Ottimo intervento di M.Introvigne e Padre Lombardi alla trasmissione di Uno-Mattina

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Caterina63
00giovedì 25 marzo 2010 13:02
Presentazione della “Lettera ai cattolici dell’Irlanda” a “Uno mattina” del 23 marzo 2010. Interviste a padre Federico Lombardi S.J. e a Massimo Introvigne - Trascrizione

Trascrizione completa:
http://www.facebook.com/note.php?note_id=378013406327
In Jesu et Maria
Massimo Introvigne


Michele Cucuzza

Saluto Padre Federico Lombardi, che è il portavoce della sala stampa della Santa Sede. Abbiamo sentito il Papa: ha utilizzato parole forti, parole molto addolorate. “Vergogna e rimorso” – ha detto tra l’altro - “disonore”, per la violenza da parte di membri della Chiesa d’Irlanda, “atti peccaminosi di criminali” e così via. Come mai si è resa impellente la lettera e perché Sua Santità ha scelto proprio la Chiesa d’Irlanda come destinataria?

Padre Federico Lombardi

In Irlanda si sono verificati effettivamente dei fatti molto gravi e ci sono stati recentemente anche dei rapporti dalle autorità pubbliche che hanno approfondito la situazione e hanno suscitato grandissima emozione, grande reazione nella società irlandese, non solo nella Chiesa, per cui c’è una situazione particolare in questo Paese. Per questo il Papa ha convocato a Roma i vescovi, li ha incontrati, li ha ascoltati e ha pensato necessario rivolgere alla Chiesa in Irlanda una lettera specifica, proprio per la situazione che si è manifestata nel tempo, grave e in cui ci sono state anche delle responsabilità serie e gravi nel governo della Chiesa in Irlanda; cioè da parte dell’episcopato che non ha gestito queste situazioni con sufficiente decisione e chiarezza. Questo è stato messo in rilievo anche nei rapporti pubblici – il Papa lo riconosce – e pensa quindi di dover fare un intervento specifico per aiutare anche la Chiesa e la società irlandese ha far fronte a questa situazione e a riprendere il cammino.


Eleonora Daniele

La lettera apre comunque ad una voce di speranza, speranza che le vittime non perdano fiducia nei confronti della Chiesa e poi speranza, speranza per i peccatori nella misericordia di Dio. All’Angelus poi ricordiamo – l’Angelus di domenica – il Papa ha sottolineato il tema dell’indulgenza verso i peccatori. Padre Lombardi, perché il Papa ha scelto di veicolare e trasmettere questi due messaggi contemporaneamente? Non sarebbe stato più facile, più popolare, forse stare solamente dalla parte delle vittime?

Padre Federico Lombardi

Guardi, l’accostamento tra la lettera che è stata pubblicata sabato e mandata ieri e l’Angelus di domenica, che era un normale Angelus con un commento del Vangelo di domenica, è un po’ artificioso, quindi veramente non ha il rilievo che è stato dato sulla stampa italiana. Rimane il fatto che nella lettera stessa c’è questa dimensione, che lei già prima evocava, anche della misericordia di Dio, però vista non tanto come indulgenza verso chi ha mancato, per cui il Papa ha delle parole veramente durissime che sono state prima giustamente evocate, ma come il contesto diciamo spirituale in cui dare speranza a tutti quelli che stanno vivendo una sofferenza durissima – le vittime anzitutto – i colpevoli che rischiano di disperarsi per la gravità di ciò che hanno commesso, e anche la società e la Chiesa irlandese che vedono una situazione di grandissima crisi morale. Ecco, allora: ridare fiducia anche per poter fare un cammino che il Papa riconosce che è molto lungo, cioè non dice che con questa lettera lui ha risolto tutto – per carità – dice che ha dato un piccolo contributo per fare un passo avanti in un lungo cammino di risanamento delle ferite interiori di chi ha sofferto e anche di rinnovamento e purificazione.

Michele Cucuzza

Su questo cosa dobbiamo aspettarci? I vescovi collaboreranno anche con le autorità civili?

Padre Federico Lombardi

Ah certamente, questo è detto molto chiaramente nella lettera, ed è la linea che si assume. I vescovi come i cristiani, i cattolici, sono cittadini di una società, devono rispettarne le leggi. Se ci sono delle leggi come quella della gioventù vanno certamente rispettate.

Michele Cucuzza

In collegamento da Torino saluto il professor Massimo Introvigne, sociologo, direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni. Ecco, il Papa ha indubbiamente scritto una lettera coraggiosa. I commenti sono unanimi. Eppure lei il 18 marzo aveva scritto su Avvenire che “dal punto di vista sociologico questo qui è un tipico esempio di” - ha detto – “panico morale” e ha sostenuto questa sua analisi con dei numeri, proprio dal punto di vista statistico. Le chiedo allora: ma esiste o non esiste il problema della pedofilia all’interno della Chiesa cattolica, a suo avviso?

Massimo Introvigne

Il problema esiste certamente. Se anche ci fossero soltanto due casi, bisogna dirlo con chiarezza, sarebbero due casi di troppo e quindi la santa severità del Papa contro abusi che definisce criminali e vergognosi mi trova completamente consenziente. Detto questo, e per quanto le vittime non siano certo mai consolate dalle statistiche di noi sociologi, non è indifferente per chi deve agire e prevenire sapere se i casi sono venti o ventimila. Il panico morale deriva quando sono fatte circolare da alcuni media delle statistiche folkloriche, esagerando. Se prendo i rapporti irlandesi citati da Padre Lombardi, e anche lo studio statistico più accurato, quello del John Jay College, un’istituzione non cattolica negli Stati Uniti pubblicato nel 2004, io ci trovo che in un arco di 52 anni, il 4% del clero degli Stati Uniti è stato accusato di abusi su minori. Questo vuol dire che il 4% dei preti americani sono pedofili? No, perché accusato non vuol dire condannato. Ci sono stati casi anche clamorosi di innocenti calunniati, e poi perché nella maggior parte dei casi non si tratta tecnicamente di pedofilia, ma di accuse di relazioni sessuali con minorenni. Se un parroco ha una relazione con una diciassettenne, questa non è una bella cosa, ma non si tratta di pedofilia. I casi di pedofilia negli Stati Uniti che hanno portato a condanne, sono stati negli ultimi 52 anni da uno a due all’anno. Sono troppi, sono vergognosi, sono criminali, ma non dobbiamo esagerare sul dato statistico.

Eleonora Daniele

Vorrei un commento anche su questi dati, un commento da Padre Lombardi. Tra l’altro il Santo Padre si è reso disponibile anche ad incontrare le vittime.


