Paolo VI Ecclesiam Suam

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Caterina63
00lunedì 2 febbraio 2009 12:42

"...potremmo tutti invitare a compiere un vivo, un profondo, un cosciente atto di fede in Gesù Cristo Signor Nostro

Noi dovremmo caratterizzare questo momento della nostra vita religiosa con questa forte e convinta, se pur sempre umile e trepidante,

professione di fede, simile a quella che leggiamo nel Vangelo, emessa dal cieco nato, a cui Gesù Cristo aveva con bontà pari alla potenza

aperto gli occhi: "Credo, Signore!", ovvero a quella di Marta, nello stesso Vangelo: "Sì, Signore, io ho creduto che tu sei il Messia, il

Figlio di Dio, che sei venuto in questo mondo"; oppure a quella, a Noi così cara, di Simone, poi tramutato in Pietro:

"Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente".





"...Analogo discorso potremmo fare circa gli errori che serpeggiano anche nell’interno stesso della Chiesa e in cui cadono coloro che hanno una parziale conoscenza della sua natura e della sua missione, non tenendo essi conto sufficiente dei documenti della rivelazione divina e degli insegnamenti del magistero istituito da Cristo stesso."

LETTERA ENCICLICA
DEL SOMMO PONTEFICE
PAOLO PP. VI


ECCLESIAM SUAM

PER QUALI VIE LA CHIESA CATTOLICA DEBBA
OGGI ADEMPIRE IL SUO MANDATO


Lettera Enciclica ai Venerabili Fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi
ed altri Ordinari del luogo, aventi pace e comunione con la Sede Apostolica,
al clero e ai fedeli di tutto il mondo e a tutti gli uomini di buona volontà.


PAOLO VI

VENERABILI FRATELLI, DILETTI FIGLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE


 

1. Gesù Cristo ha fondato la sua Chiesa, perché sia nello stesso tempo madre amorevole di tutti gli uomini e dispensatrice di salvezza; appare quindi evidente la ragione per cui ad essa abbiano dato prove di particolare amore, e ad essa abbiano dedicato particolari cure tutti coloro che hanno avuto a cuore sia la gloria di Dio sia la salvezza eterna degli uomini: tra i quali, com'era giusto, rifulsero i Vicari in terra dello stesso Cristo, un numero immenso di Vescovi e di sacerdoti, ed una mirabile schiera di santi cristiani.


La dottrina del Vangelo e la grande famiglia umana


2. A tutti, pertanto, sembrerà quasi naturale che Noi, indirizzando al mondo questa Nostra prima Enciclica dopo che, per inscrutabile disegno di Dio, siamo stati chiamati al Soglio Pontificio, rivolgiamo il nostro pensiero amoroso e reverente alla santa Chiesa.


3. Per tali motivi, Ci proporremo, in questa Enciclica, di sempre più chiarire a tutti quanto, da una parte, sia importante per la salvezza dell'umana società, e dall'altra quanto stia a cuore alla Chiesa che ambedue s'incontrino, si conoscano, si amino.


4. Quando, per grazia di Dio, Noi avemmo la fortuna di rivolgere a viva voce la Nostra parola, all'apertura della seconda sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II, nella festa di san Michele Arcangelo dello scorso anno, a voi tutti adunati nella basilica di San Pietro, manifestammo il proposito di rivolgervi altresì per iscritto, com'è costume all'inizio d'ogni Pontificato, il Nostro fraterno e paterno discorso, per manifestarvi alcuni nostri pensieri, che sovrastano agli altri dell'animo Nostro e che ci sembrano utili a guidare praticamente gli inizi del Nostro pontificale ministero.


5. Veramente Ci è difficile determinare tali pensieri, perché dobbiamo attingerli alla più diligente meditazione della divina dottrina, memori Noi stessi delle parole di Cristo: La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato;(1) dobbiamo, inoltre, commisurarli alle presenti condizioni della Chiesa stessa, in un'ora di vivacità e di travaglio sia della sua interiore esperienza spirituale, sia del suo esteriore sforzo apostolico; e dobbiamo, infine, non ignorare lo stato, in cui oggi si trova l'umanità, in mezzo alla quale si svolge la nostra missione.


Triplice impegno della Chiesa


6. Ma non è Nostra ambizione dire cose nuove né complete; il Concilio Ecumenico è là per questo; la sua opera non deve essere turbata da questa Nostra semplice conversazione epistolare, ma quasi onorata ed incoraggiata.


