fisso su Gesù”. Da questa preghiera, ha ripreso, “viene la speranza”. E così “la nostra vita cristiana si muove in quella cornice, fra memoria e speranza”:

Memoria e speranza
“Memoria di tutto il cammino passato, memoria di tante grazie ricevute dal Signore. E speranza, guardando il Signore, che è l’unico che può darmi la speranza. E per guardare il Signore, per conoscere il Signore, prendiamo il Vangelo e facciamo questa preghiera di contemplazione. Oggi, per esempio, cercate 10 minuti – 15, non di più – leggete il Vangelo, immaginate e dite qualcosa a Gesù. E niente di più. E così la vostra conoscenza di Gesù sarà più grande e la vostra speranza crescerà. Non dimenticate, tenendo fisso lo sguardo su Gesù. E per questo la preghiera di contemplazione”.




 

Papa: Chiesa povera, Vangelo non è teologia della prosperità

Papa Francesco a S. Marta - OSS_ROM

05/02/2015 

La Chiesa deve annunciare il Vangelo “in povertà” e chi lo annuncia deve avere come unico obiettivo quello di alleviare le miserie dei più poveri, senza mai dimenticare che questo servizio è opera dello Spirito Santo e non di forze umane. È il pensiero di fondo dell’omelia che Papa Francesco ha tenuto nella Messa celebrata in Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Guarire. Rialzare. Liberare. Cacciare via i demoni. E poi riconoscere con sobrietà: sono stato un semplice “operaio del Regno”. È questo che deve fare, e deve dire di sé, un ministro di Cristo quando passa a curare i tanti “feriti” che attendono nelle corsie della Chiesa “ospedale da campo”. Il concetto caro a Francesco ritorna nella sua riflessione del mattino, dettata dal passo del Vangelo del giorno in cui Gesù invia i discepoli a due a due nei villaggi a predicare, guarire i malati e scacciare gli “spiriti impuri”.

Guarite le ferite del cuore
Lo sguardo del Papa è attirato dalla descrizione che Gesù fa dello stile che devono assumere i suoi inviati al popolo: persone che siano prive di sfarzo – non portate “né pane, né sacca, né denaro nella cintura”, dice loro – e questo perché il Vangelo, sostiene Francesco, “dev’essere annunciato in povertà”, perché “la salvezza non è una teologia della prosperità”. È solo, e null’altro, il “lieto annuncio” di liberazione portato a ogni oppresso:

“Questa è la missione della Chiesa: la Chiesa che guarisce, che cura. Alcune volte, io ho parlato della Chiesa come di un ospedale da campo. È vero: quanti feriti ci sono, quanti feriti! Quanta gente che ha bisogno che le sue ferite siano guarite! Questa è la missione della Chiesa: guarire le ferite del cuore, aprire porte, liberare, dire che Dio è buono, che Dio perdona tutto, che Dio è padre, che Dio è tenero, che Dio ci aspetta sempre…”.

Zelo apostolico, non impegno da ong
Deviare dall’essenzialità di questo annuncio apre al rischio – tante volte avvertito da Papa Francesco – di travisare la missione della Chiesa, per cui l’impegno profuso per alleviare le varie forme di miseria si svuota dell’unica cosa che conta: portare Cristo ai poveri, ai ciechi, ai prigionieri:

“E’ vero, noi dobbiamo prendere aiuto e fare organizzazioni che aiutino in questo: quello sì, perché il Signore ci dà i doni per questo. Ma quando dimentichiamo questa missione, dimentichiamo la povertà, dimentichiamo lo zelo apostolico e mettiamo la speranza in questi mezzi, la Chiesa lentamente scivola in una ong e diviene una bella organizzazione: potente, ma non evangelica, perché manca quello spirito, quella povertà, quella forza di guarire”.

Discepoli “lavoratori del Regno”
I discepoli tornano “felici” dalla loro missione e il Papa ricorda che Gesù li prende con sé e li porta “a riposarsi un po’”. Tuttavia, sottolinea Francesco…

“…non dice loro: ‘Ma, voi siete grandi, alla prossima uscita adesso organizzate meglio le cose…’. Soltanto: ‘Quando avete fatto tutto questo che dovete fare, dite a voi stessi: ‘Servi inutili siamo’. Questo è l’apostolo. E quale sarebbe la lode più bella per un apostolo? ‘È stato un operaio del Regno, un lavoratore del Regno’. Questa è la lode più grande, perché va su questa strada dell’annuncio di Gesù: va a guarire, a custodire, a proclamare questo lieto annuncio e questo anno di grazia. A fare che il popolo ritrovi il Padre, a fare la pace nei cuori della gente”.



Francesco: oggi tanti i cristiani vittime di chi odia Gesù

Papa Francesco tiene l'omelia a Casa S. Marta - OSS_ROM

06/02/2015 

Il martirio dei cristiani non è una cosa del passato, ma tanti di loro sono vittime anche oggi “di gente che odia Gesù Cristo”. È la sofferta constatazione di Papa Francesco all’omelia della Messa del mattino in Casa Santa Marta, al termine di un’intensa meditazione sulla vita e la morte di Giovanni Battista. Il servizio di Alessandro De Carolis:

La parabola del “Grande Giovanni” in primo piano e, appena dietro, il dolore acuto per i tanti cristiani ancora oggi condotti al macello, perché la loro vita annuncia quella di un Dio che altri odiano. È una delle omelie di Santa Marta più toccanti quella che il Papa propone seguendo la pagina del Vangelo di Marco, che racconta la fine tragica di Giovanni Battista. Lui – sottolinea Francesco – che “mai ha tradito la sua vocazione”, “cosciente che il suo dovere era soltanto annunziare” la “prossimità del Messia” – consapevole di essere “la voce soltanto”, perché “la Parola era un Altro” – “finisce la sua vita come il Signore, col martirio”.

Giovanni vittima di un re corrotto
È soprattutto quando finisce in carcere per mano di Erode Antipa che “l’uomo più grande nato da donna” diventa, osserva Francesco, “piccolo, piccolo, piccolo”, prima colpito dalla prova del “buio dell’anima” – quando dubita che Gesù sia colui al quale ha preparato la strada – poi quando per lui arriva il momento della fine, ordinata da un re affascinato e insieme perplesso da Giovanni. Una fine che il Papa si ferma a considerare con realismo:

“Alla fine, dopo questa purificazione, dopo questo calare continuo nell’annientamento, facendo strada all’annientamento di Gesù, finisce la sua vita. Quel re perplesso diventa capace di una decisione, ma non perché il suo cuore sia stato convertito, ma perché il vino gli ha dato coraggio. E così Giovanni finisce la sua vita sotto l’autorità di un re mediocre, ubriaco e corrotto, per il capriccio di una ballerina e per l’odio vendicativo di un’adultera. Così finisce il Grande, l’uomo più grande nato da donna”.

Cristiani odiati anche oggi
“Quando io leggo questo brano – afferma a questo punto il Papa – vi confesso mi commuovo” e penso sempre “a due cose”:

“Primo, penso ai nostri martiri, ai martiri dei nostri giorni, quegli uomini, donne, bambini che sono perseguitati, odiati, cacciati via dalle case, torturati, massacrati. E questa non è una cosa del passato: oggi succede questo. I nostri martiri, che finiscono la loro vita sotto l’autorità corrotta di gente che odia Gesù Cristo. Ci farà bene pensare ai nostri martiri. Oggi pensiamo a Paolo Miki, ma quello è successo nel 1600. Pensiamo a quelli di oggi! Del 2015”.

Nessuno ha la vita "comprata"
Inoltre, prosegue il Papa, questo diminuire di Giovanni il Grande “continuamente fino al nulla” mi fa pensare, dice, “che siamo su questa strada e andiamo verso la terra, dove tutti finiremo”. Mi fa pensare a “me stesso”:

“Anche io finirò. Tutti noi finiremo. Nessuno ha la vita ‘comprata’. Anche noi, volendo o non volendo, andiamo sulla strada dell’annientamento esistenziale della vita, e questo, almeno a me, fa pregare che questo annientamento assomigli il più possibile a Gesù Cristo, al suo annientamento”. 



Caterina63
00lunedì 9 febbraio 2015 18:27

  Il Papa: custodire il creato è dei verdi? No, è cristiano!




Messa del Papa a Santa Marta - OSS_ROM
09/02/2015 

 

I cristiani sono chiamati a custodire il Creato. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice si è quindi soffermato sulla “seconda creazione”, quella operata da Gesù che ha “ri-creato” ciò che era stato rovinato dal peccato. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Dio crea l’universo ma la creazione non finisce, “Lui continuamente sostiene quello che ha creato”. Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia soffermandosi sul passo della Genesi, nella Prima Lettura, che narra la creazione dell’universo. Nel Vangelo odierno, ha poi commentato, vediamo “l’altra creazione di Dio”, “quella di Gesù, che viene a ri-creare quello che era stato rovinato dal peccato”.

Come rispondiamo alla creazione di Dio?
Vediamo Gesù tra la gente, ha detto, e “quanti lo toccavano venivano salvati”: è “la ri-creazione”. “Questa ‘seconda creazione’ – ha rilevato Francesco – è più meravigliosa della prima; questo secondo lavoro è più meraviglioso”. Infine, c’è “un altro lavoro”, quello della “perseveranza nella fede” che lo fa lo Spirito Santo:

“Dio lavora, continua a lavorare, e noi possiamo domandarci come dobbiamo rispondere a questa creazione di Dio, che è nata dall’amore, perché Lui lavora per amore. Alla ‘prima creazione’ dobbiamo rispondere con la responsabilità che il Signore ci dà: ‘La Terra è vostra, portatela avanti; soggiogatela; fatela crescere’. Anche per noi c’è la responsabilità di far crescere la Terra, di far crescere il Creato, di custodirlo e farlo crescere secondo le sue leggi. Noi siamo signori del Creato, non padroni”.

E’ compito del cristiano custodire il creato
Il Papa ha avvertito che dobbiamo avere “cura di non impadronirci del Creato, ma di farlo andare avanti, fedeli alle sue leggi”. Dunque, ha soggiunto, “questa è la prima risposta al lavoro di Dio: lavorare per custodire il Creato”:

“Quando noi sentiamo che la gente fa riunioni per pensare a come custodire il Creato, possiamo dire: ‘Ma no, sono i verdi!’ No, non sono i verdi! Questo è cristiano! E’ la nostra risposta alla ‘prima creazione’ di Dio. E’ la nostra responsabilità. Un cristiano che non custodisce il Creato, che non lo fa crescere, è un cristiano cui non importa il lavoro di Dio, quel lavoro nato dall’amore di Dio per noi. E questa è la prima risposta alla prima creazione: custodire il Creato, farlo crescere”.

Lasciamoci riconciliare con Gesù
Francesco si è dunque chiesto come rispondiamo “alla seconda creazione”. San Paolo, ha rammentato, ci dice di lasciarci “riconciliare con Dio”, “andare sulla strada della riconciliazione interiore, della riconciliazione comunitaria, perché la riconciliazione è opera di Cristo”. E ancora, riecheggiando l’Apostolo delle Genti, il Pontefice ha detto che non dobbiamo rattristare lo Spirito Santo che è in noi, che è dentro di noi e lavora dentro di noi. E ha soggiunto che noi “crediamo in un Dio personale”: “è persona Padre, persona Figlio e persona Spirito Santo”:

“E tutti e tre sono coinvolti in questa creazione, in questa ri-creazione, in questa perseveranza nella ri-creazione. E a tutti e tre noi rispondiamo: custodire e far crescere il Creato, lasciarci riconciliare con Gesù, con Dio in Gesù, in Cristo, ogni giorno, e non rattristare lo Spirito Santo, non cacciarlo via: è l’ospite del nostro cuore, quello che ci accompagna, ci fa crescere”.

“Che il Signore – ha concluso – ci dia la grazia di capire che Lui” è all’opera “e ci dia la grazia di rispondere giustamente a questo lavoro di amore”.



Francesco: Dio si cerca, i cristiani “seduti” non lo vedono

Papa Francesco tiene l'omelia a Casa S. Marta - OSS_ROM

10/02/2015 

Per incontrare Dio bisogna rischiare e mettersi in cammino, perché un cristiano “quieto” non potrà “mai conoscere” il volto del Padre. È la riflessione che Papa Francesco ha sviluppato durante l’omelia della Messa del mattino, celebrata nella cappella di Casa S. Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Se un cristiano vuole conoscere la sua identità, non può starsene comodo in poltrona a sfogliare un libro perché al mondo “non c’è un catalogo” con dentro “l’immagine di Dio”. E nemmeno può disegnarsi un Dio di comodo obbedendo a regole che con Dio non hanno niente a che fare.

Gli inquieti vedranno Dio
La lettura della Genesi che parla della creazione dell’uomo “a immagine di Dio” suggerisce a Papa Francesco una meditazione sulla strada giusta e le molte sbagliate che si aprono davanti a un cristiano che voglia conoscere la sua origine. L’immagine di Dio, afferma Francesco, la trovo “certamente non sul computer, non nelle enciclopedie”. Per trovarla, e quindi capire “la mia identità, si può fare solo in un modo, “soltanto mettendosi in cammino”. Altrimenti, dice, “mai potremo conoscere il volto di Dio”:

“Chi non si mette in cammino, mai conoscerà l’immagine di Dio, mai troverà il volto di Dio. I cristiani seduti, i cristiani quieti non conosceranno il volto di Dio: non lo conoscono. Dicono: ‘Dio è così, così…’, ma non lo conoscono. I quieti. Per camminare è necessaria quella inquietudine che lo stesso Dio ha messo nel nostro cuore e che ti porta avanti a cercarlo”.

La “caricatura” di Dio
Certo, considera Francesco, “mettersi in cammino è lasciare che Dio o la vita ci metta alla prova, mettersi in cammino è rischiare”. E così hanno fatto, sfidando pericoli e sentendosi abbattere dalla fatica e dalla sfiducia, anche giganti come il profeta Elia, o Geremia, o Giobbe. Ma c’è anche un altro modo di stare fermi e dunque falsare la ricerca di Dio, che Francesco rileva nell’episodio del Vangelo in cui scribi e farisei rimproverano Gesù perché i suoi discepoli mangiano senza aver assolto alle abluzioni rituali:

“Nel Vangelo, Gesù incontra gente che ha paura di mettersi in cammino e che si "adatta con una caricatura di Dio. E’ una falsa carta d’identità. Questi non-inquieti hanno fatto tacere l’inquietudine del cuore, dipingono Dio con comandamenti e si dimenticano di Dio: ‘Voi, trascurando il comandamento di Dio, osservate la tradizione degli uomini’, e così si allontanano da Dio, non camminano verso Dio e quando hanno un’insicurezza, inventano o fanno un altro comandamento”.

La grazia di stare in cammino
Chi si comporta in questo modo, conclude Papa Francesco, compie un “cammino fra virgolette”, un “cammino che non cammina, un cammino quieto”:

“Oggi la liturgia ci fa riflettere su questi due testi: due carte d’identità. Quella che tutti noi abbiamo, perché il Signore ci ha fatto così, e quella che ci dice: ‘Mettiti in cammino e tu avrai conoscenza della tua identità, perché tu sei immagine di Dio, sei fatto a somiglianza di Dio. Mettiti in cammino e cerca Dio’. E l’altra: ‘No, stai tranquillo: compi tutti questi comandamenti e questo è Dio. Questo è il volto di Dio’. Che il Signore ci dia a tutti la grazia del coraggio di metterci sempre in cammino, per cercare il volto del Signore, quel volto che un giorno vedremo ma che qui, sulla Terra, dobbiamo cercare”.


Caterina63
00martedì 17 febbraio 2015 17:44

   Copti uccisi. Papa Francesco: Dio li accolga come martiri




I 21 egiziani copti condotti dai loro carnefici sul luogo dell'esecuzione - ANSA





17/02/2015 



 


Il Signore “come martiri li accolga”. Con queste parole, pronunciate con grande commozione, Papa Francesco ha voluto cominciare, come anticipato ieri, la Messa del mattino a Casa S. Marta, nel ricordo dei 21 cristiani copti decapitati da miliziani dello Stato islamico. Anche la Congregazione per le Chiese Orientali si unisce in un comunicato al dolore del “popolo egiziano”, pregando Maria Regina della pace perché, scrivono, “ottenga la conversione del cuore dei violenti, susciti sagge decisioni in seno alla comunità delle Nazioni e doni ai popoli del Medio Oriente e dell'Ucraina la riconciliazione e il ritorno ad una serena convivenza e una pace duratura”. Il servizio di Alessandro De Carolis:


http://media02.radiovaticana.va/audio/audio2/mp3/00466027.mp3 

“Sgozzati per il solo motivo di essere cristiani (…) Il Signore come martiri li accolga”.

Agnelli condotti al macello, tutti rivestiti della tuta arancio squillante, il macabro abito sacrificale che il mondo ha imparato a conoscere. Avanzano in fila indiana sulla spiaggia, tenuti per il collo dagli aguzzini senza volto in tuta nera. Poi la marcia finisce nel punto in cui lo spettacolo della morte deve avere inizio, sullo sfondo da cartolina del Mediterraneo.

Set di morte
Chi guarda vede adesso uomini messi in ginocchio, la testa china, le labbra che si muovono nell’unica invocazione che può attenuare la paura e che diventa un atto di fede, di coraggio e di dignità senza misura. Quello che chi guarda non vede, ma non è difficile immaginare dalle inquadrature, è il raggelante dispiego di mezzi predisposto dalla regia. Movimenti di macchina, dolly, panoramiche frontali e dall’alto per riprendere in totale e in dettaglio, con la giusta luce e i giusti tempi della narrazione televisiva, lo sgozzamento a sangue freddo di 21 persone sulla riva del mare.

Erano solo cristiani
Questo, e purtroppo anche il resto, ha visto chi ha voluto guardare quei 4 crudeli minuti del video messo in rete. Una scena che ha colpito al cuore Papa Francesco, il quale – come promesso ieri – ha aperto la Messa del mattino con un nuovo pensiero per le vittime della ferocia jihadista:

  “Offriamo questa Messa per i nostri 21 fratelli copti, sgozzati per il solo motivo di essere cristiani. Preghiamo per loro, che il Signore come martiri li accolga, per le loro famiglie, per il mio fratello Tawadros, che soffre tanto”.

La chiesa dei martiri egiziani
Tawadros II è il Patriarca della Chiesa Copta Ortodossa che ieri ha ricevuto la commossa telefonata di Francesco, ma anche la visita del presidente al-Sisi e di numerose altre personalità, fra cui l’incaricato d’affari della nunziatura vaticana. E se il Papa è e resta profondamente ferito da questo fatto di sangue, l’Egitto è sotto choc. Il governo ha stabilito il lutto nazionale per sette giorni. Il presidente al-Sisi ha disposto che lo Stato costruisca una chiesa dedicata ai martiri della Libia nella città di Minya, da dove provenivano gran parte dei copti decapitati.

Sussurrando il nome di Gesù
Ma sulle tante parole di dolore, che in tanti casi cercano sfogo nella vendetta, in queste ore, una su tutte – quella del vescovo copto cattolico di Giuzeh, Anba Antonios Aziz Mina – mostra una grande sintonia con Papa Francesco mentre si sofferma con grande rispetto sul sacrificio dei 21 cristiani, ripreso e lanciato all’Occidente come un sanguinoso insulto.
“Il video che ritrae la loro esecuzione – riferisce il presule egiziano all’agenzia Fides – è stato costruito come un'agghiacciante messinscena cinematografica, con l'intento di spargere terrore. Eppure, in quel prodotto diabolico della finzione e dell'orrore sanguinario, si vede che alcuni dei martiri, nel momento della loro barbara esecuzione, ripetono ‘Signore Gesù Cristo’. Il nome di Gesù è stata l'ultima parola affiorata sulle loro labbra. Come nella passione dei primi martiri, si sono affidati a Colui che poco dopo li avrebbe accolti. E così hanno celebrato la loro vittoria, la vittoria che nessun carnefice potrà loro togliere. Quel nome sussurrato nell'ultimo istante è stato come il sigillo del loro martirio”.

“Sii per me difesa, o Dio, rocca e fortezza che mi salva, perché tu sei mio baluardo e mio rifugio; guidami per amore del tuo nome”.


 

Come martiri

Martedì, 17 febbraio 2015


 

Il Papa ha offerto la messa a Santa Marta per i ventuno copti «sgozzati per il solo motivo di essere cristiani»

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n.039, Mer. 18/02/2015)

«Offriamo questa messa per i nostri ventuno fratelli copti, sgozzati per il solo motivo di essere cristiani». Lo ha detto Papa Francesco nella celebrazione presieduta martedì 17 febbraio nella cappella della Casa Santa Marta. «Preghiamo per loro — ha aggiunto — che il Signore come martiri li accolga, per le loro famiglie, per il mio fratello Tawadros che soffre tanto». E proprio con il patriarca della Chiesa ortodossa copta, Tawadros II, il Papa ha parlato personalmente al telefono nel pomeriggio di lunedì manifestandogli la sua profonda partecipazione al dolore per il barbaro assassinio compiuto dai fondamentalisti islamici. E assicurando anche la propria preghiera.

Ripetendo le parole dell’antifona iniziale «Sii per me difesa, o Dio, rocca e fortezza che mi salva, perché tu sei mio baluardo e mio rifugio; guidami per amore del tuo nome» (salmo 31, 3-4), Papa Francesco ha aperto l’omelia. Il brano del Libro della Genesi sul diluvio (6, 5-8; 7, 1-5.10), proposto dalla liturgia del giorno, «ci fa pensare — ha detto il Pontefice — alla capacità di distruzione che ha l’uomo: l’uomo è capace di distruggere tutto quello che Dio ha fatto» quando «gli sembra di essere più potente di Dio». E così «Dio può fare cose buone, ma l’uomo è capace di distruggerle tutte».

Anche «nella Bibbia, nei primi capitoli, troviamo tanti esempi, dall’inizio». Ad esempio, ha spiegato Francesco, «l’uomo chiama il diluvio per la sua malvagità: è lui che lo chiama!». Inoltre «l’uomo chiama il fuoco del cielo, in Sodoma e Gomorra, per la sua malvagità». Poi «l’uomo crea la confusione, la divisione dell’umanità — Babele, la Torre di Babele — per la sua malvagità». Insomma, «l’uomo è capace di distruggere, noi siamo tutti capaci di distruggere». Ce lo conferma, sempre nella Genesi, «una frase molto, molto acuta: “Questa malvagità era grande e ogni intimo intento del loro cuore — del cuore degli uomini — non era altro che male, sempre”».

Non è questione di essere troppo negativi, ha fatto notare il Papa, perché «questa è la verità». A tal punto che «siamo capaci di distruggere anche la fraternità», come dimostra la storia di «Caino e Abele nelle prime pagine della Bibbia». Un episodio che, appunto, «distrugge la fraternità, è l’inizio delle guerre: le gelosie, le invidie, tanta cupidigia di potere, di avere più potere». Sì, ha affermato Francesco, «questo sembra negativo, ma è realista». Del resto, ha aggiunto, basta prendere un «giornale qualsiasi» per vedere «che più del novanta per cento delle notizie sono notizie di distruzione: più del novanta per cento! E questo lo vediamo tutti i giorni!».

Ma allora «cosa succede nel cuore dell’uomo?» è stato l’interrogativo fondamentale proposto dal Papa. «Gesù, una volta, avvertì i suoi discepoli che il male non entra nel cuore dell’uomo perché mangia questa cosa che non è pura, bensì perché esce dal cuore». E «dal cuore dell’uomo escono tutte le malvagità». Infatti «il nostro cuore debole è ferito». C’è «sempre quella voglia di autonomia» che porta a dire: «Io faccio quello che voglio e se io ho voglia di questo, lo faccio! E se per questo voglio fare una guerra, la faccio! E se per questo voglio distruggere la mia famiglia, lo faccio! E se per questo devo ammazzare il vicino, lo faccio!». Ma proprio «queste sono le notizie di ogni giorno» ha rimarcato il Papa, osservando che «i giornali non ci raccontano notizie di vita di santi».

Dunque, ha proseguito rilanciando la questione centrale, «perché siamo così?». La risposta è diretta: «Perché abbiamo questa possibilità di distruzione, questo è il problema!». E così facendo, poi, «nelle guerre, nel traffico delle armi siamo imprenditori di morte!». E «ci sono i Paesi che vendono le armi a questo che è in guerra con questo, e le vendono anche a questo, perché così continui la guerra». Il problema è proprio la «capacità di distruzione e questo non viene dal vicino» ma «da noi!».

«Ogni intimo intento del cuore non era altro che male» ha ripetuto, ancora, Francesco. Ricordando appunto che «noi abbiamo questo seme dentro, questa possibilità». Ma «abbiamo anche lo Spirito Santo che ci salva». Si tratta perciò di scegliere a partire dalle «piccole cose». E così «quando una donna va al mercato e trova un’altra, incomincia a chiacchierare, a sparlare della vicina, dell’altra donna di là: questa donna uccide, questa donna è malvagia». E lo è «nel mercato» ma anche «in parrocchia, nelle associazioni: quando ci sono le gelosie, le invidie vanno dal parroco a dire “ma questa no, questo sì, questo fa”». Anche «questa è la malvagità, la capacità di distruggere che tutti noi abbiamo».

È su questo punto che «oggi la Chiesa, alle porte della Quaresima, ci fa riflettere». L’invito del Papa è a domandarcene la ragione, a partire dal passo evangelico di Marco (8, 14-21). «Nel Vangelo Gesù rimprovera un po’ i discepoli che discutevano: “ma tu dovevi prendere il pane — No, tu!”». Insomma i dodici «discutevano come sempre, litigavano fra loro». Ed ecco che Gesù rivolge loro «una bella parola: “Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode”». Così, «semplicemente fa l’esempio di due persone: Erode è cattivo, assassino, e i farisei ipocriti». Ma il Signore parla anche di «“lievito” e loro non capivano».

Il fatto è che, come racconta Marco, i discepoli «parlavano di pane, di questo pane, e Gesù gli fa: “Ma quel lievito è pericoloso, quello che noi abbiamo dentro e che ci porta a distruggere. Guardatevi, fate attenzione!”». Poi «Gesù fa vedere l’altra porta: “Avete il cuore indurito? Non vi ricordate quando ho spezzato i cinque pani, la porta della salvezza di Dio?». Infatti «per questa strada della discussione — dice — mai, mai si farà qualcosa di buono, sempre ci saranno divisioni, distruzione!». E continua: «Pensate alla salvezza, a quello che anche Dio ha fatto per noi, e scegliete bene!». Ma i discepoli «non capivano perché il cuore era indurito per questa passione, per questa malvagità di discutere fra loro e vedere chi era il colpevole di quella dimenticanza del pane».

Francesco ha quindi esortato a prendere «questo messaggio del Signore sul serio». Con la consapevolezza che «queste non sono cose strane, non è il discorso di un marziano» ma sono invece «le cose che ogni giorno accadono nella vita». E per verificarlo, ha ripetuto, basta soltanto prendere «il giornale, niente di più!».

Però, ha aggiunto, «l’uomo è capace di fare tanto bene: pensiamo a madre Teresa, per esempio, una donna del nostro tempo». Ma se «tutti noi siamo capaci di fare tanto bene» siamo altrettanto «capaci anche di distruggere nel grande e nel piccolo, nella stessa famiglia: distruggere i figli, non lasciando crescere i figli con libertà, non aiutandoli a crescere bene» e così in qualche modo annullando i figli. E considerato che «abbiamo questa capacità», per noi «è necessaria la meditazione continua: la preghiera, il confronto fra noi» proprio «per non cadere in questa malvagità che tutto distrugge».

E «abbiamo la forza» per farlo, come «Gesù ci ricorda». Tanto che «oggi ci dice: “Ricordate. Ricordatevi di me, che ho versato il mio sangue per voi; ricordatevi di me che vi ho salvato, vi ho salvati tutti; ricordatevi di me, che ho la forza di accompagnarvi nel cammino della vita, non per la strada della malvagità, ma per la strada della bontà, del fare il bene agli altri; non per la strada della distruzione, ma per la strada del costruire: costruire una famiglia, costruire una città, costruire una cultura, costruire una patria, sempre di più!».

La riflessione di oggi ha suggerito a Francesco di chiedere al Signore, «prima di incominciare la Quaresima», la grazia di «scegliere sempre bene la strada col suo aiuto e non lasciarci ingannare dalle seduzioni che ci porteranno sulla strada sbagliata».



Francesco: serviamo Dio e non chi ci offre cose da niente

Papa Francesco durante l'omelia a Santa Marta - OSS_ROM

19/02/2015 

In ogni circostanza della vita, il cristiano deve scegliere Dio e non lasciarsi fuorviare da abitudini e situazioni che portano lontano da Lui. Lo ha affermato Papa Francesco nel commentare le letture del giorno durante la Messa del mattino celebrata in Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Scegliere Dio, scegliere il bene, per non essere un fallito di successo. Osannato, sì, dalla massa ma alla fine nient’altro che un adoratore di “piccole cosine che passano”. Al centro della liturgia, e dunque della riflessione di Papa Francesco, c’è il passo della Bibbia in cui Dio dice a Mosè: “Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male. Oggi, perciò, io ti comando di amare il Signore, tuo Dio, di camminare per le sue vie”.

Seguaci di dei che non contano
La scelta di Mosè, afferma Francesco, è quella che il cristiano deve fare ogni giorno. Ed è una scelta difficile. “E’ più facile – riconosce – vivere lasciandosi portare dall’inerzia della vita, delle situazioni, delle abitudini”. Più facile, in fondo, diventare il servitore di “altri dei”:

“Scegliere fra Dio e gli altri dei, quelli che non hanno il potere di darci niente, soltanto piccole cosine che passano. E non è facile scegliere, noi abbiamo sempre questa abitudine di andare un po’ dove va la gente, un po’ come tutti. Come tutti. Tutti e nessuno. E oggi la Chiesa ci dice: ‘Ma, fermati! Fermati e scegli’. E’ un buon consiglio. E oggi ci farà bene fermarci e durante la giornata pensare un po’: com’è il mio stile di vita? Per quali strade cammino?”.

Monumento ai falliti
E assieme a questa domanda, scavare più a fondo e chiedersi – prosegue Francesco – anche quale sia il rapporto con Dio, con Gesù. Il rapporto con i genitori, i fratelli, la moglie o il marito, i figli. E qui il Papa passa a considerare il Vangelo del giorno, quando Gesù spiega ai discepoli che un uomo “che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso” non ricava alcun “vantaggio”:

“Una strada sbagliata è quella di cercare sempre il proprio successo, i propri beni, senza pensare al Signore, senza pensare alla famiglia. Queste due domande: com’è il mio rapporto con Dio, com’è il mio rapporto con la famiglia. E uno può guadagnare tutto, ma alla fine diventare un fallito. Ha fallito. Quella vita è un fallimento. ‘Ma no, gli hanno fatto un monumento, gli hanno dipinto un quadro…”. Ma hai fallito: non hai saputo scegliere bene fra la vita e la morte”.

Non scegliamo da soli
Domandiamoci, insiste Papa Francesco, quale sia “la velocità della mia vita”, se “rifletto sulle cose che faccio”. E domandiamo a Dio la grazia di avere quel “piccolo coraggio” necessario a sceglierLo ogni volta. Ci aiuterà, conclude Francesco, il “consiglio tanto bello” del Salmo 1:

“'Beato l’uomo che confida nel Signore'. Quando il Signore ci dà questo consiglio – ‘Fermati! Scegli oggi, scegli’ – non ci lascia soli. È con noi e vuole aiutarci. Soltanto noi dobbiamo confidare, avere fiducia in Lui. ‘Beato l’uomo che confida nel Signore’. Oggi, nel momento in cui noi ci fermiamo per pensare a queste cose e prendere decisioni, scegliere qualcosa, sappiamo che il Signore è con noi, è accanto a noi, per aiutarci. Mai ci lascia andare da soli, mai. E’ sempre con noi. Anche nel momento della scelta è con noi”.





Il Papa: mai usare Dio per coprire l'ingiustizia

Messa del Papa a Santa Marta - OSS_ROM

20/02/2015 

I cristiani, specie in Quaresima, sono chiamati a vivere coerentemente l’amore a Dio e l’amore al prossimo. E’ uno dei passaggi chiave dell’omelia che Francesco ha pronunciato nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Francesco ha messo dunque in guardia da chi invia un assegno alla Chiesa e poi si comporta ingiustamente con i suoi dipendenti. Il servizio diAlessandro Gisotti:

Il popolo si lamenta davanti al Signore perché non ascolta i suoi digiuni. Papa Francesco ha mosso la sua meditazione partendo dal brano di Isaia nella prima Lettura. E subito ha sottolineato che bisogna distinguere tra “il formale e il reale”. Per il Signore, ha osservato, “non è digiuno, non mangiare la carne” ma poi “litigare e sfruttare gli operai”. Ecco perché Gesù ha condannato i farisei perché facevano “tante osservanze esteriori, ma senza la verità del cuore”.

L’amore a Dio e all’uomo sono uniti, fare penitenza reale
Il digiuno che vuole Gesù invece è quello che scioglie le catene inique, rimanda liberi gli oppressi, veste i nudi, fa giustizia. “Questo – ha ribadito il Papa – è il digiuno vero, il digiuno che non è soltanto esterno, un’osservanza esterna, ma è un digiuno che viene dal cuore”:

“E nelle tavole della legge c’è la legge verso Dio e la legge verso il prossimo e tutte e due vanno insieme. Io non posso dire: 'Ma, no, io compio i tre comandamenti primi… e gli altri più o meno'. No, se tu non fai questi, quello non puoi farlo e se tu fai questo, devi fare questo. Sono uniti: l’amore a Dio e l’amore al prossimo sono una unità e se tu vuoi fare penitenza, reale non formale, devi farla davanti a Dio e anche con il tuo fratello, con il prossimo”.

Peccato gravissimo usare Dio per coprire l’ingiustizia
Si può avere tanta fede, ha proseguito, ma – come dice l’Apostolo Giacomo – se “non fai opere è morta, a che serve”. Così, se uno va a Messa tutte le domeniche e fa la comunione, gli si può chiedere: “E com’ è il tuo rapporto con i tuoi dipendenti? Li paghi in nero? Paghi loro il salario giusto? Anche versi i contributi per la pensione? Per assicurare la salute?”:

“Quanti, quanti uomini e donne di fede, hanno fede ma dividono le tavole della legge: ‘Sì, sì io faccio questo’ – ‘Ma tu fai elemosina?’ – ‘Sì, sì, sempre io invio un assegno alla Chiesa’ – ‘Ah, beh, va bene. Ma alla tua Chiesa, a casa tua, con quelli che dipendono da te - siano i figli, siano i nonni, siano i dipendenti - sei generoso, sei giusto?’. Tu non puoi fare offerte alla Chiesa sulle spalle della ingiustizia che fai con i tuoi dipendenti. Questo è un peccato gravissimo: è usare Dio per coprire l’ingiustizia”.

“E questo – ha ripreso – è quello che il profeta Isaia in nome del Signore oggi ci fa capire”: “Non è un buon cristiano quello che non fa giustizia con le persone che dipendono da lui”. E non è un buon cristiano, ha soggiunto, “quello che non si spoglia di qualcosa necessaria a lui per dare a un altro che abbia bisogno”. Il cammino della Quaresima, ha detto ancora, “è questo, è doppio, a Dio e al prossimo: cioè, è reale, non è meramente formale. Non è non mangiare carne solamente il venerdì, fare qualcosina, e poi fare crescere l’egoismo, lo sfruttamento del prossimo, l’ignoranza dei poveri”. C’è chi, ha raccontato il Papa, se ha bisogno di curarsi va in ospedale e siccome è socio di una mutua subito viene visitato. “E’ una cosa buona – ha commentato il Papa – ringrazia il Signore. Ma, dimmi, hai pensato a quelli che non hanno questo rapporto sociale con l’ospedale e quando arrivano devono aspettare 6, 7, 8 ore?”, anche “per una cosa urgente”.