Padre Federico Lombardi

Sì, quello che ha detto il professor Introvigne è verissimo. Per avere una visione obiettiva dal punto di vista sociologico del problema, bisogna guardarlo nella sua ampiezza, nella sua completezza, non solo concentrarsi sulla Chiesa. Naturalmente, noi come persone di Chiesa siamo feriti profondissimamente, anche perché presentandoci in un certo senso come autorità morali dobbiamo avere un comportamento coerente e il Papa per questo parla con molta onestà del problema. Certo, il Papa, come dice lei, ha manifestato la sua partecipazione profonda anche incontrando delle vittime. Io ero presente, sia nella cappella della Nunziatura di Washington, sia nella cappella della Residenza a Sidney e poi anche qui a Roma li ha incontrati e dice nella lettera che è disposto a incontrarne ancora.

Michele Cucuzza

Padre Lombardi, come mai in passato ci sono stati tanti errori da parte della Chiesa nell’affrontare questo problema?

Padre Federico Lombardi

Certamente c’è stata una certa cultura del silenzio che non è solo della Chiesa ma anche molto diffusa nella società, su fatti di cui evidentemente ci si vergogna che sono piuttosto così gravi, così drammatici. Uno cerca di nasconderli molto spesso, questa è una tendenza abbastanza naturale e una istituzione come la Chiesa anche per salvare la sua onorabilità, in passato ha spesso cercato di non parlare, non affrontare specificamente questi casi. Magari un sacerdote che si sapeva che aveva mancato, che era a rischio, lo si spostava da un’altra parte, in modo tale da evitare che il problema dilagasse. E questo è un fatto che è stato abbastanza diffuso, ed è proprio su questo che si appunta la critica di governo da parte del Santo Padre. Per fortuna queste sono cose già di diversi decenni fa, mentre adesso la consapevolezza di dover affrontare le cose con tempestività, chiarezza e rigore è molto diffusa.

Eleonora Daniele

Professor Introvigne, facciamo un passo indietro, facciamo anche un po’ di chiarezza. Già nel 2006 il documentario della BBC ‘Sex Crimes and the Vatican’ aveva suscitato scalpore. Perché? Perché si faceva riferimento ad un presunto documento che vietava ai vescovi di denunciare i preti pedofili e ad un meccanismo anche perverso, di spostamento di diocesi in diocesi dei colpevoli. Era questo davvero lo stato delle cose? Se sì, quanto è durato questo periodo di insabbiamento, di omertà, chiamiamola così?

Massimo Introvigne

Il documentario del parlamentare irlandese Colm O’Gorman era così sensazionalistico da essere fondamentalmente falso, falso non perché – lo abbiamo visto - gli abusi non ci siano stati, ma perché pretendeva che questi abusi fossero garantiti e favoriti dal diritto canonico. Citava in particolare l’istruzione del 1962, ma in realtà riedizione di una del 1922, Crimen sollicitationis, e la lettera della Congregazione della Dottirna della Fede De delictis gravioribus del 2001. Ora, c’erano anche nel documentario dei marchiani errori di traduzione dal latino. Questi documenti chiedevano in realtà maggiore severità nel perseguire gli abusi. La scomunica nella Crimen sollicitationis era per chi non denunciava gli abusi, non per chi li denunciava. La De delictis gravioribus semmai creava un termine di prescrizione lunghissimo, dieci anni dal compimento del diciottesimo anno della vittima; vuol dire che se un bambino di quattro anni è abusato nel 2010, il colpevole può essere perseguito fino al 2034. Quindi la severità nel diritto canonico c’era, c’era assolutamente. Ha ragione il Papa: preti e anche vescovi hanno commesso abusi anche gravi, ma li hanno commessi perché non hanno applicato il diritto canonico, certo non perché lo hanno applicato.

Michele Cucuzza

Eppure - mi rivolgo a Padre Lombardi - lo dicevamo prima: omissioni, connivenze ci sono state, anche per decenni. Che cosa risponde oggi il Vaticano a chi – abbiamo sentito nella rassegna stampa – ha contestato a questa lettera di Benedetto XVI, che pure per alcuni è coraggiosa, una sorta di auto-assoluzione. Hanno usato la parola “insufficiente”, “non basta”…

Padre Federico Lombardi

La lettera va letta, e chi la legge onestamente capisce benissimo che non c’è nulla dell’auto-assoluzione, anzi c’è un riconoscimento fortissimo di responsabilità e una volontà fortissima di purificazione; e tra l’altro devo dire proprio come evocava il professor Introvigne, Benedetto XVI come Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, come Cardinale Ratzinger, è stato veramente un protagonista della linea di chiarezza e di rigore anche negli anni precedenti. Ecco, quindi non bisogna equivocare i documenti della Chiesa che anche obbligano i vescovi a riferire su questi casi gravi e sono proprio per portare fino in fondo i processi canonici nei confronti dei colpevoli, e non per metterli da parte.

Eleonora Danile

Per molti, lo scandalo della pedofilia nella Chiesa Cattolica nasconde un attacco diretto al Santo Padre e alla stessa Chiesa Cattolica. Sentiamo cosa ne pensa Lucetta Scaraffia, che tra l’altro ha scritto un importante articolo qualche giorno fa proprio sull’Osservatore Romano.

Lucetta Scaraffia

Uscirà una Chiesa che starà molto più attenta - per fortuna - come è successo anche negli Stati Uniti d’America dopo, nella selezione del clero, nell’accettazione del clero, nell’accettare persone che sono molto stabili psicologicamente per evitare queste forme gravi, queste forme di malattia insomma molto gravi, malattia o anche permissivismo esagerato. Però io non penso assolutamente che questo cambierà la Chiesa. Già il cambiamento, diciamo così la linea di severità, era stata già decisa e iniziata dal cardinale Ratzinger quando era Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, e lì aveva già iniziato con enorme severità a colpire, a denunciare e a portare a termine tutti i processi di abuso sessuale, quindi continuerà su questa linea, penso.

Eleonora

Andiamo dal professore. Anche lei crede all’ipotesi dell’attacco – diciamo così – l’attacco politico?

Massimo Introvigne

Qualche volta c’è qualcosa di simile. Faccio un esempio, se si vuole da manuale. Il caso del sacerdote della diocesi di Essen in Germania, che nel 1980 fu accolto, accusato di pedofilia nella diocesi di Monaco, nella diocesi del Papa, per essere curato, e che poi un incauto vicario di quella diocesi immesse nel ministero pastorale. Bene, questo caso si verifica nel 1980. Scoppia sui giornali tedeschi nell’85, c’è un processo nel 1986, che tra l’altro esclude qualsiasi responsabilità personale del cardinale Joseph Ratzinger, dell’attuale Pontefice. Quindi, caso già scoppiato sui giornali e già oggetto di una sentenza di un tribunale tedesco 24 anni fa. Ecco, quando 24 anni dopo questo caso viene riscoperto come se fosse una cosa nuova da un quotidiano tedesco e sbattuto in prima pagina, ripeto a distanza di un quarto di secolo, io mi chiedo se qualche manovra per mettere a tacere la voce della Chiesa, che è una voce scomoda, quando si leva a difesa della vita, della famiglia, dei diritti delle persone, in effetti, non ci sia.