7. Non vuole questa Nostra Enciclica rivestire carattere solenne e propriamente dottrinale, né proporre insegnamenti determinati, morali o sociali, ma semplicemente vuol essere un messaggio fraterno e familiare.


8. Noi vogliamo infatti soltanto, con questo Nostro scritto, compiere il Nostro dovere di aprire a voi l'animo Nostro, con l'intenzione di dare alla comunione di fede e di carità, che beatamente intercede fra noi, maggiore coesione, maggiore gaudio, allo scopo di rinvigorire il nostro ministero, di meglio attendere alle fruttuose celebrazioni del Concilio Ecumenico stesso, e di dare maggiore chiarezza ad alcuni criteri dottrinali e pratici, che possono utilmente guidare l'attività spirituale ed apostolica della Gerarchia ecclesiastica e di quanti le prestano obbedienza e collaborazione, o anche solo benevola attenzione.


9. Vi diremo subito, Venerabili Fratelli, che tre sono i pensieri, che vanno agitando l'animo Nostro quando consideriamo l'altissimo ufficio, che la Provvidenza, contro i Nostri desideri ed i Nostri meriti, Ci ha voluto affidare di reggere la Chiesa di Cristo, nella Nostra funzione di Vescovo di Roma, e perciò di Successore del beato Apostolo Pietro, gestore delle chiavi del regno dei cieli e Vicario di quel Cristo che fece di Pietro il primo Pastore del suo gregge universale.


10. Il pensiero che sia questa l'ora in cui la Chiesa deve approfondire la coscienza di se stessa, meditare sul mistero che le è proprio, esplorare a propria istruzione ed edificazione la dottrina, già a lei nota e già in questo ultimo secolo enucleata e diffusa, sopra la propria origine, la propria natura, la propria missione, la propria sorte finale, ma dottrina non mai abbastanza studiata e compresa, come quella che contiene il piano provvidenziale del mistero nascosto da secoli in Dio... affinché sia manifestato... per mezzo della Chiesa,(2) misteriosa riserva cioè dei misteriosi disegni divini che mediante la Chiesa vengono notificati; e come quella che costituisce oggi il tema più d'ogni altro interessante la riflessione di chi vuol essere docile seguace di Cristo, e tanto più di chi, come Noi e come voi, Venerabili Fratelli, lo Spirito Santo ha posto quali Vescovi a reggere la Chiesa di Dio.(3)


11. Deriva da questa illuminata ed operante coscienza uno spontaneo desiderio di confrontare l'immagine ideale della Chiesa, quale Cristo vide, volle ed amò, come sua Sposa santa ed immacolata(4) e il volto reale, quale oggi la Chiesa presenta, fedele, per grazia divina, ai lineamenti che il suo divin Fondatore le impresse e che lo Spirito Santo vivificò e sviluppò nel corso dei secoli in forma più ampia e più rispondente al concetto iniziale da un lato, all'indole della umanità ch'essa andava evangelizzando e assumendo dall'altro; ma non mai abbastanza perfetto, abbastanza venusto, abbastanza santo e luminoso, come quel divino concetto informatore lo vorrebbe.


12. E deriva perciò un bisogno generoso e quasi impaziente di rinnovamento, di emendamento cioè dei difetti, che quella coscienza, quasi un esame interiore allo specchio del modello che Cristo di sé ci lasciò, denuncia e rigetta. Quale sia cioè il dovere odierno della Chiesa di correggere i difetti dei propri membri e di farli tendere a maggior perfezione, e quale il metodo per giungere con saggezza a tanto rinnovamento, è il secondo pensiero che occupa il Nostro spirito e che vorremmo a voi manifestare per trovare non solo maggiore coraggio a intraprendere le dovute riforme, ma per avere altresì dalla vostra adesione consiglio ed appoggio in così delicata e difficile impresa.


13. Terzo pensiero Nostro, e vostro certamente, sorgente dai primi due sopra enunciati, è quello delle relazioni che oggi la Chiesa deve stabilire col mondo che la circonda ed in cui essa vive e lavora.