A Quaresima, facciamo posto nel cuore per chi ha sbagliato
E c’è gente qui, a Roma, ha avvertito, che vive così e la Quaresima serve “per pensare a loro: cosa posso fare per i bambini, per gli anziani, che non hanno la possibilità di essere visitati da un medico?”, che magari aspettano “otto ore e poi ti danno il turno per una settimana dopo”. “Cosa fai per quella gente? Come sarà la tua Quaresima?”, domanda Francesco. “Grazie a Dio io ho una famiglia che compie i comandamenti, non abbiamo problemi…” – “Ma in questa Quaresima – chiede ancora il Papa - nel tuo cuore c’è posto per quelli che non hanno compiuto i comandamenti? Che hanno sbagliato e sono in carcere?”: 

“‘Ma con quella gente io no…’  - ‘Ma tu, lui è in carcere: se tu non sei in carcere è perché il Signore ti ha aiutato a non cadere. Nel tuo cuore i carcerati hanno un posto? Tu preghi per loro, perché il Signore li aiuti a cambiare vita?’ Accompagna, Signore, il nostro cammino quaresimale perché l’osservanza esteriore corrisponda a un profondo rinnovamento dello Spirito. Così abbiamo pregato. Che il Signore ci dia questa grazia”.





Caterina63
00lunedì 2 marzo 2015 14:02

Papa: sapienza del cristiano è non giudicare gli altri e accusare se stesso

Il Papa ha ripreso a celebrare la Messa a Santa Marta - OSS_ROM

02/03/2015 

E’ facile giudicare gli altri, ma si va avanti nel cammino cristiano solo se si ha la sapienza di accusare se stessi: è quanto ha detto il Papa riprendendo, dopo gli esercizi spirituali, a celebrare la Messa a Santa Marta con i gruppi. Ce ne parla Sergio Centofanti:

Le letture del giorno sono incentrate sul tema della misericordia. Il Papa, ricordando che “siamo tutti peccatori” - non “in teoria” ma nella realtà - indica “una virtù cristiana, anzi più di una virtù”: “la capacità di accusare se stesso”. E’ il primo passo di chi vuole essere cristiano:

“Tutti noi siamo maestri, siamo dottori nel giustificare noi stessi: ‘Ma, io non sono stato, no, non è colpa mia, ma sì, ma non era tanto, eh… Le cose non sono così…’. Tutti abbiamo un alibi spiegativo delle nostre mancanze, dei nostri peccati, e tante volte siamo capaci di fare quella faccia da ‘Ma, io non so’, faccia da ‘Ma io non l’ho fatto, forse sarà un altro’: fare l’innocente. E così non si va avanti nella vita cristiana”.

“E’ più facile accusare gli altri” – osserva il Papa – eppure “accade una cosa un po’ strana” se proviamo a comportarci in modo diverso: “quando noi incominciamo a guardare di quali cose siamo capaci”, all’inizio “ci sentiamo male, sentiamo ribrezzo”, poi questo “ci dà pace e salute”. Per esempio – afferma Papa Francesco - “quando io trovo nel mio cuore un’invidia e so che questa invidia è capace di sparlare dell’altro e ucciderlo moralmente”, questa è la “saggezza di accusare se stesso”. “Se noi non impariamo questo primo passo della vita, mai, mai faremo passi sulla strada della vita cristiana, della vita spirituale”:

“E’ il primo passo, accusare se stesso. Senza dirlo, no? Io e la mia coscienza. Vado per la strada, passo davanti al carcere: ‘Eh, questi se lo meritano’, ‘Ma tu sai che se non fosse stato per la grazia di Dio tu saresti lì? Hai pensato che tu sei capace di fare le cose che loro hanno fatto, anche peggio ancora?’. Questo è accusare se stesso, non nascondere a se stesso le radici di peccato che sono in noi, le tante cose che siamo capaci di fare, anche se non si vedono”.

Il Papa sottolinea un’altra virtù: vergognarsi davanti a Dio, in una sorta di dialogo in cui noi riconosciamo la vergogna del nostro peccato e la grandezza della misericordia di Dio:

“’A te, Signore, nostro Dio, la misericordia e il perdono. La vergogna a me e a te la misericordia e il perdono’. Questo dialogo con il Signore ci farà bene di farlo in questa Quaresima: l’accusa di se stessi. Chiediamo misericordia. Nel Vangelo Gesù è chiaro: ‘Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso’. Quando uno impara ad accusare se stesso è misericordioso con gli altri: ‘Ma, chi sono io per giudicarlo, se io sono capace di fare cose peggiori?’”.

La frase: “Chi sono io per giudicare l’altro?” – afferma il Papa – obbedisce proprio all’esortazione di Gesù: “Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati”. Invece, rileva – “come ci piace giudicare gli altri, sparlare di loro!”. 

“Che il Signore, in questa Quaresima – conclude il Pontefice - ci dia la grazia di imparare ad accusarci”, nella consapevolezza che siamo  capaci “delle cose più malvagie”, e dire: “Abbi pietà di me, Signore, aiutami a vergognarmi e dammi misericordia, così io potrò essere misericordioso con gli altri”.






Francesco: facciamo il bene, non la "finta della santità"


Papa Francesco - 
03/03/2015 

Se si “impara a fare il bene”, Dio “perdona generosamente” ogni peccato. Quello che non perdona è l’ipocrisia, “la finta della santità”. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa del mattino, celebrata a Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

I finti santi, che anche davanti al cielo si preoccupano di sembrarvi più che di esservi, e i peccatori santificati, che al di là del male fatto hanno imparato a “fare” un bene più grande. Non c’è mai stato dubbio su chi Dio preferisca, afferma Papa Francesco, che pone queste due categorie al centro della sua meditazione.

La macchia si toglie col "fare"
Le parole della lettura di Isaia, spiega all’inizio, sono un imperativo e parallelamente un “invito” che viene direttamente da Dio: “Cessate di fare il male, imparate a fare il bene” difendendo orfani e vedove.
Vale a dire – sottolinea Francesco – “quelli che nessuno ricorda” tra i quali, prosegue il Papa, ci sono anche “gli anziani abbandonati” “i bambini che non vanno a scuola” e quelli “che non sanno fare il segno della Croce”. Dietro l’imperativo c’è in sostanza l’invito di sempre alla conversione:

“Ma come posso convertirmi? ‘Imparate a fare il bene!’. La conversione. La sporcizia del cuore non si toglie come si toglie una macchia: andiamo in tintoria e usciamo puliti… Si toglie col ‘fare’: fare una strada diversa, un’altra strada da quella del male. ‘Imparate a fare il bene!’, cioè la strada del fare il bene. E come faccio il bene? E’ semplice! ‘Cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova’. Ricordiamo che in Israele i più poveri e i più bisognosi erano gli orfani e le vedove: fate giustizia a loro, andate dove sono le piaghe dell’umanità, dove c’è tanto dolore… E così, facendo il bene, tu laverai il tuo cuore”.

Perdono al di là di tutto
E la promessa di un cuore lavato, cioè perdonato, viene da Dio stesso, che non tiene la contabilità dei peccati davanti a chi ama concretamente il prossimo:

“Se tu fai questo, se tu vieni per questa strada, nella quale io ti invito – ci dice il Signore – ‘anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve’. E’ una esagerazione, il Signore esagera: ma è la verità! Il Signore ci dà il dono del suo perdono. Il Signore perdona generosamente. ‘Ma io ti perdono fino a qui, poi vedremo l’altro….’ No, no! Il Signore perdona sempre tutto! Tutto! Ma se tu vuoi essere perdonato, tu devi cominciare la strada del fare il bene. Questo è il dono!’.

La trappola dell'apparenza
Il Vangelo del giorno presenta invece il gruppo degli scaltri, quelli “che  - stigmatizza Francesco – dicono le cose giuste, ma che fanno il contrario”. “Tutti – soggiunge – siamo furbi e sempre troviamo una strada che non è quella giusta, per sembrare più giusti di quello che siamo: è la strada dell’ipocrisia”:

“Questi fanno finta di convertirsi, ma il loro cuore è una menzogna: sono bugiardi! E’ una menzogna… Il loro cuore non appartiene al Signore; appartiene al padre di tutte le menzogne, a satana. E questa è la finta della santità. Mille volte Gesù preferiva i peccatori a questi. Perché? I peccatori dicevano la verità su loro stessi. ‘Allontanati da me Signore che sono un peccatore!’: lo aveva detto Pietro, una volta. Uno di questi mai dice questo! ‘Ti ringrazio Signore, perché non sono peccatore, perché sono giusto’…

"Nella seconda settimana della Quaresima ci sono queste tre parole da pensare, da meditare: l’invito alla conversione,  il dono che ci darà il Signore e cioè un perdono grande, un grande perdono, e la trappola, cioè fare finta di convertirsi, ma prendere la strada dell’ipocrisia”.




 

Il Papa: la mondanità non ci fa vedere i poveri e le loro piaghe

Il Papa a Santa Marta - OSS_ROM

05/03/2015

La mondanità oscura l'anima, rendendo incapaci di vedere i poveri che vivono accanto a noi con tutte le loro piaghe: così, in sintesi, Papa Francesco nella Messa del mattino presieduta a Casa Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:

Commentando la parabola del ricco epulone, un uomo vestito “di porpora e lino finissimo” che “ogni giorno si dava a lauti banchetti”, il Papa osserva che non si dice di lui che fosse cattivo: anzi, “forse era un uomo religioso, a suo modo. Pregava, forse, qualche preghiera e due-tre volte l’anno sicuramente si recava al Tempio a fare i sacrifici e dava grosse offerte ai sacerdoti, e loro con quella pusillanimità clericale lo ringraziavano e lo facevano sedere al posto d’onore”. Ma non si accorgeva che alla sua porta c’era un povero mendicante, Lazzaro, affamato, pieno di piaghe, “simbolo di tanta necessità che aveva”. Il Papa spiega la situazione dell’uomo ricco:

“Quando usciva da casa, eh no … forse la macchina con la quale usciva aveva i vetri oscurati per non vedere fuori … forse, ma non so … Ma sicuramente, sì, la sua anima, gli occhi della sua anima erano oscurati per non vedere. Soltanto vedeva dentro la sua vita, e non se ne accorgeva di cosa era accaduto a quest’uomo, che non era cattivo: era ammalato. Ammalato di mondanità. E la mondanità trasforma le anime, fa perdere la coscienza della realtà: vivono in un mondo artificiale, fatto da loro … La mondanità anestetizza l’anima. E per questo, quest’uomo mondano non era capace di vedere la realtà”.

E la realtà è quella di tanti poveri che vivono accanto a noi:

“Tante persone che portano la vita in maniera difficile, in modo difficile; ma se io ho il cuore mondano, mai capirò questo. Con il cuore mondano non si può capire la necessità e il bisogno degli altri. Con il cuore mondano si può andare in chiesa, si può pregare, si possono fare tante cose. Ma Gesù, nell’Ultima Cena, nella preghiera al Padre, cosa ha pregato? ‘Ma, per favore, Padre, custodisci questi discepoli che non cadano nel mondo, che non cadano nella mondanità’. E’ un peccato sottile, è più di un peccato: è uno stato peccatore dell’anima”.

In queste due storie – afferma il Papa – ci sono due giudizi: una maledizione per l’uomo che confida nel mondo e una benedizione per chi confida nel Signore. L’uomo ricco allontana il suo cuore da Dio: “la sua anima è deserta”, una “terra di salsedine dove nessuno può vivere”, “perché i mondani, per la verità, sono soli con il loro egoismo”. Ha “il cuore ammalato, tanto attaccato a questo modo di vivere mondano che difficilmente poteva guarire”. Inoltre – aggiunge il Papa - mentre il povero aveva un nome, Lazzaro, il ricco non ce l’ha: “non aveva nome, perché i mondani perdono il nome. Sono soltanto uno della folla benestante, che non ha bisogno di niente. I mondani perdono il nome”.

Nella parabola, l’uomo ricco, quando muore si ritrova tra i tormenti negli inferi, e chiede ad Abramo di inviare qualcuno dai morti ad ammonire i familiari ancora in vita. Ma Abramo risponde che se non ascoltano Mosè e i Profeti non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti. Il Papa afferma che i mondani vogliono manifestazioni straordinarie, eppure “nella Chiesa tutto è chiaro, Gesù ha parlato chiaramente: quella è la strada. Ma c’è alla fine una parola di consolazione”:

“Quando quel povero uomo mondano, nei tormenti, chiede di inviare Lazzaro con un po’ d’acqua per aiutarlo, come risponde Abramo? Abramo è la figura di Dio, il Padre. Come risponde? ‘Figlio, ricordati …’. I mondani hanno perso il nome; anche noi, se abbiamo il cuore mondano, abbiamo perso il nome. Ma non siamo orfani. Fino alla fine, fino all’ultimo momento c’è la sicurezza che abbiamo un Padre che ci aspetta. Affidiamoci a Lui. ‘Figlio’. Ci dice ‘figlio’, in mezzo a quella mondanità: ‘figlio’. Non siamo orfani”.




Caterina63
00lunedì 9 marzo 2015 17:54

Il Papa: lo stile di Dio è l'umiltà e il silenzio, non lo spettacolo




Il Papa a Santa Marta - OSS_ROM





09/03/2015 



Dio agisce nell’umiltà e nel silenzio, il suo stile non è lo spettacolo: è quanto ha detto Papa Francesco nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:


Nel Vangelo del giorno Gesù rimprovera gli abitanti di Nazareth per la mancanza di fede: all’inizio – afferma il Papa - viene ascoltato con ammirazione, ma poi esplode “l’ira, lo sdegno”:


“In quel momento, a questa gente, che sentiva con piacere quello che diceva Gesù, ma non è piaciuto quello che diceva ad uno, due o tre, e forse qualche chiacchierone si è alzato e ha detto: ‘Ma questo di che viene a parlarci? Dove ha studiato per dirci queste cose? Che ci faccia vedere la laurea! In che Università ha studiato? Questo è il figlio del falegname e ben lo conosciamo’. E’ scoppiata la furia, anche la violenza. “E lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte”. Volevano gettarlo giù”.


La prima lettura parla di Naamàn, comandante dell’esercito siro, lebbroso. Il profeta Eliseo gli dice di bagnarsi sette volte nel Giordano per guarire e anche lui si indigna perché pensava a un gesto più grande. Poi ascolta il consiglio dei servi, fa quanto detto dal profeta e la lebbra scompare. Sia gli abitanti di Nazareth che Naamàn – osserva il Papa – “volevano lo spettacolo”, ma “lo stile del buon Dio non è fare lo spettacolo: Dio agisce nell’umiltà, nel silenzio, nelle cose piccole”. Questo – sottolinea – a partire dalla Creazione, dove il Signore non prende “la bacchetta magica”, ma crea l’uomo “col fango”. E’ uno stile che attraversa “tutta la storia della salvezza”:


“Quando ha voluto liberare il suo popolo, lo ha liberato per la fede e la fiducia di un uomo, Mosè. Quando ha voluto far cadere la potente città di Gerico, lo ha fatto tramite una prostituta. Anche per la conversione dei samaritani ha chiesto il lavoro di un’altra peccatrice. Quando Lui ha inviato Davide a lottare contro Golia, sembrava una pazzia: il piccolo Davide davanti a quel gigante, che aveva una spada, aveva tante cose, e Davide soltanto la fionda e le pietre. Quando ha detto ai Magi che era nato proprio il Re, il Gran Re, cosa hanno trovato loro? Un bambino, una mangiatoia. Le cose semplici, l’umiltà di Dio, questo è lo stile divino, mai lo spettacolo”.


Il Papa ricorda “anche una delle tre tentazioni di Gesù nel deserto: lo spettacolo”. Satana lo invita a gettarsi dal pinnacolo del Tempio perché, vedendo il miracolo, la gente possa credere in lui. “Il Signore - invece - si rivela nella semplicità, nell’umiltà”. “Ci farà bene in questa Quaresima – conclude Papa Francesco - pensare nella nostra vita a come il Signore ci ha aiutato, a come il Signore ci ha fatto andare avanti, e troveremo che sempre lo ha fatto con cose semplici”:


“Così agisce il Signore: fa le cose semplicemente. Ti parla silenziosamente al cuore. Ricordiamo nella nostra vita le tante volte che abbiamo sentito queste cose: l’umiltà di Dio è il suo stile; la semplicità di Dio è il suo stile. E anche nella celebrazione liturgica, nei sacramenti, che bello è che si manifesti l’umiltà di Dio e non lo spettacolo mondano. Ci farà bene percorrere la nostra vita e pensare alle tante volte che il Signore ci ha visitato con la sua grazia, e sempre con questo stile umile, lo stile che anche Lui chiede a noi di avere: l’umiltà”.






Francesco: Dio mi perdona ma chiede che io perdoni gli altri

Papa Francesco durante l'omelia a Casa S. Marta - OSS_ROM

10/03/2015

Per chiedere perdono a Dio bisogna seguire l’insegnamento del “Padre Nostro”: pentirsi con sincerità dei propri peccati, sapendo che Dio perdona sempre, e perdonare gli altri con altrettanta larghezza di cuore. Papa Francesco lo ha ribadito durante l’omelia della Messa del mattino celebrata a Casa S. Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Dio è onnipotente ma anche la sua onnipotenza in certo modo si ferma davanti alla porta chiusa di un cuore. Un cuore che non intende perdonare chi lo ha ferito. Papa Francesco prende spunto dal Vangelo del giorno nel quale Gesù spiega a Pietro che bisogna perdonare “settanta volte sette”, che equivale a “sempre”, per riaffermare che il perdono di Dio per noi e il nostro perdono agli altri sono strettamente connessi.

"Perdonami", non "scusami"
Tutto parte – spiega Francesco – da come noi per primi ci presentiamo a Dio per chiedere di essere perdonati. L’esempio il Papa lo trae dalla Lettura del giorno, che mostra il profeta Azaria invocare clemenza per il peccato del suo popolo, che sta soffrendo ma anche colpevole di aver “abbandonato la legge del Signore”. Azaria, indica Francesco, non protesta, “non si lamenta davanti a Dio” per le sofferenze, piuttosto riconosce gli errori del popolo e “si pente”:

“Chiedere perdono è un’altra cosa, è un’altra cosa che chiedere scusa. Io sbaglio? Ma, scusami, ho sbagliato… Ho peccato! Niente a che fare, una cosa con l’altra. Il peccato non è un semplice sbaglio. Il peccato è idolatria, è adorare l’idolo, l’idolo dell’orgoglio, della vanità, del denaro, del ‘me stesso’, del benessere… Tanti idoli che noi abbiamo. E per questo, Azaria non chiede scusa: chiede perdono”.

Perdona chi ti ha fatto del male
Il perdono va chiesto sinceramente, col cuore, e di cuore deve essere donato a chi ci ha fatto un torto. Come il padrone della parabola evangelica raccontata da Gesù, che condona un debito enorme a un suo servo perché si muove a compassione delle sue suppliche. E non come quello stesso servo fa con un suo pari, trattandolo senza pietà e facendolo gettare in carcere pur essendo creditore da lui di una somma irrisoria. La dinamica del perdono – ricorda in sostanza Francesco – è quella insegnata da Gesù stesso nel “Padre Nostro”:

“Gesù ci insegna a pregare così, il Padre: ‘Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori’. Se io non sono capace di perdonare, non sono capace di chiedere perdono. ‘Ma, Padre, io mi confesso, vado a confessarmi…’. ‘E che fai prima di confessarti?’. ‘Ma, io penso alle cose che ho fatto male…’. ‘Va bene’. ‘Poi chiedo perdono al Signore e prometto di non farne più…’. ‘Bene. E poi vai dal sacerdote? Prima ti manca una cosa: hai perdonato a quelli che ti hanno fatto del male?’”.

Consapevoli del peccato
In una parola, riassume Francesco, “il perdono che Dio ti darà” richiede “il perdono che tu dai agli altri”:
“Questo è il discorso che Gesù ci insegna sul perdono. Primo: chiedere perdono non è un semplice chiedere scusa, è essere consapevoli del peccato, dell’idolatria che io ho fatto, delle tante idolatrie. Secondo: Dio sempre perdona, sempre. Ma chiede che io perdoni. Se io non perdono, in un certo senso chiudo la porta al perdono di Dio. ‘Rimetti i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori’”.




Francesco: o siamo gente che ama o siamo degli ipocriti




 

12/03/2015 

Un cristiano non ha vie di compromesso: se non si lascia toccare dalla misericordia di Dio e a sua volta ama il prossimo, come fanno i Santi, finisce per essere un ipocrita che rovina e disperde anziché fare del bene. È quanto ha affermato Papa Francesco durante l’omelia della Messa del mattino, celebrata nella cappella di Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

All’inizio furono i Profeti, poi toccò ai Santi. Con loro Dio ha costruito nel tempo la storia del suo rapporto con gli uomini. Eppure, nonostante l’eccellenza di questi prescelti – nonostante i loro insegnamenti e le loro azioni – la storia della salvezza è stata accidentata, lastricata di tante ipocrisie e infedeltà.

Dio piange per un cuore duro
È immenso l’orizzonte che Francesco abbraccia con la sua riflessione, da Abele ai nostri giorni. Nella voce di Geremia, proposta dalla Lettura del giorno, c’è la voce di Dio stesso, che constata con amarezza come il popolo eletto, pur avendo ricevuto molti benefici, non lo abbia ascoltato.
"Dio ha dato tutto ma ha ricevuto di rimando soltanto cose brutte”. “La fedeltà è sparita – ripete il Papa – voi non siete un popolo fedele":

“Questa è la Storia di Dio. Sembra che Dio piangesse, qui. Ti ho amato tanto, ti ho dato tanto e tu… Tutto contro di me. Anche Gesù guardando Gerusalemme pianse. Perché nel cuore di Gesù c’era tutta questa storia dove la fedeltà era sparita. Noi facciamo la nostra volontà, ma facendo questo nel cammino della vita seguiamo una strada di indurimento: il cuore si indurisce, si pietrifica. E la Parola del Signore non entra. E il popolo si allontana. Anche la nostra storia personale può diventare così. E oggi, in questo giorno quaresimale, possiamo domandarci: ‘Io ascolto la voce del Signore, o faccio quello che io voglio, quello che a me piace?’”.

Da eretici a Santi
Anche l’episodio del Vangelo mostra un esempio di “cuore indurito”, sordo alla voce di Dio. Gesù guarisce un indemoniato e in cambio – dice il Papa – ne riceve un’accusa: ”Tu cacci i demoni in nome del demonio. Tu sei uno stregone demoniaco”. È la tipica scusa dei “legalisti”, osserva Francesco, “che credono che la vita sia regolata dalle leggi che fanno loro”:

“Anche questo è accaduto nella Storia della Chiesa! Ma pensate alla povera Giovanna d’Arco: oggi è santa! Poverina: questi dottori l’hanno bruciata viva, perché dicevano che era eretica, accusata di eresia … Ma erano i dottori, quelli che sapevano la dottrina sicura, questi farisei: allontanati dall’amore di Dio. Vicino a noi, pensate al Beato Rosmini: tutti i suoi libri all’indice. Non si potevano leggere, era peccato leggerli. Oggi è Beato. Nella Storia di Dio con il suo popolo, il Signore mandava, per dirgli che amava il suo popolo, i Profeti. Nella Chiesa, il Signore manda i Santi. Sono i Santi che portano avanti la vita della Chiesa: sono i Santi. Non sono i potenti, non sono gli ipocriti: no. I Santi”.

Non c’è una via di mezzo
I Santi, soggiunge Francesco, “sono quelli che non hanno paura di lasciarsi accarezzare dalla misericordia di Dio. E per questo i Santi sono uomini e donne che capiscono tante miserie, tante miserie umane, e accompagnano il popolo da vicino. Non disprezzano il popolo”:

“Gesù dice: ‘Chi non è con me, è contro di me’. Ma non ci sarà una via di compromesso, un po’ di qua e un po’ di là? No. O tu sei sulla via dell’amore o tu sei sulla via dell’ipocrisia. O tu ti lasci amare dalla misericordia di Dio o tu fai quello che tu vuoi, secondo il tuo cuore, che si indurisce di più, ogni volta, su questa strada. Chi non è con me, è contro di me: non c’è una terza via di compromesso. O sei santo, o vai per l’altra via. Chi non raccoglie con me, lascia le cose… No, è peggio: disperde, rovina. E’ un corruttore. E’ un corrotto, che corrompe”.



Caterina63
00lunedì 16 marzo 2015 14:33

   Il santo Padre Francesco: Dio è innamorato di noi e ha sogni d'amore per noi


Il Papa a Santa Marta - OSS_ROM

16/03/2015






Dio è innamorato di noi e noi siamo il suo sogno d’amore, questo nessun teologo lo può spiegare, ma possiamo solo piangere di gioia: questo, in sintesi, quanto detto da Papa Francesco nell’omelia mattutina a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:

Il sogno di Dio
Partendo dalla prima lettura del profeta Isaia, dove il Signore dice che creerà “nuovi cieli e nuova terra”, Papa Francesco ribadisce che la seconda creazione di Dio è ancora più “meravigliosa” della prima, perché “quando il Signore ‘rifà’ il mondo rovinato dal peccato”, lo ‘rifà’ in Gesù Cristo. In questo rinnovare tutto, Dio manifesta la sua immensa gioia:

“Troviamo che il Signore ha tanto entusiasmo: parla di gioia e dice una parola: ‘Godrò del mio popolo’. Il Signore pensa a quello che farà, pensa che Lui, Lui stesso sarà nella gioia con il suo popolo. E’ come se fosse un sogno del Signore: il Signore sogna. Ha i suoi sogni. I suoi sogni su di noi. ‘Ah, come sarà bello quando ci troveremo tutti insieme, quando ci troveremo là o quando quella persona, quell’altra … quell’altra camminerà con me … Ma io godrò, in quel momento!’. Per fare un esempio che ci possa aiutare, come se una ragazza con il suo fidanzato o il ragazzo con la fidanzata (pensasse): ‘Ma quando saremo insieme, quando ci sposeremo …’. E’ il ‘sogno’ di Dio”.

Noi siamo nella mente e nel cuore di Dio
“Dio – ha proseguito il Papa - pensa a ognuno di noi” e “pensa bene, ci vuole bene, ‘sogna’ di noi. Sogna della gioia di cui godrà con noi. Per questo il Signore vuole ‘ri-crearci’, fare nuovo il nostro cuore, ‘ri-creare’ il nostro cuore per fare trionfare la gioia”:

“Avete pensato? ‘Il Signore sogna me! Pensa a me! Io sono nella mente, nel cuore del Signore! Il Signore è capace di cambiarmi la vita!’. E fa tanti piani: ‘Fabbricheremo case, pianteremo vigne, mangeremo insieme’ … tutte queste illusioni che fa soltanto un innamorato … E qui il Signore si fa vedere innamorato del suo popolo. E quando gli dice, al suo popolo: ‘Ma io non ti ho scelto perché tu sei il più forte, più grande, più potente. Ma ti ho scelto perché tu sei il più piccolo di tutti. Anche puoi dire: il più miserabile di tutti. Ma io ti ho scelto così’. E questo è l’amore”.

L'amore di Dio per noi non lo può spiegare nessun teologo
Dio “è innamorato di noi” – ha ripetuto il Papa, commentando anche il brano del Vangelo sulla guarigione del figlio del funzionario reale:

“Credo che non ci sia alcun teologo che possa spiegare questo: non si può spiegare. Soltanto su questo si può pensare, sentire e piangere. Di gioia. Il Signore ci può cambiare. ‘E cosa devo fare?’. Credere. Credere che il Signore può cambiarmi, che Lui è potente: come ha fatto quell’uomo che aveva il figlio malato, nel Vangelo. ‘Signore, scendi, prima che il mio bambino muoia’. ‘Va’, tuo figlio vive!’. Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. Credette. Credette che Gesù aveva il potere di cambiare il suo bambino, la salute del suo bambino. E ha vinto. La fede è fare spazio a questo amore di Dio, è fare spazio alla potenza, al potere di Dio ma non al potere di uno che è molto potente, al potere di uno che mi ama, che è innamorato di me e che vuole la gioia con me. Questa è la fede. Questo è credere: è fare spazio al Signore perché venga e mi cambi”.






Papa: siate misericordiosi, non chiudete le porte della Chiesa

La Messa di Francesco a S. Marta - OSS_ROM

17/03/2015La Chiesa “è la casa di Gesù”, una casa di misericordia che accoglie tutti, e dunque non un luogo del quale i cristiani possano chiudere le porte. È stato questo il cuore dell’omelia che Papa Francesco ha tenuto durante la Messa del mattino, celebrata a Casa S. Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

È un conflitto che Francesco ha tirato fuori dall’ombra ormai già da molto tempo: quello tra Gesù che apre le porte a chiunque lo cerchi, specie se lontano da Lui, e i cristiani che quelle porte spesse volte chiudono in faccia a chi bussa alla porta della Chiesa. Un conflitto tra la misericordia totale di Cristo e la poca che talvolta dimostra anche chi crede in Lui.

Non fermare chi cerca Cristo
La riflessione del Papa parte dall’acqua, protagonista delle letture liturgiche del giorno. “L’acqua che risana”, la chiama Francesco, che commenta la descrizione che il Profeta Ezechiele fa del rivolo emerso dalla soglia del tempio, che diventa all’esterno un torrente impetuoso e nelle cui acque ricche di pesci chiunque potrà risanarsi. E l’acqua della piscina di  Betzatà, descritta nel Vangelo, nei cui pressi giace da 38 anni un paralitico intristito – e per Francesco anche un po’ “pigro” – che non ha mai trovato il modo di farsi immergere quando le acque si muovono e quindi di cercare la guarigione. Gesù invece lo risana e lo incoraggia “ad andare avanti”, ma ciò scatena la critica dei dottori della legge perché la guarigione è avvenuta di sabato. Una “storia”, osserva il Papa, che avviene “tante volte” anche oggi:

“Un uomo - una donna - che si sente malato nell’anima, triste, che ha fatto tanti sbagli nella vita, a un certo momento sente che le acque si muovono, c’è lo Spirito Santo che muove qualcosa, o sente una parola o… ‘Ah, io vorrei andare!’… E prende coraggio e va. E quante volte oggi nelle comunità cristiane trova le porte chiuse: ‘Ma tu non puoi, no, tu non puoi. Tu hai sbagliato qui e non puoi. Se vuoi venire, vieni alla Messa domenica, ma rimani lì, ma non fare di più’. E quello che fa lo Spirito Santo nel cuore delle persone, i cristiani con psicologia di dottori della legge distruggono”.

La Chiesa è casa di Gesù
“A me fa dispiacere questo”, afferma subito dopo Francesco. Che ribadisce: la Chiesa ha sempre le porte aperte:

“E’ la casa di Gesù e Gesù accoglie. Ma non solo accoglie, va a trovare la gente come è andato a trovare questo. E se la gente è ferita, cosa fa Gesù? La rimprovera perché è ferita? No, viene e la porta sulle spalle. E questa si chiama misericordia. E quando Dio rimprovera il suo popolo – ‘Misericordia voglio, non sacrificio!’ - parla di questo”.

L’amore è la legge
“Tu chi sei – incalza il Papa – che chiudi la porta del tuo cuore a un uomo, a una donna che ha voglia di migliorare, di rientrare nel popolo di Dio, perché lo Spirito Santo ha agitato il suo cuore?”. La Quaresima, conclude Francesco, aiuti a non commettere l’errore di chi spregiò l’amore di Gesù verso il paralitico solo perché contrario alla legge:

“Chiediamo oggi al Signore nella Messa per noi, per ognuno di noi e per tutta la Chiesa, una conversione verso Gesù, una conversione a Gesù, una conversione alla misericordia di Gesù. E così la Legge sarà pienamente compiuta, perché la Legge è amare Dio e il prossimo, come noi stessi”.






Caterina63
00lunedì 23 marzo 2015 21:53

Il Papa: dove non c'è misericordia non c'è giustizia




Papa Francesco presiede la Messa a Santa Marta - OSS_ROM





23/03/2015 



Dove non c’è misericordia non c’è giustizia e tante volte oggi il popolo di Dio soffre un giudizio senza misericordia: così, in sintesi, Papa Francesco durante la Messa del mattino a Casa Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:


I rigidi hanno una doppia vita
Commentando le letture del giorno e riferendosi anche ad un altro passo evangelico, Papa Francesco parla di tre donne e tre giudici: una donna innocente, Susanna, una peccatrice, l’adultera, e una povera vedova bisognosa: “Tutte e tre - spiega - secondo alcuni padri della Chiesa, sono figure allegoriche della Chiesa: la Chiesa Santa, la Chiesa peccatrice e la Chiesa bisognosa”. “I tre giudici sono cattivi” e “corrotti”, osserva il Papa: c’è innanzitutto il giudizio degli scribi e dei farisei che portano l’adultera a Gesù. “Avevano dentro il cuore la corruzione della rigidità”. Si sentivano puri perché osservavano “la lettera della legge”. “La legge dice questo e si deve fare questo”:

“Ma non erano santi questi, erano corrotti, corrotti perché una rigidità del genere soltanto può andare avanti in una doppia vita e questi che condannavano queste donne poi andavano a cercarle da dietro, di nascosto, per divertirsi un po’. I rigidi sono - uso l’aggettivo che dava Gesù loro – ipocriti: hanno doppia vita. Quelli che giudicano, pensiamo nella Chiesa - tutte e tre le donne sono figure allegoriche della Chiesa - quelli che giudicano con rigidità la Chiesa hanno doppia vita. Con la rigidità neppure si può respirare”.

Il popolo di Dio tante volte non trova misericordia
Poi ci sono i due giudici anziani che ricattano una donna, Susanna, perché si conceda, ma lei resiste: “Erano giudici viziosi – sottolinea il Papa - avevano la corruzione del vizio, in questo caso la lussuria. E si dice che quando c’è questo vizio della lussuria con gli anni diventa più feroce, più cattivo”. Infine, c’è il giudice interpellato dalla povera vedova. Questo giudice “non temeva Dio e non si curava di nessuno: non gli importava niente, soltanto gli importava di se stesso”: Era “un affarista, un giudice che col suo mestiere di giudicare faceva gli affari”. Era “un corrotto di denaro, di prestigio”. Questi giudici – rileva il Papa – l’affarista, i viziosi e i rigidi, “non conoscevano una parola, non conoscevano cosa fosse misericordia”:

“La corruzione li portava lontano dal capire la misericordia, l’essere misericordiosi. E la Bibbia ci dice che nella misericordia è proprio il giusto giudizio. E le tre donne - la santa, la peccatrice e la bisognosa, figure allegoriche della Chiesa - soffrono di questa mancanza di misericordia. Anche oggi, il popolo di Dio, quando trova questi giudici, soffre un giudizio senza misericordia, sia nel civile, sia sull’ecclesiastico. E dove non c’è misericordia non c’è giustizia. Quando il popolo di Dio si avvicina volontariamente per chiedere perdono, per essere giudicato, quante volte, quante volte, trova qualcuno di questi”.

Una delle parole più belle del Vangelo: "Neanche io ti condanno"
Trova i viziosi che “sono capaci di tentare di sfruttarli”, e questo “è uno dei peccati più gravi”; trova “gli affaristi” che “non danno ossigeno a quell’anima, non danno speranza”; e trova “i rigidi che puniscono nei penitenti quello che nascondono nella loro anima”. “Questo – dice il Papa - si chiama mancanza di misericordia”. Quindi, conclude:

“Vorrei soltanto dire una delle parole più belle del Vangelo che a me commuove tanto: ‘Nessuno ti ha condannata?’ – ‘No, nessuno, Signore’ – ‘Neanch’io ti condanno’. Neanche io ti condanno: una delle parole più belle perché è piena di misericordia”.



Francesco: Dio ci aiuti a non essere cristiani “sì, ma…”

Papa Francesco sull'altare di Casa S. Marta - OSS_ROM

24/03/2015 

La grazia che porta con sé la Settimana Santa aiuti i cristiani ad accettare l’aiuto che Dio dona loro e anche il modo in cui glielo offre, senza critiche e obiezioni. È l’insegnamento che Papa Francesco ha tratto dalle letture liturgiche del giorno, spiegate all’omelia della Messa celebrata in Casa S. Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

“Capricci spirituali” davanti a Dio che in mille modi offre la salvezza. Solo perché siamo gente che non sa accettare “lo stile divino” e ci intristiamo, scivoliamo nella “mormorazione”. È un errore che oggi commettono tanti cristiani, così come la Bibbia racconta vi cadesse un tempo il popolo ebreo salvato dalla schiavitù.