Michele Cucuzza

Padre Lombardi, qual è la sua opinione in proposito? Perché eventualmente questo attacco? Perché ora? Che cosa si vorrebbe attaccare veramente?

Padre Federico Lombardi

Guardi, io non sono mai stato un complottista, uno scopritore di complotti, quindi non sono tanto dell’idea che ci sia una strategia orchestrata, però è vero - è quanto diceva anche il professor Introvigne - che la Chiesa è generalmente in tanti aspetti della società secolarizzata odierna, controcorrente. E quindi è una voce contro cui si polemizza volentieri da parte di molte persone, di molte testate, di molte direzioni di carattere culturale. E quindi non c’è da stupirsi che si concentrino, in un momento di difficoltà, gli attacchi.

                                                                  



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Marcello Pera scrive Lettera aperta contro gli attacchi al Papa ed alla Chiesa per le colpe di pochi sugli abusi sessuali

ATTENZIONE: LETTERA DI BENEDETTO XVI CONTRO GLI ABUSI SESSUALI NELLA CHIESA

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Caterina63
00giovedì 25 marzo 2010 19:28

Genesi di un delitto. La rivoluzione degli anni '60

Lo scandalo della pedofilia c'è sempre stato, ma a ingigantirlo è stata la svolta culturale di mezzo secolo fa. Lo scrive Benedetto XVI nella sua lettera ai cattolici dell'Irlanda. Due cardinali e un sociologo la commentano

di Sandro Magister




ROMA, 25 marzo 2010 – La legge e la grazia. Dove la giustizia terrena non arriva, può la mano di Dio. Ai cattolici dell'Irlanda Benedetto XVI ha ordinato, con la sua lettera del 19 marzo, ciò che nessun papa dell'età moderna ha mai ordinato a un'intera Chiesa nazionale.

Ha intimato loro non solo di portare i colpevoli davanti ai tribunali canonici e civili, ma di mettersi collettivamente in stato di penitenza e di purificazione. E non nel segreto delle coscienze ma in forma pubblica, sotto gli occhi di tutti, anche degli avversari più implacabili e irridenti. Digiuno, preghiera, lettura della Bibbia e opere di carità tutti i venerdì da qui alla Pasqua dell'anno venturo. Confessione sacramentale frequente. Adorazione continua di Gesù – egli stesso "vittima di ingiustizia e peccato" – davanti alla sacra ostia esposta sugli altari delle chiese. E per tutti i vescovi, i sacerdoti, i religiosi senza eccezioni, un periodo speciale di "missione", un lungo e severo corso di esercizi spirituali per una radicale revisione di vita.

Un passo audace, questo compiuto da papa Benedetto. Perché nemmeno il profeta Giona credeva più che Dio avrebbe perdonato Ninive dei suoi peccati, nonostante la cenere penitenziale e la tela di sacco indossata da tutti, dal re fino all'ultimo dei giumenti.

E anche oggi molti concludono che la Chiesa resta irrimediabilmente sotto condanna, anche dopo la lettera nella quale lo stesso papa si carica di vergogna e rimorso per l'abominio commesso su dei fanciulli da alcuni sacerdoti, nella colpevole negligenza di qualche vescovo.

Eppure anche su Ninive discese il perdono di Dio, e lo scettico Giona dovette ricredersi, e Michelangelo dipinse proprio questo profeta sulla sommità della parete d'altare della Cappella Sistina, a mostrare che il perdono di Dio è la chiave di tutto, dalla creazione del mondo sino al giudizio finale.

Domenica 21 marzo, mentre nelle chiese d'Irlanda era data lettura della sua lettera, Benedetto XVI ha commentato ai fedeli, all'Angelus in piazza San Pietro, il perdono di Gesù all'adultera: "Egli sa che cosa c'è nel cuore di ogni uomo, vuole condannare il peccato, ma salvare il peccatore e smascherare l'ipocrisia". L'ipocrisia di quelli che volevano lapidare la donna pur essendo i primi a peccare.

Intransigenti con il peccato, "a partire dal nostro", e misericordiosi con le persone. È questa la lezione che Joseph Ratzinger vuole applicare al caso irlandese e, di riflesso, alla Chiesa intera.

Da un lato i rigori della legge. Il prezzo della giustizia dovrà essere pagato fino in fondo. Le diocesi, i seminari, le congregazioni religiose in cui si sono lasciate correre le malefatte sono avvertiti: dal Vaticano arriveranno dei visitatori apostolici a scoperchiare il loro operato, e anche dove non ci sarà materia per la giustizia civile la disciplina canonica punirà i negligenti.

Ma insieme il papa accende il lume della grazia. Apre la porta del perdono di Dio anche al colpevole del peggiore abominio, se sinceramente pentito.

Quanto agli accusatori di prima fila, i più armati di pietre contro la Chiesa, nessuno di loro è senza peccato. Per chi esalta la sessualità come puro istinto, libero da ogni vincolo, è difficile poi condannare ogni suo abuso.

La tragedia di alcuni sacerdoti e religiosi, ha scritto Benedetto XVI nella lettera, è stata anche di cedere a simili diffusi "modi di pensiero", fino a giustificare l'ingiustificabile.

Un cedimento che a Ratzinger vescovo e papa non può sicuramente essere imputato, nemmeno dai più accaniti dei suoi avversari, se sinceri.

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Il commento sopra riprodotto è uscito su "L'espresso" n. 13 del 2010, in edicola dal 26 marzo.

Nel finale il commento fa riferimento a un preciso paragrafo, il quarto, della lettera di Benedetto XVI ai cattolici dell'Irlanda.

È il paragrafo nel quale il papa va alle ragioni che hanno favorito, dagli anni Sessanta del secolo scorso, l'espandersi degli abusi sessuali tra il clero e soprattutto l'incomprensione della loro gravità.

Eccolo per intero.

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BENEDETTO XVI. IL PARAGRAFO 4 DELLA SUA LETTERA


"Negli ultimi decenni, la Chiesa nel vostro paese ha dovuto confrontarsi con nuove e gravi sfide alla fede scaturite dalla rapida trasformazione e secolarizzazione della società irlandese. Si è verificato un rapidissimo cambiamento sociale, che spesso ha colpito con effetti avversi la tradizionale adesione del popolo all’insegnamento e ai valori cattolici. Molto sovente le pratiche sacramentali e devozionali che sostengono la fede e la rendono capace di crescere, come ad esempio la frequente confessione, la preghiera quotidiana e i ritiri annuali, sono state disattese.

"Fu anche determinante in questo periodo la tendenza, anche da parte di sacerdoti e religiosi, di adottare modi di pensiero e di giudizio delle realtà secolari senza sufficiente riferimento al Vangelo. Il programma di rinnovamento proposto dal Concilio Vaticano Secondo fu a volte frainteso e in verità, alla luce dei profondi cambiamenti sociali che si stavano verificando, era tutt’altro che facile valutare il modo migliore per portarlo avanti. In particolare, vi fu una tendenza, dettata da retta intenzione ma errata, ad evitare approcci penali nei confronti di situazioni canoniche irregolari. È in questo contesto generale che dobbiamo cercare di comprendere lo sconcertante problema dell’abuso sessuale dei ragazzi, che ha contribuito in misura tutt’altro che piccola all’indebolimento della fede e alla perdita del rispetto per la Chiesa e per i suoi insegnamenti.