14. Una parte di questo mondo, come ognuno sa, ha subito profondamente l'influsso del cristianesimo e l'ha assorbito intimamente più che spesso non si avveda d'esser debitore delle migliori sue cose al cristianesimo stesso, ma poi s'è venuto distinguendo e staccando, in questi ultimi secoli, dal ceppo cristiano della sua civiltà; e un'altra parte e la maggiore di questo mondo, si dilata agli sconfinati orizzonti dei popoli nuovi, come si dice; ma tutto insieme è un mondo che non una, ma cento forme di possibili contatti offre alla Chiesa, aperti e facili alcuni, delicati e complicati altri, ostili e refrattari ad amico colloquio purtroppo oggi moltissimi.


15. Si presenta cioè il problema, così detto, del dialogo fra la Chiesa ed il mondo moderno. È problema questo che tocca al Concilio descrivere nella sua vastità e complessità, e risolvere, per quanto è possibile, nei termini migliori. Ma la sua presenza, la sua urgenza sono tali da costituire un peso nell'animo Nostro, uno stimolo, una vocazione quasi, che vorremmo a Noi stessi ed a voi, Fratelli, sicuramente non meno di Noi esperti del suo tormento apostolico, in qualche modo chiarire, quasi per renderci idonei alle discussioni e alle deliberazioni che nel Concilio insieme crederemo di prospettare in così grave e multiforme materia.


Caterina63
00lunedì 2 febbraio 2009 12:54


Stralci dalla medesima Enciclica: Ecclesiam Suam

"...la vita cristiana, quale la Chiesa viene interpretando e codificando in sapienti disposizioni, esigerà sempre fedeltà, impegno, mortificazione e sacrificio; sarà sempre segnata dalla "via stretta", di cui Nostro Signore ci parla; domanderà a noi cristiani moderni non minori, anzi forse maggiori energie morali che non ai cristiani di ieri, una prontezza all’obbedienza, oggi non meno che in passato doverosa e forse più difficile, certo più meritoria perché guidata più da motivi soprannaturali che naturali.

Non la conformità allo spirito del mondo, non l’immunità dalle discipline d’una ragionevole ascetica, non l’indifferenza verso i liberi costumi del nostro tempo, non l’emancipazione dall’autorità di prudenti e legittimi superiori, non l’apatia verso le forme contraddittorie del pensiero moderno possono dare vigore alla Chiesa, possono renderla idonea a ricevere l’influsso dei doni dello Spirito Santo, possono darle l’autenticità della sua sequela a Cristo Signore, possono conferirle l’ansia della carità verso i fratelli e la capacità di comunicare il suo messaggio di salvezza, mala sua attitudine a vivere secondo la grazia divina, la sua fedeltà al Vangelo del Signore, la sua coesione gerarchica e comunitaria. Non molle e vile è il cristiano, ma forte e fedele."


[SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740717]

"...voi non cesserete di richiamare i fedeli alla comprensione della dignità, della purezza, dell’austerità della vita cristiana, come non omettere di denunciare, come meglio è possibile, anche pubblicamente, i pericoli morali ed i vizi di cui soffre l’età nostra.

Noi tutti ricordiamo le solenni esortazioni che la Sacra Scrittura grida verso di noi: "Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua perseveranza e che non puoi sopportare i malvagi", e tutti cercheremo d’essere Pastori vigilanti ed operosi. "


"Vivere nel mondo ma non del mondo


 

63. Sarà opportunissima cosa che anche il cristiano d’oggi abbia sempre presente questa sua originale e mirabile forma di vita, che lo sostenga nel gaudio della sua dignità e che lo immunizzi dal contagio dell’umana miseria circostante, o dalla seduzione dell’umano splendore parimente circostante.


64.
Ecco come S. Paolo medesimo educava i cristiani della prima generazione: "Non unitevi a un giogo sconveniente cogli infedeli; poiché che cosa ha a che fare la giustizia coll’iniquità? e che comunanza v’è tra la luce e le tenebre? …che rapporto tra il fedele e l’infedele?" La pedagogia cristiana dovrà ricordare sempre all’alunno dei tempi nostri questa sua privilegiata condizione e questo suo conseguente dovere di vivere nel mondo ma non del mondo, secondo il voto stesso sopra ricordato di Gesù a riguardo dei suoi discepoli: "Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come Io non sono del mondo". E la Chiesa fa proprio tale voto."