Veleno e salvezza
Papa Francesco parte dall’episodio proposto dal Libro dei Numeri, quello in cui gli ebrei si ribellano alle fatiche della fuga nel deserto, al cibo “leggero” della manna, e cominciano – dice il Papa – “a sparlare di Dio” e molti di loro finiscono morsi e uccisi da serpenti velenosi. Solo la preghiera di Mosè che intercede per loro e innalza un bastone con un serpente – simbolo della Croce su cui verrà appeso Cristo – diverrà per chi lo guarda salvezza dal veleno:

“Anche noi fra i cristiani, quanti, quanti troviamo anche noi, ci troviamo noi un po’ avvelenati per questo scontento della vita. Sì, davvero, Dio è buono, ma cristiani sì, ma… Cristiani sì, ma… Che non finiscono di aprire il cuore alla salvezza di Dio, sempre chiedono condizioni. ‘Sì, ma così!’. ‘Sì, sì, sì, io voglio essere salvato, ma per questa strada’...  Così il cuore diviene avvelenato”.

Quello stile che non ci piace
Anche noi, prosegue Francesco, “tante volte diciamo che siamo nauseati dello stile divino. Non accettare il dono di Dio col suo stile: quello è il peccato – sottolinea il Papa – quello è il veleno. Quello ci avvelena l’anima, ti toglie la gioia, non ti lascia andare”. E Gesù, afferma, risolve questo peccato salendo sul Calvario:

“Lui stesso prende su di sé il veleno, il peccato e viene innalzato. Questo tepore dell’anima, questo essere cristiani a metà, ‘cristiani sì, ma…’. Questo entusiasmo all’inizio nel cammino del Signore e poi diventare scontenti, soltanto si guarisce guardando la Croce, guardando Dio che assume i nostri peccati: il mio peccato è lì”.

Cristiani senza "ma"
Quanti cristiani – conclude Francesco – oggi “muoiono nel deserto della loro tristezza, della loro mormorazione, del loro non volere lo stile di Dio”:

“Guardiamo il serpente, il veleno, lì, nel corpo di Cristo, il veleno di tutti i peccati del mondo e chiediamo la grazia di accettare i momenti difficili. Di accettare lo stile divino di salvezza, di accettare anche questo cibo così leggero del quale si lamentavano gli ebrei, di accettare le cose… Di accettare le vie per le quali il Signore mi porta avanti. Che questa Settimana Santa, che incomincerà domenica, ci aiuti ad uscire da questa tentazione di diventare ‘cristiani sì, ma…’”.

 




Francesco e la Preghiera di pace per i 500 anni di Santa Teresa d'Avila

Il Papa con il preposito generale dei Carmelitani scalzi, padre Saverio Cannistrà - OSS_ROM

26/03/2015 

Una Preghiera mondiale per la pace in occasione dei 500 anni dalla nascita di Santa Teresa d’Avila. A proporla sono i Carmelitani scalzi che quest’anno ricordano la mistica spagnola con una serie di celebrazioni nei cinque continenti. A sostenere l’iniziativa anche Papa Francesco, che ha elevato la sua preghiera all’inizio della Messa odierna a Santa Marta, alla presenza del preposito generale e del vicario dei Carmelitani scalzi. Il servizio di Tiziana Campisi:

Pregare era l’essenza della vita di Santa Teresa d’Avila e una immensa preghiera - da oggi e fino a sabato, giorno in cui ricorrono 500 anni dalla nascita - hanno voluto i carmelitani scalzi per ricordarla e seguirne le orme. Preci dai cinque continenti per la pace nel mondo sono state pensate sull’esempio della mistica che credeva fermamente nella forza del dialogo con Dio, costante e animato da una fede forte. Anche Papa Francescostamattina ha pregato Teresa d’Avila, perché il dialogo prevalga sulla violenza:

“Mi unisco di cuore a quest'iniziativa, affinché il fuoco dell’amore di Dio vinca gli incendi di guerra e di violenza che affliggono l’umanità e il dialogo prevalga dovunque sullo scontro armato. Santa Teresa di Gesù interceda per questa nostra supplica”.


Il Papa: non la dottrina fredda, ma la fede in Gesù dà gioia

 

Non è la dottrina fredda che dà gioia, ma la fede e la speranza di incontrare Gesù. E’ triste un credente che non sa gioire: è quanto ha detto il Papa nell’omelia pronunciata nella Messa del mattino a Santa Marta. Ce ne parlaSergio Centofanti:

La gioia di Abramo che esulta nella speranza di diventare padre, come promesso da Dio, ha guidato la riflessione del Papa nel commento alle letture del giorno. Abramo è vecchio, così come la moglie Sara, ma lui crede, apre “il cuore alla speranza” ed è “pieno di consolazione”. Gesù ricorda ai dottori della legge che Abramo “esultò nella speranza” di vedere il suo giorno “e fu pieno di gioia”:

“E questo è quello che non capivano questi dottori della legge. Non capivano la gioia della promessa; non capivano la gioia della speranza; non capivano la gioia dell’alleanza. Non capivano! Non sapevano gioire, perché avevano perso il senso della gioia, che soltanto viene dalla fede. Il nostro padre Abramo è stato capace di gioire perché aveva fede: è stato fatto giusto nella fede. Questi avevano perso la fede. Erano dottori della legge, ma senza fede! Ma di più: avevano perso la legge! Perché il centro della legge è l’amore, l’amore per Dio e per il prossimo”.

Il Papa quindi prosegue:

“Soltanto avevano un sistema di dottrine precise e che precisavano ogni giorno in più che nessuno le toccasse. Uomini senza fede, senza legge, attaccati a dottrine che anche diventano un atteggiamento casistico: si può pagare la tassa a Cesare, non si può? Questa donna, che è stata sposata sette volte, quando andrà in Cielo sarà sposa di quei sette? Questa casistica… Questo era il loro mondo, un mondo astratto, un mondo senza amore, un mondo senza fede, un mondo senza speranza, un mondo senza fiducia, un mondo senza Dio. E per questo non potevano gioire!”.

Forse, i dottori della legge – osserva con ironia il Papa – potevano anche divertirsi, “ma senza gioia”, anzi “con paura”. “Questa è la vita senza fede in Dio, senza fiducia in Dio, senza speranza in Dio”. E “il loro cuore era pietrificato”. “E’ triste – sottolinea Francesco - essere credente senza gioia e la gioia non c’è quando non c’è la fede, quando non c’è la speranza, quando non c’è la legge, ma soltanto le prescrizioni, la dottrina fredda”:

“La gioia della fede, la gioia del Vangelo è la pietra di paragone della fede di una persona. Senza gioia quella persona non è un vero credente. Torniamo a casa, ma prima facciamo la celebrazione qui con queste parole di Gesù: ‘Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno. Lo vide e fu pieno di gioia’. E chiedere al Signore la grazia di essere esultanti nella speranza, la grazia di poter vedere il giorno di Gesù quando ci troveremo con Lui e la grazia della gioia”.





Caterina63
00lunedì 13 aprile 2015 13:10

Francesco: Chiesa abbia il coraggio di parlare con franchezza

Il Papa celebra la Messa a Santa Marta - OSS_ROM

13/04/2015 

Il cammino della Chiesa è quello della “franchezza”, “dire le cose, con libertà”. E’ quanto affermato da Papa Francesco alla Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha quindi ribadito che, come sperimentarono gli Apostoli dopo la Risurrezione di Gesù, solo lo Spirito Santo è capace di cambiare il nostro atteggiamento, la storia della nostra vita e darci coraggio. Il servizio di Alessandro Gisotti:

“Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia, partendo da questa affermazione di Pietro e Giovanni, tratta dagli Atti degli Apostoli, nella Prima Lettura.

Parlare con franchezza, senza timore
Il Pontefice rammenta che Pietro e Giovanni, dopo aver compiuto un miracolo, erano stati messi in carcere e minacciati dai sacerdoti di non parlare più in nome di Gesù, ma loro vanno avanti e quando tornano dai fratelli li incoraggiano a proclamare la Parola di Dio “con franchezza”. E, chiedono al Signore di volgere “lo sguardo alle loro minacce” e concedere “ai suoi servi”, “non di fuggire”, “di proclamare con tutta franchezza” la Sua Parola:

“Anche oggi il messaggio della Chiesa è il messaggio del cammino della franchezza, del cammino del coraggio cristiano. Questi due, semplici – come dice la Bibbia – senza istruzione, hanno avuto il coraggio. Una parola che si può tradurre ‘coraggio’, ‘franchezza’, ‘libertà di parlare’, ‘non avere paura di dire le cose’ … E’ una parola che ha tanti significati, nell’originale. La parresìa, quella franchezza … E dal timore sono passati alla ‘franchezza’, a dire le cose con libertà”.

Francesco si è poi soffermato sul brano del Vangelo odierno che racconta il dialogo “un po’ misterioso fra Gesù e Nicodemo”, sulla “seconda nascita”, sull’“avere una nuova vita, diversa dalla prima”.

Annunciare Cristo, senza fare “pubblicità”
Il Papa sottolinea che anche in questa storia, “in questo itinerario della franchezza”, il “vero protagonista” è “proprio lo Spirito Santo”, “perché è Lui l’unico capace di darci questa grazia del coraggio di annunciare Gesù Cristo”:

“E questo coraggio dell’annuncio è quello che ci distingue dal semplice proselitismo. Noi non facciamo pubblicità, dice Gesù Cristo, per avere più ‘soci’ nella nostra ‘società spirituale’, no? Questo non serve. Non serve, non è cristiano. Quello che il cristiano fa è annunziare con coraggio e l’annuncio di Gesù Cristo provoca, mediante lo Spirito Santo, quello stupore che ci fa andare avanti”.

Il vero protagonista di tutto questo, ha ripreso, è lo Spirito Santo. Quando Gesù parla sul “nascere di nuovo”, ha detto, ci fa capire che è “lo Spirito che ci cambia, che viene da qualsiasi parte, come il vento: sentiamo la sua voce”. E, ha proseguito, “soltanto lo Spirito è capace di cambiarci l’atteggiamento”, di “cambiare la storia della nostra vita, cambiare la nostra appartenenza”.

Il coraggio, una grazia che viene dallo Spirito Santo
E’ lo Spirito, ha ripreso, “a dare questa forza a questi uomini semplici e senza istruzione” come Pietro e Giovanni, “questa forza di annunziare Gesù Cristo fino alla testimonianza finale: il martirio”:

“Il cammino del coraggio cristiano è una grazia che dà lo Spirito Santo. Ci sono tante strade che possiamo prendere, anche che ci danno un certo coraggio. ‘Ma guarda che coraggioso, la decisione che ha preso! E guarda questo, guarda come ha fatto bene questo piano, ha organizzato le cose, che bravo!’: questo aiuta, ma è strumento di un’altra cosa più grande: lo Spirito. Se non c’è lo Spirito, noi possiamo fare tante cose, tanto lavoro, ma non serve a niente”.

La Chiesa, ha soggiunto Francesco, dopo Pasqua “ci prepara a ricevere lo Spirito Santo”. Per questo, è stata la sua esortazione finale, adesso, “nella celebrazione del mistero della morte e della Risurrezione di Gesù, possiamo ricordare tutta la storia di Salvezza” e “chiedere la grazia di ricevere lo Spirito perché ci dia il vero coraggio per annunciare Gesù Cristo”.




Il Papa: Chiesa non accumuli ricchezze, ma le gestisca con generosità

Messa di Papa Francesco a Santa Marta - OSS_ROM

14/04/2015 

Una comunità rinata nello Spirito Santo cerca l’armonia ed è paziente nelle sofferenze. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Papa ha inoltre avvertito che i cristiani non devono accumulare ricchezze, ma metterle a servizio di chi ha bisogno, come faceva la prima comunità guidata dagli Apostoli. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Quali frutti porta lo Spirito Santo in una comunità? Papa Francesco si è soffermato nella sua omelia sul passo degli Atti degli Apostoli che descrive la vita della prima comunità dei cristiani.

Armonia e bene comune, segni di una comunità rinata
Ci sono, sottolinea, due segni di “rinascita in una comunità”. Il primo segno è l’armonia:

“La comunità rinata o di quelli che rinascono nello Spirito ha questa grazia dell’unità, dell’armonia. L’unico che può darci l’armonia è lo Spirito Santo, perché lui anche è l’armonia fra il Padre e il Figlio, è il dono che fa l’armonia. Il secondo segno è il bene comune, cioè: ‘Nessuno infatti tra loro era bisognoso, nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva’, era al servizio della comunità. Sì, alcuni erano ricchi ma al servizio. Questi sono due segni di una comunità che vive nello Spirito”.

Il dono della pazienza nelle difficoltà
Questo, annota il Papa, è un passo “curioso”, perché “subito dopo incominciano” dei problemi in seno alla comunità, per esempio l’ingresso di Anania e Saffira che cercano di “truffare la comunità”:

“Questi sono i padroni dei benefattori che si avvicinano alla Chiesa, entrano per aiutarla e usare la Chiesa per i propri affari, no? Poi ci sono le persecuzioni che sono state annunciate da Gesù. L’ultima delle beatitudini di Matteo: ‘Beati quando vi insulteranno, vi perseguiteranno a causa di me… Rallegratevi’. E si leggono tante persecuzioni di questa comunità così. Gesù promette questo, promette tante cose belle, la pace, l’abbondanza: ‘Avrete cento volte in più con le persecuzioni’”.

Nella “prima comunità rinata dallo Spirito Santo – rammenta Francesco – c’è questo: la povertà, il bene comune ma anche i problemi, dentro e fuori”. Problemi dentro, come “quella coppia di affaristi, e fuori, le persecuzioni”. Pietro però dice alla comunità di non meravigliarsi di queste persecuzioni, perché è “il fuoco che purifica l’oro”. E la comunità rinata dallo Spirito Santo viene purificata proprio “in mezzo alle difficoltà, alle persecuzioni”. C’è dunque un terzo segno di una comunità rinata: “la pazienza nel sopportare: sopportare i problemi, sopportare le difficoltà, sopportare le maldicenze, le calunnie, sopportare le malattie, sopportare il dolore” della perdita di un proprio caro.

Non accumulare le ricchezze, ma gestirle per il bene comune
La comunità cristiana, afferma ancora, “fa vedere che è rinata nello Spirito Santo, quando è una comunità che cerca l’armonia”, non la divisione interna; “quando cerca la povertà”, “non l’accumulo di ricchezze per sé, perché le ricchezze sono per il servizio”. E quando “non si arrabbia subito davanti alle difficoltà e si sente offesa”, ma è paziente come Gesù:

“In questa seconda settimana di Pasqua, durante la quale celebriamo i misteri pasquali, ci farà bene pensare alle nostre comunità, siano esse diocesane, parrocchiali, famigliari o tante altre, e chiedere la grazia dell’armonia che è più dell’unità - l’unità armonica, l’armonia, che è il dono dello Spirito - di chiedere la grazia della povertà – non della miseria, della povertà: cosa significa? Che se io ho quello che ho e devo gestirlo bene per il bene comune e con generosità - e chiedere la grazia della pazienza, della pazienza”.

Il Signore, conclude, “ci faccia capire a tutti noi che non soltanto ognuno di noi ha ricevuto questa grazia nel Battesimo di rinascere nello Spirito ma anche le nostre comunità”.




Papa Francesco: chi non sa dialogare vuol far tacere

Il Papa nella Cappella di Santa Marta - OSS_ROM

16/04/2015 

Chi non sa dialogare non obbedisce a Dio e vuole far tacere quanti predicano la novità di Dio: è quanto ha affermato il Papa nella Messa del mattino celebrata nella Cappella di Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:

Obbedire a Dio è il coraggio di cambiare strada
La liturgia del giorno ci parla dell’obbedienza. L’obbedienza – osserva il Papa – “tante volte ci porta per una strada che non è quella che io penso che deve essere, ce n’è un’altra”. Obbedire è “avere il coraggio di cambiare strada, quando il Signore ci chiede questo”. “Chi obbedisce ha la vita eterna”, mentre per “chi non obbedisce, l’ira di Dio rimane su di lui”. Così nella prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, i sacerdoti e i capi ordinano ai discepoli di Gesù di non predicare più il Vangelo al popolo: si infuriano, sono “pieni di gelosia” perché alla loro presenza avvengono miracoli, il popolo li segue “e il numero dei credenti cresceva”. Li mettono in carcere, ma di notte, l’Angelo di Dio li libera e tornano ad annunciare il Vangelo. Fermati e interrogati di nuovo, Pietro risponde alle minacce del sommo sacerdote: “Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini”. I sacerdoti non capivano:

“Ma questi erano dottori, avevano studiato la storia del popolo, avevano studiato le profezie, avevano studiato la legge, conoscevano così tutta la teologia del popolo di Israele, la rivelazione di Dio, sapevano tutto, erano dottori, e sono stati incapaci di riconoscere la salvezza di Dio. Ma come mai questa durezza di cuore? Perché non è durezza di testa, non è una semplice testardaggine. E’ qui la durezza… E si può domandare: come è il percorso di questa testardaggine, ma totale, di testa e di cuore?”.

Chi non sa dialogare non obbedisce a Dio
“La storia di questa testardaggine, l’itinerario – sottolinea il Papa - è quello di chiudersi in se stessi, è quello di non dialogare, è la mancanza di dialogo”:

“Questi non sapevano dialogare, non sapevano dialogare con Dio, perché non sapevano pregare e sentire la voce del Signore, e non sapevano dialogare con gli altri. ‘Ma perché interpreti questo così?’. Soltanto interpretavano come era la legge per farla più precisa, ma erano chiusi ai segni di Dio nella storia, erano chiusi al suo popolo, al loro popolo. Erano chiusi, chiusi. E la mancanza di dialogo, questa chiusura del cuore, li ha portati a non obbedire a Dio. Questo è il dramma di questi dottori di Israele, di questi teologi del popolo di Dio: non sapevano ascoltare, non sapevano dialogare. Il dialogo si fa con Dio e con i fratelli”.

Chi non dialoga vuol far tacere quelli che predicano la novità di Dio
E il segno che rivela che una persona “non sa dialogare”, “non è aperta alla voce del Signore, ai segni che il Signore fa nel popolo” – afferma il Papa - è la “furia e la voglia di far tacere tutti quelli che predicano in questo caso la novità di Dio, cioè Gesù è risorto. Non hanno ragione, ma arrivano a questo. E’ un itinerario doloroso. Questi sono gli stessi che hanno pagato i custodi del sepolcro per dire che i discepoli avevano rubato il corpo di Gesù. Fanno di tutto per non aprirsi alla voce di Dio”:

“E in questa Messa preghiamo per i maestri, per i dottori, per quelli che insegnano al popolo di Dio, perché non si chiudano, perché dialoghino e così si salvino dall’ira di Dio che, se non cambiano atteggiamento, rimarrà su di loro”.




 

Francesco: umiltà cristiana non è masochismo ma amore

Papa Francesco celebra Messa a S. Marta - OSS_ROM

17/04/2015 

L’umiliazione per se stessa è masochismo, mentre quella subita e sopportata in nome del Vangelo rende simili a Gesù. Lo ha ribadito Papa Francesco all’omelia della Messa in Casa S. Marta, invitando i cristiani a non coltivare mai sentimenti di odio, ma a darsi il tempo di scoprire dentro di sé sentimenti e atteggiamenti che piacciono a Dio: amore e dialogo. Il servizio diAlessandro De Carolis:

È possibile per l’uomo reagire a una situazione difficile con i modi di Dio? Lo è, conferma il Papa, ed è tutta una questione di tempi. Il tempo di lasciarsi permeare dai sentimenti di Gesù. Francesco lo spiega analizzando l’episodio contenuto nella lettura degli Atti degli Apostoli. Questi ultimi sono in giudizio davanti al sinedrio, accusati di predicare quel Vangelo che i dottori della legge non vogliono sentire.

Non dare tempo all'odio
Tuttavia, un fariseo del sinedrio, Gamaliele, in modo schietto suggerisce di lasciarli fare, perché – sostiene, citando casi analoghi del passato – se la dottrina degli Apostoli “fosse di origine umana verrebbe distrutta”, mentre non accadrebbe se venisse da Dio. Il sinedrio accetta il suggerimento, cioè – sottolinea il Papa – sceglie di prendere “tempo”. Non reagisce seguendo l’istintivo sentimento di odio. E questo, soggiunge Francesco, è un “rimedio” giusto per ogni essere umano:

“Dà tempo al tempo. Questo serve a noi, quando abbiamo cattivi pensieri contro gli altri, cattivi sentimenti, quando abbiamo antipatia, odio, non lasciarli crescere, fermarsi, dare tempo al tempo. Il tempo mette le cose in armonia e ci fa vedere il giusto delle cose. Ma se tu reagisci nel momento della furia, sicuro che sarai ingiusto. Sarai ingiusto. E anche farà male a te stesso. Questo è un consiglio: il tempo, il tempo nel momento della tentazione”.

Chi si ferma dà tempo a Dio
Quando noi coviamo un risentimento, nota Francesco, è inevitabile che scoppi. “Scoppia nell’insulto, nella guerra”, osserva, e “con questi sentimenti cattivi contro gli altri, lottiamo contro Dio”, mentre “Dio ama gli altri, ama l’armonia, ama l’amore, ama il dialogo, ama camminare insieme”. Anche “a me succede”, ammette il Papa: “Quando una cosa non piace, il primo sentimento non è di Dio, è cattivo, sempre”. “Fermiamoci” invece, esclama, e diamo “spazio allo Spirito Santo” perché “ci faccia arrivare al giusto, alla pace”. Come gli Apostoli, che vengono flagellati e lasciano il sinedrio “lieti” di aver subito “oltraggi per il nome di Gesù”:

“L’orgoglio dei primi ti porta a voler uccidere gli altri, l’umiltà, anche l’umiliazione, ti porta a somigliarti a Gesù. E questa è una cosa che noi non pensiamo. In questo momento in cui tanti fratelli e sorelle nostri sono martirizzati per il nome di Gesù, loro sono in questo stato, hanno in questo momento la letizia di aver sofferto oltraggi, anche la morte, per il nome di Gesù. Per fuggire dall’orgoglio dei primi, soltanto c’è la strada di aprire il cuore all’umiltà e all’umiltà non si arriva mai senza l’umiliazione. Questa è una cosa che non si capisce naturalmente. E’ una grazia che dobbiamo chiedere”.

Martiri e umili somigliano a Cristo
La grazia, conclude Francesco, dell’“imitazione di Gesù”. Una imitazione testimoniata non solo dai martiri di oggi ma anche da quei “tanti uomini e donne che subiscono umiliazioni ogni giorno e per il bene della propria famiglia” e “chiudono la bocca, non parlano, sopportano per amore di Gesù”:

“E questa è la santità della Chiesa, questa letizia che dà l’umiliazione, non perché l’umiliazione sia bella, no, quello sarebbe masochismo, no: perché con quell’umiliazione tu imiti Gesù. Due atteggiamenti: quello della chiusura che ti porta all’odio, all’ira, a voler uccidere gli altri e quello dell’apertura a Dio sulla strada di Gesù, che ti fa prendere le umiliazioni, anche quelle forti, con questa letizia interiore perché stai sicuro di essere sulla strada di Gesù”.





Caterina63
00lunedì 20 aprile 2015 13:42

  Il Papa: i martiri ci aiutano a non trasformare la fede in potere




Il Papa durante la Messa a Santa Marta - OSS_ROM





20/04/2015



La testimonianza dei martiri ci aiuta a non cadere nella tentazione di trasformare la fede in potere: è quanto ha detto Papa Francesco nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:


Tanti seguono Gesù per interesse, per il potere
Commentando il Vangelo del giorno, in cui la folla cerca Gesù dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci non “per lo stupore religioso che ti porta ad adorare Dio” ma “per interesse materiale”, Papa Francesco osserva che nella fede c’è il rischio di non comprendere la vera missione del Signore: questo accade quando si approfitta di Gesù, scivolando “verso il potere”:

“Questo atteggiamento si ripete nei Vangeli. Tanti che seguono Gesù per interesse. Anche fra i suoi apostoli: i figli di Zebedeo che volevano essere primo ministro e l’altro ministro dell’economia, avere il potere. Quella unzione di portare ai poveri il lieto annuncio, la liberazione ai prigionieri, la vista ai ciechi, la libertà agli oppressi e annunciare un anno di grazia, come diviene scura, si perde e si trasforma in qualcosa di potere”.

Dalla tentazione del potere all'iprocrisia
“Sempre – sottolinea il Papa - c’è stata questa tentazione di passare” dallo stupore religioso “che Gesù ci dà nell’incontro con noi, a profittarne”:

“Questa anche è stata la proposta del diavolo a Gesù nelle tentazioni. Una sul pane, proprio. L’altra sullo spettacolo: ‘Ma facciamo un bello spettacolo così tutta la gente crederà in te’. E la terza, l’apostasia: cioè, l’adorazione degli idoli. E questa è una tentazione quotidiana dei cristiani, nostra, di tutti noi che siamo la Chiesa: la tentazione non del potere, della potenza dello Spirito, ma la tentazione del potere mondano. Così si cade in quel tepore religioso al quale ti porta la mondanità, quel tepore che finisce, quando cresce, cresce, cresce, in quell’atteggiamento che Gesù chiama ipocrisia”.

Dio ci sveglia con la testimonianza dei santi e dei martiri
In questo modo – afferma Papa Francesco – “si diventa cristiano di nome, di atteggiamento esterno, ma il cuore è nell’interesse”, come dice Gesù: “In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”. E’ la tentazione di “scivolare verso la mondanità, verso i poteri” e così “si indebolisce la fede, la missione, si indebolisce la Chiesa”:

“Il Signore ci sveglia con la testimonianza dei santi, con la testimonianza dei martiri, che ogni giorno ci annunciano che andare sulla strada di Gesù è quella della sua missione: annunciare l’anno di grazia. La gente capisce il rimprovero di Gesù e gli dice: ‘Ma cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?’. Gesù rispose loro: ‘Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che Egli ha mandato’, cioè la fede in Lui, soltanto in Lui, la fiducia in Lui e non nelle altre cose che ci porteranno alla fine lontano da Lui. Questa è l’opera di Dio: che crediate in Colui che Egli ha mandato, in Lui”.

Il Papa conclude l’omelia con questa preghiera al Signore: “Che ci dia questa grazia dello stupore dell’incontro e anche ci aiuti a non cadere nello spirito di mondanità, cioè quello spirito che dietro o sotto una vernice di cristianesimo ci porterà a vivere come pagani”.





Il Papa: la nostra è la Chiesa dei martiri, uniamoci ai fratelli perseguitati

Papa Francesco dedica la Messa a Casa Santa Marta ai cristiani perseguitati - AP

21/04/2015

“La nostra Chiesa è Chiesa dei martiri”. Nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, soffermandosi sulla lapidazione di Santo Stefano, Papa Francesco ricorda con parole commosse quanti oggi sono perseguitati e uccisi perché cristiani. E sottolinea che ci sono anche “martiri nascosti” che cercano strade nuove per aiutare i fratelli e per questo vengono perseguitati dai “Sinedri moderni”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

La Prima Lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, mostra il giudizio del Sinedrio contro Stefano e la sua lapidazione. Da questa scena drammatica si sviluppa l’omelia di Francesco che, nel cuore, porta i volti e le storie di tanti che anche oggi, come il primo martire della Chiesa, sono perseguitati e uccisi solo perché fedeli a Gesù. I martiri, osserva il Papa, non hanno bisogno di “altri pani”, il loro unico pane è Gesù. E sottolinea che Stefano “non aveva bisogno di andare al negoziato, ai compromessi”.

La Parola di Dio dà fastidio ai cuori duri
La sua testimonianza è tale che i suoi detrattori “non riuscivano a resistere alla sapienza” e allo spirito “con cui egli parlava”. Come Gesù, anche Stefano deve affrontare falsi testimoni e la sollevazione del popolo che lo porta a giudizio. Stefano ricorda loro quanti profeti siano stati uccisi per essere stati fedeli alla Parola di Dio e quando “confessa la sua visione di Gesù”, allora i suoi persecutori si scandalizzano, si turano le orecchie per non sentirlo e poi lo trascinano fuori della città per lapidarlo

“La Parola di Dio sempre dispiace a certi cuori. La Parola di Dio dà fastidio, quando tu hai il cuore duro, quando tu hai il cuore pagano, perché la Parola di Dio ti interpella ad andare avanti, cercando e sfamandoti con quel pane del quale parlava Gesù. Nella Storia della Rivelazione, tanti martiri sono stati uccisi per fedeltà alla Parola di Dio, alla Verità di Dio”.

Quanti Stefani nel mondo, perseguitati perché cristiani
Il martirio di Stefano, prosegue, è simile a quello di Gesù: muore “con quella magnanimità cristiana del perdono, della preghiera per i nemici”. Questi che perseguitavano i profeti, come anche Stefano, evidenzia così Francesco, “credevano di dare gloria a Dio, credevano che con questo erano fedeli alla Dottrina di Dio”. Oggi, riprende, “vorrei ricordare che la Storia della Chiesa, la vera Storia della Chiesa, è la Storia dei Santi e dei martiri: perseguitati i martiri, tanti uccisi, da quelli che credevano di dare gloria a Dio, da quelli che credevano di avere ‘la verità’. Cuore corrotto, ma ‘la verità’”.

“In questi giorni, quanti Stefani ci sono nel mondo! Pensiamo ai nostri fratelli sgozzati sulla spiaggia della Libia; pensiamo a quel ragazzino bruciato vivo dai compagni perché cristiano; pensiamo a quei migranti che in alto mare sono buttati in mare dagli altri, perché cristiani; pensiamo – l’altro ieri – a quegli etiopi, assassinati perché cristiani … e tanti altri. E tanti altri che noi non sappiamo, che soffrono nelle carceri, perché cristiani … Oggi la Chiesa è Chiesa di martiri: loro soffrono, loro danno la vita e noi riceviamo la benedizione di Dio per la loro testimonianza”.

La nostra Chiesa è Chiesa di martiri
Ci sono, soggiunge, anche “i martiri nascosti, quegli uomini e quelle donne fedeli” alla “voce dello Spirito, che fanno strade, che cercano strade nuove per aiutare i fratelli e amare meglio Dio e vengono sospettati, calunniati, perseguitati da tanti "Sinedri moderni" che si credono padroni della verità: tanti martiri nascosti!”:

“E anche tanti martiri nascosti che per essere fedeli nella loro famiglia soffrono tanto per fedeltà. La nostra Chiesa è Chiesa di martiri. E adesso, nella nostra celebrazione verrà da noi il primo martire, il primo che ha dato testimonianza e più: e salvezza, a tutti noi. Uniamoci a Gesù nell’Eucaristia, e uniamoci a tanti fratelli e sorelle che soffrono il martirio della persecuzione, della calunnia e dell’uccisione per essere fedeli all’unico pane che sazia, cioè a Gesù”.





 

Francesco: ricordare sempre l'incontro con Gesù che ci ha cambiato la vita

Francesco celebra la Messa a Casa S. Marta - OSS_ROM

24/04/2015 entica mai il giorno in cui ci ha incontrato per la prima volta, chiediamo a Dio la “grazia della memoria” per ricordarlo sempre. È l’auspicio di fondo espresso da Papa Francesco all’omelia della Messa del mattino celebrata nella cappella di Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Un incontro. È il modo scelto da Gesù per cambiare la vita degli altri. Emblematico è quello con Paolo di Tarso, il persecutore anticristiano che quando giunge a Damasco è ormai diventato un Apostolo. Papa Francesco si sofferma sul celebre episodio proposto dalla liturgia odierna e allarga lo sguardo alla miriade di incontri che costellano la narrazione dei Vangeli.

Il primo incontro
Più precisamente, Francesco considera il “primo incontro” con Gesù, quello che “cambia la vita” di chi gli sta di fronte. Giovanni e Andrea, che trascorrono con il Maestro “tutta la serata”, Simone che subito diventa la “pietra” della nuova comunità, e poi la Samaritana, il lebbroso che torna a ringraziare per essere stato risanato, la donna ammalata che guarisce sfiorando la tunica di Cristo. Incontri decisivi che devono indurre un cristiano – afferma il Papa – a non smarrire mai la memoria  del suo primo contatto con Gesù:

“Lui mai dimentica, ma noi dimentichiamo l’incontro con Gesù. E questo sarebbe un bel compito da fare a casa, pensare: ‘Ma quando ho sentito davvero il Signore vicino a me? Quando ho sentito che dovevo cambiare vita o essere migliore o perdonare una persona? Quando ho sentito il Signore che mi chiedeva qualcosa? Quando ho incontrato il Signore?’. Perché la nostra fede è un incontro con Gesù. Questo è il fondamento della fede: ho incontrato Gesù come Saulo oggi”.

La memoria di ogni giorno
Interroghiamoci con sincerità, suggerisce Francesco, chiediamoci: “Quando tu mi hai detto qualcosa che ha cambiato la mia vita o mi hai invitato a fare quel passo avanti nella vita?”:

“Questa è una bella preghiera e mi raccomando fatela ogni giorno. E quando ti ricordi, gioisci in quello, in quel ricordo che è un ricordo di amore. Un altro compito bello sarebbe prendere i Vangeli e guardare tante storie lì e vedere come Gesù incontra la gente, come sceglie gli apostoli ... Tanti incontri che sono lì con Gesù. Forse qualcuno di quelli assomiglia al mio. Ognuno ha il suo proprio”.

Non dimentichiamo il primo amore
E non dimentichiamo neanche, conclude Papa Francesco, che Cristo intende il “rapporto con noi” nel senso di una predilezione, un rapporto d’amore “a tu per tu”:

“Pregare e chiedere la grazia della memoria. ‘Quando, Signore, è stato quell’incontro, quel primo amore?’. Per non sentire quel rimprovero che il Signore fa nell’Apocalisse: ‘Ho questo contro di te, che ti sei dimenticato del primo amore’“.






Caterina63
00martedì 28 aprile 2015 11:13

Francesco: senza lo Spirito non capiamo la verità, aprirsi a sue sorprese




Papa Francesco a Casa Santa Marta - OSS_ROM





28/04/2015



La Chiesa va avanti grazie alle sorprese dello Spirito Santo. E’ uno dei passaggi dell’omelia di Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Soffermandosi sulla predicazione del Vangelo ai pagani, narrata negli Atti degli Apostoli, il Pontefice ha sottolineato che anche oggi bisogna avere “coraggio apostolico” per non rendere “la vita cristiana un museo di ricordi”. Il servizio di Alessandro Gisotti:


I discepoli di Gesù arrivati ad Antiochia iniziano a predicare non solo agli ebrei, ma anche ai greci, ai pagani e un gran numero di loro credette e si convertì al Signore. Papa Francesco ha preso spunto dal passo degli Atti degli Apostoli, nella Prima Lettura, per sottolineare quanto nella vita della Chiesa sia sempre fondamentale aprirsi alle novità dello Spirito Santo. Molti, annota, erano all’epoca inquieti nel sentire che il Vangelo fosse predicato anche ai non ebrei, ma quando Barnaba giunge ad Antiochia è felice perché vede che queste conversioni dei pagani sono opera di Dio.


Non avere paura del Dio delle sorprese
Del resto, ha sottolineato Francesco, già nelle profezie c’era scritto che il Signore sarebbe venuto a salvare tutti i popoli, come nel capitolo 60 di Isaia. E tuttavia, molti non comprendevano queste parole:

“Non capivano. Non capivano che Dio è il Dio delle novità: ‘Io faccio tutto nuovo’, ci dice. Che lo Spirito Santo è venuto proprio per questo, per rinnovarci e continuamente fa questo lavoro di rinnovarci. Questo dà un po’ di paura. Nella Storia della Chiesa possiamo vedere da questo momento fino adesso quante paure verso le sorprese dello Spirito Santo. E’ il Dio delle sorprese”.