"Solo esaminando con attenzione i molti elementi che diedero origine alla presente crisi è possibile intraprendere una chiara diagnosi delle sue cause e trovare rimedi efficaci. Certamente, tra i fattori che vi contribuirono possiamo enumerare: procedure inadeguate per determinare l’idoneità dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa; insufficiente formazione umana, morale, intellettuale e spirituale nei seminari e nei noviziati; una tendenza nella società a favorire il clero e altre figure in autorità e una preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare gli scandali, che hanno portato come risultato alla mancata applicazione delle pene canoniche in vigore e alla mancata tutela della dignità di ogni persona. Bisogna agire con urgenza per affrontare questi fattori, che hanno avuto conseguenze tanto tragiche per le vite delle vittime e delle loro famiglie e hanno oscurato la luce del Vangelo a un punto tale cui non erano giunti neppure secoli di persecuzione".

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Sui fattori culturali analizzati dal papa sono intervenuti, tra altri, due cardinali e uno studioso di sociologia delle religioni.

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IL COMMENTO DEL CARDINALE BAGNASCO


Il primo dei due cardinali è Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della conferenza episcopale italiana.

Lunedì 22 marzo, nella prolusione con cui ha introdotto i lavori del consiglio permanente della CEI, Bagnasco ha così concluso il passaggio dedicato alla lettera del papa ai cattolici dell'Irlanda:

"Da varie parti, anche non cattoliche, si rileva come non da ora il fenomeno della pedofilia appaia tragicamente diffuso in diversi ambienti e in varie categorie di persone: ma questo, lungi dall’essere qui evocato per sminuire o relativizzare la specifica gravità dei fatti segnalati in ambito ecclesiastico, è piuttosto un monito a voler cogliere l’obiettivo spessore della tragedia. Nel momento stesso in cui sente su di sé l’umiliazione, la Chiesa impara dal Papa a non avere paura della verità, anche quando è dolorosa e odiosa, a non tacerla o coprirla. Questo, però, non significa subire – qualora ci fossero – strategie di discredito generalizzato.

"Dobbiamo in realtà tutti interrogarci, senza più alibi, a proposito di una cultura che ai nostri giorni impera incontrastata e vezzeggiata, e che tende progressivamente a sfrangiare il tessuto connettivo dell’intera società, irridendo magari chi resiste e tenta di opporsi: l’atteggiamento cioè di chi coltiva l’assoluta autonomia dai criteri del giudizio morale e veicola come buoni e seducenti i comportamenti ritagliati anche su voglie individuali e su istinti magari sfrenati. Ma l’esasperazione della sessualità sganciata dal suo significato antropologico, l’edonismo a tutto campo e il relativismo che non ammette né argini né sussulti fanno un gran male perché capziosi e talora insospettabilmente pervasivi.

"Conviene allora che torniamo tutti a chiamare le cose con il loro nome sempre e ovunque, a identificare il male nella sua progressiva gravità e nella molteplicità delle sue manifestazioni, per non trovarci col tempo dinanzi alla pretesa di una aberrazione rivendicata sul piano dei principi".

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IL COMMENTO DEL CARDINALE RUINI


Il secondo cardinale è Camillo Ruini, presidente del comitato per il progetto culturale della Chiesa italiana, predecessore di Bagnasco alla presidenza della CEI e vicario del papa per la diocesi di Roma dal 1991 al 2008.

In un'intervista al quotidiano "il Foglio" del 16 marzo, pochi giorni prima che il papa pubblicasse la sua lettera, Ruini ha detto tra l'altro:

"A mio avviso la campagna diffamatoria contro la Chiesa cattolica e il papa messa in campo dai media rientra in quella strategia che è in atto oramai da secoli e che già Friedrich Nietzsche teorizzava con il gusto dei dettagli. Secondo Nietzsche l’attacco decisivo al cristianesimo non può essere portato sul piano della verità ma su quello dell’etica cristiana, che sarebbe nemica della gioia di vivere. E allora vorrei domandare a chi scaglia gli scandali della pedofilia principalmente contro la Chiesa cattolica, tirando in ballo magari il celibato dei preti: non sarebbe forse più onesto e realistico riconoscere che certamente queste e altre deviazioni legate alla sessualità accompagnano tutta la storia del genere umano ma anche che nel nostro tempo queste deviazioni sono ulteriormente stimolate dalla tanto conclamata ‘liberazione sessuale’?"

E ancora:

"Quando l’esaltazione della sessualità pervade ogni spazio della vita e quando si rivendica l’autonomia dell’istinto sessuale da ogni criterio morale diventa difficile far comprendere che determinati abusi sono assolutamente da condannare. In realtà la sessualità umana fin dal suo inizio non è semplicemente istintiva, non è identica a quella degli altri animali. È, come tutto l’uomo, una sessualità ‘impastata’ con la ragione e con la morale, che può essere vissuta umanamente, e rendere davvero felici, soltanto se viene vissuta in questo modo".

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IL COMMENTO DEL PROFESSOR INTROVIGNE


Il sociologo è il professore Massimo Introvigne, presidente del CESNUR, Center for Studies on New Religion.

In un commento apparso il 22 marzo sull'edizione italiana dell'agenzia internazionale "Zenit", Introvigne ha scritto tra l'altro:

"Quelli che gli inglesi e gli americani chiamano 'the Sixties', gli anni Sessanta, e gli italiani, concentrandosi sull’anno emblematico, 'il Sessantotto' appare sempre di più come il tempo di un profondo sconvolgimento dei costumi, con effetti cruciali e duraturi sulla religione.

"C’è stato del resto un Sessantotto nella società e anche un Sessantotto nella Chiesa: proprio il 1968 è l’anno del dissenso pubblico contro l’enciclica 'Humanae Vitae' di Paolo VI, una contestazione che secondo un pregevole e influente studio del filosofo americano recentemente scomparso Ralph McInerny, 'Vaticano II. Che cosa è andato storto?', rappresenta un punto di non ritorno nella crisi del principio di autorità nella Chiesa Cattolica. [...]

"Ma perché gli anni Sessanta? Sul tema, per rimanere nelle Isole Britanniche, Hugh McLeod ha pubblicato nel 2007 presso Oxford University Press un importante volume, 'The Religious Crisis of the 1960s', che fa il punto sulle discussioni in corso.

"Due tesi si sono contrapposte: quella di Alan Gilbert secondo cui a determinare la rivoluzione degli anni 1960 è stato il boom economico, che ha diffuso il consumismo e ha allontanato le popolazioni dalle chiese, e quella di Callum Brown secondo cui il fattore decisivo è stata l’emancipazione delle donne dopo la diffusione dell’ideologia femminista, del divorzio, della pillola anticoncezionale e dell’aborto.