"91. Ma il pericolo rimane. L’arte dell’apostolato è rischiosa. La sollecitudine di accostare i fratelli non deve tradursi in una attenuazione, in una diminuzione della verità. Il nostro dialogo non può essere una debolezza rispetto all’impegno verso la nostra fede.

L’apostolato non può transigere con un compromesso ambiguo rispetto ai principi di pensiero e di azione che devono qualificare la nostra professione cristiana.

L’ irenismo e il sincretismo sono in fondo forme di scetticismo rispetto alla forza e al contenuto della Parola di Dio, che vogliamo predicare.


92.
Solo chi è pienamente fedele alla dottrina di Cristo può essere efficacemente apostolo.[SM=g1740733]  E solo chi vive in pienezza la vocazione cristiana può essere immunizzato dal contagio di errori con cui viene a contatto."[SM=g1740721]



 

"...Il primo frutto della approfondita coscienza della Chiesa su se stessa è la rinnovata scoperta del suo vitale rapporto con Cristo. Notissima cosa, ma fondamentale, ma indispensabile, ma non mai abbastanza conosciuta, meditata, celebrata. Che cosa non si dovrebbe dire su questo capitolo centrale di tutto il nostro patrimonio religioso?

...Non ci ha detto Gesù stesso ch’ Egli è la vite e noi siamo i tralci? Non abbiamo noi davanti alla mente tutta la ricchissima dottrina di San Paolo, il quale non cessa dal ricordarci: "Voi siete una cosa sola in Cristo"? e dal raccomandarci: "…che cresciamo sotto ogni aspetto verso di Lui, che è il capo, Cristo; dal quale tutto il corpo…"? e dall’ammonirci: "tutto e in tutti è Cristo"?

Ci basti, per tutti, ricordare fra i maestri S. Agostino: "…Rallegriamoci e rendiamo grazie, non solo per essere divenuti cristiani, ma Cristo. Vi rendete conto, o fratelli, capite voi il dono di Dio a nostro riguardo? Siate pieni di ammirazione, godete: noi siamo divenuti Cristo. Poiché se Egli è il capo, noi siamo le membra: l’uomo totale, Lui e noi… La pienezza dunque di Cristo: il capo e le membra. Cosa sono il capo e le membra? Cristo e la Chiesa".



 

"...È necessario confermare in noi tali convinzioni per evitare un altro pericolo, che il desiderio di riforma potrebbe generare non tanto in noi Pastori, cui trattiene un vigile senso di responsabilità, quanto nell’opinione di molti fedeli che pensano dover consistere principalmente la riforma della Chiesa nell’adattamento dei suoi sentimenti e dei suoi costumi a quelli mondani. Il fascino della vita profana oggi è potentissimo. Il conformismo sembra a molti fatale e sapiente.

Chi non è ben radicato nella fede e nella pratica della legge ecclesiastica pensa facilmente essere venuto il momento di adattarsi alla concezione profana della vita, come se questa fosse la migliore, fosse quella che un cristiano può e deve far propria. Questo fenomeno di adattamento si pronuncia tanto nel campo filosofico (quanto può la moda anche nel regno del pensiero, che dovrebbe essere autonomo e libero, e solo avido e docile davanti alla verità e all’autorità di provati maestri!), quanto nel campo pratico, dove diventa sempre più incerto e difficile segnare la linea della rettitudine morale e della retta condotta pratica".



 

"...Il naturalismo minaccia di vanificare la concezione originale del cristianesimo; il relativismo, che tutto giustifica e tutto qualifica di pari valore, attenta al carattere assoluto dei principi cristiani; l’abitudine di togliere ogni sforzo, ogni incomodo dalla pratica consueta della vita accusa d’inutilità fastidiosa la disciplina e l’ascesi cristiana;

...Non è forse vero che spesso il giovane Clero, ovvero anche qualche zelante Religioso guidato dalla buona intenzione di penetrare nelle masse popolari o in ceti particolari cerca di confondersi con essi invece di distinguersi, rinunciando con inutile mimetismo all’efficacia genuina del suo apostolato?

Il grande principio, enunciato da Cristo, si ripresenta nella sua attualità e nella sua difficoltà: essere nel mondo, ma non del mondo; e buon per noi se la sua altissima e opportunissima preghiera sarà da Lui, sempre vivo per intercedere a nostro favore, ancora oggi proferita davanti al Padre celeste: "Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal Maligno".


 

(Enciclica "Ecclesiam suam" 06-08-1964)


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