“Ma – ha ripreso – ci sono novità e novità!” Alcune novità, ha ammesso, “si vede che sono di Dio”, altre no. Come si può dunque distinguerle? In realtà, ha osservato il Papa, sia di Barnaba che di Pietro si dice che sono uomini pieni di Spirito Santo. “In tutti e due – ha ribadito – c’è lo Spirito Santo che fa vedere la verità. Da noi soli non possiamo. Con la nostra intelligenza non possiamo”. “Possiamo studiare tutta la Storia della Salvezza, possiamo studiare tutta la Teologia – ha avvertito – ma senza lo Spirito non possiamo capire. E’ proprio lo Spirito che ci fa capire la verità o – usando le parole di Gesù – è lo Spirito che ci fa conoscere la voce di Gesù”: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco e loro mi seguono”.

La Chiesa va avanti con le novità dello Spirito Santo
“L’andare avanti della Chiesa – ha detto ancora – è opera dello Spirito Santo”, che ci fa ascoltare la voce del Signore. “E come posso fare – si chiede il Papa – per essere sicuro che quella voce che sento è la voce di Gesù, che quello che sento che devo fare è fatto dallo Spirito Santo? Pregare”:

“Senza preghiera, non c’è posto per lo Spirito. Chiedere a Dio che ci mandi questo dono: ‘Signore, dacci lo Spirito Santo perché possiamo discernere in ogni tempo cosa dobbiamo fare’, che non è sempre lo stesso. Il messaggio è lo stesso: la Chiesa va avanti, la Chiesa va avanti con queste sorprese, con queste novità dello Spirito Santo. Bisogna discernerle, e per discernerle bisogna pregare, chiedere questa grazia. Barnaba era pieno dello Spirito Santo e ha capito subito; Pietro ha visto e disse: ‘Ma chi sono io per negare qui il Battesimo?’. E’ Lui che non ci fa sbagliare. ‘Ma, Padre, perché mettersi in tanti problemi? Facciamo le cose come le abbiamo fatte sempre, che siamo più sicuri …’”

La vita cristiana non sia un museo di ricordi
Ma fare come si è fatto sempre, ha ammonito, è un’alternativa “di morte”. Ed  ha esortato a “rischiare, con la preghiera, tanto, con l’umiltà, di accettare quello che lo Spirito” ci chiede di “cambiare”: “questa è la strada”.

“Il Signore ci ha detto che se noi mangiamo il suo Corpo e beviamo il suo Sangue, avremo vita. Adesso continuiamo questa celebrazione, con questa parola: ‘Signore, Tu che sei qui con noi nell’Eucaristia, Tu che sarai dentro di noi, dacci la grazia dello Spirito Santo. Dacci la grazia di non avere paura quando lo Spirito, con sicurezza, mi dice di fare un passo avanti’. E in questa Messa, chiedere questo coraggio, questo coraggio apostolico di portare vita e non fare della nostra vita cristiana un museo di ricordi”.



Francesco: fede è storia di peccato e di grazia, tra servirsi e servire

Papa Francesco durante la Messa nella Cappella di Casa Santa Marta - OSS_ROM

30/04/2015

Il cristiano è inserito in una storia di peccato e di grazia, sempre posto davanti all’alternativa: servire o servirsi dei fratelli. E’ quanto ha affermato Papa Francesco nella Messa del mattino presieduta a Casa Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:

Il cristiano è uomo e donna di storia
“La storia e il servizio”: nell’omelia Papa Francesco si sofferma su questi “due tratti dell’identità del cristiano”. Innanzitutto, la storia. San Paolo, San Pietro e i primi discepoli “non annunziavano un Gesù senza storia: loro annunziavano Gesù nella storia del popolo, un popolo che Dio ha fatto camminare da secoli per arrivare” alla maturità, “alla pienezza dei tempi”. Dio entra nella storia e cammina col suo popolo:

“Il cristiano è uomo e donna di storia, perché non appartiene a se stesso, è inserito in un popolo, un popolo che cammina. Non si può pensare in un egoismo cristiano, no, questo non va. Il cristiano non è un uomo, una donna spirituale di laboratorio, è un uomo, è una donna spirituale inserita in un popolo, che ha una storia lunga e continua a camminare fino a che il Signore torni”.

Storia di grazia e di peccato
E’ una “storia di grazia, ma anche storia di peccato”:

“Quanti peccatori, quanti crimini. Anche oggi Paolo menziona il Re Davide, santo, ma prima di diventare santo è stato un grande peccatore. Un grande peccatore. La nostra storia deve assumere santi e peccatori. E la mia storia personale, di ognuno, deve assumere il nostro peccato, il proprio peccato e la grazia del Signore che è con noi, accompagnandoci nel peccato per perdonare e accompagnandoci nella grazia. Non c’è identità cristiana senza storia”.

Servire, non servirsi
Il secondo tratto dell’identità cristiano è il servizio: “Gesù lava i piedi ai discepoli invitandoci a fare come lui: servire:

“L’identità cristiana è il servizio, non l’egoismo. ‘Ma padre, tutti siamo egoisti’. Ah sì? E’ un peccato, è un’abitudine dalla quale dobbiamo staccarci. Chiedere perdono, che il Signore ci converta. Siamo chiamati al servizio. Essere cristiano non è un’apparenza o anche una condotta sociale, non è un po’ truccarsi l’anima, perché sia un po’ più bella. Essere cristiano è fare quello che ha fatto Gesù: servire”.

Il Papa esorta a porci questa domanda: “Nel mio cuore cosa faccio di più? Mi faccio servire dagli altri, mi servo degli altri, della comunità, della parrocchia, della mia famiglia, dei miei amici o servo, sono al servizio di?”.


Il Papa: cristiano non è masochista, ma sa sopportare tribolazioni con fiducia

Messa di Papa Francesco a Santa Marta - OSS_ROM

05/05/2015 

Tribolazioni, affidamento, pace. Sono le tre parole attorno alle quali Papa Francesco ha sviluppato l’omelia nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha sottolineato che il cristiano non ha un “atteggiamento sadomasochista” difronte alle difficoltà, ma si affida al Signore con fiducia e speranza. Il servizio di Alessandro Gisotti:

San Paolo viene perseguitato, ma nonostante mille tribolazioni resta saldo nella fede e incoraggia i fratelli a sperare nel Signore. Papa Francesco ha preso spunto dal passo degli Atti degli Apostoli, nella Prima Lettura, per soffermarsi su tre punti: tribolazioni, affidamento, pace. E subito ha evidenziato che per entrare nel Regno di Dio bisogna “passare per momenti bui, momenti difficili”.

Cristiano sopporta tribolazioni con coraggio
Tuttavia, ha avvertito, questo “non è un atteggiamento sadomasochista”, ma è “la lotta cristiana” contro il principe di questo mondo che cerca di staccarci “dalla Parola di Gesù, dalla fede, dalla speranza”. “Sopportare le tribolazioni”: è una frase, ha rilevato il Papa, che l’Apostolo Paolo usa tanto:

“ ‘Sopportare’: è più di avere pazienza, è portare sulle spalle, portare il peso delle tribolazioni. E anche la vita del cristiano ha dei momenti così. Ma Gesù ci dice: ‘Abbiate coraggio in quel momento. Io ho vinto, anche voi sarete vincitori’. Questa prima parola ci illumina per andare nei momenti più difficili della vita, quei momenti che anche ci fanno soffrire”.

E dopo aver dato questo consiglio, ha proseguito, Paolo “organizza quella Chiesa”, “prega sui presbiteri impone le mani e li affida al Signore”.

Affidarsi al Signore nei momenti difficili
La seconda parola: “affidamento”. “Un cristiano – ha detto – può portare avanti le tribolazioni e anche le persecuzioni affidandosi al Signore”. Soltanto Lui, ha ribadito, “è capace di darci la forza, di darci la perseveranza nella fede, di darci la speranza”:

“Affidare al Signore qualcosa, affidare al Signore questo momento difficile, affidare al Signore me stesso, affidare al Signore i nostri fedeli, noi sacerdoti, vescovi, affidare al Signore le nostre famiglie, i nostri amici e dire al Signore: ‘Prenditi cura di questi, sono i tuoi’. E’ una preghiera che non sempre noi la facciamo, la preghiera di affidamento: ‘Signore ti affido questo, portalo Tu avanti’, è una bella preghiera cristiana. E’ l’atteggiamento della fiducia nel potere del Signore, anche nella tenerezza del Signore che è Padre”.

Quando una persona fa “questa preghiera” dal cuore, ha soggiunto, allora sente che è affidata al Signore, è sicura: “Lui non delude mai”. La tribolazione, è stata la riflessione del Papa, ci fa soffrire, ma “l’affidamento al Signore ti dà speranza e di qui viene la terza parola: la pace”.

La pace del Signore rafforza la fede e la speranza
Francesco ha rammentato quello che Gesù dice come “congedo” ai suoi discepoli: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”. Ma, ha evidenziato, “non una pace, una semplice tranquillità”, ma una pace che “va dentro, anche una pace che ti dà forza, che rafforza quello che oggi abbiamo chiesto al Signore: la nostra fede e la nostra speranza”:

“Tre parole: tribolazioni, affidamento e pace. Nella vita dobbiamo andare su strade di tribolazione ma è la legge della vita. Ma in quei momenti affidarsi al Signore e Lui ci risponde con la pace. Questo Signore che è Padre ci ama tanto e mai delude. Continuiamo adesso la celebrazione eucaristica con il Signore, chiedendo che rafforzi la nostra fede e la nostra speranza, chiedendo di darci la fiducia di vincere le tribolazioni perché Lui ha vinto il mondo, e ci doni a tutti la sua pace”.




Francesco: amore è concreto e comunica, anche claustrali non si isolano

Il Papa nella Cappella di Santa Marta - OSS_ROM

07/05/2015 

Papa Francesco ha celebrato la Messa del mattino a Santa Marta centrando la sua omelia sui criteri del vero amore che – ha detto – deve essere concreto e comunicarsi: anche i monaci e le monache di clausura – ha osservato - in realtà non si isolano, ma comunicano e tanto. Il servizio di Sergio Centofanti:

Amore vero è concreto e costante
Nel Vangelo odierno Gesù “ci chiede di rimanere nel suo amore”. “Ci sono due criteri – afferma Papa Francesco - che ci aiuteranno a distinguere il vero dal non-vero amore”. Il primo criterio è che l’amore è “più nei fatti che nelle parole”: non è “un amore di telenovela”, “una fantasia”, storie che “ci fanno battere un po’ il cuore, ma niente di più”. E’ “nei fatti concreti”. “Gesù ammoniva i suoi: ‘Non quelli che dicono ‘Signore! Signore!’ entreranno nel Regno dei Cieli, ma quelli che hanno fatto la volontà del mio Padre, che hanno osservato i miei comandamenti’”:

“Cioè, il vero amore è concreto, è nelle opere, è un amore costante. Non è un semplice entusiasmo. Anche, tante volte è un amore doloroso: pensiamo all’amore di Gesù portando la croce. Ma le opere dell’amore sono quelle che Gesù ci insegna nel brano del capitolo 25 di San Matteo. Ma chi ama fa questo: il protocollo del giudizio. Ero affamato, mi hai dato da mangiare, eccetera. Concretezza. Anche le beatitudini, che sono il ‘programma pastorale’ di Gesù, sono concrete”.

“Una delle prime eresie nel cristianesimo – sottolinea il Papa - è stata quella del pensiero gnostico” che parlava di un “Dio lontano … e non c’era concretezza”. Invece, l’amore del Padre “è stato concreto, ha inviato Suo Figlio … fatto carne per salvarci”.

Monaci e monache di clausura comunicano ... e tanto
Il secondo criterio dell’amore – ha proseguito il Papa – è che “si comunica, non rimane isolato. L’amore dà di se stesso e riceve, si fa quella comunicazione che è tra il Padre e il Figlio, una comunicazione che la fa lo Spirito Santo”:

“Non c’è amore senza comunicarsi, non c’è amore isolato. Ma qualcuno di voi può domandarmi: ‘Ma Padre, i monaci e le monache di clausura sono isolate’. Ma comunicano ... e tanto: con il Signore, anche con quelli che vanno a trovare una parola di Dio … Il vero amore non può isolarsi. Se è isolato, non è amore. E’ una forma spiritualista di egoismo, di rimanere chiuso in se stesso, cercando il proprio profitto … E’ egoismo”.

Semplice , ma non facile perchè l'egoismo ci attira
Dunque – afferma Papa Francesco – “rimanere nell’amore di Gesù significa fare” e “capacità di comunicarsi, di dialogo, sia con il Signore sia con i nostri fratelli”:

“E’ così semplice questo. Ma non è facile. Perché l’egoismo, il proprio interesse ci attira, e ci attira per non fare e ci attira per non comunicarci. Cosa dice il Signore di quelli che rimarranno nel suo amore? ‘Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena’. Il Signore che rimane nell’amore del Padre è gioioso, ‘e se voi rimarrete nel mio amore, la vostra gioia sarà piena’: una gioia che tante volte viene insieme alla croce. Ma quella gioia – Gesù stesso ci ha detto – nessuno ve la potrà togliere”.

Il Papa conclude l’omelia con questa preghiera: che il Signore “ci dia la grazia della gioia, quella gioia che il mondo non può dare”.




Papa: nella Chiesa si discute per fare unità non "cordate"

Papa Francesco tiene l'omelia a Casa S. Marta - OSS_ROM

08/05/2015

Lo Spirito Santo crea “movimento” nella Chiesa che all’apparenza può sembrare “confusione” e invece, se viene accolto in preghiera e con spirito di dialogo, genera sempre “unità” tra i cristiani. Lo ha affermato il Papa durante l’omelia della Messa celebrata a Casa S. Marta, dedicata da Francesco alla sua “patria” nel giorno della festa di Nostra Signora di Lujan, Patrona dell’Argentina. Il servizio di Alessandro De Carolis:

È il Dio sconosciuto a muovere le acque della Chiesa e tutte le volte che i cristiani, a partire dagli Apostoli, si sono confrontati con franchezza e nel dialogo, e non fomentando tradimenti e “cordate” interne, hanno sempre compreso la cosa giusta da fare, grazie all’ispirazione dello Spirito Santo. Francesco dimostra questo assunto riandando, guidato dagli Atti degli Apostoli, alle situazioni di confronto e di scontro che la prima comunità cristiana si trova a vivere.

Dialogo tra fratelli, non "cordate" di nemici
Il brano del giorno narra della conclusione del primo Concilio di Gerusalemme, che stabilì, dopo non poche frizioni, le poche e semplici regole che i nuovi convertiti al Vangelo dovevano osservare. Il problema, ricorda Francesco, è che in precedenza si era accesa una lotta intestina tra quelli che definisce i “chiusi” – gruppo di cristiani “molto attaccati alla legge” che volevano “imporre le condizioni dell’ebraismo ai nuovi cristiani” – e Paolo di Tarso, l’Apostolo dei pagani, decisamente contrario a questa costrizione:

“Come risolvono il problema? Si riuniscono e ognuno dà il suo giudizio, dà la sua opinione. Discutono ma come fratelli e non come nemici. Non fanno le cordate fuori per vincere, non vanno dai poteri civili per vincere, non uccidono per vincere. Cercano il cammino della preghiera e il dialogo. Questi che erano proprio su posizioni opposte dialogano e si mettono d’accordo. Questa è opera dello Spirito Santo”.

Lo Spirito muove verso l'amornia
La decisione finale, sottolinea Francesco, viene presa nella concordia. Ed è su questa base che viene scritta a fine Concilio la lettera da inviare ai “fratelli” che “provengono dai pagani”, nella quale ciò che viene comunicato è frutto di una condivisione ben diversa dalle manovre e dalle schermaglie messe in campo da quanti seminano "zizzania":

“Una Chiesa dove mai ci sono problemi del genere mi fa pensare che lo Spirito non sia tanto presente. E in una Chiesa dove sempre si discute e ci sono cordate e si tradiscono i fratelli l’un l’altro, lì non vi è lo Spirito! Lo Spirito è quello che fa la novità, che muove la situazione per andare avanti, che crea nuovi spazi, che crea la saggezza che Gesù ha promesso: ‘Egli vi insegnerà!’. Questo muove, ma è anche quello che alla fine crea l’unità armoniosa fra tutti”.

Fedeli ai "movimenti" dello Spirito
L’ultima osservazione di Papa Francesco è sulla frase adottata per concludere la lettera. Parole che rivelano l’anima della concordia cristiana, non un semplice atto di buona volontà ma un frutto dello Spirito Santo:

“Questo è quello ci insegna oggi questa Lettura, che ci insegna il primo Concilio ecumenico. ‘E’ parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi': quella è la formula, quando lo Spirito ci mette tutti d’accordo. Adesso continuiamo la celebrazione eucaristica e chiediamo al Signore Gesù, che sarà presente fra noi, che ci invii sempre lo Spirito Santo, a noi, a ognuno di noi. Che lo invii alla Chiesa e che la Chiesa sappia essere fedele ai movimenti che fa lo Spirito Santo”.





Caterina63
00lunedì 11 maggio 2015 11:31

Francesco: ancora oggi si uccidono cristiani "in nome di Dio"




 





11/05/2015 

Ancora oggi si uccidono cristiani in nome di Dio, ma lo Spirito Santo dà la forza di testimoniare fino al martirio: è quanto ha detto Papa Francesco nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:

Anche oggi c'è chi uccide i cristiani credendo di rendere culto a Dio
Nel Vangelo del giorno, Gesù annuncia ai discepoli lo Spirito Santo: “Io ho tante cose da dirvi, ma in questo momento voi non siete capaci di portarne il peso; ma quando verrà il Paraclito, lo Spirito di verità, Egli vi guiderà a tutta la verità”. Il Signore “parla del futuro, della croce che ci aspetta e ci parla dello Spirito, che ci prepara a dare la testimonianza cristiana”.

Quindi parla “dello scandalo delle persecuzioni”, lo “scandalo della Croce”. “La vita della Chiesa – osserva il Papa - è un cammino guidato dallo Spirito” che ci ricorda le parole di Gesù e “ci insegna le cose che ancora Gesù non ha potuto dirci”: “è compagno di cammino” e “ci difende anche” dallo “scandalo della Croce”. La Croce è infatti scandalo per i giudei che “chiedono segni” e stoltezza per “i greci, cioè i pagani” che “chiedono sapienza, idee nuove”. I cristiani invece predicano Cristo crocifisso. Così, Gesù prepara i discepoli perché non si scandalizzino della Croce di Cristo: “Vi scacceranno dalle sinagoghe – dice Gesù - anzi viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà, crederà di rendere culto a Dio”:

“Oggi siamo testimoni di questi che uccidono i cristiani in nome di Dio, perché sono miscredenti, secondo loro. Questa è la Croce di Cristo: ‘Faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me’. ‘Questo che è accaduto a me – dice Gesù – accadrà anche a voi – le persecuzioni, le tribolazioni – ma per favore non scandalizzatevi; sarà lo Spirito a guidarci e a farci capire’”.

La forza dello Spirito dei fedeli copti sgozzati sulla spiaggia
In questo contesto, Papa Francesco ricorda il colloquio telefonico avuto ieri col Patriarca copto Tawadros, “perché era il giorno dell’amicizia copto-cattolica”:

“Ma io ricordavo i suoi fedeli, che sono stati sgozzati sulla spiaggia perché cristiani. Questi fedeli, per la forza che gli ha dato lo Spirito Santo, non si sono scandalizzati. Morivano col nome di Gesù sulle labbra. E’ la forza dello Spirito. La testimonianza. E’ vero, questo è proprio il martirio, la testimonianza suprema”.

La testimonianza di ogni giorno
“Ma c’è anche la testimonianza di ogni giorno – ha proseguito - la testimonianza di rendere presente la fecondità della Pasqua” che “ci dà lo Spirito Santo, che ci guida verso la verità piena, la verità intera, e ci fa ricordare questo che Gesù ci dice”:

“Un cristiano che non prende sul serio questa dimensione ‘martiriale’ della vita non ha capito ancora la strada che Gesù ci ha insegnato: strada ‘martiriale’ di ogni giorno; strada ‘martiriale’ nel difendere i diritti delle persone; strada ‘martiriale’ nel difendere i figli: papà, mamma che difendono la loro famiglia; strada ‘martiriale’ di tanti, tanti ammalati che soffrono per amore di Gesù. Tutti noi abbiamo la possibilità di portare avanti questa fecondità pasquale su questa strada ‘martiriale’, senza scandalizzarci”.

Il Papa conclude con questa preghiera: “Chiediamo al Signore la grazia di ricevere lo Spirito Santo che ci farà ricordare le cose di Gesù, che ci guiderà alla verità tutta intera e ci preparerà ogni giorno a rendere questa testimonianza, a dare questo piccolo martirio di ogni giorno o un grande martirio, secondo la volontà del Signore”.





 

Il Papa: le comunità paurose e senza gioia non sono cristiane

Il Papa durante la Messa nella Cappella di Casa Santa Marta - OSS_ROM

15/05/2015

Le comunità paurose e senza gioia sono malate, non sono comunità cristiane: è quanto ha detto Papa Francesco nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:

Chi ha paura non ha la libertà di guardare avanti
“Paura” e “gioia”: sono le due parole della liturgia del giorno. “La paura – afferma il Papa - è un atteggiamento che ci fa male. Ci indebolisce, ci rimpiccolisce. Anche ci paralizza”. Una persona che ha paura “non fa nulla, non sa cosa fare”. E’ concentrata su se stessa, affinché “non le succeda qualcosa di male”. E “la paura ti porta a un egocentrismo egoistico e ti paralizza”. “Un cristiano pauroso è una persona che non ha capito quale sia il messaggio di Gesù”:  

“Per questo Gesù dice a Paolo: ‘Non avere paura. Continua a parlare’. La paura non è un atteggiamento cristiano. E’ un atteggiamento – possiamo dire – di un’anima incarcerata, senza libertà, che non ha libertà di guardare avanti, di creare qualcosa, di fare del bene … no, sempre: ‘No, ma c’è questo pericolo, c’è quell’altro, quell’altro …’. E questo è un vizio. E la paura fa male”.

Per una comunità paurosa tutto è vietato
“Non avere paura è chiedere la grazia del coraggio, del coraggio dello Spirito Santo che ci invia”:

“Ci sono comunità paurose, che vanno sempre sul sicuro: ‘No, no, non facciamo questo, no, no, questo non si può, questo non si può …’. Sembra che sulla porta d’entrata abbiano scritto ‘vietato’: tutto è vietato per paura. E tu entri in questa comunità e l’aria è viziata, perché è una comunità malata. La paura ammala una comunità. La mancanza di coraggio ammala una comunità”.

Distinguere paura e timor di Dio
La paura – precisa poi il Papa - va distinta dal “timore di Dio”, che “è santo, è il timore dell’adorazione davanti al Signore e il timore di Dio è una virtù. Ma il timore di Dio non rimpiccolisce, non indebolisce, non paralizza: porta avanti, verso la missione che il Signore dà”.

Un cristiano senza gioia non è cristiano
L’altra parola della liturgia è la “gioia”. “Nessuno potrà togliervi la vostra gioia” dice Gesù. E “nei momenti più tristi, nei momenti del dolore” – sottolinea il Papa – la gioia “diviene pace. Invece, un divertimento nel momento del dolore diviene oscurità, diviene buio. Un cristiano senza gioia non è cristiano. Un cristiano che continuamente vive nella tristezza, non è cristiano. E un cristiano che, nel momento delle prove, delle malattie, di tante difficoltà, perde la pace, qualcosa gli manca”:

“La gioia cristiana non è un semplice divertimento, non è un’allegria passeggera; la gioia cristiana è un dono, è un dono dello Spirito Santo. E’ avere il cuore sempre gioioso perché il Signore ha vinto, il Signore regna, il Signore è alla destra del Padre, il Signore ha guardato me e mi ha inviato e mi ha dato la sua grazia e mi ha fatto figlio del Padre … E’ quella la gioia cristiana. Un cristiano vive nella gioia”.

Comunità paurose e senza gioia sono malate
“Anche una comunità senza gioia – aggiunge il Papa - è una comunità ammalata”: forse sarà una “comunità divertente”, ma “ammalata di mondanità. Perché non ha la gioia di Gesù Cristo”. Così “quando la Chiesa è paurosa e quando la Chiesa non riceve la gioia dello Spirito Santo, la Chiesa si ammala, le comunità si ammalano, i fedeli si ammalano”. Il Papa conclude con questa preghiera: “Innalzaci, Signore, verso il Cristo seduto alla destra del Padre”, “innalza il nostro spirito. Toglici ogni paura e dacci la gioia e la pace”.


Il Papa: ci fa bene pensare al momento del nostro congedo

Messa di Papa Francesco a Casa Santa Marta - OSS_ROM

19/05/2015

Affidiamoci al Padre al momento del nostro congedo da questo mondo. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, incentrata sul discorso di Gesù prima della Passione e sul congedo di Paolo a Mileto prima di recarsi a Gerusalemme. Il Pontefice ha dunque rivolto il pensiero a quanti sono vittime delle persecuzioni e costretti a fuggire come i Rohingya del Myanmar o i cristiani e gli yazidi in Iraq. Il servizio diAlessandro Gisotti:

Gesù si congeda per andare dal Padre e mandarci lo Spirito, San Paolo si congeda prima di andare a Gerusalemme e piange con gli anziani venuti da Efeso a salutarlo. Papa Francesco ha preso spunto dalle letture del giorno per svolgere la sua omelia su cosa significhi “dire addio” per un cristiano.

Pensiamo a quanti sono costretti a fuggire dalle persecuzioni
“Gesù si congeda, Paolo si congeda – ha detto – e questo ci aiuterà a riflettere sui nostri congedi”. Nella nostra vita, ha osservato, “ci sono tanti congedi”, piccoli e grandi e c’è “anche tanta sofferenza, tante lacrime in alcuni di loro”:

“Pensiamo oggi a quei poveri Rohingya del Myanmar. Al momento di lasciare la loro terra per fuggire dalle persecuzioni non sapevano cosa sarebbe accaduto loro. E da mesi sono in barca, lì… Arrivano in una città, dove danno loro acqua, cibo, e dicono: ‘andatevene via’. E’ un congedo. Tra l’altro, oggi accade questo congedo esistenziale grande. Pensate al congedo dei cristiani e degli yazidi, che pensano di non tornare più nella loro terra, perché cacciati via dalle loro case. Oggi”.

Ci sono piccoli e grandi congedi nella vita, ha ribadito il Papa, come il “congedo della mamma, che saluta, dà l’ultimo abbraccio al figlio che va in guerra; e tutti i giorni si alza col timore” che venga qualcuno a dirle: ‘ringraziamo tanto la generosità di suo figlio che ha dato la vita per la patria’”. E c’è anche "l’ultimo congedo – ha detto – che tutti noi dobbiamo fare, quando il Signore ci chiama all’altra riva. Io penso a questo”.

Affidiamoci al Padre al momento dell’addio
Questi grandi congedi della vita, “anche l’ultimo – ha ribadito – non sono i congedi di ‘a presto’, ‘a dopo’, ‘arrivederci’, che sono congedi che uno sa che torna, o subito o dopo una settimana: sono congedi che non si sa quando e come tornerò”. E annota che il tema del congedo è presente anche nell’arte, nelle canzoni:

“Me ne viene una in mente, quella degli alpini, quando quel capitano si congeda dai suoi soldati: il testamento del capitano. Penso io al grande congedo, al mio grande congedo, non quando devo dire ‘a dopo’, ‘a più tardi’, ‘arrivederci’, ma ‘addio’? Questi due testi dicono la parola ‘addio’. Paolo affida a Dio i suoi e Gesù affida al Padre i suoi discepoli, che rimangono nel mondo. ‘Non sono del mondo, ma custodisci loro’. Affidare al Padre, affidare a Dio: questa è l’origine della parola ‘addio’. Noi diciamo ‘addio’ soltanto nei grandi congedi, siano quelli della vita, sia l’ultimo”.

Ci farà bene pensare al nostro congedo da questo mondo
“Credo – ha affermato – che con queste due icone - quella di Paolo, che piange, in ginocchio sulla spiaggia, tutti lì, e Gesù, triste, perché andava alla Passione, con i suoi discepoli, piangendo nel suo cuore - possiamo pensare al nostro. Ci farà bene. Chi sarà la persona che chiuderà i miei occhi?”:

“Cosa lascio? Sia Paolo che Gesù, tutti e due, in questi brani fanno una sorta di esame di coscienza: ‘Io ho fatto questo, questo, questo…’ Io cosa ho fatto? Ma mi fa bene immaginarmi in quel momento. Quando sarà, non si sa, ma ci sarà il momento nel quale ‘a dopo’, ‘a presto’, ‘a domani’, ‘arrivederci’ diventerà ‘addio’. Io sono preparato per affidare a Dio tutti i miei? Per affidare me stesso a Dio? Per dire quella parola che è la parola dell’affidamento del figlio al Padre?”.

Il Papa ha dunque concluso l’omelia consigliando a tutti di meditare proprio le Letture di oggi sul congedo di Gesù e quello di Paolo e “pensare che un giorno” anche noi dovremo dire quella parola, “addio”: “A Dio affido la mia anima; a Dio affido la mia storia; a Dio affido i miei; a Dio affido tutto”. “Che Gesù morto e risorto - è stata la sua invocazione finale - ci invii lo Spirito Santo, perché noi impariamo quella parola, impariamo a dirla, ma esistenzialmente, con tutta la forza: l’ultima parola, addio”.   



Francesco: grazia e lotta dei cristiani, essere una cosa sola

Papa Francesco celebra la Messa a Casa S. Marta - OSS_ROM

21/05/2015 

Le sue “piaghe” sono il “prezzo” che Gesù ha pagato perché la Chiesa fosse unita per sempre a Lui e a Dio. I cristiani di oggi sono chiamati a chiedere la grazia dell’unità e a lottare perché fra loro non si insinui lo “spirito di divisione, di guerra, di gelosie”. Questa la riflessione di Papa Francesco alla Messa del mattino, celebrata nella cappella di Casa Santa Marta. Il servizio diAlessandro De Carolis:

“La grande preghiera di Gesù”: che la Chiesa sia unita, che i cristiani “siano una cosa sola”, come Gesù lo è con suo Padre. E accanto “la grande tentazione”: non cedere all’altro “padre”, quello della “menzogna” e della “divisione”. Papa Francesco si immerge nell’atmosfera del Cenacolo e nella densità delle parole che Cristo pronuncia e affida agli Apostoli prima di consegnarsi alla Passione, proposte dalla liturgia.

Il prezzo dell’unità
È consolante, osserva Francesco, sentire Gesù dire al Padre di non voler pregare solo per i suoi discepoli ma anche per quelli che crederanno in Lui “mediante la loro parola”. Una frase ascoltata tante volte, per la quale il Papa chiede un supplemento di attenzione:

“Forse, noi non siamo abbastanza attenti a queste parole: Gesù ha pregato per me! Questo è proprio fonte di fiducia: Lui prega per me, ha pregato per me... Io immagino – ma è una figura – com’è Gesù davanti al Padre, in Cielo. È così: prega per noi, prega per me. E cosa vede il Padre? Le piaghe, il prezzo. Il prezzo che ha pagato per noi. Gesù prega per me con le sue piaghe, col suo cuore piagato e continuerà a farlo.

I volti della divisione
Gesù prega “per l’unità del suo popolo, per la Chiesa”. Ma Gesù “sa – afferma Francesco – che lo spirito del mondo” è “uno spirito di divisione, di guerra, di invidie, di gelosie, anche nelle famiglie, anche nelle famiglie religiose, anche nelle diocesi, anche nella Chiesa tutta: è la grande tentazione”. Quella che porta, dice, alle chiacchiere, a etichettare, a bollare le persone. Tutti atteggiamenti, indica il Papa, che questa preghiera chiede di bandire:

“Dobbiamo essere uno, una sola cosa, come Gesù e il Padre sono una sola cosa. Questa è proprio la sfida di tutti noi cristiani: non lasciare posto alla divisione fra noi, non lasciare che lo spirito di divisione, il padre della menzogna entri in noi. Cercare sempre l’unità. Ognuno è come è, ma cerca di vivere in unità. Gesù ti ha perdonato? Perdona tutti quanti. Gesù prega perché noi siamo uno, una sola cosa. E la Chiesa ha tanto bisogno di questa preghiera di unità”.

Unità, è grazia non “colla”
Non esiste, scherza Francesco, una Chiesa tenuta insieme dalla “colla”, perché l’unità che chiede Gesù “è una grazia di Dio” e “una lotta” sulla terra. “Dobbiamo fare spazio allo Spirito – conclude Francesco – perché ci trasformi come il Padre è nel Figlio, una sola cosa”:

“E un altro consiglio che Gesù ha dato in questi giorni di congedo è di rimanere in Lui: ‘Rimanete in me’. E chiede questa grazia, che tutti noi rimaniamo in Lui. E qui ci indica perché, lo dice chiaramente: ‘Padre, voglio che quelli che mi hai dato, anch’essi siano con me dove sono io’. Cioè, che questi rimangano là, con me. Il rimanere in Gesù, in questo mondo, finisce nel rimanere con Lui ‘perché contemplino la mia gloria’”.






Il Papa: lasciamoci guardare da Gesù per cambiare il cuore

Messa di Papa Francesco a Santa Marta - OSS_ROM

22/05/2015

Qual è oggi lo sguardo di Gesù su di me? Papa Francesco ha svolto la sua omelia mattutina a Casa Santa Marta, soffermandosi sul dialogo tra Gesù e Pietro narrato dal Vangelo odierno. Di qui, il Pontefice ha sviluppato una riflessione su tre sguardi del Signore sull’Apostolo: lo sguardo dell’elezione, quello del pentimento e infine quello della missione. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Gesù risorto prepara da mangiare per i suoi discepoli e, dopo aver mangiato, inizia un intenso dialogo tra Gesù e Pietro. Francesco ha svolto la sua omelia partendo da questa immagine proposta dal Vangelo odierno e subito ha confidato che, nella preghiera, gli è venuto nel cuore come fosse “lo sguardo di Gesù su Pietro”. Il Papa rileva così di aver “trovato” tre sguardi differenti nel Vangelo: di elezione, di pentimento, di missione.

Il primo sguardo, l’entusiasmo
All’inizio del Vangelo di Giovanni, ha rammentato, quando Andrea va da suo fratello Pietro e gli dice: “Abbiamo trovato il Messia!”, c’è uno sguardo di entusiasmo. Gesù fissa il suo sguardo su di lui e dice: “Tu sei Simone, figlio di Giona. Sarai chiamato Pietro”: “E’ il primo sguardo, lo sguardo della missione”. C’è, dunque, il “primo sguardo: la vocazione e un primo annuncio della missione”. “E com’è l’anima di Pietro in quel primo sguardo? – si chiede il Pontefice - Entusiasta. Il primo tempo di andare con il Signore”.

Il secondo sguardo, il pentimento
Poi, il Papa sposta lo sguardo in avanti alla notte drammatica del Giovedì Santo, quando Pietro rinnega Gesù per tre volte: “Ha perso tutto. Ha perso il suo amore” e quando il Signore incrocia il suo sguardo piange:

“Il Vangelo di Luca dice: ‘E Pietro pianse amaramente’. Quell’entusiasmo di seguire Gesù è diventato pianto, perché lui ha peccato: lui ha rinnegato Gesù. Quello sguardo cambia il cuore di Pietro, più di prima. Il primo cambiamento è il cambio di nome e anche di vocazione. Questo secondo sguardo è uno sguardo che cambia il cuore ed è un cambio di conversione all’amore”.

Poi, ha soggiunto, c’è lo sguardo dell’incontro dopo la Risurrezione. “Sappiamo che Gesù ha incontrato Pietro, dice il Vangelo, ma – ha osservato il Papa – non sappiamo cosa hanno detto”.

Il terzo sguardo, la missione
Quello del Vangelo di oggi, ha affermato, “è un terzo sguardo: lo sguardo è la conferma della missione, ma anche lo sguardo nel quale Gesù” chiede conferma sull’amore di Pietro. E per tre volte il Signore chiede a Pietro la “manifestazione del suo amore” e lo esorta a pascere le sue pecore. Alla terza domanda, Pietro “rimase addolorato, quasi piange”:

"Addolorato perché per la terza volta gli domandava ‘Mi vuoi bene?’. E gli dice: ‘Ma, Signore, Tu sai tutto. Tu sai che Ti voglio bene’. Rispose Gesù: ‘Pasci le mie pecore’. Questo è il terzo sguardo, lo sguardo della missione. Il primo, lo sguardo dell’elezione, con l’entusiasmo di seguire Gesù; il secondo, lo sguardo del pentimento nel momento di quel peccato tanto grave di avere rinnegato Gesù; il terzo sguardo è lo sguardo della missione: ‘Pasci i miei agnelli’; ‘Pascola le mie pecore’; ‘Pasci le mie pecore’”.