"McLeod pensa, a mio avviso giustamente, che un solo fattore non può spiegare una rivoluzione di questa portata. C’entrano il boom economico e il femminismo, ma anche aspetti più strettamente culturali sia all’esterno delle Chiese e comunità cristiane (l’incontro fra psicanalisi e marxismo) sia all’interno (le 'nuove teologie').

"Senza entrare negli elementi più tecnici di questa discussione, Benedetto XVI nella sua lettera si mostra consapevole del fatto che ci fu negli anni Sessanta un’autentica rivoluzione – non meno importante della Riforma protestante o della Rivoluzione francese – che fu 'rapidissima' e che assestò un colpo durissimo alla 'tradizionale adesione del popolo all’insegnamento e ai valori cattolici'. [...]

"Nella Chiesa cattolica non ci fu subito sufficiente consapevolezza della portata di questa rivoluzione. Anzi, essa contagiò – ritiene oggi Benedetto XVI – 'anche sacerdoti e religiosi', determinò fraintendimenti nell’interpretazione del Concilio, causò 'insufficiente formazione, umana, morale e spirituale nei seminari e nei noviziati'.

"In questo clima certamente non tutti i sacerdoti insufficientemente formati o contagiati dal clima successivo agli anni Sessanta, e nemmeno una loro percentuale significativa, divennero pedofili: sappiamo dalle statistiche che il numero reale dei preti pedofili è molto inferiore a quello proposto da certi media. E tuttavia questo numero non è uguale a zero – come tutti vorremmo – e giustifica le severissime parole del papa. Ma lo studio della rivoluzione degli anni Sessanta, e del 1968, è cruciale per capire quanto è successo dopo, pedofilia compresa. E per trovare rimedi reali.

"Se questa rivoluzione, a differenza delle precedenti, è morale e spirituale e tocca l’interiorità dell’uomo, solo dalla restaurazione della moralità, della vita spirituale e di una verità integrale sulla persona umana potranno ultimamente venire i rimedi. Ma per questo i sociologi, come sempre, non bastano: occorrono i padri e i maestri, gli educatori e i santi. E abbiamo tutti molto bisogno del papa: di questo
papa, che ancora una volta – per riprendere il titolo della sua ultima enciclica – dice la verità nella carità e pratica la carità nella verità".

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si seguano i seguenti link per l'ìargomento completo:

Marcello Pera scrive Lettera aperta contro gli attacchi al Papa ed alla Chiesa per le colpe di pochi sugli abusi sessuali

ATTENZIONE: LETTERA DI BENEDETTO XVI CONTRO GLI ABUSI SESSUALI NELLA CHIESA

Visita straordinaria dei Vescovi Irlandesi e Tedesco dal Pontefice per condannare gli abusi sessuali


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Caterina63
00venerdì 2 aprile 2010 11:01
PER NON DIMENTICARE



Preti pedofili. Don Giorgio Govoni: quando la calunnia uccide
di Massimo Introvigne

I preti pedofili esistono. Come ha ricordato il Papa, sono “una vergogna” per la Chiesa e nei loro confronti non è giustificata nessuna tolleranza. Ma vi è anche un’altra categoria che non dev’essere dimenticata in questo lungo venerdì santo della Chiesa: quella dei preti accusati ingiustamente. Dal tentativo nazista di screditare la resistenza della Chiesa tedesca al regime moltiplicando le accuse di pedofilia – quasi tutte false – agli studi legali miliardari americani che sparano accuse talora davvero insensate al solo scopo di spillare quattrini alla Chiesa, c’è una storia parallela di calunnie che, per i sacerdoti che le subiscono, costituiscono un vero martirio.

Ricorre quest’anno il decimo anniversario di una vicenda dolorosissima che ha coinvolto un sacerdote italiano, don Giorgio Govoni (1941-2000). Questo parroco della Bassa Modenese – un parroco esemplare, amatissimo dai suoi parrocchiani – è accusato nel 2007 da un’assistente sociale, che afferma di avere intervistato tredici bambini, di guidare un gruppo di «satanisti pedofili» che praticherebbero riti satanici in diversi cimiteri tra Mirandola e Finale Emilia, violentando e talora uccidendo bambini (di cui peraltro non si sono mai trovati i corpi). Rinviato a giudizio, è ritenuto colpevole dal pubblico ministero che chiede per lui quattordici anni di carcere. La Curia di Modena si schiera fin dall’inizio con lui e ne sostiene la difesa, facendo appello anche a chi scrive, il quale crede di avere dimostrato in una perizia di parte il carattere assolutamente inverosimile delle accuse. Ma, dopo l’arringa del pubblico ministero, don Giorgio muore stroncato da un infarto nell’ufficio del suo avvocato il 19 maggio 2000.

La morte del sacerdote estingue le accuse contro don Giorgio, ma la sentenza nei confronti dei coimputati mostra che i giudici del Tribunale di Modena credono nonostante tutto agli accusatori. La situazione però si rovescia in sede di appello, interposto anche dai difensori del sacerdote defunto per riabilitarlo almeno post mortem. L’11 luglio 2001 la Corte d’Appello di Bologna dichiara che nella Bassa Modenese non è mai esistito un gruppo di «satanisti pedofili» e che don Giorgio è stato ingiustamente calunniato sulla base di fantasie indotte in bambini molto piccoli da un’assistente sociale che ha letto una certa letteratura su casi americani. Nel 2002 la sentenza di appello è confermata dalla Corte di Cassazione, con soddisfazione delle autorità ecclesiastiche e dei parrocchiani che hanno sempre visto in don Giorgio un eccellente sacerdote travolto da accuse inventate.

Ogni anno i suoi parrocchiani, spesso con la presenza del vescovo di Modena, si riuniscono sulla tomba di don Giorgio. Io, che l’ho conosciuto personalmente, sono rimasto sia edificato dalla sua testimonianza di sacerdote e di uomo d’intensa preghiera, sia spaventato dalla facilità con cui chiunque – magari per essersi scontrato con un’assistente sociale sulla gestione di alcune famiglie in difficoltà – può essere umanamente e moralmente distrutto da accuse infamanti immediatamente riprese dai media prima di ogni verifica. Ricordare a dieci anni dalla morte don Giorgio Govoni non assolve certamente nessun sacerdote davvero colpevole di abusi. Ma ci ricorda che esistono pure i fabbricanti di calunnie. Anche nei loro confronti è giusta la tolleranza zero.
                                                            




Caterina63
00mercoledì 28 aprile 2010 20:32
Intervento del presidente del Senato italiano

Il Papa che non ha paura
di fronte ai lupi


Si tiene il 28 aprile un incontro dedicato al tema Il mondo soffre per la mancanza di pensiero, organizzato a Roma, presso la Sala San Pio X, dalla Congregazione dei Figli dell'Immacolata Concezione in occasione del quinto anniversario dell'elezione di Benedetto XVI. All'incontro intervengono il presidente del Senato italiano, Renato Schifani, il presidente della Pontificia Accademia per la Vita, l'arcivescovo Rino Fisichella, e il presidente dell'Istituto dell'Enciclopedia italiana, Giuliano Amato. Pubblichiamo quasi per intero il testo del presidente del Senato.

di Renato Schifani

Benedetto XVI, senza ipocrisia e senza ammiccamento, afferma con chiarezza:  "il programma del cristiano è un cuore che vede".
Su quest'ultima affermazione sembrano incontrarsi due distinte tradizioni di pensiero. Da un lato, l'affermazione di chi riconosce nel vero maestro non colui il quale dice qualcosa di nuovo, bensì qualcosa di vero; dall'altro, la riflessione che riconosce la novità del Vangelo non solo in un messaggio, ma innanzitutto nel messaggero.
Per Benedetto XVI il compito prioritario è quello di essere "un umile servitore nella vigna del Signore"; in altri termini non è quello di perseguire le proprie idee ma di mettersi in ascolto e lasciarsi guidare dall'unico messaggero,  dall'unica  parola,  dall'unica volontà.

Serve allora uscire da stereotipi frequenti e fuorvianti, quelli che ritraggono, a seconda dell'attualità o del clamore di alcuni fatti, anche in termini non necessariamente negativi, Benedetto XVI come teologo, professore, intellettuale, filosofo, pensatore. Mi sembra di poter dire, invece, che il ritratto più vicino a Papa Benedetto sia proprio l'immagine che egli ricava dal suo messaggero:  l'immagine cioè del pastore e del pescatore.
Benedetto XVI sa realmente che "amare vuol dire essere pronti a soffrire" e come pastore egli rende testimonianza a chi "ha veramente fatto storia con gli uomini".

Da questa profonda e radicale consapevolezza, sulle tracce dei Padri della Chiesa, Benedetto XVI condanna senza scorciatoie i pastori che evitano i conflitti e lasciano che il veleno si diffonda. Già prima di assumere il mandato petrino, Joseph Ratzinger, senza possibilità di fraintendimento, dichiarava:  "un vescovo interessato solo a non avere grane e a mascherare il più possibile tutte le situazioni di conflitto, mi spaventa" (Il sale della terra, cristianesimo e Chiesa cattolica nella svolta del terzo millennio. Un colloquio con Peter Sewald, Joseph Ratzinger, Edizioni San Paolo, 1997, p.95). E a ciascuno di noi Benedetto XVI ha rivolto un invito umile e lungimirante proprio all'indomani della sua elezione:  "pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi".
Di fronte alle insidie, ai tradimenti, agli scandali, alle ferite aperte e dolorose della Chiesa, Benedetto XVI non fugge per paura di fronte ai lupi.

In un momento in cui lo sgomento e il senso di tradimento che "atti peccaminosi e criminali" hanno ingenerato in tutto il mondo e in tutta la Chiesa, Benedetto XVI ha espresso apertamente - cito le sue parole - "la vergogna e il rimorso che tutti proviamo".
Ha condannato il silenzio dei "cani muti" del nostro tempo. Al tradimento e alla sofferenza delle vittime di abusi sessuali non si è limitato a manifestare la propria indignazione per il torto e la violenza subiti, ma con loro ha voluto condividere la sofferenza, la preghiera, il dolore destinato a rimanere.

La vergogna e il rimorso, il pentimento, la condanna per il tradimento della fiducia riposta nei sacerdoti pedofili "da giovani innocenti e dai loro genitori", sono stati pronunciati senza riserve e con parole forti. Joseph Ratzinger non è mai stato inerte di fronte alla sofferenza e all'ingiustizia, ma è un pastore che non lascia "naufraghi senza spettatore", nell'indifferenza o nel quieto vivere.
Nel 1969 non ebbe paura di indicare il rischio di un nuovo paganesimo nella stessa Chiesa e nel 2005 non si limitò a parlare di superbia, di autosufficienza, di sporcizia in termini generali, bensì dentro la Chiesa e - cito ancora le sue parole - "proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui".

Come una sorta di passaggio del testimone, nel Venerdì Santo del 2005, da un lato, la parola ferma di Joseph Ratzinger, dall'altro, il crocefisso a stento trattenuto dalle mani fragili di Giovanni Paolo ii nella sua cappella privata:  la continuità dei due pontificati sta proprio nel passaggio della croce dalle mani dell'uno a quelle dell'altro. Del suo predecessore dirà:  "egli ha potuto farsi compagno di viaggio per l'uomo di oggi (...). La sua è stata una sofferenza vissuta fino all'ultimo per amore e con amore".

Assistiamo in questi ultimi mesi al tentativo di ingenerare un vero e proprio "panico morale", teso a minare il cuore stesso del Magistero attraverso l'erosione del rapporto di fiducia che è alla base di ogni sfida comunicativa e, in particolare, della sfida educativa.
La teologia della carità e la teologia della speranza rappresentano per Benedetto XVI gli assi portanti dell'intero messaggio cristiano. La vita autentica è infatti allo stesso tempo relazione e conoscenza, "un dare e ricevere". A chi vuole nascondere con un chiassoso brusìo mediatico il messaggio di speranza e la testimonianza di carità della Chiesa, Benedetto XVI contrappone un percorso di risalita dall'orrore attraverso la mitezza evangelica:  "insultato non rispondeva con insulti; maltrattato non minacciava vendetta, ma si affidava a Colui che giudica con giustizia".

In altri termini, quando assistiamo ad attacchi che non sono mai mancati e a difese che, viceversa, spesso sono rimaste senza voce, con le parole di un teologo del nostro tempo, mi sento di dire:  "la grandezza di uno spirito si misura dal grado di verità che è capace di sopportare" e "la verità non ha bisogno di essere difesa, si difende da sé".
In questo modo emerge anche il secondo ritratto di Benedetto XVI che ho voluto legare all'immagine del pescatore. Da quelle che egli definisce le "acque salate della sofferenza", egli trae comunque e sempre la rete del Vangelo. Ancora una volta le sue parole non hanno bisogno di alcun commento:  "noi soffriamo per la pazienza di Dio. E non di meno abbiamo tutti bisogno della Sua pazienza".

Nella tradizione della Chiesa ritroviamo una parola densa di significato dove l'apparente eclissi di Dio è accostata al martirio:  questa parola è legata ai più deboli e indifesi, a quelli che sono chiamati gli "inermi".
La via degli inermi è quella di un'identità arricchita capace di partire dall'incontro con il più debole, l'escluso, l'emarginato, che fa sentire ciascuno di noi debitore di qualcosa. Con le parole di Benedetto XVI:  "nessuno ha la vita da se stesso e solamente per se stesso. Noi l'abbiamo dall'altro nella relazione con l'altro".