Lasciamoci guardare da Gesù
Ma, ha detto il Papa, “non finisce lì”. “Gesù va più avanti” e a Pietro dice: “Tu fai tutto questo per amore, e poi? Sarai incoronato re? No”. Gesù predice a Pietro che anche lui dovrà seguirlo sulla via della Croce:

“Anche noi possiamo pensare: qual è oggi lo sguardo di Gesù su me? Come mi guarda, Gesù? Con una chiamata? Con un perdono? Con una missione? Ma, sulla strada che Lui ha fatto tutti noi siamo sotto lo sguardo di Gesù. Lui ci guarda sempre con amore. Ci chiede qualcosa, ci perdona qualcosa e ci dà una missione. Adesso Gesù viene sull’altare. Ognuno di noi pensi: ‘Signore, Tu sei qui, tra noi. Fissa il Tuo sguardo su me e dimmi cosa debbo fare; come devo piangere i miei sbagli, i miei peccati; quale sia il coraggio con il quale devo andare avanti sulla strada che Tu hai fatto per primo”.

In questa giornata, ha concluso Papa Francesco, ci farà bene rileggere questo dialogo con il Signore e pensare “allo sguardo di Gesù su di me”.



Caterina63
00lunedì 25 maggio 2015 12:23

Papa: la ricchezza che non è condivisa genera corruzione






Gesù incontra il giovane ricco

25/05/2015

Bisogna fare in modo che se si hanno ricchezze esse servano al “bene comune”. Un’abbondanza di beni vissuta in modo egoistico è "triste", toglie “speranza” ed è all’origine “di ogni genere di corruzione”, grande o piccola. Lo ha affermato Papa Francesco nell’omelia della Messa del mattino, celebrata nella cappella di Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Il cammello e la cruna dell’ago, ovvero come l’“entusiasmo” per Cristo possa trasformarsi in pochi istanti in “tristezza e chiusura in se stesso”. La scena che Papa Francesco commenta all’omelia è tra le più famose del Vangelo. Il giovane ricco incontra Gesù, chiede di seguirlo, gli assicura di vivere da sempre i comandamenti, ma poi cambia del tutto umore e atteggiamento quando il Maestro gli comunica l’ultimo passo da compiere, la “cosa sola” che manca: vendere i beni, darli ai poveri e a quel punto mettersi alla sua sequela. Di colpo, “la gioia e la speranza” in quel giovane ricco svaniscono, perché lui, a quella sua ricchezza, non vuole rinunciare:

“L’attaccamento alle ricchezze è l’inizio di ogni genere di corruzione, dappertutto: corruzione personale, corruzione negli affari, anche la piccola corruzione commerciale, di quelli che tolgono 50 grammi al peso giusto, corruzione politica, corruzione nell’educazione… Perché? Perché quelli che vivono attaccati al proprio potere, alle proprie ricchezze, si credono nel paradiso. Sono chiusi, non hanno orizzonte, non hanno speranza. Alla fine dovranno lasciare tutto”.

Ricchi e sterili
“C’è un mistero nel possesso della ricchezze”, osserva Francesco. “Le ricchezze hanno la capacità di sedurre, di portarci a una seduzione e farci credere che noi stiamo in un paradiso terrestre”. Invece, afferma il Papa, quel paradiso terrestre è un luogo senza “orizzonte”, simile a quel quartiere che Francesco ricorda di aver visto negli anni Settanta, abitato da gente benestante che ne aveva munito i confini per difendersi dai ladri:

“E vivere senza orizzonte è una vita sterile, vivere senza speranza è una vita triste. L’attaccamento alle ricchezze ci dà tristezza e ci fa sterili. Dico ‘attaccamento’, non dico ‘amministrare bene le ricchezze’, perché le ricchezze sono per il bene comune, per tutti. E se il Signore a una persona gliene dà è perché li faccia per il bene di tutti, non per se stesso, non perché le chiuda nel suo cuore, che poi con questo diventa corrotto e triste”.

Aprire la mano e l'orizzonte
Le ricchezze prive di generosità, insiste Papa Francesco, “ci fanno credere che siamo potenti, come Dio. E alla fine ci tolgono il meglio, la speranza”. Ma Gesù, conclude, indica nel Vangelo quale sia la giusta modalità per vivere un’abbondanza di beni:

“La prima Beatitudine: ‘Beati i poveri in spirito’, cioè spogliarsi di questo attaccamento e fare che le ricchezze che il Signore gli ha dato a lui siano per il bene comune. L’unica maniera. Aprire la mano, aprire il cuore, aprire l’orizzonte. Ma se tu hai la mano chiusa, hai il cuore chiuso come quell’uomo che faceva i banchetti e indossava vesti lussuose, non hai orizzonti, non vedi gli altri che hanno bisogno e finirai come quell’uomo: lontano da Dio”.


Il Papa: brutto vedere cristiani mondani, non si possono avere cielo e terra

Messa di Francesco a Santa Marta - OSS_ROM

26/05/2015 

“E’ brutto vedere un cristiano” che vuole “seguire Gesù e la mondanità”. E’ il monito di Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha sottolineato che un cristiano è portato nella vita a fare una scelta radicale, non può esserci “un cristianesimo a metà”, non si possono avere “il cielo e la terra”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Pietro chiede a Gesù cosa avrebbero avuto in cambio i discepoli nel seguirlo, una domanda posta dopo che il Signore aveva detto al giovane ricco di vendere tutti i suoi beni e darli ai poveri. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo da questo dialogo di grande attualità.

Un cristiano non può avere il cielo e la terra, non attaccarsi ai beni
Il Pontefice ha subito osservato che Gesù risponde in una direzione diversa rispetto a quella che si attendevano i discepoli: non parla di ricchezze, promette invece l’eredità del Regno dei cieli “ma con persecuzione, con la croce”:

“Per questo, quando un cristiano è attaccato ai beni, fa la brutta figura di un cristiano che vuole avere due cose: il cielo e la terra. E la pietra di paragone, proprio, è questo che Gesù dice: la croce, le persecuzioni. Questo vuol dire negare se stesso, subire ogni giorno la croce … I discepoli avevano questa tentazione, di seguire Gesù ma poi quale sarà la fine di questo buon affare? Pensiamo alla mamma di Giacomo e Giovanni, quando chiese a Gesù un posto per i suoi figli: ‘Ah, questo me lo fai primo ministro, questo ministro dell’economia …’, e prese l’interesse mondano nel seguire Gesù”.

Ma poi, ha annotato Francesco, “il cuore di questi discepoli è stato purificato”, fino alla Pentecoste, quando “hanno capito tutto”. “La gratuità nel seguire Gesù – ha evidenziato – è la risposta alla gratuità dell’amore e della salvezza che ci dà Gesù”. E quando “si vuole andare sia con Gesù e sia con il mondo, sia con la povertà sia con la ricchezza – ha ammonito – questo è un cristianesimo a metà, che vuole un guadagno materiale. E’ lo spirito della mondanità”.

Ricchezze, vanità e orgoglio ci allontanano da Gesù
Quel cristiano, ha affermato riecheggiando il profeta Elia, “zoppica su due gambe” perché “non sa cosa vuole”. Quindi, ha evidenziato che per capire questo bisogna rammentare che Gesù ci annuncia che “i primi saranno gli ultimi e gli ultimi saranno i primi”, cioè “quello che crede o che è il più grande” si deve fare “il servitore, il più piccolo”:

“Seguire Gesù dal punto di vista umano non è un buon affare: è servire. Lo ha fatto Lui, e se il Signore ti dà la possibilità di essere il primo, tu devi comportarti come l’ultimo, cioè nel servizio. E se il Signore ti dà la possibilità di avere beni, tu devi comportarti nel servizio, cioè per gli altri. Sono tre cose, tre scalini che ci allontanano da Gesù: le ricchezze, la vanità e l’orgoglio. Per questo sono tanto pericolose, le ricchezze, perché ti portano subito alla vanità e ti credi importante. E quando ti credi importante ti monti la testa e ti perdi”.

Un cristiano mondano è una contro-testimonianza
La strada indicata dal Signore, ha proseguito, è quella dello “spogliamento”, come ha fatto lui: “Chi è primo fra di voi si faccia il servo di tutti”. A Gesù, ha detto, “questo lavoro” con i discepoli “costò tanto, tanto tempo, perché non capivano bene”. E allora, ha soggiunto, “anche noi dobbiamo chiedere a Lui: ‘Ci insegni questo cammino, questa scienza del servizio? Questa scienza dell’umiltà? Questa scienza di essere gli ultimi per servire i fratelli e le sorelle della Chiesa?”:

“E’ brutto vedere un cristiano, sia laico, consacrato, sacerdote, vescovo, è brutto quando si vede che vuole le due cose: seguire Gesù e i beni, seguire Gesù e la mondanità. E questo è una contro-testimonianza e allontana la gente da Gesù. Continuiamo adesso la celebrazione dell’Eucaristia, pensando alla domanda di Pietro. ‘Abbiamo lasciato tutto: come ci pagherai?’, e pensando alla risposta di Gesù. Il prezzo che Lui ci darà è la assomiglianza a Lui. Questo sarà lo ‘stipendio’. Grande ‘stipendio’, assomigliarci a Gesù!”.



Francesco: i cristiani mondani e rigoristi allontanano la gente da Gesù

Il Papa nella cappella di Santa Marta - OSS_ROM

28/05/2015 

Ci sono cristiani che allontanano la gente da Gesù perché pensano solo al loro rapporto con Dio oppure perché sono affaristi o mondani o rigoristi. E ci sono cristiani che ascoltano davvero il grido di quanti hanno bisogno del Signore: questo, in sintesi, quanto ha detto Papa Francesco durante la Messa del mattino, celebrata nella cappella di Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:

Cristiani indifferenti e intimisti
Commentando il brano evangelico del cieco Bartimèo che grida verso Gesù per essere guarito ed è rimproverato dai discepoli perché taccia, Papa Francesco elenca tre gruppi di cristiani. Ci sono i cristiani che si occupano solo del loro rapporto con Gesù, un rapporto “chiuso, egoistico”, e non sentono il grido degli altri:

“Quel gruppo di gente, anche oggi, non sente il grido dei tanti che hanno bisogno di Gesù. Un gruppo di indifferenti: non sentono, credono che la vita sia il loro gruppetto lì; sono contenti; sono sordi al clamore di tanta gente che ha bisogno di salvezza, che ha bisogno dell’aiuto di Gesù, che ha bisogno della Chiesa. Questa gente è gente egoista, vive per se stessa. Sono incapaci di sentire la voce di Gesù”.

Cristiani affaristi, mondani e rigoristi
“Poi – ha proseguito il Papa - ci sono quelli che sentono questo grido che chiede aiuto, ma che vogliono farlo tacere”. Come quando i discepoli hanno allontanato i bambini, “perché non scomodassero il Maestro”: “il Maestro era loro, era per loro, non era per tutti. Questa gente allontana da Gesù quelli che gridano, che hanno bisogno di fede, che hanno bisogno di salvezza”. Tra questi ci sono gli “affaristi, che sono vicino a Gesù”, sono nel tempio, sembrano “religiosi”, ma “Gesù li ha cacciati via, perché facevano affari lì, nella casa di Dio”. Sono quelli “che non vogliono sentire il grido di aiuto, ma preferiscono fare i loro affari e usano il popolo di Dio, usano la Chiesa, per fare i propri affari. Questi affaristi allontanano la gente da Gesù”. In questo gruppo ci sono i cristiani “che non danno testimonianza”:

“Sono cristiani di nome, cristiani di salotto, cristiani di ricevimenti, ma la loro vita interiore non è cristiana, è mondana. Uno che si dice cristiano e vive come un mondano, allontana quelli che gridano aiuto a Gesù. Poi, ci sono i rigoristi, quelli che Gesù rimprovera, che caricano tanti pesi sulle spalle della gente. Gesù dedica loro tutto il capitolo 23.mo di San Matteo. ‘Ipocriti - dice loro - sfruttate la gente’. E invece di rispondere al grido che chiede salvezza allontanano la gente”.

Cristiani che vivono quello che credono
C’è infine un terzo gruppo di cristiani, “quelli che aiutano ad avvicinarsi a Gesù”:

“C’è il gruppo dei cristiani che hanno coerenza fra quello che credono e quello che vivono, e aiutano ad avvicinarsi a Gesù, alla gente che grida, chiedendo salvezza, chiedendo la grazia, chiedendo la salute spirituale per la loro anima”.

Esame di coscienza
“Ci farà bene fare un esame di coscienza” – conclude il Papa – per capire se siamo cristiani che allontanano la gente da Gesù o la avvicinano perché sentiamo il grido di tanti che chiedono aiuto per la propria salvezza.





Papa Francesco: la fede vera fa miracoli non affari

Papa Francesco nella Cappella di Casa Santa Marta - OSS_ROM

29/05/2015

La fede autentica, aperta agli altri e al perdono, fa miracoli. Dio ci aiuti a non cadere in una religiosità egoista e affarista: è quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:

Gesù condanna l'egoismo spirituale
Il Vangelo del giorno propone “tre modi di vivere” nelle immagini del fico che non dà frutti, negli affaristi del tempio e nell’uomo di fede. “Il fico – afferma il Papa - rappresenta la sterilità, cioè una vita sterile, incapace di dare qualsiasi cosa. Una vita che non fruttifica, incapace di fare il bene”:

“Vive per sé; tranquillo, egoista, non vuole problemi. E Gesù maledisse l’albero di fico, perché è sterile, perché non ha fatto del suo per dare frutto. Rappresenta la persona che non fa niente per aiutare, che vive sempre per se stessa, affinché non le manchi niente. Alla fine questi diventano nevrotici, tutti! Gesù condanna la sterilità spirituale, l’egoismo spirituale. ‘Io vivo per me, che a me non manchi niente e che gli altri si arrangino!’”.

Non fare della religione un affare
L’altro modo di vivere – sottolinea il Papa – “è quello degli sfruttatori, degli affaristi nel tempio. Sfruttano anche il luogo sacro di Dio per fare degli affari: cambiano le monete, vendono gli animali per il sacrificio, anche fra loro hanno come un sindacato per difendersi. Questo era non solo tollerato, ma anche permesso dai sacerdoti del tempio”. Sono “quelli che fanno della religione un affare”. Nella Bibbia – ricorda il Papa – c’è la storia dei figli di un sacerdote che “spingevano la gente a dare offerte e guadagnavano tanto, anche dai poveri”. E “Gesù non risparmia le parole”: “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera. Voi, invece, ne avete fatto un covo di ladri!”:

“La gente che andava in pellegrinaggio lì a chiedere la benedizione del Signore, a fare un sacrificio: lì, quella gente era sfruttata! I sacerdoti lì non insegnavano a pregare, non davano loro la catechesi… Era un covo di ladri. Pagate, entrate… Facevano i riti, vuoti, senza pietà. Non so se ci farà bene pensare se da noi accade qualcosa del genere in qualche posto. Non so? E' utilizzare le cose di Dio per il proprio profitto”.

La fede che aiuta gli altri fa miracoli
Il terzo modo di vivere è “la vita di fede”, come indica Gesù: “’Abbiate fede in Dio. Se uno dicesse a questo monte ‘levati e gettati nel mare’, senza dubitare in cuor suo, ma credendo che quanto dice avviene, ciò avverrà. Tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà’. Accadrà proprio quello che noi con fede chiediamo”:

“E’ lo stile di vita della fede. ‘Padre, cosa devo fare per questo?’; ‘Ma chiedilo al Signore, che ti aiuti a fare cose buone, ma con fede. Solo una condizione: quando voi vi metterete a pregare chiedendo questo, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate. E’ l’unica condizione, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni voi, le vostre colpe’. Questo è il terzo stile di vita. La fede, la fede per aiutare gli altri, per avvicinarsi a Dio. Questa fede che fa miracoli”.

Questa la preghiera conclusiva di Papa Francesco: “Chiediamo oggi al Signore … che ci insegni questo stile di vita di fede e che ci aiuti a non cadere mai, a noi, ad ognuno di noi, alla Chiesa, nella sterilità e nell’affarismo”.





Caterina63
00lunedì 1 giugno 2015 11:57

  Papa Francesco: è dallo scarto che Dio “tira fuori la salvezza"




Papa Francesco nella cappella di Casa S. Marta - OSS_ROM





01/06/2015



Troppe volte abbiamo detto a Gesù “vattene” non riconoscendolo in un fallimento. Ma la “vittoria dell’amore di Dio” per l’uomo si manifesta proprio nell’apparente “fallimento” della Croce di suo Figlio. È questo che racconta la parabola dei vignaioli omicidi, commentata da Papa Francesco durante la Messa del mattino celebrata a Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:


Una pietra di scarto che diventa fondamento. Un patibolo scandaloso che sembra la fine di una storia piena di speranze e invece è l’inizio della salvezza del mondo. Dio costruisce sulla debolezza, ma se uno ne legge le pagine la “storia di amore fra Dio e il suo popolo – osserva Papa Francesco – sembra essere una storia di fallimenti”. Come la parabola dei vignaioli omicidi, proposta dal Vangelo del giorno, che appare, dice Francesco, come il “fallimento del sogno di Dio”. C’è un padrone che costruisce una bella vigna e ci sono gli operai che uccidono chiunque sia l’inviato del padrone. Ma è proprio da quelle morti che tutto prende vita:


“I profeti, gli uomini di Dio che hanno parlato al popolo, che non sono stati ascoltati, che sono stati scartati, saranno la sua gloria. Il Figlio, l’ultimo inviato, che è stato scartato proprio, giudicato, non ascoltato e ucciso, è diventato la pietra d’angolo. Questa storia, che incomincia con un sogno d’amore, e che sembra essere una storia di amore, ma poi sembra finire in una storia di fallimenti, finisce con il grande amore di Dio, che dallo scarto tira fuori la salvezza; dal suo Figlio scartato, ci salva a tutti”.


Non dimentichiamo la Croce
È qui che la logica del fallimento “si rovescia”, afferma il Papa. E Gesù lo ricorda ai capi del popolo, citando la Scrittura: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo. Questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”. Ed è “bello leggere nella Bibbia”, prosegue Francesco, anche dei “lamenti di Dio”, del Padre che “piange” quando il popolo “non sa ubbidire a Dio, perché vuole diventare dio lui” stesso:

“La via della nostra redenzione è una strada di tanti fallimenti. Anche l’ultimo, quello della croce, è uno scandalo. Ma proprio lì l’amore vince. E quella storia che incomincia con un sogno d’amore e continua con una storia di fallimenti, finisce nella vittoria dell’amore: la croce di Gesù.
Non dobbiamo dimenticare questa strada, è una strada difficile.
Anche la nostra!
Se ognuno di noi fa un esame di coscienza, vedrà quante volte, quante volte ha cacciato via i profeti. Quante volte ha detto a Gesù: ‘Vattene’, quante volte ha voluto salvare se stesso, quante volte abbiamo pensato che noi eravamo i giusti”.

Memoria di quel seme d'amore
Allora, non dimentichiamo mai, conclude Francesco, che è nella morte in croce del Figlio che si manifesta “l’amore di Dio col suo popolo”:

“Ci farà bene fare memoria, memoria di questa storia di amore che sembra fallita, ma alla fine vince. E’ la storia di fare memoria nella storia della nostra vita, di quel seme di amore che Dio ha seminato in noi e come è andata, e fare lo stesso che ha fatto Gesù a nome nostro: si umiliò”. 




Il Papa: non annacquare identità cristiana in una religione soft

Messa del Papa a Casa Santa Marta - OSS_ROM

09/06/2015

Salvaguardare l’identità cristiana lasciando che lo Spirito Santo ci porti avanti nella vita. E’ uno dei passaggi dell’omelia mattutina di Papa Francesco a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha messo in guardia da chi vuole trasformare il cristianesimo in una “bella idea” e chi ha invece sempre bisogno “di novità dell’identità”. Quindi, ha ribadito che un altro rischio per la testimonianza cristiana è la mondanità di chi “allarga la coscienza” così tanto da farci entrare dentro tutto. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Qual è l’identità cristiana? Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo dalle parole di San Paolo ai Corinzi dove parla proprio dell’identità dei discepoli di Gesù. E’ vero, ha detto, che “per arrivare a questa identità cristiana”, Dio “ci ha fatto fare un lungo cammino di storia” fino a quando inviò suo Figlio.

Siamo peccatori, ma fiduciosi che Gesù ci rialza
“Anche noi – ha soggiunto – dobbiamo fare nella nostra vita un lungo cammino, perché questa identità cristiana sia forte” così da poterne dare “testimonianza”. “E’ un cammino – ha ripreso – che possiamo definire dalla ambiguità alla vera identità”:

“E’ vero, c’è il peccato, e il peccato ci fa cadere, ma noi abbiamo la forza del Signore per alzarci e andare con la nostra identità. Ma io direi anche che il peccato è parte della nostra identità: siamo peccatori, ma peccatori con la fede in Gesù Cristo. E non è soltanto una fede di conoscenza, no. E’ una fede che è un dono di Dio e che è entrata in noi da Dio. E’ Dio stesso che ci conferma in Cristo. E ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo, ci ha dato la caparra, il pegno dello Spirito nei nostri cuori. E’ Dio che ci dà questo dono dell’identità”.

Fondamentale, ha aggiunto, “è essere fedele a quest’identità cristiana e lasciare che lo Spirito Santo, che è proprio la garanzia, il pegno nel nostro cuore, ci porti avanti nella vita”. Non siamo persone che vanno “dietro ad una filosofia”, ha avvertito, “siamo unti” e abbiamo la “garanzia dello Spirito”.

L’identità cristiana è concreta, non una religione soft
“E’ un’identità bella – ha detto ancora – che si fa vedere nella testimonianza. Per questo Gesù ci parla della testimonianza come il linguaggio della nostra identità cristiana”. E questo anche se l’identità cristiana, giacché “siamo peccatori, è tentata, viene tentata; le tentazioni vengono sempre” e l’identità “può indebolirsi e può perdersi”. Il Papa mette in guardia da due vie pericolose:

“Prima quella del passare dalla testimonianza alle idee, annacquare la testimonianza. ‘Eh sì, sono cristiano. Il cristianesimo è questo, una bella idea. Io prego Dio’. E così, dal Cristo concreto, perché l’identità cristiana è concreta – lo leggiamo nelle Beatitudini; questa concretezza è anche in Matteo 25: l’identità cristiana è concreta – passiamo a questa religione un po’ soft, sull’aria e sulla strada degli gnostici. Dietro c’è lo scandalo. Questa identità cristiana è scandalosa. E la tentazione è: ‘No, no, senza scandalo’”.

La mondanità fa perdere sapore alla nostra testimonianza
“La croce – ha detto – è uno scandalo” e quindi c’è chi cerca Dio “con queste spiritualità cristiane un po’ eteree”, gli “gnostici moderni”. Poi, ha avvertito, ci sono “quelli che sempre hanno bisogno di novità dell’identità cristiana” e hanno “dimenticato che sono stati scelti, unti” che “hanno la garanzia dello Spirito” e cercano: “‘Ma dove sono i veggenti che ci dicono oggi la lettera che la Madonna manderà alle 4 del pomeriggio?’ Per esempio, no? E vivono di questo. Questa non è identità cristiana. L’ultima parola di Dio si chiama ‘Gesù’ e niente di più”. Un’altra strada per fare passi indietro nell’identità cristiana, ha aggiunto, è la mondanità:

“Allargare tanto la coscienza che lì c’entra tutto. ‘Sì, noi siamo cristiani, ma questo sì…’ Non solo moralmente, ma anche umanamente. La mondanità è umana. E così il sale perde il sapore. E vediamo comunità cristiane, anche cristiani, che si dicono cristiani, ma non possono e non sanno dare testimonianza di Gesù Cristo. E così la identità va indietro, indietro e si perde, e questo nominalismo mondano che noi vediamo tutti i giorni. Nella storia di salvezza Dio, con la sua pazienza di Padre, ci ha portato dall’ambiguità alla certezza, alla concretezza dell’incarnazione e la morte redentrice del suo Figlio. Questa è la nostra identità”.

San Paolo, ha soggiunto, si vanta di Gesù “fatto uomo e morto per obbedienza”, “questa è l’identità ed è lì la testimonianza”. E’ una grazia, ha concluso, che “dobbiamo chiedere al Signore: che sempre ci dia questo regalo, questo dono di un’identità che non cerca di adattarsi alle cose” fino “a perdere il sapore del sale”.





Il Papa: cristiani servano gratuitamente, no a inganno delle ricchezze

Papa Francesco a Casa Santa Marta - OSS_ROM

11/06/2015 

“Cammino, servizio, gratuità”. E’ il trinomio sul quale Papa Francesco ha sviluppato l’omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha sottolineato che un discepolo è chiamato a camminare per servire e ad annunciare il Vangelo gratuitamente, vincendo l’inganno “che la salvezza viene dalle ricchezze”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

“Cammino, servizio e gratuità”. Papa Francesco ha articolato la sua omelia su questi tre punti, commentando il passo del Vangelo odierno, in cui Gesù invia i discepoli ad annunciare la Buona Notizia. Gesù, ha esordito, invia a fare un cammino che non è una “passeggiata” ma è un invio con “un messaggio: annunciare il Vangelo, uscire per portare la Salvezza, il Vangelo della Salvezza”.

Portare la Buona Notizia attraverso un percorso interiore
Questo, ha soggiunto, “è il compito che Gesù dà ai suoi discepoli. Se un discepolo rimane fermo e non esce, non dà quello che ha ricevuto nel Battesimo agli altri, non è un vero discepolo di Gesù: gli manca la missionarietà, gli manca uscire da se stesso per portare qualcosa di bene agli altri”:

“Il percorso del discepolo di Gesù è andare oltre per portare questa buona notizia. Ma c’è un altro percorso del discepolo di Gesù: il percorso interiore, il percorso dentro di sé, il percorso del discepolo che cerca il Signore tutti i giorni, nella preghiera, nella meditazione. Anche quel percorso il discepolo deve farlo perché se non cerca sempre Dio, il Vangelo che porta agli altri sarà un Vangelo debole, annacquato, senza forza”.

Un discepolo di Gesù che non serve non è cristiano
“Questo doppio percorso – ha detto – è il doppio cammino che Gesù vuole dai suoi discepoli”. C’è poi la seconda parola: “Servire”. “Un discepolo che non serve gli altri – ha detto il Papa – non è cristiano. Il discepolo deve fare quello che Gesù ha predicato in quelle due colonne del cristianesimo: le Beatitudini e poi il ‘protocollo’ sul quale noi saremo giudicati, Matteo, (capitolo) 25”. Queste due colonne, ha avvertito, “sono la cornice proprio del servizio evangelico”:

“Se un discepolo non cammina per servire non serve per camminare. Se la sua vita non è per il servizio, non serve per vivere, come cristiano. E lì si trova la tentazione dell’egoismo: ‘Sì, io sono cristiano, per me sono in pace, mi confesso, vado a Messa, compio i comandamenti’. Ma il servizio! Agli altri: il servizio a Gesù nell’ammalato, nel carcerato, nell’affamato, nel nudo. Quello che Gesù ci ha detto che dobbiamo fare perché Lui è lì! Il servizio a Cristo negli altri”.

Servire gratuitamente, contrastare inganno delle ricchezze
La terza parola è “gratuità”. “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”, è il monito di Gesù. “Il cammino del servizio è gratuito – ha sottolineato – perché noi abbiamo ricevuto la salvezza gratuitamente, pura grazia: nessuno di noi ha comprato la salvezza, nessuno di noi l’ha meritata. E’ pura grazia del Padre in Gesù Cristo, nel sacrificio di Gesù Cristo”:

“E’ triste quando si trovano cristiani che dimenticano questa Parola di Gesù: ‘Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date’. E’ triste quando si trovano comunità cristiane, siano parrocchie, congregazioni religiose, diocesi, che si dimenticano della gratuità, perché dietro di questo e sotto questo c’è l’inganno (di presumere) che la salvezza viene dalle ricchezze, dal potere umano”.

Tre parole, ha ripreso il Papa, “cammino come un invio per annunciare. Servizio: la vita del cristiano non è per se stesso, è per gli altri, come è stata la vita di Gesù”. E terzo: “gratuità. La nostra speranza è in Gesù Cristo che ci invia così una speranza che non delude mai”. Ma, ha ammonito, “quando la speranza è nella propria comodità nel cammino o la speranza è nell’egoismo di cercare le cose per sé e per non servire gli altri o quando la speranza è nelle ricchezze o nelle piccole sicurezze mondane, tutto questo crolla. Il Signore stesso lo fa crollare”.



 

Francesco: custodiamo il cuore dal “rumore pagano”

Papa Francesco celebra la Messa a Casa Santa Marta - OSS_ROM

15/06/2015 

Il cristiano impari a custodire il cuore dalle “passioni” e dai “rumori mondani”, per essere attento ad accogliere in ogni momento la grazia di Dio. È la riflessione che Papa Francesco ha offerto durante l’omelia della Messa del mattino, celebrata nella cappella di Casa Santa Marta. Il servizio diAlessandro De Carolis:

C’è un “momento favorevole” per accogliere il dono gratuito della grazia di Dio e quel momento è “adesso”. Il cristiano, dice Papa Francesco, deve esserne consapevole e dunque avere il cuore preparato ad accogliere quel dono, un cuore sgombro “dal rumore mondano” che è poi il “rumore del diavolo”.

Capire il tempo di Dio
A ispirare la riflessione del Papa sono entrambi le letture della liturgia. Da San Paolo, Francesco prende la sottolineatura a “non accogliere invano la grazia di Dio”, che si manifesta, afferma l’Apostolo, “ora”. Questo significa, osserva il Papa, che “in ogni tempo il Signore ci ridà la grazia”, il “dono che è gratuito”. Accogliamolo, esorta Francesco, facendo attenzione al resto che Paolo indica: “Da parte nostra non diamo motivo di scandalo a nessuno”:

“E’ lo scandalo del cristiano che si dice cristiano, anche va in chiesa, va le domeniche a Messa ma vive non come cristiano, vive come mondano o come pagano. E quando una persona è così, scandalizza. Quante volte abbiamo sentito nei nostri quartieri, nei negozi: ‘Guarda quello o quella, tutte le domeniche a Messa e poi fa questo, questo, questo, questo…’. E la gente si scandalizza. E’ questo che Paolo dice: ‘Ma non accogliere invano’. E come dobbiamo accogliere? Prima di tutto è il ‘momento favorevole’, dice. Noi dobbiamo essere attenti per capire il tempo di Dio, quando Dio passa per il nostro cuore”.

Un cuore libero dalle passioni
E la soglia di questa attenzione, spiega Francesco, il cristiano la raggiunge se si mette in condizione di “custodire il cuore”, “allontanando ogni rumore che non viene dal Signore”, allontanando, suggerisce, le “cose che ci tolgono la pace”. Un cuore liberato dalle “passioni”, quelle che nel brano del Vangelo – nota Francesco – Gesù sintetizza nell’“occhio per occhio” rovesciandone la prospettiva con il “porgi l’altra guancia”, con le due miglia fatte insieme a chi ti ha costretto a farne uno:

“Essere libero dalle passioni e avere un cuore umile, un cuore mite. Il cuore viene custodito dall’umiltà, dalla mitezza, mai dalle lotte, dalle guerre. No! Questo è il rumore: rumore mondano, rumore pagano o rumore del diavolo. Il cuore in pace. ‘Non dare motivo di scandalo a nessuno perché non venga criticato il nostro ministero’, dice Paolo ma parla del ministero anche della testimonianza cristiana, perché non venga criticato”.

Sapienti e benevoli
Custodire il cuore per essere di Dio sempre ovvero, come elenca San Paolo, “nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce, nelle percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni”:

“Ma sono cose brutte tutte queste e io devo custodire il mio cuore per accogliere la gratuità e il dono di Dio? Sì! E come lo faccio? Continua Paolo: ‘Con purezza, con sapienza, con magnanimità, con benevolenza, con spirito di santità’. L’umiltà, la benevolenza, la pazienza, che soltanto guarda Dio, e ha il cuore aperto al Signore che passa”.



Caterina63
00giovedì 18 giugno 2015 11:15

Il Papa: siamo deboli, ma dobbiamo avere la forza di perdonare




Papa Francesco a Santa Marta - OSS_ROM





18/06/2015 



Il cristiano sia consapevole che, senza l’aiuto del Signore, non può camminare nella vita. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha, quindi, sottolineato che soltanto possiamo pregare bene se siamo in grado di perdonare i fratelli e avere il cuore in pace. Il servizio di Alessandro Gisotti:


 


Debolezza, preghiera, perdono. Francesco ha sviluppato la sua omelia su questi tre punti sottolineando innanzitutto che siamo “deboli”, una debolezza che “tutti noi portiamo dopo la ferita del peccato originale”.


Senza l’aiuto del Signore non possiamo fare un passo 
Siamo deboli, ha ribadito, “scivoliamo nei peccati, non possiamo andare avanti senza l’aiuto del Signore”:

“Chi si crede forte, chi si crede capace di cavarsela da solo almeno è ingenuo e alla fine rimane un uomo sconfitto da tante, tante debolezze che porta in sé. La debolezza che ci porta a chiedere aiuto al Signore poiché ‘nella nostra debolezza nulla possiamo senza il tuo aiuto’, abbiamo pregato. Non possiamo fare un passo nella vita cristiana senza l’aiuto del Signore, perché siamo deboli. E quello che è in piedi abbia cura di non cadere perché è debole”.

Anche deboli nella fede, ha proseguito. “Tutti noi abbiamo fede – ha affermato – tutti noi vogliamo andare avanti nella vita cristiana ma se noi non siamo consci della nostra debolezza finiremo sconfitti tutti”. Per questo è bella quella preghiera che dice: “Signore io so che nella mia debolezza nulla posso senza il tuo aiuto”.

La nostra preghiera non ha bisogno di troppo parole
Il Papa ha così rivolto il pensiero alla “preghiera”. Gesù, ha rammentato, “insegna a pregare” ma non “come i pagani” che pensavano di “venire ascoltati a forza di parole”. Francesco ricorda la madre di Samuele che chiedeva al Signore la grazia di avere un figlio e, pregando, appena muoveva le labbra. Il sacerdote che era lì, ha affermato, la guardava e si era convinto che fosse ubriaca e la rimproverò:

“Soltanto muoveva le labbra perché non riusciva a parlare… Chiedeva un figlio. Si prega così, davanti al Signore. E la preghiera, poiché noi sappiamo che Lui è buono e sa tutto su di noi e sa le cose di cui noi abbiamo bisogno, incominciamo a dire quella parola: ‘Padre’, che è una parola umana, certamente, che ci dà vita ma nella preghiera soltanto possiamo dirla con la forza dello Spirito Santo”.

“Incominciamo la preghiera con la forza dello Spirito che prega in noi – esorta il Papa - pregare così, semplicemente. Col cuore aperto nella presenza di Dio che è Padre e sa, sa di quali cose noi abbiamo bisogno prima di dirle”.

Il perdono è una grande fortezza, una grazia del Signore
Infine, Francesco rivolge l’attenzione al perdono, sottolineando come Gesù insegni ai discepoli che se loro non perdoneranno le colpe agli altri, neppure il Padre perdonerà le loro:

“Soltanto possiamo pregare bene e dire ‘Padre’ a Dio se il nostro cuore è in pace con gli altri, con i fratelli. ‘Ma, padre, questo mi ha fatto questo, questo mi ha fatto questo e mi ha fatto quello...’ – ‘Perdona. Perdona, come Lui ti perdonerà’. E così la debolezza che noi abbiamo con l’aiuto di Dio nella preghiera diviene fortezza perché il perdono è una grande fortezza. Bisogna essere forti per perdonare ma questa fortezza è una grazia che noi dobbiamo ricevere dal Signore perché noi siamo deboli”.







Papa: accumuliamo ricchezze che valgono alla borsa del cielo

Papa Francesco: le ricchezze devono servire per il bene di tutti

19/06/2015

Le ricchezze accumulate per se stessi sono all’origine di guerre, famiglie distrutte, perdita di dignità. La “lotta di ogni giorno” è invece amministrare le ricchezze che si possiedono e quelle della terra “per il bene comune”. È una delle considerazioni di fondo dell’omelia di Papa Francesco alla Messa del mattino, celebrata in Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Non sono “come una statua”, le ricchezze. Ferme, in un certo senso ininfluenti sulla vita di una persona. “Le ricchezze – constata Papa Francesco – hanno la tendenza a crescere, a muoversi, a prendere il posto nella vita e nel cuore dell’uomo”. E se la molla che spinge quell’uomo è l’accumulo, le ricchezze arriveranno a invadergli il cuore, che finirà “corrotto”. Ciò che invece salva il cuore è usare della ricchezza che si ha “per il bene comune”.

L'avidità corrompe e distrugge
A indirizzare l’omelia del Papa è il Vangelo del giorno, il brano in cui Gesù insegna ai discepoli questa verità: “Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore”. Quindi, li avverte: “Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo”. Certo, riconosce Francesco, “alla radice” dell’accumulo “c’è la voglia di sicurezza”. Ma il rischio di farlo solo per se stessi e dunque di restarne schiavi è altissimo:

“Alla fine queste ricchezze non danno la sicurezza per sempre. Anzi ti portano giù nella tua dignità. E questo in famiglia: tante famiglie divise. Anche nella radice delle guerre c’è questa ambizione, che distrugge, corrompe. In questo mondo, in questo momento, ci si sono tante guerre per avidità di potere, di ricchezze. Si può pensare alla guerra nel nostro cuore. ‘Tenetevi lontano da ogni cupidigia!’, così dice il Signore. Perché la cupidigia va avanti, va avanti, va avanti… E’ uno scalino, apre la porta: poi viene la vanità - credersi importanti, credersi potenti.. – e, alla fine, l’orgoglio. E da lì tutti i vizi, tutti. Sono scalini, ma il primo è questo: la cupidigia, la voglia di accumulare ricchezze”.

Quello che ho è per gli altri
Francesco riconosce anche che “accumulare è proprio una qualità dell’uomo” e che “fare le cose e dominare il mondo è anche una missione”. Allora “questa – afferma – è la lotta di ogni giorno: come gestire le ricchezze della terra bene, perché siano orientate al Cielo e diventino ricchezze del Cielo”:

“C’è una cosa che è vera, quando il Signore benedice una persona con le ricchezze: lo fa amministratore di quelle ricchezze per il bene comune e per il bene di tutto, non per il proprio bene.  E non è facile diventare un onesto amministratore, perché sempre c’è la tentazione della cupidigia, del diventare importante. Il mondo ti insegna questo e ci porta per questa strada. Pensare agli altri, pensare che quello che io ho è al servizio degli altri e che nessuna cosa che ho la potrò portare con me. Ma se io uso quello che il Signore mi ha dato per il bene comune, come amministratore, questo mi santifica, mi farà santo”.

Non giocare col fuoco
Noi, osserva il Papa, sentiamo spesso le “tante scuse” delle persone che passano la vita ad accumulare ricchezze. Da parte nostra, chiede invece Francesco, “tutti i giorni” dobbiamo “domandarci: ‘Dove è il tuo tesoro? Nelle ricchezze o in questa amministrazione, in questo servizio per il bene comune?”:

“E’ difficile, è come giocare col fuoco! Tanti tranquillizzano la propria coscienza con l’elemosina e danno quello che avanza loro. Quello non è l’amministratore: l’amministratore prende per sé quello che avanza e dà agli altri, in servizio, tutto. Amministrare la ricchezza è uno spogliarsi continuamente del proprio interesse e non pensare che queste ricchezze ci daranno salvezza. Accumulare, sì, va bene. Tesori, sì, va bene: ma quelli che hanno prezzo – diciamo così – nella ‘borsa del Cielo’. Lì, accumulare lì!”.





Caterina63
00venerdì 4 settembre 2015 21:35
 RIPRENDONO LE OMELIE A SANTA MARTA


Papa: il conforto cristiano è in Gesù non nelle chiacchiere

Papa Francesco nella cappella di Casa S. Marta - OSS_ROM

Papa Francesco nella cappella di Casa S. Marta - OSS_ROM

01/09/2015 

La speranza nell’incontro finale con Cristo va rafforzata tra i cristiani grazie al “conforto” vicendevole fatto di “buone parole e buone opere” e non di “chiacchiere” inutili. Lo ha affermato Papa Francesco durante l’omelia della Messa del mattino a Casa S. Marta, la cui celebrazione è ripresa oggi pubblicamente dopo la pausa estiva. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Una fede certa nell'incontro finale con Cristo più forte del dubbio e così salda da rallegrare ogni giornata non si radica a suon di chiacchiere e futilità, ma nel “conforto” che i cristiani sanno darsi “a vicenda” in Gesù. Papa Francesco considera il comportamento dell’antica comunità di Tessalonica che emerge dal brano della lettera di San Paolo proposto dalla liturgia. Una comunità “inquieta”, che si chiedeva e domandava all’Apostolo il “come” e il “quando” del ritorno di Cristo, quale sorte toccasse ai morti e alla quale addirittura era stato necessario dire: “Chi non lavora, neppure mangi”.

Le chiacchiere non confortano
San Paolo, nota Francesco, afferma che il “giorno del Signore” arriverà all’improvviso “come un ladro”, ma aggiunge pure che Gesù verrà a portare la salvezza a chi crede in Lui. E conclude: “Confortatevi a vicenda e siate di aiuto gli uni agli altri”. Èd è proprio questo conforto, ribadisce il Papa, "che dà la speranza”:

“Questo è il consiglio: ‘Confortatevi’. Confortatevi a vicenda. Parlare di questo: ma io vi domando: noi parliamo di questo, che il Signore verrà, che noi incontreremo Lui? O parliamo di tante cose, anche di teologie, di cose di Chiesa, di preti, di suore, di monsignori, tutto questo? E il nostro conforto è questa speranza? ‘Confortatevi a vicenda’: confortatevi in comunità. Nelle nostre comunità, nelle nostre parrocchie, si parla di questo, che siamo in attesa del Signore che viene? O si chiacchiera di questo, di quello, di quella, per passare un po’ il tempo e non annoiarsi troppo?”.

Il Giudizio e l’abbraccio
Nel Salmo responsoriale, soggiunge Francesco, “abbiamo ripetuto: ‘Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi’. Ma tu – domanda il Papa – hai quella certezza di contemplare il Signore?”. L’esempio da imitare è Giobbe, che nonostante le sue sventure affermava reciso: “Io so che Dio è vivo e io lo vedrò, e lo vedrò con questi occhi”:

“E’ vero, Lui verrà a giudicare e quando andiamo alla Sistina vediamo quella bella scena del Giudizio finale, è vero. Ma pensiamo anche che Lui verrà a trovarmi perché io lo veda con questi occhi, lo abbracci e sia sempre con Lui. Questa è la speranza che l’Apostolo Pietro ci dice di spiegare con la nostra vita agli altri, di dare testimonianza di speranza. Questo è il vero conforto, questa è la vera certezza: “Sono certo di contemplare la bontà del Signore’”.

Il conforto di buone parole e opere
Come San Paolo ai cristiani di ieri, Papa Francesco ne riecheggia il consiglio a quelli della Chiesa di oggi: “Confortatevi a vicenda con le buone opere e siate d’aiuto gli uni agli altri. E così andremo avanti”:

“Chiediamo al Signore questa grazia: che quel seme di speranza che ha seminato nel nostro cuore si sviluppi, cresca fino all’incontro definitivo con Lui. “Io sono certo che vedrò il Signore’. ‘Io sono certo che il Signore vive’. ‘Io sono certo che il Signore verrà a trovarmi’: e questo è l’orizzonte della nostra vita. Chiediamo questa grazia al Signore e confortiamoci gli uni gli altri con le buone opere e le buone parole, su questa strada”.




Francesco: umiltà e stupore aprono il cuore all'incontro con Gesù

Il Papa durante la Messa a Santa Marta - OSS_ROM

Il Papa durante la Messa a Santa Marta - OSS_ROM

03/09/2015 

La capacità di riconoscerci peccatori ci apre allo stupore dell’incontro con Gesù: è quanto ha detto il Papa durante la Messa del mattino a Casa Santa Marta nel giorno in cui la Chiesa celebra la memoria di San Gregorio Magno, Papa e Dottore della Chiesa. Ce ne parla Sergio Centofanti:

Ci sono due modi per incontrare Gesù
Commentando il Vangelo del giorno sulla pesca miracolosa, con Pietro che getta le reti fidandosi di Gesù anche dopo una notte trascorsa senza aver preso nulla, il Papa parla della fede come incontro con il Signore. Innanzitutto – ha affermato – “a me piace pensare che la maggior parte del suo tempo” Gesù “lo passava sulle strade, con la gente; poi in tarda serata se ne andava da solo a pregare”, ma “incontrava la gente, cercava la gente”. Da parte nostra, abbiamo due modi di incontrare il Signore. Il primo è quello di Pietro, degli apostoli, del popolo:

“Il Vangelo usa la stessa parola per questa gente, per il popolo, per gli apostoli, per Pietro, sono rimasti ‘stupiti’: ‘Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli’. Quando viene questo sentimento di stupore… E il popolo sentiva Gesù e sentiva questo stupore, e cosa diceva: ‘Ma questo parla con autorità. Mai un uomo ha parlato con questo’. Un altro gruppo che incontrava Gesù non lasciava che entrasse nel loro cuore lo stupore, sentiva Gesù, faceva i suoi calcoli, i dottori della legge: ‘Ma è intelligente, è un uomo che dice le cose vere, ma a noi non convengono queste cose, no, eh!’. Facevano i calcoli, prendevano distanza”.

Anche i demoni sanno che Gesù è il Figlio di Dio
Gli stessi demoni – osserva il Papa – confessavano, cioè proclamavano che Gesù era il “Figlio di Dio”, ma come i dottori della legge e i cattivi farisei “non avevano la capacità dello stupore, erano chiusi nella loro sufficienza, nella loro superbia. Pietro riconosce che Gesù è il Messia ma confessa anche di essere un peccatore:

“I demoni arrivano a dire la verità su di Lui, ma su di loro non dicono nulla. Non possono: la superbia è tanto grande che gli impedisce di dirlo. I dottori della legge dicono: ‘Ma questo è intelligente, è un rabbino capace, fa dei miracoli, eh!’. Ma non dicono: ‘Noi siamo superbi, noi siamo sufficienti, noi siamo peccatori’. L’incapacità di riconoscerci peccatori ci allontana dalla vera confessione di Gesù Cristo. E questa è la differenza”.

Facile dire che Gesù è il Signore, difficile riconoscersi peccatori
E’ la differenza che c’è tra l’umiltà del pubblicano che si riconosce peccatore e la superbia del fariseo che parla bene di se stesso:

“Questa capacità di dire che siamo peccatori ci apre allo stupore dell’incontro di Gesù Cristo, il vero incontro. Anche nelle nostre parrocchie, nelle nostre società, anche tra le persone consacrate: quante persone sono capaci di dire che Gesù è il Signore? Tante! Ma che difficile è dire sinceramente: ‘Sono un peccatore, sono una peccatrice’. E’ più facile dirlo degli altri, eh? Quando si chiacchiera, eh? ‘Questo, quello, questo sì…’. Tutti siamo dottori in questo, vero? Per arrivare a un vero incontro con Gesù è necessaria la doppia confessione: ‘Tu sei il Figlio di Dio e io sono un peccatore’, ma non in teoria: per questo, per questo, per questo e per questo…”.

La grazia di incontrare Gesù e lasciarsi incontrare da Lui
Pietro – sottolinea il Papa - poi dimentica lo stupore dell’incontro e rinnega il Signore: ma poiché “è umile, si lascia incontrare dal Signore e quando i loro sguardi si incontrano, lui piange, torna alla confessione: ‘Sono peccatore’”. E il Papa conclude: “Il Signore ci dia la grazia di incontrarlo ma anche di lasciarci incontrare da Lui. Ci dia la grazia, tanto bella, di questo stupore dell’incontro. E ci dia la grazia di avere la doppia confessione nella nostra vita: ‘Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivo, credo. E io sono un peccatore, credo’”.








Francesco: nella Chiesa c'è una malattia, seminare divisione

Il Papa nella Cappella di Casa Santa Marta - OSS_ROM


Il Papa nella Cappella di Casa Santa Marta - OSS_ROM

04/09/2015 

Nella Chiesa c’è una malattia: quella di seminare divisione e zizzania. I cristiani, invece, sono chiamati a pacificare e riconciliare, come ha fatto Gesù: è quanto ha detto il Papa nell’omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:

Semino pace o zizzania?
Nella Lettera ai Colossesi San Paolo mostra la carta d’identità di Gesù, che è il primogenito di Dio - ed è Dio stesso - e il Padre lo ha inviato per “riconciliare e pacificare”  l’umanità con Dio dopo il peccato. “La pace è opera di Gesù” – ha detto il Papa - di quel suo “abbassarsi per obbedire fino alla morte e morte di Croce". “E quando noi parliamo di pace o di riconciliazione, piccole paci, piccole riconciliazioni, dobbiamo pensare alla grande pace e alla grande riconciliazione” che “ha fatto Gesù. Senza di Lui non è possibile la pace. Senza di Lui non è possibile la riconciliazione”. “Il compito nostro” – ha sottolineato Papa Francesco – in mezzo alle “notizie di guerre, di odio, anche nelle famiglie” – è essere “uomini e donne di pace, uomini e donne di riconciliazione”:

“E ci farà bene domandarci: ‘Io semino pace? Per esempio, con la mia lingua, semino pace o semino zizzania?’. Quante volte abbiamo sentito dire di una persona: ‘Ma ha una lingua di serpente!’, perché sempre fa quello che ha fatto il serpente con Adamo ed Eva, ha distrutto la pace. E questo è un male, questa è una malattia nella nostra Chiesa: seminare la divisione, seminare l’odio, seminare non la pace. Ma questa è una domanda che tutti i giorni fa bene che noi ce la facciamo: ‘Io oggi ho seminato pace o ho seminato zizzania?’. ‘Ma, alle volte, si devono dire le cose perché quello e quella…’: con questo atteggiamento cosa semini tu?”.

Chi porta pace è santo, chi "chiacchiera" è come un terrorista
I cristiani, dunque, sono chiamati ad essere come Gesù, che “è venuto da noi per pacificare, per riconciliare”:

“Se una persona, durante la sua vita, non fa altra cosa che riconciliare e pacificare la si può canonizzare: quella persona è santa. Ma dobbiamo crescere in questo, dobbiamo convertirci: mai una parola che sia per dividere, mai, mai una parola che porti guerra, piccole guerre, mai le chiacchiere. Io penso: cosa sono le chiacchiere? Eh, niente, dire una parolina contro un altro o dire una storia: ‘Questo ha fatto…’. No! Fare chiacchiere è terrorismo perché quello che chiacchiera è come un terrorista che butta la bomba e se ne va, distrugge: con la lingua distrugge, non fa la pace. Ma è furbo, eh? Non è un terrorista suicida, no, no, lui si custodisce bene”.

Mordersi la lingua
Papa Francesco ripete una piccola esortazione:

“Ogni volta che mi viene in bocca di dire una cosa che è seminare zizzania e divisione e sparlare di un altro… Mordersi la lingua! Io vi assicuro, eh? Che se voi fate questo esercizio di mordersi la lingua invece di seminare zizzania, i primi tempi si gonfierà così la lingua, ferita, perché il diavolo ci aiuta a questo perché è il suo lavoro, è il suo mestiere: dividere”.

Quindi, la preghiera finale: “Signore tu hai dato la tua vita, dammi la grazia di pacificare, di riconciliare. Tu hai versato il tuo sangue, ma che non mi importi che si gonfi un po’ la lingua se mi mordo prima di sparlare di altri”.






Caterina63
00lunedì 7 settembre 2015 13:29

Papa: cristiani perseguitati oggi nel silenzio complice delle potenze


Il Papa concelebra la Messa a Santa Marta con il nuovo Patriarca di Cilicia degli Armeni, Gregorio Pietro XX Ghabroyan - OSS_ROM

Il Papa concelebra la Messa a Santa Marta con il nuovo Patriarca di Cilicia degli Armeni, Gregorio Pietro XX Ghabroyan - OSS_ROM





07/09/2015 




Oggi tanti cristiani continuano ad essere perseguitati, nel silenzio complice di tante potenze: è quanto ha detto il Papa durante la Messa del mattino a Casa Santa Marta...

 Era presente il nuovo Patriarca di Cilicia degli Armeni, Gregorio Pietro XX Ghabroyan, cui Papa Francesco aveva concesso la Comunione ecclesiastica con una lettera del 25 luglio scorso e che ha concelebrato insieme al Pontefice compiendo il rito dello scambio delle Sacre Specie, a conferma della radice eucaristica della comunione tra il Vescovo di Roma, che presiede nella carità, e la Chiesa Patriarcale di Cilicia degli Armeni. Tra i concelebranti anche il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, e tutti i vescovi membri del Sinodo della Chiesa Patriarcale Armeno Cattolica. Il servizio di Sergio Centofanti:

Scribi e farisei sono fuori di sé dalla collera perché Gesù ha compiuto un miracolo di sabato e discutono su come ucciderlo. Prendendo spunto dal Vangelo del giorno, Papa Francesco parla delle persecuzioni che subiscono i cristiani, ancora oggi “forse più che nei primi tempi”: sono “perseguitati, uccisi, cacciati via, spogliati solo per essere cristiani”:

“Cari fratelli e sorelle, non c’è cristianesimo senza persecuzione! Ricordatevi l’ultima delle Beatitudini: quando vi porteranno nelle sinagoghe, vi perseguiteranno, vi insulteranno, questo è il destino del cristiano. E oggi, davanti a questo fatto che accade nel mondo, col silenzio complice di tante potenze che potevano fermarlo, siamo davanti a questo destino cristiano. Andare sulla stessa strada di Gesù”.

Il Papa ricorda “una delle tante grandi persecuzioni, quella del popolo armeno”:

“La prima nazione che si è convertita al cristianesimo: la prima. Perseguitata soltanto per il fatto di essere cristiani. Noi oggi, sui giornali, sentiamo orrore per quello che fanno alcuni gruppi terroristici, che sgozzano la gente solo per essere cristiani… Pensiamo a questi martiri egiziani, ultimamente, sulle coste libiche, che sono stati sgozzati mentre pronunciavano il nome di Gesù”.

“E il popolo armeno – ha proseguito - è stato perseguitato, cacciato via dalla sua patria, senza aiuto, nel deserto”. Questa storia – ha osservato – è cominciata con Gesù: quello che hanno fatto “con Gesù, durante la storia è stato fatto con il suo Corpo, che è la Chiesa. Oggi – ha detto Papa Francesco - vorrei, in questo giorno della nostra prima Eucaristia, come fratelli vescovi, a te, caro fratello Patriarca e a tutti voi vescovi e fedeli e sacerdoti armeni, abbracciarvi e ricordare questa persecuzione che avete sofferto e ricordare i vostri santi, tanti santi morti di fame, di freddo, nella tortura, nel deserto per essere cristiani!”.

Il Signore - è la preghiera del Papa – “ci dia una piena intelligenza per conoscere” il “Mistero di Dio che è in Cristo” e “porta la Croce, la Croce della persecuzione, la Croce dell’odio, la Croce di quello che viene dalla collera” dei persecutori che è suscitata dal “padre del male”:

“Che il Signore, oggi, ci faccia sentire nel Corpo della Chiesa l’amore per i nostri martiri e anche la nostra vocazione martirale. Noi non sappiamo cosa accadrà qui. Non lo sappiamo! Ma che il Signore ci dia la grazia, se un giorno accadesse questa persecuzione qui, del coraggio e la testimonianza che dato avuto tutti questi cristiani martiri e specialmente i cristiani del popolo armeno”. 





Francesco: Dio cammina con tutti noi, santi e peccatori

Messa di Francesco a Casa Santa Marta - OSS_ROM

Messa di Francesco a Casa Santa Marta - OSS_ROM

08/09/2015 

Dio riconcilia e pacifica nel piccolo, camminando con il suo popolo. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Francesco ha preso spunto dall’odierna memoria della nascita della Madonna per sottolineare che tutti noi siamo chiamati ad essere umili e vicini al prossimo come ci insegnano le Beatitudini e il capitolo 25 del Vangelo di Matteo. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

“Come riconcilia Dio”, “qual è lo stile di riconciliazione di Dio”? Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia, muovendo da questo interrogativo nel giorno in cui si ricorda la nascita della Madonna. Il compito di Gesù, ha detto, è stato proprio “riconciliare e pacificare”. Ma, ha avvertito, Dio per riconciliare non fa “una grande assemblea”, non firma “un documento”. Dio, ha affermato, “pacifica con una modalità speciale. Riconcilia e pacifica nel piccolo e nel cammino”.

Dio riconcilia nelle piccole cose, camminando con il popolo
Francesco ha così fatto riferimento alla prima Lettura, tratta dal Libro del profeta Michèa, dove si parla della piccola Betlemme che sarà grande perché da quel “piccolo viene la pace”. Sempre, ha ribadito, il Signore sceglie “le cose piccole, le cose umili per fare le grandi opere. E anche ci consiglia di farci piccoli come bambini per poter entrare nel Regno dei Cieli”. Dio, ha evidenziato, “riconcilia e pacifica nel piccolo”:

“Ma, anche nel cammino: camminando. Il Signore non ha voluto pacificare e riconciliare con la bacchetta magica: oggi – pum! – tutto fatto! No. Si è messo a camminare con il suo popolo e quando abbiamo sentito questo passo del Vangelo di Matteo: ma, è un po’ noioso no? Questo generò questo, questo generò questo, questo generò questo … E’ un elenco: ma è il cammino di Dio! Il cammino di Dio fra gli uomini, buoni e cattivi, perché in questo elenco ci sono santi e ci sono criminali peccatori, anche. C’è tanto peccato, qui. Ma Dio non si spaventa: cammina. Cammina con il suo popolo”.

E in questo cammino, ha soggiunto, “fa crescere la speranza del suo popolo, la speranza nel Messia”. Il nostro, ha detto riprendendo un passo del Deuteronomio, è un “Dio vicino”. Cammina con il suo popolo. E, ha annotato, “questo camminare con buoni e cattivi ci dà il nostro stile di vita”.

Dio sogna cose belle per il suo popolo, per ognuno di noi
Come dunque, da cristiani, dobbiamo camminare per pacificare come ha fatto Gesù si chiede il Papa? Mettendo in pratica il protocollo dell’amore per il prossimo, è la sua risposta, il capitolo 25 del Vangelo di Matteo:

“Il popolo sognava la liberazione. Il popolo d’Israele aveva questo sogno perché gli era stato promesso, di essere liberato, di essere pacificato e riconciliato. Giuseppe sogna: il sogno di Giuseppe è un po’ come il riassunto del sogno di tutta questa storia di cammino di Dio con il suo popolo. Ma non solo Giuseppe ha dei sogni: Dio sogna. Il nostro Padre Dio ha dei sogni, e sogna cose belle per il suo popolo, per ognuno di noi, perché è Padre e essendo Padre pensa e sogna il meglio per i suoi figli”.

Nel piccolo c’è tutto, la pace di Dio e la sua riconciliazione
Dio è onnipotente e grande, ha detto Francesco, ma ci “insegna a fare la grande opera della pacificazione e della riconciliazione nel piccolo, nel cammino, nel non perdere la speranza con quella capacità di sognare dei grandi sogni, dei grandi orizzonti”. Oggi, ha sottolineato, nella commemorazione di una tappa determinante della storia della Salvezza, la nascita della Madonna, chiediamo la grazia dell’unità, della riconciliazione e della pace”:

“Ma sempre in cammino, in vicinanza con gli altri, come ci insegnano le Beatitudini e Matteo 25, e anche con grandi sogni. E continuiamo la celebrazione, adesso, del memoriale del Signore nel ‘piccolo’: un piccolo pezzo di pane, un po’ di vino … nel ‘piccolo’. Ma in questo piccolo c’è tutto. C’è il sogno di Dio, c’è il suo amore, c’è la sua pace, c’è la sua riconciliazione, c’è Gesù: Lui è tutto quello”.







Francesco: Gesù è misericordioso, chi non perdona non è cristiano

Papa Francesco a Santa Marta - OSS_ROM

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10/09/2015 


Pace e riconciliazione. Papa Francesco ha sviluppato l’omelia nella Messa mattutina a Casa Santa Marta partendo da questo binomio. Il Pontefice ha condannato quanti producono armi per uccidere nelle guerre, ma ha anche messo in guardia dai conflitti all’interno delle comunità cristiane. Dal Papa, inoltre, una nuova esortazione ai sacerdoti ad essere misericordiosi come lo è il Signore. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Gesù è il principe della pace perché genera pace nei nostri cuori. Papa Francesco ha preso spunto dalle letture del giorno per soffermarsi sul binomio pace-riconciliazione. E subito si è chiesto se “noi ringraziamo tanto” per “questo dono della pace che abbiamo ricevuto in Gesù”. La pace, ha detto, “è stata fatta, ma non è stata accettata”.

Basta produrre armi, la guerra annienta

Anche oggi, tutti i giorni, “sui telegiornali, sui giornali – ha constatato con amarezza – vediamo che ci sono le guerre, le distruzioni, l’odio, l’inimicizia”.
“Anche ci sono uomini e donne che lavorano tanto - ma lavorano tanto! - per fabbricare armi per uccidere, armi che alla fine divengono bagnate nel sangue di tanti innocenti, di tanta gente. Ci sono le guerre! Ci sono le guerre e c’è quella cattiveria di preparare la guerra, di fare le armi contro l’altro, per uccidere! La pace salva, la pace ti fa vivere, ti fa crescere; la guerra ti annienta, ti porta giù”.

Chi non sa perdonare, non è cristiano

Tuttavia, ha soggiunto, la guerra non è solo questa, “è anche nelle nostre comunità cristiane, fra noi”. E questo, ha sottolineato, è il “consiglio” che oggi ci dà la liturgia: “Fate la pace fra voi”. Il perdono, ha aggiunto, è la “parola chiave”: “Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi”.
“Se tu non sai perdonare, tu non sei cristiano. Sarai un buon uomo, una buona donna… Perché non fai quello che ha fatto il Signore. Ma pure: se tu non perdoni, tu non puoi ricevere la pace del Signore, il perdono del Signore. E ogni giorno, quando preghiamo il Padre Nostro: ‘Perdonaci, come noi perdoniamo…’. E’ un ‘condizionale’.

Cerchiamo di ‘convincere’ Dio di essere buono, come noi siamo buoni perdonando: al rovescio. Parole, no? Come si cantava quella bella canzone: ‘Parole, parole, parole’, no? Credo che Mina la cantasse… Parole! Perdonatevi! Come il Signore vi ha perdonato, così fate voi”.

La lingua distrugge, fa la guerra

C’è bisogno di “pazienza cristiana”, ha ripreso. “Quante donne eroiche ci sono nel nostro popolo – ha detto – che sopportano per il bene della famiglia, dei figli tante brutalità, tante ingiustizie: sopportano e vanno avanti con la famiglia”. Quanti uomini “eroici ci sono nel nostro popolo cristiano – ha proseguito – che sopportano di alzarsi presto al mattino e andare al lavoro – tante volte un lavoro ingiusto, mal pagato – per tornare in tarda serata, per mantenere la moglie e i figli. Questi sono i giusti”. Ma, ha ammonito, ci sono anche quelli che “fanno lavorare la lingua e fanno la guerra”, perché “la lingua distrugge, fa la guerra!”. C’è un’altra parola chiave, ha poi detto Francesco, “che viene detta da Gesù nel Vangelo”: “misericordia”. E importante “capire gli altri, non condannarli”.

Sacerdoti siano misericordiosi, non bastonino la gente in confessionale

“Il Signore, il Padre è tanto misericordioso – ha affermato – sempre ci perdona, sempre vuol fare la pace con noi”. Ma “se tu non sei misericordioso – ha avvertito il Papa – rischi che il Signore non sia misericordioso con te, perché noi saremo giudicati con la stessa misura con la quale noi giudichiamo gli altri”:
“Se tu sei prete e non te la senti di essere misericordioso, di’ al tuo vescovo che ti dia un lavoro amministrativo, ma non scendere in confessionale, per favore! Un prete che non è misericordioso fa tanto male nel confessionale! Bastona la gente. ‘No, Padre, io sono misericordioso, ma sono un po’ nervoso…’. ‘E’ vero… Prima di andare in confessionale va dal medico che ti dia una pastiglia contro i nervi! Ma sii misericordioso!’. E anche fra noi misericordiosi. ‘Ma quello ha fatto questo… Io cosa ho fatto?’; ‘Quello è più peccatore di me!’: chi può dire questo, che l’altro sia più peccatore di me? Nessuno di noi può dire questo! Soltanto il Signore sa”.

Come insegna San Paolo, ha dunque evidenziato, bisogna rivestirsi di “sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità”. Questo, ha detto Francesco, “è lo stile cristiano”, “lo stile col quale Gesù ha fatto la pace e la riconciliazione”. “Non è la superbia, non è la condanna, non è sparlare degli altri”. Che il Signore, ha concluso, “ci dia a tutti noi la grazia di sopportarci a vicenda, di perdonare, di essere misericordiosi, come il Signore è misericordioso con noi”.








Caterina63
00lunedì 14 settembre 2015 19:43

Francesco: seguire via della Croce per vincere seduzioni del male

Francesco a Santa Marta - OSS_ROM

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14/09/2015 

Per andare avanti “sulla strada della vita cristiana” bisogna abbassarsi come ha fatto Gesù sulla Croce. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, alla quale hanno partecipato anche i cardinali del "Consiglio dei Nove" che da oggi sono riuniti con il Papa fino al 16 settembre. Si tratta dell'11.ma riunione dell'organismo voluto dal Papa per aiutarlo nella riforma della Curia. Nella festa dell’Esaltazione della Santa Croce, il Pontefice ha quindi messo in guardia dal diavolo che ci incanta e poi ci porta alla rovina. Il servizio di Alessandro Gisotti:



Guardarci dalle tentazioni del male che ci seduce per poi rovinarci.

Papa Francesco ha svolto l’omelia partendo dalle Letture del giorno in cui, ha osservato, il protagonista è il serpente. La Genesi, ha detto, ci mostra che il serpente è il più astuto, “è un incantatore, e anche ha la capacità di fascino”, di affascinarti.

Il male seduce e incanta, ma è un cattivo pagatore

La Bibbia, ha proseguito, anche ci dice che “è un bugiardo, è un invidioso, perché per l’invida del diavolo, del serpente, è entrato il peccato nel mondo”. E questa capacità di seduzione ci rovina:
“Ti promette tante cose ma all’ora di pagare paga male, è un cattivo pagatore. Ma ha questa capacità di sedurre, di incantare. Paolo si arrabbia con i cristiani di Galazia che gli hanno dato tanto da fare e gli dice: ‘Ma, stolti Galati, chi vi ha incantati? Voi che siete stati chiamati alla libertà chi vi ha incantati?’. E questi li ha corrotti il serpente. E questa non è una cosa nuova, era nella coscienza del popolo di Israele”.
Il Papa si sofferma poi sul fatto che il Signore dice a Mosè di “fare un serpente di bronzo” e chi lo guardava si sarebbe salvato. Questa, ha soggiunto, è una figura, ma anche “una profezia, è una promessa, una promessa non facile da capire” perché Gesù stesso a Nicodemo spiega che “come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna”.

Gesù ha preso su di sé tutti i nostri peccati

Dunque, ha rilevato, “quel serpente di bronzo era una figura di Gesù innalzato sulla Croce”:
“Ma perché il Signore ha preso questa figura tanto brutta, tanto cattiva? Semplicemente perché Lui è venuto per prendere su di sé tutti i nostri peccati e Lui è diventato il più grande peccatore senza averne fatto alcuno. E Paolo ci dice: ‘Lui si è fatto peccato per noi’, riprendendo la figura ‘Lui si è fatto serpente’. E’ brutto! Lui si è fatto peccato per salvarci, questo significa il messaggio della liturgia della Parola di oggi, il percorso di Gesù”.
Dio si è fatto uomo e si è addossato il peccato. E Paolo ai Filippesi, “a cui voleva tanto bene”, spiega questo mistero: “Pur essendo nella condizione di Dio, Gesù non ritenne un privilegio di essere come Dio ma svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini; umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e morte di Croce”.

La strada del cristiano è abbassarsi come Gesù sulla Croce

Gesù, ha detto Francesco, “annientò se stesso, si è fatto peccato per noi, Lui che non conosceva peccato”. Questo, ha commentato, “è il mistero, possiamo dire: ‘Si è fatto come un serpente’, brutto”:
“Quando guardiamo Gesù sulla Croce, ma ci sono bei dipinti, ma la realtà è un’altra: era strappato tutto, insanguinato dai nostri peccati. Questa è la strada che Lui ha preso per vincere il serpente nel suo campo. Guardare la Croce di Gesù, ma non quelle croci artistiche, ben dipinte: guardare la realtà, cosa era la croce in quel tempo. E guardare il suo percorso e a Dio, che annientò se stesso, si abbassò per salvarci. Anche questa è la strada del cristiano. Se un cristiano vuole andare avanti sulla strada della vita cristiana deve abbassarsi, come si è abbassato Gesù. E’ la strada dell’umiltà, sì, ma anche di portare su di sé le umiliazioni come le ha portate Gesù”.

Nella festa della Esaltazione della Santa Croce, il Papa ha quindi chiesto la grazia alla Madonna di “piangere d’amore, di piangere di gratitudine perché il nostro Dio tanto ci ha amato che ha inviato il suo Figlio” ad “abbassarsi e annientarsi per salvarci”.





Francesco: Chiesa sia madre, non associazione rigida

Francesco a Santa Marta - OSS_ROM

Francesco a Santa Marta - OSS_ROM

15/09/2015 

“La Chiesa è madre”, non “un’associazione rigida” che alla fine diventa “orfana”. E’ quanto affermato da Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta alla quale hanno preso parte anche i cardinali del “Consiglio dei 9”, riuniti fino a domani con il Papa in Vaticano. Il Pontefice ha sottolineato che, come la Vergine, la Chiesa deve avere quella “maternità” che si esprime negli atteggiamenti di umiltà, bontà, perdono e tenerezza. Il servizio diAlessandro Gisotti:

“Figlio, ecco la tua Madre”. Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia muovendo dalla straordinaria parola che Gesù sulla Croce rivolge “al discepolo che Egli amava e a Maria”. E subito, commentando il Vangelo odierno, sottolinea che “non si può pensare Maria senza pensarla madre”.

Gesù non ci lascia orfani, abbiamo una Madre che ci protegge
Al tempo stesso, ha proseguito, “la sua maternità si allarga nella figura di quel nuovo figlio, si allarga a tutta la Chiesa e a tutta l’umanità”:

“In questo tempo dove non so se è il principale senso ma c’è un grande senso nel mondo di orfanità, (è) un mondo orfano, questa Parola ha un’importanza grande, l’importanza che Gesù ci dice: ‘Non vi lascio orfani, vi do una madre’. E questo anche è il nostro orgoglio: abbiamo una madre, una madre che è con noi, ci protegge, che ci accompagna, che ci aiuta, anche nei tempi difficili, nei momenti brutti”.

Chiesa sia madre tenera, non associazione  senza calore umano
I monaci russi, ha rammentato, dicono che “nei momenti delle turbolenze spirituali dobbiamo andare sotto il mantello della Santa Madre di Dio” e così la madre “ci accoglie e ci protegge e si prende cura di noi”. Ma “questa maternità di Maria – ha ripreso – possiamo dire che va oltre Lei, è contagiosa”. Dalla maternità di Maria viene una seconda maternità, la “maternità della Chiesa”:

“La Chiesa è madre. E’ la nostra ‘santa madre Chiesa’, che ci genera nel Battesimo, ci fa crescere nella sua comunità e ha quegli atteggiamenti di maternità, la mitezza, la bontà: la Madre Maria e la madre Chiesa sanno carezzare i loro figli, danno tenerezza. Pensare la Chiesa senza questa maternità è pensare a un’associazione rigida, un’associazione senza calore umano, orfana”.