Vi sarà un giorno nel quale le donne e gli uomini liberi del nostro tempo potranno dire di lui:  "in mezzo a quella violenta tempesta, mantenne la fiducia e la speranza e la trasmise anche ai compagni di viaggio. Da quel naufragio (...) nacque una comunità cristiana fervente e solida".
Il pensiero di Benedetto XVI non è tuttavia chiuso dentro il perimetro del cattolicesimo, né in quello della sola cultura cristiana.

Egli ci dice:  "con i mezzi della nostra ragione dobbiamo trovare le strade".
Anche alla politica la testimonianza autentica del cristiano indica una rotta precisa:  la cultura dei valori. Il personalismo cristiano si oppone alla "mistica dell'indistinzione", al relativismo, che considera eguale o equivalente, senza distinzione, qualsivoglia ideale.
Ai giovani e a tutti noi Benedetto XVI parla di una "nuova evangelizzazione" che non significa "attirare subito con nuovi metodi più raffinati le grandi masse allontanatesi dalla Chiesa", bensì riconoscere che "le grandi cose cominciano sempre dal granello piccolo". Si tratta di accettare la sfida di "prendere il largo della storia e gettare le reti".

Vorrei chiudere questo mio intervento ricordando due lunghi articoli comparsi nella stampa scritti da due teologi che muovono critiche estremamente severe all'attuale Pontefice.
Non spetta certamente a me entrare in un terreno che non mi appartiene, ma sono rimasto sinceramente colpito dalla coincidenza di un motivo comune che sta alla base della loro riflessione:  si imputa al Papa il fallimento della sua - cito testualmente - "politica" ovvero della sua "linea" e gli si dice che "oggi il Papa è chiamato soprattutto a essere un grande maestro di spiritualità". In altri termini, è estremamente significativo che la critica che gli si appunta è estranea alla sua missione di pastore, ma al suo ruolo di politico, di statista, di "maestro di spiritualità".

Proprio il filo conduttore del nostro incontro mi pare capace di rispondere a questa e altre accuse:  un mondo che soffre per mancanza di pensiero è un mondo - con le parole di Paolo vi - dove l'uomo "ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni".
A tutti, anche ai cattolici che - cito le parole di Benedetto XVI - "abbiano pensato di dovermi colpire con un'ostilità pronta all'attacco", il Papa risponde:  "se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri".

La parola di Benedetto XVI è la testimonianza della sofferenza accolta con serenità e gioia. Il Papa dice agli uomini del nostro tempo molte volte schiacciati alle pareti del pessimismo e del conformismo che "la gioia non la si può comandare. La si può solo donare" e dunque "la Chiesa non la si può fare, ma solo riceverla, e cioè riceverla da dove essa è già, da dove essa è realmente presente".


(©L'Osservatore Romano - 29 aprile 2010)
Caterina63
00sabato 15 maggio 2010 11:13

Tutti i nodi della Rete


Intervista a don Fortunato Di Noto, fondatore dell’Associazione Meter


ROMA, venerdì, 14 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'intervista a don Fortunato Di Noto apparsa su PaulusWeb (anno II n. 20 - maggio 2010).




* * *

di Paolo Pegoraro


18 indagati per divulgazione e detenzione di materiale pedopornografico su Internet: è il risultato dell’ultimo bliz della Polizia Postale di Catania, scattato il 6 maggio a concludere un’operazione partita da una segnalazione dell’Associazione Meter. Che oggi gode della massima stima nazionale e internazionale. Ma non è sempre stato così. Converrebbe scorrere all’indietro gli archivi dei quotidiani online per rendersi conto che una decina d’anni fa la parola d’ordine sulla bocca di tanti ministri e onorevoli fosse “non creare allarmi sociali”. Nonostante il palese vuoto normativo. Quando ammettere la diffusione del male non andava giù a nessuno. Don Fortunato Di Noto ci lavora da oltre vent’anni. Ha affrontato subito la marea nera che montava sul web, senza sconti né illusioni. Lo hanno ripetutamente accusato di dare la caccia alle streghe. Ora il Presidente della Repubblica invia annualmente a Meter il proprio Messaggio in occasione della XIV Giornata dei Bambini Vittime della violenza, dello sfruttamento e dell’indifferenza. E quest’anno anche papa Benedetto XVI ha voluto esprimere la propria stima e incoraggiamento all’Associazione di Avola (Sr). «Caro Papa, non ti sentire mai solo» hanno risposto i bambini in una lettera commovente rivolta al Santo Padre. Una lettera per la quale Benedetto XVI ha voluto inviare il suo ringraziamento pochi giorni dopo. Don Di Noto ne è chiaramente contento.

Partiamo dallo speciale saluto che il Santo Padre ha rivolto alla vostra Associazione lo scorso 25 aprile...

«Sono più che felice che il Santo Padre abbia voluto concederci un riconoscimento di così alto profilo. Evidentemente il nostro impegno è stato conosciuto e apprezzato, anche perché si tratta di un impegno sereno, equilibrato, silenzioso. Che si preoccupa non solo di tutelare le vittime e di prevenire gli abusi, ma anche d’informare le comunità cristiane in Italia e all’estero, nonché di seguire i rapporti istituzionale con vari governi. Un riconoscimento, quello di papa Benedetto, che ci sprona a fare sempre di più e a fare bene, secondo un criterio di attenzione e di cura adatto alle delicate situazioni di sofferenza dei bambini».

Come cominciarono i primi passi di Meter intorno al 1989. Perché proprio lei – un sacerdote – si sentì chiamato in prima persona a occuparsi delle vittime di abusi?

«Teniamo conto che in quegli anni mancava una normativa adeguata a tutelare in maniera efficace i diritti dell’infanzia. Proprio nel 1989 si era appena visto il barlume della Convenzione del Fanciullo... nulla a che vedere che l’apparato di cui godiamo oggi, però.

Personalmente c’è stata quasi una coincidenza profetica tra quanto stavo vivendo all’inizio del mio sacerdozio e ciò che poi è avvenuto. Da una parte, io sono sempre stato innamorato delle nuove tecnologie e posso dire di essere ormai da vent’anni un missionario della rete. Dall’altra, invece, mi venivano raccontate le storie di questi bambini: nel 1989-’90, anche se nessuno ne era a conoscenza, già circolavano le immagine pedopornografiche online. Questo mi pose automaticamente una questione: intervenire o lasciar perdere? Decisi di operare. Cominciò così un percorso con la mia comunità parrocchiale di Avola – diocesi di Noto – nella quale giunsi nel 1995. Con i giovani della parrocchia – molti dei quali oggi sono professionisti, ma soprattutto papà e mamme – abbiamo cominciato quest’avventura che ci ha portato a essere, dopo tanti anni, una delle realtà più importanti al mondo per la prevenzione degli abusi, il contrasto della pedofilia e la tutela dell’infanzia».

All’inizio non mancarono le incomprensioni, anche in ambito ecclesiale, mentre oggi le giunge questo riconoscimento. Lei, come pastore impegnato nella difesa dei più piccoli, come legge l’attuale crisi degli abusi che sta attraversando la Chiesa?