Senza maternità, rimane solo rigidità e disciplina
“La Chiesa è madre e ci riceve a tutti noi come madre: Maria madre, la Chiesa madre”, una maternità che “si esprime negli atteggiamenti di umiltà, di accoglienza, di comprensione, di bontà, di perdono e di tenerezza”:

“E dove c’è maternità e vita c’è vita, c’è gioia, c’è pace, si cresce in pace. Quando manca questa maternità soltanto rimane la rigidità, quella disciplina, e non si sa sorridere. Una delle cose più belle e umane è sorridere a un bambino e farlo sorridere”.

“Il Signore – ha concluso il Papa – ci faccia sentire anche oggi quando Lui un’altra volta si offre al Padre per noi: ‘Figlio, ecco la tua madre!’”.





  (pausa viaggio apostolico del Papa in America)




Papa: ognuno ha un Angelo accanto, ascoltiamolo docilmente

Francesco: ognuno ha il suo Angelo custode

Francesco: ognuno ha il suo Angelo custode

02/10/2015rsona Dio ha dato la “compagnia” di un Angelo per consigliarla e proteggerla, un Angelo da ascoltare con docilità. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa del mattino, celebrata nella cappella di Casa Santa Marta nel giorno della Festa degli Angeli Custodi. Il servizio diAlessandro De Carolis:

La prova di una paternità che tutto ama e copre la si trova nelle prime pagine della Bibbia. Quando Dio caccia Adamo dal Paradiso non lo lascia solo, non gli dice – afferma il Papa – “arrangiati come puoi”.

Ambasciatore di Dio accanto a noi
Francesco cita preghiere e salmi per ricordare come la figura dell’Angelo custode sia sempre stata presente in ogni vicenda del rapporto tra l’uomo e il cielo. “Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato”, afferma il brano del Libro dell’Esodo proposto dalla liturgia. Liturgia dedicata a quelle particolari presenze celesti che, sottolinea il Papa, “il Signore ha dato a tutti”. “Ognuno di noi ne ha uno” che “ci accompagna”:

“E’ sempre con noi! E questa è una realtà. E’ come un ambasciatore di Dio con noi. E il Signore ci consiglia: ‘Abbi rispetto della sua presenza!’. E quando noi – per esempio – facciamo una cattiveria e pensiamo che siamo soli: no, c’è lui. Aver rispetto della sua presenza. Dà ascolto alla sua voce, perché lui ci consiglia. Quando sentiamo quell’ispirazione: 'Ma fa questo… questo è meglio… questo non si deve fare…'. Ascolta! Non ribellarti a lui”.

Rispettarlo e ascoltarlo
L’Angelo custode ci difende sempre e soprattutto dal male, assicura Francesco. Talvolta, osserva, “pensiamo che noi possiamo nascondere tante cose”, “cose brutte”, che alla fine verranno comunque alla luce. E l’Angelo, dice, è lì “per consigliarci”, per “coprirci”, esattamente come farebbe “un amico”. “Un amico che noi non vediamo, ma che sentiamo”. Un amico che un giorno “sarà con noi in Cielo, nella gioia eterna”:

“Soltanto chiede di ascoltarlo, di rispettarlo. Soltanto questo: rispetto e ascolto. E questo rispetto e ascolto a questo compagno di cammino si chiama docilità. Il cristiano deve essere docile allo Spirito Santo. La docilità allo Spirito Santo incomincia con questa docilità ai consigli di questo compagno di cammino”.

Docili con l’Angelo che ci guida
E per essere docili, indica Papa Francesco, bisogna essere piccoli, come bambini, ovvero come coloro che Gesù ha detto essere i più grandi nel Regno di suo Padre. Dunque, conclude, l’Angelo custode è “un compagno di cammino” che insegna l’umiltà e che come bambini va ascoltato:

“Chiediamo oggi al Signore la grazia di questa docilità, di ascoltare la voce di questo compagno, di questo ambasciatore di Dio che è accanto a noi nel nome Suo, che siamo sorretti dal suo aiuto. Sempre in cammino… E anche in questa Messa, con la quale noi lodiamo il Signore, ricordiamo quanto buono è il Signore che giusto dopo aver perso l’amicizia, non ci ha lasciato soli, non ci ha abbandonato”.









Francesco: no ai ministri di rigidità, Dio vuole misericordia

Papa Francesco a Santa Marta - OSS_ROM

Papa Francesco a Santa Marta - OSS_ROM

06/10/2015 

Guardiamoci dall’avere un cuore duro che non lascia entrare la misericordia di Dio. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, prima di recarsi all’Aula Nuova del Sinodo. Il Papa ha esortato a non resistere alla misericordia del Signore, credendo più importanti i propri pensieri o un elenco di comandamenti da osservare. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Il profeta Giona resiste alla volontà di Dio, ma alla fine impara che deve obbedire al Signore. Francesco ha sviluppato la sua omelia muovendo dalla Prima Lettura, tratta proprio dal Libro di Giona, e ha osservato che la grande città di Ninive si converte proprio grazie alla sua predicazione:

“Davvero fa il miracolo, perché in questo caso lui ha lasciato da parte la sua testardaggine e ha obbedito alla volontà di Dio, e ha fatto quello che il Signore gli aveva comandato”.

Ninive, dunque, si converte e davanti a questa conversione, Giona, che è uomo “non docile allo Spirito di Dio, si arrabbia”: “Giona – ha detto il Papa – provò grande dispiacere e fu sdegnato”. E, addirittura, “rimprovera il Signore”.

Se il cuore è duro, la misericordia di Dio non può entrare
La storia di Giona e Ninive, annota Francesco, si articola dunque in tre capitoli:  il primo “è la resistenza alla missione che il Signore gli affida”; il secondo “è l’obbedienza, e quando si obbedisce si fanno miracoli. L’obbedienza alla volontà di Dio e Ninive si converte”. Nel terzo capitolo, “c’è la resistenza alla misericordia di Dio”:

“Quelle parole, ‘Signore, non era forse questo che dicevo quando ero nel mio Paese? Perché Tu sei un Dio misericordioso e pietoso’, e io ho fatto tutto il lavoro di predicare, io ho fatto il mio mestiere ben fatto, e Tu li perdoni? E’ il cuore con quella durezza che non lascia entrare la misericordia di Dio. E’ più importante la mia predica, sono più importanti i miei pensieri, è più importante tutto quell’elenco di comandamenti che devo osservare, tutto, tutto, tutto che la misericordia di Dio”.

Anche Gesù non era capito per la sua misericordia
“E questo dramma – rammenta Francesco – anche Gesù lo ha vissuto con i Dottori della Legge, che non capivano perché Lui non lasciò lapidare quella donna adultera, come Lui andava a cena con i pubblicani e i peccatori: non capivano. Non capivano la misericordia. ‘Tu sei misericordioso e pietoso’”. Il Salmo che oggi abbiamo pregato, prosegue il Papa, ci suggerisce di “attendere il Signore perché con il Signore è la misericordia, e grande è con Lui la redenzione”.

No ai ministri della rigidità, il Signore ci chiede misericordia
“Dove c’è il Signore – riprende Francesco – c’è la misericordia. E Sant’Ambrogio aggiungeva: ‘E dove c’è la rigidità ci sono i suoi ministri’. La testardaggine che sfida la missione, che sfida la misericordia”:

“Vicini all’inizio dell’Anno della Misericordia, preghiamo il Signore che ci faccia capire come è il suo cuore, cosa significa ‘misericordia’, cosa vuol dire quando Lui dice: ‘Misericordia voglio, e non sacrificio!’. E per questo, nella preghiera Colletta della Messa abbiamo pregato tanto con quella frase tanto bella: ‘Effondi su di noi la Tua misericordia’, perché soltanto si capisce la misericordia di Dio quando è stata versata su di noi, sui nostri peccati, sulle nostre miserie …”






Caterina63
00giovedì 8 ottobre 2015 17:57



MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA 
DOMUS SANCTAE MARTHAE

I senza nome

Giovedì, 8 ottobre 2015

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n.230, 09/10/2015)

Gli accorati «perché» rivolti insistentemente a Dio dagli uomini ritornano anche, nero su bianco, nelle tante lettere che Francesco riceve ogni giorno. Lo ha confidato egli stesso, condividendo i sentimenti di una giovane madre di famiglia di fronte al dramma del tumore e di un’anziana donna che piange il figlio assassinato dalla mafia. Hanno scritto al Papa chiedendo perché i malvagi sembrano essere felici mentre ai giusti le cose vanno sempre nel verso sbagliato. È proprio a questi forti interrogativi che il Pontefice ha risposto celebrando giovedì mattina, 8 ottobre, nella cappella della Casa Santa Marta. E assicurando che Dio non abbandona mai chi si affida a Lui.

Per questa riflessione ha preso le mosse dalle parole del salmo 1 — «Beato l’uomo che confida nel Signore» — che è appunto «come una risposta alle lamentele di tanta gente, a tanti perché che noi diciamo a Dio». E quei «tanti perché» sono espressi proprio nel passo biblico tratto dal libro di Malachia (3, 13-20), proposto dalla liturgia odierna.

«Il Signore — ha affermato Francesco — si lamenta con questa gente, anche Lui si lamenta, e dice così: “Duri sono i vostri discorsi contro di me”». E, ancora, «dice il Signore, voi andate dicendo: “Che cosa abbiamo detto contro di te?”. Avete affermato: “È inutile servire Dio: che vantaggio abbiamo ricevuto dall’aver osservato i suoi comandamenti o dall’aver camminato in lutto davanti al Signore? Dobbiamo invece proclamare beati i superbi che, pur facendo il male, si moltiplicano e, pur provocando Dio, restano impuniti”».

«Quante volte — ha rilanciato il Papa — noi vediamo questa realtà in gente cattiva; gente che fa del male e che sembra che nella vita le vada bene: sono felici, hanno tutto quello che vogliono, non manca loro niente». Di qui la domanda: «Perché Signore?». Sì, ha affermato il Papa, «è uno dei tanti perché: perché a questo che è uno sfacciato, al quale non importa niente di Dio né degli altri, una persona ingiusta pure cattiva, va bene tutto nella vita, ha tutto quello che vuole e noi che vogliamo fare del bene abbiamo tanti problemi?».

A questo proposito, il Papa ha confidato di aver ricevuto proprio ieri «una lettera di una mamma coraggiosa»: quarant’anni, tre figli, il marito e, in casa, il dramma di un tumore, «di quelli brutti». La donna ha scritto a Francesco per chiedergli: «Ma perché mi accade questo?». Inoltre, ha aggiunto il Papa, «alcune settimane fa», in «un’altra lettera, un’anziana, che è rimasta sola perché il figlio è stato assassinato dalla mafia», gli ha domandato un altro «perché?». Aggiungendo: «Io prego». E, ancora, «un altro perché» in un’altra lettera: «Io educo i miei figli, vado avanti con una famiglia che ama Dio: perché?».

«Questi “perché”», ha affermato il Pontefice, in realtà ce li poniamo tutti. E in particolare ci domandiamo «perché i malvagi sembrano essere tanto felici?». A questi interrogativi viene in soccorso la parola di Dio. Nel passo di Malachia, ha ricordato il Papa, si legge appunto: «Il Signore porse l’orecchio e li ascoltò». Infatti «il Signore ascolta i nostri perché, sempre». E, ancora, si legge nel passo odierno di Malachia: «Un libro di memorie fu scritto davanti a lui per coloro che lo temono e che onorano il suo nome. Essi diverranno la mia proprietà particolare nel giorno che io preparo». Dunque, ha proseguito Francesco, «la memoria di Dio per i giusti, per quelli che in questo momento soffrono, che non riescono a spiegarsi la propria situazione». Sì, «la memoria di Dio per quelli che, benché dicano “perché? perché? perché?”, confidano nel Signore».

Ed è proprio l’atteggiamento delineato dal salmo 1: «Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti, ma nella legge del Signore trova la sua gioia. La sua legge medita giorno e notte. È come albero piantato lungo corsi di acqua, che dà frutto al suo tempo».

«Adesso — ha spiegato il Papa — non vediamo i frutti di questa gente che soffre, di questa gente che porta la croce» proprio «come quel Venerdì Santo e quel Sabato Santo non si vedevano i frutti del Figlio di Dio crocifisso, delle sue sofferenze». E «tutto quello che farà, riuscirà bene» recita il salmo 1.

Cosa dice, invece, lo stesso salmo «sui malvagi, su quelli che noi pensiamo vada tutto bene?». Francesco ha riletto quei versi: «Non così, non così malvagi, ma come pula che il vento disperde; poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti, mentre la via dei malvagi va in rovina». Insomma «tu stai bene oggi, hai tutto, non ti importa di Dio, non ti importa degli altri, sfrutti gli altri: sei un ingiusto, soltanto pensi a te stesso, non agli altri».

Ma, ha suggerito il Papa, «c’è una cosa che Gesù ha detto e mi viene sempre in mente: “Dimmi qual è il tuo nome?”». Sì, questa gente non sa neppure come si chiama, «non ha nome». E ha ricordato la parabola del povero Lazzaro «che non aveva da mangiare e i cani leccavano le sue ferite». Mentre «l’uomo ricco, che faceva i banchetti, se la spassava senza guardare ai bisogni degli altri». Ed è curioso, ha notato il Papa, che «di quell’uomo non si dice il nome» ma «è soltanto un aggettivo: è un ricco». Infatti «nel libro della memoria di Dio dei malvagi non c’è nome: è un malvagio, è un truffatore, è uno sfruttatore». Sono persone che «non hanno nome, soltanto hanno aggettivi». Invece, ha rimarcato il Pontefice, «tutti quelli che cercano di andare sulla strada del Signore saranno con suo Figlio, che ha il nome: Gesù Salvatore. Ma un nome difficile da capire, anche inspiegabile per la prova della croce e per tutto quello che Lui ha sofferto per noi».

In conclusione Francesco ha invitato a ripensare proprio alle parole del salmo 1: «Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, ma nella legge del Signore trova la sua gioia». E così, «benché ci siano sofferenze, spera nel Signore». Proprio «come abbiamo pregato nell’orazione colletta, chiede al Signore di aggiungere quello che la sua coscienza “non osa sperare”». Sì, «anche quello chiede: che il Signore gli dia più speranza».

 



Francesco: calunnie, invidie e trappole vengono dal diavolo

Il Papa nella cappella di Casa Santa Marta - OSS_ROM

Il Papa nella cappella di Casa Santa Marta - OSS_ROM

09/10/2015 

Interpretare male chi fa il bene, calunniare per invidia, tendere trappole per far cadere, tutto questo non viene da Dio ma dal diavolo. Il Papa commenta il Vangelo del giorno presiedendo la Messa del mattino a Casa Santa Marta ed esorta al discernimento e alla vigilanza. Il servizio di Sergio Centofanti:

Rigidità dottrinali
Nel Vangelo di questo venerdì, Gesù scaccia un demonio, fa il bene, sta tra la gente che lo ascolta e riconosce la sua autorità, ma c’è chi lo accusa, sottolinea il Papa:

“C’era un altro gruppo di persone che non gli voleva bene e cercava sempre di interpretare le parole di Gesù e anche gli atteggiamenti di Gesù, in modo diverso, contro Gesù. Alcuni per invidia, altri per rigidità dottrinali, altri perché avevano paura che venissero i romani e facessero strage; per tanti motivi cercavano di allontanare l’autorità di Gesù dal popolo e anche con la calunnia, come in questo caso. ‘Lui scaccia i demoni per mezzo di Belzebù. Lui è un indemoniato. Lui fa delle magie, è uno stregone’. E continuamente lo mettevano alla prova, gli mettevano davanti un tranello, per vedere se cadeva”.

Discernimento e vigilanza
Papa Francesco invita al discernimento e alla vigilanza. “Saper discernere le situazioni”: ciò che viene da Dio e ciò che viene dal maligno che “sempre cerca di ingannare”, “di farci scegliere una strada sbagliata”. “Il cristiano non può essere tranquillo che tutto va bene, deve discernere le cose e guardare bene da dove vengono, qual è la loro la radice”.

Il diavolo anestetizza la coscienza
E poi la vigilanza, perché in un cammino di fede “le tentazioni tornano sempre, il cattivo spirito non si stanca mai”. Se “è stato cacciato via” ha “pazienza, aspetta per tornare” e se lo si lascia entrare si cade in una situazione peggiore. Infatti, prima si sapeva che era “il demonio che tormentava”. Dopo, “il Maligno è nascosto, viene con i suoi amici molto educati, bussa alla porta, chiede permesso, entra e convive con quell’uomo, la sua vita quotidiana e, goccia a goccia, dà le istruzioni”. Con “questa modalità educata” il diavolo convince a “fare le cose con relativismo”, tranquillizzando la coscienza:

“Tranquillizzare la coscienza. Anestetizzare la coscienza. E questo è un male grande. Quando il cattivo spirito riesce ad anestetizzare la coscienza si può parlare di una sua vera vittoria, diventa il padrone di quella coscienza: ‘Ma, questo accade dappertutto! Sì, ma tutti, tutti abbiamo problemi, tutti siamo peccatori, tutti…’. E nel ‘tutti’ c’è il ‘nessuno’. ‘Tutti, ma io no’. E così si vive questa mondanità che è figlia del cattivo spirito”.

Fare sempre esame di coscienza
Il Papa ribadisce le due parole, vigilanza e discernimento:

“Vigilanza. La Chiesa ci consiglia sempre l’esercizio dell’esame di coscienza: cosa è successo oggi nel mio cuore, oggi, per questo? E’ venuto questo demonio educato con i suoi amici da me?  Discernimento. Da dove vengono i commenti, le parole, gli insegnamenti, chi dice questo? Discernere e vigilanza, per non lasciare entrare quello che inganna, che seduce, che affascina. Chiediamo al Signore questa grazia, la grazia del discernimento e la grazia della vigilanza”. 






MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA 
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Chi ha portato via la chiave

Giovedì, 15 ottobre 2015


 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n.236, 16/10/2015)

«Una delle cose più difficili da capire, per tutti noi cristiani, è la gratuità della salvezza in Cristo». Perché da sempre ci sono «dottori della legge» che ingannano restringendo l’amore di Dio in «piccoli orizzonti», quando è invece qualcosa di «immenso, senza limiti». È una questione che inizialmente ha impegnato Gesù stesso, l’apostolo Paolo e tanti santi nella storia, fino ai nostri giorni. E tra questi c’è stata anche Teresa d’Avila. Nel giorno in cui la Chiesa ricorda la mistica carmelitana — di cui ricorrono i 500 anni della nascita — Papa Francesco ha evidenziato come questa donna abbia ricevuto dal Signore «la grazia di capire gli orizzonti dell’amore».

Celebrando giovedì mattina, 15 ottobre, la messa nella cappella di Casa Santa Marta, il Pontefice ha collegato le letture — tratte dalla lettera di Paolo ai Romani (3, 21-30a) e dal Vangelo (Luca 11, 47-54) — con la straordinaria esperienza vissuta da Teresa. Anche lei, ha spiegato, «è stata giudicata dai dottori dei suoi tempi. Non è andata in prigione, ma si è salvata per poco, e comunque è stata inviata in un altro convento e vigilata». Del resto, ha fatto notare, «questa è una lotta che perdura nella storia, tutta la storia».

La storia appunto di cui parlano entrambi i brani delle letture. Riproponendole il Papa ha osservato come sia Paolo sia Gesù sembrino «un po’ arrabbiati, diciamo infastiditi». Perciò si è chiesto da dove venisse questo malessere in Paolo. L’apostolo, è stata la risposta, «difendeva la dottrina, era il grande difensore della dottrina, e il fastidio gli veniva da questa gente che non tollerava la dottrina». Quale dottrina? «La gratuità della salvezza. Dio — ha detto Francesco in proposito — ci ha salvato gratuitamente e ci ha salvato tutti». Mentre c’erano gruppi che dicevano: «No, si salva soltanto quella persona, quell’uomo, quella donna che fa questo, questo, questo, questo, questo... che fa queste opere, che compie questi comandamenti». Ma in tal modo «quello che era gratuito, dall’amore di Dio, secondo questa gente contro la quale parla Paolo», finiva col divenire «una cosa che possiamo ottenere: “Se io faccio questo, Dio ha l’obbligo di darmi la salvezza”. È quello che Paolo chiama “la salvezza per mezzo delle opere”».

Perciò è così difficile da comprendere, la gratuità della salvezza in Cristo. «Noi siamo abituati — ha proseguito il Papa — a sentire che Gesù è il Figlio di Dio, che è venuto per amore, per salvarci e che è morto per noi. Ma lo abbiamo sentito così tante volte che ci siamo abituati». Quando infatti «entriamo in questo mistero di Dio, di questo amore di Dio, questo amore senza limiti, un amore immenso», ne restiamo talmente «meravigliati» che «forse preferiamo non capirlo: meglio la salvezza nello stile “facciamo queste cose e saremo salvi”». Certo, ha chiarito il Pontefice, «fare il bene, fare le cose che Gesù ci dice di fare, è buono e si deve fare»; eppure «l’essenza della salvezza non deriva da ciò. Questa è la mia risposta alla salvezza che è gratuita, viene dall’amore gratuito di Dio».

Ed è per questo che lo stesso Gesù può sembrare «un po’ accanito contro i dottori della legge», ai quali «dice cose forti e molto dure: “Voi avete portato via la chiave della conoscenza, voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi glielo avete impedito, perché avete portato via la chiave”, cioè la chiave della gratuità della salvezza, di quella conoscenza». Infatti, ha rimarcato il Papa, questi dottori della legge pensavano che ci si potesse salvare soltanto «rispettando tutti i comandamenti», mentre «chi non faceva quello era un condannato». In pratica, ha detto Francesco con un’immagine molto evocativa, «accorciavano gli orizzonti di Dio e facevano l’amore di Dio piccolo, piccolo, piccolo, piccolo, alla misura di ognuno di noi».

Dunque ecco spiegata «la lotta che sia Gesù sia Paolo fanno per difendere la dottrina». E a chi dovesse obiettare: «Ma padre, non ci sono i comandamenti?», Francesco ha risposto: «Sì, ci sono! Ma ce n’è uno, che Gesù dice che è proprio come la sintesi di tutti i comandamenti: amare Dio e amare il prossimo». Proprio grazie a «questo atteggiamento di amore, noi siamo all’altezza della gratuità della salvezza, perché l’amore è gratuito». Un esempio? «Se io dico: “Ah, io ti amo!”, ma ho un interesse dietro, quello non è amore, quello è interesse. E per questo Gesù dice: “L’amore più grande è questo: amare Dio con tutta la vita, con tutto il cuore, con tutta la forza, e il prossimo come te stesso”. Perché è l’unico comandamento che è all’altezza della gratuità della salvezza di Dio». Al punto che Gesù poi aggiunge: «In questo comandamento ci sono tutti gli altri, perché quello chiama — fa tutto il bene — tutti gli altri”. Ma la fonte è l’amore; l’orizzonte è l’amore. Se tu hai chiuso la porta e hai portato via la chiave dell’amore, non sarai all’altezza della gratuità della salvezza che hai ricevuto».

È una storia che si ripete. «Quanti santi — ha affermato Francesco — sono stati perseguitati per difendere l’amore, la gratuità della salvezza, la dottrina. Tanti santi. Pensiamo a Giovanna d’Arco». Perché la «lotta per il controllo della salvezza — soltanto si salvano questi, questi che fanno queste cose — non è finita con Gesù e con Paolo». E non finisce neanche per noi. Infatti è una lotta che pure noi ci portiamo dentro. Ecco dunque il consiglio del Pontefice: «Ci farà bene oggi domandarci: io credo che il Signore mi ha salvato gratuitamente? Io credo che io non merito la salvezza? E se merito qualcosa è per mezzo di Gesù Cristo e di quello che lui ha fatto per me? È una bella domanda: io credo nella gratuità della salvezza? E infine, credo che l’unica risposta sia l’amore, il comandamento dell’amore, del quale Gesù dice che lì sono riassunti gli insegnamenti di tutti i profeti e tutta la legge?». Da qui l’invito conclusivo a rinnovare «oggi queste domande. Soltanto così saremo fedeli a questo amore tanto misericordioso: amore di padre e di madre, perché anche Dio dice che lui è come una madre con noi; amore, orizzonti grandi, senza limiti, senza limitazioni. E non ci lasciamo ingannare dai dottori che limitano questo amore».





Papa: l’ipocrisia è un virus nell’ombra, la preghiera lo vince

Papa Francesco celebra la Messa a Santa Marta - OSS_ROM

Papa Francesco celebra la Messa a Santa Marta - OSS_ROM

16/10/2015 

Bisogna pregare tanto per non lasciarsi contagiare dal “virus” dell’ipocrisia, quell’atteggiamento farisaico che seduce con le menzogne stando nell’ombra. È la sollecitazione di Gesù che Papa Francesco ha invitato ad accogliere, commentando il Vangelo del giorno all’omelia della Messa in Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Non ha un colore l’ipocrisia, piuttosto gioca con le mezze tinte. Si insinua e seduce in “chiaroscuro”, con “il fascino della menzogna”. Il Papa considera la scena ritratta dal brano del giorno del Vangelo di Luca – Gesù e i discepoli in mezzo a una calca che si calpesta i piedi tanto è fitta – mettendo in luce lo schietto avvertimento di Cristo ai suoi: “Guardatevi dal lievito dei farisei”. “È una cosa piccolissima” il lievito, osserva Francesco, ma per come Gesù ne parla è come se volesse dire “virus”. Come “un medico” che dica “ai suoi collaboratori” di fare attenzione ai rischi di un “contagio”:

“L’ipocrisia è quel modo di vivere, di agire, di parlare che non è chiaro. Forse sorride, forse è serio… Non è luce, non è tenebra… Si muove in una maniera che sembra non minacciare nessuno, come la serpe, ma ha il fascino del chiaroscuro. Ha quel fascino di non avere le cose chiare, di non dire le cose chiaramente; il fascino della menzogna, delle apparenze… Ai farisei ipocriti, Gesù diceva anche che erano pieni di se stessi, di vanità, che a loro piaceva passeggiare nelle piazze facendo vedere che erano importanti, gente colta…”.

Gesù tuttavia rassicura la folla. “Non abbiate paura”, afferma, perché “non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto”. Come a dire, osserva ancora Francesco, che nascondersi “non aiuta”, anche se “il lievito dei farisei” portava e porta “la gente ad amare più le tenebre che la luce”:

“Questo lievito è un virus che ammala e ti farà morire. Guardatevi! Questo lievito ti porta alle tenebre. Guardatevi! Ma c’è uno che è più grande di questo: è il Padre che è nel Cielo. ‘Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure, nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati’. E poi, l’esortazione finale: ‘Non abbiate paura! Valete più di molti passeri!’. Davanti a tutte queste paure che ci mettono di qua e di là e di là, e che ci mette il virus, il lievito dell’ipocrisia farisaica, Gesù ci dice: ‘C’è un Padre. C’è un Padre che vi ama. C’è un Padre che ha cura di voi’”.

E c’è un solo modo per evitare il contagio, sostiene Papa Francesco. È la strada indicata da Gesù: pregare. L’unica soluzione, conclude, per non cadere in quell’“atteggiamento farisaico che non è né luce né tenebre”, ma è “a metà” di un cammino che “mai arriverà alla luce di Dio”:

“Preghiamo. Preghiamo tanto. ‘Signore, custodisci la tua Chiesa, che siamo tutti noi: custodisci il tuo popolo, quello che si era radunato e si calpestavano tra loro, a vicenda. Custodisci il tuo popolo, perché ami la luce, la luce che viene dal Padre, che viene da Tuo Padre, che ha inviato Te per salvarci. Custodisci il tuo popolo perché non divenga ipocrita, perché non cada nel tepore della vita. Custodisci il tuo popolo perché abbia la gioia di sapere che c’è un Padre che ci ama tanto”.





Caterina63
00martedì 20 ottobre 2015 13:25

Il Papa: l'attaccamento alla ricchezza divide le famiglie e causa le guerre

Il Papa durante la Messa a Santa Marta - OSS_ROM

Il Papa durante la Messa a Santa Marta - OSS_ROM

19/10/2015 

Gesù non condanna la ricchezza ma l’attaccamento alla ricchezza che divide le famiglie e provoca le guerre: è quanto ha detto Papa Francesco nella Messa del Mattino a Casa Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:

La religione non diventi un'agenzia di assicurazioni
“L’attaccamento alle ricchezze è un’idolatria”: Papa Francesco ricorda che non è possibile “servire due padroni”: o si serve Dio o la ricchezza. Gesù “non è contro le ricchezze in se stesse”, ma mette in guardia dal porre la propria sicurezza nel denaro che può fare della “religione un’agenzia di assicurazioni”. Inoltre, l’attaccamento ai soldi divide, come dice il Vangelo che parla dei “due fratelli che litigano sull’eredità”:

“Ma pensiamo noi a quante famiglie conosciamo che hanno litigato, litigano, non si salutano, si odiano per un’eredità. E questo è uno dei casi. Più importante non è l’amore della famiglia, l’amore dei figli, dei fratelli, dei genitori, no, sono i soldi. E questo distrugge. Anche le guerre, le guerre che oggi noi vediamo. Ma sì, c’è un ideale, ma dietro ci sono i soldi: i soldi dei trafficanti di armi, i soldi di quelli che approfittano della guerra. E questa è una famiglia, ma tutti – sono sicuro – tutti conosciamo almeno una famiglia divisa così. E Gesù è chiaro: ‘Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia: è pericoloso’. La cupidigia. Perché ci dà questa sicurezza che non è vera e ti porta sì a pregare – tu puoi pregare, andare in Chiesa – ma anche ad avere il cuore attaccato, e alla fine finisce male”.

Un imprenditore ricco che non condivide le ricchezze con i suoi operai
Gesù racconta la parabola di un uomo ricco, “un imprenditore bravo”, la cui “campagna aveva dato un raccolto abbondante” ed “era pieno di ricchezze”…

“… e invece di pensare: ‘Ma condividerò questo con i miei operai, con i miei dipendenti, perché anche loro abbiano un po’ di più per le loro famiglie’, ragionava tra sé: ‘Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Ah, farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi’. Sempre di più. La sete dell’attaccamento alle ricchezze non finisce mai. Se tu hai il cuore attaccato alla ricchezza - quando ne hai tante - ne vuoi di più. E questo è il dio della persona che è attaccata alle ricchezze”.

Fare l'elemosina, dando anche il necessario, con amore
La strada della salvezza – afferma il Papa – è quelle delle Beatitudini: “la prima è la povertà di spirito”, cioè non essere attaccati alle ricchezze che – se si possiedono - sono “per il servizio degli altri, per condividere, per fare andare avanti tanta gente”. E il segno che non siamo “in questo peccato di idolatria” è fare l’elemosina, è dare “a quelli che hanno bisogno” e dare non il superfluo ma quello che mi costa “qualche privazione” perché forse “è necessario per me”. “Quello è un buon segno. Quello significa che è più grande l’amore verso Dio che l’attaccamento alle ricchezze”. Dunque ci sono tre domande che possiamo farci:

“Prima domanda: ‘Do?’. Seconda: ‘Quanto do?’. Terza domanda: ‘Come do? Come dà Gesù, con la carezza dell’amore o come chi paga una tassa? Come do?’. ‘Ma padre, cosa vuol dire con questo lei?’. Quando tu aiuti una persona, la guardi negli occhi? Le tocchi la mano? E’ la carne di Cristo, è tuo fratello, tua sorella. E tu in quel momento sei come il Padre che non lascia mancare il cibo agli uccellini del Cielo. Con quanto amore il Padre dà. Chiediamo al Signore la grazia di essere liberi da questa idolatria, l’attaccamento alle ricchezze; la grazia di guardare Lui, tanto ricco nel suo amore e tanto ricco nella sua generosità, nella sua misericordia; e la grazia di aiutare gli altri con l’esercizio dell’elemosina, ma come lo fa Lui. ‘Ma, padre, Lui non si è privato di niente…’. Gesù Cristo, essendo uguale a Dio, si privò di questo, si abbassò, si annientò, e anche Lui si è privato”.







Papa: Dio non sta fermo, esce a cercarci e ci ama senza misura

Papa Francesco tiene l'omelia a Casa Santa Marta - OSS_ROM

Papa Francesco tiene l'omelia a Casa Santa Marta - OSS_ROM

20/10/2015 

Dio dona sempre con larghezza la sua grazia agli uomini, che invece hanno “l’abitudine di misurare le situazioni”: capire l’abbondanza dell’amore divino è sempre frutto di una grazia. È la sostanza dell’omelia che Papa Francesco ha sviluppato durante la Messa del mattino celebrata a Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Abbondante. L’amore di Dio per l’uomo è così. Di una generosità che all’uomo invece sfugge, troppo abituato a centellinare quando decide di donare qualcosa che possiede. Papa Francesco legge il brano di San Paolo in questa chiave. La salvezza portata da Gesù, che supera la caduta di Adamo, è una dimostrazione di questo darsi con abbondanza. E la salvezza, spiega, “è l’amicizia tra noi e Lui”:

“Come dà Dio, in questo caso l’amicizia, la salvezza tutta nostra? Dà come dice che darà a noi quando facciamo un’opera buona: ci darà una misura buona, pigiata, colma, traboccante… Ma questo fa pensare all’abbondanza e questa parola, ‘abbondanza’,  in questo brano viene ripetuta tre volte. Dio dà nell’abbondanza fino al punto di dire, Paolo, come il riassunto finale: ‘Dove abbondò il peccato sovrabbondò la grazia’. Sovrabbonda, tutto. E questo è l’amore di Dio: senza misura. Tutto se stesso”.

Un Dio che esce
Senza misura come il padre della parabola evangelica, che tutti i giorni scruta l’orizzonte per vedere se suo figlio ha deciso di ritornare da lui. “Il cuore di Dio – afferma Francesco – non è chiuso: è sempre aperto. E quando noi arriviamo, come quel figlio, ci abbraccia, ci bacia: un Dio che fa festa”:

“Dio non è un Dio meschino: Lui non conosce la meschinità. Lui dà tutto. Dio non è un Dio fermo: Egli guarda, aspetta che noi ci convertiamo. Dio è un Dio che esce: esce a cercare, a cercare ognuno di noi. Ma questo è vero? Ogni giorno Lui ci cerca, ci sta cercando. Come ha già fatto, come già detto, nella Parola della pecora smarrita o della moneta perduta: cerca. Sempre è così”.

Abbraccio senza misura
In cielo, ribadisce ancora il Papa, si fa “più festa” per un solo peccatore che si converte che per cento che rimangono giusti. E tuttavia – riconosce – “non è facile, con i nostri criteri umani”, piccoli e limitati, “capire l’amore di Dio”. Lo si comprende per una “grazia”, come lo aveva compreso, ricorda Francesco, la suora 84.enne, conosciuta nella sua diocesi, che ancora girava costantemente per le corsie dell’ospedale a parlare con un sorriso dell’amore di Dio ai malati. Lei, conclude il Papa, ha avuto “il dono di capire questo mistero, questa sovrabbondanza” dell’amore di Dio, che ai più sfugge:

“E’ vero, noi sempre abbiamo l’abitudine di misurare le situazioni, le cose con le misure che noi abbiamo: e le nostre misure sono piccole. Per questo, ci farà bene chiedere allo Spirito Santo la grazia, pregare lo Spirito Santo, la grazia di avvicinarci almeno un po’ per capire questo amore e avere la voglia di essere abbracciati, baciati con quella misura senza limiti”.






Papa: non siamo fachiri, nostro sforzo apre porte a Spirito Santo

Papa Francesco a Santa Marta - OSS_ROM

Papa Francesco a Santa Marta - OSS_ROM

22/10/2015

Lo sforzo del cristiano è teso ad aprire la porta del cuore allo Spirito Santo. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha sottolineato che la conversione, per il cristiano, “è un compito, è un lavoro di tutti i giorni” che ci porta all’incontro con Gesù. Come esempio di questo, Francesco ha raccontato di una madre malata di cancro che ce l’ha messa tutta per sconfiggere la malattia. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Per il cristiano la conversione “è un compito, un lavoro di tutti i giorni”. Papa Francesco prende spunto dalla Lettera di San Paolo ai Romani per sottolineare che per passare dal servizio dell’iniquità alla santificazione, dobbiamo sforzarci quotidianamente.