«Credo che tutto ciò che diventa purificazione sia sempre un bene. È molto importante che la Chiesa, da un punto di vista operativo, stia facendo pulizia di questi sacerdoti che si sono macchiati di così gravi reati. Dal momento in cui si sono macchiati di questi atti, questi preti non possono vivere il loro sacerdozio in pienezza: comprendiamo il perdono, ma anche la devastazione avvenuta su quei bambini, che non a caso vengono chiamiati “sopravvissuti”. La Chiesa – oggi più che mai e grazie anche alle Linee guida volute dall’attuale Pontefice – non tornerà indietro.

Non possiamo tacere. Ricordo che ancora nel 1996 scrissi al Corriere della Sera una lettera, poi pubblicata, dove invitavo a una pastorale ordinaria e limpida della Chiesa in tal senso. Se oggi ci troviamo a essere investiti dallo scandalo di alcuni sacerdoti è anche perché alcuni vescovi hanno irresponsabilmente taciuto... ma questo non lo dico io, lo dicono le dichiarazioni della Chiesa e le ultime dimissioni. Questo ovviamente comporta un dolore da una parte, ma dall’altra un impegno ulteriore. Insieme possiamo sicuramente far sì che la Chiesa sia sempre un luogo accogliente e di protezione, ma soprattutto un luogo di annuncio dell’amore di Dio. E questa è la cosa più importante».

Il tema della 44ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali investe proprio la presenza del sacerdote nella rete, esperienza che lei vive da lungo tempo. Come si è andato regolarizzando il web, in questi anni?

«Partiamo dal fatto che internet è un dono di Dio all’uomo e deve essere utilizzato nel migliore dei modi. È un mezzo che ha cambiato le relazioni e il nostro modo di percepire la realtà, ma proprio perché “mezzo”, chi lo utilizza ha una responsabilità etica... l’uomo non può limitarsi ad “abitare” il web, proprio perché nel web l’uomo testimonia se stesso. E se l’uomo ha una sua identità, coerenza e responsabilità, testimonia ciò è e ciò che ha incontrato: per noi cristiani Gesù Cristo, per tanti altri l’onestà di vivere nella verità e nella giustizia.

Per di più, internet è un processo irreversibile. Evitiamo perciò di pensare a censurarlo o chiuderlo; e tuttavia, proprio perché è un mezzo che veicola l’uomo, non nascondiamoci che ci sono molti uomini che hanno scelto il male e veicolano e amplificano il proprio male. Per questo il web è diventato anche un pericoloso strumento invasivo di cybercrime, di pedofilia online, di adescamento di bambini... Ma chiediamoci anche: perché questo può avvenire? perché un bambino può cadere nella trappola dell’adescamento? Molte volte perché c’è una privazione affettiva nella realtà quotidiana della loro vita.

Internet può diventare uno strumento per la comunicazione del vangelo, ma anche uno strumento di lucro sulle foto o video pedopornografiche di bambini che sono stati violati. Il problema non è il mezzo, ma l’uomo».

L’avvento del web 2.0 e dei social network ha imposto un cambio di prospettiva?

«Tantissimo. Personalmente, sono convinto che il fenomeno dei social network finirà tra cinque anni, dopo questo boom e le utilizzazioni spesso improprie. Questo creare relazioni, o ritrovarle, è interessantissimo, ma siamo onesti: su FaceBook, anche se ho duemila “amici”, mi sento molto più solo che nella vita reale. Su questa piattaforma la comunicazione avviene solo per alcuni aspetti superficiali o molto pratici.

Eppure la mia presenza sui social network può essere di aiuto per chi ne ha bisogno, per chi cerca di superare un dolore o attraversa una fatica. L’uomo ha necessità di relazione. E la vita virtuale deve vivere di vita reale. Non dimentichiamolo, altrimenti rischiamo di diventare non persone, ma avatar... cioè illusioni di uomini reali».

A questo proposito – secondo i dati da voi forniti nel volume L’innocenza tradita (Città Nuova 2006) – l’età del cyberpedofilo si aggira tra i 21 e i 30 anni... ovvero l’età in cui le energie affettive dovrebbero esplodere nella vita reale. Dati confermati a oggi?

«Sono dati purtroppo riconfermati. Non solo. Come Associazione Meter stiamo studiando le modificazioni di profilo del cyberpedofilo, perché l’età si sta abbassando ulteriormente. Tanto che abbiamo oramai minori che abusano di altri minori. Vediamo quincenni e sedicenni che fanno di tutto, abusando di bambini anche molto più piccoli. Questo dimostra come la banalizzazione – della relazione affettiva e sessuale da una parte, e dall’altra del corpo come strumento di comunicazione dell’amore pervertito in strumento di soddisfacimento immediato – stia creando molti e seri problemi.

Assistiamo inoltre al crescere di un altro filone drammatico, quello dell’infantofilia, dove le vittime hanno tra gli 0 ai 2 anni al massimo. Il profilo del cyberpedofilo, dunque, si modifica alla luce della produzione e della fruzione del materiale che viene prodotto e poi messo in rete. Questo è il grande dramma sotto gli occhi di tutti, al quale dovremmo reagire non solo commuovendoci, ma in maniera ben più forte e ben più intensa».

È stato scritto che l’altra faccia del problema della pedofilia è un Occidente affetto da pedofobia: incapace cioè di rispettare i più piccoli, impaurito dall’innocenza, preoccupato di sessualizzare quanto prima i propri giovani.

«È vero, oggi viviamo in una società adultocentrica. Tutto è a misura dell’adulto e i bambini sono adultizzati in mille maniere. Faccio un esempio banale: alle trasmissioni televisive abbiamo bambini che cantano secondo estensioni vocali non sono adatte allo sviluppo delle loro corde.

Questo succede perché tutto ciò che riguarda l’infanzia, nel mondo occidentale, è misurato secondo le regole della produzione: il bambino è diventato merce e produce merce. Produce benessere. Basti dire come la pedopornografia fa un giro di affari di 13 miliardi di euro l’anno: quale migliore dimostrazione di bambini trasformati in oggetti di consumo!».

Cos’ha da dire a questa società la religione del Dio che si è fatto Bambino?

«Dobbiamo tornare a guardare a questo Bambino per il nostro operare e agire bene. Forse è maturo il momento per fare un patto educativo comune, per creare non steccati ma collaborazione fattiva, affinché ognuno apporti ciò che è bene per domani.

In fondo, ciò che abbiamo fra le mani è il futuro: i bambini crescono e attraverso l’educazione formiamo gli uomini e le donne di domani, che promuoveranno e faranno il bene.

Rendiamoci conto che il digital divide non riguarda solo internet, e nemmeno la povertà materiale, quanto invece la povertà affettiva che nutre le deviazioni e le assurde speculazioni che avvengono sulla pelle degli esseri umani. Molto già si fa – e molto fa la Chiesa cattolica attraverso l’aspetto educativo e di formazione – ma, insieme, bisogna fare di più».


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