Non siamo fachiri, nostro sforzo serve a santificazione
San Paolo, ha osservato il Papa, usa “l’immagine dello sportivo”, l’uomo che “si allena per prepararsi alla partita e fa uno sforzo grande”. E dice: “Ma se questo, per vincere una partita fa questo sforzo, ma noi, che dobbiamo arrivare a quella vittoria grande del Cielo, come faremo?”. San Paolo, ha dunque ripreso, ci “esorta tanto ad andare avanti in questo sforzo”:

“‘Ah, Padre, possiamo pensare che la santificazione viene per lo sforzo che io faccio, come la vittoria per quello che fa lo sport viene per l’allenamento?’. No. Lo sforzo che noi facciamo, questo lavoro quotidiano di servire il Signore con la nostra anima, con il nostro cuore, con il nostro corpo, con tutta la nostra vita soltanto apre la porta allo Spirito Santo. E’ Lui che entra in noi e ci salva! Lui è il dono in Gesù Cristo! Al contrario, noi assomiglieremmo ai fachiri: no, noi non siamo fachiri. Noi, con il nostro sforzo, apriamo la porta”.

Andare avanti, non indietreggiare di fronte alle tentazioni
Un compito difficile, ha riconosciuto, “perché la nostra debolezza, il peccato originale, il diavolo sempre ci tirano indietro”. L’autore della Lettera agli Ebrei, ha soggiunto, “ci ammonisce contro questa tentazione di indietreggiare”, di “non andare indietro, non cedere”. Bisogna “andare avanti – ha esortato – sempre: un po’ ogni giorno” anche “quando c’è una grande difficoltà”:

“Alcuni mesi fa, ho incontrato una donna. Giovane, madre di famiglia – una bella famiglia – che aveva il cancro. Un cancro brutto. Ma lei si muoveva con felicità, faceva come se fosse sana. E parlando di questo atteggiamento, mi ha detto: ‘Padre, ce la metto tutta per vincere il cancro!’. Così il cristiano. Noi che abbiamo ricevuto questo dono in Gesù Cristo e siamo passati dal peccato, dalla vita dell’iniquità alla vita del dono in Cristo, nello Spirito Santo, dobbiamo fare lo stesso. Ogni giorno un passo. Ogni giorno un passo”.

Chiediamo la grazia di essere bravi nell’allenamento della vita
Il Papa ha indicato alcune tentazioni come la “voglia di chiacchierare” contro qualcuno. E in quel caso, ha detto, che bisogna sforzarsi per tacere. Oppure, ha detto, ci “viene un po’ di sonno” e non abbiamo “voglia di pregare” ma poi preghiamo un po’. Partire dalle piccole cose, ha ribadito Francesco:

“Ci aiutano a non cedere, a non andare indietro, a non tornare all’iniquità ma ad andare avanti verso questo dono, questa promessa di Gesù Cristo che sarà propriamente l’incontro con Lui. Chiediamo al Signore questa grazia: di essere bravi, di essere bravi in questo allenamento della vita verso l’incontro, perché abbiamo ricevuto il dono della giustificazione, il dono della grazia, il dono dello Spirito in Cristo Gesù”.






Papa: cristiani leggano segni dei tempi e cambino fedeli a Vangelo

Papa Francesco alla Messa in Casa Santa Marta - OSS_ROM

Papa Francesco alla Messa in Casa Santa Marta - OSS_ROM

23/10/2015 

“I tempi cambiano e noi cristiani dobbiamo cambiare continuamente”, con libertà e nella verità della fede. Lo ha affermato il Papa all’omelia della Messa del mattino, celebrata in Casa Santa Marta. Francesco ha riflettuto sul discernimento che la Chiesa deve operare guardando ai “segni dei tempi”, senza cedere alla comodità del conformismo, ma lasciandosi ispirare dalla preghiera. Il servizio di Alessandro De Carolis:

I tempi fanno quello che devono: cambiano. I cristiani devono fare quello che vuole Cristo: valutare i tempi e cambiare con loro, restando “saldi nella verità del Vangelo”. Ciò che non è ammesso è il tranquillo conformismo che, di fatto, fa restare immobili.

Saggezza cristiana
Davanti agli occhi del Papa c’è un nuovo brano della Lettera ai Romani di San Paolo, il quale, dice Francesco, predica con “tanta forza la libertà che ci ha salvato dal peccato”. E c’è la pagina del Vangelo nella quale Gesù parla dei “segni dei tempi” dando dell’ipocrita a coloro che sanno comprenderli ma non fanno altrettanto con il tempo del Figlio dell’Uomo. Dio ci ha creato liberi eper avere questa libertà – afferma il Papa – dobbiamo aprirci  alla forza dello Spirito e capire bene cosa accade dentro di noi e fuori di noi”, usando il “discernimento”:

“Abbiamo questa libertà di giudicare quello che succede fuori di noi. Ma per giudicare dobbiamo conoscere bene quello che accade fuori di noi. E come si può fare questo? Come si può fare questo, che la Chiesa chiama ‘conoscere i segni dei tempi’? I tempi cambiano. E’ proprio della saggezza cristiana conoscere questi cambiamenti, conoscere i diversi tempi e conoscere i segni dei tempi. Cosa significa una cosa e cosa un’altra. E fare questo senza paura, con la libertà”.

Silenzio, riflessione e preghiera
Francesco riconosce che non è una cosa “facile”, troppi sono i condizionamenti esterni che premono anche sui cristiani inducendo molti a un più comodo non fare:

“Questo è un lavoro che di solito noi non facciamo: ci conformiamo, ci tranquillizziamo con ‘mi hanno detto, ho sentito, la gente dice, ho letto…’. Così siamo tranquilli… Ma qual è la verità? Qual è il messaggio che il Signore vuole darmi con quel segno dei tempi? Per capire i segni dei tempi, prima di tutto è necessario il silenzio: fare silenzio e osservare. E dopo riflettere dentro di noi. Un esempio: perché ci sono tante guerre adesso? Perché è successo qualcosa? E pregare… Silenzio, riflessione e preghiera. Soltanto così potremo capire i segni dei tempi, cosa Gesù vuol dirci”.

Liberi nella verità del Vangelo
E capire i segni dei tempi non è un lavoro esclusivo di un’élite culturale. Gesù, ricorda, non dice “guardate come fanno gli universitari, guardate come fanno i dottori, guardate come fanno gli intellettuali…”. Gesù, sottolinea Francesco, parla ai contadini che “nella loro semplicità” sanno “distinguere il grano dalla zizzania”:

“I tempi cambiano e noi cristiani dobbiamo cambiare continuamente. Dobbiamo cambiare saldi nella fede in Gesù Cristo, saldi nella verità del Vangelo, ma il nostro atteggiamento deve muoversi continuamente secondo i segni dei tempi. Siamo liberi. Siamo liberi per il dono della libertà che ci ha dato Gesù Cristo. Ma il nostro lavoro è guardare cosa succede dentro di noi, discernere i nostri sentimenti, i nostri pensieri; e cosa accade fuori di noi e discernere i segni dei tempi. Col silenzio, con la riflessione e con la preghiera”.




Caterina63
00giovedì 29 ottobre 2015 10:28

Papa: Dio non condanna, può solo amare, questa è la nostra vittoria

Il Papa durante la Messa nella Cappella di Santa Marta - OSS_ROM

Il Papa durante la Messa nella Cappella di Santa Marta - OSS_ROM

29/10/2015 

Dio può solo amare, non condanna, l’amore è la sua debolezza e la nostra vittoria: questo, in sintesi, quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:

La nostra vittoria è l'amore inspiegabile di Dio
Nella prima lettura San Paolo spiega che i cristiani sono vincitori perché “se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?”. Se Dio ci salva, chi ci condannerà? Sembra – dice Papa Francesco - che “la forza di questa sicurezza di vincitore”, questo dono, il cristiano “l’abbia nelle proprie mani, come una proprietà”. Quasi che i cristiani potessero dire in modo “trionfalistico”: “Adesso noi siamo i campioni!”. Ma il senso è un altro: noi siamo i vincitori “non perché abbiamo questo dono in mano, ma per un’altra cosa”. E’ un’altra cosa “che ci fa vincere o almeno se noi vogliamo rifiutare la vittoria sempre potremo vincere”: è il fatto che niente “potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù nostro Signore”:

“Non è che noi siamo vincitori sui nostri nemici, sul peccato. No! Noi siamo tanto legati all’amore di Dio, che nessuna persona, nessuna potenza, nessuna cosa ci potrà separare da questo amore. Paolo ha visto nel dono, ha visto più, quello che dà il dono: è il dono della ricreazione, è il dono della rigenerazione in Cristo Gesù. Ha visto l’amore di Dio. Un amore che non si può spiegare”.

L'impotenza di Dio è la sua incapacità di non amare
“Ogni uomo, ogni donna – aggiunge Papa Francesco - può rifiutare il dono”, preferire la sua vanità, il suo orgoglio, il suo peccato. “Ma il dono c’è”:

“Il dono è l’amore di Dio, un Dio che non può staccarsi da noi. Quella è l’impotenza di Dio. Noi diciamo: ‘Dio è potente, può fare tutto!’. Meno una cosa: staccarsi da noi! Nel Vangelo quell’immagine di Gesù che piange sopra Gerusalemme, ci fa capire qualcosa di questo amore. Gesù ha pianto! Pianse su Gerusalemme e in quel pianto è tutta la impotenza di Dio: la sua incapacità di non amare, di non staccarsi da noi”.

La nostra sicurezza: Dio non condanna, può solo amare
Gesù piange su Gerusalemme che uccide i suoi profeti, quelli che annunciano la sua salvezza. E Dio dice a Gerusalemme e a noi a tutti: “Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali e voi non avete voluto!”. E’ “una immagine di tenerezza. ‘Quante volte ho voluto far sentire questa tenerezza, questo amore, come la chioccia con i pulcini e voi avete rifiutato”. Per questo - afferma il Papa - San Paolo capisce e “può dire che è persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra cosa potrà mai separarci da questo amore”:

“Dio non può non amare! E questa è la nostra sicurezza. Io posso rifiutare quell’amore, posso rifiutare come ha rifiutato il buon ladrone, fino alla fine della sua vita. Ma lì lo aspettava quell’amore. Il più cattivo, il più bestemmiatore è amato da Dio con una tenerezza di padre, di papà. E come dice Paolo, come dice il Vangelo, come dice Gesù: ‘Come una chioccia con i pulcini’. E Dio il Potente, il Creatore può fare tutto: Dio piange! In questo pianto di Gesù su Gerusalemme, in quelle lacrime, è tutto l’amore di Dio. Dio piange per me, quando io mi allontano; Dio piange per ognuno di noi; Dio piange per quelli malvagi, che fanno tante cose brutte, tanto male all’umanità… Aspetta, non condanna, piange. Perché? Perché ama!”.





Francesco: il perdono di Dio non è una sentenza del tribunale

Papa Francesco a Santa Marta - OSS_ROM

Papa Francesco a Santa Marta - OSS_ROM

30/10/2015 

Un buon sacerdote sa “commuoversi” e “impegnarsi nella vita della gente”. E’ uno dei passaggi dell’omelia mattutina di Papa Francesco a Casa Santa Marta, pronunciata in spagnolo. Dio, ha detto il Pontefice, “ci perdona come Padre, non come un impiegato del tribunale”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

“Dio ha compassione. Ha compassione per ciascuno di noi, ha compassione dell’umanità e ha mandato suo Figlio per guarirla, per rigenerarla”, per “rinnovarla”. E’ uno dei passaggi dell’omelia di Papa Francesco a Casa Santa Marta incentrata proprio sulla compassione di Dio:

“Es interesante que en la parábola que todos conocemos del hijo pródigo…”
“E’ interessante – ha osservato – che nella parabola che noi tutti conosciamo del Figliol Prodigo, si dice che quando il padre – che è una figura di Dio che perdona – vede arrivare suo figlio ebbe compassione. La compassione di Dio non è avere pietà: non ha nulla a che vedere una cosa con l’altra”.

Io, ha soggiunto, “posso avere pietà di un cane che sta morendo”, ma la compassione di Dio è altro: è “mettersi nel problema, mettersi nella situazione dell’altro, con il cuore di Padre”. E per questo, ha sottolineato, “ha mandato suo Figlio”:

“Jesús curaba a la gente pero no era un curandero…”
“Gesù curava la gente – ha affermato – però non è un ‘guaritore’. No! Curava la gente come segno, come segno della compassione di Dio, per salvarla, per rimettere al suo posto nel recinto la pecorella smarrita, i soldi smarriti da quella signora nel portafoglio. Dio ha compassione. Dio ci mette il suo cuore di Padre, ci mette il suo cuore per ciascuno di noi. E quando Dio perdona, perdona come Padre e non come un impiegato del tribunale, che legge una sentenza e dice: ‘Assolto per insufficienza di prove’. Ci perdona da dentro. Perdona perché si è messo nel cuore di questa persona”.  

Gesù, ha soggiunto, è stato inviato per “portare la lieta novella, per liberare colui che si sente oppresso”. Gesù “è inviato dal Padre per mettersi in ciascuno di noi, liberandoci dei nostri peccati, dei nostri mali”.

“Y esto es lo que hace un cura, conmoverse, comprometerse…”
“Questo  - ha detto – è quello che fa un sacerdote: commuoversi, impegnarsi nella vita della gente, perché un prete è un sacerdote, come Gesù è sacerdote. Quante volte – e poi noi dobbiamo andare a confessarci – critichiamo quei preti, ai quali non interessa ciò che succede nella loro congregazione, che non se ne preoccupano. No, non è un buon prete! Un buon prete è quello che si coinvolge”.

Un buon prete, ha ripreso, è quello che si coinvolge in “tutti i problemi umani”. Quindi si è soffermato sul servizio offerto alla Chiesa dal card. Javier Lozano Barragán, presente alla Messa, in occasione della celebrazione dei suoi 60 anni di sacerdozio. Francesco ha ricordato con gratitudine il suo impegno al dicastero per gli Operatori Sanitari, “nel servizio della Chiesa che presta agli ammalati”. “Rendiamo grazie a Dio – ha detto – per questi 60 anni di sacerdozio”, “dalla compassione di Dio ad oggi vi è una linea e questo è un regalo che il Signore fa” al card. Barragán: “Poter vivere così per 60 anni”.









Il Papa: il cristiano include, non chiude le porte, i farisei escludono

Il Papa nella Cappella di Santa Marta - OSS_ROM

Il Papa nella Cappella di Santa Marta - OSS_ROM

05/11/2015 

Il cristiano include, non chiude le porte a nessuno, anche se questo provoca resistenze. Chi esclude, perché si crede migliore, genera conflitti e divisioni e ne renderà conto un giorno davanti al tribunale di Dio. E’ quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:  

L'atteggiamento di Gesù è includere
Nella Lettera ai Romani San Paolo esorta a non giudicare e a non disprezzare il fratello, perché questo – afferma il Papa - porta ad escluderlo dal “nostro gruppetto”, ad essere “selettivi e questo non è cristiano”. Cristo, infatti, “con il suo sacrificio sul Calvario” unisce e include “tutti gli uomini nella salvezza”. Nel Vangelo si avvicinano a Gesù i pubblicani e i peccatori, “cioè, gli esclusi, tutti quelli che erano fuori”, e “i farisei e gli scribi mormoravano”:

“L’atteggiamento degli Scribi, dei Farisei è lo stesso, escludono: ‘Noi siamo i perfetti, noi seguiamo la legge. Questi sono peccatori, sono pubblicani’. E l’atteggiamento di Gesù è includere. Ci sono due strade nella vita: la strada dell’esclusione delle persone dalla nostra comunità e la strada dell’inclusione. La prima può essere piccola ma è la radice di tutte le guerre: tutte le calamità, tutte le guerre, incominciano con un’esclusione. Si escludono dalla comunità internazionale ma anche dalle famiglie, fra amici, quante liti… E la strada che ci fa vedere Gesù e ci insegna Gesù è tutt’altra, è contraria all’altra: includere”.

C'è resistenza di fronte all'inclusione 
“Non è facile includere la gente – osserva Papa Francesco - perché c’è resistenza, c’è quell’atteggiamento selettivo”. Per questo Gesù racconta due parabole: quella della pecorella smarrita e della donna che perde una moneta. Sia il pastore che la donna fanno di tutto per ritrovare ciò che hanno perduto. E quando ci riescono sono pieni di gioia:

“Sono pieni di gioia perché hanno trovato quello che era perso e vanno dai vicini, dagli amici perché sono tanto felici: ‘Ho trovato, ho incluso’. Questo è l’includere di Dio, contro l’esclusione di quello che giudica, che caccia via la gente, le persone: ‘No, questo no, questo no, questo no…’, e si fa un piccolo circolo di amici che è il suo ambiente. E’ la dialettica fra esclusione e inclusione. Dio ci ha inclusi tutti nella salvezza, tutti! Questo è l’inizio. Noi con le nostre debolezze, con i nostri peccati, con le nostre invidie, gelosie, sempre abbiamo quest’atteggiamento di escludere che - come ho detto - può finire nelle guerre”.

Se io escludo sarò un giorno davanti al tribunale di Dio
Gesù – afferma Papa Francesco - fa come il Padre che lo ha inviato per salvarci, “ci cerca per includerci”, “per essere una famiglia”:

“Pensiamo un po’ e almeno, almeno!, facciamo il nostro piccolo, non giudichiamo mai: ‘Ma questo fa così…’. Ma Dio sa: è la sua vita, ma non lo escludo dal mio cuore, dalla mia preghiera, dal mio saluto, dal mio sorriso, e se l’occasione viene gli dico una bella parola. Mai escludere, non abbiamo diritto! E come finisce Paolo la Lettura: ‘Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio. Quindi ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio’. Se io escludo sarò un giorno davanti al tribunale di Dio e dovrò rendere conto di me stesso. Chiediamo la grazia di essere uomini e donne che includono sempre, sempre!, nella misura della sana prudenza, ma sempre. Non chiudere le porte a nessuno, sempre col cuore aperto: ‘Mi piace, non mi piace’, ma il cuore è aperto. Che il Signore ci dia questa grazia”.





  ATTENZIONE, PER UNA CORRETTA INTERPRETAZIONE ALLE PAROLE DEL PAPA, QUI SOPRA, ricordiamo che il Papa sa bene che i farisei in disputa con Gesù erano proprio quelli che difendevano il divorzio, difendevano il ripudio e che posero quella domanda a Gesù (Matteo 19) proprio per incastrarlo e metterlo a disagio di fronte la Legge di Mosè sulla indissolubilità del matrimonio che Cristo portava a compimento (non sono venuto per abolire la legge, ma per portarla a compimento).... Gesù ripristina la Legge di Dio, quella che "fu dal principio" e i fariseo non ci stanno, vogliono il divorzio.....

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Il Papa: triste vedere preti e vescovi attaccati ai soldi

Papa Francesco a Santa Marta - OSS_ROM

Papa Francesco a Santa Marta - OSS_ROM

06/11/2015 

Vescovi e sacerdoti vincano la tentazione di “una doppia vita”, la Chiesa è chiamata a servire, non a diventare "affarista". E’ uno dei passaggi dell’omelia mattutina di Papa Francesco a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha messo in guardia dagli “arrampicatori, attaccati ai soldi” che fanno tanto male alla Chiesa. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Servire, servirsi. Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia su due figure di servi, presentate dalla Liturgia odierna. Innanzitutto, la figura di Paolo che “si è donato tutto al servizio, sempre” per finire a Roma “tradito da alcuni dei suoi” finendo poi “condannato”. Da dove veniva la grandezza dell’Apostolo delle Genti, si chiede il Pontefice? Da Gesù Cristo e “lui si vantava di servire, di essere eletto, di avere la forza dello Spirito Santo”.

Il cristiano è chiamato a servire, non a servirsi degli altri
Era il servo che serviva, ha ribadito, “amministrava, gettando le basi, cioè annunciando Gesù Cristo” e “mai si fermava per avere il vantaggio di un posto, di una autorità, di essere servito. Lui era ministro, servo per servire, non per servirsi”:

“Io vi dico quanta gioia ho, io, che mi commuovo, quando in questa Messa vengono alcuni preti e mi salutano: ‘Oh padre, sono venuto qui a trovare i miei, perché da 40 anni sono missionario in Amazzonia’. O una suora che dice: ‘No, io lavoro da 30 anni in ospedale in Africa’. O quando trovo la suorina che da 30, 40 anni è nel reparto dell’ospedale con i disabili, sempre sorridente. Questo si chiama servire, questa è la gioia della Chiesa: andare oltre, sempre; andare oltre e dare la vita. Questo è quello che ha fatto Paolo: servire”.

No agli arrampicatori attaccati ai soldi nella Chiesa
Nel Vangelo, ha ripreso, il Signore ci fa vedere l’immagine di un altro servo, “che invece di servire gli altri si serve degli altri”. E, ha sottolineato, “abbiamo letto cosa ha fatto questo servo, con quanta scaltrezza si è mosso, per rimanere al suo posto”.

“Anche nella Chiesa ci sono questi, che invece di servire, di pensare agli altri, di gettare le basi, si servono della Chiesa: gli arrampicatori, gli attaccati ai soldi. E quanti sacerdoti, vescovi abbiamo visto così. E’ triste dirlo, no? La radicalità del Vangelo, della chiamata di Gesù Cristo: servire, essere al servizio di, non fermarsi, andare oltre sempre, dimenticandosi di se stessi. E la comodità dello status: io ho raggiunto uno status e vivo comodamente senza onestà, come quei farisei dei quali parla Gesù che passeggiavano nelle piazze, facendosi vedere dagli altri”.

Chiesa che non serve diventa Chiesa affarista
Due immagini, ha ripreso Francesco: “Due immagini di cristiani, due immagini di preti, due immagini di suore. Due immagini”. E Gesù, ha ribadito, “ci fa vedere questo modello in Paolo, questa Chiesa che mai è ferma", che "sempre va avanti e ci fa vedere che quella è la strada”:

“Invece quando la Chiesa è tiepida, chiusa in se stessa, anche affarista tante volte, questo non si può dire, che sia una Chiesa che ministra, che sia al servizio, bensì che si serve degli altri. Che il Signore ci dia la grazia che ha dato a Paolo, quel punto d‘onore di andare sempre avanti, sempre, rinunciando alle proprie comodità tante volte, e ci salvi dalle tentazioni, da queste tentazioni che in fondo sono tentazioni di una doppia vita: mi faccio vedere come ministro, cioè come quello che serve, ma in fondo mi servo degli altri”.






Caterina63
00lunedì 16 novembre 2015 11:38

Papa: pensiero unico vuol farci mettere all'asta identità cristiana

Il Papa nella Cappella di Casa Santa Marta - OSS_ROM

Il Papa nella Cappella di Casa Santa Marta - OSS_ROM

16/11/2015

Il pensiero unico, l’umanismo che prende il posto di Gesù, l'uomo vero, distrugge l’identità cristiana. Non mettiamo all’asta la nostra carta d’identità: è la forte esortazione lanciata da Papa Francesco nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:

La mondanità porta al pensiero unico e all'apostasia
La prima lettura del giorno, tratta dal primo Libro dei Maccabei, racconta di “una radice perversa” che sorse in quei giorni: il re ellenista Antioco Epìfane impone le usanze pagane in Israele, al “popolo eletto”, cioè alla “Chiesa di quel momento”. Papa Francesco commenta “l’immagine della radice che è sotto terra”. La “fenomenologia della radice” è questa: “Non si vede, sembra non fare male, ma poi cresce e mostra, fa vedere, la propria realtà”. “Era una radice ragionevole” che spingeva alcuni israeliti ad allearsi con le nazioni vicine per essere protetti: “Perché tante differenze? Perché da quando ci siamo separati da loro ci sono capitati molti mali. Andiamo da loro, siamo uguali”. Il Papa spiega questa lettura con tre parole: “Mondanità, apostasia, persecuzione”. La mondanità è fare ciò che fa il mondo. E’ dire: “Mettiamo all’asta la nostra carta d’identità; siamo uguali a tutti”. Così, molti israeliti “rinnegarono la fede e si allontanarono dalla Santa Alleanza”. E ciò “che sembrava tanto ragionevole – ‘siamo come tutti, siamo normali’ – diventò la distruzione”:

“Poi il re prescrisse in tutto il suo regno che tutti formassero un solo popolo - il pensiero unico; la mondanità – e ciascuno abbandonasse le proprie usanze. Tutti i popoli si adeguarono agli ordini del re; anche molti israeliti accettarono il suo culto: sacrificarono agli idoli e profanarono il sabato. L’apostasia. Cioè, la mondanità ti porta al pensiero unico e all’apostasia. Non sono permesse, non ci sono permesse le differenze: tutti uguali. E nella storia della Chiesa, nella storia abbiamo visto, penso ad un caso, che alle feste religiose è stato cambiato il nome - il Natale del Signore ha un altro nome – per cancellare l’identità”.

L'umanismo di oggi distrugge l'identità cristiana
In Israele vennero bruciati i libri della legge “e se qualcuno obbediva alla legge, la sentenza del re lo condannava a morte”. Ecco “la persecuzione”, iniziata da una “radice velenosa”. “Mi ha sempre colpito – afferma il Papa – che il Signore, nell’Ultima Cena, in quella lunga preghiera, pregasse per l’unità dei suoi e chiedesse al Padre che li liberasse da ogni spirito del mondo, da ogni mondanità, perché la mondanità distrugge l’identità; la mondanità porta al pensiero unico”:

“Incomincia da una radice, ma è piccola, e finisce nell’abominazione della desolazione, nella persecuzione. Questo è l’inganno della mondanità, e per questo Gesù chiedeva al Padre, in quella cena: ‘Padre, non ti chiedo che di toglierli dal mondo, ma custodiscili dal mondo’, da questa mentalità, da questo umanismo, che viene a prendere il posto dell’uomo vero, Gesù Cristo, che viene a toglierci l’identità cristiana e ci porta al pensiero unico: ‘Tutti fanno così, perché noi no?’. Questo, di questi tempi, ci deve far pensare: com’è la mia identità? E’ cristiana o mondana? O mi dico cristiano perché da bambino sono stato battezzato o sono nato in un Paese cristiano, dove tutti sono cristiani? La mondanità che entra lentamente, cresce, si giustifica e contagia: cresce come quella radice, si giustifica – ‘ma, facciamo come tutta la gente, non siamo tanto differenti’ -, cerca sempre una giustificazione,  e alla fine contagia, e tanti mali vengono da lì”.

Guardarsi dalle radici velenose che crescono e contagiano
“La liturgia, in questi ultimi giorni dell’anno liturgico” – conclude il Papa - ci esorta a stare attenti alle “radici velenose” che “portano lontano dal Signore”:

“E chiediamo al Signore per la Chiesa, perché il Signore la custodisca da ogni forma di mondanità. Che la Chiesa sempre abbia l’identità disposta da Gesù Cristo; che tutti noi abbiamo l’identità che abbiamo ricevuto nel battesimo, e che questa identità per voler essere come tutti, per motivi di ‘normalità’, non venga buttata fuori. Che il Signore ci dia la grazia di mantenere e custodire la nostra identità cristiana contro lo spirito di mondanità che sempre cresce, si giustifica e contagia”.







Papa: Gesù piange su un mondo che uccide e non capisce la pace

Un carro armato in campo - REUTERS

Un carro armato in campo - REUTERS

19/11/2015 

“Tutto il mondo” oggi “è in guerra”, per la quale “non c’è giustificazione”. E il rifiuto  della “strada della pace” fa sì che Dio stesso, che Gesù stesso, piangano. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa celebrata questa mattina in Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

“Gesù ha pianto”. Comincia con queste tre parole una delle più dolenti omelie da Santa Marta. Nel Papa risuona l’eco del Vangelo di Luca appena letto, un brano tanto breve quanto commosso.

Il mondo truccato a festa
Gesù si avvicina a Gerusalemme e – probabilmente da un punto sopraelevato che gliela offre alla vista – la osserva e piange, rivolgendo alla città queste parole: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi”. Francesco le ripete una a una e soggiunge:

“Ma anche oggi Gesù piange. Perché noi abbiamo preferito la strada delle guerre, la strada dell’odio, la strada delle inimicizie. Siamo vicini al Natale: ci saranno luci, ci saranno feste, alberi luminosi, anche presepi … tutto truccato: il mondo continua a fare la guerra, a fare le guerre. Il mondo non ha compreso la strada della pace”.

Guerra per le tasche dei trafficanti
Sono intuibili i sentimenti del Papa, identici a quelli di gran parte del mondo in questi giorni, in queste ore. Francesco ricorda le commemorazioni recenti sulla seconda guerra mondiale, le bombe di Hiroshima e Nagasaki, la sua visita a Redipuglia l’anno scorso per l’anniversario della Grande Guerra. “Stragi inutili”, ripete con le parole di Papa Benedetto. “Dappertutto c’è la guerra, oggi, c’è l’odio”, constata. E poi dà voce a una domanda: “Cosa rimane di una guerra, di questa, che noi stiamo vivendo adesso?”:

“Cosa rimane? Rovine, migliaia di bambini senza educazione, tanti morti innocenti: tanti!, e tanti soldi nelle tasche dei trafficanti di armi. Una volta, Gesù ha detto: ‘Non si può servire due padroni: o Dio, o le ricchezze’. La guerra è proprio la scelta per le ricchezze: ‘Facciamo armi, così l’economia si bilancia un po’, e andiamo avanti con il nostro interesse’. C’è una parola brutta del Signore: ‘Maledetti!’. Perché Lui ha detto: ‘Benedetti gli operatori di pace!’. Questi che operano la guerra, che fanno le guerre, sono maledetti, sono delinquenti. Una guerra si può giustificare – fra virgolette – con tante, tante ragioni. Ma quando tutto il mondo, come è oggi, è in guerra, tutto il mondo!: è una guerra mondiale – a pezzi: qui, là, là, dappertutto … - non c’è giustificazione. E Dio piange. Gesù piange”.

Il mondo pianga per i suoi crimini
“E mentre i trafficanti di armi fanno il loro lavoro – prosegue Francesco – ci sono i poveri operatori di pace che soltanto per aiutare una persona, un’altra, un’altra, un’altra, danno la vita”. Come fece “un’icona dei nostri tempi, Teresa di Calcutta”. Contro la quale pure, osserva, “con il cinismo dei potenti, si potrebbe dire: ‘Ma cosa ha fatto quella donna? Ha perso la sua vita aiutando la gente a morire?”. Non si capisce la strada della pace…”:

“Ci farà bene anche a noi chiedere la grazia del pianto, per questo mondo che non riconosce la strada della pace. Che vive per fare la guerra, con il cinismo di dire di non farla. Chiediamo la conversione del cuore. Proprio alla porta di questo Giubileo della Misericordia, che il nostro giubilo, la nostra gioia sia la grazia che il mondo ritrovi la capacità di piangere per i suoi crimini, per quello che fa con le guerre”.








Papa: Chiesa non adori "santa tangente", la sua forza sia la parola di Gesù

Il Papa durante la Messa nella cappella di Casa Santa Marta - OSS_ROM

Il Papa durante la Messa nella cappella di Casa Santa Marta - OSS_ROM

20/11/2015

La Chiesa non sia attaccata ai soldi e al potere, non adori la “santa tangente”, ma la sua forza e la sua gioia sia la parola di Gesù: è quanto ha detto Papa Francesco nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:

Processo degrado sporca la Chiesa
Partendo dalla prima lettura tratta dal Libro dei Maccabèi, che racconta la gioia del popolo per la riconsacrazione del Tempio profanato dai pagani e dallo spirito mondano, Papa Francesco commenta la vittoria di quanti sono stati perseguitati dal pensiero unico. Il popolo di Dio fa festa, gioisce, perché ritrova “la propria identità”. “La festa - spiega - è una cosa che la mondanità non sa fare, non può fare! Lo spirito mondano ci porta al massimo a fare un po’ di divertimento, un po’ di chiasso, ma la gioia soltanto viene dalla fedeltà all’Alleanza”. Nel Vangelo Gesù scaccia i mercanti dal Tempio, dicendo: “Sta scritto: la mia casa sarà casa di preghiera. Voi, invece, ne avete fatto un covo di ladri”. Come durante l’epoca dei Maccabei, lo spirito mondano “aveva preso il posto dell’adorazione al Dio Vivente”. Ma ora questo accade “in un’altra maniera”:

“I capi del Tempio, i capi dei sacerdoti – dice il Vangelo – e gli scribi avevano cambiato un po’ le cose. Erano entrati in un processo di degrado e avevano reso ‘sporco’ il Tempio. Avevano sporcato il Tempio! Il Tempio è un’icona della Chiesa. La Chiesa sempre – sempre! – subirà la tentazione della mondanità e la tentazione di un potere che non è il potere che Gesù Cristo vuole per lei! Gesù non dice: ‘No, non si fa questo. Fatelo fuori’. Dice: ‘Voi avete fatto un covo di ladri qui!’. E quando la Chiesa entra in questo processo di degrado la fine è molto brutta. Molto brutta!”.

Attaccamento a soldi e potere che diventa rigidità
E’ il pericolo della corruzione:

“Sempre c’è nella Chiesa la tentazione della corruzione. E’ quando la Chiesa, invece di essere attaccata alla fedeltà al Signore Gesù, al Signore della pace, della gioia, della salvezza, quando invece di fare questo è attaccata ai soldi e al potere. Questo succede qui, in questo Vangelo. Questi capi dei sacerdoti, questi scribi erano attaccati ai soldi, al potere e avevano dimenticato lo spirito. E per giustificarsi e dire che erano giusti, che erano buoni, avevano cambiato lo spirito di libertà del Signore con la rigidità. E Gesù, nel capitolo 23 di Matteo, parla di questa loro rigidità. La gente aveva perso il senso di Dio, anche la capacità di gioia, anche la capacità di lode: non sapevano lodare Dio, perché erano attaccati ai soldi e al potere, ad una forma di mondanità, come l’altro nell’Antico Testamento”.

Non confidare in "santa tangente" ma nella parola di Gesù
Scribi e sacerdoti si arrabbiano contro Gesù:

“Gesù caccia via dal Tempio non i sacerdoti, gli scribi; caccia via questi che facevano affari, gli affaristi del Tempio. Ma i capi dei sacerdoti e gli scribi erano collegati con loro: c’era la ‘santa tangente’ lì! Ricevevano da questi, erano attaccati ai soldi e veneravano questa santa. Il Vangelo è molto forte.  Dice: ‘I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire a Gesù e così anche i capi del popolo’. Lo stesso che era accaduto al tempo di Giuda Maccabeo. E perché? Per questo motivo: ‘Ma non sapevano che cosa fare perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo’. La forza di Gesù era la sua parola, la sua testimonianza, il suo amore. E dove c’è Gesù, non c’è posto per la mondanità, non c’è posto per la corruzione! E questa è la lotta di ognuno di noi, questa è la lotta quotidiana della Chiesa: sempre Gesù, sempre con Gesù, sempre pendenti dalle sue labbra, per sentire la sua parola; e mai cercare sicurezze dove ci sono cose di un altro padrone. Gesù ci aveva detto che non si può servire due padroni: o Dio o le ricchezze; o Dio o il potere”.

“Ci farà bene – conclude il Papa - pregare per la Chiesa. Pensare ai tanti martiri di oggi che, per non entrare in questo spirito di mondanità, di pensiero unico, di apostasia, soffrono e muoiono. Oggi! Oggi ci sono più martiri nella Chiesa che nei primi tempi. Pensiamo. Ci farà bene pensare a loro. E anche chiedere la grazia mai, mai di entrare in questo processo di degrado verso la mondanità che ci porta all’attaccamento ai soldi e al potere”.













 

Caterina63
00giovedì 10 dicembre 2015 12:35


   Cari amici, concludiamo qui questo Tempo ordinario nel quale abbiamo seguito le Omelie del Santo Padre, ora ci spostiamo in una nuova sezione - cliccate qui - per seguire serenamente il nuovo ciclo di omelie nell'Anno del Giubileo della Misericordia che si è appena aperto.
Buon Anno a tutti.


   



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